Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto Diritto Amministrativo 1, libro "Manuale di diritto amministrativo" di M. Clarich, Dispense di Diritto Amministrativo

Riassunto esame Diritto Amministrativo 1, libro "Manuale di diritto amministrativo" di M. Clarich

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 08/04/2019

alessandra-stabilini
alessandra-stabilini 🇮🇹

4.5

(35)

7 documenti

1 / 73

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Diritto Amministrativo 1, libro "Manuale di diritto amministrativo" di M. Clarich e più Dispense in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! DIRITTO AMMINISTRATIVO PARTE I - IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LE SUE FONTI INTRODUZIONE Il diritto amministrativo può essere definito come quella branca del diritto pubblico che ha per oggetto l’organizzazione e l’attività della pubblica amministrazione. Esso riguarda in particolare i rapporti che quest’ultima instaura con i soggetti privati nell’esercizio di poteri ad essa conferiti dalla legge per la cura degli interessi della collettività.Secondo la definizione proposta da Vittorio Emanuele Orlando il diritto amministrativo è “il sistema di quei principii giuridici che regolano l’attività dello Stato per il raggiungimento dei suoi fini”. Si tratta di un diritto recente. Le locuzioni administration publique e bureaucratie comparvero per la prima volta in Francia intorno alle metà del XVIII secolo e vennero riferite alla nascita e al consolidarsi di un potere pubblico nuovo posto al servizio del sovrano assoluto. In epoca napoleonica si iniziò a utilizzare l’espressione droit administratif e il primo trattato di diritto amministrativo fu pubblicato da Gian Domenico Romagnosi nel 1814. MODELLI DI STATO ENASCITA DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO Stato amministrativo Bisogna prendere le mosse dalla formazione degli Stati nazionali in Europa a partire dal XVI secolo e dal graduale superamento dell’ordinamento feudale. Caratteristica di quest’ultimo era l’assenza dio un centro di potere unitario effettivo. Prendendo in esame il caso francese, la nascita dello Stato moderno, con l'unificazione del potere politico del re, andò di pari passo con la formazione di apparati amministrativi stabili, al centro e in periferia, posti alle dirette dipendenze del sovrano (gli intendenti del re) e contrapposti a poteri locali. Nell'esperienza francese lo Stato assoluto si definiva già come Stato amministrativo. Era inoltre uno Stato che estendeva il suo raggio di azione a numerosi campi. Nel corso del XVIII secolo lo Stato assoluto assunse i caratteri dell'assolutismo illuminato, cioè detto Stato di polizia, offrendo ai propri sudditi provvidenze di vario genere. L'espansione dei compiti dello Stato e l'attribuzione di poteri amministrativi ai funzionari delegati del sovrano e agli apparati burocratici stabili portarono poco a poco all'emersione della funzione amministrativa come funziona autonoma, non più compresa in quella giudiziaria. Il potere esecutivo acquisì un profilo più autonomo solo in seguito alla formulazione della teoria della separazione dei poteri. La dottrina si accontentò però di individuare la definizione di attività amministrativa nell’attività dello Stato o di altri poteri pubblici diversa da quella normativa e giurisdizionale (definizione di Otto Mayer). La Rivoluzione francese del 1789 e le costituzioni liberali approvate nei decenni successivi portarono alla nascita del modello dello Stato di diritto (o Stato costituzionale). Stato di diritto e Stato a regime di diritto amministrativo Oggi lo Stato di diritto è uno dei principi fondanti dell'Unione europea, insieme a quelli della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e del rispetto dei diritti umani citati dall’art 2 del TUE. Lo Stato di diritto si basa su alcuni elementi strutturali: 1. Lo Stato di diritto prevede il trasferimento della titolarità della sovranità dal rex legibus solutus a un parlamento eletto da un corpo elettorale, prima ristretto poi a suffragio universale. 2. Si fonda sul principio della separazione dei poteri, per togliere il monopolio del potere al sovrano assoluto, e in più per evitare abusi a danno dei cittadini. Secondo la tripartizione dei poteri (teorizzata nel XVIII secolo da Montesquieu) il potere legislativo spetta a un parlamento elettivo, il 70 potere esecutivo al re e agli apparati burocratici da esso dipendenti e il potere giudiziario a una magistratura indipendente. Il potere esecutivo in questo modo viene sottoposto alla legge, cioè alla supremazia del parlamento, che è l'espressione della volontà popolare. 3. Un terzo elemento strutturale è l'inserimento nelle Costituzioni di riserve di legge. Queste escludono o limitano anzitutto il potere normativo del governo. Infatti il potere regolamentare dell'esecutivo, è ammesso esclusivamente nelle materie non sottoposte a riserva di legge assoluta. Nelle materie coperte da riserva di legge relativa, esso si può compiere solo nel rispetto dei limiti e dei principi stabiliti dalla legge (regolamenti esecutivi). Il principio di legalità è al centro dell'intera costruzione del diritto amministrativo. 4. Per far si che sia effettiva la sottoposizione del potere esecutivo alla legge e la garanzia dei diritti di libertà, lo Stato di diritto richiede che al cittadino sia riconosciuta la possibilità di ottenere la tutela delle proprie ragioni anche nei confronti della pubblica amministrazione davanti a un giudice imparziale, indipendente dal potere esecutivo. In Francia e in altri paesi dell’Europa continentale, la giustizia nell’amministrazione venne realizzata attraverso l’istituzione, verso la fine del XIX secolo, di un giudice speciale. Il Conseil d’Etat in Francia e il Consiglio di Stato in Italia, fina dalle loro prime decisioni, elaborarono un corpo di principi autonomo che regolava l’organizzazione e l’attività amministrativa. Nei paesi di Common Law invece per lungo tempo si negò la presenza di un diritto amministrativo. Nel 2016, sotto gli auspici del Consiglio d’Europa, una commissione di esperti ha approvato il Rule of Law - Checklist, che individua gli elementi essenziali dello Stato di diritto e i modi per garantirlo: legalità, democraticità del procedimento legislativo, certezza del diritto,… Stato guardiano notturno, Stato sociale, Stato imprenditore, Stato regolatore Con la rivoluzione francese si fecero strada ideologie di impronte liberista in campo economico, tendenti a ridurre al minimo le ingerenze dello Stato nei rapporti economici e sociali. Nel XIX secolo nacque lo Stato guardiano notturno che aveva due compiti: la garanzia dell’ordine pubblico interno e la difesa del territorio da potenziali nemici esterni. Dunque alla società civile e al mercato spettava lo svolgimento delle attività economiche e la cura di altri interessi della collettività (es. sanità). La visione liberista e liberale di questo Stato entrarono in crisi verso la fine del XIX, inizio XX secolo, con l’affermarsi di nuove ideologie e classi sociali, con la comparsa di movimenti e partiti portatori di istanze di redistribuzione e socializzazione della ricchezza nell’interesse delle classi meno abbienti. Queste trasformazioni portarono il passaggio a un modello di Stato detto “Stato interventista”, “Stato sociale” o “Stato del benessere” (Welfare State). I primi interventi furono attuati dalla Germania bismarckiana e nell'Italia giolittiana. A livello centrale, l’amministrazione dello Stato si potenziò con la crescita numerica dei ministeri. A livello locale, presero avvio esperimenti di socialismo municipale, cioè di assunzione da parte dei poteri locali di servizi pubblici. La crisi degli anni Trenta causò fallimenti dei maggiori gruppi finanziari e imprenditoriali e richiese interventi di salvataggio da parte dei pubblici poteri. Si accrebbe così la presenza dello Stato nell’economia e si affermò così il modello dello “Stato imprenditore”, o gestore diretto di aziende di produzione ed erogazione di beni e sevizi. Proliferano altresì enti pubblici. L’influenza delle ideologie collettivistiche nel secondo dopoguerra portò all’approvazione di programmi di nazionalizzazione di settori economici strategici, allo “Stato pianificatore”. Esso si caratterizza per la predisposizione a livello centrale di piani e programmi settoriali, volti a indirizzare risorse pubbliche e private verso obiettivi predeterminati. La presenza dello Stato nelle attività economiche determinò una crescita della spesa pubblica, che nel lungo periodo provocò una crisi finanziaria dello Stato. La ripresa delle ideologie antistataliste a partire dagli anni 80 minò le fondamenta della Stato interventista. Furono avviate, dapprima in Gran Bretagna e Stati Uniti, e poi in altri paesi europei, politiche di liberalizzazione, con la soppressione di regimi di monopolio e di privatizzazione di molte attività assunte direttamente dai pubblici poteri. Lo “Stato imprenditore” si trasformò via via in “Stato regolatore”, il quale rinuncia cioè a dirigere o gestire direttamente attività economiche e sociali e si fa invece carico di predisporre soltanto le 70 Le scienze politiche ed economiche analizzano le situazioni nelle quali è giustificato l'intervento dei pubblici poteri sotto forma di regolazione. Soprattutto nel mondo anglosassone ha avuto impulso la teoria della regolazione pubblica (o regulation), che ha vari significati, riferita all'intervento dei poteri pubblici in campo sociale e economico. Si distinguono due modelli di regolazione pubblica, la prima indirizzava a promuovere scopi sociali (social regulation – per es. la tutela della salute); la seconda indirizzata a massimizzare l’efficienza economica e il benessere dei consumatori (economic regulation). La regolazione economica considera l'istituzione di apparati pubblici come rimedio per le situazioni di insuccesso o di “fallimento del mercato” (market failures). I principali casi di fallimento del mercato che giustificano l'intervento dei poteri pubblici sono: 1. I monopoli naturali, come le infrastrutture non facilmente duplicabili (es. le reti di trasporto ferroviarie). Esse pongono chi gestisce l'attività in una situazione di “potere di mercato” che impedisce o altera lo sviluppo di un mercato concorrenziale e che consentono extraprofitti dovuti alla rendita di posizione. I rimedi più frequenti consistono nel sottoporre l'impresa monopolista a una serie di vincoli, come il controllo dei prezzi ecc. 2. I cosiddetti beni pubblici, come la difesa esterna o l'ordine pubblico, dei quali beneficia l'intera collettività, inclusi coloro che non sarebbero disponibili a farsi carico di una quota proporzionale di costi (freeriders). 3. Le esternalità negative dovute per esempio a produzioni industriali inquinanti i cui benefici vanno a vantaggio dell'impresa, ma i cui costi gravano sull'intera collettività. 4. Le asimmetrie informative tra chi offre e chi acquista beni e servizi circa le caratteristiche qualitative essenziali di questi ultimi, come nei rapporti tra istituzioni finanziarie o imprese quotate in borsa e piccoli risparmiatori non in grado di valutare i rischi degli investimenti proposti, istituendo autorità di vigilanza 5. Le esigenze di coordinamento per esempio relative al sistema dei pesi e misure o al traffico stradale che richiedono la fissazione di standard uniformi e di regole di comportamento al cui rispetto sono proposte autorità pubbliche. Tra gli strumenti artatamente idonei a tutelare l’interesse pubblico vanno preferiti quelli meno restrittivi della libertà di impresa. Cenni agli indirizzi della “public choice" e al modello “principal-agent” L’indirizzo della public choice si è affermato negli Stati Uniti nella seconda metà del secolo scorso. Per spiegare il funzionamento degli apparati pubblici è più realistico muovere dall’ipotesi che anche il loro comportamento è animato, al pari degli attori privati, da self-interest. Le decisioni sono il frutto di scambi e di negoziazioni tra i vari gruppi politici. Questo tipo di approccio tende a porre in evidenza le situazioni di government failure. La microeconomia ha elaborato la teoria sel principal-agent, che studia i meccanismi e gli incentivi per far si che l’attività dell’agente, delegato dal principale a compiere una determinata attività, venga posta in essere nell’interesse di quest’ultimo, non in quello egoistico dell’agente. Anche gli apparati burocratici possono essere considerati agenti del parlamento, che spesso però perseguono fini propri. Da qui la perenne tensione tra politica e amministrazione. A loro volta i politici sono in qualche misura agenti dei cittadini elettori e occorre individuare strumenti di responsabilizzazione in modo da evitare l’autoreferenzialismo della classe politica. La regolamentazione pubblica dovrebbe dunque individuare gli strumenti per allineare gli interessi dell’agente a quelli del principale. La macroeconomia considera lo Stato come un meccanismo di gestione e redistribuzione delle risorse alternativo al mercato. La regolazione pubblica, con l’imposizione ai privati di obblighi comportamentali in funzione del raggiungimento di interessi pubblici, costituisce uno strumento alternativo alla tassazione per la realizzazione di obiettivi di interesse pubblico. La scienza dell’amministrazione La scienza dell’amministrazione, che risale al XIX secolo, no ha mai assunto uno statuto ben definito all’interno delle scienze non giuridiche. I principi riuniti sotto il titolo di questa scienza non 70 costituiscono un ramo autonomo di conoscenza e vane sono le ricerche intese a determinare il contenuto unitario. La scienza del diritto amministrativo Le discipline non giuridiche mirano a ricostruire la sostanza dei fenomeni e degli interessi. Il metodo utilizzato è il metodo giuridico. L’applicazione rigorosa del metodo giuridico al diritto amministrativo risale alla fine del XIX secolo. Vittorio Emanuele Orlando, pose le basi della scienza del diritto pubblico, seguendo il criterio di espungere ogni elemento filosofico, storico e politico dall’analisi giuridica e di intraprendere un’operano limitata alla mera esposizione ed esegesi della legislazione amministrativa, ma di costruire i concetti giuridici. In questa prima fase il diritto amministrativo concentrò la propria attenzione sull’attività amministrativa. Con l'evolversi dei rapporti politici e sociali e con l'espandersi della legislazione amministrativa soprattutto a partire dagli anni Trenta del XX secolo, la scienza del diritto amministrativo estese il proprio campo di indagine a fenomeni nascenti come l'ordinamento di credito, gli enti pubblici, l'impresa pubblica, ecc. Verso la fine del secolo emerse anche una prospettiva volta a operare un riequilibrio nel rapporto tra Stato e cittadino con due modalità principali. Il potenziamento delle garanzie formali e sostanziali a favore di quest'ultimo; l'impiego di nuovi moduli consensuali di regolamentazione dei rapporti privati e pubblica amministrazione. Gli anni Novanta del secolo scorso, segnati dall'introduzione della legge 7 agosto 1990, n 241 sul procedimento amministrativo e dall'influenza del diritto europeo in particolare nel settore dei servizi pubblici, costituiscono idealmente una rottura tra la concezione più autoritaria del diritto amministrativo che privilegia il punto di vista dell'amministrazione e pone l'accento sui poteri unilaterali attribuiti a quest'ultima e un nuovo paradigma interpretativo. Quest'ultimo valorizza la posizione del cittadino, titolare ormai di diversi diritti e garanzie all'interno del rapporto procedimentale, ed enfatizza la sottoposizione del potere al principio di legalità inteso in senso più rigoroso. Il diritto amministrativo resta sempre il diritto dell'autorità del potere pubblico per la cura degli interessi della collettività, ma ha perso i connotati di un diritto autoritario. IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E I SUOI RAPPORTI CON ALTRE BRANCHE DEL DIRITTO Il diritto costituzionale Anche se il diritto costituzionale e il diritto amministrativo riguardano rami differenti, sono strettamente collegati. I legami da analizzare sono due: in primo luogo, il diritto amministrativo, per riprendere l'espressione di F. Werner, non è altro che il diritto costituzionale reso concreto, cioè preso nella sua effettiva realizzazione nella legislazione e nella vita dell'ordinamento. Per esempio, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, con lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione stabilito dall'art 21 Cost è condizionato dalla legislazione amministrativa sul sistema radiotelevisivo e sulla stampa. Un secondo legame tra diritto costituzionale e diritto amministrativo è riassunto dall'affermazione di uno dei maggiori giuristi tedeschi del primo Novecento (Otto Mayer) secondo il quale “il diritto costituzionale passa, il diritto amministrativo resta”. Questo ci fa capire il disallineamento temporale dei mutamenti costituzionali rispetto alle riforme amministrative, quest’ultime molto più lente delle prime in quanto mirano a modificare apparti burocratici formatisi lentamente, per stratificazioni successive e strutturalmente poco permeabili al cambiamento. Il diritto europeo Il diritto amministrativo italiano ha acquisito una dimensione europea sotto cinque profili principali: la legislazione amministrativa, l’attività, l'organizzazione, la finanza, la tutela giurisdizionale. 1. L’art 117, comma 1, Cost stabilisce che la potestà legislativa dello Stato e delle regioni deve essere esercitata nel rispetto, oltre che dalla Costituzione, “dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario”. 70 2. L'art 1, comma 1, l. 241/1990 include tra i principi generali dell'attività amministrativa (economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità), anche “i principi generali dell’ordinamento comunitario”. Quest'ultimi si ricavano sia dai Trattati e dalle altre fonti del diritto europeo, sia dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea. La pubblica amministrazione è citata anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che adesso è stato inserito come protocollo allegato al trattato di Lisbona e che ha valore giuridico allo stesso modo del Trattato (diritto ad un buona amministrazione e diritto di accesso ai documenti delle istituzioni dell’Unione). 3. Il diritto europeo condiziona l'assetto organizzativo e funzionale degli apparati pubblici. Infatti in Italia sono state istituite molte agenzie e autorità indipendenti dalle direttive europee. Per esempio, il sistema europeo delle banche centrali del quale fanno parte in modo organico le banche nazionali. 4. Il diritto europeo impone, poi, agli Stati membri vincoli sempre più pressanti alla finanza pubblica che condizionano l'operatività delle pubbliche amministrazioni e l'attuazione dei loro programmi di intervento. Nel 2012 la gran parte degli Stati europei hanno sottoscritto il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione economica e monetaria (Fiscal compact) e il Trattato istitutivo del meccanismo europeo di stabilità. 5. Infine, il diritto europeo esercita un'influenza anche sul diritto processuale amministrativo. Il Codice del processo amministrativo, adottato con il d.lgs 2 luglio 2010, stabilisce che la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della costituzione e del “diritto europeo”. Il diritto amministrativo si è aperto non soltanto a una dimensione europea, ma sta assumendo anche una dimensione globale. Essa è legata allo sviluppo a livello mondiale di una serie di organizzazioni internazionali (banca mondiale ecc.) che creano regole e standard che condizionano direttamente e indirettamente i diritti nazionali. Il diritto privato I legami tra diritto amministrativo e diritto privato possono venir fuori da tre concetti principali: il diritto amministrativo è un diritto autonomo dal diritto privato; non esaurisce tutta la disciplina dell'attività e dell'organizzazione della pubblica amministrazione che attinge sempre più a moduli privatistici; ha una capacità espansiva in quanto si applica anche a soggetti privati. - L’autonomia del diritto amministrativo. Deriva da un istituto disciplinato dalla l. n. 241/1990 e cioè dagli accordi stipulati tra amministrazione e soggetti privati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale, ovvero on sostituzione di questo. A questo tipo di accordi di natura pubblicistica si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. In generale il diritto amministrativo è un diritto in sé completo e autosufficiente, eventuali lacune devono essere colmate facendo applicazione analogica innanzitutto di istituti e principi propri di ciascuna disciplina. Esso può attingere a volte al diritto privato, ma in modo indiretto, perché il rinvio è operato non alle disposizioni ma ai principi da esse desumibili, e selettivo, l’applicazione è subordinata ad un giudizio di compatibilità con i principi amministrativi. Inoltre l’applicazione del diritto privato può essere esclusa da norme speciali. La nascita del diritto amministrativo come disciplina autonoma si fa risalire in Francia al celebre arret Blanco del 1873. Il Tribunal des Conflits, in una causa per danni prosa da un privato, statuì che la responsabilità civile dell’amministrazione, anziché applicare le regole civilistiche, è assoggetta a regole speciali per la necessità di curare l’interesse generale attraverso un opportuno bilanciamento degli interessi in gioco. - I moduli privatistici dell'attività e dell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni. L'attività delle pubbliche amministrazioni è regolata in parte da leggi amministrative e in parte dal diritto privato. 70 art 81 Cost: principio del pareggio di bilancio La riforma del 2001 ha ridefinito i rapporti tra le fonti statali e regionali sulla base dei seguenti principi: la equiordinazione tra competenze legislative statali e regionaliste devono essere esercitate nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionale (art 117 comma 1); l’attribuzione alle regioni di una competenza legislativa generale residuale, con indicazione tassativa delle materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva e concorrente dello Stato (art 117 comma 2 e 3). FONTI DELL’UNIONE EUROPEA L. n° 3/2001 modifica del Titolo V della Parte II della Cost → art. 117 co.1 rispetto da parte delle fonti interne e regionali dei “vincoli derivanti dal diritto comunitario”. Le norme interne contrastanti le norme comunitarie devono essere disapplicate, ovvero, primato dell'UE → vieta alla PA di dare esecuzione a un provvedimento la cui legittimità sia stata affermata da una sentenza in giudicato, allorché esso sia stato ritenuto contrario al diritto europeo della Corte di giustizia. Le fonti europee sono costituite innanzitutto dai Trattati istitutivi delle Comunità (Amsterdam 1997, Nizza 2001, Lisbona 2009). Il Trattato di Lisbona si compone di due testi: il Trattato sull’Unione Europea (TUE) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). In base all’art 11 Cost essi hanno consentito limitazioni della sovranità a favore delle istituzioni europee. I principi generali in essa contenuti e quelli ricavati dalla Corte di giustizia sono di diretta applicabilità. In aggiunta vanno menzionati la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), richiamate dall’art 6 TUE. Sia i regolamenti UE che le direttive UE, possono essere usati come parametro diretto per sindacare la legittimità degli atti amministrativi, i primi automaticamente (avendo carattere generale) e le seconde automaticamente quando self-executing, e da quando vengono recepite dall'ordinamento interno quando non self-executing. Le decisioni, che applicano a fattispecie concrete norme generali e astratte, sono vincolanti per gli Stati membri, ma non hanno efficacia diretta. Il recepimento delle norme europee è disciplinato dalla l. 11/2005 e l. 234/2012. Lo strumento specifico è costituito da due leggi annuali di iniziativa governativa: la legge europea che modifica o abroga le disposizioni statali contrastanti con il diritto europeo; la legge di delegazione europea che attribuisce deleghe legislative al governo per il recepimento delle direttive europee. Quest’ultima prevede che nelle materie non coperte da riserva di legge il recepimento possa avvenire in via regolamentare e individua i principi fondamentali ai quali le regioni si devono attenere per dare attuazione alle direttive europee. Con la l. 234/2012 sono stati rafforzati i meccanismi di raccordo tra parlamento e Unione Europea. Il parlamento vigila sul rispetto del principio di sussidiarietà. I progetti di atti legislativi indirizzati al Parlamento europeo e al Consiglio devono essere trasmessi ai parlamenti nazionali, i quali possono esprimere entro un termine di 8 settimane un parere motivato in ordine al rispetto del principio di sussidiarietà. Gli organi parlamentari possono formulare al governo atti di indirizzo relativi alla posizione che deve assumere l’Italia in sede di Unione europea e inviare ai presidenti delle istituzioni europee il parere motivato. FONTI NORMATIVE STATALI, RISERVA DI LEGGE, PRINCIPIO DI LEGALITÀ La Costituzione pone una disciplina completa delle fonti statali di livello primario e sono: la legge, approvata dalle due Camere e promulgata dal Presidente della Repubblica (art 71-74), il decreto legge, che può essere adottato dal governo in casi straordinari di necessità ed urgenza e che deve essere convertito in legge dalle Camere entro 60 giorni (art 77); il decreto legislativo, emanato dal governo sulla base di una legge di delegazione che definisce l'oggetto e determina i principi e i criteri direttivi e il limite di tempo entro il quale la delega può essere esercitata (art 76). Le riserve di legge. Storicamente sono state previste in funzione di garanzia dei diritti di libertà dei cittadini contro gli abusi del potere esecutivo, poiché le leggi sono espressione della volontà popolare manifesta in parlamento dai rappresentanti eletti dai cittadini. Si distinguono tre tipi di riserve di legge: assoluta, rinforzata e relativa. 70 La riserva di legge assoluta (es. quella in materia penale), richiede che la legge ponga una disciplina completa e soddisfacente della materia ed esclude l'intervento di fonti sublegislative. La riserva di legge rinforzata aggiunge al carattere dell'assolutezza il fatto che la Costituzione stabilisce direttamente alcuni principi materiali o procedurali relativi alla disciplina della materia che costituiscono un vincolo per il legislatore ordinario. E' prevista soprattutto in relazione ai diritti di libertà. La riserva di legge relativa (es. quella in materia tributaria), prevede che la legge ponga prescrizioni di principio e consente l'emanazione di regolamenti di tipo esecutivo contenenti le norme più di dettaglio che completano la disciplina della materia. La riserva di legge va distinta dal principio di legalità, anche se hanno in comune la funzione di garanzia dei soggetti privati nei confronti dell’amministrazione. Principio di legalità. Il principio di legalità costituisce uno dei principi fondamentali in materia di attività amministrativa. Esso è richiamato dall’art 1 l. 241/1990 secondo il quale l’attività amministrativa insegue i fini determinati per legge. Si ricava indirettamente dall’art 113 Cost, che in tema di giustiziabilità degli atti amministrativi presuppone che il giudice trovi nella legge un parametro oggettivo rispetto al quale sindacare, e degli art 19 TUE e 262 TFUE, definito principio comune a tutti gli Stati membri. Il principio di legalità ha due funzioni: di garanzia delle situazioni giuridiche soggettive dei privati che possono essere incise dal potere amministrativo (legalità-garanzia); di collegamento dell'azione amministrativa al principio democratico e agli orientamenti che emergono all’interno del circuito politico-rappresentativo, nel senso che la legge, espressione della sovranità popolare, funge da fattore di legittimazione e da guida dell'attività amministrativa (legalità-indirizzo). Il principio di legalità può avere due significati: 1. In un primo senso, esso coincide con il principio della preferenza della legge: gli atti emanati dalla pubblica amministrazione non possono essere in contrasto con la legge. Cioè la legge costituisce un limite negativo all'attività dei poteri pubblici che determina l'illegittimità degli atti emanati. 2. In un secondo senso, oggi più rilevante, il principio di legalità richiede che il potere amministrativo trovi un riferimento esplicito in una norma di legge. Quest'ultima costituisce il limite positivo dei poteri dell'amministrazione: essa deve attribuire in modo espresso alla pubblica amministrazione la titolarità del potere, disciplinandone modalità e contenuti. In assenza di una norma di conferimento di potere l’amministrazione può far uso soltanto della propria capacità di diritto privato. Il principio di legalità inteso nel secondo senso ha a sua volta una duplice dimensione: la legalità formale (in senso debole) e la legalità sostanziale (in senso forte). La prima si ha quando c'è la semplice indicazione nella legge dell'apparato pubblico competente a esercitare un potere normativo secondario o amministrativo che è indeterminato nei suoi contenuti. La seconda dimensione esige che la legge ponga una disciplina materiale del potere amministrativo, definendone i presupposti per l'esercizio, le modalità procedurali e le altre sue caratteristiche essenziali. La riserva di legge relativa e il principio di legalità sostanziale hanno alcuni punti in comune perché entrambi hanno il compito di delimitare il potere esecutivo. La riserva di legge relativa stabilisce condizioni e limiti al potere regolamentare del governo ed esige che la legge disciplini almeno in parte la materia e che i regolamenti siano emanati nel rispetto della disciplina posta dalla legge. Quindi definisce i rapporti interni al sistema delle fonti normative. Il principio di legalità indica che il potere dell'amministrazione, anche quando si chiarisce nell'emanazione di norme secondarie, trovi un fondamento nella legge e qui emerge una qualche sovrapposizione con il principio della riserva di legge relativa. Tuttavia il principio di legalità si riferisce soprattutto ai poteri e ai provvedimenti amministrativi. Esso chiede che il fondamento dei provvedimenti amministrativi sia costituito prima di tutto da norme di livello primario. 70 Inoltre, secondo la giurisprudenza amministrativa, le esigenze subordinate al principio di legalità possono essere soddisfatte anche da norme di livello secondario (regolamenti). Per essere legittimo l'atto amministrativo deve essere conforme anche alle norme secondarie. Infine, i principi che integrano il principio di legalità sono costituiti anche dai principi generali del diritto amministrativo elaborati dall’art 1 l. 241/1990. Questi principi hanno una valenza prescrittiva e una rilevanza in sede di controllo giurisdizionale sull'attività amministrativa. il principio di legalità richiede spesso all’amministrazione una valutazione articolata delle norme riferibili al caso concreto (regle de droit). Essa può richiedere talora alla pubblica amministrazione di accertare la conformità delle disposizioni nazionali con quelle europee o di interpretare delle disposizioni interne nel modo più conforme ai principi costituzionali. LE LEGGI PROVVEDIMENTO Le leggi provvedimento vanno analizzate in base al rapporto tra parlamento e potere esecutivo. Si tratta di leggi (statali e regionali) prive della generalità e astrattezza, cioè che intervengono a porre la disciplina di situazioni concrete riferite a volte a un’unica fattispecie. La Costituzione non pone un principio di riserva di amministrazione, rientra quindi nella discrezionalità del parlamento la scelta se utilizzare lo strumento della legge in luogo del provvedimento amministrativo, oppure se attribuire all’amministrazione il potere corrispondente. La legge provvedimento scardina le garanzie offerte al privato dal regime dell’atto e del procedimento, com il diritto di partecipare, l’obbligo di motivazione e il diritto di proporre ricorso al giudice amministrativo. La legge provvedimento infatti può essere censurata soltanto sotto il profilo della costituzionalità. Il ricorso eccessivo alle leggi provvedimento è il sintomo di una disfunzione nei rapporti tra parlamento e potere esecutivo. I REGOLAMENTI GOVERNATIVI La legge costituzionale 3/2001 ha introdotto il principio del parallelismo tra competenza legislativa e competenza regolamentare dello Stato. Lo Stato cioè è titolare di un potere regolamentare esclusivamente nelle materie che l’art 117 Cost attribuisce alla sua competenza legislativa esclusiva (art. 117, comma 6). Tale potere può essere delegato alle regioni. Nelle altre materie la potestà regolamentare spetta alle regioni. Lo Stato può anche emanare regolamenti nelle materie riguardanti la potestà legislativa regionale concorrente in caso di inerzia. I regolamenti in questione hanno carattere cedevole, cioè perdono efficacia all’entrata in vigore della normativa da parte di ciascuna regione (art. 11, comma 8, l. n. 11/2005). Il potere regolamentare del governo è presente anche nell’art 87 Cost che attribuisce al presidente della Repubblica il potere di promulgare le leggi e gli atti aventi forza di legge e di emanare i regolamenti. L’art 17 l. 400/1988 individua cinque tipi di regolamenti governativi: esecutivi, attuativi-integrativi, indipendenti, di organizzazione, delegati o autorizzati. 1. I regolamenti esecutivi pongono norme di dettaglio necessarie per l’applicazione concreta di una legge. Non è necessario che la legge attribuisca di volta in volta al governo il potere di approvarli, perché la l. 400/1988 costituisce un fondamento legislativo generale sufficiente a soddisfare il principio di legalità. 2. I regolamenti per l’attuazione e l’integrazione possono essere emanati nelle materie non coperte da riserva di legge assoluta nei casi in cui la legge si limiti a individuare i principi generali della materia e autorizzi espressamente il governo a porre la disciplina di dettaglio. 3. I regolamenti indipendenti intervengono nelle materie non soggette a riserva di legge là dove manchi una disciplina di livello primario. 4. I regolamenti di organizzazione costituiscono una sottospecie di regolamenti esecutivi e di attuazione poiché disciplinano l’organizzazione e il funzionamento delle pubbliche amministrazioni “secondo le disposizioni dettate dalla legge”. L’art 97 Cost pone una riserva di legge riguardo alla organizzazione di uffici e dunque è sempre necessaria una disciplina di fonte primaria che ne delinei l’assetto in termini generali. 70 svolgimento nell'attività dei dirigenti generali. A livello locale spetta ai consigli comunali o provinciali che approvano programmi, piani territoriali,… Il regime giuridico degli atti amministrativi generali deroga alla l. 241/90 sul regime degli atti amministrativi in senso stretto, ricalcando quello degli atti normativi: non è richiesta motivazione (art. 3 co.2 l. 241/90); il procedimento non prevede partecipazione dei privati (art. 13 l. 241/90); l'attività di amministrazione diretta alla loro emanazione è esclusa dal diritto di accesso (art. 24 co.1 l. 241/90); per molti atti generali è richiesto l'obbligo di pubblicazione. Bandi di concorso e avvisi di gara Le p.a. organizzano concorsi sia per assumere personale sia per l’assegnazione di appalti/contratti di fornitura. Hanno contenuto concreto poiché esauriscono i loro effetto al completamento della procedura con l’approvazione della graduatoria finale. I bandi o avvisi di gara analogamente individuano l’oggetto del contratto, il tipo di procedura per la scelta del contraente, i criteri per l’ammissione e per la valutazione delle offerte,… Il bando costituisce lex specialis della singola procedura. Gli atti di pianificazione e di programmazione In molte materie, a monte dell’emanazione di provvedimenti puntuali o dell’erogazione di servizi, la legge prevede un’attività di programmazione o pianificazione con la quale si prefigurano obiettivi, priorità, limiti, contingenti ed altri criteri che presiedono all’esercizio dei poteri amministrativi. L'attività di pianificazione serve anche a creare i raccordi tra i diversi livelli di governo (Stato, regioni e comuni) secondo il metodo della pianificazione a cascata. Sorgono questioni riguardo al fatto se questi atti rilevino solo all’interno dei rapporti organizzatori tra i diversi livelli, oppure se contengano prescrizioni direttamente vincolanti e assumano quindi valenza regolatoria. Tali atti sono poi annoverati tra gli strumenti di intervento pubblico più intrusivi della libertà di iniziativa privata ed è per quesito che taluni atti di pianificazione sono stati soppressi. Merita un approfondimento il piano regolatore generale, che costituisce lo strumento principale di governo del territorio da parte dei comuni, oggi disciplinato dalle leggi regionali. Esso innanzitutto prevede la divisione in zone omogenee con l'indicazione per ciascuna di esse delle attività insediabili, in base a criteri e a parametri definiti in modo uniforme a livello nazionale: attività edificatoria, agricola, industriale… Individua poi le zone destinate ad edifici e a infrastrutture pubbliche o a uso pubblico. Se la localizzazione riguarda terreni di proprietà privata, essa determina un vincolo di inedificabilità di durata 5 anni (salvaguardia) che decade se nel frattempo non interviene l'espropriazione. Il piano regolatore è approvato all'esito di un procedimento aperto alla partecipazione dei privati. Infatti, il piano viene adottato dal comune e pubblicato per 30 gg al fine di consentire agli interessati di prenderne visione e di presentare osservazioni. Il piano adottato deve essere poi approvato dalla Regione, che esercita un controllo di legittimità e può proporre modifiche; in definitiva il piano regolatore si qualifica come un atto complesso che prevede il coinvolgimento del comune e della regione con poteri propri. Il piano regolatore fin dalla sua adozione formale produce l’effetto di precludere il rilascio di permessi a costruire non compatibili con le nuove disposizioni. Si discute se il piano regolatore abbia natura di atto normativo o atto amministrativo generale. prevale la tesi della natura mista del piano che da un lato, dispongono in via generale ed astratta in ordine al governo ed all'utilizzazione dell'intero territorio comunale, e dall'altro, contengono istruzioni, norme e prescrizioni di concreta definizione, destinazione e sistemazione di singole parti del comprensorio urbano. Occorre quindi valutare caso per caso i contenuti del piano allo scopo di appurare se esso leda in via immediata posizioni giuridiche dei singoli proprietari, oppure se abbia valenza soltanto programmatori e che quindi solo l’emanazione di provvedimenti attuativi determinerà una lesione. In termini generali, la disciplina legislativa dei piani regolatori e dei piani attuativi ha un valenza principalmente procedimentale e rimette alle amministrazioni amplissimi spazi di discrezionalità. I 70 piani producono effetti conformati che possono sconfinare in effetti sostanzialmente espropriativi e ablatori. Le ordinanze contingibili e urgenti Servono ad affrontare una situazione d'emergenza ed imprevedibile, quando tale situazione sia tale da mettere a rischio interessi collettivi nazionali come l'incolumità, sicurezza pubblica o dell'ambiente; si attribuisce di solito ad un organo monocratico (cioè di una sola persona) il potere di adottare misure per affrontare queste situazioni, di solito non precisate, proprio perché imprevedibili, ovvero si possono tipizzare solo dopo che si sono realizzate (ex post). Questo potere lo ha il Prefetto, il Sindaco, in ambito locale e il Ministro; l'autorità competente è dotata di ampia discrezionalità sia nel momento in cui apprezza in concreto se la situazione di fatto giustifichi l'esercizio del potere di ordinanza, sia nel momento in cui essa individua le misure specifiche da adottare. È richiesta comunque una motivazione adeguata. Derogano al principio di tipicità degli atti amministrativi. Si è cercato di compensare il deficit attraverso la Corte Costituzionale e altra giurisprudenza che ha introdotto dei limiti come che si possono derogare le norme di dettaglio, ma mai i principi generali dell'ordinamento giuridico e ai principi della Costituzione. Inoltre deve esserci una temporaneità delle misure adottate, quindi efficacia limitata e devono essere sempre motivate e pubblicizzate Un limite interno è costituito dal principio di proporzionalità e quindi il contenuto deve essere rigidamente calibrato in funzione dell'emergenza in concreto fronteggiata. Le ordinanze possono essere classificate come extra ordinem, a carattere residuale rispetto a norme vigenti. C'è anche da dire che se l'ordinanza si protrae nel tempo acquista necessariamente anche un carattere di astrattezza e perdono il carattere della temporaneità. Le ordinanze vanno distinte da altri atti amministrativi, che hanno come presupposto l'urgenza ma gli effetti sono predefiniti in tutto e per tutto dalla norma attributiva del potere. Le direttive e gli atti di indirizzo Caratteristica è il loro contenuto cioè non contengono disposizioni precise e puntuali, ma hanno un contenuto che consiste in fini, obiettivi, criteri di massima e non prescrizioni puntuali e vincolanti. Hanno un alto grado di elasticità e consentono ai loro destinatari spazi di valutazione e di decisione più o meno estesi in modo tale da poter tener conto in sede applicativa di tutte le circostanze del caso concreto. Ove giustificato, i destinatari possono anche disattendere in tutto o in parte le indicazioni contenute nella direttiva per ragioni che devono essere espresse nella motivazione. Le direttive possono essere: Interorganiche → la direttiva interorganica ha valore organizzativo interno alla p.a; sono le direttive con le quali un organo sovraordinato orienta l'attività dell'organo sottoordinato. Atto tipico dei rapporti di direzione è per es quello tra Ministri e dirigenti generali. Il Ministro può indirizzare l'attività del dirigente, può controllarla e il dirigente può anche rispondere al mancato attuazione dell'indirizzo. Al ministro è preclusa ogni competenza regionale e amministrativa diretta e può solo formulare direttive generali per l'attività amministrativa e per la gestione ed esercitare un controllo ex post. Il ministro non può avocare a sé o sostituirsi nella competenza del dirigente generale. Intersoggettive → la direttiva intersoggettiva è anch'essa atto di indirizzo, ma indirizzata da chi la emette a un soggetto diverso dall'ente che l'ha emessa, non un suo sovraordinato. Direttiva intersoggettiva tipica è per esempio quella che il ministro o al regione indirizzano nei confronti di enti pubblici strumentali. In anni recenti lo strumento della direttiva è stato utilizzato con minor frequenza. Sono però emersi alti tipi di direttive aventi valenza spiccatamente regolatori. Per esempio le autorità indipendenti preposte ai servizi di pubblica utilità possono emanare direttive nei confronti delle imprese erogatrici di servizi per definire i livelli generali di qualità. In caso di inosservanza, i poteri di reazione in capo all’organo o al soggetto sovraordinato sono per lo più di tipo indiretto e si possono manifestare in interventi sull’organo. Le norme interne e le circolari L’ordinamento della pubblica amministrazione è considerato come ordinamento giuridico particolare, separato e autonomo dall’ordinamento generale. Tali ordinamenti sezionali si fondano su alcuni elementi: la plurisoggettività, con la predeterminazione dei soggetti inseriti sulla base di 70 atti di ammissione, iscrizione o attribuzione; un’organizzazione interna stabile; la presenza di norme interne emanate dagli organi preposti all’ordinamento speciale e rese effettive da un sistema di sanzioni anch’esse interne; l’istituzione di organi giustiziali speciali. La forma usuale di comunicazione delle norme interne è costituita dalla circolare. Il modello degli ordinamenti giuridici sezionali è stato via via superato in seguito all’entrata in vigore della Costituzione. Oggi esso è limitato a pochi settori. La distinzione tra norme interne e norme esterne si sta andando sempre più attenuando, e a ciò ha contribuito anche la L. 241/90 che introduce l'obbligo di pubblicazione delle norme interne, per farle assumere valenza esterna. In molti casi le norme interne sono pubblicate anche nella Gazzetta Ufficiale. Inoltre una rilevanza giuridica esterna indiretta delle norme interne è comunque da tempo acquisita: se una norma interna è violata da un provvedimento amministrativo, il giudice amministrativo può censurarlo per eccesso di potere. Una specie sui generis di norma interna è la prassi amministrativa, cioè dalla condotta uniforme assunta dal tempo dagli uffici in relazione alle valutazioni compiute e alle decisioni prese in casi analoghi. il principio di coerenza fa si che i precedenti, una volta consolidatesi, acquistino in un certo senso una forza normativa. Il mezzo principale di comunicazione delle norme interne è la circolare, ovvero secondo la definizione classica un atto di un'autorità superiore che stabiliscono in via generale ed astratta regole di condotta di autorità inferiori nel disbrigo degli affari d'ufficio. Esse costituiscono atti tipici aventi efficacia esclusivamente interna. Il contenuto può essere il più vario. Inoltre esse acquistano in alcuni casi una dimensione intersoggettiva quando vengono indirizzate a enti e soggetti non esterni all’organizzazione dell’apparato che li emette. Tre tipi di circolari: 1. interpretative → servono a rendere omogenea l'applicazione di nuove normative da parte della PA. Hanno un maggior grado di vincolatività allorché vengono emanate nell’ambito di apparati strutturati in modo gerarchico: l'inferiore a livello gerarchico si deve attenere all'interpretazione indicata dal superiore gerarchico negli stessi limiti entro i quali deve ottemperare alle istruzioni e agli ordini emanati da quest'ultimo. Al di fuori di questo ambito l'interpretazione non è vincolante. 2. normative → hanno la funzione di orientare l'esercizio del potere discrezionale degli organi titolari di poteri amministrativi. Esse hanno per oggetto gli spazi di valutazione discrezionale rimessi dalla legge all'autorità amministrativa. Il destinatario può anche disattenderle purché fornisca motivazione congrua. 3. informative → vengono diffuse all'interno dell'organizzazione notizie , informazioni e messaggi di varia natura e in questo senso possono essere assimilate a bollettini e newsletter specializzate e a diffusione limitata previste in molti contesti anche privati. I TESTI UNICI E I CODICI Data la necessità intorno agli anni 90 di riorganizzare la legislazione in determinate materie più importanti, si è avuta una evoluzione dello strumento dei testi unici, ovvero unificazione di norme che già esistono, che serve per fare un coordinamento formale delle norme. Si distinguono in testi unici innovativi e quelli di mera compilazione. I primi sono emanati su autorizzazione legislativa che stabiliscono i criteri del riordino, quindi sono fonti di diritto in senso proprio di rango primario o secondario a seconda del tipo di autorizzazione legislativa e quindi determinano l’abrogazione delle leggi precedenti. I secondi invece sono emanati su iniziativa autonoma del governo e hanno la funzione pratica di unificare in un unico testo le disposizioni di una materia. Negli ultimi anni si è fatto ricorso soprattutto allo strumento del codice (previsto ora come modalità ordinaria di riassetto dall’art 1 l. 229/2003). Il codice si differenzia perchè ha un intento sistematico e avrebbe valenza di fonte primaria. I codici (detti anche codici di settore) hanno riordinato varie materie: i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture; la protezione dei dati personali; i beni culturali; l’ambiente; le comunicazioni elettroniche. 70 giudice amministrativo e dal giudice ordinario; la loro annullabilità nei casi di accertata difformità dei medesimi rispetto alle norme giuridiche. La teoria dell'atto amministrativo nasce con l'introduzione della IV Sezione del Consiglio di Stato (giudice amministrativo), in quanto si cominciò a elencare le caratteristiche minime che doveva avere l'atto per essere sottoposto al controllo giurisdizionale. L’art 26 Testo unico delle leggi su Consiglio di Stato stabiliva che il giudice amministrativo può decidere “sui ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge, contro atti e provvedimenti di un'autorità amministrativa che abbiano per oggetto un interesse d'individui o di enti morali giuridici”. Doveva esser quindi un atto emanato da un'autorità amministrativa ritenuto illegittimo per le sopracitate cause e che fosse lesivo per la sfera giuridica di un privato (interesse legittimo). L’art 1 l. 241/1990, introdotto nel 2015, stabilisce che la pubblica amministrazione agisce di regola secondo le norme del diritto privato nell’adozione di atti di natura non autoritativa. Questi ultimi vanno distinti quindi dagli atti aventi natura autoritaria, per cui vale il regime pubblicistico. L. 241/90 art. 3 stabilisce che ogni provvedimento deve essere motivato, diversamente dagli atti privati dove vige l'irrilevanza dei motivi. L’art 7 prevede che l’avvio del procedimento deve essere comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti e l’art 21-bis specifica che il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei provati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata. Altra caratteristica dei provvedimenti è quindi l'autoritarietà intesa come attitudine a determinare in modo unilaterale la produzione degli effetti giuridici nei confronti dei terzi. Infine l’art 2 pone in capo all’amministrazione il dovere di concludere il procedimento avviato in seguito a un’istanza o domanda presentata alla pubblica amministrazione da un privato oppure d’ufficio, mediante l’adozione di un provvedimento espresso. I termini atto e provvedimento vengono quindi utilizzasti come sinonimi, tuttavia la dottrina si è sforzata di di porre una distinzione. L’atto amministrativo include ogni dichiarazione di volontà, di desiderio, di conoscenza, di giudizio compiuta da un soggetto dell’amministrazione pubblica nell’esercizio di una potestà amministrativa. Il provvedimento amministrativo costituisce una subcategoria degli atti amministrativi e può essere definito come una manifestazione di volontà, espressa dall’amministrazione titolare di un potere all’esito di un procedimento, volta alla cura di un interesse pubblico e tesa a produrre in modo unilaterale effetti giuridici nei rapporti esterni con i soggetti destinatari del provvedimento medesimo. Il procedimento: L'esercizio del potere avviene secondo il modulo del procedimento amministrativo, cioè attraverso una sequenza, individuata anch'essa dalla legge, di operazioni e di atti strumentali all'emanazione di un provvedimento amministrativo produttivo di effetti giuridici tipici dei rapporti esterni. La l. 241/1990 non fornisce una definizione di procedimento. Esso assolve una pluralità di funzioni: garantire la partecipazione dei privati all’esercizio del potere a tutela dei propri interessi; consentire all’amministrazione di acquisire informazioni utili ai fini dell’adozione del provvedimento; assicurare il coordinamento tra le pubbliche amministrazioni. IL RAPPORTO GIURIDICO AMMINISTRATIVO La funzione di amministrazione attiva pone la PA titolare di un potere in una situazione di tipo relazionale con i soggetti privati nella cui sfera giuridica ricadono gli effetti del provvedimento emanato. Solo nella giurisprudenza recente ha trovato il suo spazio il rapporto giuridico amministrativo, ovvero il rapporto tra PA che esercita un potere e privato titolare di un interesse legittimo. Il diritto privato riconosce una particolare categoria di diritti soggettivi costituita dal diritto potestativo, che consiste nel potere di produrre un effetto giuridico con una propria manifestazione unilaterale di volontà. Prevalenza attribuita dalla norma all'interesse dei titolare del potere rispetto a quello del soggetto che subisce una modificazione nella propria sfera giuridica. Rapporto non paritario, molto simile al diritto amministrativo, che anch'esso può produrre un effetto costitutivo, modificativo o estintivo di una situazione giuridica in modo unilaterale. La sequenza di produzione 70 degli effetti nei diritti potestativi segue lo schema norma-fatto-potere-effetto: non vi è l’automatismo della produzione dell'effetto, perché dipende dalla volontà del soggetto attivo il verificarsi dell’effetto. La dottrina processualcivilistica distingue due tipologie di diritti soggettivi: i diritti potestativi stragiudiziali e e i diritti potestativi a necessario esercizio giudiziale. Nel primo caso l'effetto giuridico discende direttamente dalla manifestazione di volontà del titolare del potere, un potere unilaterale e autosufficiente. Nel secondo caso l'effetto discende da un previo accertamento giudiziale, in aggiunta alla dichiarazione di volontà del titolare del potere. Il potere amministrativo rientra nello schema del diritto potestativo del primo tipo (stragiudiziale). La produzione dell'effetto giuridico discende infatti in modo immediato dalla dichiarazione di volontà della PA che emana il provvedimento. L'accertamento giudiziale può avvenire solo ex post innanzi al giudice amministrativo su iniziativa del soggetto privato nella cui sfera giuridica l'atto impugnato ha prodotto l'effetto. Questo schema trova giustificazione nell’esigenza di garantire l'immediata realizzazione dell'interesse pubblico la cui cura è affidata all’amministrazione. Sussistono tuttavia alcune specificità. Il diritto potestativo stragiudiziale trova un fondamento consensuale di tipo pattizio. La fattispecie descritta dal diritto potestativo è vincolata e non trova spazio discrezionalità. Il solo ambito di scelta riconosciuto al titolare del diritto attiene al se esercitarlo. L'atto amministrativo trova per un verso fondamento nella legge, cioè nella norma di conferimento del potere. Tuttavia il potere conferito dalla legge alla PA non è sempre integralmente vincolato ma può esser lasciato spazio alla discrezionalità. LA NORMA ATTRIBUTIVA DEL POTERE Secondo una classificazione tradizionale, le norme che si riferiscono alla PA sono di due tipi: norme di azione e norme di relazione. Le prime disciplinano il potere amministrativo nell’interesse esclusivo della PA, hanno come scopo quello di assicurare che l'emanazione degli atti sia conforme a parametri predeterminati e non hanno una funzione di protezione dell'interesse dei soggetti privati. Le seconde sono volte a regolare i rapporti intercorrenti tra l'amministrazione e i soggetti privati, a garanzia anche di quest'ultimi, definendo direttamente l'assetto degli interessi e dirimendo i conflitti insorgenti tra cittadino e PA. La norma di azione segna i limiti interni al potere, mentre quella di relazione segna quelli esterni tracciando i confini tra la sfera giuridica dei privati e quella dell’amministrazione. Una siffatta ricostruzione dicotomica risulta troppo meccanica e legata a una concezione dell'interesse legittimo, ormai in via di superamento, inteso come una situazione giuridica soggettiva che riceve tutt'al più una tutela indiretta e riflessa da parte dell'ordinamento e che dunque non è suscettibile di essere inquadrata nello schema del rapporto giuridico amministrativo. In realtà anche alle norme che disciplinano l'attività amministrativa va riconosciuta ormai una valenza relazionale e una funzione di tutela dell'interesse del soggetto privato. Appare dunque preferibile utilizzare la formula più generica di norma attributiva del potere. La norma attributiva del potere individua in astratto gli elementi caratterizzanti il potere in astratto attribuito ad un particolare organo: il soggetto competente, il fine pubblico, i presupposti e i requisiti, le modalità di esercizio del potere e i requisiti di forma, gli effetti giuridici. Soggetto competente: ogni potere amministrativo deve essere attribuito in modo specifico ad uno e uno solo soggetto, oppure ad uno e uno solo organo dove l'organizzazione del soggetto si articoli in più organi. L'atto emanato da un soggetto o organo diverso da quello previsto è affetto da vizio di incompetenza. Il fine pubblico: è l'interesse pubblico primario affidato alla cura dell'apparato amministrativo titolare del potere. L'amministrazione non è libera di scegliere in che materia esercitare il proprio potere per un finalità autodeterminata, anzi, il fine, è eteroimposto dalla norma: la norma orienta le scelte effettuate in concreto dall'amministrazione e condiziona la legittimità del provvedimento emanato. La violazione del vincolo del fine comporta il vizio di eccesso di potere per sviamento. 70 Presupposti e requisiti sostanziali: sono i presupposti e requisiti sostanziali in presenza dei quali il potere sorge e può essere esercitato (fatti costitutivi del potere). La loro sussistenza in concreto è una delle condizioni per l'esercizio legittimo del potere. L’espressione presupposti e requisiti di legge è utilizzata dall’art 19 l. 241/1990 ed è riferita alle autorizzazioni vincolate, che sono sostituite dalla Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). Il potere può essere più o meno ampliamento vincolato o più o meno discrezionale: - poteri integralmente vincolati → l'amministrazione non ha altro compito se non quello di verificare, in modo quasi meccanico, se nella fattispecie concreta siano rinvenibili tutti gli elementi indicati dalla norma attributiva e, nel caso positivo, di emanare il provvedimento che produce gli effetti anch'essi rigidamente predeterminati dalla norma es. l'iscrizione a un albo professionale; - poteri sostanzialmente in bianco → rimettono al soggetto titolare del potere spazi pressochè illimitati di apprezzamento, di valutazione delle fattispecie concrete e di determinazione delle misure necessarie per tutelare un interesse pubblico. Gli spazi di valutazione dei fatti costitutivi del potere sono tanto più ampi tanto più la norma si rifà a concetti giuridici indeterminati. Questi concetti possono essere divisi in: a) concetti empirici → si riferiscono al modo di essere di una situazione di fatto. Involgono giudizi di carattere tecnico-scientifico e coprono l'area delle valutazioni tecniche; b) concetti normativi → contengono un ineliminabile elemento di soggettività. Involgono giudizi di valore e coprono l’area della discrezionalità amministrativa. Le modalità di esercizio del potere e i requisiti di forma: La forma solita richiesta dalla norma per il provvedimento è quella scritta; inoltre la norma individua la sequenza di atti e adempimenti necessari per l'emanazione del provvedimento, che insieme danno origine al procedimento amministrativo. L'inosservanza delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti non determina l'annullabilità del provvedimento per violazione di legge, essendo richiesto di valutare se essa abbia influito o meno sul contenuto dispositivo del provvedimento adottato in concreto. Se quest'ultimo, in assenza della violazione, non avrebbe potuto essere comunque diverso, il provvedimento non è annullabile. Elemento temporale dell’esercizio del potere: La norma può individuare un termine per l'avvio dei procedimenti d'ufficio oppure anche il termine massimo entro la quale l'amministrazione deve emanare il provvedimento conclusivo. Talora le leggi amministrative scandiscono anche i tempi per l’adozione degli atti endoprocedimentali. Gran parte dei termini ha natura ordinatoria, poiché la loro violazione non inficia la legittimità degli atti adottati tardivamente, ma può giustificare altre misure. Gli effetti giuridici: i provvedimenti in quanto manifestazione del potere hanno l’attitudine a produrre effetti costitutivi, cioè possono costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche di cui sono titolari i destinatari dei provvedimenti. IL POTERE DISCREZIONALE Discrezionalità. La discrezionalità connota l'essenza stessa della PA, cioè della cura in concreto degi interessi pubblici. Tale attività presuppone che l'apparato titolare del potere abbia la possibilità di scegliere la soluzione migliore nel caso concreto. La libertà dell'amministrazione è più ristretta rispetto a quella privata, perché deve essere sempre effettuata una valutazione discrezionale rispetto al fine pubblico. Art. 1 l. 241/90: “L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di imparzialità, pubblicità e trasparenza”. Non vi è ancora una definizione netta di discrezionalità amministrativa, anche se è richiamata direttamente e indirettamente da alcune disposizioni come art 11 l. 241/90. Volendo dare una definizione, essa consiste nel margine di scelta che la norma rimette all'amministrazione affinchè essa possa individuare, tra quelle consentite, la soluzione migliore per curare nel caso concreto l’interesse pubblico. La scelta avviene tramite una ponderazione tra interesse pubblico primario e interessi pubblici secondari e una ponderazione tra interesse pubblico primario e privati. La scelta operata dall’amministrazione deve contemperare l’esigenza di massimizzare l’interesse pubblico primario con quella di causare il minor sacrificio possibile degli interessi secondari incisi dal provvedimento. 70 un'azione di adempimento con cui il giudice obbliga la PA ad attribuire il bene della vita aspirato dal privato. Volendo proporre una definizione sintetica, l’interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva, correlata al potere della PA e tutelare in modo diretto dalla norma di conferimento di potere, che attribuisce al suo titolare una serie di poteri e facoltà volti a influire sull'esercizio del potere medesimo allo scopo di conservare o acquisire un bene della vita. I poteri e le facoltà sopracitate si esplicano principalmente nel procedimento attraverso l’istituto della partecipazione. Quest'ultima consente al privato di rappresentare il proprio punto di vista presentando memorie e documenti e mediante l'accesso agli atti del procedimento. Questi poteri e facoltà fanno acquisire all'interesse legittimo una dimensione attiva, a cui corrispondono una serie di doveri comportamentali come la buona fede, l'imparzialità, proporzionalità ecc. Corrispondono poi in capo all’amministrazione una serie di doveri comportamentali nella fase procedimentale e nella fase decisionale. In ogni caso il titolare nell’interesse legittimo fa valere nei confronti dell’amministrazione una pretesa a che i potere sia esercitato in modo legittimo e per quanto possibile in senso conforma all’interesse sostanziale del privato all’acquisizione o alla conservazione del bene della vita. La prestazione che viene richiesta all’amministrazione ha natura infungibile, in quanto il titolare dell’interesse legittimo può acquisire o conservare una certa utilità esclusivamente tramite l’esercizio o meno del potere da parte dell’unica autorità competente in base alla norma d’azione. Una dottrina recente (2003) fa emergere una visione che dissolve l'interesse legittimo nella figura più generale del diritto soggettivo. Infatti all'interno del diritto soggettivo vi sono figure di diritti diversi tra loro. L’interesse legittimo presenta sia una dimensione attiva, pretesa ad un esercizio coretto del potere alla quale corrispondono una serie di poteri e facoltà nei confronti dell’amministrazione, che una dimensione passiva, soggezione rispetto alla produzione degli effetti. GLI INTERESSI LEGITTIMI PRETENSIVI E OPPOSITIVI Sotto il profilo funzionale gli interessi legittimi possono essere suddivisi in due categorie: gli interessi legittimi oppositivi e gli interessi legittimi pretensivi. Nei primi l'esercizio del potere amministrativo comporta la produzione di un effetto giuridico che incide negativamente e che restringe la sfera giuridica del destinatario. Nei secondi al contrario l’esercizio del potere amministrativo comporta la produzione di un effetto giuridico che incide positivamente e che amplifica la sfera giuridica del destinatario. Negli interessi legittimi oppositivi il privato pretenderà un non facere dalla PA per non vedere sacrificato il suo bene. Il processo si apre usualmente d'ufficio e la comunicazione di avvio del procedimento instaura il rapporto giuridico amministrativo. Negli interessi legittimi pretensivi il privato pretenderà un facere dalla PA per vedergli concesso il bene. Il procedimento si apre in seguito alla presentazione di un'istanza o domanda di parte che fa sorgere l'obbligo di procedere e di provvedere in capo all'amministrazione titolare del potere e instaura il rapporto giuridico amministrativo. Negli interessi oppositivi il bisogno di tutela è correlato alla conservazione del bene. L’annullamento dell’atto impugnato ex tunc soddisfa tale bisogno, in modo che il privato possa reintegrare la sua posizione precedente. Il risarcimento è correlato ai danni derivanti dalla privazione o limitazione nel godimento del bene della vita nel caso in cui il provvedimento illegittimo abbia trovato esecuzione. Negli interessi pretensivi il bisogno di tutela è legato all’interesse all’acquisizione del bene della vita per mezzo dell’emanazione del provvedimento. L’annullamento del provvedimento di diniego si rivela però insufficiente. Soltanto una sentenza che accerti la spettanza del bene e che condanni l’amministrazione a emanare il provvedimento richiesto risulta satisfattiva. L’azione che consente un tale risultato è l’azione di adempimento, l’azione di condanna ad un facere specifico per la PA. Il risarcimento è correlato ai danni conseguenti alla mancata o ritardata acquisizione del bene della vita nel caso in cui sia stato emanato un provvedimento di diniego o l'amministrazione sia rimasta inerte. 70 La distinzione tra i due tipi di interessi consente di inquadrare i cosiddetti provvedimenti a doppio effetto che producono cioè ad un tempo un effetto ampliativo e un effetto restrittivo nella sfera giuridica di due soggetti distinti e che danno origine ad un rapporto giuridico trilaterale. In questi casi, la dinamica dei rapporti tra l’amministrazione e i soggetti privati titolari dei due tipi di interessi diventa più articolata, in quanto ognuno sottoporrà elementi istruttori e valutativi conformemente al loro interesse. I CRITERI DI DISTINZIONE TRA DIRITTI SOGGETTIVI E INTERESSI LEGITTIMI La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato alcuni criteri interpretativi: 1- Un primo criterio si incentra sulla struttura della norma attributiva del potere. Ricorre ancora la distinzione tra norma di relazione e norma di azione: la prima volta a regolare il rapporto giuridico tra pubblica amministrazione e cittadino delimitando le rispettive sfere giuridiche e alla quale è correlato il diritto soggettivo; la seconda volta a disciplinare l’attività dell’amministrazione ai fini di tutela dell’interesse pubblico e alla quale è correlato l’interesse legittimo. Nella prima l’effetto giuridico è automatico, segue lo schema norma-fatto-effetto. Es. gli atti paritetici, che sono di mera ricognizione e non costitutivi, in quanto riconoscono al dipendente una indennità attribuita direttamente da una norma di legge. L'accertamento della illiceità è a capo del giudice ordinario. Nella norma di azione l’effetto giuridico segue lo schema di norma-fatto-potere-effetto, non automatico ed ha effetto costitutivo il provvedimento ammanto dalla PA. L’accertamento della illiceità è a capo del giudice amministrativo 2- Un secondo criterio consiste nella distinzione tra potere vincolato e potere discrezionale. In presenza di un potere discrezionale la situazione giuridica di cui è titolare il privato è sempre l’interesse legittimo. Ciò perchè la conservazione o l'acquisizione del bene della vita in capo al soggetto è rimessa alla valutazione dell'amministrazione titolare del potere. In presenza di un potere vincolato, il privato può valutare autonomamente la situazione concreta in cui egli si trova, è in grado quindi di prevedere con certezza ex ante se l'amministrazione, ove agisca in modo conforme alle norme applicabili, riconoscerà o meno il vantaggio o il bene della vita. La giurisprudenza amministrativa ammette l'esistenza di un diritto soggettivo soltanto nel caso in cui i vincoli ricavabili dalla norma che disciplina il potere abbiano una funzione di garanzia e di tutela diretta del soggetto privato, altrimenti dove questi siano finalizzati alla tutela dell’interesse pubblico, deve essere riconosciuta l'esistenza di un interesse legittimo. 3- Un terzo criterio si fonda sulla diversa natura del vizio dedotto dal soggetto privato nei confronti dell'atto emanato (introdotto dalla Corte di Cassazione). Ove venga contestata la carenza di potere, ovvero assenza di un fondamento legislativo del potere (carenza di potere in astratto) o una deviazione abnorme dallo schema normativo (straripamento di potere) l'atto emanato non produce effetto e non degrada il diritto soggettivo in interesse legittimo. Vi sono alcuni diritti soggettivi, che ricevono una tutela rafforzata nella Cost come il diritto alla salute, integrità dell'ambiente che non possono essere incisi dalla PA e la cui tutela è rimessa al giudice ordinario. Ove il privato lamenti il cattivo esercizio del potere senza contestarne in radice l’esistenza, deducendo incompetenza o eccesso di potere o violazione di legge, la situazione legittima fatta valere è quella dell'interesse legittimo. La giurisprudenza ha incluso nella carenza di potere anche la carenza di potere in concreto, ipotesi che si verifica nei casi in cui la norma in astratto attribuisce il potere all’amministrazione, ma manca un presupposto essenziale per poterlo esercitare. È in corso un ripensamento alla luce dell’art 21-septies, che elencando le ipotesi tassative di nullità, tra cui la carenza di potere in astratto, permetterebbe di ricavarne per implicazione negativa che la carenza di potere in concreto sarebbe inquadrabile nella categoria della violazione di legge e determinerebbe perciò solo l’annullabilità del provvedimento. I tre criteri proposti non risolvono nella pratica tutti i problemi. Ciò ha indotto il legislatore a devolvere un numero elevato di materie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art 133 codice processo). Con riferimento a tali materie il giudice amministrativo può conoscere sia delle situazioni giuridiche di interesse legittimo, sia delle situazioni giuridiche di diritto soggettivo. 70 IL DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI Costituisce uno degli strumenti principali ad accrescere la trasparenza dell'attività amministrativa e promuovere l'imparzialità. Consiste nel diritto agli interessati di prendere visione e di estrarne copia di documenti amministrativi (art 22 l. 241/1990). Esso è incluso tra i livelli essenziali delle prestazioni e rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. Esso è inoltre definito come principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare la trasparenza e l’imparzialità. Il diritto di accesso sembra essere indicato dalla L. 241/90 in termini di protezione diretta di un bene della vita, quindi secondo lo schema del diritto soggettivo. Può essere attribuito sia a coloro che devono accedere ad un procedimento e che quindi vogliono conoscere al meglio gli atti e le circostanze, sia a coloro che hanno solo interesse a esaminare documenti dalla PA, interesse dato dalla titolarità di una posizione giuridica rilevante. Le informazioni che non possono essere conosciute in base al solo interesse del privato sono i segreti di Stato, procedimenti tributari, atti amministrativi generali o dati riservati, come quelli sensibili, soggetti al regime della privacy (tranne se vi sia necessarietà e utilità imminente). Allorché siano presenti esigenze di tutela della riservatezza l’amministrazione deve compiere una duplice operazione. Deve innanzitutto comparare l’interesse all’accesso con l’interesse alla riservatezza di terzi, valutare se l’accesso ha il carattere delle necessarietà. Il bilanciamento tra le esigenze riguarda anche le informazioni che la Pa è tenuta a pubblicare sui siti istituzionali ai sensi del d.lgs 33/2013 nei casi in cui si tratti di dati sensibili. Sotto il profilo processuale il diritto di accesso è incluso tra le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In presenza di questi dati normativi contrastanti si com prende come mai la giurisprudenza sia stata incerta nel ricostruire la natura giuridica del diritto di accesso. Recentemente si tende a preferire inquadrare il diritto di accesso come interesse legittimo più che come diritto soggettivo, come conseguenza che il diniego di accesso costituisce un provvedimento in senso proprio impugnabile nel termine di decadenza di 60 giorni, piuttosto che nel termine più lungo applicabile ai diritti soggettivi. Accanto a queste forme di accesso sono state aggiunte di recente altre fattispecie di accesso qualificabili in termini di diritto soggettivo in senso proprio. In materia di tutela dell’ambiente l’accesso alle informazioni è consentito a chiunque ne faccia richiesta senza necessità di dichiarare un proprio interesse. I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto ad ottenere dagli uffici tutte le informazioni utili nell’espletamento del mandato e sono tenuti al segreto d’ufficio. Del tutto sganciato dalla titolarità di una situazione giuridica soggettiva è l’accesso civico, introdotto nell’ambito della normativa anticorruzione. Chiunque può richiedere l’accesso alle informazioni e ai dati che le amministrazioni avrebbero comunque l’obbligo di pubblicare. Chiunque ha inoltre diritto di accedere ai dati e documenti detenuti dalla PA, per favorire il controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche. INTERESSI DI FATTO, DIFFUSI E COLLETTIVI Vi sono delle norme primarie e secondarie, oltre a quelle interne, che impongo alla PA doveri di comportamento, finalizzati alla tutela dell’interessi pubblici, senza che ad essi corrisponda alcuna situazione giuridica o altro tipo di pretesa giuridicamente tutelata in capo a soggetti esterni all'amministrazione. La violazione di siffatti doveri rileva soltanto all'interno dell'organizzazione degli apparati pubblici e può dar origine a interventi di tipo propulsivo (diffide) o sostitutivo da parte di organi dotati di poteri di vigilanza. I soggetti privati che possono trarre beneficio o un pregiudizio indiretto da siffatte attività possono vantare di un mero interesse di fatto in relazione al quale le norme in questione offrono solo una tutela di tipo giurisdizionale. Infatti i promotori di un interesse di mero fatto possono per es. sollecitare le organizzazioni citandole ad attivarsi, ma non è possibile adottare rimedi giuridici o azioni giuridiche. I criteri di distinzione tra interessi di fatto e interessi legittimi sono: 70 della scelta finale in termini di tollerabilità della restrizione o incisione nella sfera giuridica del destinatario del provvedimento. Il principio di ragionevolezza è legato al fatto che in base alla teoria delle scelte razionali, anche la pubblica amministrazione va considerata come un agente in grado di raggiungere determinati obiettivi tramite azioni logiche, coerenti e ad essi funzionali. Questo principio ha importanza nell’ambito del sindacato di legittimità dei provvedimenti amministrativi se c’è eccesso di potere. Il principio del legittimo affidamento serve a tutelare le aspettative ingenerate dalla pubblica amministrazione con un proprio atto o comportamento. Esso interviene a proposito del potere di annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo, per il cui esercizio è richiesta all’amministrazione una valutazione degli interessi dei destinatari del provvedimento e una considerazione del tempo ormai trascorso (art 21-nonies l. 241/1990). Il principio della certezza del diritto garantisce un quadro giuridico stabile e chiaro, essenziale in un’economia di mercato fondata sul calcolo razionale. Questo principio ha come destinatario principale il legislatore, ma implica che anche l’agire della PA deve essere prevedibile e coerente. Il principio di precauzione, riconosciuto in materia ambientale nel TFUE (art 191, comma 2) e applicabile nei campi di azione che riguardano interessi pubblici come la salute e la sicurezza dei consumatori, comporta che, quando ci sono incertezze a livello di rischi per la salute delle persone, le autorità competenti possono adottare misure protettive senza dover attendere che sia dimostrata in modo compiuto la realtà e la gravità di tali rischi. I principi sul provvedimento. I principi che si riferiscono al provvedimento amministrativo sono il principio di motivazione e il principio di sindacabilità degli atti. Il primo si ricava dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue dove stabilisce “l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni” (art 41, comma 2) e dalla l. 241/1990 (art 3). Il principio di sindacabilità degli atti amministrativi è stabilito dagli art 24 e 113 Cost: gli atti amministrativi che ledono i diritti soggettivi e gli interessi legittimi sono sempre assoggettati al controllo giurisdizionale del giudice ordinario o del giudice amministrativo. I principi sul procedimento. I principi relativi al procedimento amministrativo sono il principio del contraddittorio e il principio di pubblicità e di trasparenza, il principio di certezza dei tempi, il principio di efficienza. Il primo è citato nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e stabilisce che ogni individuo ha diritto “di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio” (art 41, comma 2) ed è sviluppato nella l. 241/1990, che disciplina la partecipazione al procedimento amministrativo (art 7 ss). Talora, a proposito del diritto dei privati di esporre le proprie ragioni prima che venga emanato un provvedimento limitativo di diritti, si fa riferimento al principio del giusto procedimento, che però non ha fondamento costituzionale. Anche il principio di pubblicità e di trasparenza è enunciato nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, secondo la quale ogni individuo ha diritto “di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale” (art 41, comma 2). Nelle disposizioni del TFUE è precisato che “Al fine di promuovere il buon governo e garantire la partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione operano nel modo più trasparente possibile” (art 15). Viene anche stabilito che le istituzioni, gli organi e organismi dell’Unione si basano su un’amministrazione europea aperta e quindi le determinazioni assunte devono essere rese accessibili a che vi ha interesse. Il principio in questione rileva in due ambiti. Il primo richiede la messa a disposizione della genialità degli interessati, con modalità di pubblicazione predeterminate, da parte dell’amministrazione, di una serie di informazioni riguardanti l’organizzazione e l’attività dell’amministrazione stessa. La recente normativa anticorruzione enuncia il principio generale di trasparenza “intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle PA, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art 1 d.lgs 33/2013). 70 Il secondo ambito si riferisci al diritto di acceso ai documenti amministrativi che la l. 241/1990 definisce come principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza. Viene prevista anche la nomina all’interno di ogni PA di un responsabile per la trasparenza, che monitora sul rispetto degli obblighi di pubblicazione. Un altro principio è costituito dal principio di certezza del tempo dell’agire amministrativo e di celerità. La Carta dei diritti fondamentali dell’Ue attribuisce ad ogni individuo anche il diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate entro un termine ragionevole. La l. 241/1990 individua per ciascun tipo di procedimento un termine massimo entro cui emanare il provvedimento finale. La l. 241/1990 richiama il principio di efficienza, prevedendo che l’amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria. IL PROVVEDIMENTO Il provvedimento viene definito come la manifestazione del potere amministrativo volta a disciplinare un rapporto giuridico intercorrente tra la pubblica amministrazione e un soggetto privato e avente per oggetto un bene della vita. Il suo regime giuridico si ricava in parte dalle disposizioni contenute nella l. 241/1990, in parte dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Il Capo IV-bis aggiunto dalla l. 15/2005, disciplina l’efficacia, l’invalidità, la revoca, e l’annullamento d’ufficio. IL REGIME DEL PROVVEDIMENTO: LA TIPICITÀ Considerando il regime e i caratteri dell’atto amministrativo, va richiamata anzitutto la tipicità, che si contrappone all’atipicità dei negozi giuridici privati. Il principio di tipicità è uno dei corollari del principio di legalità secondo il quale le pubbliche amministrazioni possono esercitare soltanto i poteri che vengono ad esse conferiti espressamente dalla legge. In mancanza, esse possono operare avvalendosi esclusivamente della capacità di diritto privato. I provvedimenti devono trovare dunque un fondamento espresso nella legge (si parla di nominatività dei provvedimenti amministrativi) e corrispondono soltanto ai tipi previsti dalla legge. Il principio di tipicità esclude che si possono riconoscere in capo all’amministrazione poteri impliciti, anche se, secondo la giurisprudenza, è sufficiente in molti casi che le disposizioni legislative contengono un fondamento generico del potere. LA IMPERATIVITÀ L’imperatività o autoritarietà consiste nel fatto che la pubblica amministrazione titolare di un potere attribuito dalla legge può, mediante l’emanazione del provvedimento, imporre al soggetto privato destinatario di quest’ultimo le proprie determinazioni. Nell’imperatività si manifesta la dimensione verticale (di sovraordinazione) dei rapporti tra Stato e cittadino che si contrappone a quella orizzontale (di equiordinazione) delle relazioni giuridiche privatistiche. Il provvedimento è imperativo in quanto ha l’attitudine a modificare in modo unilaterale la sfera giuridica del soggetto privato destinatario senza che sia necessario acquisire il suo consenso. L'imperatività coincide con l'unilateralità nella produzione di un effetto giuridico che accomuna ogni atto di esercizio di un potere in senso proprio. L’imperatività del provvedimento non presuppone la validità del medesimo, cioè la sua piena conformità alla norma attributiva del potere. Anche l’atto legittimo ha l’attitudine a produrre gli effetti tipici che potranno essere rimossi, insieme al provvedimento emanato, soltanto ove quest’ultimo venga annullato o in seguito a una sentenza di annullamento all’esito di un ricorso innanzi al giudice amministrativo o in seguito all’annullamento pronunciato dalla stessa amministrazione in sede di controllo o nell’esercizio dei poteri di autotutela. Vale cioè il principio di equiparazione dell’atto invalido all’atto valido. Solo il provvedimento affetto da nullità in base all’art 21-septies l. 241/1990 non ha carattere imperativo e dunque le situazioni giuridiche soggettive di cui è titolare il 70 soggetto privato destinatario non sono danneggiate e “resistono” di fronte alla pretesa dell'amministrazione. L’ESECUTORIETÀ E L’EFFICACIA L'esecutorietà, un'altra caratteristica dei provvedimenti amministrativi, è disciplinata dall'art. 21-ter l. 241/1990. Essa può essere definita come il potere dell'amministrazione di procedere all'esecuzione del provvedimento imposta per legge in caso di mancata cooperazione da parte del privato obbligato, senza dover prima rivolgersi a un giudice allo scopo di ottenere l’esecuzione forzata. Il privato destinatario non è tenuto a collaborare attivamente, ma non potrà opporsi alle attività esecutive, comportamento che potrebbe rilevare addirittura in sede penale. Quindi mentre l'imperatività opera sul piano della produzione degli effetti giuridici, l’esecutorietà opera su quello delle attività materiali necessarie per conformare la realtà di fatto alla situazione di diritto così modificata dal provvedimento amministrativo. Il comma 1 dell'art 21-ter precisa che il potere di imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi è attribuito all'amministrazione solo “nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge”. In relazione agli obblighi che nascono per effetto di un provvedimento amministrativo, quest’ultimo deve indicare il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Inoltre, l'esecuzione coattiva può avvenire solo precedentemente l'adozione di un atto di diffida con il quale l'amministrazione intima al privato di porre in essere le attività esecutive già indicate nel provvedimento, concedendo così al privato un ultima chance. In definitiva, in base al comma 1 dell'art 21-ter l'esecutorietà del provvedimento si concretizza nell'avvio di un procedimento d'ufficio in contraddittorio con il soggetto privato. Infine, il comma 2 cita in modo specifico l'esecuzione delle obbligazioni che hanno come oggetto somme di denaro, precisando che ad esse si applicano le disposizioni per l'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato. L'esecutorietà del provvedimento presuppone che il provvedimento emanato sia efficace e esecutivo. La l. 241/1990 dedica due articoli ad essi. Secondo l'art 21-bis il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia con la comunicazione al destinatario. Da qui viene fuori la distinzione tra provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati e provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati. I primi hanno natura di atti recettizi, perché la loro efficacia è subordinata alla comunicazione all'interessato. L'esecutività del provvedimento è disciplinata dall'art. 21-quater, secondo il quale i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento amministrativo. Quindi all'efficacia del provvedimento segue la necessità che esso venga portato subito ad esecuzione, a seconda dei casi, dalla stessa amministrazione che ha emanato l'atto, oppure dal destinatario del medesimo là dove il provvedimento faccia sorgere in capo a quest'ultimo un obbligo di dare o di fare. L’INOPPUGNABILITÀ Un'altra caratteristica è l'inoppugnabilità (o meglio detta incontestabilità), che si ha quando cominciano i termini previsti per l’esperimento dei rimedi giurisdizionali davanti al giudice amministrativo. In particolare, l’azione di annullamento del provvedimento va proposta nel termine di decadenza di 60 giorni (art 29 Codice del processo); l’azione di nullità è soggetta a un termine di 180 giorni; l’azione risarcitoria può essere proposta in via autonoma (cioè senza la parallela azione di annullamento) nel termine di 120 giorni (art 31, comma 4, e art 30, comma 3, Codice). Per il diritto privato si possono avere termini di prescrizione molto più lunghi. D’altra parte l’inoppugnabilità non esclude che l’amministrazione possa mettere in discussione il rapporto giuridico esercitando il potere di autotutela (annullamento d'ufficio che può essere disposto ai sensi dell'art 21-nonies l. 241/1990 “entro un termine ragionevole” o revoca ai sensi dell'art 21-quinquies l. 241/1990). L’atto amministrativo può diventare inoppugnabile anche per l’acquiescenza da parte del suo destinatario. Essa consiste in una dichiarazione espressa o tacita di assenso all’effetto prodotto del provvedimento. 70 alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge” (C. Cost., 30 gennaio 1980, n, 5). Tra i provvedimenti ablatori reali rientra anche l’occupazione temporanea di un bene immobile. Per esempio l'occupazione temporanea preordinata all'espropriazione di opere dichiarate indifferibili (inderogabili) e urgenti che consente così la presa in possesso e l'avvio immediato dei lavori nelle more della conclusione del procedimento espropriato. I provvedimenti ordinatori. Tra i provvedimenti ablatori personali vanno collocati gli ordini amministrativi e i provvedimenti che impongono ai destinatari obblighi di fare o di non fare (divieti) puntuali. Nelle organizzazioni, basate sul principio gerarchico, l’ordine, che indica un comportamento specifico da adottare in una situazione concreta, è lo strumento in base al quale il titolare dell’organo o dell’ufficio sovraordinato impone la propria volontà e guida all’attività dell’organo o dell’ufficio subordinato. Esso può intervenire sull'ipotesi che l'ambito della competenza attribuito a quest'ultimo sia inclusa nell'ambito della competenza del primo. Come precisa in termini generali il Testo unico degli impiegati civili dello Stato (dpr 3/1957), l'impiegato deve eseguire gli ordini impartiti dal superiore gerarchico (art 16). Se l'ordine è illegittimo, l'impiegato è tenuto a fare reclamo motivato al superiore, il quale ha sempre il potere di rinnovarlo per iscritto. In questo caso, l'impiegato è tenuto a darvi esecuzione, a meno che non si tratti di un atto vietato dalla legge penale (art 17). La mancata osservanza dell'ordine ricevuto può comportare l'adozione di sanzioni disciplinari in capo al titolare dell'organo o dell'ufficio sottordinato e può indurre il superiore gerarchico a chiamare a sé la competenza. Gli ordini possono anche essere previsti talora anche al di fuori dei rapporti interorganici e dunque riguardare rapporti intersoggetivi. Tra gli ordini di polizia, emanati dalle autorità di pubblica sicurezza, uno è quello di comparire dinanzi all’autorità di pubblica sicurezza entro un termine assegnato, la cui inosservanza è sanzionata anche penalmente, oppure l’ordine di sciogliere una riunione o un assembramento che metta in pericolo l’ordine pubblico preceduto da un invito e da tre intimazioni formali. Un altro provvedimento ordinatorio è la diffida, che consiste nell’ordine di cessare da un determinato comportamento posto in essere in violazione di norme amministrative, anche con la fissazione di un termine per eliminare gli effetti dell’infrazione. La diffida può essere accompagnata da sanzioni di tipo amministrativo. Più in generale, nei casi di provvedimenti autorizzato sostituiti dalla SCIA, l’autorità competente, ove accerti che l’attività avviata non è conforme ai requisiti di leggi, adotta provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti (art 19 l. 241/1990). Le sanzioni amministrative. Sono volte a reprimere illeciti di tipo amministrativo e hanno dunque una funzione afflittiva e una valenza dissuasiva. Le sanzioni amministrative sono previste dalle leggi settoriali per garantire effettività sia in caso di violazione dei comandi in esse contenuti, sia nel caso di violazione dei provvedimenti emanati sulla base di tali leggi. Molte sanzioni del primo tipo sono contenuti nel Codice della strada. Sanzioni amministrative collegate alla violazione di provvedimenti amministrativi sono invece previsti dal Testo unico degli enti locali nel caso di violazione di regolamenti degli enti locali o delle ordinanze contingibili e urgenti emanate dal sindaco o dal presidente della provincia. Anche le autorità de regolazione dei servizi di pubblica utilità possono irrogare sanzioni. In molti casi la deterrenza delle sanzioni amministrative è accresciuta dalla previsione di in parallelo di saponi di tipo penale. La legge 689/1981, che detta una disciplina generale delle sanzioni amministrative, richiama una serie di principi penalistici come: il principio di legalità; il principio della personalità relativo alla capacità di intendere e volere. Ci sono sanzioni pecuniarie, che fanno nascere l'obbligo di pagare una somma di denaro determinata entro un minimo e un massimo stabilito dalla norma; le sanzioni interdittive che incidono sull'attività posta in essere dal soggetto destinatario del provvedimento (ritiro della patente); le sanzioni disciplinari. Per le sanzioni amministrative pecuniarie, l’obbligazione grava a titolo di solidarietà in capo a soggetti diversi da colui che pone in essere il comportamento illecito. Inoltre è data la facoltà di 70 estinguere l’obbligazione tramite il pagamento di una somma in misura ridotta (oblazione) entro 60 giorni dalla contestazione della violazione, cioè prima che abbia corso il procedimento in contraddittorio per l‘accertamento dell’illecito (art. 6). Quindi l'oblazione evita che si arrivi a un accertamento definitivo dell'illecito e per l'amministrazione ha il vantaggio di non gravare gli uffici di un'attività amministrativa a volte onerosa. Le sanzioni disciplinari si applicano a soggetti che intrattengono una relazione particolare con e pubbliche amministrazioni (dipendenti pubblici, professionisti iscritti ad albi, ecc.) e colpiscono comportamenti che violano obblighi speciali collegati allo status particolare (doveri di servizio, codici deontologici, ecc.). Esse consistono, a seconda della gravità dell’illecito, nell’ammonizione, nella sospensione del servizio o dall’albo per un periodo di tempo determinato, nella radiazione da un albo o nella destituzione. Queste sanzioni sono regolate da leggi speciali e sono quindi escluse dal campo di applicazione della disciplina generale delle sanzioni amministrative. Infine bisogna distinguere le sanzioni in senso proprio, che hanno un significato essenzialmente repressivo e punitivo del colpevole, e le sanzioni ripristinatorie, che hanno lo scopo di reintegrare l’interesse pubblico leso da un comportamento illecito. Le sanzioni amministrative sono applicate di regola soltanto nei confronti della persona fisica del trasgressore e ciò in coerenza con il carattere personale della responsabilità. Di recente è stata introdotta una particolare forma di responsabilità amministrativa per fatto proprio delle imprese e degli enti “per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato” (art. 1, comma 1, d.lgs 231/2001). Questa responsabilità sorge direttamente in capo all’ente “per reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio” dagli amministratori e dipendenti. LE ATTIVITÀ LIBERE SOTTOPOSTE A REGIME DI COMUNICAZIONE PREVENTIVA. LA SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITÀ L’attività dei privati è in linea di principio libera. Tuttavia, nei casi in cui tale attività può interferire o mettere a rischio interessi della collettività, si giustificano regole volte a porre prescrizioni. Il rispetto delle norme poste dalle leggi amministrative può essere assicurato in un primo gruppo di casi esclusivamente attraverso un'attività di vigilanza, che può portare all'esercizio di poteri repressivi e sanzionatori se vengono accertate violazioni. Per esempio il pedone o il ciclista che non rispettano le regole della strada. Per agevolare i controlli effettuati dall'amministrazione, in un secondo gruppo di casi di attività libere, la legge grava i privati di un obbligo di comunicare preventivamente a una pubblica amministrazione l'intenzione di intraprendere un'attività. A volte, la comunicazione è contemporanea all'avvio dell'attività: altre volte tra la comunicazione e l'avvio dell'attività è previsto un termine minimo. La fattispecie delle attività libere regolate da leggi di tipo amministrativo e sottoposte a un regime di comunicazione preventiva è ora disciplinata dall'art. 19 l. n. 241/1990. Questo articolo prevede l'istituto della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA, introdotta nel 2010 in sostituzione della cosiddetta dichiarazione d'inizio di attività o DIA). L'avvio dell'attività può essere contemporaneo alla prestazione della dichiarazione. Il privato deve dotare la segnalazione con un'autocertificazione del possesso dei presupposti e requisiti previsti dalla legge per lo svolgimento dell'attività. In caso di dichiarazioni false scattano sanzioni amministrative e penali (art 19, comma 3 e 6). La SCIA ha soltanto la funzione di sollecitare l'amministrazione a verificare se l'attività in questione è adatta alle norme amministrative e a richiedere nel caso informazioni e chiarimenti. In caso di “accertata carenza dei requisiti e dei presupposti” previsti dalla legge per lo svolgimento dell'attività l'amministrazione, entro 60 giorni, può richiedere al privato di adattare l'attività alla normativa vigente entro un termine fissato. Se ciò non avviene, emana un provvedimento motivato di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti. Il campo di applicazione della SCIA non è definito con precisione dalla legge. L’art 19, che è inserito nel Capo IV l. 241/1990 dedicato alla Semplificazione dell’azione amministrativa, si limita a porre un criterio generale in base al quale la SCIA sostituisce di diritto ogni tipo di atto autorizzativo “il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti 70 richiesti dalla legge”. Un secondo criterio è che deve trattarsi di atti autorizzativi per i quali non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o altri strumenti di programmazione di settore. Accanto a questi due criteri generali, l'art. 19 prevede alcuni casi di esclusione quando entrino in gioco interessi pubblici particolarmente rilevanti (ambiente, difesa nazionale ecc.), oppure di atti autorizzativi imposti dalla normativa europea. Resta peraltro incerta la questione della tutela del terzo che affermi di subire una lesione nella propria sfera giuridica per effetto dell'avvio dell'attività. Nel caso della SCIA manca un provvedimento che consenta il ricorso al giudice amministrativo da parte del terzo. Il terzo che desideri contrastare l'avvio dell'attività deve invitare l'amministrazione a emanare un provvedimento che ne vieti l'avvio o la prosecuzione e se l'amministrazione non provvede può rivolgersi al giudice per fare accertare l'obbligo di provvedere. LE AUTORIZZAZIONI E LE CONCESSIONI Passando agli atti che ampliano la sfera del destinatario, essi essenzialmente sono quelli di tipo autorizzativo ovvero che prevedono modalità di controllo ex ante dell'inizio attività e sono: autorizzazioni e concessioni. Secondo il d.lgs 59/2010 i regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, indicati in un elenco tassativo. Secondo una definizione classica l'autorizzazione è l'atto con il quale l'amministrazione rimuove un limite all'esercizio di un diritto soggettivo del quale è già titolare il soggetto che presenta la domanda. Il suo rilascio presuppone una verifica della conformità dell'attività ai principi normativi posti a tutela dell'interesse pubblico. Quindi le autorizzazioni danno origine ai diritti soggettivi il cui esercizio è subordinato a una verifica preventiva del rispetto dei presupposti e dei requisiti stabiliti dalla legge in relazione all'esigenza di tutela di un interesse pubblico. Rispetto al potere dell’amministrazione il soggetto privato vanta una posizione di interesse legittimo. La concessione è invece l'atto con il quale l'amministrazione attribuisce ex novo o trasferisce la titolarità di un diritto soggettivo in capo a un soggetto privato. Solo in seguito all’emanazione del provvedimento concessori sorge in capo al privato un durato soggettivo pieno. Le concessioni in molti casi instaurano un rapporto di lunga durata con il concessionario caratterizzato da diritti e obblighi reciproci e da poteri di vigilanza e talora anche di indirizzo delle attività poste in essere in base alla concessione. Le concessioni si dividono in due categorie: le concessioni traslative e le concessioni costitutive. Le prime trasferiscono in capo a un soggetto privato un diritto o un potere del quale è titolare l'amministrazione. Le seconde attribuiscono al soggetto privato un nuovo diritto. Per quanto riguarda l'oggetto, le concessioni sono di varie specie. Ci sono le concessioni di beni pubblici, come i beni demaniali; le concessioni di servizi pubblici o di attività sottoposte (art 43 Cost) a un regime di monopolio legale o di riserva di attività a favore dello Stato o di enti pubblici; le concessioni di lavoro o di servizi assimilati dal Codice dei contratti pubblici e normali contratti. Infine fanno parte delle concessioni alcuni tipi di sovvenzioni, sussidi e contributi di denaro pubblico erogati, per il perseguimento di interessi pubblici (sociali, economici, culturali) alle quali fa riferimento l’art 12 l. 241/1990. Ci sono figure intermedie di atti autorizzativi, di fatto si dividono in: autorizzazioni costitutive, connotate da un’ampia discrezionalità e in relazione alle quali è dubbia la preesistenza di un diritto soggettivo in capo al privato; permissive, che operano come fatti permissivi o ostativi all’esercizio di una determinata attività con funzione di controllo o programmazione e direzione; ricognitive, volte in prevalenza a valutare l’idoneità tecnica di persone o cose. Per quanto riguarda le licenze (caccia, pesca ecc.), esse hanno due caratteristiche: riguardano attività in cui non sono rinvenibili preesistenti diritti soggettivi dei soggetti privati; il loro rilascio è subordinato a valutazioni di tipo tecnico o discrezionale o di coerenza con un quadro programmatico che ne comporti la limitazione, previsto per esempio nei piani commerciali. La distinzione tra autorizzazioni e concessioni è stata rivalutata in base al diritto europeo, il quale ignora la distinzione tra diritto soggettivi e interessi legittimi e che tende a considerare in modo unitario gli atti che realizzano forme di controllo ex ante, sia alla luce del diritto interno. Alla fine ciò 70 Per prima cosa bisogna fare una distinzione tra norme che regolano una condotta e norme che conferiscono poteri. Le prime impongono obblighi o attribuiscono diritti; le seconde conferiscono poteri e regolano le procedure, i presupposti e i limiti. I comportamenti che violano il primo tipo di norme sono qualificabili come illeciti e contro di essi l'ordinamento reagisce attraverso l'imposizione di sanzioni di varia natura. Gli atti posti in essere in violazione delle norme del secondo tipo sono qualificabili come invalidi e contro di essi l'ordinamento reagisce negandone gli effetti. L'invalidità può essere definita più precisamente come la difformità di un negozio o di un atto dal suo modello legale. Essa può essere sanzionata, in base alla gravità della violazione, in due modi: l'inidoneità dell'atto a produrre gli effetti giuridici tipici, cioè a creare diritti e obblighi o altre modificazioni nella sfera giuridica dei soggetti dell'ordinamento (nullità); l'idoneità a produrli in via precaria, cioè fino a quando non interviene un giudice (o un altro organo) che, accertata l’invalidità, rimuova gli effetti prodotti con efficacia retroattiva (annullamento). La nullità è prevista solo in relazione a poche ipotesi tassative, mentre la violazione delle norme attributive del potere viene attratta nel regime dell’annullabilità. La categoria della nullità è quindi residuale. Sempre in via generale, si fa una distinzione tra invalidità totale e parziale: la prima riguarda l'intero atto, la seconda una parte di questo, lasciando inalterata la validità e l'efficacia della parte non affetta dal vizio. Quest'ultima si ha nel caso di provvedimenti con effetti scindibili, come in quello degli atti plurimi. L'invalidità di un provvedimento può essere propria o derivata, originaria o sopravvenuta. Nel caso di invalidità propria hanno importanza i vizi dei quali è affetto l'atto. Nel caso di invalidità derivata, l'invalidità dell'atto deriva per propagazione dell'invalidità di un atto presupposto. L'invalidità derivata può essere di due tipi: ad effetto caducante, e in questo caso travolge in modo automatico l'atto assunto sulla base dell'atto invalido; a effetto invalidante, e in questo caso l’atto affetto da invalidità derivata, per quanto a sua volta invalido, conserva i suoi effetti fino a che non venga annullato. L'effetto caducante si verifica in presenza di un rapporto di stretta casualità tra i due atti: il secondo costituisce una semplice esecuzione del primo. Invece quando l’atto successivo non costituisce una conseguenza inevitabile del primo, ma presuppone nuovi e ulteriori apprezzamenti, l'invalidità derivata ha soltanto un effetto viziante, con la conseguenza che essa deve essere fatta valere attraverso l'impugnazione autonoma di quest'ultimo. Considerando l'invalidità originaria e l'invalidità sopravvenuta trova applicazione nel diritto amministrativo anche il principio del tempus regit actum, secondo il quale la validità di un provvedimento si determina con riguardo alle norme in vigore al momento della sua adozione. Si parla di invalidità sopravvenuta dei provvedimenti amministrativi nel caso di legge retroattiva, di legge di interpretazione autentica e di dichiarazione di illegittimità costituzionale. Nelle prime due ipotesi, la retroattività della nuova legge rende viziato il provvedimento emanato in base alla norma abrogata. Nella terza ipotesi, poiché le sentenze di accoglimento Corte Costituzionale hanno efficacia retroattiva, esse rendono invalidi i provvedimenti assunti sulla base delle norme dichiarate illegittime e ai rapporti giuridici venuti fori anteriormente, a meno che non si tratti di rapporti esauriti, cioè di fattispecie ormai interamente realizzate. La l. 241/1990 ha razionalizzato le acquisizioni giurisprudenziali. La giurisprudenza interpretò la formula eccesso di potere come sviamento di potere, ossia i casi nei quali il potere viene esercitato per un fine diverso da quello posto dalla norma attributiva del potere. In secondo luogo la giurisprudenza individuò le ipotesi in cui il provvedimento è affetta da deviazioni così abnormi dalla norma attributiva del potere o è addirittura emanato in assenza di un base legislativa tanto da non poter essere inquadrato all’interno del regime dell’illegittimità (carenza di potere). In presenza di tali vizi il provvedimento perde il carattere imperativo È stata elaborata anche la distinzione tra due tipi di comportamenti patologici dell’amministrazione. Da un lato vi sono i comportamenti senza potere assunti in violazione di una norma di relazione, cioè lesivi di un diritto soggettivo e ascrivibili alla categoria della illiceità. Dall’altro ci sono i comportamenti nei quali il collegamento funzionale tra provvedimento invalido e attività materiale 70 esecutiva integra u a violazione della norma attributiva del potere e lede un interesse legittimo, facendo confluire l’intera fattispecie nella giurisdizione amministrativa. La questione è sorta a proposito dell’espropriazione per pubblica utilità, nella quale si contrappone la cosiddetta “occupazione usurpativa” alla “occupazione appropriativa”. La prima avviene quando il terreno viene occupato in carenza di qualsivoglia, attribuita alla giurisdizione del giudice ordinario; la seconda quando l'occupazione avviene nell'ambito di una procedura di espropriazione sebbene illegittima, attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo. L'annullabilità è disciplinata dall'art. 21-octies l. n. 241/1990 e dall'art. 29 Codice, riprendendo entrambi la tripartizione tradizionale dei vizi di legittimità, cioè incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge. il primo però riduce l’area dell’annullabilità operando la dequotazione dei vizi formali. Invece la nullità è disciplinata dall’art 21-septies l. 241/1990 e dall’art 31, comma 4, Codice che disciplina l'azione di nullità. L’ANNULLABILITÀ In generale, l'atto amministrativo affetto da incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge viene qualificato come illegittimo e quindi soggetto ad annullamento. Invece la l. 241/1990 ripercorre la distinzione civilistica tra nullità e annullabilità. Infatti l'art 21-octies fa riferimento a quest'ultima. Mentre l'art 21-nonies usa ancora la terminologia “provvedimento amministrativo illegittimo” prevedendo che esso possa essere annullato d’ufficio. In realtà annullabilità e illegittimità sono vocaboli intercambiabili ma non si può ritenere che tutti gli atti illegittimi siano annullabili in quanto viene operata una dequotazione dei vizi formali. L’atto non annullabile resta pur sempre illegittimo. Le conseguenze dell'annullamento, cioè il venir meno degli effetti del provvedimento con efficacia retroattiva (ex tunc), non cambiano in base al tipo di vizio accertato. Comunque l’annullamento elimina l'atto e i suoi effetti in modo retroattivo e grava sull'amministrazione l'obbligo di porre in essere tutte le attività necessarie per ripristinare, per quanto possibile, la situazione di fatto e di diritto in cui si sarebbe trovato il destinatario dell'atto dove quest'ultimo non fosse stato emanato (c.d. effetto ripristinatorio). Invece ciò che varia in funzione del tipo di vizio è il cosiddetto effetto conformativo dell'annullamento, cioè il vincolo che nasce in capo all'amministrazione nel momento in cui essa emana un nuovo provvedimento in sostituzione a quello annullato. Da questo punto di vista la distinzione più notevole è tra vizi formali e vizi sostanziali. Se il vizio è formale o procedurale, come la mancata acquisizione di un parere obbligatorio o la rilevazione del vizio di incompetenza, non è da escludere che l'amministrazione possa emanare un nuovo atto del contenuto identico rispetto a quello dell'atto annullato. Se invece, il vizio è sostanziale, come per esempio la mancanza di un presupposto o di un requisito posto dalla norma attributiva del potere o un eccesso di potere per falsificazione dei fatti, l'amministrazione non potrà ripetere l'atto annullato. La retroattività dell’annullamento è oggi oggetto di ripensamento d parte della giurisprudenza. Per quanto riguardano i profili processuali, l'art. 29 Codice del processo amministrativo dichiara che contro il provvedimento affetto da violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere può essere proposta l'azione di annullamento davanti al giudice amministrativo entro 60 giorni. L'annullabilità non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, ma, in base al principio dispositivo, può essere pronunciata solo in seguito alla domanda proposta nel ricorso che deve indicare anche in modo specifico i profili di vizio denunciati (motivi di ricorso). Inoltre l’art 30 Codice stabilisce che insieme all'azione di annullamento può essere proposta anche l'azione risarcitoria. L’INCOMPETENZA L'incompetenza è un vizio del provvedimento adottato da un organo o da un soggetto diverso da quello indicato dalla norma attributiva del potere. Quindi si tratta di un vizio che riguarda l'elemento soggettivo dell’atto. 70 Si distingue tra incompetenza relativa e incompetenza assoluta. La prima si ha quando l'atto viene emanato da un organo che appartiene alla stessa branca, settore o plesso organizzativo dell'organo titolare del potere, mentre la seconda, che determina nullità o carenza di potere (difetto di attribuzione), si ha quando esiste un'assoluta estraneità sotto il profilo soggettivo e funzionale tra l'organo che ha emanato l'atto e quello competente. Sul piano descrittivo il vizio di incompetenza si divide in: incompetenza per materia, per grado, per territorio. L'incompetenza per materia riguarda la titolarità della funzione; quella per grado si riferisce all'articolazione interna degli organi negli apparati organizzati secondo il criterio gerarchico; quella per territorio riguarda gli ambiti in cui gli enti territoriali o le articolazioni periferiche degli apparati statali possono operare. La giurisprudenza più recente ritiene applicabile al vizio di incompetenza l’art 21-octies, comma 2, cioè il principio della dequotazione dei vizi formali. Inoltre, almeno sotto il profilo logico, il vizio di incompetenza assume una priorità rispetto agli altri motivi formulati nel ricorso. L’art 21-nonies prevede in via generale la possibilità della convalida del provvedimento annullabile. LA VIOLAZIONE DI LEGGE La seconda tipologia di vizi che possono causare annullabilità è la violazione di legge, la quale è considerata una categoria residuale, perché in essa ci sono tutti i vizi che non sono elencati come incompetenza o eccesso di potere. Essa raggruppa tutte le ipotesi di contrasto tra il provvedimento e le disposizioni normative contenute in fonti di rango primario o secondario che definiscono i profili vincolanti, formali e sostanziali del potere. Sembra preferibile non includere nella nozione di violazione di legge la violazione dei principi generali dell’azione amministrativa. La principale distinzione interna alla violazione di legge è quella tra vizi formali e vizi sostanziali. L'art 21-octies, comma 2, l. 241/1990 spiega tra le ipotesi di violazione di legge la “violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti”, cioè una subcategoria di vizi formali che, a certe condizioni sono dequotati a vizi che non determinano l'annullabilità del provvedimento. La disposizione pone le seguenti condizioni: che il provvedimento abbia “natura vincolata”; che quindi “sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello il concreto adottato”. L’art 21-nonies prevede che l’amministrazione può annullerai provvedimento illegittimo. Il secondo periodo dell’art 21-octies, comma 2, l. 241/1990 individua un'ipotesi particolare costituita dall'omessa comunicazione dell'avvio del procedimento disciplinata dagli art 7 ss. della stessa legge per la quale è previsto un regime in parte uguale in parte diverso. Uguale è l’operazione richiesta all'interprete e cioè una ricostruzione di ciò che sarebbe stato l'esito del procedimento dove tutte le norme sul procedimento e sulla forma fossero state rispettate. Se la conclusione è che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, l'atto non può essere annullato. La disposizione presenta due specificità. La disposizione include nel suo campo di applicazione anche i poteri discrezionali in astratto. L’onere della prova grava sull’amministrazione nei confronti della quale sia stata proposto un ricorso per l’annullamento del provvedimento viziato. Ciò comporta una deroga alle regole processuali ordinarie che vietano l’integrazione della motivazione nel corso del giudizio. L'irregolarità del provvedimento, può essere definita come un'imperfezione minore del provvedimento che non determina la lesione di interessi tutelati dalla norma d’azione. L'irregolarità non rende invalido il provvedimento che è soggetto a regolarizzazione, attraverso la modifica del provvedimento. L’art 21-nonies, comma 2, in definitiva ha stabilito soltanto che per taluni atti illegittimi l’annullamento costituisce una reazione dell’ordinamento da ritenersi non proporzionata, visto che il provvedimento risulta sostanzialmente legittimo. L’ECCESSO DI POTERE 70 L’ANNULLAMENTO D’UFFICIO, LA CONVALIDA, LA RATIFICA, LA SANATORIA, LA CONFERMA, LA CONVERSIONE, LA REVOCA, IL RECESSO L'annullamento d'ufficio. L'annullamento del provvedimento può essere pronunciato oltre che dal giudice amministrativo in caso di accoglimento del ricorso proposto dal titolare dell’interesse legittimo, anche in altri contesti e da altri soggetti: dalla stessa amministrazione in sede di esame dei ricorsi amministrativi, dagli organi amministrativi nominati al controllo di legittimità di alcune categorie di provvedimenti; dal ministro con riferimento agli atti emanati dai dirigenti ad esso sottoposti; dal Consiglio dei ministri nei confronti di tutti gli atti degli apparati statali, regionali e locali. Il cosiddetto annullamento straordinario da parte del governo previsto dalle disposizioni da ultimo citate rientra tra gli atti di alta amministrazione ampiamente discrezionali e persegue appunto un fine specifico, cioè quello di “tutela dell'unità dell'ordinamento” di fronte al ischio che gli enti territoriali autonomi assumano determinazioni anomale. Proprio per la sua particolare delicatezza, l'annullamento straordinario richiede l'acquisizione preventiva di un parere del Consiglio di Stato. L'annullamento d'ufficio è disciplinato in termini generali dall’art 21-nonies l. 241/1990. Per far sì che l'amministrazione possa esercitare in modo legittimo il potere di annullamento d'ufficio devono esistere quattro presupposti esplicitati dall'art 21-nonies l. 241/1990. 1. Il primo è che il provvedimenti sia “illegittimo ai sensi dell'art 21-octies”, e quindi sia affetto da un vizio di violazione di legge, di incompetenza o di eccesso di potere, ma non si deve ricadere in una delle ipotesi del comma 2 dell'articolo in questione. 2. Devono esistere ragioni di “interesse pubblico”, rimesse alla valutazione dell’amministrazione, che rendano preferibile la rimozione dell'atto e dei suoi effetti piuttosto che la loro conversazione, pur in presenza di un'illegittimità accertata. L'interesse astratto al ripristino della legalità violata non è sufficiente, ma l'amministrazione deve porre a fondamento un altro interesse pubblico che deve essere presente al momento in cui è disposto l'annullamento d’ufficio. 3. L'annullamento d'ufficio richiede un'analisi di tutti gli interessi in gioco che deve essere esplicitata nella motivazione. Devono essere valutati specificamente, oltre all'interesse pubblico all'annullamento, da un lato quello del destinatario del provvedimento; dall'altro quello degli eventuali controinteressati. 4. Infine, la valutazione discrezionale deve tener presente il fattore temporale. L'annullamento può essere attuato “entro un termine ragionevole”. Se è passato tanto tempo dall'emanazione del provvedimento illegittimo prevale tendenzialmente l'interesse a mantenere inalterato lo status quo ante e a tutelare l'affidamento creato. Invece se l'annullamento rileva immediatamente l’illegittimità del provvedimento emanato l'amministrazione può procedere all'annullamento d'ufficio senza dover valutare in modo approfondito interessi diversi dal semplice ripristino della legalità. L’art 6 l. 124/2015 fissa per alcuni tipi di provvedimento il termine in 18 mesi decoro il quale l’amministrazione decade dal potere. La convalida. L’art 21-nonies, in alternativa all'annullamento d'ufficio, prevede che l'amministrazione possa procedere alla convalida del provvedimento illegittimo, sempre per ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. Se la convalida riguarda il vizio di incompetenza si parla di ratifica. Quindi la ratifica riguarda le ipotesi in cui all'interno di un'amministrazione pubblica può, in base alla legge, esercitare in caso d'urgenza una competenza attribuita in via ordinaria a un altro organo, che poi è chiamato a far proprio l'atto emanato. La sanatoria. Si parla di sanatoria nei casi in cui l'atto è emanato in mancanza di un presupposto e quest'ultimo si materializza in un momento successivo, o nei casi in cui un atto della sequenza procedimentale viene posto in essere dopo il provvedimento conclusivo. La conferma e l'atto confermativo. Ci può essere il caso in cui l'amministrazione arriva alla conclusione che il provvedimento non è affetto da nessun vizio. In questi casi l’amministrazione emana un provvedimento di conferma. Nella giurisprudenza si distingue tra conferma, che costituisce un provvedimento amministrativo autonomo dal contenuto identico di quello oggetto del riesame, e atto semplicemente confermativo. 70 Con quest'ultimo l'amministrazione si limita a comunicare al privato che chiede il riesame che non ci sono motivi per riaprire il procedimento e procedere a una nuova valutazione. La conversione. Con riferimento ai provvedimenti affetti da nullità e annullabilità, si ritiene generalmente applicabile, anche se manca una disposizione legislativa espressa, la conversione, sull'esempio del modello civilistico (art 1424 cc). La revoca. Anche i provvedimenti perfettamente validi ed efficaci possono essere soggetti a un riesame che ha per oggetto il merito (opportunità), cioè l'adeguatezza all'interesse pubblico dell'assetto degli interessi che vengono fuori dall'atto emanato. Interviene qui la revoca del provvedimento. Il potere di revoca è considerato come una manifestazione del potere di autotutela della pubblica amministrazione ammesso da sempre dalla giurisprudenza. L'art 21-quinquies l. 241/1990, introdotto dalla l. 15/2005 pone una disciplina generale della revoca precisandone meglio i presupposti e gli effetti. Il comma 1 di tale articolo distingue due tipi: la revoca per sopravvenienza (come quella per sopravvenuti motivi di pubblico interesse) e la revoca espressione dello jus poenitendi. Quest'ultima riguarda l'ipotesi di “nuova valutazione dell'interesse pubblico originario”, che si ha nei casi in cui l'amministrazione si rende conto di aver compiuto analisi errata degli interessi nel momento in cui ha emanato il provvedimento. A differenza dell'annullamento d'ufficio, che ha efficacia retroattiva (ex tunc), la revoca “determina l'idoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti” (ex nunc). La revoca ha come oggetto provvedimenti “a efficacia durevole”, per esempio le concessioni di servizi pubblici. Una novità introdotta dall’art 21-quinquies per la revoca è la generalizzazione dell'obbligo di indennizzo nei casi in cui essa “comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati”. Le controversie relative alla quantificazione dell’indennizzo sono di competenza del giudice amministrativo. Essendo un provvedimento discrezionale la revoca richiude una motivazione. Si tratta di un procedimento di secondo grado che si apre con la comunicazione di avvio e che è aperto alla partecipazione di soggetti interessati. La revoca disciplinata dall'art. 21-quinquies va tenuta distinta dalla cosiddetta revoca sanzionatoria e dal mero ritiro. La prima può essere posta dall'amministrazione nel caso in cui il privato, destinatario di un provvedimento amministrativo favorevole, (autorizzazione, concessione ecc.) non rispetti le condizioni e i limiti in esso previsti, o non intraprenda l'attività oggetto del provvedimento entro il termine previsto. Il mero ritiro ha per oggetto atti amministrativi che no sono ancora efficaci. Il recesso dai contratti. L'art 21-sexies l. 241/1990 disciplina anche il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione prevedendo che esso sia ammesso solo “nei casi previsti dalla legge o dal contratto”. Tra le disposizioni legislative che disciplinano in modo specifico il recesso dai contratti c'è quella in tema di comunicazioni e certificazioni antimafia che lo prevede nei casi in cui emergano tentativi di infiltrazione mafiosa (art. 4 d.lgs. 8 agosto 1994, n.490). IL PROCEDIMENTO NOZIONE E FUNZIONI DEL PROCEDIMENTO Il procedimento amministrativo può essere definito come la “sequenza di atti e operazioni tra loro collegati funzionalmente in vista e al servizio dell'atto principale”. Esso è prima di tutto una nozione teorica generale del diritto collegata alle modalità di produzione di un effetto giuridico. Nello schema già esaminato norma-fatto-effetto, l’effetto giuridico nasce in collegamento, alcune volte quando si verifica un singolo accadimento (fatto giuridico semplice); a volte quando si verificano una pluralità di accadimenti (fatti complessi). Il procedimento amministrativo ha diverse funzioni. 70 1. Una prima funzione è quella di consentire un controllo sull'esercizio del potere (soprattutto ad opera del giudice), attraverso una verifica de rispetto della sequenza degli atti e operazioni normativamente predefinite. 2. Una seconda funzione è quella di far emergere e dar voce a tutti gli interessi incisi direttamente o indirettamente dal provvedimento. Ciò sia nell'interesse dell'amministrazione che può così ricoprire gli squilibri informativi che spesso ci sono nei rapporti con i soggetti privati, sia nell'interesse di questi ultimi che hanno la possibilità di rappresentare e difendere il proprio punto di vista. La partecipazione ha così una dimensione collaborativa. Questo avviene soprattutto nei procedimenti di tipo individuale in cui il procedimento determina effetti verso il destinatario. Sempre più spesso la partecipazione è imposta dal diritto europeo soprattutto riguardo agli atti di regolazione delle autorità indipendenti. 3. Una terza funzione è quella del contraddittorio (scritto e a volte anche orale) a favore dei soggetti incisi negativamente dal provvedimento. Essa riguarda soprattutto i procedimenti individuali, in cui l'amministrazione esercita un potere che determina effetti restrittivi o limitativi della sfera giuridica del destinatario e il rapporto giuridico si definisce in termini di contrapposizione, anziché di collaborazione. Il contraddittorio procedimentale può essere verticale o orizzontale. La prima si riferisce ai casi in cui il rapporto giuridico ha carattere bilaterale e coinvolge l’amministrazione titolare del potere, che agisce come parte imparziale, e il destinatario dell’effetto giuridico restrittivo. La dimensione orizzontale emerge nei procedimenti nei quali i provati sono portatori di interessi contrapposti e pertanto l’organo decidente è chiamato a garantire la parità delle armi. 4. Una quarta funzione del procedimento è quella di operare da fattore di legittimazione del potere dell'amministrazione e quindi di promuovere la democraticità dell'ordinamento amministrativo. 5. Infine il procedimento ha la funzione di attuare il coordinamento tra più amministrazioni, ognuna delle quali deve curare un interesse pubblico, nei casi in cui un provvedimento amministrativo vada a incidere su una pluralità di interessi pubblici. Accanto a modelli di coordinamento debole (il parere obbligatorio), la legislazione amministrativa prevede modelli di coordinamento più fort (il parere vincolante, l'intesa, ecc.). Quando il coordinamento tra interessi non sia possibile all'interno del singolo procedimento e l'avvio di un'attività da parte di un privato sia subordinata al rilascio di una pluralità di atti autorizzativi all'esito di una pluralità di procedimenti autonomi paralleli, il coordinamento può avvenire con altre modalità (la conferenza dei servizi, l'autorizzazione unica). LE LEGGI GENERALI SUL PROCEDIMENTO E LA L. 241/1990 Il procedimento amministrativo è al centro del sistema del diritto amministrativo in molti ordinamenti ed è disciplinato da diverse leggi generali, tra cui la legge 7 agosto 1990, n. 241. Essa si caratterizza per il fatto di essere una legge soprattutto di principi, in cui però non contiene una definizione generale di procedimento, né una disciplina organica delle singole fasi in cui si articola. Disciplina solo alcuni istituti fondamentali come il termine del procedimento, la figura del responsabile del procedimento, la partecipazione, alcuni istituti di semplificazione, il diritto di accesso. Il campo di applicazione della l. 241/1990 è stabilito in base a un criterio soggettivo e oggettivo. Sotto il profilo soggettivo le disposizioni che ci sono al suo interno si applicano alle amministrazioni statali, agli enti pubblici nazionali e anche alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente alle attività che si sostanziano nell'esercizio delle funzioni amministrative (art. 29). Inoltre, le regioni e gli enti locali possono dotarsi di una propria disciplina sulla base dei principi stabiliti da tale legge. Sotto il profilo oggettivo, la l. 241/1990 si applica completamente ai procedimenti di tipo individuale. Le disposizioni sull’obbligo di motivazione, sulla partecipazione al procedimento e sul diritto di accesso non si applicano agli atti normativi e ali atti amministrativi generali. Il modello di rapporto tra PA e cittadini sotteso dalla legge è il seguente: 1. La l. 241/1990 ricopre la distanza e la separatezza tradizionali tra amministrazioni e soggetti privati. I privati fanno ingresso nel procedimento attraverso gli strumenti di partecipazione. La legge 70 La partecipazione e l’intervento si sostanziano in due diritti: prendere visione degli atti del procedimento e la possibilità di presentare memorie scritte. L’amministrazione ha l’obbligo di valutare i documenti e le memorie. Dal punto di vista organizzativo l’istruttoria è affidata alla figura del responsabile del procedimento, assegnato di volta in volta dal dirigente responsabile della struttura subito dopo l’apertura del procedimento. Il suo nominativo viene comunicato o reso disponibile su richiesta a tutti i soggetti interessati. (art 5 l. 241/1990). I compiti del responsabile del procedimento sono indicati nell’art 6 l. 241/1990 e includono tutte le attività propedeutiche all’emanazione del provvedimento finale e l’adozione “di ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria” (lett. b)). Nei procedimenti a istanza di parte il responsabile del procedimento è tenuto ad attivare una fase supplementare di contraddittorio nei casi in cui l’istruttoria effettuata dà esito negativo e porterebbe all’adozione di un provvedimento di rigetto dell’istanza (art 10-bis l. 241/1990 aggiunto dalla l. 15/2005). Al soggetto che l’ha proposta deve essere data comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento e entro 10 giorni l’interessato può presentare osservazioni scritte. LA CONCLUSIONE: IL TERMINE, IL SILENZIO, GLI ACCORDI L’art 2 l. 241/1990 pone l’obbligo all’amministrazione di concludere il procedimento tramite l’adozione di un provvedimento espresso produttivo degli effetti nella sfera giuridica dei destinatari. Il provvedimento finale può essere emanato, a seconda dei casi, dal titolare di un organo individuale (come il sindaco o il prefetto) oppure da un organo collegiale (giunta comunale, consiglio di amministrazione ecc.). In quest’ultimo caso la determinazione viene assunta applicando le regole sulla convocazione dell’organo, sulla fissazione di un ordine del giorno, sul quorum costitutivo e sul quorum, deliberativo. Accanto ad atti semplici è frequente nelle leggi amministrative il ricorso ad atti complessi. Frequente è anche il concerto nel quale il ministero competente ad emanare il provvedimento deve prima inviare al ministero organizzante lo schema di provvedimento per ottenere l’assenso o indicazioni di modifica. L’atto finale è sottoscritto da entrambe le autorità. La determinazione finale è assunta sulla base delle regole vigenti al momento in cui essa è adottata. Il principio del tempus regit actum prevede che le modifiche legislative intervenute a procedimento avviato trovano immediata applicazione, a meno che non si sia in presenza di situazioni giuridiche ormai consolidate o di fasi procedimentali già del tutto esaurite. Facendo riferimento alla fase decisionale, ci sono degli aspetti da approfondire. 1. Il provvedimento deve essere emanato entro il termine stabilito per lo specifico procedimento. Prima di tutto l’art 2 pone una disciplina generale sancendo l’obbligo di ciascuna pubblica amministrazione di individuare i termini per ciascun procedimento con propri atti di regolazione e di renderli pubblici. Di regola la durata massima non deve superare i 90 giorni (commi 3 e 4). Se le amministrazioni non stabiliscono un termine, il termine generale è di 30 giorni (comma 2). In definitiva, la disciplina del termine del procedimento amministrativo posta dall’art 2 l. 241/1990 crea il principio della certezza del tempo dell’agire amministrativo. Il termine può essere sospeso per un periodo non superiore a 30 giorni in caso di necessità di acquisire informazioni o certificazioni (coma 7). I termini finali hanno di regola natura ordinatoria, perché la loro scadenza non fa venir meno il potere di provvedere, né rende illegittimo (o nullo) il provvedimento finale emanato in ritardo. Se non viene rispettato il termine di conclusione del procedimento può provocare conseguenze di vario tipo, come la nascita di una responsabilità di tipo disciplinare nei confronti del funzionario o una responsabilità di tipo dirigenziale nei confronti del vertice della struttura (art 2, comma 9, l. 241/1990). Il mancato rispetto del termine può costituire anche motivo per l’esercizio del potere sostitutivo da parte del dirigente sovraordinato (art 16, comma 1, lett. e), comma 1, lett. d), d.lgs 165/2001). Il potere sostitutivo adesso è disciplinato anche nell’art 2 l. 241/1990 al quale sono stati aggiunti di recente alcuni commi (dl 5/2012). Il privato può rivolgersi al titolare del potere sostitutivo che deve concludere il procedimento entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto 70 attraverso le strutture competenti o nominato un commissario ad acta. I provvedimenti su istanza di parte rilasciati in ritardo devono indicare sia il termine previsto, sia il termine effettivamente impiegato. L’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento può anche far nascere l’obbligo di risarcire il danno a favore del privato (c.d. danno da ritardo). 2. Può accadere che l’amministrazione non concluda il procedimento entro il termine fissato per legge o stabilito dall’amministrazione e la situazione di inattività si protragga nel tempo. Così si pone la questione del silenzio dell’amministrazione. Fino ad anni recenti il silenzio della pubblica amministrazione di fronte a istanze o domande presentate da soggetti privati per ottenere un provvedimento favorevole è stato quello del cosiddetto silenzio-inadempimento. In questi casi l’inattività mantenuta oltre il termine assume il significato giuridico di inadempimento dell’obbligo formale di provvedere posto dall’art 2 l. 241/1990. Però gli effetti ricavati dall’azione del privato contro il silenzio-inadempimento non sono molto efficaci. Quindi per risolvere il problema, nella legislazione amministrativa sono stati introdotti per singole tipologie di procedimenti due regimi di silenzio cosiddetto significativo, che sono presenti nella l. 241/1990: il silenzio-diniego (o rigetto) e il silenzio-assenso (o accoglimento). Il campo di applicazione del silenzio-assenso definito dall’art 20, commi 1 e 3, è individuato in base ad alcuni criteri di tipo negativo. Prima di tutto il regime non vale nei casi di provvedimenti autorizzativi sostituiti dalla SCIA di cui all’art 19, soggetti a un regime di liberalizzazione. Inoltre non vale per i procedimenti che riguardano un elenco piuttosto lungo di interessi pubblici (comma 4). Un lungo elenco di casi di silenzio-assenso è contenuto nel d.lgs 222/2016. Il regime del silenzio-assenso ha alcuni difetti strutturali. Prima di tutto, siccome esso può applicarsi anche a provvedimento discrezionali, la valutazione di interessi pubblici, di fatto, nei casi di inattività assoluta dell’amministrazione, non viene operata. In secondo luogo, dal punto di vista del soggetto privato che ha presentato istanza, il silenzio-assenso non soddisfa compiutamente l’esigenza di certezza in relazione allo svolgimento di attività sottoposte a controllo pubblico. 3. Gli accordi integrativi e sostitutivi. Il provvedimento espresso emanato in modo unilaterale dall’organo competente costituisce l’esito normale e più frequente del procedimento amministrativo. Tuttavia esiste una modalità alternativa di conclusione del procedimento che la l. 241/1990 tende a favorire e cioè l’accordo integrativo o sostitutivo del provvedimento. In base alla l. 241/1990, l’accordo ha per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento ed è finalizzato a ricercare una miglior composizione e mediazione tra l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione procedente e l’interesse del privato spesso contrapposto al primo. Gli accordi devono essere stipulati per atto scritto, a pena di nullità, salvo che sia disposto diversamente e devono essere motivati. Ad essi si applicano i principi del cc in materia di obbligazioni e contratti. La giurisdizione spetta al giudice amministrativo. Gli accordi sono di due tipi e cioè integrativi o sostitutivi del provvedimento. I primi servono solo a concordare il contenuto del provvedimento finale che viene emanato successivamente alla stipula dell’accordo e in attuazione di quest’ultimo. Negli accordi sostitutivi gli effetti giuridici si producono in via diretta con la conclusione dell’accordo, senza alcuna necessità di un atto formale unilaterale di recepimento. L’amministrazione, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, può recedere dall’accordo. PROCEDIMENTI SEMPLICI, COMPLESSI, COLLEGATI. IL SUBPROCEDIMENTO I procedimenti possono avere una struttura semplice o complessa in base al loro oggetto, al numero e alla natura degli interessi pubblici e privati e quindi dalla necessità di coinvolgere una pluralità di amministrazioni. Si parla di: procedimenti autorizzatori semplici in cui la sequenza procedimentale consiste soltanto in una domanda o istanza presentata dall’interessato in un’istruttoria limitata a poche verifiche documentali e a una decisione affidata a un’unica autorità; procedimenti che richiedono 70 accertamenti fattuali, momenti partecipativi, acquisizione di pareri o di valutazioni tecniche con il coinvolgimento anche nella fase decisionale di una molteplicità di amministrazioni statali, regionali e locali. I procedimenti complessi sono spesso articolati all’interno in subprocedimenti sequenziali, i quali hanno ognuno una unità funzionale autonoma (come per gli impegni). In generale, si parla di procedimenti collegati in tutti i casi in cui una pluralità di procedimenti, da avviare in sequenza o in parallelo, sono funzionali a un risultato unitario. Un esempio di procedimenti collegati in sequenza è l’espropriazione per pubblica utilità. Un esempio di procedimenti collegati avviati in parallelo è la realizzazione e la messa in opera di un impianto industriale. Poi si possono distinguere i procedimenti di primo grado e i procedimenti di secondo grado. I primi hanno il fine di emanare provvedimenti amministrativi con effetti esterni e la cura di un interesse pubblico. Mentre i secondi hanno per oggetto provvedimenti amministrativi già emanati e per scopo la verifica della loro legittimità e compatibilità con l’interesse pubblico. Un’altra distinzione è tra procedimenti finali e procedimenti strumentali. I primi hanno la funzione di curare interessi pubblici nei rapporti esterni con i soggetti privati, i secondi hanno una funzione prevalentemente organizzatoria e riguardano principalmente la gestione dl personale e delle risorse finanziarie. Un’ulteriore distinzione è tra procedimento in senso proprio e procedura interna all’amministrazione. Il primo si riferisce agli atti della sequenza procedimentale che trovano disciplina nella legge o in una fonte normativa in senso proprio. Invece la procedura interna riguarda gli atti e gli adempimenti interni dell’amministrazione che sono previsti da regole di tipo organizzativo o per procedure informali. LA CONFERENZA DI SERVIZI E ALTRE FORME DI COORDINAMENTO La l. 241/1990 individua come strumento principale di coordinamento la conferenza di servizi disciplinata nel Capo IV rubricato Semplificazione amministrativa, modificato da ultimo dal d.lgs 127/2016. Dal punto di vista descrittivo, la conferenza di servizi consiste in una o più riunioni dei rappresentanti degli uffici o delle amministrazioni di volta in volta interessate che sono chiamate a confrontarsi e a esprimere il proprio punto di vista, e nel caso di conferenza decisoria, anche a deliberare. La l. 241/1990 distingue tre tipi di conferenza di servizi: istruttoria, decisoria, preliminare. 1. La conferenza di servizi istruttoria è sempre facoltativa e ha la funzione di promuovere un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento singolo (art 14, comma 1) o in più procedimenti amministrativi collegati riguardanti le stesse attività o risultati (conferenza di servizi interprocedimentale) (art 14, comma 3). Nel caso di procedimento singolo, la conferenza di sevizi, che si conclude con la verbalizzazione delle varie posizioni espresse, serve a raccogliere in un unico contesto gli elementi istruttori utili che saranno posti poi a base della decisione finale. Nel caso di conferenza interprocedimentale la convocazione è operata dall’amministrazione che cura l’interesse pubblico prevalente. Le posizioni espresse in sede di conferenza non possono essere di regola disattese. 2. La conferenza di servizi decisoria è un modulo procedimentale volto a sostituire i singoli atti volitivi e valutativi delle amministrazioni competenti a emanare “intese, concerti nulla osta o assensi comunque denominati”, che devono essere acquisiti per legge da parte dell’amministrazione procedente (art 14, comma 2). La conferenza è convocata dall’amministrazione procedente, anche su richiesta del soggetto privato. La conferenza di servizi si conclude con un verbale nel quale sono riportate le posizioni ci ciascuna amministrazione partecipante. Sulla base del verbale l’amministrazione procedente assume una determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nullaosta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti (art 14-quater). 70 L’istituto dell’acquisizione sanante consente all’amministrazione che ha occupato sine titulo un bene per scopi di pubblica utilità, che ha visto annullati dal giudice amministrativo o che abbia annullato d’ufficio, di disporne l’acquisizione, non retroattiva, al suo patrimonio indisponibile, prevedendo un indennizzo e il risarcimento del danno. LE SANZIONI PECUNIARIE E DISCIPLINARI → Il procedimento per l’inflizione delle sanzioni di tipo pecuniario è disciplinato dalla legge 24 novembre 1981, n. 689 che distingue più fasi: l’accertamento; la contestazione degli addebiti; l’ordinazione-ingiunzione. 1. La fase di accertamento consiste in un’attività di raccolta e di prima valutazione di elementi di fatto soggetti a integrare una fattispecie di illecito amministrativo. L’attività preprocedimentale consiste nell’assunzione di informazioni, rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici, ispezioni di cose e luoghi (diversi dalla dimora privata) e altre operazioni. Queste attività sono effettuate dagli agenti accertatori individuati nelle normative di settore (art 13). In alcuni casi le attività di accertamento avvengono in contraddittorio. Le attività poste in essere e i risultati confluiscono in un processo verbale redatto dall’agente accertatore e che vale come prova fino a querela di falso. 2. Se emerge una violazione, l’amministrazione procede alla contestazione dell’illecito al trasgressore. Dove possibile la contestazione deve essere immediata e in ogni caso deve essere notificata entro 90 giorni dall’accertamento (art 14). La contestazione deve presentare in modo chiaro gli elementi che dimostrano in modo chiaro la violazione. Entro 30 giorni dalla data della contestazione o notificazione della violazione, gli interessati possono presentare scritti difensivi e documenti. Possono chiedere anche di essere sentiti personalmente dall’autorità amministrativa (art 18, comma 1). Entro 60 giorni dalla notificazione l’interessato può procedere all’oblazione, cioè al pagamento di una somma ridotta. 3. L’autorità procedente, dove ritenga che sia provata la violazione, emana l’ordinanza ingiunzione, cioè un provvedimento motivato che determina la somma della sanzione pecuniaria e impone al trasgressore il pagamento della stessa, insieme alle spese, entro 30 giorni. In caso contrario l’autorità dispone l’archiviazione con ordinanza motivata comunicata all’organo che ha messo per iscritto il rapporto (art 18). L’ordinanza-ingiunzione può anche imporre sanzioni accessorie, come la confisca di cose, il cui uso costituisce violazione amministrativa (art 20), o la sospensione di una licenza (art 21, ultimo comma). Il pagamento deve essere effettuato entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento. 4. Contro l’ordinanza-ingiunzione può essere proposta opposizione davanti al giudice ordinario entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento. La l. 689/1981 contiene un sistema organico e compiuto di norme sostanziali e procedurali che è autosufficiente, tale da non chiedere integrazioni esterne da parte della l. 241/1990. La l. 689/1981 costituisce una legge generale in tema di sanzioni amministrative. → Una specie di sanzioni amministrative è costituita dalle sanzioni disciplinari previste prima di tutto per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ma anche per altri soggetti sottoposti a regimi speciali e poteri di vigilanza attribuiti ad apparati pubblici (es. i promotori finanziari vigilati dalla CONSOB). Il d.lgs 165/2001, recante Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, prevede che il dirigente dell’ufficio o, per le sanzioni più gravi, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari che vengono a conoscenza di comportamenti illeciti di un dipendente pubblico devono contestare per iscritto l’addebito “senza indugio e comunque non oltre 20 giorni” (art 55-bis, comma 2). Il dipendente è convocato con un preavviso di 10 giorni per esercitare il proprio diritto di difesa con l’eventuale assistenza di un procuratore o di un rappresentante di un’associazione sindacale (art 55-bis, comma 2). Il dipendente può decidere di non presentarsi e può limitarsi a inviare una memoria scritta. 70 L’amministrazione procede, se necessario, a un’ulteriore attività istruttoria. Il procedimento si conclude con l’archiviazione o con l’inflizione della sanzione (rimprovero scritto, licenziamento, sospensione temporanea del servizio), entro 60 giorni dalla contestazione dell’addebito. Le sanzioni possono essere impugnate dal dipendente davanti al giudice ordinario previo esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione. La giurisdizione è invece del giudice amministrativo nel caso di dipendenti esclusi dal regime di privatizzazione. LE AUTORIZZAZIONI. IL PERMESSO A COSTRUIRE La direttiva 2006/123/CE pone il principio secondo il quale le procedure e le formalità per l’accesso a un’attività di servizi devono essere “sufficientemente semplici” (art 5). Gli stati membri devono istituire sportelli unici presso i quali gli interessati possono eseguire tutte le procedure (art 6) e acquisire tutte le informazioni (art 7). Le procedure e le formalità devono essere chiare, rese pubbliche preventivamente e tali da garantire ai richiedenti che la loro domanda sarà trattata con obiettività e imparzialità (art 13). La domanda di autorizzazione deve essere trattata entro un termine di risposta ragionevole prestabilito e reso pubblico preventivamente. La mancata risposta fa scattare il silenzio-assenso (art 13). Un esempio di procedimento autorizzatorio disciplinato dal diritto interno è quello relativo al rilascio del permesso a costruire disciplinato dal Testo unico in materia edilizia approvato con dpr 380/2001 (art 20). Il procedimento inizia con la presentazione allo sportello unico per l’edilizia del comune di una domanda sottoscritta, di regola, dal proprietario. Entro 10 giorni lo sportello unico comunica al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento. Quest’ultimo cura l’istruttoria acquisendo i pareri degli uffici comunali, nonché altri pareri come quello dell’Azienda sanitaria locale e dei vigili del fuoco. All’esito dell’istruttoria, entro 60 giorni dalla presentazione della domanda, il responsabile del procedimento formula una proposta al dirigente del servizio che nei successivi 15 giorni rilascia il permesso a costruire. Passati tali termini “si intende formato il silenzio-rifiuto” (art 20, comma 9). L’interessato può a questo punto proporre un ricorso in sede giurisdizionale. I PROCEDIMENTI CONCORSUALI Per l’amministrazione si pone il problema di come scegliere tra più aspiranti allo stesso bene o utilità. Alcune indicazioni si ricavano già dalla Costituzione e dal diritto europeo. Per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e più in generale agli uffici pubblici, gli art 51, comma 1, e 97, comma 3, pongono il principio di eguaglianza e il principio di concorso pubblico. La direttiva 2006/123/CE dispone che quando il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsità delle risorse, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza e preveda un’adeguata pubblicità (art 12). Anche la l. 241/1990 prevede che la connessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualsiasi genere sono subordinate alla predeterminazione e alla pubblicazione da parte dell’amministrazione procedente dei criteri e delle modalità cui esse devono attenersi (art 12). I procedimenti di tipo competitivo o concorsuale hanno la funzione specifica di selezionare gli aspiranti a una risorsa scarsa in base ad alcuni principi generali: il principio di pubblicità, che consente a tutti gli interessati di aver notizia della procedura che sta per essere avviata; il principio di parità di trattamento che ha lo scopo di mettere sullo stesso piano tutti gli aspiranti; il principio di trasparenza della procedura, che consente un controllo sulla corretta applicazione dei criteri di selezione; il principio di oggettività dei criteri, che fa privilegiare,dove possibile, principi di riferimento che non lasciano spazi di discrezionalità, o che comunque tende a promuovere la non arbitrarietà dei giudizi valutativi e della formulazione delle graduatorie. 70 Un esempio di questa tipologia di procedimenti è il concorso per l’accesso agli impieghi pubblici che costituisce la modalità ordinaria per il reclutamento del personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. L’ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è disciplinato, oltre che dalla l. n. 241/1990, dal regolamento attuativo approvato con dpr 184/2006. Il procedimento di accesso è a iniziativa di parte e si apre con la richiesta presentata dal soggetto interessato. La richiesta va rivolta a una pubblica amministrazione. Essa può riferirsi soltanto a documenti ben individuati e già formati. Il dpr 184/2006 distingue due modalità di accesso: formale e informale. L’accesso informale si può avere quando non ci sono soggetti controinteressati per i quali si ponga un problema di riservatezza e in questo caso la richiesta può anche essere verbale (art 5). Essa è esaminata immediatamente e senza formalità ed è accolta senza l’adozione di un particolare atto, ma tramite l’esibizione del documento o l’estrazione di copia. L’accesso formale è necessario nei casi in cui l’amministrazione riscontri l’esistenza di potenziali controinteressati, o quando nascono dubbi sulla legittimazione del richiedente (art 6, comma 1). La richiesta deve essere presentata per iscritto e deve indicare gli estremi del documento o gli elementi che consentano di individuarlo. Inoltre essa deve essere motivata. Il procedimento prevede anche una fase di contraddittorio con i soggetti conrointeressati, a cui l’amministrazione è tenuta a dar comunicazione della richiesta presentata con l’assegnazione di un termine di 10 giorno per presentare opposizione. Il procedimento di accesso deve concludersi entro 30 giorni dalla richiesta. Finito il termine la richiesta “si intende respinta” (art 25, comma 4, l. 241/1990). L’atto di accoglimento della richiesta indica l’ufficio e il periodo di tempo (almeno 15 giorni) concesso per prendere visione o per ottenere copia dei documenti (art 7 del dpr 184/2006). Il procedimento può concludersi, oltre che con un provvedimento che concede o nega l’accesso, anche con un provvedimento che dispone il differimento dell’accesso. Infatti, l’accesso non può essere negato quando possa essere sufficiente far ricorso al potere di differimento. Quest’ultimo si giustifica nei casi in cui l’accesso possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa (art 24, comma 4, l. 241/1990), fermo restando che una volta concluso il procedimento non c’è alcuna ragione per non rendere disponibile agli interessati l’intera documentazione. Un caso importante di differimento previsto per legge riguarda l’accesso ai documenti nei procedimenti per l’affidamento di contratti pubblici, in relazione all’esigenza di non compromettere la regolarità della procedura. Infatti l’art 13 Codice dei contratti pubblici vieta l’accesso all’elenco dei soggetti che hanno presentato l’offerta fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte. Contro il diniego espresso o tacito dell’accesso (anche differimento) può essere proposto un ricorso giurisdizionale entro 30 giorni davanti al giudice amministrativo. In alternativa al ricorso giurisdizionale, la l. 241/1990 prevede un ricorso di tipo amministrativo attuabile, a seconda dei casi, davanti al difensore civico o alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi istituita presso la presidenza del Consiglio dei ministri (art. 25, comma4, e art. 27) che si devono pronunciare entro 30 giorni. Finito questo termine, il ricorso si intende respinto e può essere proposto ricorso in sede giurisdizionale. L’accesso civico si caratterizza per il fatto che non richiede la titolarità di una situazione giuridica soggettiva in capo al richiedente. I CONTROLLI 70 andamento, dall’imparzialità dell’amministrazione (art 97). In funzione di questo obiettivo, l’accesso ai pubblici impieghi avviene di regola tramite concorso (art 97, comma 3). Inoltre l’accesso ai pubblici uffici deve essere garantito a tutti i cittadini in condizione di eguaglianza (art 51) e i cittadini ai quali sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando anche giuramento (art 54, comma 2). Emerge una connessione tra status di cittadino e status di dipendente pubblico, nel senso che il cittadino è titolare di una pretesa a partecipare alla vita pubblica. Del resto anche il TFUE esclude gli impieghi nella pubblica amministrazione dall’applicazione del principio della libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione. La Costituzione pone peraltro limiti al rapporto di supremazia speciale in cui può essere posto il dipendente pubblico: sono previste restrizioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per alcune figure particolari (art 98). Nel complesso la Costituzione prefigura un assetto del pubblico impiego con caratteri di specialità rispetto all’impiego privato, ma non impone necessariamente uno statuto integralmente pubblicistico. All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso venne avviato il processo di riforma legislativa che portò all’assetto normativo attuale accolto nel d.lgs 165/2001. La riforma si ispirava alla concezione privatistica e si inseriva all’interno di un disegno più ampio di riassetto della pubblica amministrazione che serviva ad accrescere l’efficienza e a contenere la spesa pubblica. Il processo si è articolato in due fasi. Il d.lgs 29/1993 operò una privatizzazione del rapporto di impiego dei dipendenti pubblici, escludendo però alcune categorie e tutti i dirigenti generali. La fase successiva superò alcune ambiguità, includendo nel regime privato anche i dirigenti generali. Più di recente il d.lgs 150/2009 ha introdotto numero modifiche al d.lgs 165/2001. Due decreti legislativi approvati a maggio 2017 hanno modificato i due decreti legislativi sopra citati. LE FONTI DI DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI LAVORO Il campo di applicazione delle norme generali dell’impiego pubblico privatizzato contenute nel d.lgs 165/2001 è definito nell’art 1, che individua un elenco molto ampio di amministrazioni pubbliche (Stato, enti territoriali, camere di commercio, ecc.) i cui dipendenti ricadono nel regime privatistico (art 2, comma 2). Però alcune categorie di personale restano sottoposte al diritto privato. Esse sono il personale militare e delle forze di polizia, i magistrati, gli avvocati dello Stato, i vigili del fuoco, ecc. (art 3). Per alcune di esse il regime è integralmente pubblicistico; per altre alcuni aspetti del rapporto sono disciplinati da accordi collettivi o sono previste procedure di concertazione con rappresentanze del personale. La disciplina è adottata con provvedimenti unilaterali, decreti del presidente della Repubblica. Tutti elle controversie sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art 63). Per il personale che fa parte del regime privatistico il sistema delle fonti dà origine a un diritto privato differenziato. Infatti, il rapporto di lavoro è disciplinato dalle disposizioni del codice civile e dalla legge sui rapporti di lavoro subordinato dell’impresa, salvo quanto disposto nel d.lgs. Il carattere imperativo delle disposizioni speciali fa si che esse non possano essere derogate in sede di contrattazione collettiva. In aggiunta alle disposizioni legislative generali e speciali di livello primario, il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è regolato da due tipi di strumenti privatistici: i contratti collettivi e i contratti individuali (art. 2, comma 3). La contrattazione collettiva “determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali” (art. 40, comma 1). I contratti individuali, che instaurano il rapporto di lavoro tra dipendente e amministrazione di regola all’esito di un concorso pubblico, devono garantire la parità di trattamento, in particolare per quanto riguarda gli aspetti retributivi previsti nei contratti collettivi (art 2, comma 3). I contratti collettivi assumono così un’efficacia erga omnes, cioè anche nei confronti dei dipendenti non iscritti ai sindacati che hanno sottoscritto il contratto collettivo. 70 Per i contratti collettivi vanno approfonditi due temi: l’ambito in cui essa opera; le modalità organizzative e procedurali per la conclusione del contratto collettivo. 1. La contrattazione collettiva è ammessa entro uno spazio delimitato dal d.lgs 165/2001, come modificato nel 2009. Sono escluse da essa le materie che riguardano l’organizzazione degli uffici che sono disciplinate da ciascuna amministrazione (art 2, comma 1, e art 40, comma 1). Sono escluse le materie che riguardano le prerogative degli uffici i quali sono addetti all’organizzazione degli stessi e alla gestione dei rapporti di lavoro (art 5, comma 2). Sono anche escluse le materie relative al conferimento e alla revoca degli incarichi dirigenziali, alla determinazione dei ruoli e dotazioni organiche, ai procedimenti per l’accesso al lavoro, ecc. (art 40, coma 1). 2. Per quanto riguarda le modalità organizzative e procedurali, ci sono due aspetti importanti: i livelli della contrattazione collettiva; i soggetti della contrattazione. 2a) Per il primo aspetto la legislazione delinea un sistema a cascata flessibile, perché spetta alla contrattazione collettiva disciplinare la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi (art 40, comma 3). In particolare, il d.lgs 165/2001 prevede tre livelli di contrattazione. Il primo livello serve a individuare i comparti che includono categorie di personale dipendente da amministrazioni omogenee (es. comparto enti locali) (art. 40, comma 2). Al di sotto degli accordi di comparti, opera il secondo livello costituito dai contratti collettivi nazionali, che disciplinano aspetti economici e giuridici fondamentali, determinano le materie, i vincoli, i limiti finanziari e le procedure relative ai contratti collettivi decentrati. Al di sotto dei contratti collettivi nazionali, ci sono i contratti collettivi integrativi che riguardano il personale di una singola amministrazione (art 40, comma 3-bis). 2b) Quanto ai soggetti della contrattazione collettiva, per la parte pubblico è stato istituito un organismo tecnico, cioè l’Agenzia per la rappresentanza regionale delle pubbliche amministrazioni (ARAN). Essa ha la rappresentanza negoziale di queste ultime in sede di negoziazione dei contratti collettivi nazionali (art 46, comma 1) e può assistere le singole amministrazioni per la contrattazione integrativa (comma 2). L’Agenzia ha personalità giuridica e ha come organi un presidente e un collegio di indirizzo e di controllo costituito da quattro esperti in materia di relazioni sindacali nominati in modo che vengono rappresentate le amministrazioni statali, le regioni e gli enti locali (commi 7 e 10). Essa negozia con le rappresentanze sindacali nel rispetto degli indirizzi impartiti da tre comitati di settore, costituiti con riferimento al comparto del personale regionale, degli enti locali e delle amministrazioni statali. La controparte dell’ARAN in sede di contrattazione collettiva è costituita dalle organizzazioni sindacali dei dipendenti pubblici, con una rappresentatività non inferiore al 5%. LA COSTITUZIONE E LO SVOLGIMENTO DEL RAPPORTO DI LAVORO I procedimenti di selezione e di avviamento al lavoro nelle PA propedeutici alla costituzione alla costituzione del rapporto sono regolati esclusivamente dalla legge (art 2 l. 421/1992). Il concorso pubblico costituisce la regola generale per la selezione e l’avviamento al lavoro nelle pubbliche amministrazioni (art 97, comma 3, Cost.). Il reclutamento del personale tramite procedure selettive che rispettino i principi di pubblicità, trasparenza, oggettività, pari opportunità è obbligatorio per tutte le amministrazioni pubbliche e per tutto il personale (art 35, comma 1, lett. a), d.lgs 165/2001). Il concorso pubblico costituisce la regola generale anche per l’accesso alla qualifica di dirigente di prima e di seconda fascia (art 28 e 28-bis). Per la selezione dei dirigenti di seconda fascia in alternativa al concorso è previsto il corso-concorso pubblicato dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione, che dura 12 mesi. L’avvio alle procedure di reclutamento avviene in base all’esigenza di copertura dei posti previsti dalle piante organiche determinate da ciascuna amministrazione. Le fasi del procedimento sono quattro: l’avvio della procedura; l’ammissione delle domande di partecipazione; la fase istruttoria-volitiva; la fase decisionale. Sotto al procedimento c’è l’assunzione in servizio. 70 1. Dell’avvio della procedura se ne occupa ogni amministrazione nell’ambito della programmazione triennale del fabbisogno di personale, attraverso un provvedimento di indicazione del concorso e la pubblicazione di un bando. Il bando contiene una serie di prescrizioni aventi per oggetto i requisiti per la partecipazione, il termine e le modalità di presentazione della domanda, la tipologie delle prove,… Esso è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e costituisce lex specialis della procedura, che vincola l’amministrazione. 2. Le domande di partecipazione devono essere inviate o presentate entro 30 giorni dalla pubblicazione del bando (art 4). Le domande vengono esaminate dall’amministrazione che ha stabilito il concorso allo scopo di valutarne l’ammissibilità in base ai requisiti generali e speciali richiesti dalla normativa e dal bando (es. titoli di studio). La mancata ammissione è impugnabile innanzi al giudice amministrativo 3. Allo scopo di garantire imparzialità e competenza, l’amministrazione affida la fase istruttoria– valutativa a una commissione esaminatrice composta da tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti fra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime. La commissione è addetta allo svolgimento delle prove scritte e orali e alla valutazione dei titoli. Prima delle prove, essa deve stabilire i criteri e le modalità di valutazione al fine di assegnare i punteggi (art 12). La commissione da conto di tutte le operazioni compiute in un verbale. A conclusione delle attività valutative la commissione formula una graduatoria di merito in base ai punti della valutazione complessiva. 4. La fase decisionale a cura dell’amministrazione che ha stabilito il concorso consiste in un esame della regolarità della procedura e nell’approvazione della graduatoria di merito con l’indicazione dei candidati vincitori o comunque idonei. La graduatoria dei vincitori è pubblicata nel bollettino dell’amministrazione interessata e di essa viene data notizia nella Gazzetta Ufficiale (art 15). Il provvedimento che approva la graduatoria conclude il procedimento concorsuale ed è soggetto all’impugnazione davanti al giudice amministrativo. 5. Concluso il procedimento i vincitori vengono assunti in servizio con un contratto di lavoro individuale o, nel caso dei dipendenti pubblici non sottoposti al regime privatistico, con un provvedimento di nomina. Il contratto individuale non lascia spazio alle parti per modulare ulteriormente il contenuto dei diritti e degli obblighi rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi. È previsto un obbligo di esclusività, per cui il dipendente pubblico non può esercitare il commercio, l’industria, ne alcuna professione o assumere impieghi alla dipendenze di privati. l’inosservanza dell’obbligo comporta l’applicazione di sanzioni disciplinari. Per alcune categorie di dipendenti è ammesso il regime part-time (docenti universitari e delle scuole, ecc.), in deroga all’obbligo di esclusività. Non rientrano nel regime dell’incompatibilità alcune collaborazioni, come con giornali e riviste. Ogni incarico retribuito deve essere autorizzato dall’amministrazione di appartenenza. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a mansioni equivalenti e può essere adibito a mansioni superiori solo in caso di vacanza di posto in organico, per un periodo non superiore a 6 mesi, e in caso di sostituzione di altro dipendente in aspettativa. I dipendenti sono inquadrati in 3 aree funzionali. La progressione fra le aeree avviene in base a concorsi pubblici. Il trattamento economico è definito nei contratti collettivi. Esso si distingue in trattamento fondamentale ed accessorio, quest’ultimo attribuito in base ad una valutazione della performance operato da un organismo indipendente di valutazione. Per favorire la mobilità tra i diversi comparti della contrattazione collettiva è prevista una tabella di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione. La mobilità collettiva in caso di eccedenze di personale avviene attraverso un procedimento che prevede un’informazione preventiva alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali e favorisce il reimpiego presso altre amministrazioni. Nel rapporto di lavoro possono essere previste sanzioni disciplinari. L’individuazione della tipologia delle infrazioni e delle sanzioni (sospensione del servizio, licenziamento) è prevista dalla 70 La regolazione pubblica di alcuni beni privati è giustificata talvolta dal fatto che essi costituiscono monopoli naturali. I BENI DI INTERESSE PRIVATO E I BENI DI INTERESSE PUBBLICO I beni possono essere classificati in base al criterio della maggiore o minore incidenza dei regimi pubblicistici aggiuntivi o derogatori rispetto al diritto comune. Si distinguono beni privati di interesse privato e beni privati di interesse pubblico. 1. I primi sono disciplinati totalmente dal codice civile. I proprietari dei beni privati hanno diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo sia pure entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico. Ma anche a questi beni possono essere applicate regole pubblicistiche che attribuiscono poteri conformativi ad apparati pubblici. Questa regolamentazione va a garantire interessi che sono esterni ai beni stessi. In questa categoria rientrano i beni patrimoniali disponibili appartenenti allo Stato e agli enti territoriali regolati dal diritto comune; sono beni che non sono adibiti né a uffici privati né a fruizione pubblica ma la PA si limita a ritirare reddito. 2. I beni di interesse pubblico sono beni che sotto il profilo oggettivo hanno un ‘importanza pubblicistica. Viene garantito l'interesse da un bene in particolare, l'interesse è interno al bene. La categoria più importante di beni di interesse pubblico sono i beni culturali e i beni paesaggistici. I primi sono costituiti dalle cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà (art 2 codice beni culturali). I secondi sono costituiti dagli immobili e dalle aree costituente espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici e estetici del territorio. 2a) Per quanto riguarda il regime: secondo l’art 9 Cost, l'ordinamento attribuisce alla Repubblica la funzione di tutela (attribuita alla Stato) e la funzione di valorizzazione (quest'ultima attribuita alle Regioni art. 17) di beni culturali. L’individuazione dei beni culturali avviene attraverso elenchi tassativi o attraverso un procedimento amministrativo in contraddittorio, aperto d’ufficio, con i proprietari titolari di alcune tipologie di beni inclusi indicate nella legge. I beni individuati sono inseriti in un catalogo nazionale ed è previsto un regime speciale di vigilanza e ispezione. La tutela consiste in una serie di misure di protezione e conservazione. La circolazione è gravata da una serie di vincoli: alcuni sono inalienabili, per altri è previsto un regime di autorizzazione preventiva. I beni culturali di proprietà privata possono essere alienati ma lo Stato e gli enti pubblici possono esercitare diritto di prelazione. Per quanto riguarda la fruizione: i beni degli enti pubblici la frizione può essere a titolo gratuito o a pagamento; dei beni appartenenti a privati deve essere consenta la visita al pubblico nel caso in cui siano dichiarati di interesse eccezionale con atto del ministro. La valorizzazione consiste nell’attività di promozione della conoscenza del patrimonio culturale, assicurandone le migliori condizioni di fruizione. Essa può essere a iniziativa pubblica o privata e la gestione può essere affidata anche a soggetti terzi. 2b) Un’altra tipologia è costituito dalle aree naturali protette, cioè aventi un valore naturalistico e ambientale. il regime speciale di tutela e gestione è volto all conservazione delle specie animali e vegetali, degli equilibri ecologici, promozione di attività di ricerca,… Le aree sono suddivise in più categorie: parchi nazionali, parchi naturali generali, riserve naturali protette. I parchi nazionali sono costituti in enti aventi personalità giuridica di diritto pubblico. L’ente parco disciplina i beni in esso inclusi con un regolamento e un piano, emananti dopo aver acquisito un parere della comunità del parco. 2c) Una specie particolare di beni privati è emersa in conseguenza dei processi di liberalizzazione di attività economiche, costituito dalle reti, cioè infrastrutture fisiche necessarie per l’erogazione di alcuni servizi pubblici. Richiedono una regolazione pubblica sotto due profili: la garanzia di accesso sulla base di criteri di uguaglianza; la definizione delle tariffe per evitare che il monopolista abusi del suo potere. I BENI PATRIMONIALI INDISPONIBILI E I BENI DEMANIALI 70 Il codice civile contiene una classificazione dei beni appartenenti allo Stato e agli enti pubblici fondata sulla distinzione tra demanio pubblico (art 822 ss.) e beni patrimoniali. 1. I beni patrimoniali indisponibili sono sottoposti a regole speciali e alle regole del codice civile (art 828). Il codice fornisce un elenco tassativo: foreste, miniere, ecc. Il carattere indisponibile del bene si caratterizza nel fatto che essi non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalla legge che li riguardano (art 829 cc). Il vincolo di destinazione può essere rimosso con un atto amministrativo. Essi non possono essere oggetto di procedure di espropriazione forzata. 2. I beni demaniali costituiscono il demanio necessario e il demanio eventuale (o accidentale). I beni del demanio necessario possono appartenere soltanto allo Stato e sono elencati in modo tassativo dall’art. 822, comma 1: il lido del mare, la spiaggia, ecc. I beni del demanio eventuale fanno parte del demanio solo se appartengono allo Stato, alle regioni o agli enti territoriali (art 824) e sono elencati dall’art 822, comma 2: strade e autostrade, acquedotti, ecc. La condizione giuridica dei beni demaniali si caratterizza per il fatto che essi sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge (art 823, comma 1). Inoltre, l’autorità amministrativa ai fini di tutela dei beni demaniali può ricorrere sia ai mezzi ordinari stabiliti dal codice civile a tutela della proprietà, sia all’autotutela amministrativa (art 823, comma 2). I beni demaniali sono in gran parte destinati all’uso pubblico. Tuttavia essi possono essere attribuiti in uso o godimento a singoli utilizzatori attraverso lo strumento della concessione amministrativa. Gli elenchi dei beni demaniali del codice civile includono sia beni naturali sia beni artificiali; per i primi l’acquisto e la perdita della demanialità è dovuta a mutamenti della situazione di fatto, mentre nei secondi a determinazioni di tipo amministrativo. Leggi recenti hanno attenuato il principio di inalienabilità dei beni demaniali, consentendone il trasferimento o il conferimento a società pubbliche allo scopo di consentirne l’utilizzazione e la valorizzazione economica. I BENI COMUNI E LE PROSPETTIVE DI RIFORMA I beni comuni sono per esempio l’aria, il mare o gli astri. Cioè si tratta, riprendendo la nozione del codice civile di “cose che non possono formare oggetto di dritti” perché non hanno la caratteristica della appropriabilità da parte dei singoli e dunque non sono qualificabili come “beni” in senso giuridico. In seguito al progresso tecnologico, uno di questi beni, cioè l’etere (lo spettro delle frequenze radio), ha assunto la natura di un bene in senso proprio (patrimoniale indisponibile), perché è una risorsa che può essere attribuita in uso esclusivo determinati soggetti per svolgere attività aventi anche rilevanza economica (telefonia mobile). Da qualche hanno i beni comuni sono al centro di un dibattito che si è concentrato principalmente su due temi. Da un lato, alcuni di essi stanno acquisendo la caratteristica della scarsità e quindi richiedono una disciplina pubblicistica che ne impedisca il sovraconsumo e il depauperamento (acqua); dall’altro, si è sottolineata la necessità di garantire l’accesso e l’uso da parte della collettività su base paritaria. I CONTRATTI Le amministrazioni pubbliche godono di una capacità generale di diritto privato: esse possono stipulare con fornitori privati contratti per l'acquisto di beni e servizi e per l'esecuzione di lavori di cui esse hanno necessità per il perseguimento delle finalità di interesse pubblico. Le fasi della formazione del vincolo contrattuale sono più specifiche e particolari del procedimento normale, in quanto si deve assicurare la par condicio tra i possibili fornitori di servizi/beni/lavori. Il codice del contratto pubblico prevede una fase di formazione retta da regole di diritto pubblico e la fase di esecuzione del contratto retta da diritto privato. Oggi invece vi è un'imposizione proconcorrenziale della disciplina, volta a garantire in primis la par condicio e aprire il mercato degli appalti pubblici alla concorrenza a livello nazionale e europeo. 70 Il Codice dei contratti pubblici recepisce le direttive 2014/24/UE (appalti), 2014/25/UE (settori speciali) e 2014/23/UE (contratti di concessione di lavoro e di servizi). Il nuovo Codice, con le modifiche del d.lgs 56/2017, ha sostituito il precedente approvato con d.lgs 163/2006. La disciplina stabilita a livello statale è adottata nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva statale nelle materie in cui è riconducibile lo specifico contratto. essa può essere integrata da leggi regionali. Tra le fonti rientrano anche i capitolati generali e speciali: le stazioni appaltanti possono adottare capitolari contenenti la disciplina di dettaglio e tecnica della generalità dei propri contratti o di specifici contratti. Le fonti esterne al codice sono invece: la legge anticorruzione (190/2012) che obbliga le stazioni appaltanti a pubblicare una serie di informazioni relative ai bandi pubblicati, all'aggiudicato ecc; il codice penale che contiene disposizioni che individuano alcune figure specifiche di reato come il reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente; le imprese che partecipano alle gare pubbliche devono rispettare la normativa antimafia e sono soggette a obblighi di traccabilità dei flussi finanziari derivanti dalle commesse pubbliche; il Codice del processo amministrativo che dedica alcuni articoli ai contratti pubblici. Al mercato dei contratti pubblici è preposta l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) con funzioni di vigilanza, controllo e regolazione (art 213 Codice). Essa svolge attività di regolazione dei contratti attraverso l’emanazione di linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo e altri strumenti di regolazione flessibili. Le linee guida adottate previa consultazione con le categorie e i soggetti interessati e l’analisi e la verifica di impatto della regolazione sono definite in alcuni casi come vincolanti, in altri no. L’Autorità è titillar di poteri ispettivi, può richieder informazioni e documenti, può supportare le stazioni appaltanti nella predisposizione degli atti e nella gestione delle procedure. Essa gestisce una banca dati nazionale dei contratti pubblici, formula proposte e invia segnalazioni al governo e al parlamento. L’Autorità gestisce un nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza. Ai fini ella qualificazione, che ha durata di 5 anni, ciascuna stazione deve dimostrare il possesso di una serie di requisiti. L’Autorità gestisce anche il sistema di rating di impresa applicabile ai fini della qualificazione delle imprese attraverso il rilascio di una certificazione. I PRINCIPI GENERALI E IL CAMPO DI APPLICAZIONE DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI L’art 30 del Codice stabilisce che l’affidamento dei contratti pubblici deve garantire la qualità delle prestazioni e deve svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza e dei dei principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità. Il codice, sulla scorta di direttive europee, modula le procedure di affidamento in funzione del livello di rischio di distorsione della concorrenza dal lato della domanda di beni, servizi e lavori. Quanto più i soggetti committenti operano in contesti non concorrenti e possono dunque essere influenzati nel loro agire da ragioni extraeconomiche più è elevato il rischio che la scelta dei fornitori sia favore di determinate imprese es. a causa di contiguità politica o complicità affaristica. Per questo è richiesta maggiore rigorosità. Ambito d'applicazione soggettivo del Codice: • Committenti che per definizione operano fuori da ogni mercato le c.d. “amministrazioni aggiudicatrici” ovvero le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali e altri enti pubblici non economici ai quali si applica il regime più garantista e formalizzato previsto per la scelta del contraente, perchè questi soggetti non esercitano le loro funzioni in base a logica economica e non subiscono alcuna pressione concorrenziale. 70 Il Codice prevede alcune procedure innovative: Dialogo competitivo: Il “dialogo competitivo” è una procedura con la quale l’amministrazione aggiudicatrice avvia un dialogo con i candidati ed è alternativa nel caso di appalto complesso. L’obiettivo è quello di valutare soluzioni tecniche, giuridiche e finanziarie che soddisfino le esigenze dell’ente appaltante. Il cantiere si può definire “complesso” nel caso in cui l’ente che indice l’appalto non abbia a disposizione gli strumenti e gli studi per definire le caratteristiche dell’intervento. Netta è la separazione tra la fase di dialogo, in cui avviene una vera e propria messa a punto delle soluzioni ritenute idonee separatamente con ogni impresa, e la successiva fase in cui l’amministrazione riceve e valuta le offerte. Concede alla stazione appaltante la massima flessibilità e informalità e presuppone che tra stazione e imprese si instauri un clima di fiducia reciproca e di disponibilità a un confronto. Il partenariato per l’innovazione è una procedura introdotta nel nuovo Codice (art 65), che può essere esperita nelle ipotesi in cui la stazione appaltante abbia l’esigenza di sviluppare prodotti, servizi o lavori innovativi, quindi non già disponibili sul mercato. La procedura è strutturata per fasi successive con una pluralità di operatori economici, prevedendo obiettivi intermedi, riducendo via via il numero degli operatori e negoziando offerte migliorative. Aste elettroniche: Le aste elettroniche (e-procurement) sono possibili soltanto nei casi in cui l’aggiudicazione può avvenire sulla base di elementi che possono essere espressi in valori numerici (prezzo, tempi di realizzazione e consegna, ecc.) tali da poter essere determinati e raffrontati in modo automatico con mezzi informatici (art 85, comma 3). L’asta è preceduta da una fase nella quale la stazione appaltante opera una prima valutazione delle offerte. Nel corso dell’asta le imprese invitate inviano con mezzi elettronici prezzi e valori via via migliorativi e ricevono in tempo reale la rispettiva posizione in graduatoria. L’asta si conclude alla data e all’ora preventivamente comunicate e l’aggiudicazione avviene a favore dell’offerta migliore. L’accordo quadro: Gli accordi quadro sono procedure particolari e si riferiscono soprattutto alle forniture e ai servizi. L’”accordo quadro” è un contratto il cui scopo è quello di stabilire le condizioni e le clausole relative a singoli appalti da aggiudicare in un determinato periodo di tempo (non più di 4 anni) (art 3, comma 13, e art 59). L’accordo è aggiudicato all’esito di un procedura che si svolge con le modalità ordinarie a seguito della quale vengono individuate una o più imprese. Se l’impresa aggiudicataria è una sola, a valle dell’accordo le stazione appaltante può stipulare poi o singoli contratti con quest’ultima. Se le imprese sono più di una, almeno tre, i singoli contratti a valle sono conclusi tra queste ultime senza un ulteriore confronto competitivo in base ad un ordine di priorità stabilito nel bando. Gli accordi quadro spesso sono stipulati dalle centrali di committenza che sono definite come amministrazioni aggiudicatrici che acquistano forniture e servizi, aggiudicano appalti di lavori o accordi quadro destinati ad altre amministrazioni (art. 3, comma 34). L’ESECUZIONE DEL CONTRATTO L’esecuzione avviene secondo i principi di diritto privato, ma, soprattutto per quanto riguarda i lavori pubblici vi è una disciplina speciale nel Codice. L’esatto adempimento da parte dell’impresa è garantito anzitutto da idonee garanzie fideiussorie e assicurative. Vige poi il principio della invariabilità del contratto → le modifiche sostanziali del contratto possono alterare il senso complessivo della procedura di gara e quindi non sono ammesse; vi è una tassatività delle cosidette varianti in corso d'opera che sono ammesse in pochi casi es. causa impreviste; e comunque non possono comportare un aumento di valore del contratto superiore a 1/5. Le varianti sono sottoposte al controllo dell’ANAC. Regole particolari sono previste per la revisione dei prezzi. Le clausole di revisione devono essere previste nei documenti di gara iniziali in modo chiaro, preciso e inequivocabile. Per i contratti relativi ai lavori le variazioni di prezzo possono essere valutate sulla base di prezzari ufficiali solo per la parte eccedente il 10% rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà. Il subappalto è ammesso entro il limite dell'importo del 30% delle prestazioni previste dal contratto. La facoltà di procedere al subappalto deve essere dichiarata dall’impresa già nel momento in cui presenta l’offerta, il subappalto deve essere consegnato all’amministrazione almeno 20 giorni 70 prima della sua esecuzione, l’impresa deve dimostrare il possesso di requisiti richiesti per lo svolgimento delle attività subappaltate. Alla fase di esecuzione è preposto il direttore dei lavori, interlocutore principale tra impresa e PA che esercita funzioni di controllo tecnico, contabile e amministrativo dell'esecuzione. Egli agisce in base alle istruzioni impartite dal responsabile del procedimento e può emanare ordini di servizio all’esecutore. L'andamento dei lavori è scritto e tenuto nel registro di contabilità, e possono essere inserite delle riserve, cioè eccezioni e contestazioni relative all'andamento del lavoro e alle richieste del direttore dei lavori che possono determinare il riconoscimento a favore dell'esecutore di importi aggiuntivi che l'esecutore deve quantificare nella riserva, contenuti entro tetti massimi. Il collaudo, ossia la verifica finale della conformità delle prestazioni eseguite a quelle pattuite è affidato dall’amministrazione ad un suo funzionario e in taluni casi anche ad un terzo. In ogni caso deve essere garantita la terzietà. È concesso il recesso dal contratto, previo pagamento dei lavori eseguiti e dei materiali esistenti nel cantiere e di un indennizzo. La risoluzione è prevista in caso di inadempimento, ritardo o irregolarità nell'esecuzione. I MEZZI DI TUTELA Sono previsti dalla normativa europea. I principali sono: -Standstill period: divieto di stipulare il contratto prima di 35 giorni dalla comunicazione alle imprese del provvedimento di aggiudicazione; - Il processo amministrativo in materia di contratti pubblici è strutturato come un rito speciale accelerato, con termini ridotti, incluso quello per la proposizione del ricorso che è di 30 giorni. Il giudice amministrativo è titolare di poteri decisionali che comportano valutazioni delicate. Ove l’illegittimità dipenda da tre tipi di vizi gravi (aggiudicazione senza previa pubblicazione di un bando, stipula del contratto prima della scadenza dei termini dilatori) il giudice, oltre ad annullare l’aggiudicazione dichiara l’inefficacia del contratto. Il giudice può decidere che il contratto resti efficace quando sussistano esigenze imperative connesse ad un interesse generale. inoltre è possibile applicare sanzioni di tipo sostanzialmente amministrativo, nel rispetto del principio del contraddittorio Sono previsti dal Codice anche strumenti di tutela non giurisdizionale: 1- Transazione: limitata alle controversie che involgono diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione del contratto; 2- Accordo bonario: si attiva quando l'impresa ha inserito una modifica al contratto tale da determinare una variazione del prezzo superiore al 10% dell'importo contrattuale. È una particolare procedura di tipo arbitrale, composta da una commissione che può emettere un parere vincolante o no, a discrezione delle parti; 3- Arbitrato: limitato a situazioni che involgono diritti soggettivi; 4- Parere dell’ANAC sulle questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara. Si tratta di un parere vincolante per le parti che abbiano preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito, impugnabile davanti al giudice amministrativo. Il procedimento prevede un contraddittorio. LA FINANZA Vi è la necessità di risorse finanziarie per dotarsi di personale e acquistare beni e servizi. Gli esborsi possono avvenire in forma diretta o indiretta. Ossia attraverso incentivi, sovvenzioni, premi e contributi ai singoli aventi diritto oppure in forma indiretta ossia attraverso la realizzazione di opere e l‟erogazione di servizi in natura (esempio cure mediche speciali). Di regola, le attività della pubblica amministrazione sono pose a carico della fiscalità in generale. Infatti la maggior parte delle entrate nella pubblica amministrazione hanno natura tributaria e solo in minima parte derivano da proventi patrimoniali. La costituzione prevede a riguardo una riserva relativa di legge all‟art. 23 e impone un‟obbligo di contribuire alle spese pubbliche in ragione della propria 70 capacità contributiva e attribuisce alle regioni e gli enti territoriali autonomia finanziaria di entrata e di spesa, inclusa la podestà di isitutire, entro certi limiti, tributi propri. I bilanci di previsione della pubblica amministrazione servono ad allocare le risorse tra le diverse destinazioni, sia a stabilire i tetti di spese, per garantire l‟equilibrio tra spesa ed entrata. Se le spese previste sono maggiori delle entrate, il governo può proporre di coprire la differenza attraverso l‟accettazione di un prestito effettuato ad esempio con l‟emissione di buoni fruttiferi del tesoro. L‟approvazione annuale del bilancio è obbligatorio e senza di essa non si potrà pagare lo stipendio ai dipendenti statali e tantomeno le pensioni o le altre spese dello stato. I PRINCIPI COSTITUZIONALI Con l‟approvazione della legge costituzionale nr. 1 del 20 aprile 2012 si è completamente riscritto l‟art. 81 della costituzione in ottemperanza al principio di pareggio di bilancio imposto a tutti gli stati menbri dalla Unione Europea. L‟art. 81 contiene tutte le regole fondamentali in materia di finaza pubblica ed i commi contenuti in essa descrivono quanto segue: - comma 1 Lo stato assicura l‟equilibrio tra le entrate e le uscite - comma 2 l’indebitamento è consentito solo in particolari casi previa autorizzazione delle camere - comma 3 ogni nuova legge dovrà contenere i mezzi economici per farne fronte - comma 4 approvazione del bilancio annuale da parte delle camere, previo rendiconto del governo - comma 5 esercizio provvisorio consentito solo massimo per 4 mesi - comma 6 la legge di bilancio e i suoi fondamenti consta di approvazione delle camere con maggioranza assoluta.. I VINCOLI DI DERIVAZIONE EUROPEA Gli stati sono tenuti a raggiungere condizioni finanziarie stabili al fine di evitare che eventuali squilibri dei conti pubblici distorcano l‟allocazione delle risorse all‟interno del mercato comune. Tali condizioni sono appresso riportate, 1) Il rapporto tra l‟entità complessiva del disavanzo annuale e il PIL non superiore al 3% 2) Il rapporto tra il debito pubblico e il PIL non superiore al 6 % Le quote sopra rappresentate sono state confermate dal patto di stabilità e crescita e ogni stato deve fornire alla commissione europea e al consiglio d‟europa le informazioni necessarie, sotto forma di programma di stabilità, relativo all‟anno in corso e ai 3 anni successivi dove sono indicati anche tutti gli interventi programmatici che si intendono realizzare per il conseguimento del pareggio di bilancio. La crisi economica che ha investito l‟europa nel 2008 ha portato l’UE ad adottare un pacchetto di misure legislative in materia economica e di finanza per riformare la Governance e introdurre norme più rigorose in materia di politica di bilancio. Le norme rafforzano sia i meccanismi preventivi che correttivi come ad esempio nei paesi in cui la differenza tra il debito pubblico e il PIL sia superiore al 60 %, sono obbligati a ridurre tale differenza di 1/20 l‟anno. Il fiscal compact. Accanto alle norme economiche è stata crrata anche la cd. Fiscal compact che in effetti rafforza la disciplina di bilancio degli stati firmatari. Infatti tale normativa impone loro da un lato al mantenimento del pareggio di bilancio o addirittura in avanzo, e dall’altro l’attivazione di meccanismi automatici di correzione nel caso di deviazioni significative dagli obiettivi di medio ternime concordati a livello europeo. Gli stati che hanno ratificato il fiscal compact possono benificiare del fondo salva stati. Inoltre è stato istituito anche un‟uffico parlamentare di bilancio concepito sul modello delle autorità indipendenti che ha il compito di far osservare i vincoli comunitari. IL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA, LA LEGGE DI STABILITÀ, LA LEGGE DI BILANCIO Il documento di economia e finanza (DEF) , è un documento presente nella contabilità dello stato italiano. Esso definisce la manovra finanziaria pubblica per il periodo compreso nel bilancio pluriennale. Va presentato dal governo al parlamento entro il 10 aprile di ogni anno. Non è una legge, anche se vincola politicamente le decisioni del governo. Nel Documento si delineano gli scopi che il bilancio pluriennale intende perseguire e si delimita l‟ambito entro cui costruire il 70
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved