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Riassunto diritto civile albanese, Dispense di Diritto Civile

Riassunto libro diritto civile di albanese con voto 28/30

Tipologia: Dispense

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Scarica Riassunto diritto civile albanese e più Dispense in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! IL RAPPORTO OBBLIGATORIO: PROFILI STRUTTURALI E FUNZIONALI Antonio Albanese
 CAPITOLO 1°:
DIRITTI DI CREDITO E DIRITTI REALI: DIFFERENZE STRUTTURALI E FUNZIONALI.
 1.La distinzione secondo l’opinione tradizionale: identità di struttura e differenze funzionali.
 Nel codice civile del 1865 non esisteva un libro dedicato alle obbligazioni e la materia era in parte regolata nel terzo e ultimo libro, tra i modi di acquisto e di trasferimento della proprietà.
 In questo contesto il rapporto obbligatorio tra debitore e creditore veniva in considerazione principalmente come titolo che giustificava sul piano causale il trasferimento della proprietà o di altri diritti reali: ATTRAVERSO L’ADEMPIMENTO DELL’OBBLIGAZIONE IL CREDITORE DIVENTAVA PROPRIETARIO DEL BENE.
 Il codice civile del 1942, accogliendo il principio consensualistico, nell’articolo 1376 stabilisce che, qualora il contratto abbia «per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto», l’accordo tra le parti non obbliga a compiere un successivo atto di trasferimento, ma direttamente produce l’effetto traslativo. Permangono casi in cui il trasferimento della proprietà presuppone l’adempimento di un obbligo (=pagamento traslativo). La distinzione fra diritti reali e obbligazioni viene rimarcata dal fatto che le relative discipline sono collocate in due libri diversi del codice: rispettivamente nel terzo e nel quarto. In quest’ultimo, peraltro, non soltanto sono contenute le norme che regolano il rapporto obbligatorio tra creditore e debitore, ma sono anche disciplinate le principali fonti dell’obbligazione, ossia i fatti o gli atti da cui esse traggono principio. Sono così disciplinati il contratto, il fatto illecito e le altre fonti tipizzate da legge (indebito, arricchimento ingiustificato, promessa al pubblico, gestione di affari altrui). Ma tali norme sono precedute da una disciplina generale delle obbligazioni.
 Nel LIBRO QUARTO, inoltre, l’obbligazione viene presa in considerazione non soltanto dal punto di vista del vincolo che grava sul soggetto passivo, ma anche in termini di diritto di cui è titolare il creditore. L’intitolazione del libro quarto alle obbligazioni è un retaggio della vecchia concezione imperativistica della norma giuridica come comando, dalla quale deriva l’idea di una priorità logica dell’obbligo rispetto al diritto.
Il codice civile del 1942 ripropone quindi la vecchia questione relativa alla distinzione tra diritti reali e diritti di credito.
 Secondo l’opinione tradizionale questi non si distinguerebbero in relazione all’oggetto, ma dal punto di vista dei soggetti nei confronti dei quali tali diritti possono essere fatti valere. La differenza dipenderebbe dal fatto che il diritto reale può essere fatto valere erga omnes, mentre il diritto di credito vale solo nei confronti del debitore.
Questa ricostruzione non è però condivisibile né dal punto di vista oggettivo né dal punto di vista soggettivo. ARTICOLO 1376 àCONTRATTO CON EFFETTI REALI. Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. RATIO LEGIS Il principio del consenso traslativo consente che sia sufficiente il consenso delle parti per la produzione di determinati effetti contrattuali poiché i diritti che ne sono oggetto sono sufficientemente individuati. 2. L’oggetto dell’obbligazione e del diritto di credito Luigi MENGONI nel saggio del 1952 “L’oggetto dell’obbligazione” ha dimostrato che il diritto di credito non ha per oggetto soltanto il comportamento dovuto dal debitore, ma anche la realizzazione del risultato cui è destinato quel comportamento.
Se ne trae una conferma sistematica dalla disciplina della mora del creditore: anche se il debitore ha compiuto tutti gli atti dovuti mediante l’offerta formale, l’obbligazione non si estingue, in quanto non può considerarsi adempiuta. Il debitore non è inadempiente, ma non è neppure liberato dall’obbligo. A tal fine è necessario dimostrare il conseguimento del risultato cui è strumentalmente preordinato il contenuto dell’obbligo. èFinché il risultato non è raggiunto non si ha quell’adempimento che estingue l’obbligazione. RISULTATO = ADEMPIMENTO È vero che l’estinzione può aversi per altra via ad esempio per effetto del deposito liberatorio, ma questo è cosa diversa dall’adempimento, in quanto libera il debitore, ma non soddisfa l’interesse del creditore alla prestazione. Allo stesso modo l’impossibilità che estingue l’obbligazione è quella che impedisce oggettivamente di realizzare il risultato, non quella che impedisce soltanto al debitore il comportamento dovuto (ad es. insolvenza del debitore).
 In conclusione, se oggetto dell’obbligo è il comportamento dovuto dal debitore, oggetto del diritto del creditore è il risultato che soddisfa l’interesse da questi perseguito attraverso l’obbligazione. à se il debitore tiene una condotta diligente ma il risultato che il creditore ha diritto ad ottenere NON è ragigunto non c’è adempimento Non c’è quindi identità simmetrica fra oggetto dell’obbligo e oggetto del diritto di credito, c’è piuttosto una correlatività funzionale, nel senso che il comportamento dovuto dal debitore è funzionale alla realizzazione del risultato che soddisfa l’interesse alla prestazione. 3.La rilevanza erga omnes dei diritti di credito I DIRITTI DI CREDITO si differenziano dai diritti reali nella misura in cui l’interesse del creditore è fisiologicamente soddisfatto attraverso la cooperazione necessaria del debitore, anche se questa non ne esaurisce l’oggetto.
 Se la soddisfazione dell’interesse si realizza per altra via, l’obbligazione si può comunque estinguere, ad esempio per adempimento del terzo (art. 1180 c.c.).
 il TITOLARE DI DIRITTI REALI soddisfa il proprio interesse indipendentemente dalla cooperazione di un soggetto obbligato a un comportamento.
 è Non sarebbe corretto fondare la distinzione tra diritti reali e diritti di credito in ragione della non opponibilità dei diritti di credito erga omnes.
Ove, infatti, si guardi non alla pretesa del creditore a un comportamento del debitore, ma al risultato che costituisce oggetto del suo diritto, se ne dovrà riconoscere la tutela anche contro gli atti dei terzi che ne impediscano la realizzazione.
 (EX) Così come il proprietario può pretendere che altri si astengano dall’impedire il godimento del bene, allo stesso modo il creditore può pretendere che altri soggetti, anche diversi dal debitore, si astengano dal compiere atti che impediscono la realizzazione del risultato, che costituisce oggetto del suo diritto. La giurisprudenzaè ha ammesso da tempo la tutela aquiliana del diritto di creditoàSe un terzo rende temporaneamente o definitivamente impossibile la prestazione del debitore, è tenuto a risarcire il danno ai sensi dell’articolo 2043 c.c.
Ad esempio il terzo provoca la morte o l’infortunio del debitore che non può così adempiere la prestazione lavorativa. In questi casi non può configurarsi una complicità nell’inadempimento del debitore, il Art 2043: RISARCIMENTO PER FATTO ILLECITO Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcireil danno POSSONO VINCOLARSI SOLO A TITOLO DI CORTESIA, ad esempio l’impegno a tenere compagnia all’amico per vedere insieme la partita o a non suonare il violino ad una certa ora.
 L’art. 1174 c.c. limita l’autonomia privata, nella misura in cui non ammette che le parti possano vincolarsi gratuitamente a condotte che non sono intrinsecamente patrimoniali, confermando così la regola stabilita dall’art. 1321 c.c., che definisce il contratto quale accordo avente a oggetto un rapporto giuridico PATRIMONIALE.
La patrimonialità della prestazione è peraltro requisito per l’applicazione delle norme sulle obbligazioni, non applicandosi a obblighi di contenuto NON patrimonialeè il CARATTERE PATRIMONIALE DELLA PRESTAZIONE coincide con la sua NEGOZIABILITA’ La legge può imporre anche OBBLIGHI AVENTI PER OGGETTO COMPORTAMENTI NON SUSCETTIBILI DI VALUTAZIONE ECONOMICA e quindi privi di corrispettivo ad esempio l’obbligo reciproco dei coniugi alla fedeltà ex art. 143, co. 2, c.c: ® In questi casi però non si può parlare di obbligazioni, ma di obblighi in senso stretto, ai quali non sono direttamente applicabili le norme previste dal libro IV del codice civile. ® A fronte di questi obblighi c’è un diritto che NON È ASSOLUTO, ma RELATIVO: si parla di diritti relativi della personalità per distinguerli dai diritti assoluti della personalità.
 L’art. 1174 c.c. stabilisce inoltre che la PRESTAZIONE DEVE CORRISPONDERE A UN INTERESSE ANCHE NON PATRIMONIALE DEL CREDITORE. Questa regola non costituisce un limite all’autonomia privata: è infatti sufficiente un qualsiasi interesse del creditore ed è logico presumere che se questi dà vita al rapporto obbligatorio ha comunque un qualche interesse. La norma serve a individuare e a precisare il risultato che il creditore ha diritto di ottenere.
 L’OGGETTO DELL’OBBLIGAZIONE è infatti il risultato che soddisfa l’interesse alla prestazione, che è giuridicamente rilevante anche quando non ha carattere patrimoniale.
L’importanza di questa norma è stata ribadita in tempi più recenti dalla Cassazione, che ha riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale (SENTENZE DI SAN MARTINO) anche nell’ambito della responsabilità da inadempimento, in termini sostanzialmente corrispondenti a quanto previsto dall’art. 2059 c.c. in materia di responsabilità extracontrattuale. 2.Responsabilità e garanzia patrimoniale generica art. 2740 c.c. èil DEBITORE RISPONDE DELL’ADEMPIMENTO DELLE OBBLIGAZIONI CON TUTTI I SUOI BENI Art 1321 CCà NOZIONE CONTRATTO Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale RATIO LEGITS Il legislatore da una definizione di contratto in quanto rappresenta figura essenziale del codice e del nostro sistema giuridico. Art 2059 CCà DANNI NON PATRIMONIALI Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge. RATIO LEGIS Il danno non patrimoniale deve essere risarcito ogni volta che l’illecito incede su valori della persona garantiti costituzionalmente. La suprema corte con le sentenze di s. Martino ha stabilito che il danno NON PATRIMONIALE costituisce un modello unitario del quale le singole categorie hanno valenza descrittiva. Il risarcimento dell’illecito aquiliano costituisce ipotesi tipica di debito di valore che ha ad oggetto una prestazione diversa da una somma di denaro PRESENTI E FUTURI. In caso d’inadempimento, il vincolo sul patrimonio, che assiste il rapporto fin dal suo sorgere, diventa pienamente operante, consentendo al creditore di sottoporre a esecuzione i beni che ne fanno parte.
 È una responsabilità diversa da quella prevista dall’art. 1218 c.c., che è eventuale in quanto presuppone l’esistenza (e la prova) di un danno.
 Il vincolo sul patrimonio del debitore, del resto esiste prima e a prescindere dall’inadempimento e dall’eventuale danno che ne possa conseguire. Ne costituisce una riprova la previsione di mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, che sono attivabili dal creditore prima dell’inadempimento e a prescindere da esso.
è il RAPPORTO OBBLIGATORIO HA UNA STRUTTURA COMPLESSA CHE RISULTA DALL’INSIEME DI DEBITO E RESPONSABILITÀ. 3. Gli obblighi accessori e la protezione d’interessi diversi da quello alla prestazione Ma il RAPPORTO OBBLIGATORIO È COMPLESSO anche in un altro senso. ® Accanto ALL’OBBLIGO PRINCIPALE che ha per oggetto la prestazione ® ci sono altri OBBLIGHI ACCESSORI, che sono funzionali alla soddisfazione di interessi di entrambe le parti.
 Stabilisce, infatti, l’art. 1175 c.c. che “il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”. La legge non stabilisce quali siano tali obblighi, ma affida tale compito al GIUDICE, che lo determina secondo il meccanismo delle clausole generali.
 La CORRETTEZZA (1175 c.c.) in questo caso è sinonimo di BUONA FEDE OGGETTIVA (1375 c.c.”il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”) e opera come fonte di regole di comportamento che non sono espressamente previste dalla legge o dalle parti, ma sono elaborate dal giudice sulla base di standards e parametri di valutazione desumibili dal contesto sociale. Tra questi obblighi accessori particolare importanza assumono gli OBBLIGHI DI PROTEZIONE:
 hanno per oggetto la condotta necessaria ad evitare tali danni: ciascuna delle parti deve, a certe condizioni, salvaguardare anche gli interessi dell’altra.
 ® La dottrina e la giurisprudenza hanno riconosciuto anche l’esistenza di obblighi di protezione senza prestazione.
Il codice civile ne prevede un’ipotesi all’art. 1337: prima della stipula del contratto, prima cioè che le parti si obblighino ad una prestazione, sono già obbligate a comportarsi secondo buona fede. Altre ipotesi sono state individuate dalla giurisprudenza, che ha qualificato come CONTRATTUALE la RESPONSABILITÀ nascente: Art 2740à RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge RATIO LEGIS La norma si pone a tutela del creditore richiamando la garanzia generica, in forza della quale il creditore in caso di inadempimento potrà soddisfarsi agendo su tutti i beni del debitore. La garanzia in esame si differenzia dai diritti reali di garanzia come pegno o ipoteca che hanno ad oggetto solo alcuni beni del debitore Art 1337à TRATTATIVE E RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE Le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto devono comportarsi secondo buona fede. RATIO LEGIS Le parti non hanno l'obbligo di concludere il contratto poiché la libertà contrattuale è tutelata dall'ordinamento; tuttavia, esse hanno il dovere di comportarsi secondo correttezza cioè in modo da non recarsi alcun danno. o dalla violazione degli obblighi di protezione del MEDICO dipendente della struttura sanitaria nei confronti del paziente affidato alle cure La qualificazione della responsabilità medica come contrattuale peraltro non può ritenersi preclusa dall’art. 3 della c.d. legge Balduzzi (l. 8.11.2012, n. 18), che espressamente fa salva l’applicazione dell’art. 2043 c.c. come regola di responsabilità civile dell’esercente la professione sanitaria, nelle ipotesi in cui questo sia stato esentato da responsabilità penale per colpa lieve. Nonostante la chiara intenzione del legislatore di contenere i costi assicurativi per il Servizio sanitario nazionale mediante il richiamo al regime dell’illecito aquiliano, comunemente considerato meno favorevole al danneggiato, non può attribuirsi effettivo valore normativo a una disposizione che si limita a fare salva l’applicazione di una regola che però riguarda fattispecie diverse da quella presa in considerazione, disciplinando un danno che non è conseguenza dell’inadempimento di un obbligo tra due soggetti determinati, ma che è esso stesso fonte di un obbligo prima inesistente o DELL’INSEGNANTE per i danni auto- cagionati dall’allievo nel periodo in cui è soggetto alla sua vigilanza.
 Non v’è dubbio che l’affidamento costituisca fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico ai sensi dell’art. 1173 c.c., posto che l’art. 1337 c.c. ne prevede un’ipotesi specifica con riguardo ai rapporti di fiducia che s’instaurano tra le parti di una trattativa èIn tutti questi casi si configura una responsabilità che è contrattuale in quanto deriva dalla violazione di un obbligo preesistente al danno, che a sua volta nasce dall’affidamento di un soggetto nella professionalità di un altro soggetto.
 Gli OBBLIGHI DI PROTEZIONE anche quando accedono a un’obbligazione principale, si caratterizzano per la loro AUTONOMIA sia dal punto di vista del comportamento dovuto dal debitore, sia dal punto di vista del risultato cui ha diritto il creditore, ossia dell’interesse protetto. La funzione di questi obblighi è proteggere la persona o il patrimonio del debitore o del creditore da possibili danni diversi da quello che consiste nel mancato ottenimento della prestazione, in modo analogo al principio di alterum non laedere nella responsabilità aquiliana, anche se nel nostro ordinamento, non hanno il compito di correggere deficienze della disciplina dell’illecito civile, ma rappresentano il completamento dello scopo positivo dell’obbligazione. Di tali obblighi il creditore può pretendere l’adempimento autonomamente 4. Gli obblighi integrativi strumentali e il problema della loro autonoma azionabilità Per quanto riguarda invece gli OBBLIGHI INTEGRATIVI STRUMENTALIè si aggiungono all’obbligo principale, non hanno un’autonomia funzionale rispetto a esso, in quanto la loro funzione è quella di assicurare il migliore soddisfacimento dell’interesse del creditore alla prestazione.
 ex: l’art.1177 c.c. prevede che l’obbligo di custodire è strumentale rispetto all’obbligo di consegna.
la custodia integra il rapporto obbligatorio ma è sempre funzionale a soddisfare interesse del creditore alla Art 1177à OBBLIGAZIONE DI CUSTODIRE obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di custodirla fino alla consegna RATIO LEGIS Il legislatore fa gravare sul debitore il dovere di custodire il bene oggetto della prestazione fino alla consegna. Poiché si tratta di un dovere ACCESSORIO è dubbio se esso debba essere fatto valere necessariamente nell’ambito della tutela per inadempimento principale o se goda di autonoma protezione Una differenza tra le due fattispecie riguarda i SOGGETTI: ® l’adempimento dell’obbligo naturale presuppone la preesistenza di un dovere morale o sociale tra due soggetti determinati. C’è quindi un rapporto, una relazione, che non si connota come vincolo giuridico, ma che si qualifica in termini di dovere morale o sociale tra due soggetti determinati. ® Un analogo rapporto non necessariamente sussiste nel caso della donazione, che non è fatta soltanto per assolvere a un dovere morale, ma che può essere determinata da affetto, ammirazione o da altri moventi soggettivi. Ci sono poi delle ipotesi in cui la distinzione fra le due figure è meno netta.
 • la donazione remuneratoria, in base all’art. 770, co. 1, c.c., in ragione di tre possibili giustificazioni causali: 1. per riconoscenza, 2. per speciale remunerazione 3. in considerazione di meriti del donatore.
 I meriti del donatario sono quelli acquisiti nei confronti di una pluralità indefinita di soggetti, anche diversi dal donante: l’intera umanità o determinate categorie di soggetti. In questi casi non c’è un dovere morale o sociale del donante nei confronti del singolo donatario.
 • Questo dovere invece c’è nel caso di donazione per speciale remunerazione o per riconoscenza.
 Si pone allora la necessità di distinguere la donazione remuneratoria rispetto all’adempimento di obbligazioni naturali ai fini della forma richiesta e della disciplina della revocatoria fallimentare. A. Una prima soluzione propone di guardare ALL’INTENSITÀ DEL DOVERE MORALE, che nelle obbligazioni naturali sarebbe maggiore ma questo criterio non conduce a soluzioni univoche e certe.
 B. Una considerazione che potrebbe risultare decisiva è invece che nelle obbligazioni naturali il dovere morale o sociale non soltanto identifica i soggetti, ma è anche criterio di determinazione del contenuto della prestazione. Una caratteristica delle obbligazioni naturali è che la PRESTAZIONE è determinata anche qualitativamente in relazione al dovere morale o sociale che lega tra loro i soggetti. Questo è particolarmente evidente nelle ipotesi di obbligazioni naturali previste dalla legge.
 Ad esempio, con riguardo ai debiti di gioco (art. 1933, co. 2, c.c.) e alla fiducia testamentaria (art. 627, co. 2, c.c.) la fattispecie dalla quale sorge l’obbligazione naturale predetermina anche l’esatto contenuto della prestazione oggetto del dovere morale o sociale.
Viceversa nella donazione, anche remuneratoria, la scelta del donante è libera da vincoli non solo giuridici, ma anche morali.
 Quando l’attribuzione patrimoniale non è esattamente predeterminata, il suo ammontare è comunque determinabile in base a criteri che limitano la libertà del solvens non dal punto di vista giuridico, ma da quello morale. Così ad esempio è un’obbligazione naturale atipica, cioè non espressamente disciplinata dalla legge, il DOVERE DI MANTENIMENTO NEI CONFRONTI DEL CONVIVENTE MORE UXORIO: l’attribuzione patrimoniale si commisura al bisogno del destinatario. 3.Criteri di individuazione delle obbligazioni naturali La determinatezza dei soggetti e la determinatezza o determinabilità della prestazione sono caratteristiche distintive dell’obbligazione naturale, che consentono di qualificare come tali le ipotesi d’irripetibilità espressamente previste dalla legge o di individuare figure atipiche di adempimento di obbligazioni naturali, distinguendole dagli atti di liberalità. In questo senso appartengono al primo gruppo: • il debito di gioco • la disposizione testamentaria fiduciaria, mentre rientra nella seconda categoria: • l’obbligo alimentare verso il convivente more uxorio e • obbligo alimentare vs il figlio non riconoscibile. In entrambi i casi la qualifica è funzionale ad applicare una determinata disciplina: la regola della soluti retentio per le ipotesi atipiche e l’art. 64 legge fallimentare per tutte le fattispecie. Ø Secondo l’opinione tradizionale della dottrina, l’irripetibilità del pagamento del debito prescritto, espressamente prevista dall’art. 2940 c.c., trova il suo fondamento razionale nell’esistenza di un’obbligazione naturale ai sensi dell’art. 2034 c.c. Ø È stata fornita però un’altra spiegazione, secondo la quale la prescrizione non estingue automaticamente il debito, ma occorre un’eccezione di parte (art. 2938 c.c.). Pertanto, ove questa manchi e il debitore adempia spontaneamente, egli ottempera a un obbligo giuridico vero e proprio e non a un’obbligazione naturale. Questa seconda opinione non spiega però perché l’art. 2940 c.c. richiede che il pagamento avvenga spontaneamente, il che sembra riproporre lo schema dell’art. 2034 c.c., dando ragione alla tesi dell’obbligazione naturale. 
 Ø Altra ipotesi controversa è quella del pagamento dell’onorario al professionista non iscritto all’albo. Secondo l’art. 2231, co. 1, c.c. «quando l’esercizio di un’attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione». La formulazione della norma ha indotto una parte della dottrina a ritenere che il professionista abusivo non abbia azione, ma che, ove riceva il compenso, questo non sia ripetibile, trattandosi di un’obbligazione naturale. La ricostruzione desta perplessità in quanto non si può dire che c’è un dovere morale o sociale di retribuire chi esercita abusivamente la professione di medico o avvocato. Conseguentemente non si può ritenere causalmente giustificato il corrispettivo pagato per una prestazione professionale effettuata da chi non può per legge esercitare quella professione. In realtà il contratto d’opera professionale viola un divieto imperativo di legge che non consente ai soggetti diversi dai professionisti iscritti di svolgere talune prestazioni socialmente e legalmente tipizzate come esercizio di una determinata professione. Ne deriva che il contratto è nullo ex art. 1418, co. 1, c.c. e che conseguentemente la prestazione non dà azione per il pagamento. è il professionista abusivo non potrà chiedere né il compenso pattuito (denegatio actionis, come conseguenza della nullità del contratto) e neppure potrà agire per ottenere la somma corrispondente all’arricchimento del cliente (azione di arricchimento, sanzione civile che opera come deterrente). 
 Ø Altra questione riguarda l’applicabilità alle obbligazioni naturali della norma sulla revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.). Questa norma, ai fini dell’inefficacia dell’atto di disposizione, richiede anche la MALA FEDE del TERZO, ove si tratti di atti a titolo oneroso, di tal che ci si chiede se questa regola si applichi all’adempimento delle obbligazioni naturali. Pur mancando un corrispettivo, la gratuità è esclusa dalla presenza di un dovere morale o sociale: si parla quindi di atti neutri, che non ricadono nella previsione dell’art. 2901 c.c. 
 4.Il requisito della spontaneità del pagamento 
 Si ritiene che NON SPONTANEO è 1) pagamento estorto con violenza 2) carpito con dolo 3) e ci si chiede se possa ritenersi spontaneo il pagamento nel caso di errore sull’esistenza del vincolo giuridico.
 In realtà la volontà del soggetto, che erroneamente crede di essere vincolato giuridicamente, non si può dire che non si sia formata in modo spontaneo, onde il pagamento non è ripetibile. 
 La dottrina esclude inoltre che l’erroneo convincimento del solvens possa rilevare in termini di vizio della volontà, traendo argomento dall’irrilevanza oggettiva dell’inesistenza del vincolo giuridico.
Ove, invece, l’errore riguardi gli aspetti quantitativi dell’obbligazione naturale, l’esecuzione di una prestazione maggiore di quella dovuta in adempimento del dovere morale o sociale, comporta la ripetibilità della parte eccedente. 
 CAPITOLO 4°:
LE FATTISPECIE COSTITUTIVE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
 1.Il significato della norma sulle fonti dell’obbligazione
 Struttura e funzione del rapporto obbligatorio sono correlate anche alla FONTE DA CUI ESSO PROMANA, ossia alla FATTISPECIE IL CUI VERIFICARSI DETERMINA NON SOLTANTO IL SORGERE DEL VINCOLO, ma ALTRESÌ IL CONTENUTO PRIMARIO DELL’OBBLIGO E L’INTERESSE CHE QUESTO È DIRETTO A SODDISFARE.
 Il codice civile nel titolo I del libro IV prevede una DISCIPLINA UNITARIA, applicabile a tutte le obbligazioni quale che ne sia l’oggetto e la fonte, che, ai sensi dell’art. 1173, può essere un contratto, un fatto illecito o ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.
 Nel CODICE DEL 1865, invece, l’art. 1097, riprendendo la classificazione del Code civil napoleonico, ispirata a sua volta dal diritto romano giustinianeo, stabiliva che «le obbligazioni derivano dalla legge, da contratto o da quasi- contratto, da delitto o da quasi-delitto».
Il riferimento alla «legge» intendeva in realtà affermare la necessità che fattispecie diverse da quelle espressamente previste nella norma generale (art. 1097 c.c.) dovessero essere comunque contemplate in altre disposizioni legislative e non potessero quindi essere individuate dall’interprete.
Ben diverso fu invece il significato che il principio di tipicità assunse nel codice civile del 1942, dove, nonostante la più ampia formulazione normativa, intese ribadire il primato della legge statale nella creazione La qualificazione di tali ipotesi come fonti atipiche di obbligazioni è stata messa in discussione da una parte della dottrina, secondo la quale i rapporti in esame sono comunque riconducibili a fattispecie normativamente previste.
Ma al di là delle incertezze legate ai rapporti contrattuali di fatto, in tempi più recenti la possibilità di configurare obbligazioni, che traggano origine da atti o fatti non espressamente previsti dalla legge, ha trovato un più sicuro riconoscimento in alcune importanti decisioni giurisprudenziali, che, recependo i risultati raggiunti dalla dottrina, hanno configurato OBBLIGHI SENZA PRESTAZIONE NASCENTI DAL C.D. CONTATTO SOCIALE. 1) La prima ipotesi riguarda il RAPPORTO CHE LEGA IL PAZIENTE AL MEDICO CHE OPERA ALL’INTERNO DI UNA STRUTTURA OSPEDALIERA. Il medico è obbligato alla sua prestazione nei confronti della struttura e non nei confronti del paziente, che a sua volta vanta un diritto all’assistenza verso la struttura. La Cassazione ha ritenuto che la mancanza di un obbligo di prestazione del medico nei confronti del paziente non impedisse di ricondurre nell’ambito della fattispecie regolata dall’art. 1218 c.c. la responsabilità conseguente a eventuali danni alla salute cagionati da errore professionale del medico. La Corte ha configurato una RESPONSABILITÀ «CONTRATTUALE», qualificata cioè dalla violazione di un preesistente obbligo tra medico e paziente, che, in mancanza di un contratto, è stato ricavato del «contatto sociale» tra le parti e dall’affidamento nella professionalità del medico.
In tal senso si era peraltro già espressa la dottrina, la quale aveva sottolineato come L’AFFIDAMENTO costituisse una fonte idonea di obblighi di protezione senza prestazione. In questa norma gli obblighi di protezione sorgono in capo alle parti della trattativa già prima della stipula del contratto, in ragione dell’affidamento che ciascuna di esse ripone nel comportamento corretto dell’altra. L’esempio mostra bene in che misura si può parlare di una FONTE ATIPICA: non c’è una norma che espressamente la prevede.
Ma questo principio di tutela dell’affidamento rinvia a sua volta a una clausola generale, la buona fede, attraverso la quale l’interprete ricostruisce, in base a criteri extrasistematici, il contenuto dell’obbligo di protezione nelle diverse situazioni.
 2) Così ad esempio la Cassazione ha ravvisato un OBBLIGO DI PROTEZIONE DELL’INSEGNANTE NEI CONFRONTI DELL’ALUNNO AFFIDATO ALLA SUA VIGILANZA e ha qualificato come contrattuale la responsabilità per i danni che quest’ultimo abbia cagionato a sé medesimo.
 L’ELEMENTO COMUNE è è dato dall’affidamento, Mentre il CONTENUTO DELL’OBBLIGO cambia volta per volta in relazione alle diverse situazioni. È compito dell’interprete stabilire la regola di comportamento sulla base di criteri desumibili dal contesto sociale. èIn conclusione l’art. 1173 c.c. consente di individuare ulteriori fonti di obblighi in base ad un criterio che può dirsi solo in parte atipico, in quanto, se per un verso richiede una valutazione preventiva di conformità all’ordinamento giuridico, per altro verso nella sua applicazione concreta conduce a generalizzare un principio di affidamento che implica il rinvio a criteri extrasistematici di buona fede e correttezza. CAPITOLO 5°:
L’ADEMPIMENTO
 1.L’adempimento tra condotta del debitore e soddisfazione dell’interesse del creditore
 Una volta che l’obbligazione sia sorta da una determinata fonte, essa è fisiologicamente destinata a estinguersi per effetto dell’adempimento da parte del debitore. Con L’ADEMPIMENTO trova soddisfazione l’interesse del creditore alla prestazione. Peraltro, se è vero che oggetto dell’obbligazione non è solo il comportamento dovuto dal debitore, ma è anche il risultato cui ha diritto il creditore, è altresì vero che l’adempimento si realizza tecnicamente solo ove ricorrano entrambi questi requisiti. Non si configura, infatti, un vero e proprio adempimento in quelle ipotesi in cui ricorre soltanto uno di tali elementi: di tal che sono CAUSE DI ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE, DIVERSE DALL’ADEMPIMENTO: I. il DEPOSITO LIBERATORIO (art. 1210 c.c.) Il debitore tiene un comportamento oggettivamente conforme a quello cui era tenuto, depositando la cosa che doveva consegnare, secondo le regole previste dal codice civile. Ma a questo comportamento non corrisponde la soddisfazione dell’interesse del creditore: ciononostante l’art. 1210 co. 2, c.c. dispone che «eseguito il deposito, quando questo è accettato dal creditore o è dichiarato valido con sentenza passata in giudicato, il debitore [...] è liberato dalla sua obbligazione».
In conseguenza del deposito liberatorio l’obbligazione dunque si estingue per una causa diversa dall’adempimento.
 Per quanto riguarda invece il DEPOSITO LIBERATORIO non è richiesta la capacità del debitore, che è il soggetto obbligato, ma è necessario che la precedente offerta reale sia stata fatta al creditore capace di riceverla (art. 1208, n. 1 c.c.).
Non trova applicazione quindi la regola prevista dall’art. 1190 c.c. per il caso di pagamento al creditore incapace. Secondo questa norma anche il pagamento fatto al creditore incapace può essere liberatorio se il debitore provi che ciò che ha pagato è stato rivolto a vantaggio dell’incapace II. L’ADEMPIMENTO DEL TERZO (art. 1180 c.c.).
 In modo simmetrico, nel caso di adempimento del terzo, l’interesse del creditore trova soddisfazione, ma non attraverso il comportamento dovuto dal debitore. Anche in questo caso l’obbligazione può estinguersi, ma per causa diversa.
La differenza rispetto all’adempimento vero e proprio emerge dalla disciplina prevista dall’art. 1180 c.c., secondo la quale la PRESTAZIONE DEL TERZO può essere rifiutata in caso di opposizione del debitore ovvero qualora l’esecuzione personale da parte di quest’ultimo corrisponda a un interesse apprezzabile del creditore, il quale, invece, se si trattasse di vero adempimento, non potrebbe rifiutarla.
 ART 1210 CCàFACOLTA’ DI DEPOSITO E SUOI EFFETTI Se il creditore rifiuta di accettare l'offerta reale o non si presenta per ricevere le cose offertegli mediante intimazione, il debitore può eseguire il deposito. Eseguito il deposito, quando questo è accettato dal creditore o è dichiarato valido con sentenza passata in giudicato, il debitore non può più ritirarlo ed è liberato dalla sua obbligazione. RATIO LEGIS Il legislatore ha stabilito che la liberazione del debitore può avvenire anche senza la cooperazione del creditore, per evitare che un'inerzia di questo possa pregiudicarlo. In ogni caso, il deposito per essere liberatorio deve necessariamente essere preceduto dall'offerta solenne. ART 1180CCàADEMPIMENTO DEL TERZO L'obbligazione può essere adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore, se questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione. Tuttavia il creditore può rifiutare l'adempimento offertogli dal terzo, se il debitore gli ha manifestato la sua opposizione Altra differenza riguarda L’EFFETTO LIBERATORIO, che non sempre si realizza nel caso di adempimento del terzo.
 L’esclusione dell’adempimento nei casi in cui difetti uno dei due requisiti appena esaminati ha una rilevanza pratica: in particolare viene in considerazione l’art. 1191 c.c. sul pagamento effettuato da un incapace, che è efficace nonostante l’incapacità. Questa norma, che prevede l’irrilevanza dell’incapacità, non è applicabile all’adempimento del terzo, proprio perché non si tratta di vero adempimento. Il terzo non è obbligato al comportamento che caratterizza la prestazione dovuta dal debitore, ma è libero e quindi per esercitare validamente la sua libertà deve essere capace di agire.
 2.La natura dell’adempimento Un problema strettamente collegato alla norma sulla capacità del debitore e (in misura minore) del creditore è quello relativo alla NATURA DELL’ADEMPIMENTO. PRIMAà Sotto il vigore del CODICE PREVIGENTE era dominante in dottrina l’opinione che riconosceva natura contrattuale all’adempimento. La questione assumeva particolare rilevanza dal punto di vista della prova dell’adempimento, rispetto alla quale ci si chiedeva se si applicassero i limiti previsti per la prova dei contratti. POIà Nel CODICE CIVILE DEL 1942 questo problema non si pone in quanto l’art. 2726 c.c. espressamente estende al pagamento i limiti della prova testimoniale previsti per i contratti.
Nel codice vigente, inoltre, la tesi della natura contrattuale dell’adempimento trova un ostacolo insuperabile nell’art. 1191 c.c. L’irrilevanza dell’incapacità conduce, infatti, a escludere l’esistenza di un contratto, tanto più che, trattandosi di una regola coerente con la ratio delle norme a tutela dell’incapace, non si può configurare come una deroga alla disciplina contrattuale.
Essendo l’atto dovuto, è irrilevante la capacità di autodeterminarsi del solvens, come pure non trovano applicazione le altre norme sul contratto, relative ad esempio ai vizi della volontà. In realtà la dottrina formatasi sotto il codice previgente sosteneva la natura contrattuale dell’adempimento perché assumeva come riferimento le ipotesi del c.d. pagamento traslativo, nelle quali l’adempimento, svolgendo la funzione di trasferire la proprietà, consisteva in una manifestazione di volontà.
Tali ipotesi erano numerose sotto il vigore del codice del 1865, che non conosceva il principio consensualistico. Nel codice civile del 1942 questo principio ha invece assunto portata generale, sebbene permangano alcune ipotesi in cui si configura un obbligo di trasferire la proprietà. Ad esempio, nel caso di mandato senza rappresentanza ad acquistare immobili, il mandatario diventa proprietario ed è obbligato a trasferire il diritto al mandante attraverso un atto, che è un pagamento traslativo. 3.Il pagamento traslativo come atto dovuto La questione che allora oggi si pone non è quindi quella relativa alla natura dell’adempimento in generale, ma quella più specifica che riguarda le IPOTESI RESIDUE DI PAGAMENTO TRASLATIVO. è In tal caso l’adempimento non si realizza attraverso un comportamento materiale, ma presuppone una manifestazione di volontà. • Secondo una prima teoria il pagamento traslativo configurerebbe un atto dovuto sul piano della funzione, ART 2726CCàPROVA DEL PAGAMENTO E DELLA REMISSIONE Le norme stabilite per la prova testimoniale dei contratti si applicano anche al pagamento e alla remissione del debitor Questa soluzione è del resto conforme ai principi che governano gli atti dell’incapace: la capacità di ricevere ai sensi dell’art. 1208 c. 1 c.c. rileva solo ai fini della mora del creditore, ove questi rifiuti la prestazione, mentre, nel caso in cui la accetti, non è necessaria per l’estinzione dell’obbligazione. L’EFFICACIA LIBERATORIA DEL PAGAMENTO è quindi subordinata al successivo verificarsi di una condizione che è fuori dalla sfera di controllo del debitore e non riguarda i requisiti strutturali dell’adempimento.
D’altra parte un’analoga tutela dell’incapace è prevista in materia di ripetizione dell’indebito, con riguardo quindi ad ipotesi in cui per definizione non vi è stato l’effettivo adempimento di un obbligo. Stabilisce al riguardo l’art. 2039 c.c.: «l’incapace che ha ricevuto l’indebito, anche in mala fede, non è tenuto che nei limiti in cui ciò che ha ricevuto è stato rivolto a suo vantaggio». Anche in questo caso il SOLVENS sopporta il rischio dei fatti sopravvenuti alla sua prestazione, che condizionano non già la liberazione da un obbligo che non ha, bensì l’esistenza o l’ammontare del suo diritto di ripetere l’indebito.
In entrambi i casi si tratta quindi di una tutela che non presuppone la rilevanza della capacità del creditore, come requisito strutturale dell’adempimento, che invece è di per sé idoneo a liberare il debitore, salva la verifica dell’effettivo conseguimento del vantaggio richiesto dall’art. 1190 c.c. Così ricostruiti il significato e la ratio della norma, ne deriva che essa non sarà applicabile là dove il creditore nell’accettare la prestazione abbia esercitato una qualche discrezionalità. 6.Il c.d. adempimento parziale e la risoluzione del contratto L’ADEMPIMENTO PARZIALE NON È VERO ADEMPIMENTO e, anche ove sia accettato dal creditore, NON ESTINGUE L’OBBLIGAZIONE NEPPURE IN PARTE, dato che non è stato ancora soddisfatto integralmente l’interesse alla prestazione. Ove il creditore abbia accettato l’adempimento parziale non potrà chiedere nuovamente l’intero, in base ai principi di buona fede e ingiustificato arricchimento, ma questo non significa che l’obbligazione sia stata parzialmente estinta o addirittura novata.
 Rimane ferma la conclusione che il vero adempimento si connota in termini di oggettiva conformità fra prestazione e risultato e non richiede alcun atto di autonomia con riguardo al quale assuma diretta rilevanza la capacità del soggetto attivo o passivo del rapporto. La PARZIALITÀ DELL’ADEMPIMENTO può inoltre assumere rilevanza ai fini della risoluzione nei contratti con prestazioni corrispettive, nella misura in cui consente di ritenere di scarsa importanza l’inadempimento della parte residua, come tale inidoneo a determinare lo scioglimento del contratto. Anche in ragione di questa regola si discute se sia legittimo l’eventuale rifiuto del creditore di una prestazione parziale, che potrebbe precludergli la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto. 7. Il c.d. adempimento del terzo e l’estinzione (eventuale) dell’obbligazione. Al pari dell’adempimento parziale, neppure L’ADEMPIMENTO DEL TERZO è vero adempimento.
 In questo caso, infatti, l’interesse del creditore è integralmente soddisfatto, ma non attraverso la prestazione del debitore. Il creditore può rifiutarlo sia pure limitatamente a due casi: Art 1181CCàIl creditore può rifiutare un adempimento parziale anche se la prestazione è divisibile salvo che la legge o gli usi non dispongano diversamenteà il creditore non può rifiutare un adempimento parziale ove la parte residua della prestazione sia divenuta impossibile per causa non imputabile la debitore. Non costituisce un limite al potere di rifiuto del creditore l’esercizio del diritto di sciopero d parte dei suoi dipendenti secondo modalità inconsuete • quando abbia interesse che la prestazione sia eseguita personalmente dal debitore • qualora il debitore abbia manifestato la sua opposizione.
 Il creditore, tuttavia, può: rifiutare l’adempimento del terzo solo ove abbia un interesse oggettivamente apprezzabile in tal senso, non essendo invece sufficiente una mera volontà negativa. Ad esempio il terzo si trova in una situazione patrimoniale tale da esporre il pagamento al rischio di possibili azioni revocatorie da parte dei suoi creditori.
 Caratteristica DELL’ADEMPIMENTO DEL TERZO è la PERSONA DEL SOLVENS, è che deve essere un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio. Non si ha adempimento del terzo nel caso in cui il debitore adempia attraverso la sua organizzazione imprenditoriale o comunque avvalendosi di un suo dipendente (c.d. adempimento per mezzo di un terzo). Parimenti non è terzo: ® il soggetto che sia in ipotesi obbligato insieme con il debitore, come ad esempio il fideiussore, l’espromittente, l’accollante. ® non è terzo il rappresentante del debitore che agisce in nome e per conto di quest’ultimo.
 In tutti questi casi il creditore non può rifiutare l’adempimento oggettivamente esatto per il solo fatto che il solvens non è il debitore, deducendo di avere interesse a che questi adempia personalmente oppure che questi abbia manifestato la sua opposizione, secondo quanto prevede l’art. 1180, co. 2, c.c.
 ® Dovrà invece considerarsi TERZO il falsus procurator che dichiari di adempiere in nome del debitore senza averne i poteri: l’irriferibilità dei suoi atti al debitore esclude che quest’ultimo possa considerarsi il solvens. Peraltro: Ø come il creditore può ratificare ai sensi dell’art. 1188, co. 2, c.c. il pagamento fatto a chi non era legittimato a riceverlo, Ø così il debitore può ratificare il pagamento fatto da chi non era legittimato ad adempiere.
 La possibilità di ratifica presuppone che il creditore abbia accettato il pagamento da parte del falsus procurator, e non può quindi impedirgli di rifiutarlo.
 Parimenti è terzo il mandatario senza rappresentanza che agisca in nome proprio ma per conto del debitore. La giurisprudenza ritiene tuttavia che il mandatario possa essere considerato terzo solo quando adempie contro il divieto del debitore mandante o comunque oltre i limiti del mandato. In realtà questi aspetti rilevano solo nei rapporti interni fra mandante e mandatario, impedendo a quest’ultimo di ottenere dal primo il rimborso di quanto speso per eseguire l’incarico.
 Nei rapporti con il creditore invece si ha un adempimento del terzo, a condizione però che: 1. il mandatario non abbia reso noto al creditore l’incarico ricevuto dal debitore, in quanto in tal caso avremmo una figura diversa, che è la delegazione di pagamento, soggetta a regole specifiche. 2. Un altro requisito negativo necessario per configurare un adempimento del terzo è che questi non abbia adempiuto credendo di essere il debitore, dovendosi altrimenti configurare un indebito soggettivo. In quest’ultimo caso, peraltro, il terzo può sempre rifiutare il pagamento e il debitore non è liberato dall’obbligazione. Con riguardo alla disciplina applicabile all’adempimento del terzo, ci si chiede se sia applicabile la norma sul PAGAMENTO AL CREDITORE APPARENTE.
 • Una PRIMA TESI È FAVOREVOLE ad ammettere la liberazione del debitore se il terzo ha in buona fede pagato a colui che appare creditore in base a circostanze univoche. Questa tesi si fonda su due principali argomenti: 1. il primo consiste nell’equiparazione del terzo al debitore in quanto solvens; 2. il secondo argomento consiste nella considerazione che una situazione di apparenza oggettiva di titolarità del credito non è necessariamente limitata al rapporto personale debitore-creditore, ma può coinvolgere anche terzi.
 Da questa prospettiva si ritiene meritevole di tutela anche l’affidamento dei terzi.
 Occorre prendere in considerazione anche l’interesse del vero creditore. Posto che la colpa del creditore non è elemento costitutivo della prestazione liberatoria, su di lui grava il rischio di eventuali indici di apparenza che possano indurre il debitore a pagare a un soggetto che non è legittimato a ricevere ma appare tale. In tal caso il debitore è liberato e il creditore deve agire per la ripetizione nei confronti del creditore apparente.
 Grava quindi sul CREDITORE il rischio che il suo debitore paghi in buona fede a chi appare legittimato, ma non può gravare su di lui il rischio dell’errore di qualsiasi terzo tratto in inganno da una situazione di apparenza che il creditore non può controllare. Nulla impedisce al creditore di accettare l’adempimento parziale del terzo • Con riguardo alla causa che giustifica l’adempimento, il terzo potrebbe adempiere perché a sua volta obbligato nei confronti del debitore o perché vuole essere surrogato nei diritti del creditore, ai sensi dell’art. 1201 c.c.
Ma l’adempimento del terzo potrebbe avvenire anche per spirito di liberalità verso il debitore. Ove il terzo non abbia posto in essere una liberalità, anche quando non si verifichi la surrogazione, il debitore sarà comunque tenuto nei suoi confronti in base alle norme sulla gestione di affari altrui o sull’ingiustificato arricchimento. Anche in questo caso però non si può configurare una donazione in quanto l’adempimento non è gratuito rispetto al creditore, il quale ottiene ciò che gli spettava. Non c’è arricchimento e non è necessaria la forma della donazione. 8. La prestazione e il comportamento dovuto dal debitore Le prestazioni nelle quali si concretizza la condotta del debitore che adempie l’obbligazione possono suddividersi in tre tipologie: 1. prestazioni di dare o consegnare, 2. prestazioni di facere, 3. prestazioni di non facere. Diverse sono invece le prestazioni che non sono oggetto di un obbligo, ma che hanno per oggetto una GARANZIAè In questi casi il SOGGETTO PASSIVO, che non possiamo chiamare DEBITORE, pur non essendo obbligato a un comportamento, è responsabile del mancato verificarsi di un certo risultato, che però non è funzionalmente collegato all’adempimento da parte sua di un obbligo. Ad esempio, se la cosa venduta è viziata, ciò prescinde dal comportamento del venditore, ma egli è comunque tenuto alla garanzia, anche se non è possibile èl’art. 1176, co. 2, c.c. richiede che la prestazione offerta dal debitore sia conforme alle regole dell’arte o della professione esercitata.
 Una conferma in questo senso è stata autorevolmente tratta dall’art. 2236 c.c., il quale, con riguardo alle prestazioni d’opera intellettuale, stabilisce che, ove l’adempimento implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il debitore è responsabile per dolo o colpa grave. Al riguardo si è opportunamente osservato che la norma, quando esclude la responsabilità per colpa non grave, non può riferirsi alla mancanza di diligenza. Sarebbe, infatti, assurdo che il debitore sia legittimato a impiegare un’attenzione inferiore proprio quando c’è da risolvere «un problema tecnico di speciale difficoltà». In realtà L’ATTENUAZIONE DI RESPONSABILITÀ ha senso solo per l’inosservanza delle regole dell’arte o della professione quando questo standard è più difficile da attingere in ragione della speciale difficoltà tecnica della prestazione. Ma questo presuppone sul piano generale che nell’adempimento il debitore non solo deve essere attento e diligente, ma deve altresì offrire una prestazione che sia oggettivamente conforme a certi standard, che consistono nel rispetto delle regole tecniche di una determinata attività professionale. L’art. 1176, co. 2, c.c., in realtà fa riferimento a un concetto diverso, che è quello di conformità oggettiva della prestazione alle regole tecniche della specifica professione.
 La confusione tra i concetti di diligenza e di perizia ha peraltro origini risalenti nel tempo: essa nasce nel tardo diritto romano dalla trasposizione in materia di responsabilità contrattuale del principio imperitia culpae adnumeratur. Alla COLPA come mancanza di diligenza viene assimilata L’IMPERIZIA, ma questa regola, inizialmente valida per la responsabilità extracontrattuale, viene trapiantata nella RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE, non senza creare problemi. Quest’ultima, infatti, non ha come elemento costitutivo la colpa, bensì L’INADEMPIMENTO, che sussiste ogni volta che il debitore procuri al creditore un risultato quantitativamente o qualitativamente inferiore a quello dovuto, a prescindere dal grado di diligenza e salva solo l’impossibilità della prestazione. L’art. 1218 c.c. non menziona la colpa, ma L’INADEMPIMENTO, e fa salva l’impossibilità della prestazione. Quindi,è se il debitore non offre una prestazione oggettivamente conforme a quella dovuta, non ha adempiuto esattamente. Anche se la prestazione è diventata impossibile per causa a lui non imputabile, egli comunque non ha adempiuto l’obbligazione, che si è estinta per causa diversa dall’adempimento. Ma, così come l’adempimento non consiste nella diligenza, reciprocamente il mancato adempimento non può essere equiparato alla colpa come assenza di diligenza, in quanto può prescindere da essa.
 Anche se il debitore è diligente, ugualmente non c’è adempimento se il risultato non è oggettivamente conforme. Questo però non può essere inteso come una colpa del debitore, in quanto prescinde da ogni considerazione relativa al suo comportamento soggettivo, ciò che conta è il risultato oggettivo, la prestazione ottenuta dal creditore. NB:L’imperizia non può essere equiparata alla negligenza come specificazione della colpa, in quanto non emerge Art 2236CCàRESPONSABILITA’ DEL PRESTATORE D’OPERA Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera NON risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave. Ratio legis La norma pone una limitazione alla responsabilità del professionista per le ipotesi di imperizia che siano dipese dalla complessità o dalla novità dell’opera richiesta. In tali soluzioni non sarà ricavabile la responsabilità dello stesso dalle modalità con le quali il debitore si è comportato, bensì dal risultato della sua condotta, che può essere conforme o no alle regole dell’arte o della professione esercitata. L’artigiano ha eseguito esattamente la prestazione se l’opera è riuscita bene e lo stesso discorso vale per il professionista. Anche quando il comportamento e il risultato dovuto si sovrappongono, l’adempimento a regola d’arte realizza comunque una oggettiva utilità per il creditore. Diversamente la negligenza del debitore si può cogliere nel suo comportamento anche a prescindere dal risultato: può anche accadere che il debitore negligente paradossalmente esegua esattamente la prestazione dovuta. Non possibile recuperare la COLPA come criterio di valutazione dell’esatto adempimento sostenendo che, là dove la prestazione non sia esatta, ci sarebbe comunque colpa del debitore che ha accettato di impegnarsi in un adempimento superiore alle proprie capacità e/o abilità.
Questa ricostruzione dogmaticamente scorretta in quanto finirebbe per trasformare l’inadempimento in una culpa in contrahendo del debitore, consistente nell’aver stipulato un contratto che il bonus pater familias non avrebbe concluso. àil risarcimento sarebbe limitato al solo interesse negativo, ai soli danni che non si sarebbero verificati se il debitore non avesse accettato l’incarico, mentre in realtà questi ha accettato l’incarico e si è obbligato e quindi deve risarcire tutti i danni che sono stati causati dal suo inadempimento.
è l’imperizia può assimilarsi alla colpa solo se si accoglie un concetto ampio e improprio di diligenza, come appunto fa l’art. 1176, co. 2, c.c. la diligenza viene a comprendere non solo lo sforzo e l’attenzione impiegata dal debitore come criterio di valutazione del contegno del debitore, ma altresì l’abilità tecnica manifestata nella prestazione 11. Inconsistenza della distinzione tra obbligazioni «di mezzi» e «di risultato» Questione relativa alla pretesa distinzione fra OBBLIGAZIONI «DI MEZZI» e OBBLIGAZIONI «DI RISULTATO».
Secondo questa ricostruzione in alcune obbligazioni di facere, c.d. «di mezzi», la prestazione del debitore consisterebbe esclusivamente nell’impiego della dovuta diligenza, indipendentemente dal raggiungimento di un risultato. è Quando si dice che il medico è obbligato unicamente a impiegare diligentemente i mezzi necessari per curare il paziente, a ben vedere si fa riferimento al concetto lato e improprio di diligenza.
 Il MEDICO deve in realtà offrire una prestazione conforme alle regole tecniche della sua professione. Non è sufficiente che si sia impegnato al massimo se non ha la capacità e l’abilità professionale per effettuare la prestazione dovuta. Dunque il medico è comunque tenuto a un risultato, che è appunto la prestazione oggettivamente conforme a quella dovuta. Lo stesso discorso vale per le altre ipotesi nelle quali si parla di obbligazioni «di mezzi»: L’AVVOCATO deve comunque offrire al cliente una difesa tecnica conforme alle regole della sua professione, non è semplicemente obbligato a essere attento e diligente.
 è L’ADEMPIMENTO NON PUÒ RISOLVERSI TUTTO NELLA SFERA DEL DEBITORE ED ESAURIRSI NEL SUO COMPORTAMENTO DILIGENTE, QUESTO DEVE INFATTI TRADURSI IN UN RISULTATO APPREZZABILE. I concetti di «mezzi» e di «risultato» in realtà sono RELATIVI: un medesimo fatto può essere considerato un mezzo o un risultato a seconda del fine che si assume come termine di riferimento. Le cure del medico sono un mezzo per la guarigione se questo è lo scopo che si prende in considerazione, ma sono esse stesse un risultato, se l’obiettivo è quello di essere curato.
Parlare di obbligazioni «di mezzi» e «di risultato» può invece indurre erroneamente a credere che ci sono obbligazioni nelle quali il diritto del creditore è soddisfatto anche se non ottiene alcun risultato. la distinzione tra categorie di obbligazioni si basa sulla maggiore o minore distanza che intercorre fra il risultato dovuto e l’interesse finale del creditore che è all’origine della stessa obbligazione: • Ci sono casi in cui il risultato dovuto soddisfa immediatamente l’interesse finale del creditore. • Ci sono però casi in cui il risultato dovuto è solo un mezzo che dà inizio a una serie teleologica diretta a soddisfare l’interesse finale del creditore.
 In definitiva la distinzione tra obbligazioni «di mezzi» e «di risultato» si basa su un aspetto meramente quantitativo, che non è rilevante per giustificare una differente disciplina della responsabilità derivante dall’inadempimento di entrambe le tipologie di obbligazioni. CAPITOLO 6°:
L’INADEMPIMENTO
 1.Inadempimento e responsabilità
 L’INADEMPIMENTO DELL’OBBLIGAZIONE trova nel codice civile una sua disciplina autonoma. Può consistere in un fatto positivo, come ad esempio l’adempimento inesatto.
 La fattispecie dell’inadempimento non soltanto impedisce le conseguenze giuridiche dell’adempimento, ma produce specifiche conseguenze normativamente stabilite. La prima conseguenza dell’inadempimentoà è la RESPONSABILITÀ DEL DEBITORE ai sensi dell’art. 1218 c.c., che si traduce nell’obbligo di risarcire i danni subiti dal creditore. Questa RESPONSABILITÀ viene comunemente definita CONTRATTUALE, ma non attiene solo alle ipotesi in cui l’inadempimento riguarda obbligazioni che nascono da contratto. Il termine contractus nel diritto romano classico indicava tutte le ipotesi di obbligazioni diverse dal delictus. L’espressione «RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE» ha oggi un significato analogo: include tutte le ipotesi di responsabilità diverse da quelle nascenti da fatto illecito, anche quando l’inadempimento riguardi un obbligo che ha fonte in un fatto diverso dal contratto. Caratteristica distintiva della c.d. responsabilità contrattuale non è quindi la presenza di un contratto, ma il fatto che essa nasca da un’obbligazione preesistente. Il danno è conseguenza dell’inadempimento di un obbligo che già lega debitore e creditore. Nella responsabilità da fatto illecito è invece il danno che fa sorgere ex novo un obbligo che prima non esisteva (c.d. responsabilità del passante). Dall’inadempimento deriva un obbligo di risarcimento che s’inserisce nel rapporto obbligatorio che già c’era e che non si è estinto. Nei casi di RITARDO è evidente che l’obbligazione non si è estinta e continua a regolare il rapporto tra le parti. Ma anche nei casi d’impossibilità sopravvenuta per causa imputabile al debitore l’obbligazione non si estingue e non è sostituita da una mera obbligazione di risarcimento. Ciò che si estingue è solo l’obbligo principale di prestazione, ART 1218à RESPONSABILITA’ del DEBITORE IL DEBITORE che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile la volontà di «NOVARE» il rapporto obbligatorio ai sensi dell’art. 1230 c.c., sostituendo alla prestazione originaria una prestazione quantitativamente inferiore.
Ma, anche al di fuori di questi casi, il creditore non potrà ottenere la risoluzione del contratto ove abbia rifiutato un adempimento parziale che comunque configuri un inadempimento di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c. La possibilità del creditore di rifiutare l’adempimento parziale ai sensi dell’art. 1181 c.c. trova peraltro una deroga nell’art. 1258 c.c., secondo cui, nel caso di sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione non imputabile al debitore, questi può liberarsi dal vincolo obbligatorio prestando il residuo e il creditore non può rifiutare l’adempimento parziale. è
Questa deroga è però destinata ad operare in poche ipotesi perché nella maggior parte dei casi l’obbligazione sorge da un contratto con prestazioni corrispettive, rispetto al quale opera la diversa regola dell’art. 1464 c.c., secondo cui, «quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale». Tale interesse però non è quello originario alla prestazione, ma quello sopravvenuto all’adempimento parziale.
 QUALITATIVOàL’adempimento può inoltre essere INESATTO da un punto di vista qualitativo.
 1. Una prima ipotesi è quella in cui il debitore di una prestazione di facere non abbia offerto al creditore un risultato oggettivamente conforme a quello dovuto in base alle regole tecniche di una determinata arte o professione.
 2. Un’altra ipotesi è quella in cui sono state consegnate cose di genere di qualità inferiore a quella dovuta. Il problema è quello di stabilire la qualità che le cose debbono avere. Al riguardo rileva innanzitutto la volontà delle parti al momento della stipula del contratto o successivamente al momento dell’individuazione fatta di comune accordo. Se non c’è una volontà comune, il debitore può offrire cose di qualità non inferiore alla media ai sensi dell’art. 1178 c.c., eventualmente costituendo in mora il creditore che le rifiuti. Se invece il creditore «accetta», l’adempimento è senz’altro esatto. 4.Il ritardo e l’inadempimento Ultima ipotesi d’inadempimento è il RITARDO, che si ha quando è scaduto il termine entro il quale il debitore doveva adempiere e la prestazione, ancora possibile, non è stata adempiuta.
Un’ipotesi particolare di ritardo è quella che si verifica in caso di adempimento parziale allorché la parte di prestazione non adempiuta sia ancora possibile, di tal che trovano applicazione le regole relative ad entrambe le figure. Presupposto per potersi parlare di ritardo è che la PRESTAZIONE SIA POSSIBILE, altrimenti si ha inadempimento definitivo oppure estinzione (totale o parziale) dell’obbligazione per sopravvenuta impossibilità derivante da causa non imputabile al debitore.
Per definizione non può esserci invece ritardo nelle obbligazioni negative: ogni violazione costituisce inadempimento definitivo. Una situazione particolare, diversa dal ritardo, è quella DELL’IMPOSSIBILITÀ TEMPORANEA prevista dall’art. 1256, co. 2, c.c. ART 1256à IMPOSSIBILITA’ DEFINITIVA e IMPOSSIBILITA’ TEMPORANEA L’obbligazione si estingue quando per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea il debitore finché essa perduta non è responsabile del ritardo nell’adempimento. L’obbligazione si estingue se impossibilità perdura fino a quando in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione o il creditore non ha più interesse a conseguirla Non c’è né inadempimento né estinzione dell’obbligazioneè resta in uno STATO DI «QUIESCENZA»: sebbene sia scaduto il termine, l’adempimento non è esigibile finché perdura l’impossibilità. L’obbligazione si estingue non al verificarsi dell’impossibilità temporanea, ma con il suo perdurare oltre un certo tempo. È un termine non prestabilito, che si determina: • in relazione al titolo dell’obbligazione (cioè la sua fonte) • o alla natura dell’oggetto e ha riguardo alternativamente alla posizione del debitore o del creditore.
 Nel primo senso àil debitore è liberato decorso il termine entro il quale non può essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione. In questo modo è tutelato l’interesse del debitore a non rimane vincolato a tempo indefinito ove l’obbligazione, che non si è estinta per impossibilità, non può neppure essere adempiuta.
 Parimente l’obbligazione si estingue se l’impossibilità si protrae oltre il termine entro cui il creditore ha interesse a conseguire la prestazione: ad esempio la prestazione non ha più utilità per il creditore, che non potendo attendere ulteriormente ha trovato un modo alternativo per soddisfare il proprio interesse. In entrambi questi casi l’obbligazione si estingue non per impossibilità sopravvenuta, ma in virtù di una fattispecie complessa nella quale assume rilevanza anche il decorso del tempo.
 Non si ha estinzione dell’obbligazione, ma responsabilità, nei casi in cui il ritardo configura ex lege un inadempimento definitivo.
 Una di queste ipotesi è quella di scadenza del TERMINE essenziale: l’obbligazione va adempiuta entro quel termine e non oltre. Il TERMINE può essere essenziale per espressa previsione delle parti o per la natura stessa della prestazione. In questi casi il ritardo costituisce direttamente inadempimento definitivo, sebbene la prestazione sia naturalisticamente possibile. Dal punto di vista logico si ha un ritardo, in quanto la prestazione è ancora possibile, ma l’ordinamento lo tratta come inadempimento definitivo.
 La scadenza del termine essenziale è espressamente prevista dall’art. 1457 c.c. come causa di risoluzione dei contratti con prestazioni corrispettive, se il creditore entro tre giorni dalla scadenza non dichiara che vuole l’adempimento nonostante il decorso del termine. Questo conferma che la prestazione è possibile e che l’obbligazione non si è immediatamente estinta: c’è un ritardo e l’ordinamento esclude l’adempimento tardivo. Casi in cui il ritardo, in base alle norme in tema di risoluzione, si trasforma in inadempimento definitivo in un momento successivo. Le due ipotesi: 1. DIFFIDA AD ADEMPIERE (art. 1454 c.c.) 2. CLAUSOLA RISOLUTIVA ESPRESSA (art. 1456 c.c.).
 Al di fuori di queste ci si chiede se sia possibile individuare un momento al di là del quale il ritardo si trasformi in inadempimento definitivo, nonostante la prestazione sia ancora possibile. Nell’ambito delle obbligazioni che nascono da contratto con prestazioni corrispettive la norma generale a cui far riferimento è l’art. 1453 c.c., in base alla quale la proposizione della domanda giudiziale di risoluzione impedisce al creditore di chiedere l’adempimento e al debitore di adempiere tardivamente. Con riferimento a questa norma che è apparsa troppo severa, è stata ART 1457à TERMINE PE RUNA DELLE PARTI Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra questa salvo patto o uso contrario se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni. In mancanza il contratto si intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione sottolineata l’importanza della regola contenuta nell’art. 1455 c.c., che subordina la risoluzione del contratto al fatto che l’inadempimento sia di non scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse del creditore alla prestazione.è stabilisce un limite non solo alla possibilità per il giudice di accogliere la domanda giudiziale di risoluzione, ma anche alla facoltà del creditore di impedire l’adempimento tardivo. il ritardo giudicato di NON SCARSA IMPORTANZA, il creditore che, proposta la domanda giudiziale, abbia rifiutato l’adempimento tardivo, non solo vedrà rigettata la sua domanda, ma incorrerà anche nella mora credendi per illegittimo rifiuto della prestazione. Il creditore chiedendo la risoluzione giudiziale per ritardo assume rischio sbilanciando la disciplina a favore del debitore.
Questo apparente squilibrio a danno del creditore risulta però ridimensionato ove si consideri che il giudice deve valutare l’importanza del ritardo con specifico riguardo al suo interesse. questi, proponendo la domanda di risoluzione, ha manifestato il venir meno del suo interesse alla prestazione, al punto da precludersi anche la possibilità di domandare l’adempimento coattivo. Si tratta però di un accertamento delicato, che implica la valutazione di diversi aspetti, per stabilire se per effetto del ritardo l’interesse alla prestazione è venuto meno oppure se il creditore sta approfittando di un piccolo ritardo per liberarsi di un contratto che non vuole più per ragioni che prescindono dall’inadempimento del debitore. 5.Mora e ritardo come fattispecie solo parzialmente coincidenti Un’ipotesi particolare di inadempimento è la c.d. MORA DEL DEBITORE.
 Ai sensi dell’art. 1219, co. 2, n. 1), c.c., infatti, il debitore è costituito in mora nel momento stesso in cui per effetto del fatto illecito sorge l’obbligo di risarcire il danno. Non vero e proprio ritardo, poiché il debitore non ha neppure il tempo di adempiere l’obbligazione risarcitoria che è già costituito in mora.
 Questa regola deriva dal diritto romano, dove era circoscritta all’obbligazione del ladro di restituire la cosa illecitamente sottratta. Per porre immediatamente a carico del ladro il rischio del perimento fortuito, che è il principale effetto della mora. Il codice del 1942 ha esteso la regola a tutte le obbligazioni da fatto illecito. Con riguardo a esse si producono quindi immediatamente gli effetti della mora, non solo il passaggio del rischio, ma anche l’obbligo di pagare interessi moratori sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno (art. 1224 c.c.). Diversamente la mora coincide con il semplice ritardo nelle altre ipotesi tassativamente previste in cui essa si verifica a prescindere da un atto del creditore.
 Il debitore, che ha DICHIARATO PER ISCRITTO DI NON VOLER ESEGUIRE L’OBBLIGAZIONEè automaticamente costituito in mora con la scadenza del termine per l’adempimento. Stabilire in quale momento si deve intendere verificata la mora e quindi da quale momento si producono gli effetti. È opinione diffusa che la mora si verifichi al momento della dichiarazione del debitore e non al momento della scadenza del termine, che la norma non richiede espressamente, a differenza della fattispecie prevista dal successivo n. 3). Soluzione troppo severa per il debitore, per di più priva di un valido fondamento normativo. In mancanza di una norma che disponga in senso contrario si deve ritenere che presupposto della mora sia comunque il ritardo e quindi che gli effetti decorrano dalla scadenza del termine.
 Il debitore è costituito automaticamente in mora alla scadenza del termine, se l’obbligazione doveva essere eseguita al domicilio del creditore (c.d. obbligazioni portables): l’ipotesi più importante e frequente è quella delle obbligazioni pecuniarie, che ex lege devono essere eseguite al domicilio del creditore al tempo della scadenza, • non è liberato se ha esaurito le proprie scorte, ove sia possibile reperire nel mercato altre cose del medesimo genere. • è liberato dal vincolo solo se perisce l’intero genere, come può accadere allorché le parti, nel determinare l’oggetto dell’obbligazione, abbiano fatto riferimento a un mercato locale. Così ad esempio, in un caso verificatosi durante la prima guerra mondiale, la giurisprudenza tedesca ha ritenuto che il debitore fosse liberato dall’obbligo di genere, avente ad oggetto la consegna di un certo quantitativo di uova galiziane, rimasta ineseguita a causa dell’invasione della Galizia da parte dell’esercito russo. Ipotesi diversa è quella in cui il debitore si sia impegnato a consegnare un certo quantitativo di cose di genere che sono nella sua disponibilità materiale. In tale caso, se le scorte periscono, il debitore è liberato anche se può reperire nel mercato cose del medesimo genere, mentre è responsabile se vende a un altro cliente le scorte promesse al creditore. L’ultima ipotesi è quella in cui il debitore debba consegnare cose da lui stesso prodotte. Per configurare un’impossibilità non basta l’esaurimento delle scorte disponibili, ma dovrà verificarsi un impedimento che renda impossibile la produzione della quantità necessaria.
 Negli ultimi due casi, qualora il perimento delle scorte o l’impossibilità di produrre: ® IMPEDISCA DI SODDISFARE TUTTI I CREDITORI, il debitore, in base a un principio di buona fede e correttezza nell’adempimento, dovrà offrire di adempiere parzialmente le diverse obbligazioni nella medesima proporzione. ® Ove invece SODDISFI SOLAMENTE ALCUNI CREDITORI A SCAPITO DI ALTRI, egli sarà responsabile per i danni cagionati mediante il suo comportamento scorretto.
 Un’impossibilità della prestazione non può invece mai verificarsi con riguardo alle obbligazioni pecuniarie, che vengono definite indistruttibili. Il debitore non è liberato se, pur senza colpa, non ha il denaro per pagare, ma neppure è liberato se l’obbligazione ha per oggetto una somma determinata in una moneta che non ha più corso legale alla scadenza del termine per l’adempimento. In tal caso, infatti, l’art. 1277, co. 2, c.c. stabilisce che il pagamento deve essere fatto con una MONETA LEGALE RAGGUAGLIATA ALLA PRIMA.
Rispetto alle obbligazioni pecuniarie è possibile solo un’impossibilità temporanea, dovuta ad esempio all’irreperibilità del creditore e di altro soggetto legittimato a ricevere la prestazione, che impediscano al debitore di adempiere. 9. L’impossibilità relativa ovvero l’ineseguibilità della prestazione con i mezzi che il debitore è tenuto a impiegare
 I diversi esempi sopra esaminati d’impossibilità della prestazione avente ad oggetto cose di genere dimostrano peraltro che l’impossibilità deve essere oggettiva, ma non necessariamente assoluta. ® L’IMPOSSIBILITÀ VA INTESA IN SENSO RELATIVO, OSSIA IN RELAZIONE AI MEZZI CHE IL DEBITORE È TENUTO AD IMPIEGARE PER ADEMPIERE. Così, se si era obbligato a consegnare un certo quantitativo di cose, a prescindere dalle scorte disponibili, il perimento di queste non configura un’impossibilità della prestazione. Viceversa, la consegna di un certo quantitativo di cose di genere diviene impossibile se il debitore si era impegnato ad adempiere attingendo esclusivamente alle scorte. Si parla anche in questi casi di «INESEGUIBILITÀ» DELLA PRESTAZIONE, nel senso di irraggiungibilità del risultato coi mezzi previsti dal regolamento contrattuale. è
Questa IMPOSSIBILITÀ RELATIVA DELLA PRESTAZIONE si distingue dalla mera difficoltà soggettiva, in quanto non fa riferimento alla mera situazione del debitore, ma al contenuto del rapporto obbligatorio, rispetto al quale il giudice deve valutare caso per caso se il risultato richiede mezzi che eccedono quelli che il debitore è tenuto a impiegare. In tal caso la prestazione dovrà ritenersi impossibile, pur quando avrebbe potuto essere eseguita con altri mezzi. L’IMPOSSIBILITÀ ASSOLUTA DELLA PRESTAZIONE come causa di estinzione dell’obbligazione è stata ritenuta un concetto troppo rigido, inadatto alle esigenze degli scambi e incompatibile con il principio di buona fede, in ragione del quale il limite della responsabilità del debitore deve essere valutato in relazione all’intero contenuto del rapporto obbligatorio, secondo l’intenzione delle parti o in base a una valutazione integrativa del regolamento contrattuale. Da questo punto di vista la prestazione oggetto dell’obbligazione presuppone: 1. un risultato oggettivoàma non si esaurisce in questo, 2. esigendo anche un comportamento strumentale del debitore. NBàL’IMPOSSIBILITÀ È UN CONCETTO RELATIVO CHE IMPONE DI CONSIDERARE NON SOLTANTO IL RISULTATO, AL QUALE IL CREDITORE HA DIRITTO, MA ANCHE I MEZZI CHE IL DEBITORE DEVE IMPIEGARE. Il DEBITORE non è liberato semplicemente assumendo un comportamento diligente, egli deve ASSICURARE UN CERTO RISULTATO, che è quello raggiungibile con una serie di mezzi strumentali rispetto ad esso. . Tale previsione non avrebbe senso e configurerebbe un’eccezione difficilmente spiegabile sul piano razionale ove l’impossibilità della prestazione dovesse intendersi in senso assoluto. Lo smarrimento, infatti, non impedisce in termini assoluti al debitore di ritrovare la cosa e di consegnarla al creditore, in quanto solo il perimento rende assolutamente impossibile la prestazione. L’art. 1257 c.c., invece, considera impossibilità anche lo smarrimento allorché vi sia incertezza circa l’esistenza della cosa, sul presupposto implicito che il debitore, per ritrovarla, abbia effettuato le dovute ricerche. A queste condizioni lo SMARRIMENTOè configura un’impossibilità relativa che esonera da responsabilità il debitore, ma non esclude che la cosa possa essere ritrovata, posto che proprio con riferimento a tale evenienza il secondo comma dispone che trovi applicazione la regola sull’impossibilità temporanea, intensa ancora una volta in senso relativo. Nel decidere sulla RESPONSABILITÀ, il giudice deve stabilire con quali mezzi il debitore deve procurare un certo risultato: L’obbligazione si estingue se questo risultato è raggiunto ovvero se è diventato impossibile, ma sempre in ragione dei mezzi che il debitore si è obbligato a prestare. Questa conclusione trova conferma nella regola dettata dall’art. 1257 c.c. con riguardo allo smarrimento di cosa determinata. In tal caso la prestazione di dare si considera divenuta impossibile, anche se non si possa provare il perimento della cosa smarrita ART 1257 CCà SMARRIMENTO DI COSA DETERMINATA La prestazione che ha per oggetto una cosa determinata si considera divenuta impossibile anche quando la cosa è smarrita senza che possa esserne provato il perimento. In caso di successivo ritrovamento della cosa, si applicano le disposizioni del secondo comma dell’articolo precedente. Ratio legis: all’impossibilità è equiparato lo smarrimento di una cosa considerata nella sua individualità in quanto anche questo non consente di eseguire la prestazione ad esempio: ® ricercando la cosa smarrita ® consegnando una certa quantità di cose di genere, attinte dal mercato, dalla sua provvista o dalla sua produzione. ® Un esempio di scuola è quello del vettore che non può raggiungere con i mezzi ordinari il porto nel quale deve consegnare la merce trasportata, a causa delle condizioni climatiche che hanno reso possibile la navigazione solo con una nave rompighiaccio. In questo caso, sebbene la prestazione sia possibile in termini assoluti, ove si ritenga che il debitore non sia tenuto a utilizzare la nave rompighiaccio, si configurerà un’impossibilità di adempiere, che sarà temporanea o definitiva, a seconda dell’esistenza di un termine essenziale di adempimento. Viceversa non c’è impossibilità se il debitore si era impegnato a utilizzare, ove necessario, una nave rompighiaccio. In questo senso l’impossibilità è relativa, in quanto dipende dai mezzi che il debitore è tenuto ad impiegare. A tal fine può assumere rilevanza un’interpretazione del contratto secondo buona fede, ai sensi dell’art. 1366 c.c., che consenta di individuare i mezzi che il debitore è tenuto a utilizzare non soltanto sulla base di quanto espressamente pattuito, ma anche in relazione all’affidamento che il creditore ha legittimamente fatto. 10. La causa non imputabile dell’impossibilità e il caso fortuito Il DEBITORE È LIBERATO DA RESPONSABILITÀ se l’impossibilità sopravvenuta deriva «da causa a lui non imputabile» (art. 1218 c.c.).
Secondo un’interpretazione consolidata nel tempo, «causa non imputabile» è la «causa non colpevole», ovvero la causa rispetto alla quale non è ravvisabile una violazione della diligenza del buon padre di famiglia da parte del debitore. In questo senso l’art. 1176, co. 1, c.c., pur riguardando l’adempimento dell’obbligazione, contiene una regola che completa la disciplina della responsabilità. La COLPA, come correlativo negativo della diligenza, rileva dunque come causa imputabile dell’impossibilità, che impedisce al debitore di liberarsi dall’obbligazione di risarcimento. Nella fattispecie di responsabilità la colpa va riferita ad un comportamento del debitore funzionale non all’adempimento della prestazione, ma alla conservazione della possibilità di adempiere.
 Secondo un orientamento giurisprudenziale il DEBITORE deve provare la causa specifica a lui non imputabile che ha reso impossibile la prestazione, gravando su di lui il rischio della causa ignota. Questa interpretazione, eccessivamente severa nei confronti del debitore, non è giustificata dalla lettera dell’art. 1218 c.c., in base alla quale è sufficiente che il debitore provi che la causa dell’impossibilità, quand’anche non identificata, comunque non sia a lui imputabileà Così ad esempio il debitore può liberarsi da responsabilità provando che la cosa è andata distrutta nonostante egli avesse diligentemente fatto quanto doveva fare per evitarlo. Non deve provare che un terzo l’ha distrutta senza che egli potesse impedirlo. Quest’interpretazione trova conferma a contrario nel confronto con altre norme rispetto alle quali la specifica prova liberatoria che il debitore deve fornire è invece formulata non in termini negativi di «causa non imputabile», ma in termini positivi attraverso il riferimento al «caso fortuito» o ad altri fatti specifici che hanno cagionato il perimento o il deterioramento della cosa. Si tratta però di norme che disciplinano la responsabilità del debitore NELL’AMBITO DI SPECIFICI CONTRATTI TIPICI (art. 1693, 1787, 1839 c.c.) e a esse non può essere assimilata la prova liberatoria della generica causa non l’obbligazione si è avvalso di collaboratori, che egli stesso ha scelto e che ha investito di mansioni funzionali all’adempimento. La decisione di fondo che ha determinato l’impossibilità è quindi a lui riconducibile e potrebbe essergli imputata in termini di colpa o in termini di rischio d’impresa. Il DEBITORE è responsabile in base alla regola dell’art. 1218 c.c. senza dover a tal fine applicare la regola dell’art. 1228 c.c. è responsabilità riguarda solo i casi in cui l’inadempimento della prestazione è direttamente riconducibile all’organizzazione del lavoro predisposta dal debitore. A lui non può invece imputarsi lo sciopero dei dipendenti non riconducibile ad una sua scelta, bensì all’attività di un’organizzazione antagonista, il sindacato, che per definizione il datore di lavoro non è in grado di controllare. Nel caso in cui lo sciopero abbia reso impossibile la prestazione, il debitore è responsabile nei confronti del creditore, solo nella misura in cui l’astensione dal lavoro sia concretamente imputabile a sua colpa o sia riconducibile a uno specifico rischio tipico della sua attività imprenditoriale. Così precisato l’ambito di applicazione dell’art. 1218 c.c. con riguardo alle ipotesi di inadempimento, l’art. 1228 c.c. non può che riferirsi a fatti diversi, ossia agli illeciti dolosi o colposi compiuti dagli ausiliari, di cui risponde il debitore che si avvale della loro opera.
Questa regola si spiega nella misura in cui il debitore non deve solo adempiere la prestazione ma deve anche tenere un comportamento che eviti altri danni ai beni o alla persona del creditore. Così l’imbianchino è responsabile se rompe un lampadario di vetro, indipendentemente dall’adempimento della prestazione principale, anche se il danno è cagionato dal fatto illecito di un suo dipendente.
In queste ipotesi l’art. 1228 c.c. prevede una responsabilità che non potrebbe darsi in base all’art. 1218 c.c. Si tratta infatti di una responsabilità contrattuale del debitore, che consegue non ad un inadempimento, ma ad un fatto illecito di un terzo.
In tal senso la norma disciplina una fattispecie diversa da quella dell’art. 2049 c.c., che configura invece una responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro per gli illeciti dei suoi dipendenti. In questo caso la responsabilità è extracontrattuale non è legato da un rapporto obbligatorio con il danneggiato. Il danno è quindi cagionato dai suoi dipendenti, nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti, a un terzo estraneo.
Viceversa, nel caso dell’art. 1228 c.c. la responsabilità è contrattuale perché il soggetto responsabile è legato al danneggiato da un rapporto obbligatorio nell’adempimento del quale si avvale dell’opera dei terzi autori dell’illecito. In entrambe le fattispecie la responsabilità prescinde da un inadempimento, che è invece contemplato dall’art. 1218 c.c. 12. La disciplina unitaria della responsabilità da inadempimento e l’irrilevanza della distinzione tra obbligazioni «di mezzi» e «di risultato»
 Partendo dal presupposto che: • nelle OBBLIGAZIONI «DI MEZZI» il debitore adempie la prestazione usando la diligenza dovuta, a prescindere dal raggiungimento di un risultato utile per il creditore, debitore sarebbe responsabile ove non provi di aver usato la diligenza dovuta • nelle OBBLIGAZIONI «DI RISULTATO» il debitore, per liberarsi da responsabilità, debba provare che la prestazione sia diventata oggettivamente impossibile per causa a lui non imputabile Si tratterebbe dunque di una RESPONSABILITÀ FONDATA SULLA COLPA al pari della responsabilità extracontrattuale regolata dall’art. 2043 c.c., differenziandosi però da questa sotto il profilo dell’onere della prova, che è posto a carico del debitore professionista, il quale è liberato se prova la sua mancanza di colpa. Quest’impostazione si ritrova in alcune sentenze precedenti all’intervento delle sezioni unite della Cassazione, che distinguono la responsabilità contrattuale da quella extracontrattuale proprio in relazione all’inversione dell’onere probatorio.
Attraverso la categoria delle obbligazioni «di mezzi» la responsabilità contrattuale del professionista è così assimilata alla responsabilità extracontrattuale ed è assoggettata a una disciplina diversa da quella applicabile alle altre obbligazioni cosiddette «di risultato». è conclusione inaccettabile: il professionista, indipendentemente dalla sussistenza di un obbligo di prestazione nei confronti del creditore, è in grado di ingenerare un affidamento nei terzi a favore dei quali svolge la propria opera, tale da non poterne equiparare la responsabilità a quella di un passante, del tutto privo di relazione con il danneggiato. la distinzione tra obbligazioni «di mezzi» e «di risultato» ha un valore puramente descrittivo, privo di rilevanza normativa, non si può ammettere per alcune categorie di obbligazioni una regola di responsabilità diversa da quella dell’art. 1218 c.c. è
In base a questa norma: 1. il debitore si libera provando non la mancanza di colpa, ma l’adempimento o l’impossibilità della prestazione. 2. Il professionista pertanto è responsabile se il risultato dovuto non è raggiunto, ossia se non ha offerto una prestazione conforme alle regole tecniche della sua professione, salvo che provi l’impossibilità sopravvenuta.
 È chiaro quindi che, come la diligenza non è sufficiente a escludere la responsabilità, allo stesso modo la sua mancanza non implica necessariamente una responsabilità, ove la prestazione sia divenuta impossibile. L’impossibilità è derivare da causa non imputabile al debitore, che altrimenti è responsabile. In questo caso la colpa connota il comportamento del debitore non nell’adempimento dell’obbligazione ma nel dare causa all’impossibilità della prestazione, secondo la regola generale dell’art. 1218 c.c., che pone come limite alla responsabilità l’impossibilità oggettiva della prestazione. 13. L’inesigibilità della prestazione L’INESIGIBILITÀ assume un significato ampio e può connotare diverse ipotesi in cui la prestazione è possibile, ma il creditore non può esigerla.
 Così si parla d’inesigibilità con riferimento: 1. al caso in cui il termine di adempimento non sia ancora scaduto ovvero il debitore abbia opposto un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. 2. discendere anche dall’obbligo di buona fede che l’art. 1175 c.c. pone a carico di entrambe le parti del rapporto obbligatorio. èla buona fede impedisce al creditore di pretendere l’adempimento quando questo comprometterebbe un interesse del debitore che attiene a valori di rango superiore rispetto a quelli inerenti alla prestazione.
 ex: cantante che non partecipa allo spettacolo per accorrere al capezzale del figlio gravemente ammalato. In questo caso la prestazione è possibile dal punto di vista oggettivo e dei mezzi che il debitore deve impiegare per adempiere, ma sarebbe contrario a buona fede esigere l’esecuzione. Si tratta di una situazione del tutto diversa rispetto ai casi d’impossibilità, tanto che possono essere inesigibili anche obbligazioni pecuniarie, che per loro natura sono indistruttibili e non possono diventare impossibili. Così ad esempio la giurisprudenza si è orientata nel caso dell’inquilino che durante la seconda guerra mondiale non aveva pagato il canone perché costretto a rimanere nascosto durante l’occupazione nazista. La buona fede quindi può talvolta tradursi indirettamente in una causa di esonero da responsabilità attraverso il limite che pone alla pretesa del creditore. CAPITOLO 7°:
I MODI DI ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO
 1.L’estinzione dell’obbligazione e l’interesse del creditore
 Talvolta l’estinzione dell’obbligazione si accompagna alla soddisfazione dell’interesse del creditore alla prestazione, come ad esempio può avvenire nel caso del c.d. ADEMPIMENTO DEL TERZO. Là dove, infatti, il terzo non sia surrogato nei diritti del creditore verso il debitore, questi è liberato dall’obbligazione, che si estingue.
 Il PAGAMENTO DEL TERZO: pur non vero adempimento, a certe condizioni può determinare l’estinzione dell’obbligazione.
 Del pari non costituisce vero adempimento l’ipotesi speculare del PAGAMENTO AL CREDITORE APPARENTE, che estingue l’obbligazione ma non soddisfa l’interesse del creditore, sebbene la condotta del debitore in termini puramente oggettivi sia conforme alla prestazione dovuta. L’estinzione dell’obbligazione è verificarsi per effetto di altre fattispecie che non determinano la soddisfazione del creditore: ® la sopravvenuta e definitiva impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore. In questo caso l’interesse del creditore alla prestazione non è soddisfatto, perché ciò è diventato impossibile.
 ® Altre volte ancora l’estinzione per causa diversa dall’adempimento si verifica per effetto di fattispecie che non soddisfano l’interesse del creditore né rendono impossibile tale soddisfazione. Ex. nel caso in cui l’obbligazione di fonte contrattuale si estingua per il retroattivo venir meno degli effetti del contratto da cui è sorta in seguito a vicende come l’annullamento, la rescissione o la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità o impossibilità sopravvenute.
In questo caso, pertanto, si estingue non solo l’obbligazione che ha per oggetto la prestazione diventata impossibile, ma anche l’obbligazione che ha per oggetto la controprestazione NON determina l’estinzione dell’obbligazione, l’impossibilità per causa imputabile al debitore, che non fa venir meno il rapporto obbligatorio, come struttura complessa, di cui costituisce elemento «intrinseco e coessenziale L'estinzione dell'obbligazione: l'adempimento Riferimenti normativi: artt. 1176-1217 c.c. • l'esatto adempimento: si identifica con l'esecuzione della prestazione e costituisce il tipico fatto estintivo del rapporto obbligatorio. L'idea dell'adempimento quale modo proprio di estinzione dell'obbligazione trova riscontro anche nella sistematica del codice che disciplina in un capo l'adempimento (artt. 1176 ss. c.c.) e, in un altro capo, i modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento (artt. 1230 ss.); • datio in solutum artt. 1197-1198 c.c. deroga al principio secondo cui l'esecuzione di una prestazione diversa da quella dedotta in obbligazione non libera il debitore. Presupposti e distinzione dalla novazione oggettiva. l’estinzione delle garanzie. Tale effetto estintivo-sostitutivo può verificarsi solo in presenza di determinati requisiti. 1. In primo luogo la volontà di estinguere l’obbligazione deve essere manifestata in modo 
«non equivoco» da entrambe le parti. Non occorre una dichiarazione espressa, ma il comportamento delle parti non deve dare adito a dubbi circa la loro volontà.
Così, ad esempio, non è sufficiente che il creditore accetti un adempimento parziale: ciò non comporta l’estinzione dell’obbligazione e la sua sostituzione con una nuova, avente a oggetto la parte di prestazione rimasta non eseguita. 
 2. Secondo autorevole dottrina (Rescigno) la novazione non sarebbe un contratto a sé, ma un effetto, che discende da atti di tipo diverso. Quindi, non occorre la volontà di estinguere l'obbligazione precedente per sostituirla con una nuova, perché l'effetto estintivo è dato dalla incompatibilità oggettiva tra le due vicende negoziali. 3. Per produrre l’effetto novativo è inoltre necessario che la nuova obbligazione, che si sostituisce alla precedente, sia diversa per il titolo o per l’oggetto (novazione oggettiva). Ad esempio, le parti convengono che il debitore sia tenuto a una prestazione diversa o che la somma di denaro sia dovuta non più a titolo di corrispettivo, ma a titolo di risarcimento del danno. 
 La novazione può essere anche SOGGETTIVA, allorché «un nuovo debitore è sostituito a quello originario, che viene liberato».
Con riguardo peraltro al diverso fenomeno della modifica del soggetto passivo del rapporto obbligatorio, l’art. 1275 c.c. prevede una regola comune a delegazione, espromissione e accollo, stabilendo che «in tutti i casi nei quali il creditore libera il debitore originario, si estinguono le garanzie annesse al debito, se colui che le ha prestate non consente espressamente a mantenerle». 
 La previsione di tale effetto, tipico dei modi di estinzione dell’obbligazione, pone allora la questione della rilevanza dell’eventuale volontà inequivocabilmente manifestata dalle parti di estinguere l’obbligazione e di sostituirla con un’altra diversa dal punto di vista dei soggetti.
In realtà tale fattispecie novativa, riconducibile all’art. 1235 c.c., rileva su un piano ulteriore rispetto a quello relativo all’estinzione delle garanzie e attiene alle eccezioni opponibili dal nuovo debitore. Questi, per effetto della novazione, non potrà infatti opporre le eccezioni relative al rapporto tra creditore e debitore originario, che si è estinto e al quale si è sostituita la sua obbligazione. 
 L’art. 1231 c.c. espressamente stabilisce che non produce invece novazione la modificazione meramente accessoria dell’obbligazione, che consiste nell’apposizione o eliminazione di un termine o nel rilascio di un documento o nella sua rinnovazione. 
 Ma, al di fuori di questi casi, è una questione interpretativa della volontà delle parti stabilire se queste hanno novato cioè estinto l’obbligazione o più semplicemente l’hanno modificata.
 La Cassazioneèha ritenuto che la modificazione quantitativa della prestazione e il differimento del termine di adempimento non determinassero novazione. Una regola particolare è prevista nell’art. 1234, co. 2, c.c., nel caso in cui l’obbligazione originaria nasca da un contratto annullabile che, com’è noto, produce i suoi effetti fino all’eventuale annullamento. L’obbligazione esiste e può essere validamente novata, purché le parti fossero consapevoli del vizio che inficiava il titolo originario. In tal modo, infatti, si realizza una specifica ipotesi di convalida del contratto annullabile, che impedisce di annullarlo retroattivamente, privando di effetti la novazione effettuata sul presupposto dell’esistenza dell’obbligazione sostituita. 3. La remissione del debito tra atto unilaterale e contratto La REMISSIONE DEL DEBITO è la dichiarazione con la quale il creditore libera il debitore dall’obbligazione, che pertanto si estingue. L’art. 1236 c.c. stabilisce che l’estinzione si verifica quando la remissione è comunicata al debitore, senza richiedere un’accettazione da parte di quest’ultimo. Si tratta quindi di un ATTO UNILATERALE, anche se il debitore ha la possibilità di rifiutare la liberazione dal debito. In tal caso l’obbligazione, che si era estinta, rivive.
 Dal punto di vista della causa, la remissione: • se fatta per spirito di liberalità, può configurare una donazione indiretta, • ma può anche essere l’effetto di un contratto che contempla altre prestazioni corrispettive.
La legge non prescrive alcuna forma per la validità della remissione, che può essere fatta anche mediante un comportamento concludente.
 L’art. 1237, co. 1, c.c. stabilisce che la restituzione volontaria del titolo originale del credito fatta dal creditore costituisce una presunzione iuris et de iure di remissione, che non ammette prova contraria. La remissione è invece presunta fino a prova contraria nel caso di consegna volontaria di una copia autentica dell’atto pubblico che costituisce il titolo esecutivo.
La REMISSIONE comporta l’estinzione non solo dell’obbligazione principale, ma anche delle relative garanzie reali o personali. Viceversa, la rinuncia alla garanzia non comporta estinzione dell’obbligazione garantita. Così ad esempio la rinuncia alla fideiussione libera il fideiussore ma non il debitore principale. 4. I rapporti obbligatori tra le medesime parti e la compensazione come strumento di semplificazione degli atti solutori
 Attraverso la COMPENSAZIONE i reciproci debiti e crediti tra due soggetti si estinguono per le quantità corrispondenti. Perché si verifichi tale effetto le reciproche obbligazioni devono avere determinati requisiti, che variano a seconda che ricorra l’uno o l’altro dei tre tipi di compensazione.
Ai fini della compensazione legale i due debiti devono essere: 1. anzitutto omogenei, cioè avere ad oggetto cose del medesimo genere. 2. Entrambi i crediti devono inoltre essere liquidi, cioè determinati nel loro preciso ammontare, 3. ed esigibili. Non si ha compensazione ove un obbligo sia soggetto a un termine non ancora scaduto ovvero a condizione non ancora verificatasi. La concessione gratuita di una dilazione non esclude invece l’esigibilità e non impedisce la compensazione. Attraverso la compensazione si realizza una semplificazione dell’attività giuridica. Ciascuna parte sarà meglio garantita rispetto al rischio di insolvenza dell’altra parte. Secondo l’art. 1242 c.c. la compensazione ESTINGUE I DUE DEBITI DAL GIORNO DELLA LORO COESISTENZA, ma il giudice non può rilevarla d’ufficio. La compensazione non opera automaticamente ipso iure, ma presuppone un’eccezione che, secondo la dottrina, può essere sollevata dalle parti interessate anche fuori dal processo, in via stragiudiziale. è il giudice accerta l’estinzione delle obbligazioni per le quantità concorrenti dal giorno della loro coesistenza, con le richieste caratteristiche di liquidità ed esigibilità. L’ammontare dei crediti compensati va quindi valutata al momento della loro coesistenza e non al momento del relativo accertamento giudiziale. la compensazione giudiziale si verifica quando uno dei due crediti non è liquido, ma di facile e pronta liquidazione. In questo caso il giudice può pronunciare la compensazione per la parte di credito che risulta determinata ovvero può sospendere la condanna del convenuto al pagamento del debito liquido, fino all’accertamento del credito opposto in compensazione. In entrambe le ipotesi la SENTENZA GIUDIZIALE ha natura costitutiva e non dichiarativa, come nel caso di compensazione legale.
 Ulteriore ipotesi è quella della compensazione volontaria che si basa su un accordo tra le parti che estinguono le obbligazioni reciproche. La reciprocità è l’unico requisito, mentre non è necessario che si tratti di crediti omogenei né che siano esigibili. 5. Confusione e patrimoni separati del medesimo soggetto Secondo l’art. 1253 c.c. «QUANDO LA QUALITÀ DI CREDITORE E DI DEBITORE SI RIUNISCONO NELLA STESSA PERSONA, L’OBBLIGAZIONE SI ESTINGUE». è identità tra debitore e creditore è successiva al sorgere dell’obbligazione, dato che altrimenti questa non sarebbe neppure sorta.
 La confusione si verifica quindi in conseguenza di mutamenti soggettivi nel lato passivo o attivo del rapporto obbligatorio che portano il debitore a diventare creditore di se stesso o viceversa.
 ex: quando il debitore o il creditore per effetto di successione mortis causa diventano eredi rispettivamente del proprio creditore o debitore. In tal caso, ove l’eredità sia stata accettata puramente e semplicemente, le due situazioni giuridiche, attiva o passiva, si confondono.
 Nell’ipotesi di ACCETTAZIONE CON BENEFICIO D’INVENTARIO, invece, il patrimonio del de cuius e quello dell’erede rimangono distinti e trova applicazione l’art. 490, co. 2, n. 1), secondo cui «l’erede conserva verso l’eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte».
Questa regola assume un significato evidente quando vi sia una pluralità di eredi: il COEREDE. • se è debitore, deve adempiere anche a beneficio degli altri • se è creditore ottiene il pagamento a carico dell’eredità prima che questa sia divisa.
 La conservazione dei crediti e debiti nei confronti del de cuius può tuttavia avere significato anche nel caso di unico erede. Sel’eredità è incapiente e il passivo supera l’attivo, non solo l’erede che ha accettato con beneficio d’inventario non risponderà dei debiti oltre il valore dei beni ricevuti, ma altresì nel determinare il valore dell’attivo, potrà dedurre il debito del de cuius nei propri confronti.
è lo stesso soggetto può essere debitore e creditore di se stesso, purché le due posizioni giuridiche, attiva e passiva, facciano capo a due distinti patrimoni. In tal caso vi è un unico soggetto, ma due parti, cioè due diversi centri d’imputazione degli interessi, ai quali fanno
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