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Commissioni parlamentari e procedimento legislativo, Dispense di Diritto Costituzionale

Il ruolo delle commissioni parlamentari e dei gruppi parlamentari all'interno del funzionamento delle Camere, nonché il procedimento legislativo adottato per l'approvazione delle leggi. Vengono spiegati i tre passaggi dell'iter legis ordinario e le diverse sedi in cui le commissioni parlamentari possono operare. Viene inoltre specificato il numero minimo di deputati e senatori necessario per costituire un gruppo parlamentare e le risorse a carico del bilancio della camera di appartenenza assegnate ai gruppi per lo svolgimento delle loro attività.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 08/11/2023

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Scarica Commissioni parlamentari e procedimento legislativo e più Dispense in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! Commissioni parlamentari e gruppi parlamentari Commissione parlamentare: è un collegio endorganico, composto da un numero di parlamentari incaricati di esaminare una determinata materia o una singola questione, attribuita alla sua competenza dal regolamento, da una delibera o, in alcuni casi dalla legge. Il più delle volte, le commissioni parlamentari sono composte da un certo numero di parlamentari secondo criterio proporzionale, calcolato rispetto ai numeri dell'organo maggiore. Le commissioni che risiedono nei parlamenti moderni sono organi fondamentali per il funzionamento delle Camere. Esse sono necessarie per lo sviluppo delle politiche pubbliche e svolgono un ruolo di monitoraggio dell'attività del Governo. > commissioni permanenti, sono in entrambe le Camere e sono competenti ciascuna di materie specifiche e restano in carica per tutta la durata della legislatura. > commissioni di inchiesta, vengono istituite quando è necessario; sono di solito bicamerali, cioè composte di deputati e senatori; hanno il compito di indagare su avvenimenti di grande rilievo per la vita del Paese che richiedono approfondimenti. Gruppi parlamentari: associazioni di deputati e senatori la cui costituzione è normata dai regolamenti di camera e senato. Rappresentano la proiezione all’interno dell’organo istituzionale dei partiti che hanno ottenuto seggi alle elezioni. Nel nostro ordinamento svolgono un ruolo fondamentale in quanto incidono in maniera determinante sui lavori dell’aula. Spetta infatti ai gruppi assegnare i singoli parlamentari alle varie commissioni. Tramite la conferenza dei presidenti di gruppo inoltre incidono sulla definizione dell’agenda dei lavori a cui contribuiscono direttamente alla camera mentre è sottoposta alla loro approvazione al senato. I gruppi inoltre determinano l’attività politica dei propri membri. È all’interno del gruppo infatti che vengono definiti gli interventi durante il dibattito dell’aula. Un singolo parlamentare non può intervenire di propria iniziativa a meno che non si trovi in disaccordo con il resto del gruppo. Anche in questo caso però lo spazio per il suo intervento è limitato. Ogni gruppo deve redigere entro 30 giorni dalla costituzione un proprio statuto (regolamento al senato). Inoltre nella prima riunione deve eleggere un presidente, uno o più vicepresidenti e un comitato direttivo alla camera mentre al senato devono essere scelti presidente, uno o più vice presidenti ed uno o più segretari. Devono inoltre essere previsti organi per la gestione amministrativa. Ogni parlamentare è tenuto ad aderire a un gruppo. Chi non lo fa viene inserito d’ufficio nel gruppo misto. Tuttavia non c’è una correlazione diretta tra il partito o la lista con cui un parlamentare è stato eletto e la sua successiva adesione al gruppo. L’articolo 67 della costituzione prevede infatti il divieto di mandato imperativo. Ogni parlamentare quindi può aderire al gruppo che preferisce. Per costituire un gruppo parlamentare occorre un numero minimo di 20 deputati e 10 senatori ma sono previste anche delle eccezioni. Data la loro funzione ai gruppi sono assegnate, a carico del bilancio della camera di appartenenza, le risorse necessarie allo svolgimento della loro attività. Procedimento legislativo Procedimento legislativo (iter legis) è il procedimento formale adottato dall’organo detentore del potere legislativo di uno stato che porta all’approvazione della legge. Per le leggi ordinare > iter legis ordinario: 1. Fase dell’iniziativa, da parte del soggetto competente 2. Fase della discussione, da parte del Parlamento 3. Fase della promulgazione, da parte del Presidente della repubblica 1) Fase dell’iniziativa: esercizio da parte di determinati soggetti del potere di sottoporre progetti di legge redatti in articoli al Parlamento. Tale potere è riconosciuto a: membri del Parlamento; Governo; corpo elettorale; Consigli regionali, CNEL; organi ed enti cui sia comunque conferito suddetto potere da legge costituzionale. 2) Fase della discussione: assegnazione da parte del Presidente della camera (Camera dei Deputati o Senato della Repubblica) cui è pervenuto il progetto di legge alla commissione parlamentare competente per materia. La commissione parlamentare opera diversamente a seconda della "sede" in cui viene autorizzata a operare. La commissione parlamentare incaricata di esaminare il progetto di legge può operare in: - sede referente; sede in cui le commissioni operano seguendo l’iter legis ordinario; è sempre obbligatorio per i progetti di legge in materia costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi; è facoltativo per tutti gli altri progetti di legge. In esso si prevede una discussione sul testo nel suo complesso seguita da una discussione del testo articolo per articolo. Alla discussione segue un voto sul progetto di legge. La commissione ha in tale sede il compito di preparare i documenti (testo del progetto di legge e relazioni) su cui lavorerà poi più accuratamente prima una e poi l'altra camera del Parlamento; in tali sedi plenarie la Commissione è rappresentata da un relatore. - sede legislativa o deliberante; la commissione che opera in sede legislativa (si tratta di un procedimento speciale) si occupa della discussione, della votazione e dell'approvazione del progetto di legge estromettendo completamente l'Assemblea dai lavori. È sempre ammessa durante i lavori della commissione la domanda di "rimessione in assemblea" del progetto di legge. - sede redigente; è la seconda procedura speciale prevista dai regolamenti di Camera e Senato; la commissione ha gli stessi compiti che aveva quando operava in sede referente con l'aggiunta che la sua votazione sui singoli articoli del progetto di legge assume carattere di definitività, e il testo che viene presentato alla Camera sarà votato nella sua interezza (senza quindi procedere alla votazione articolo per articolo; sono esclusi da questo procedimento le materie per le quali vi è una riserva di assemblea, citate nella Sede referente). 3) Fase della promulgazione: fase che attiene alla produzione degli effetti normativi della legge e riguarda la promulgazione e la pubblicazione. - promulgazione propriamente detta deve avvenire entro 30 giorni dall'approvazione parlamentare o in un termine minore se entrambe le Camere, a maggioranza assoluta, ne dichiarano l'urgenza, e spetta al Presidente della Repubblica - pubblicazione entro 30 giorni sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - vacatio legis = la legge pubblicata non entra immediatamente in vigore ma ha un periodo di 15 giorni di invalidità giuridica affinché le persone possano conoscere la nuova norma - entra in vigore. 3 tipi di referendum Referendum - art. 75: E` indetto referendum popolare [cfr. art. 87 c. 6] per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge [cfr. artt. 76, 77], quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio [cfr. art. 81], di amnistia e di indulto [cfr. art. 79], di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [cfr. art. 80]. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum. 1) abrogativo 2) confermativo 3) consultivo Abrogativo: 500.000 cittadini o 5 Consigli regionali possono proporre all'elettorato l'abrogazione, ovvero la decadenza, di una legge (in modo totale o parziali). Per essere ritenuto valido, deve partecipare alla votazione almeno il 50% degli elettori (il cosiddetto "quorum") e la proposta soggetta a referendum è approvata se viene raggiunta la maggioranza dei voti validi. Se il quorum non viene raggiunto resta in vigore la legge attuale, qualunque sia il risultato del referendum. Non per tutte le leggi si può richiedere un referendum abrogativo (i limiti riguardano le leggi tributarie e di bilancio, di ratifica di trattati internazionali e di amnistia e indulto). Non può essere oggetto di abrogazione tramite referendum le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Altri limiti nell'accesso al referendum abrogativo arrivavano a seguito delle sentenze di ammissibilità della Corte Costituzionale. La corte ha stabilito che non può essere richiesto referendum: - su norme costituzionali, sulle leggi di revisione costituzionale e gli atti con forza di legge passiva peculiare (ad es. le leggi di esecuzione e attuazione di un trattato internazionale); - sulle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato e solo parzialmente a quelle costituzionalmente obbligatorie, o se l'esito del referendum non ha come risultato definitivo quello di abrogarle completamente; - se la forma del suo quesito non si presenti omogenea, chiara, semplice. Inoltre, è richiesta "la nettezza della scelta" o l'"univocità della domanda"per la "contraddittorietà del quesito proposto all'elettore". - se il quesito è "ambiguo" o se la domanda è "inidonea a raggiungere lo scopo". La legge di attuazione del referendum prevede che: realizzarsi di paralisi quando l'organo presidenziale si trovi in forti contrasti con un legislativo di diverso schieramento politico. Tipica di questa forma di governo è allora l'esistenza di una serie di controlli fra i poteri che consentono di governare. In realtà occorre sottolineare come non ci sia una separazione pura tra i due poteri, intervenendo in molti casi i cosiddetti checks and balances (contrappesi), che rappresentano lo strumento che compensa questa formale rigidità della separazione dei poteri - USA ● repubblica direttoriale: l'unico caso in cui un collegio composto da sette persone funge da Capo dello Stato e del Governo. Il Governo è espressione di tutti i fronti politici dell’organo legislativo - Svizzera MISTE: ● governo parlamentare: è una forma di governo ampia e che può comprendere sia l'accezione repubblicana, sia quella monarchica. Caratteri ricorrenti e fondamentali di questa forma sono la previsione che la nomina del capo del governo spetti sempre formalmente al capo dello stato; la presenza di un gruppo di ministri; la prassi per cui al venir meno della fiducia parlamentare seguono le dimissioni governative; e come contrappeso a questa previsione il potere di scioglimento delle camere elettive riservato all'esecutivo (anche se formalmente viene attribuito al capo dello stato, di concerto con l'esecutivo e i vari gruppi parlamentari). Per trattare questa forma di governo, occorre operare una classificazione in base alla preminenza di uno specifico organo costituzionale sugli altri. In questo modo si avrà un governo parlamentare a preminenza assembleare, nel caso in cui a essere accentuato sia il ruolo del parlamento rispetto al governo ovvero un governo parlamentare a preminenza del gabinetto ministeriale o del suo presidente, dove cioè il governo dirige l'attività dell'assemblea - repubblica: ITALIA / monarchia: UK ● governo semipresidenziale: Presenta caratteri tipici della forma parlamentare per quanto riguarda i rapporti tra parlamento e governo e caratteri della forma presidenziale, riconoscendosi una netta prevalenza del capo del governo. Differisce da queste forme, precedentemente analizzate, per l'equilibrio diarchico che si viene a creare tra capo del governo e capo dello stato e per la netta prevalenza del capo dello stato sugli altri organi, salvo nei periodi di coabitazione,. Nella forma di governo semipresidenziale si procede all'elezione diretta del Parlamento e del presidente della Repubblica - Repubblica Francese ● dittatura: Forma di governo autoritaria, dove il potere politico appartiene a un singolo organo (monocratico o collegiale ristretto) che si presenta il più delle volte superiore alle stessi leggi o alla costituzione. Potere il più delle volte imposto con la forza sui consociati, che fa sì che venga svolta un'opera di repressione del dissenso politico e dell'opposizione ● governo presidenzialista: forma che presenta una netta preminenza presidenziale, con la presenza però di collegamenti fra esecutivo e legislativo. Possiamo individuare forme di presidenzialismo nei modelli ibero-americano. In tutti questi casi il Capo dello stato è eletto con voto popolare, e viene dotato di poteri forti (tra cui quello di scioglimento della assemblea, che invece non è previsto nella forma presidenziale) e che non subisce il contrappeso di un forte potere giudiziario; sono differenti le forme di collaborazione e di condizionamento tra i vari poteri (tra cui differiscono le forme di responsabilità politica del presidente), per cui in questi stati il tipico sistema dei pesi e contrappesi è quasi completamente azzerato. ● governo neoparlamentare: l'elezione diretta del primo ministro da parte del corpo elettorale, che esprimeva la propria preferenza contestualmente alle elezioni del parlamento. Questo sistema implicava una forte relazione fiduciaria fra parlamento e governo; e a quest'ultimo spettava il potere di scioglimento anticipato dell'assemblea che, però, comportava le conseguenti dimissioni dello stesso esecutivo, secondo la formula aut simul stabunt aut simul cadent - esperimento politico attuato in Israele tra il 1992 e il 2001, mai più replicato ● consociativismo: garantisce una rappresentanza ai diversi gruppi etnici che compongono un paese profondamente diviso per caratteri culturali, linguistici, sociali… Viene spesso adottato per gestire i conflitti che sorgono in comunità nazionali profondamente divise e che ancora sono alla ricerca del proprio percorso costituzionale, di recentissima formazione. > http://www.acairoli.it/attachments/article/415/forme_governo.pdf Fiducia governo-parlamento (fiducia parlamentare - art. 94 Cost.) Art. 94: “il Governo deve ottenere la fiducia delle due Camere per essere giuridicamente efficace”. La fiducia parlamentare è qualcosa con cui il Governo deve misurarsi sin dalla nascita. Subito dopo aver incassato la nomina del presidente della Repubblica, deve infatti presentarsi prima alla Camera dei Deputati e poi al Senato, dove il presidente del Consiglio espone il programma che lui e il suo partito intendono seguire. Dopo il discorso e gli interventi dei deputati e dei senatori, entrambe le camere votano la fiducia (mozione di fiducia = il Parlamento dà fiducia al Governo). Se la maggior parte dei voti sono favorevoli, vuol dire che il Governo ha la fiducia del Parlamento, ed entra regolarmente in carica. Se la maggior parte dei voti sono contrari, il Governo non può entrare in carica. Ora, in questo caso è evidente che molto difficilmente il Parlamento voti contro, perché nei mesi precedenti a questo momento i vari partiti e il presidente della Repubblica si sono confrontati (in genere anche piuttosto a lungo) per trovare una maggioranza che sostenga il nuovo Governo. Questo periodo di confronto tra le elezioni e la nascita del Governo sono le cosiddette consultazioni. Il Parlamento non si limita ad esprimersi al momento della nascita del Governo per poi rimanere silente, ma può decidere in ogni momento della legislatura di accordargli o negargli la fiducia. Per farlo usa la cosiddetta mozione di sfiducia, un atto che deve essere proposto da almeno un decimo dei membri di una delle due camere. Se, dopo la presentazione, la maggioranza dei membri della Camera vota a favore della mozione, il Governo viene sfiduciato e il presidente della Repubblica deve avviare le consultazioni per trovare una nuova maggioranza per formare un nuovo Governo o, in alternativa, sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. La mozione di sfiducia può essere rivolta anche ai singoli ministri. Essa deve essere firmata da almeno 1/10 dei componenti della Camera non può essere messa in discussione prima di 3 giorni dalla sua presentazione. La mozione di fiducia non si deve confondere con la questione di fiducia, di cui si parla nei regolamenti parlamentari e non nella Costituzione. In questo caso, il Governo la chiede al Parlamento, in genere legata a un qualche provvedimento che vuole far passare. Essa è pensata come una misura eccezionale, che nel tempo è stata abusata; infatti, quando il Governo pone la questione di fiducia su un suo provvedimento, infatti, tutti gli emendamenti presentati dai parlamentari (cioè le proposte di modifica al disegno di legge, che possono essere approvate o meno dalle camere) vengono subito cancellati. Inoltre, il Parlamento che vota contro si deve assumere la pesante responsabilità politica di far cadere il Governo, cosa che i parlamentari di maggioranza non sono in genere disposti a fare, anche se magari avrebbero espresso qualche critica o il voto contrario sul merito del provvedimento. Sfiducia costruttiva L'istituto della sfiducia costruttiva è uno dei mezzi usati da alcune costituzioni approvate nel secondo dopoguerra per razionalizzare la forma di governo parlamentare, rafforzando la stabilità[1] dell'esecutivo. Consiste nell'impossibilità da parte del parlamento di votare la sfiducia al governo in carica se, contestualmente, non concede la fiducia ad un nuovo esecutivo. In questo modo un governo, nonostante abbia perso la maggioranza parlamentare, può continuare a rimanere in carica nel caso in cui le forze politiche in parlamento non riescano ad accordarsi per formare un nuovo governo. Questo perché non può esserci una situazione in cui non vi sia un governo in carica Sintesi Rapporto di fiducia parlamentare: - il Governo deve presentarsi entro 10 giorni alle camere per mettere a punto il programma che intende seguire - il Governo deve ottenere la fiducia da entrambe le Camere Mozione di fiducia: è il voto delle Camere (voto palese a maggioranza semplice) che deve essere motivato; è essenziale affinché il Governo sia operativo. Mozione di sfiducia: unico meccanismo costituzionale per eliminare la mozione di fiducia. Deve essere firmata da almeno 1/10 dei componenti delle Camere e non può essere messa in discussione prima di 3 giorni dalla sua presentazione > il Governo non ha l’obbligo di dimettersi senza mozione di sfiducia, neppure quando una norma attuativa del programma presentato venga bocciato dal parlamento. Questione di fiducia: ulteriore strumento che incide sul rapporto di fiducia governo-parlamento. Consiste nel legare l’approvazione della legge alla permanenza in carico del Governo. Il voto contrario porta alla sfiducia e dimissione del Governo. Sfiducia individuale: situazione in cui viene avanzata la mozione di sfiducia verso un solo ministro e non verso l’intero Governo; in questo caso la fiducia parlamentare permane ed il Premier non ha l’obbligo di dimissioni. Crisi di governo: situazione che si viene a creare al venire meno del rapporto di fiducia parlamentare a cui consegue l’obbligo di dimissioni del Governo. Due modelli di crisi: - Crisi parlamentare: si verifica quando il Governo non ottiene la fiducia o riceve una mozione di sfiducia dal Parlamento. Il Presidente del Consiglio (capo del Governo) ha l’obbligo di dimettersi poiché tra Parlamento e Governo non vi è più alcuna fiducia. - Crisi extraparlamentare: deriva dalle dimissioni spontanee del Presidente del Consiglio. Avviene ad esempio quando alcuni partiti si ritirano dalla coalizione governativa, e in assenza di maggioranza, il Premier lascia l'incarico perché impossibilitato a portare avanti il programma presentato (non vi è una mozione di sfiducia palesata, ma è una sorta di sfiducia implicita). > il Governo dimissionario rimane in carica fino alla formazione del nuovo Governo, seppur con poteri limitati. Non è possibile che non vi sia un Governo. Poteri del Governo dimissionario: l’attività del governo dimissionario è circoscritta all'ordinaria amministrazione: il governo dimissionario può compiere gli atti di esecuzione delle leggi vigenti, ma deve astenersi da tutti quegli atti discrezionali e politici che, in quanto tali, possono e devono essere rinviati alla gestione del successivo governo; il governo dimissionari deve solo garantire la continuità costituzionale. La crisi viene risolta dal Presidente della Repubblica o attraverso la nomina di un nuovo Premier, o attraverso lo scioglimento delle Camere. Nelle ipotesi di crisi, è frequente che il Presidente della Repubblica provveda a rinviare il Governo alle Camere per richiedere il voto di fiducia al Parlamento, al fine di ricondurre la crisi al suo modello costituzionale > parlamentarizzazione. Dalle crisi si distingue il rimpasto governativo, cioè la sostituzione di uno o più ministri dimissionari. Non produce l’obbligo di dimissioni del Presidente del Consiglio, né l’obbligo di un nuovo voto di fiducia, poiché il voto di fiducia è espresso dal Parlamento sul programma di Governo e non sulla sua composizione. Sfiducia individuale: situazione in cui viene avanzata la mozione di sfiducia verso un solo ministro e non verso l’intero Governo; in questo caso la fiducia parlamentare permane ed il Premier non ha l’obbligo di dimissioni. Formazione del Governo L'art.92 della Costituzione disciplina la formazione del Governo con una formula semplice e concisa: "Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri". Secondo tale formula sembrerebbe che la formazione del Governo non sia frutto di un vero e proprio procedimento. Invece, nella prassi, la sua formazione si compie mediante un complesso ed articolato processo, nel quale si può distinguere la fase delle consultazioni (fase preparatoria), da quella dell'incarico, fino a quella che caratterizza la nomina. Prima di assumere le funzioni, il Presidente del Consiglio e i Ministri devono prestare giuramento ed ottenere la fiducia dei due rami del Parlamento come prescritto dagli articoli 93 e 94 della Costituzione. 1. Fase preparatoria: Questa fase consiste essenzialmente nelle consultazioni che il Presidente svolge, per prassi costituzionale, per individuare il potenziale Presidente del Consiglio in grado di formare un governo che possa ottenere la fiducia dalla maggioranza del Parlamento. Questo meccanismo viene attivato, ovviamente, ogni qualvolta si determini una crisi di governo per il venir meno del rapporto di fiducia o per le dimissioni del Governo in carica. L'ordine delle consultazioni non è disciplinato se non dal mero galateo costituzionale ed è stato soggetto a variazioni nel corso degli anni (in alcuni casi il Presidente della Repubblica ha omesso alcuni dei colloqui di prassi). In sostanza, questa fase può ritenersi realmente circoscritta a quelle consultazioni che potrebbero essere definite necessarie e, cioè, quelle riguardanti i Capi dei Gruppi parlamentari e dei rappresentanti delle coalizioni, con l'aggiunta dei Presidenti dei due rami del Parlamento, i quali devono essere comunque sentiti in occasione dello scioglimento delle Camere. A titolo esemplificativo può dirsi che l'elenco attuale delle personalità che il Presidente della Repubblica consulta comprende: i Presidenti delle camere; gli ex Presidenti della Repubblica, le delegazioni politiche. 2. L’incarico: il conferimento dell'incarico può essere preceduto da un mandato esplorativo che si rende necessario quando le consultazioni non abbiano dato indicazioni significative. Al di fuori di questa ipotesi, il Presidente conferisce l'incarico direttamente alla personalità che, per indicazione dei gruppi di maggioranza, può costituire un governo ed ottenere la fiducia dal Parlamento. L'istituto del conferimento dell'incarico ha fondamentalmente una radice consuetudinaria, che risponde ad esigenze di ordine costituzionale. Nella risoluzione delle crisi si ritiene che il Capo dello Stato non sia giuridicamente libero nella scelta dell'incaricato, essendo vincolato al fine di individuare una personalità politica in grado di formare un governo che abbia la fiducia del Parlamento. L'incarico è conferito in forma esclusivamente orale, al termine di un colloquio tra il Presidente della Repubblica e la personalità prescelta. Del conferimento dell'incarico da' notizia, con un comunicato alla stampa, alla radio e alla televisione, il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica. Una volta conferito l'incarico, il Presidente della Repubblica non può interferire nelle decisioni dell'incaricato, né può revocargli il mandato per motivi squisitamente politici 3. La nomina: L'incaricato, che di norma accetta con riserva, dopo un breve giro di consultazioni, si reca nuovamente dal capo dello Stato per sciogliere, positivamente o negativamente, la riserva. Subito dopo lo scioglimento della riserva si perviene alla firma e alla controfirma dei decreti di nomina del Capo I giudici della Corte costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio. I giudici della Corte costituzionale sono nominati per nove anni, decorrenti per ciascuno di essi dal giorno del giuramento, e non possono essere nuovamente nominati. Alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e dall'esercizio delle funzioni. La Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il Presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall'ufficio di giudice. L'ufficio di giudice della Corte è incompatibile con quello di membro del Parlamento, di un Consiglio regionale, con l'esercizio della professione di avvocato e con ogni carica ed ufficio indicati dalla legge. Nei giudizi d'accusa contro il Presidente della Repubblica intervengono, oltre i giudici ordinari della Corte, sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari. Art. 101 Cost.: la giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge. Ratio legis: la disposizione vuole garantire l’indipendenza di chi esercita la funzione giudiziaria, principio cardine di ogni ordinamento democratico. Spiegazione: la giurisdizione è una delle tre funzioni tipiche dello Stato e consiste essenzialmente nel potere di dare concreta attuazione alle norme dell'ordinamento giuridico. Essa viene attribuita a particolari organi dello Stato, in posizione di terzietà ed imparzialità, che rappresentano il potere giudiziario. Il principio di cui al primo comma sottolinea che la funzione giurisdizionale rappresenta un'articolazione dello Stato-comunità ed è svolta imparzialmente, senza alcuna dipendenza dallo Stato e dai suoi apparati. I corollari dell'indipendenza, imparzialità, professionalità e soggezione unica alla legge, che connotano la magistratura, esprimono la volontà del costituente di ribadire il principio di separazione dei poteri ed il collegamento diretto della funzione giurisdizionale alla sovranità popolare. Lo stesso popolo viene in alcune ipotesi chiamato direttamente a svolgere la funzioni giurisdizionale, come dinanzi alla Corte d'Assise, in veste di giudice popolare, o come giudice onorario, nei casi previsti dalla legge. Consiglio Superiore della Magistratura (CSM): composizione e competenze Il consiglio superiore della magistratura (Csm) è l’organo di governo della magistratura in Italia. Il ruolo di questo organo è decisivo nel funzionamento della giustizia. Il Csm gestisce infatti tutto ciò che riguarda i percorsi di carriera di giudici e pm: i concorsi per l’immissione in ruolo, le procedure di assegnazione e trasferimento, gli avanzamenti di carriera, la cessazione del servizio e gli aspetti disciplinari relativi ai magistrati. Composizione: composto da 27 membri e presieduto dal Presidente della Repubblica che ne è membro di diritto, così come il primo presidente e il procuratore generale della corte di cassazione. Nella gestione quotidiana dell’organo, per prassi, il ruolo del presidente è però sostanzialmente formale e volto a garantire l’indipendenza dell’organo da eventuali ingerenze esterne. Perciò, ai fini dell’attività ordinaria, riveste una grande importanza il vicepresidente che viene eletto tra i membri laici del consiglio (ovvero quelli scelti dal parlamento e non dai magistrati). L’attuale vicepresidente è David Ermini, ex parlamentare del Partito democratico. Oltre ai tre membri di diritto, è la costituzione a stabilire che gli altri siano eletti per 2/3 da tutti i magistrati italiani (i membri togati) e per 1/3 dal parlamento in seduta comune tra docenti universitari in discipline giuridiche e avvocati con almeno 15 anni di esercizio (i cosiddetti membri laici). I membri elettivi del Csm restano in carica 4 anni e non sono immediatamente rieleggibili, non possono essere iscritti a ordini professionali fintanto che rimangono in carica né far parte del parlamento o di un consiglio regionale. I lavori all’interno del Csm vengono affidati a delle commissioni, di cui fanno parte sia consiglieri laici che togati, e suddivise per argomento. Tali commissioni sono 10, a cui si aggiunge la sezione disciplinare per i magistrati ordinari e quella per la verifica dei titoli. Ciascuna commissione può presentare una o più proposte al plenum dell’assemblea a cui spetta l’approvazione definitiva. Competenze: - assunzione (tramite concorso pubblico) - Assegnazione ad un incarico - Promozione - Valutazioni di professionalità - Trasferimento - Attribuzione di sussidi ai magistrati e alle loro famiglie - Procedimento disciplinare dei magistrati ordinari ed onorari - Nomina dei magistrati ordinari ed onorari - Nomina dei magistrati di cassazione - Nomina e revoca dei magistrati onorari Riserve di legge (ex art. 25 Cost.) La riserva di legge è quel principio previsto dalla Costituzione (ex art. 25) il quale richiede che una determinata materia sia disciplinata da una disposizione legislativa di rango primario. Tale principio ha natura garantistica, fa sì quindi, che le fattispecie più delicate siano disciplinate dalla legge ordinaria, ossia le disposizioni emanate dal Parlamento secondo il procedimento emanato dagli art. 70- 74 Cost., e dalla legge costituzionale emanata in base al procedimento previsto dall’art.138 Cost. Tale principio può comunque essere ritenuto soddisfatto dal decreto legislativo (d.lgs.) e dal decreto legge (d.l.), nonostante siano di competenza del Governo (preferibile però che la materia sia disciplinata da una legge emanata su di un procedimento legislativo pubblico e dialettico). Tipologie: - riserva di legge assoluta, la quale prevede che la materia dev’essere disciplinata interamente dalla legge ordinaria. Un esempio di tale riserva è l’art. 13 della Cost. “La libertà personale”: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. - riserva di legge relativa prevede invece che una fattispecie sia disciplinata dai principi che sono stabiliti dalla legge, riducendo la discrezionalità dell’esecutivo, che potrà intervenire dettando la disciplina di dettaglio con i propri regolamenti. - riserva di legge rinforzata ossia riserve di legge assolute o relative per cui la Costituzione pone dei limiti alla discrezionalità del legislatore, prestabilendo dei contenuti che tale legge deve possedere. Ad esempio tale tipologia di riserva di legge rinforzata è contenuta nell’art. 16 Cost. “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente per qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.” - riserva di legge formale richiede invece che l’attività normativa sia compiuta dal solo Parlamento, escludendo gli atti aventi forza di legge. Le disposizioni coperte da riserva di legge formale infatti sono quelle “coperte” da riserva di assemblea. - riserva di legge a favore dei regolamenti parlamentari, i quali sono un complesso di norme che rappresentano l’espressione concreta dell’autonomia normativa e organizzativa di ciascuna Camera. Essi stabiliscono lo svolgimento dei lavori dell’Assemblea, le procedure di decisione, l’esercizio delle varie funzioni e i rapporti con il Governo. Sotto lo Statuto Albertino, i regolamenti parlamentari non erano considerati fonti del diritto, atti in grado, cioè di innovare l’ordinamento giuridico bensì regole prodotte e applicate solo all’interno delle Camere, da considerarsi quindi come “interna corporis”, ossia meri atti interni dell’organo. - riserva di giurisdizione consiste nel principio secondo il quale per determinate materie (specialmente quelle riguardanti le restrizioni della libertà) debba intervenire l’autorità giudiziaria e non magari qualsiasi altra autorità. Esempio di riserva di giurisdizione è previsto, come anche abbiamo visto poc’anzi, dall’art. 13 della Costituzione, il quale al secondo comma prevede che “In casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e se, questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.” Diritti e doveri costituzionali La Costituzione italiana riconosce ai cittadini una serie di diritti civili, diritti economico-sociali e diritti politici. I diritti civili vengono definiti 'diritti di libertà' e si suddividono in libertà individuali (ad es., la libertà personale) e libertà collettive (ad es., libertà di associazione). I diritti economico-sociali comprendono la proprietà privata, il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione, alla salute ecc. I diritti politici garantiti sono il diritto di elettorato attivo e passivo, il diritto di petizione, il diritto di accesso agli uffici pubblici. 1. diritti inviolabili: - libertà personale (art. 13) - libertà di domicilio (art. 14) - segretezza della corrispondenza (art. 15) - libertà di circolazione e soggiorno (art. 16) - libertà di riunione (art. 17) - libertà di associazione (art. 18) - libertà di religione (artt. 19 e 20) > principio di laicità dello Stato - libertà di manifestazione del pensiero (art. 21) - libertà di informazione - diritto alla tutela giuridica (art. 24) 2. doveri inderogabili. La Costituzione prevede una serie di doveri pubblici che lo Stato può vantare nei confronti dei singoli, affinché sia data concreta attuazione al principio di solidarietà sociale. Tali doveri vengono detti inderogabili poiché nessuno può essere esentato dalla loro osservanza, in quanto costituiscono il fondamento di una pacifica e costruttiva convivenza. In particolare la Costituzione impone ai cittadini i seguenti doveri: A) il dovere del lavoro, nel senso di «svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» cost 4; B) il dovere di difendere la patria e di prestare il servizio militare obbligatorio cost 52 (il legislatore, tuttavia, ha riconosciuto L 695 24/12/1974 il principio dell'obiezione di coscienza come espressione della libera esplicazione della propria personalità, consentendo agli obiettori di prestare un servizio sostitutivo civile); C) il dovere di prestazioni patrimoniali (imposte) per concorrere alle spese pubbliche, in proporzione alla propria capacità contributiva cost 53. Per quanto concerne gli stranieri, l'obbligo di contribuire alle spese pubbliche è riferito a coloro che vivono o hanno un reddito prodotto in Italia D) il dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi cost 54; a quest'ultimo dovere sono tenuti anche gli stranieri e gli apolidi presenti nel territorio dello Stato. Conflitti di Attribuzione Il Conflitto di Attribuzione consiste in situazioni di contrasto tra organi dello Stato e tra Stato e Regioni e tra le Regioni, più precisamente, tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono. - conflitto di attribuzione generale: il conflitto di attribuzione può essere positivo se i soggetti in conflitto affermano entrambi la propria competenza sulla materia, oppure negativo se entrambi i soggetti affermano la propria incompetenza. Il conflitto può investire situazioni in corso, cioè già verificatesi, oppure può precedere il verificarsi di situazioni concrete, discutendo così di situazioni future possibili nel verificarsi. Sui conflitti di attribuzione decide la Corte Costituzionale. Nel caso in cui il conflitto interessi anche un organo giurisdizionale, la competenza della Corte Costituzionale è controversa, potendo il giudizio confluire nella potestà della Corte di cassazione di dirimere i conflitti tra giurisdizioni comune e speciale. - conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato: art. 37 della legge n. 87 del 1953 che «il Conflitto tra Poteri dello Stato è risoluto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali». La legittimazione a sollevare conflitti di attribuzione spetta non necessariamente all'organo gerarchicamente superiore nell'ambito di un potere, ma a quello che può manifestare in via definitiva la volontà del potere cui appartiene. Così, ad esempio, spetta a ogni autorità giudiziaria la legittimazione a sollevare il conflitto di attribuzioni interorganico nell'ambito della propria competenza. Anche un singolo ministro, come accadde nel cosiddetto "caso Mancuso" può essere legittimato a sollevare conflitto tra i poteri. Per quanto riguarda ancora i profili soggettivi, si deve chiarire la nozione di "potere dello Stato". Posto il carattere policentrico del nostro ordinamento costituzionale, e quindi la non corrispondenza tra funzione e potere, e considerando inoltre la differenza che si pone tra attribuzione (che si fonda su disposizioni costituzionali) e competenza (che, essendo la misura dell'attribuzione, trova la sua fonte in disposizioni legislative), si riduce l'importanza dell'organo-soggetto per aumentare quella dell'oggetto, ponendosi l'attenzione della Corte, più che sulle attribuzioni, sulla natura costituzionale degli interessi. La giurisprudenza della Corte costituzionale, comunque, per riconoscere un potere dello Stato, richiede: che esso sia almeno menzionato dalla Costituzione; che gli competa una sfera di attribuzioni costituzionali; che ponga in essere atti in posizione di autonomia e indipendenza; che questi atti siano imputabili allo Stato. Per ciò che, invece, concerne i profili oggettivi, c'è da sottolineare come qualsiasi atto sia idoneo a essere impugnato in sede di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, e che il parametro può essere individuato in qualsiasi norma costituzionale (o anche in norme subcostituzionali concernenti la competenza). Il conflitto, oltre alle ipotesi-limite di "usurpazione" (vindicatio potestatis) , può più frequentemente assumere le forme di conflitto da interferenza (o da menomazione) con il quale non si nega in radice la competenza altrui, ma si chiede alla corte di ristabilire una corretta linea di confine,sul presupposto di una attribuzione condivisa e quindi spettante, in diversa misura, ad entrambe le parti in conflitto. Da ciò risalta il ruolo della corte come soggetto garante di difficili relazioni tra coloro che si contrappongono, come organo "stabilizzatore" delle microconflittualità istituzionali, che in qualche modo concorre esso delle disposizioni contenute in un decreto legge non convertito, le Camere possono deliberare leggi, cc.dd. leggi di sanatoria, che facciano salvi alcuni effetti di quest'ultimo Il governo, tramite decreto legge, non può (art. 15 della legge 400/1988): - conferire deleghe legislative; - provvedere nelle materie indicate nell'articolo 72, quarto comma, della Costituzione; - rinnovare le disposizioni di decreti legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere; - regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti; - ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non attinenti al procedimento. Emanazione del decreto legge: 1. delibera da parte del Consiglio dei ministri; 2. emanazione da parte del Presidente della Repubblica; 3. pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Procedimento di conversione: il decreto legge viene presentato alle Camere per la conversione il giorno stesso in cui è pubblicato in GU e le Camere, anche se sciolte, si riuniscono entro 5 giorni. Si apre, così, il procedimento di conversione che, rispetto al procedimento legislativo ordinario, presenta alcuni elementi di differenziazione che facilitano l'eventuale approvazione del disegno di legge in tempi brevi e permettono un attento controllo della sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza che legittimano il decreto legge. Si tratta di procedure adottate dai regolamenti parlamentari e che non sono le stesse in Camera e in Senato. Ad esempio, in Senato i requisiti di necessità e urgenza sono sottoposti al parere obbligatorio della Commissione Affari Costituzionali, mentre alla Camera sono oggetto di vaglio tramite una procedura più complessa. Art. 77 Cost.: “Atto con valore di legge adottato dal Governo nei casi straordinari di necessità e urgenza, che viene emanato dal Presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Entra in vigore il giorno stesso o il giorno successivo alla pubblicazione. Il decreto legge deve essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni, altrimenti perde efficacia sin dall'inizio. Le Camere, tuttavia, possono regolare con una legge i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto legge”. Decreto legislativo: rappresenta anch’esso uno degli strumenti del governo per legiferare. È un atto normativo avente valore di legge adottato dal Governo su delega espressa e formale del Parlamento ed emanato dal Presidente della Repubblica. Il ricorso allo strumento del decreto legislativo risulta utile quando le materie da disciplinare presentano una complessità e dei tecnicismi tali da non potere essere trattate dal Parlamento se non a pena di un marcato rallentamento della sua attività. Con la legge di delega, il Parlamento delega l'esercizio della funzione legislativa al Governo e al tempo stesso ne precisa i contenuti, i limiti e i tempi di emanazione. Il decreto legislativo dovrà quindi essere emanato nel rispetto dei principi dettati dalla stessa legge di delega. Art. 76 Cost.: “Atto con valore di legge adottato dal Governo in attuazione di una legge delega del Parlamento che ne stabilisce materia, limiti, principi e termini. Il decreto legislativo, dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri, viene emanato dal Presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Entra in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione” > ne consegue che, affinché la potestà normativa del Governo possa esplicarsi, la legge di delega deve espressamente indicare i principi e i criteri direttivi a cui deve conformarsi il Governo nell'esercizio della delega, l'oggetto della delega (che deve essere predeterminato e delimitato) e il termine (una data determinata o determinabile in modo oggettivo) entro cui esercitare la delega. La mancanza di uno di questi elementi essenziali per la delegazione legislativa comporta l'illegittimità costituzionale della legge di delega. Il procedimento di formazione dei decreti legislativi prevede una deliberazione del Consiglio dei Ministri, un decreto presidenziale di emanazione e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. In concreto, i decreti legislativi sono deliberati dal Consiglio dei Ministri ed emanati dal Presidente della Repubblica con l'indicazione, nel preambolo, della legge di delegazione, della deliberazione del Consiglio dei Ministri e degli altri adempimenti del procedimento prescritti dalla legge di delegazione. Differenze tra decreto legge e decreto legislativo: il decreto legge è emanato, pertanto, per fare fronte a situazioni che richiedono un intervento legislativo tempestivo. I decreti legge sono immediatamente efficaci, ma devono essere presentati lo stesso giorno alle Camere per la conversione. Se il decreto legge non viene convertito in legge, anche con modifiche, nel termine perentorio di sessanta giorni, esso perde efficacia ex tunc. In definitiva, il decreto legge si distingue dal decreto legislativo perché l'intervento parlamentare non è preventivo, ma successivo. Controriforma ministeriale La controfirma ministeriale è uno degli istituti caratterizzanti la forma di governo parlamentare (Forme di Stato e forme di governo): tramite essa, si cerca di conciliare l’idea dell’irresponsabilità giuridica e soprattutto politica del Capo dello Stato – secondo il brocardo inglese «il re non può far male» – con la responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento. Art. 89 Cost.: “Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti (1), che ne assumono la responsabilità [71, 90, 95]. Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri”. Ratio legis: l’istituto della controfirma si spiega con il fatto che il Capo dello Stato è esente da qualsiasi forma diretta di responsabilità politica, ciò che, a sua volta, deriva dalla circostanza per cui egli non ha alcuna funzione di indirizzo politico. Quindi, la menzionata responsabilità politica deve essere assunta da altri: questo si realizza proprio con la controfirma. La controfirma ministeriale rappresenta un requisito di validità di tutti gli atti del Presidente della Repubblica. Tale istituto è un residuo dell'ordinamento monarchico, che serviva a deresponsabilizzare il monarca rispetto agli atti di governo. Oggi questa funzione è stata conservata solo per alcuni tipi di atti, cioè per quelli sostanzialmente provenienti dai Ministri (o dal Presidente del Consiglio) e ascrivibili solo formalmente al Capo dello Stato (esempio tipico ne sono gli atti di ratifica dei trattati internazionali ai sensi dell'art. 87, comma 8 Cost). Diversa è la funzione della controfirma negli altri casi. Infatti, rispetto agli atti anche sostanzialmente presidenziali (come la nomina di cinque giudici costituzionali ex art. 135 Cost.) essa assolve al controllo circa la correttezza dell'atto, sia sul piano formale che della formazione della volontà presidenziale. Rispetto a quelli complessi (ascrivibili, oltre che al Capo dello Stato, ad altri soggetti) la controfirma esprime la condivisione dell'atto. Nomina del Presidente del Consiglio Il Presidente del consiglio è tra le cariche istituzionali più importanti del nostro Paese. Cosa fa e come viene eletto è indicato dalla Costituzione, che dedica al premier e alla formazione del governo numerosi articoli. Il delicato incarico di eleggere il futuro Presidente del consiglio spetta al Presidente della Repubblica, che lo individua dopo aver ascoltato il parere dei senatori a vita a dei presidenti di Camera e Senato. Il compito principale del premier è rappresentare l’indirizzo politico della maggioranza e mettere in atto il programma di governo esposto dinanzi al Parlamento al momento del voto di fiducia. Infatti, senza la fiducia delle Camere, il nuovo premier e la sua squadra di ministri non potrebbero espletare le loro funzioni. Ma scendiamo nei dettagli: ecco come avviene l’elezione del premier e dei ministri che compongono il governo e i compiti a loro attribuiti dalla legge. Il premier è espressione della maggioranza politica che si è confermata vincitrice alle elezioni, pertanto la persona indicata a guidare il Consiglio dei Ministri deve essere un esponente del partito che ha ottenuto più voti. Art. 92, comma 2, Cost.: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.” L’elezione del premier avviene attraverso un procedimento che prende il nome di “consultazioni”: prima di indicare colui o colei che presiederanno il Consiglio dei Ministri, il Presidente della Repubblica deve ascoltare il parere dei presidenti di Camera e Senato e dei Deputati e dei senatori a vita (in quanto ex Presidenti della Repubblica). In altre parole, le consultazioni servono a sondare gli orientamenti del Parlamento per individuare un leader politico che sia in grado di raccogliere il maggior consenso possibile e, quindi, garantire la stabilità del Paese. Una volta scelto il premier, il Presidente della Repubblica gli conferisce l’incarico di formare il nuovo esecutivo, quindi scegliere i ministri che andranno a dirigere i singoli ministeri. Dopodiché è necessario incassare il voto di fiducia del Parlamento entro 10 giorni dall’insediamento (ai sensi dell’articolo 94 della Costituzione). Dopo la nomina il premier può: - accettare l’incarico con riserva; - svolgere una propria fase di consultazione; - rinunciare all’incarico. Una volta insediato, la carica dura 5 anni, a meno che il governo non cada prima perdendo la fiducia del parlamento (mozione di sfiducia). Art. 95 Cost.: Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.” - fissa l’ordine del giorno del consiglio dei ministri; - può prendere decisioni riguardo i singoli dicasteri; - controfirma gli atti avente valore di legge; - indica la lista dei possibili ministri per la nomina da parte del Presidente della Repubblica. - controllo del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica tramite i servizi segreti italiani. Se il Presidente del consiglio è temporaneamente impossibilitato a svolgere il ruolo di direzione, guida e coordinamento del Consiglio dei Ministri, può essere sostituito. Le regole per la sostituzione sono contenute nella legge n. 400 del 1988 nella quale viene sancito che il premier deve essere rimpiazzato dal Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Se sono stati nominati più di vicepresidenti, la supplenza compete al più anziano di età. Invece se non è stato nominato alcun vicepresidente, la sostituzione spetta al ministro più anziano. Leggi provvedimento La legge provvedimento è un atto avente forza di legge, in quanto adottato in base agli artt. 71 ss. Cost., ma che, come un provvedimento, disciplina casi specifici e si riferisce a destinatari determinati. La legge provvedimento, quindi, condivide i caratteri formali della legge e quelli sostanziali e contenutistici di un provvedimento amministrativo. Due caratteri principali: - concretezza, perché non si limita a disciplinare fattispecie astratte (come la legge), ma individua la regola della singola situazione di fatto (come un provvedimento). La mancanza dell’astrattezza rende la legge provvedimento incapace dell’indefinita ripetibilità e applicabilità ad altre fattispecie concrete. - specificità, mancando della generalità i destinatari saranno immediatamente determinati o determinabili. Dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sull’ammissibilità di una legge con queste caratteristiche. Il profilo di criticità affonda le sue radici in una possibile violazione del principio della tripartizione dei poteri dello Stato. Il legislatore, infatti, con una legge che regola il caso concreto potrebbe invadere il campo tipico della cura degli interessi pubblici in concreto affidato al potere esecutivo e alla Pubblica Amministrazione. Oggi la legge provvedimento è pacificamente ritenuta ammissibile per due ordini di ragioni. In primis l’unico limite alla funzione legislativa attiene alle modalità procedimentali di formazione della legge, previste dagli artt. 71 ss. della Costituzione. Inoltre non trova cittadinanza nel nostro ordinamento il principio di riserva di Amministrazione: non esiste una norma a livello costituzionale, europeo o primario che affidi esclusivamente alla PA la cura in concreto degli interessi pubblici. Se la legge provvedimento è compatibile con la nostra costituzione ci si deve chiedere quali siano gli strumenti di tutela a disposizione del privato. La configurabilità di una legge con queste caratteristiche ha come conseguenza immediata uno spostamento del regime di tutela. Il cittadino che lamenta una lesione di un diritto soggettivo o interesse legittimo non potrà più ricorrere al giudice amministrativo, ma dovrà sollevare una questione di legittimità costituzionale. La stessa Corte Costituzionale, infatti, ha sottolineato come le leggi provvedimento devono essere sottoposte ad uno stretto controllo di costituzionalità. La valutazione circa la legittimità delle leggi de quibus, quindi, non si baserà più su eventuali vizi di validità come avviene per i provvedimenti, ma sulla non arbitrarietà e ragionevolezza delle scelte del legislatore. Un altro strumento di tutela si configura quando la legge provvedimento violi il diritto dell’Unione Europea. In questi casi al controllo accentrato della Corte Costituzionale si aggiungerà quello diffuso di ogni giudice tramite l’istituto della disapplicazione. Lo spostamento di tutela dal giudice amministrativo al giudice delle leggi dimostra come la legge provvedimento pone problemi non solo nel rapporto con il potere esecutivo, ma anche con il potere giurisdizionale. Proprio dal rapporto al potere giurisdizionale emergono i limiti di un simile intervento legislativo. Ci sono ipotesi in cui il legislatore non può regolare con legge singoli casi concreti. Il primo limite è rinvenibile in una possibile invasione della funzione giurisdizionale, che si concretizza nella violazione del giudicato. La legge provvedimento sarà infatti incostituzionale tutte le volte in cui su quel caso concreto si sia già formato un giudicato. Si pensi ad un atto amministrativo impugnato e annullato dal giudice competente, il legislatore non potrà reiterare il contenuto di quell’atto in una legge, pena l’incostituzionalità della stessa. Questione più dibattuta riguarda invece l’ipotesi in cui il legislatore intervenga in assenza di un giudicato, ma in pendenza di un giudizio. Ci si deve quindi chiedere se la mera pendenza di un giudizio impedisca al legislatore di emanare una legge che ricalchi il contenuto del provvedimento sub iudice. La giurisprudenza ha affermato che la pendenza della domanda annullatoria davanti al giudice amministrativo non impedisce di per sé l’intervento del legislatore. La Corte Costituzionale (cfr. sent. 72/2015) ha, infatti, chiarito come in questi casi sia necessario operare una valutazione basata (ancora una volta) sui canoni di non arbitrarietà e ragionevolezza. La legge provvedimento, più precisamente, sarà legittima tutte le volte in cui non sia emanata al solo fine di sottrarre tutela al privato. Legge di bilancio La legge di bilancio è una legge della Repubblica Italiana con la quale viene approvato il bilancio dello Stato annualmente (ogni 31 dicembre). esente da "vincolo di mandato" (attualmente vigente soltanto nelle costituzioni di Portogallo, Panama, Bangladesh e India). L'immunità è concessa al parlamentare in virtù della sua carica pubblica[20]. Qualora egli decada dalla carica, mentre rimane ferma l'insindacabilità relativa al periodo in cui era nell'esercizio delle funzioni[21], cessa la cosiddetta inviolabilità ed il soggetto può tornare a subire i provvedimenti in precedenza soggetti ad autorizzazione. L'immunità sostanziale per le opinioni espresse e i voti dati non si esaurisce con la fine del mandato del parlamentare, a differenza dell'immunità procedurale, valida solo per il periodo di carica[22]. Presidente della Repubblica Art. 83: Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All'elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato. L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. Art. 84: Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d'età e goda dei diritti civili e politici. L'ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica. L'assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge. Art. 85: Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni. Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica. Art. 86: Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato. In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione. Art. 87: Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica. Art. 88: Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.[16] Art. 89: Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità (controriforma ministeriale > il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti da lui emanati in quanto egli agisca in nome Nazionale). Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri. Art. 90: Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.[17] Art. 91: Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune. Non tutti gli atti del Presidente della Repubblica debbono essere muniti di controfirma. Essa non occorre per gli atti che si considerano personali, come le dimissioni o la dichiarazione d’impedimento permanente, per gli atti compiuti quale Presidente di organi collegiali, come il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio supremo di difesa ed è naturalmente esclusa per gli atti orali. Un problema si è posto per le cosiddette esternazioni, cioè per quelle dichiarazioni orali, in genere di contenuto politico, che i Presidenti della Repubblica usano fare. L’opinione da accogliere è che, anche in questi casi, il Presidente deve esprimersi in armonia con l’indirizzo politico del Governo. - rappresentanza generale dello stato: accreditare/ricevere i rappresentanti diplomatici, ratificare i trattati, dichiarare lo stato di guerra, comandare le forze armate, presiedere al Consiglio supremo di difesa - corpo elettorale e referendario: indizione delle elezioni delle Camere e del referendum - potere legislativo: nomina dei senatori a vita, riunire/convocare/sciogliere le Assemblee, autorizzazione della presentazione dei disegni di legge governativi alle Camere, promulgazione, rinvio presidenziale delle leggi - potere esecutivo: nomina del Presidente del Consiglio e dei ministri, accettazione delle dimissioni del Governo, nomina dei funzionari, concessione della grazia, commutazione delle pene, conferimento di onoreficenze della Repubblica - potere giurisdizionale: nomina di 5 (su 5) giudici della Corte Costituzionale Delegificazione La delegificazione, nell'ordinamento giuridico italiano, identifica un istituto, per lo più ritenuto coerente con i principi costituzionali, per cui la disciplina di alcune materie non protette da riserva di legge assoluta è trasferita dalla fonte legislativa primaria a quella secondaria, (come ad esempio un decreto ministeriale). L’art. 17 della legge n. 400 del 1988 prevede la delegificazione come istituto che attribuisce al governo italiano il potere generalizzato di emanare norme di rango secondario, per lo più consistenti in regolamenti, sulla base di una legge a contenuto autorizzatorio da parte del Parlamento. Si tratta di un mutamento di fonte normativa, relativamente ad alcune materie ben individuate. Ciò consente un'attività diretta del Governo in quegli ambiti, considerata più rapida e flessibile. Va osservato che lo strumento della delegificazione, di per sé, è uno strumento neutro, perché non mira istituzionalmente né a deflazionare il numero di fonti, né il numero di norme presenti nell'ordinamento. Anzi, al contrario, qualche autore ritiene addirittura che la delegificazione può paradossalmente innescare un processo inflativo nella produzione normativa: è più facile produrre norme, quindi si producono più norme. Non mancano autori che sostengono l'utilità di questo strumento al fine di snellire l'attività parlamentare, spesso soffocata da atti normativi troppo dettagliati da discutere o da proposte di leggine di scarsa importanza a livello nazionale. Problema dell’abrogazione - Il Parlamento può delegificare, ossia delegare il Governo a disciplinare con regolamenti una certa materia, purché indichi nella legge-delega quali norme vanno abrogate. Non sempre ciò accade. Due orientamenti: - per la dottrina costituzionalistica prevalente, non è ammissibile un'abrogazione tacita, perché ciò significherebbe che la validità di una norma di legge viene a dipendere dalla sua compatibilità con una successiva norma regolamentare, contravvenendo a due precisi principî: quello di gerarchia delle fonti e quello della successione delle leggi nel tempo. Di conseguenza, una legge-delega che non indichi le norme da abrogare potrebbe essere sostanzialmente una legge elusiva del dettato dell'art. 76 Cost. - per la giurisprudenza della Corte costituzionale, il regolamento ha il potere di incidere su una norma di legge (modificandola o anche abrogandola) solo se è previsto dalla legge delegante: in caso contrario, cioè se la legge delega non indicasse le norme da abrogare da parte del Governo, si verifica un'abrogazione implicita in quanto è lo stesso art. 17 della legge n. 400 del 1988 che (nell'affidare al Governo una potestà normativa tipica secondaria) implicitamente produce un effetto abrogativo delle norme legislative che regolano la materia delegata. Forma di governo regionale Per forma di governo si intende il rapporto tra gli organi di governo di un ente, in questo caso della Regione. Gli organi di governo della Regione sono: ● Consiglio regionale ● Giunta regionale ● Presidente della giunta regionale o Presidente della Regione A livello regionale esistono due principali tipologie di forma di governo, una detta assembleare che si caratterizza per l'elezione diretta del solo consiglio regionale il quale elegge la giunta e il presidente della giunta; la seconda è detta presidenziale che si caratterizza per l'elezione diretta sia del consiglio regionale sia per il presidente della giunta il quale nomina i membri della giunta. La Costituzione (dal 1999): - Rende libera ogni regione di determinare la propria forma di governo nel proprio statuto. - In attesa che le regioni adottino una nuova forma di governo nello statuto, impone a tutte le regioni ordinarie la forma di governo presidenziale. > tutte le Regioni si sono uniformate scegliendo la FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALE perché 1) L'elezione diretta del presidente della regione ispirava più fiducia agli elettori. 2) Essa sembrava garantire una maggiore stabilità di governo mentre l'altra forma si era caratterizzata dall'ingovernabilità. 3) La scelta tentata da alcune regioni di differenziazione non ha avuto fortuna; vi sono stati 2 tentativi: il Friuli Venezia Giulia ha provato a introdurre la forma di governo assembleare ma gli elettori della regione l'hanno bocciata al referendum; alcune regioni invece tentarono di prevedere la forma di governo presidenziale introducendo però dei piccoli correttivi, in particolare hanno previsto la figura di un vice presidente della regione che doveva subentrare al presidente nel caso in cui questo fosse venuto meno per cause personali. Questa ultima scelta di differenziazione è stata bocciata dalla Corte Costituzionale la quale ha posto dei limiti alla libertà di scelta delle regioni nel caso in cui le regioni scelgano la forma presidenziale. I limiti sono: - Tutti e tre gli organi regionali devono essere previsti (questo limite vale per entrambe le forme di governo). - Il presidente della giunta deve avere un ruolo centrale all'interno della giunta. - Tra il presidente e il consiglio deve esserci un rapporto di fiducia. Consiglio regionale Il Consiglio regionale è l'organo legislativo rappresentativo di ogni regione, previsto dall'articolo 121 della Costituzione della Repubblica. Il consiglio è un organo della regione che, analogamente ad altri organi di rilevanza costituzionale, dispone di personalità giuridica, regolamenti autonomi, un proprio bilancio ed un proprio personale, distinti da quelli della giunta regionale. I consigli delle regioni a statuto ordinario sono stati istituiti dopo il 1970. A livello nazionale i Consigli sono coordinati attraverso la Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle regioni e delle province autonome. A livello europeo, i presidenti dei Consigli regionali partecipano alla Conferenza delle assemblee legislative regionali europee (CALRE). I Consiglieri sono eletti dai cittadini italiani residenti nella regione che siano maggiorenni entro il primo giorno dell'elezione; sono eletti senza alcun vincolo di mandato. È previsto un sistema di elezione proporzionale con premio di maggioranza, per cui è stabilito un premio variabile di un certo numero di consiglieri, il cui effetto è quello di attribuire alla coalizione dei partiti vincente sempre la maggioranza dei consiglieri in seno al Consiglio regionale. Il Consiglio regionale può essere sciolto (Art. 126 della costituzione): - per scadenza naturale del mandato (5 anni); - se sono stati commessi atti contro la Costituzione Italiana o gravi violazioni di legge; - per ragioni di sicurezza nazionale; - se decade il presidente della Regione qualora sia eletto direttamente dai cittadini; - per le dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri regionali. - con decreto motivato del presidente della Repubblica, sentita una commissione di deputati e senatori per le questioni regionali. Giunta regionale La giunta regionale è l'organo di governo della Regione, come stabilito dall'art. 121 della Costituzione. È un organo collegiale composto dal presidente della Giunta regionale e dagli assessori; in quanto tale, per quest'organo vale il principio della responsabilità politica solidale dei suoi componenti. Il numero dei componenti della giunta, indicato nei rispettivi statuti regionali, varia da regione a regione. L'art. 14, comma 1, lett. b) del decreto-legge n. 138/2011 prevede che il numero massimo degli assessori regionali sia pari o inferiore a un quinto del numero dei consiglieri regionali, con arrotondamento all'unità superiore.[1] I membri della giunta sono nominati dal presidente della Regione, il quale li può scegliere sia tra componenti eletti al Consiglio regionale sia tra persone non elette a far parte del Consiglio. La giunta, in quanto nominata dal presidente della Regione, non deve più ottenere la fiducia del Consiglio regionale. La potestà regolamentare del Governo, secondo l'art. 17 della Legge 400 del 1988, si manifesta attraverso l'adozione e la successiva emanazione di regolamenti. I regolamenti del potere esecutivo rappresentano l’attività normativa secondaria del Governo, diretta a produrre norme subordinate a quelle primarie (leggi ordinarie, decreti legislativi, regolamenti comunitari). I regolamenti sono fonti secondarie e come tali non possono derogare né alla Costituzione (come d'altra parte avviene per le fonti primarie) né tanto meno alle leggi ordinarie. Inoltre non possono regolare materie coperte da riserva di legge sia essa assoluta o relativa, né possono prevedere sanzioni penali. A seconda del contenuto e dell' oggetto i regolamenti si distinguono in: - regolamenti di esecuzione; - regolamenti di attuazione e integrazione; - regolamenti indipendenti; - regolamenti delegati. A seconda del soggetto che li emana si distinguono in: - regolamenti del Presidente del Consiglio, emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri nell'esercizio delle sue funzioni; - regolamenti ministeriali (D.M.), emanati dai singoli Ministri nell'ambito delle competenze del Dicastero o Ministero che presiedono; - regolamenti interministeriali (D.P.C.M.), emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri e riguardanti materie afferenti a più Ministeri. I regolamenti vengono emanati con D.P.R. ovvero con Decreto del Presidente della Repubblica e sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. Competenza legislativa concorrente delle Regioni prima e dopo la riforma del Titolo IV - art. 117 La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; j) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; k) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; l) norme generali sull'istruzione; m) previdenza sociale; n) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; o) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; p) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno; q) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive [3]. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato. Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e Regioni (conflitto tra enti) è il giudizio promosso dallo Stato (o da una Regione) affinché la Corte tuteli la sua sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita contro gli atti invasivi (non legislativi) posti in essere da una Regione (o dallo Stato o da un'altra Regione). Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello sato (conflitto tra poteri) è il giudizio promosso da un potere dello Stato affinché la Corte tuteli la sua sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita contro gli atti invasivi, di regola non legislativi, di altro potere. Il procedimento è articolato in due fasi. Nella prima la Corte adotta in camera di consiglio un'ordinanza con cui valuta l'ammissibilità del conflitto proposto dall'Autorità ricorrente. Nella seconda, concernente il merito della controversia, la Corte stabilisce con sentenza a quale potere spetti l'attribuzione in contestazione. Giudizio in via incidentale Rappresenta il procedimento quantitativamente prevalente e, in questo senso soltanto, ordinariamente seguito della Corte costituzionale nello svolgimento del controllo sugli atti legislativi. In questo giudizio vi è un “introduttore necessario”, cioè un giudice che, nel corso di un processo (di qualunque tipo, civile, penale, amministrativo, e così via) che si stia svolgendo innanzi a lui – e che viene detto procedimento principale –, solleva d’ufficio o su istanza di parte davanti alla Corte costituzionale la questione sulla legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, e che per questo è chiamato dalla dottrina giudice a quo, cioè dal quale è sollevata tale questione mediante un’apposita ordinanza, detta ordinanza di rimessione (cfr. art. 1 l. cost. 1/1948). Il giudice non può rimettere alla Corte la decisione sulla costituzionalità di una legge qualsiasi, ma soltanto se si rispettano due condizioni che diventano quindi requisiti di ammissibilità del giudizio di costituzionalità: che il giudice stesso stia per applicare quella legge nell’ambito del suo processo (requisito della rilevanza) e che egli abbia almeno un dubbio sulla legittimità costituzionale di quella legge, ossia ritenga – fornendo sufficiente motivazione – che la questione di costituzionalità non sia manifestamente infondata (requisito della non manifesta infondatezza). Contemporaneamente, proprio perché il giudice ha sollevato la questione in via incidentale, in attesa della decisione della Corte, lo stesso giudice deve disporre la sospensione del suo processo, giacché la conclusione di questo sarà necessariamente condizionata dalla soluzione che la Corte costituzionale darà circa il dubbio di costituzionalità. Magistratura La magistratura (genericamente anche autorità giudiziaria), in diritto, nell'accezione moderna del termine, identifica un complesso di organi istituzionali (pubblici e statali) con funzioni giurisdizionali in campo civile, penale, costituzionale e amministrativo, composta da soggetti definiti "magistrati". La magistratura esercita il potere giudiziario, uno dei tre poteri dello Stato di diritto nella teoria classica di Montesquieu. In generale, essa ha infatti competenza su tutte le branche del diritto in cui vi sia una funzione giudicante, e la funzione classica (e per alcuni sistemi tipica) del magistrato è quella di giudice; in dipendenza di questo aspetto, si possono, perciò, avere anche magistrature specializzate per materie (magistratura militare, civile, penale, fallimentare, contabile, tributaria, amministrativa, ecc). All'interno dei vari ordinamenti si possono però avere ulteriori distinzioni. Una delle più note, con speciale riferimento al diritto processuale penale, è quella fra magistratura giudicante e magistratura requirente, a seconda che l'ordinamento giuridico di appartenenza preveda che l'ufficio della pubblica accusa sia o meno riservato alla competenza esclusiva di membri appartenenti all'ordine giudiziario, in base cioè alla classificazione formale dei cittadini ammessi a questa funzione pubblica. A seconda degli ordinamenti, la magistratura si differenzia inoltre per la modalità di accesso ai ruoli, cioè per il modo di scelta di coloro che dovranno farne parte. In genere la selezione si effettua per titoli (cioè per possesso di determinati requisiti) o per concorso, oppure si ha la nomina elettiva; in alcuni sistemi si hanno anche combinazioni fra queste modalità o modalità differenziate per i diversi ruoli previsti. Le magistrature possono poi, in alcuni sistemi, godere di un autonomo organismo di controllo e gestione del suo operare interno allo stesso ordine giudiziario, organismo che ha perciò funzioni di "autogoverno". Le magistrature statali si differenziano infine per il grado di indipendenza loro garantito nei rispettivi sistemi, con particolare riguardo ai rapporti con gli altri poteri dello stato (potere legislativo e potere esecutivo). A questo aspetto possono legarsi immunità o altre garanzie, anche incidenti sulla responsabilità relativa all'operato dei magistrati, dove queste siano riconosciute necessarie per preservare l'azione giudiziaria da condizionamenti o menomazioni della libertà di espletamento della funzione. A garanzia di interessi più generali, invece, molti ordinamenti prevedono norme con vario grado di rigorosità statuenti principi di inamovibilità e non ricusabilità (almeno dove risulterebbe ingiustificata) del magistrato. > in Italia l’accesso alla magistratura avviene per concorso pubblico, secondo i principi stabiliti dalla Costituzione repubblicana. Consiglio superiore della Magistratura (CSM): organo di rilievo costituzionale dell’ordinamento politico italiano, di governo 9 autonomo dalla magistratura italiana ordinaria. Il CSM è organo di autogoverno con lo scopo di garantire l'autonomia e l'indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello Stato, in particolare da quello esecutivo, secondo il principio di separazione dei poteri espresso nella Costituzione della Repubblica italiana. In particolare è un organo di rilievo costituzionale, e si fa riferimento ad esso nella Costituzione italiana agli articoli 104, 105, 106 e 107. La dottrina per anni si è divisa sulla natura di organo costituzionale oppure meramente di rilievo costituzionale del Consiglio Superiore della Magistratura, sino a quando la Corte costituzionale si è pronunciata al riguardo attribuendole la prima natura; ma, soprattutto, è stata problematica l'individuazione delle specifiche disfunzioni del Consiglio. Infatti, l'esercizio di alcuni poteri e funzioni da parte del Consiglio, non esplicitamente menzionati nella Costituzione, ha più volte causato tensioni con settori del mondo politico. È questo il caso di quelle che un’autorevole dottrina definisce funzioni di rappresentanza del potere giudiziario nei rapporti con gli altri poteri[7], come, ad esempio, fare proposte al ministro sulle materie di sua competenza, dare pareri sui disegni di legge in qualsiasi modo attinenti all'organizzazione della giustizia (si veda l'articolo 10 della legge 24 marzo 1958 n. 195) e, più in generale, il potere di pronunciarsi manifestando la propria opinione su qualsiasi vicenda possa interessare il funzionamento della giustizia. Le funzioni di autogoverno del Consiglio superiore della magistratura quindi in materia di stato giuridico dei magistrati, riguardano: ● assunzione (sempre tramite concorso pubblico); ● assegnazione ad un incarico; ● promozione; ● valutazioni di professionalità; ● trasferimento; ● attribuzione di sussidi ai magistrati e alle loro famiglie; ● procedimento disciplinare dei magistrati ordinari ed onorari; ● nomina dei magistrati di Cassazione; ● nomina e revoca dei magistrati onorari. Magistrato: Un magistrato (dal latino magistratus) è il titolare di un ufficio pubblico (in latino magisterium). Più specificamente, il termine designa funzionari investiti delle funzioni di giudice e, in certi ordinamenti, di pubblico ministero. L'attuale accezione del termine presenta una significativa differenza tra gli ordinamenti di civil law e quelli di common law. Negli ordinamenti di civil law, tra i quali quello italiano, i magistrati sono funzionari appartenenti ad un particolare ordine, la magistratura, ai quali sono affidate funzioni di giudice e, in certi ordinamenti, di pubblico ministero, nonché eventualmente talune funzioni amministrative correlate all'amministrazione della giustizia (normalmente nell'ambito del ministero della giustizia o del corrispondente dicastero). I magistrati sono, di regola, funzionari svolge “con un procedimento sostanzialmente giurisdizionale che garantisce il diritto di difesa e un effettivo contraddittorio”. Affidare a collegi interni il compito di interpretare e applicare le norme sul rapporto di lavoro dei dipendenti e sottrarre le decisioni di questi collegi al controllo della giurisdizione comune “è, in definitiva, un riflesso dell’autonomia degli stessi organi costituzionali”. Atti con forza di legge Un atto avente forza di legge, nel diritto, è un atto normativo, emanato dal governo, al quale l'ordinamento giuridico attribuisce la stessa forza della legge ordinaria, collocandolo allo stesso rango nella gerarchia delle fonti del diritto. Tali atti sono solitamente denominati decreti o ordinanze. Gli atti aventi forza di legge possono abrogare, derogare o modificare disposizioni di legge ordinaria, ma non è detto che possano intervenire in luogo di questa nelle materie coperte da riserva di legge. Se la Costituzione lo consente, si avrà una riserva di legge materiale, altrimenti una riserva di legge formale; nel secondo caso determinate materie sono precluse agli atti aventi forza di legge, come avviene per l'approvazione del bilancio nella maggior parte degli ordinamenti; più rara è, invece, la soluzione adottata dalla Costituzione della Spagna che contiene un elenco di materie precluse. In qualche ordinamento, al contrario, possono essere emanati anche atti aventi forza di legge organica (è il caso delle ordinanze organiche previste dalla Costituzione francese del 1958). Gli atti aventi forza di legge rappresentano una deroga al principio di separazione dei poteri, che trova giustificazione nei casi in cui il normale procedimento legislativo si rivela inadeguato. La loro disciplina può essere ricondotta a due schemi fondamentali, non contemplati, però, da tutte le costituzioni: la legislazione delegata e i decreti e ordinanze di necessità. Legislazione delegata: Il primo schema prevede la delega (o autorizzazione o abilitazione) data con legge dal parlamento al governo affinché disciplini con suo atto normativo una determinata materia; in virtù della delega, l'atto del governo, una volta emanato, ha forza di legge. Questa procedura è ora positivamente disciplinata in varie costituzioni (ad esempio, quella italiana, spagnola, tedesca, greca, ecc.) ma la si ritiene generalmente praticabile anche in ordinamenti dove la costituzione tace al riguardo (ad esempio, gli Stati Uniti o il Regno Unito). Alcune costituzioni (ad esempio quella francese e rumena) adottano una variante della proceduta sopra illustrata, richiedendo anche la successiva ratifica dell'atto del governo con legge del parlamento. In mancanza, secondo la costituzione francese, l'ordinanza emanata dal governo ha solo forza di regolamento. La legislazione delegata è tipicamente utilizzata per l'adozione di testi legislativi, come codici o testi unici, particolarmente complessi, che richiedono un elevato livello di organicità e di cura redazionale o caratterizzati da notevole tecnicità, caratteristiche queste che mal si adattano al lavoro delle assemblee parlamentari. Decreti e ordinanze di necessità: Nel caso dei decreti e ordinanze di necessità (in certi ordinamenti si parla di decreto-legge) lo schema sopra illustrato viene in un certo senso rovesciato, perché prima il governo emana l'atto avente forza di legge, poi interviene la ratifica (o conversione in legge) con legge del parlamento. L'emanazione di tali atti normativi è tipicamente giustificata dall'esigenza di far entrare rapidamente in vigore le disposizioni, a fronte di situazioni di emergenza (calamità naturali, eventi bellici, ecc.) oppure per prevenire comportamenti speculativi prima dell'entrata in vigore, come potrebbe succedere per certe norme fiscali. L'atteggiamento delle costituzioni verso questo tipo di atto normativo è vario: se è raro l'espresso divieto (come fa la costituzione irlandese), molte tacciono al riguardo mentre alcune ne consentono l'emanazione pur ponendo dei limiti. D'altra parte, il silenzio della costituzione è interpretato in alcuni ordinamenti come divieto implicito mentre in altri come permesso. Va aggiunto che certe costituzioni, soprattutto latinoamericane, contengono una disciplina dello stato di guerra, di assedio o simili, dichiarati i quali il presidente della repubblica o il governo possono agire in deroga al principio di separazione dei poteri. Le costituzioni che disciplinano espressamente i decreti od ordinanze di necessità (ad esempio, quella italiana, spagnola, greca, danese, islandese, ecc.) ne subordinano l'emanazione a una situazione di emergenza o urgenza, la sussistenza della quale può essere valutata dal parlamento in sede di ratifica e, in certi ordinamenti, anche dal giudice costituzionale. Prevedono, inoltre, che l'atto emanato dal governo sia immediatamente sottoposto al parlamento per la ratifica e stabiliscono un termine entro il quale questa deve intervenire. In difetto di ratifica, per voto negativo del parlamento o mancato voto positivo entro la scadenza del termine, l'atto del governo perde, secondo gli ordinamenti, validità o efficacia, con effetto limitato al futuro o retroattivo. NELL’ORDINAMENTO ITALIANO - La Costituzione italiana contempla due atti normativi del Governo aventi forza di legge ordinaria: il decreto-legge e il decreto legislativo. Il decreto-legge (d.l.) è disciplinato dall'art. 77 della Costituzione. È approvato dal Consiglio dei ministri ed emanato dal Presidente della Repubblica. Può essere adottato in casi straordinari di necessità e d'urgenza e perde ogni efficacia se non è convertito in legge dal Parlamento nei sessanta giorni successivi alla pubblicazione. Il decreto legislativo (d.lgs.), detto anche decreto delegato, è disciplinato dall'art. 76 della Costituzione. Anch'esso è approvato dal Consiglio dei ministri ed emanato dal Presidente della Repubblica. Può essere adottato solo a seguito di delega del Parlamento, data con legge che specifichi l'oggetto della disciplina, i principi e criteri direttivi da seguire e il termine entro il quale deve essere emanato. Rimangono inoltre in vigore alcuni atti aventi forza di legge, analoghi ai suddetti, risalenti al Regno d'Italia e denominati regio decreto legge e regio decreto legislativo, se emanati dal Re, o decreto legislativo luogotenenziale, se emanati dal Luogotenente del Regno. La Costituzione non prevede atti aventi forza di legge regionale adottabili dalla giunta regionale, né una previsione del genere è contenuta in alcuno statuto regionale; una siffatta previsione, del resto, sarebbe, secondo la prevalente dottrina, incostituzionale in difetto di espresse disposizioni della carta costituzionale. Gruppi, commissioni e giunte parlamentari Gruppo parlamentare: organo che raccoglie le istanze e le rappresentanze politiche all’interno di un parlamento. In Italia gruppi parlamentari sono lo strumento di organizzazione della presenza dei partiti politici all'interno delle Camere, sono definiti "associazioni di deputati" e "soggetti necessari al funzionamento della Camera" (art 14 r.C)[5]; sono dotati di un proprio statuto o regolamento. Gli eletti, poco dopo la prima seduta della camera di appartenenza, devono dichiarare a quale gruppo appartengono; se non lo fanno, o se per qualsiasi ragione non sono accettati da alcun gruppo, confluiscono nel "gruppo misto". Il numero minimo prescritto è di 20 deputati (alla Camera) e 10 senatori (al Senato): i regolamenti prevedono deroghe per i partiti organizzati su tutto il territorio nazionale (ma solo se autorizzati dall'ufficio di presidenza). Invece è permessa la costituzione, all'interno del gruppo misto, di "componenti politiche". Commissione parlamentare: La commissione parlamentare è un organo collegiale del Parlamento della Repubblica Italiana, previsto dall'articolo 72 della Costituzione, al quale vengono assegnati i disegni di legge prima che essi vengano discussi in sede parlamentare. La composizione dei membri delle commissioni deve rispettare le proporzioni tra i vari gruppi parlamentari. La commissione esamina il progetto di legge in diverse sedi: referente, redigente, sede legislativa (o deliberante) e consultiva (quando è espresso il proprio parere ma il disegno di legge è affidato ad un'altra commissione). Il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della commissione richiedono che sia discusso o votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto[3]. Giunta parlamentare: Le Giunte parlamentari sono degli organi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica che svolgono dei compiti volti a garantire il corretto funzionamento della Camera e l'autonomia del Parlamento rispetto agli altri poteri. Esistono tre giunte parlamentari alla Camera e altre tre al Senato. A differenza delle commissioni parlamentari le giunte non si occupano di attività legislativa né di attività di indirizzo e controllo sul Governo, svolgono infatti un ruolo di consulenza tecnico-giuridica. I componenti delle giunte sono nominati dai presidenti delle Camere. Il criterio fondamentale con cui vengono scelti i componenti non è tanto quello della proporzionalità rispetto ai gruppi, ma della rappresentatività, oltre che quello della competenza. Giunte alla Camera dei Deputati: - Giunta delle elezioni; ruolo della verifica dei poteri, cioè verificare la regolarità dell’elezione di ogni deputato - Giunta per le autorizzazioni a procedere; valutano la legittimità della richiesta di arresto o altra limitazione della libertà personale come perquisizione, domiciliare, ispezione, ecc… (sono state tuttavia eliminate dall'ordinamento) - Giunta per il Regolamento; compito di consulenza, specie riguardo ad eventuali modifiche del regolamento. Giunte del Senato della Repubblica: - Giunta per le elezioni e le immunità parlamentari; cumula le funzioni della giunta per le autorizzazioni a procedere e quella per le elezioni - Giunta per il Regolamento; funzioni analoghe alla giunta per il regolamento della camera - Commissione per la biblioteca e per l’archivio storico; compito di curare l’archivio e la Biblioteca del Senato (giunta meno rilevante) Riforma del Titolo V Il titolo V è stato riformato con la legge Cost. 3/2001, dando piena attuazione all’art. 5 della C., che riconosce le autonomie locali quali enti esponenziali preesistenti alla formazione della Repubblica. I Comuni, le Città metropolitane, le Province e le Regioni sono enti esponenziali delle popolazioni residenti in un determinato territorio e tenuti a farsi carico dei loro bisogni. L’azione di governo si svolge a livello inferiore e quanto più vicino ai cittadini, salvo il potere di sostituzione del livello di governo immediatamente superiore in caso di impossibilità o di inadempimento del livello di governo inferiore (principio di sussidiarietà verticale; ➔ sussidiarietà, principio di). La riforma è stata necessaria per dare piena attuazione e copertura costituzionale alla riforma denominata ‘Federalismo a C. invariata’. ● Alle Regioni è stata riconosciuta l’autonomia legislativa, ovvero la potestà di dettare norme di rango primario, articolata sui 3 livelli di competenza: esclusiva o piena (le Regioni sono equiparate allo Stato nella facoltà di legiferare); concorrente o ripartita (le Regioni legiferano con leggi vincolate al rispetto dei principi fondamentali, dettati in singole materie, dalle leggi dello Stato); di attuazione delle leggi dello Stato (le Regioni legiferano nel rispetto sia dei principi sia delle disposizioni di dettaglio contenute nelle leggi statali, adattandole alle esigenze locali). ● Allo Stato compete solo un potere esclusivo e pieno, circoscritto alle materie di cui all’elenco del 2° co. dell’art. 117 della Costituzione. Il 3° co. dell’art. 117 Cost. individua i casi di potestà legislativa concorrente tra lo Stato e le Regioni. Per tutte le altre materie, non indicate e non rientranti in quelle indicate nel 2° e 3° co. dell’art.117 Cost., le Regioni hanno potestà legislativa piena. ● I comuni sono enti territoriali di base, con autonomia statutaria, organizzativa, amministrativa, impositiva e finanziaria. Essi rappresentano, curano e promuovono lo sviluppo della comunità locale e sono i principali destinatari delle funzioni amministrative, in quanto più vicini al cittadino e ritenuti più idonei a esercitare i compiti amministrativi (municipalismo d’esecuzione). ● Le province sono enti intermedi tra i Comuni e le Regioni, rappresentativi di proprie comunità, con funzioni di cura degli interessi, ma anche di programmazione delle attività delle comunità locali che rientrano nel proprio territorio. ● Le città metropolitane sono tipi speciali di Province, con poteri notevolmente più ampi e molto vicini a quelli comunali, soprattutto in ambito urbanistico. Sono istituite, su iniziativa dei Comuni interessati, in aree metropolitane individuate nelle zone comprendenti i Comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Cagliari, Catania, Messina, Palermo, Trieste. Con la costituzione della Città metropolitana, la città originaria cessa di esistere. ● Le comunità montane sono unioni di Comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a Province diverse, con funzione di valorizzazione delle zone montane, per l’esercizio di funzioni proprie conferite, nonché per l’esercizio associato di funzioni comunali. ● Autonomia finanziaria - Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. La finanza locale (art. 119 Cost.) si fonda su 3 pilastri: autonomia impositiva; compartecipazione al gettito di tributi erariali, riferibili al territorio (territorialità dell’imposta); fondo perequativo per colmare eventuali squilibri tra le Regioni, derivanti dalla diversa capacità fiscale dei territori, e per assicurare gli stessi standard nell’erogazione di alcuni servizi. A questi si aggiunge la finanza straordinaria, costituita da risorse aggiuntive destinate dallo Stato a zone specifiche per sviluppo, crescita, coesione, solidarietà sociale e rimozione di squilibri economici e sociali. Sentenza della Corte Costituzionale Le sentenze della Corte Costituzionale possono essere di diverso tipo e contenuto: - sentenze di accoglimento con le quali la Corte Costituzionale, dopo aver compiuto una valutazione sulla questione di costituzionalità, la accoglie, dichiarando pertanto incostituzionale la legge in esame. Queste sentenze hanno efficacia erga omnes, ovvero nei confronti di tutti dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale. Ciò implica che qualunque altro giudice che si trovi ad applicare quella norma per decidere una controversia non potrà più utilizzarla, essendo stata ritenuta incostituzionale. Di regola l’efficacia delle sentenze di accoglimento è irretroattiva, ossia incide solo sui rapporti che nasceranno da quel momento in poi. Esistono tuttavia delle eccezioni, in quanto le sentenze della Corte che invece retroagiscono ed esplicano i loro effetti su situazioni ancora pendenti (si pensi ai giudizi in corso ossia a quelli chiusi con sentenza non ancora passata in giudicato) oppure quando si tratti di giudizi conclusi con sentenza di condanna penale irrevocabile, sulla base della legge che viene dichiarata incostituzionale: - sentenze di rigetto con le quali la Corte Costituzionale, dopo aver effettuato il giudizio sulla questione di costituzionalità della legge, ritiene il problema non fondato e pertanto riconosce che la legge rispetta la Costituzione. funzioni ( qui vengonoin gioco soprattutto i reati di ingiuria e diffamazione), la preventiva autorizzazione a procedere è stata abolita. Da allora il magistrato può iniziare il procedimento penale senza alcuna autorizzazione della Camera alla quale il parlamentare appartiene. Forme di autorizzazione intervengono in un momento successivo, a tutela della libertà del singolo parlamentare di svolgere le proprie funzioni e quindi in ultima analisi a tutela del corretto funzionamento del Parlamento nel suo complesso. Da una parte sta l’esigenza della giustizia di compiere gli atti necessari all’accertamento dei reati contestati al parlamentare, dall’altro vi è l’interesse del Parlamento di tutelare i propri rappresentanti da ingerenze e limitazioni della libertà personale che potrebbero ostacolare l’esercizio della funzione legislativa. Il contemperamento tra esigenze della giustizia e tutela dell’attività parlamentare si è tradotto in una disciplina costituzionale che sottopone alla autorizzazione della Camera di appartenenza gli atti di perquisizione personale o domiciliare, nonché l’arresto o altre forme di privazione della libertà o detenzione del parlamentare, salvi i casi di arresto in flagranza di reato e di privazione della libertà in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna. Infine l’autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazione di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza. Ne emerge un quadro da cui risulta che la Costituzione ha riservato al Parlamento poteri di controllo e di tutela nei confronti delle forme più incisive di privazione o limitazione della libertà del parlamentare, quali appunto l’arresto, la detenzione e la perquisizione personale o domiciliare, nonché in caso di intercettazioni che potrebbero interferire con l’autonomia e la libertà dell’azione politica del parlamentare. Diversa è la disciplina nel caso di reati commessi dal Presidente del consiglio o dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni.Le cronache istituzionali hanno di recente avuto occasione di parlarne in relazione al caso Diciotti, che ha interessato l’ex ministro dell’interno Matteo Salvini. Nei confronti dei reati ministeriali l’intervento del potere politico è più diretto e immediato: a seguito di una riforma costituzionale del 1989 i reati commessi dal Presidente del consiglio e dai ministri sono giudicati dalla magistratura ordinaria, che potrà procedere solo se autorizzata dal Parlamento: in particolare, dalla camera di appartenenza se il ministro è parlamentare, dal Senato se non è parlamentare. Il Parlamento può negare l’autorizzazione ove ritenga sulla base di una valutazione squisitamente politica e insindacabile, che il ministro inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero “per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”. Annullamento di una norma L'annullamento di una norma è la rimozione della norma stessa dall'ordinamento giuridico, in quanto invalida perché contrastante con altra norma posta da una fonte che si colloca ad un livello superiore. L'annullamento è disposto da un organo, di solito giurisdizionale, al quale l'ordinamento giuridico ha attribuito il relativo potere ed ha efficacia erga omnes, nel senso che la norma annullata non può più essere applicata da chiunque, a differenza della disapplicazione la cui efficacia è invece limitata al processo ● L'esempio più tipico di annullamento è quello delle norme di legge (o atti aventi forza di legge) affette da illegittimità costituzionale (o incostituzionalità), disposto dalla corte costituzionale negli ordinamenti che adottano il controllo di legittimità costituzionale accentrato. Questo è il caso dell'ordinamento italiano, nel quale le norme di legge, statali e regionali, e di atti aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti-legge) possono essere annullate dalla Corte costituzionale. ● L'annullamento può essere previsto anche per le norme di regolamento che risultano illegittime in quanto in contrasto con quelle di una legge o atto avente forza di legge (o, a maggior ragione, della costituzione). Certi ordinamenti dotati di giurisdizione amministrativa, come quello francese e quello italiano, riconoscono ai relativi giudici il potere di annullare le norme regolamentari illegittime, non diversamente da quanto avviene per gli altri atti amministrativi; altri ordinamenti (ad esempio, quello tedesco), invece, riconoscono al giudice amministrativo il solo potere di disapplicare le norme regolamentari illegittime. Nell'ordinamento italiano i giudici amministrativi (Consiglio di Stato e tribunali amministrativi regionali) hanno il potere di annullare le norme regolamentari; l'annullamento, tuttavia, può essere domandato solo da chi sia stato leso da un atto amministrativo applicativo della norma regolamentare, non essendo di regola possibile impugnare direttamente la norma stessa prima della sua concreta applicazione. Con l'annullamento vengono rimosse dall'ordinamento giuridico la disposizione e conseguentemente la norma o le norme, intese in senso stretto, da essa ricavabili attraverso l'interpretazione. Può però succedere che la disposizione risulti in contrasto con la norma superiore solo se interpretata in un certo modo o, detto in altri termini, che siano in contrasto solo una o alcuna delle norme da essa ricavabili; in questo caso l'annullamento rimuoverà solo tali norme, lasciando intatta la disposizione e, quindi, le altre norme da essa ricavabili (è quel che accade con le cosiddette sentenze interpretative della Corte costituzionale italiana). Sentenza di incostituzionalità emessa dalla Corte Costituzionale - “La pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge comporta non già l’abrogazione, o la declaratoria di inesistenza o di nullità, o l’annullamento della norma dichiarata contraria alla costituzione, bensì la disapplicazione della stessa, dando luogo ad un fenomeno che si colloca, sul piano effettuale, in una posizione intermedia tra l’abrogazione, avente di regola efficacia ex nunc, e l’annullamento che, normalmente, produce effetti ex tunc. Pertanto, la norma dichiarata costituzionalmente illegittima deve essere disapplicata con effetti ex nunc o con efficacia ex tunc, a seconda che tale diversa efficacia nel tempo della dichiarazione di incostituzionalità discenda dalla natura o dal contenuto della norma illegittima, oppure dalla portata del precetto costituzionale violato o dal diverso grado di contrasto tra quest’ultimo e la norma di legge, ovvero, infine dalla natura del rapporto sorto nel vigore della norma successivamente dichiarata incostituzionale. Fuori delle ipotesi, aventi carattere di eccezionalità, in cui essa travolge tutti gli effetti degli atti compiuti in base alla norma illegittima, la dichiarazione di incostituzionalità (avuto riguardo al precetto costituzionale violato, alla disciplina dettata dalla norma riconosciuta costituzionalmente illegittima e alla natura del rapporto disciplinato da quest’ultima) comporta la caducazione dei soli effetti non definitivi e, nei rapporti ancora in corso di svolgimento, anche degli effetti successivi alla pubblicazione della sentenza della corte costituzionale, restando quindi fermi quegli effetti anteriori che, pur essendo riconducibili allo stesso rapporto non ancora esaurito, abbiano definitivamente conseguito, in tutto o in parte, la loro funzione costitutiva, estintiva, modificativa o traslativa di situazioni giuridicamente rilevanti (Cass. Civile, sez. III, 11-04-1975, n. 1384)”. E’ notorio, infatti, che una sentenza della Corte Costituzionale statuisce soltanto per il futuro e non per il passato facendo quindi salvi i diritti acquisiti. Dello stesso avviso sono numerosissime altre sentenze sia della Corte di Cassazione che del Consiglio di Stato nonché della Corte Costituzionale, laddove si afferma che ” mentre l’efficacia retroattiva della dichiarazione di illegittimità costituzionale è giustificata dalla stessa eliminazione della norma che non può più regolare alcun rapporto giuridico salvo che si siano determinate situazioni giuridiche ormai esaurite, in ipotesi di successione di legge – dal momento che la norma anteriore è pienamente valida ed efficace fino al momento in cui non è sostituita – la nuova legge non può che regolare i rapporti futuri e non anche quelli pregressi, per i quali vale il principio che la disciplina applicabile è quella vigente al momento in cui si p realizzata la situazione giuridica o il fatto generatore del diritto. (Cass. civile, sez. 28 maggio 1979, n. 311 in giustizia civile mass 1979 fasc. 5)”. “L’efficacia retroattiva della sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale di norma di legge non si estende ai rapporti esauriti, ossia a quei rapporti che, sorti precedentemente alla pronuncia della Corte Costituzionale, abbiano dato luogo a situazioni giuridiche ormai consolidate ed intangibili in virtù del passaggio in giudicato di decisioni giudiziali, della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, del decorso dei termini di prescrizione o decadenza, ovvero del compimento di altri atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale. (Trib. Roma 14 febbraio 1995)”. “Le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall’origine la validità e l’efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche “consolidate” per effetto di eventi che l’ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudica, l’atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza. (Cass. civ. sez. III 28 luglio 1997 n. 7057).” “La retroattività delle sentenze interpretative additive, pronunciate dalla Corte costituzionale, trova il suo naturale limite nella intangibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici ormai esauriti in epoca precedente alla decisione della Corte ( Fattispecie nella quale il provvedimento di esclusione dai corsi speciali I.S.E.F. è stato impugnato in sede giurisdizionale e in quella sede è stato riconosciuto legittimo con sentenza passata in giudicato, con conseguente intangibilità del relativo rapporto) (Con. giust. amm. Sicilia 24 settembre 1993, n. 319).” “Sebbene la legge non penale possa avere efficacia retroattiva, tale retroattività, specialmente nel settore della c.d. interpretazione legislativa autentica, incontra limiti nelle singole disposizioni costituzionali e nei fondamentali principi dell’ordinamento, tra i quali va annoverata l’intangibilità del giudicato, nella specie giudicato amministrativo, in quanto il suo contenuto precettivo costituisce un modo di essere non più mutabile della realtà giuridica; pertanto, l’amministrazione non può più esimersi ancorché sia intervenuta una nuova legge (nella specie, la l. 23 dicembre 1992 n. 498 art. 13) dall’ottemperare al giudicato, dovendosi anzi ritenere, onde il legislatore, adottando la norma d’interpretazione autentica, abbia comunque inteso escludere dalla sua applicazione le situazioni coperte dal giudicato. (Consiglio di Stato a. plen., 21 febbraio 1994, n. 4).” “Il principio secondo il quale l’efficacia retroattiva delle pronunce della Corte Costituzionale recanti dichiarazione de illegittimità costituzionale incontra il limite della irrevocabilità degli effetti prodotti dalla norma invalidata nell’ambito dei rapporti esauriti, è applicabile alle sentenze così dette additive. (Consiglio di Stato sez. VI, 20 novembre 1995, n. 1312)”. Pertanto quando un ente o un’amministrazione dello Stato revoca un atto ormai perfetto valido ed efficace basandosi sull’assunto che l’atto risulta essere in vigore in base ad una norma incostituzionale, nonostante che l’atto stesso risulti avere tali requisiti sin dall’inizio o li abbia acquisiti nel corso del tempo e, comunque, prima della sentenza d’incostituzionalità ovvero, in caso di vizi, quest’ultimi non siano stati fatti valere nella sede opportuna rispettando i modi e i tempi dell’impugnazione, è possibile ricorrere ai T.A.R. per l’annullamento del provvedimento. In realtà una norma dichiarata incostituzionale rimane in vigore fino a quando non venga abrogata da una norma di pari grado o di grado superiore ovvero da una sentenza della Corte Costituzionale che in casi eccezionali può disporre per il passato a patto che, naturalmente, ne faccia espressa menzione e che tale retroattività sia debitamente motivata. In verità, “Il principio d’irretroattività costituisce regola generale dell’ordinamento giuridico, assumendo però rango costituzionale solo in riferimento alle norme penali incriminatrici ed alle altre norme di carattere afflittivo. Ne consegue che anche gli atti amministrativi non possono avere, a livello tendenziale ed in applicazione del principio di legalità, forza retroattiva, salva espressa previsione di legge derogatoria; in tale eccezionale ipotesi tuttavia vanno preservati: a) le posizioni soggettive dei terzi; b) la preesistenza dei presupposti di fatto e di diritto richiesti per l’emanazione dell’atto fin dalla data alla quale si vogliono far risalire gli effetti; c) i fatti già avvenuti in epoca anteriore” (Consiglio di Stato sez. IV, 30 marzo 1998, n. 502). Questo significa che una legge, anche se dichiarata incostituzionale, continua ad esplicare i suoi effetti per quei rapporti costituitisi prima della sentenza della Corte Costituzionale per un principio che può definirsi “di legalità”. La stessa legge dovrà comunque essere disapplicata per i rapporti non ancora costituiti o in corso di perfezionamento. Per cui non si può certo dire che la sentenza della Corte Costituzionale abroghi la legge. E’ noto, infatti, che una norma può essere abrogata da un’altra norma che sia di pari grado o di grado superiore e di emanazione legislativa. In ogni caso si avrà come risultato di ritenere, comunque, abrogata la norma incostituzionale nei confronti di eventuali nuovi rapporti o nei confronti di quelli in corso di costituzione e non ancora perfetti; sarà valida ed efficace per quelli perfezionati in momenti precedenti al giudizio della Corte Costituzionale. Gerarchia delle fonti Pluralità di fonti - Nell'ordinamento giuridico italiano, come nella maggior parte degli ordinamenti giuridici moderni, esiste una pluralità di fonti di produzione. Per questa ragione sorge la necessità di stabilire quali fonti sono prevalenti rispetto alle altri. La preminenza di una fonte giuridica sulle altre si dice gerarchia delle fonti. Gerarchia delle fonti - Il criterio della gerarchia delle fonti giuridiche prevede che una fonte subordinata rispetto ad altre, non può contenere delle disposizioni che contrastino con le norme di livello gerarchico superiore, né può modificarle, né abrogare. La gerarchia delle fonti nel nostro ordinamento giuridico è la seguente: 1. Costituzione, leggi costituzionali, leggi di revisione costituzionale; 2. regolamenti comunitari; 3. leggi formali e sostanziali; 4. leggi regionali; 5. regolamenti; 6. usi e consuetudini. La Costituzione della Repubblica, le leggi costituzionali e le leggi di revisione costituzionale prevalgono su tutte le altre fonti del diritto. Esse possono essere abrogate o modificate solamente da leggi costituzionali, mentre possono abrogare o modificare tutte le altre fonti. Seguono i regolamenti comunitari che sono direttamente applicabili negli Stati membri. Essi sono subordinati solamente alla Costituzione e alle leggi costituzionali, ma non alle altre leggi. Leggi formali e leggi sostanziali hanno pari autorità ed efficacia. Esse non possono essere contrarie alla Costituzione, alle leggi costituzionali e ai regolamenti comunitari, né possono abrogarli o modificarli. Prevalgono, invece, sulle leggi regionali, sui regolamenti, sugli usi e le consuetudini che possono essere abrogati o modificati dalle leggi. Le direttive comunitarie entrano nel nostro ordinamento attraverso leggi ordinarie che le recepiscono. Le leggi regionali sono leggi emanate dalle regioni, attraverso il Consiglio regionale. Tali leggi hanno validità limitata al territorio della relativa regione. Esse non possono avere per oggetto le materie che l'art.117 della Costituzione riserva al Parlamento. Le leggi regionali possono abrogare o modificare solamente i regolamenti e gli usi normativi. pratica delle disposizioni di legge; possono inoltre assolvere all'importante funzione di precisare e integrare le norme predisposte dalla legge (funzione interpretativa). - regolamenti di attuazione e integrazione: essi sono adottati quando una disciplina è coperta da riserva di legge relativa e nel caso in cui una legge definisca soltanto norme di principio; tale tipo di regolamento favorisce una migliore applicazione della legge, colmando eventuali incompletezze (mai per materie coperte da riserva di legge assoluta). - regolamenti indipendenti: essi sono adottati autonomamente dal Governo per regolamentare materie che non sono affatto disciplinate da una fonte primaria (con esclusione di quelle coperte da riserva di legge assoluta) e che quindi sono solitamente di modesta rilevanza. Non possono mai derogare ad una norma di legge. - regolamenti delegati (o autorizzati): previsti al fine di dare corso ad un processo di delegificazione (ossia dell'attribuzione al Governo del compito di regolamentare certe materie anche in deroga ad una disciplina precedentemente posta dalla legge). Tale processo è garantito da una legge avente contenuto autorizzatorio del Parlamento che permette di disciplinare con regolamento un oggetto già regolato da legge, anche su una materia coperta da riserva di legge (purché non assoluta). La legge di autorizzazione dispone l'abrogazione della normativa vigente con effetto però dall'entrata in vigore del regolamento (abrogazione differita). - regolamenti organizzativi: disciplinano l'organizzazione interna dei pubblici uffici, e prima del 1948 godevano di un ampio raggio d'azione. Dall'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, essendo la materia coperta da riserva di legge relativa[1], essi non si distinguono più nella sostanza dai regolamenti di esecuzione o di attuazione e integrazione. Tuttavia, nel 1997 la materia è stata oggetto di delegificazione[2], per cui ad essi si sono sostituiti i regolamenti delegati. - di attuazione delle direttive europee: si tratta di regolamenti che fanno seguito a disposizioni della legge comunitaria tramite la quale l'Italia si adegua annualmente agli atti comunitari e che possono essere adottati in materie di competenza legislativa esclusiva statale già disciplinate da legge seppur non coperte da riserva di legge assoluta. Stato d’accusa del Presidente della Repubblica Art. 90 - Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri. Per assicurare una piena autonomia di azione, libera da pressioni e influenze esterne, il capo dello stato non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni. A questa regola generale però esistono due eccezioni, che possono dare il via all’iter per la messa in stato d’accusa del presidente della repubblica, quello che mediaticamente viene definito impeachment. L’iter è molto lungo, e coinvolge numerosi attori, ed è stato stabilito a giugno del 1989, con l’approvazione da parte di entrambi i rami del “Regolamento parlamentare per i procedimenti d’accusa“. Le denunce di alto tradimento o attentato alla costituzione nei confronti del presidente della repubblica vengono presentate al presidente della camera, che le trasmette ad un apposito comitato formato dai componenti della giunta delle elezioni e delle immunità parlamentare del senato, e da quelli della giunta per le autorizzazioni a procedere della camera. Una volta esaminata la documentazione il comitato vota a maggioranza una relazione, che poi viene presentata al parlamento in seduta comune. Oltre alla relazione approvata, è possibile presentare all’aula anche una relazione di minoranza. A questo punto comincia la deliberazione dell’aula che si conclude, qualora il comitato abbia presentato una relazione che propone l’effettiva messa in stato d’accusa del presidente, con una votazione a scrutinio segreto. La deliberazione di messa in stato di accusa è adottata a maggioranza assoluta dei componenti del parlamento. In caso di approvazione l’atto viene trasmesso alla corte costituzionale, non prima dell’elezione di uno o più commissari per sostenere l’accusa. Nei giudizi d’accusa intervengono, oltre ai giudici ordinari della corte, sedici membri (i cosiddetti giudici aggregati) estratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il parlamento compila ogni nove anni. Dopo le apposite indagini viene formato un collegio giudicante, composto da almeno 21 giudici, in cui i giudici aggregati devono essere la maggioranza. Per ogni accusa viene formulata apposita sentenza, su cui i membri votano. Non sono ammesse astensioni, e in caso di parità prevale l’opinione favorevole all’accusato. La sentenza è irrevocabile, ma può essere sottoposta a revisione con ordinanza della Corte costituzionale se, dopo la condanna, sopravvengono o si scoprono nuovi fatti o nuovi elementi di prova. Scioglimento delle Camere Il potere di scioglimento delle Camere è affidato, dall’art. 88 Cost., al Presidente della Repubblica, il quale può, “sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”. La Costituzione è chiara nell’attribuire tale potere al Capo dello Stato. Tuttavia, essa si limita soltanto a stabilire il detentore di tale potere, non prevedendo quali siano i casi in cui tale prerogativa può essere esercitata, e prevedendo espressamente soltanto un limite. Lo scioglimento delle Camere avviene senz’altro alla scadenza naturale della legislatura, e cioè decorsi i cinque anni di durata in carica delle Camere ex art. 60, co. 1, Cost. Nel periodo intercorrente la data di scioglimento delle Camere e quello di riunione delle nuove Camere, i poteri delle precedenti sono prorogati. Pertanto, un primo caso di scioglimento delle Camere è la scadenza naturale di esse, ogni cinque anni, con conseguente rinnovo delle stesse da parte dell’elettorato attivo. Tuttavia, le Camere potrebbero essere sciolte anche anticipatamente, e cioè prima della scadenza naturale di esse. Il dettato costituzionale, infatti, non limita il potere del Presidente della Repubblica alle sole ipotesi di scadenza naturale delle Camere, ma lascia ampio spazio di discrezionalità al Capo dello Stato. E proprio perché trattasi di discrezionalità, è necessario stabilire dei limiti a tale potere, limiti che sono stati il più delle volte tratti implicitamente dalla posizione di terzietà assunta dal Capo dello Stato nell’assetto costituzionale ed istituzionale. Semestre bianco - Unico limite esplicito previsto dal dettato costituzionale al potere di scioglimento delle Camere è quello ex art. 88, co. 2, Cost.: il Presidente della Repubblica, infatti, non può esercitare tale potere negli ultimi sei mesi del mandato presidenziale (c.d. semestre bianco)[1]. La ratio di tale limite – l’unico esplicitamente previsto dalla Costituzione – è da ravvisarsi nell’intenzione del Costituente di evitare che il Presidente della Repubblica in carica possa sciogliere le Camere auspicando nella formazione di una maggioranza parlamentare a sostengo della sua rielezione. Quindi si tratta di evitare una strumentalizzazione dell’istituto dello scioglimento anticipato delle Camere. Dall’altra parte, lo stesso art. 88 Cost. prevede che questa prerogativa possa essere utilizzata nel caso in cui il semestre bianco coincida in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi di legislatura: in tal caso, il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere. Altri limiti - Innanzitutto, il potere può essere esercitato non solo nei confronti di entrambe le Camere, ma anche nei confronti di una sola di esse. Tuttavia, nella prassi, non si è mai ravvisata l’esigenza di sciogliere anticipatamente una sola Camera, se non per permettere l’elezione contestuale di entrambe le Camere. Precedentemente, infatti, le Camere non avevano la medesima durata in carica: la Camera dei Deputati aveva una durata in carica di cinque anni, mentre il Senato della Repubblica durava in carica sei anni. Per effetto della l. cost. n. 2/1963 si è attribuita ad entrambe le Camere la medesima durata in carica, attuando maggiormente il c.d. bicameralismo perfetto (o paritario) voluto dal Costituente. Pertanto, lo scioglimento di una sola Camera era collegato esclusivamente ad esigenze tecniche, ma non ad esigenze politiche e motivi politici, non essendovi stato uno scioglimento in tal senso né precedentemente, né successivamente la riforma costituzionale. Ma nulla vieterebbe al Presidente, stante l’attuale dettato costituzionale, un potere di scioglimento monocamerale. Tuttavia, ciò inciderebbe in maniera profonda sugli assetti costituzionali. Senz’altro il potere di scioglimento monocamerale non è possibile esclusivamente a causa di maggioranze alternative all’interno di esse: al Presidente della Repubblica non compete, infatti, una valutazione squisitamente politica e ciò potrebbe portare ad una decisione arbitraria del Capo dello Stato. In tali casi si può ragionare soltanto in astratto, non avendo a disposizione casi concreti, ma comunque – ad avviso di chi scrive – anche se in astratto il potere del Capo dello Stato è esercitabile anche nei confronti di una sola Camera, la norma è da considerarsi sostanzialmente non più applicata per desuetudine. Attenzione però: si parla di “non applicazione” e non di abrogazione. Sappiamo bene, infatti, come qualsiasi modifica o addirittura abrogazione di una norma costituzionale necessita del particolare procedimento legislativo di riforma costituzionale ex art. 138 Cost.[2] E non vi è nulla di strano nel ritenere una norma costituzionale non applicata: diversi sono gli esempi di non applicazione di disposizioni costituzionali: si pensi, a titolo di esempio, all’art. 39, co. 2 ss., Cost., oppure all’art. 78 Cost. Pertanto, un primo limite sembrerebbe comunque quello di esercitare detto potere nei confronti di entrambe le Camere. Scioglimento anticipato - Ebbene, innanzitutto il potere di scioglimento delle Camere (sia scioglimento monocamerale che bicamerale) passa preliminarmente dall’audizione dei Presidenti delle Camere soggette a scioglimento. Difatti, l’art. 88 Cost. stabilisce l’obbligo, in capo al Presidente della Repubblica, di sentire i Presidenti delle Camere che intende sciogliere, i quali esprimono un loro parere, ritenuto obbligatorio ma non vincolante. Il potere di scioglimento anticipato di entrambe le Camere è però da ritenersi una extrema ratio, una scelta finale affidata dal Presidente della Repubblica qualora si versi in uno stato di crisi politica ed istituzionale irrimediabile. Difatti, tale potere è ormai relegato alle ipotesi di crisi di governo non componibili: soltanto qualora, in caso di crisi di governo, il Parlamento non sia in grado di esprimere alcuna maggioranza, e pertanto non si possa formare nessun Governo che goda del sostegno della maggioranza parlamentare, il Presidente della Repubblica potrà procedere allo scioglimento anticipato delle Camere e indire nuove elezioni per il rinnovo delle stesse. Diverse sono le valutazioni che comunque il Capo dello Stato è chiamato a fare prima di poter arrivare allo scioglimento anticipato, ma trattasi comunque di valutazioni non politiche: il Presidente della Repubblica è infatti super partes, terzo tra le parti, arbitro e mediatore del gioco politico, e non può assumere alcuna scelta politica. La sua decisione di scioglimento delle Camere deve essere volta esclusivamente a superare uno stallo istituzionale che potrebbe ripercuotersi negativamente sulla vita dei consociati, e non può quindi essere guidata da esigenze o scelte politiche. Uguaglianza formale e sostanziale Uguaglianza formale: uguaglianza di tutti davanti alla legge (art. 3 Cost.). Si intendono due concetti: 1. La legge è uguale per tutti (fino alla Rivoluzione francese, nobili e clero venivano sottoposti a leggi e tribunali diversi da quelli previsti per il popolo). 2. La legge non deve operare discriminazioni e qui si intende di razza, di sesso, di religione, opinioni politiche e condizioni personali o sociali. Le leggi che dovessero operare delle discriminazioni di questo tipo potrebbero essere portate al giudizio della Corte Costituzionale. Uguaglianza sostanziale: le leggi, oltre che essere uguali per tutti, devono prevedere leggi speciali a favore delle categorie più deboli. La Costituzione non promette l’effettiva uguaglianza di tutti i cittadini sul piano economico e sociale, ma impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale; in altre parole ad intervenire attivamente per fornire ai soggetti più deboli i mezzi per esercitare effettivamente i propri diritti. Costituzione italiana Caratteri - POPOLARITÀ- La Costituzione italiana è stata emanata dall'Assemblea Costituente, un organo rappresentativo del popolo. Per questa ragione diciamo che essa è una Costituzione popolare o anche una Costituzione votata a differenza dello Statuto Albertino che era una Costituzione ottriata, cioè concessa dal sovrano ai suoi sudditi. RIGIDITÀ- La Costituzione italiana non può essere modificata come una normale legge ordinaria, ma è necessario un particolare procedimento, più complesso, posto in essere dal Parlamento e che prende il nome di revisione costituzionale: per questo essa è considerata rigida. La scelta, da parte dell'Assemblea Costituente, di una Costituzione rigida discende dal desiderio di tutelare, attraverso norme costituzionali la cui modifica richiede un procedimento legislativo più complesso, le regole fondamentali dello Stato ed evitare una loro violazione. L'art.138 della Costituzione prevede che le leggi di revisione della Costituzione devono essere adottate da ciascuna Camera del Parlamento con due successive deliberazioni ad intervello non minore di 3 mesi l'una dall'altra. Nella prima deliberazione è sufficiente la maggioranza relativa, cioè il voto favorevole della metà più uno dei presenti. Vi è la possibilità che vengano presentati degli emendamenti fino a che il testo viene approvato da entrambe le camere. Si passa, quindi, alla seconda deliberazione che, come si è detto, deve avvenire ad un intervallo non minore di 3 mesi. In seconda deliberazione lo stesso testo, approvato in prima deliberazione, deve essere approvato con la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Per maggioranza assoluta si intende la metà più uno di tutti i membri della Camera. Qualora, nella seconda deliberazione, viene raggiunta la maggioranza assoluta ma non quella dei 2/3 dei componenti, la legge di revisione costituzionale può essere sottoposta a referendum costituzionale se a richiederlo sono: - 1/5 dei membri di una Camera; - oppure 500.000 elettori; - oppure 5 Consigli regionali. Con il referendum costituzionale gli elettori possono confermare o meno la revisione approvata dalle Camere. LUNGHEZZA- la Costituzione italiana è una Costituzione lunga: ● sia nel senso che contiene norme su molti argomenti, per alcuni dei quali potrebbero non sembrare necessaria una norma costituzionale, come ad esempio norme in tema di salute o di risparmio;
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