Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto Diritto dell’Unione europea- Luigi Daniele, Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

Riassunto del libro “diritto dell’unione europea” di Luigi Daniele. Ultima edizione.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 08/09/2019

bianca-cigola
bianca-cigola 🇮🇹

4.2

(5)

1 documento

1 / 64

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Diritto dell’Unione europea- Luigi Daniele e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! LE ORIGINI E LO SVILUPPO DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA Integrazione secondo il metodo della cooperazione itergovernativa Trattaro di Parigi: 1951, istitutivo della comunità europea del carbone e dell'acciaio. Trattato di Lisbona: 2007 L'ideale di un continente europeo non più diviso in tanti Stati perennemente in lotta fra loro, si afferma sin dal XIX secolo. L'occasione si presenta alla fine della seconda guerra mondiale. Viene avviato il processo di integrazione europea visto come unico rimedio per evitare il ripetersi di eventi luttuosi come la guerra. Questo moviemento di idee inizialmente coinvolge soltanto gli Stati dell'Europa occidentale. L'integrazione dell'Europa occidentale segue due metodi distinti: un metodo tradizionale e uno più innovativo ossia il metodo comunitario. Il metodo tradizionale si fonda sulla COOPERAZIONE INTERGOVERNATIVA: gli Stati cooperano tra loro come soggetti sovrani, creando apposite strutture per organizzare tale cooperazione. Le caratteristiche sono: • prevalenza di organi di Stati: negli organi principali siedono persone che agiscono quali rappresentanti dello Stato d'appartenenza e seguono le direttive impartite sal potere politico nazionale. • Prevalenza del principio dell'unaminità: le deliberazioni degli organi principali dell'organizzazione vengono assunte prevalentemente all'unaminità, ciascuno Stato ha il potere di opporsi. • Assenza o rarità del potere di adottare atti vincolanti: le deliberazione hanno prevalentemente natura di raccomandazione. Questo metodo delle cooperazione intergovernativo viene applicato in diversi settori. 1) Il primo settore in cui si applica è la cooperazione militare. Il rischio di aggressione da parte del blocco orientale inducono gli Stati dell'europa occidentale a costituire due organizzazioni di tipo militare per garantire la difesa collettiva in caso di attacco armato: la UEO e la NATO. L'UEO creata nel 1948, a cui aderiscono come membri a pieno titolo 10 Stati mentre altri vengono nominati membri associati, per un totale di 28. L'organo principale è il Consiglio e le decisioni vengono prese all'unaminità. È stato sciolto nel 2011. La NATO fondata con il trattato di Washington nel 1949, non è un'organizzazione europea in senso geografico, ad essa aderiscono anche Stati extra-europei come gli Stati Uniti e il Canada. L'organo principale è il consiglio del norda atalntico, composto dai rappresentanti permanenti degli Stati membri e le decisioni vengono prese all'unaminità. 2) l'integrazione economica con il Piano Marshall: si tratta di un piano di aiuti finanziari accordati dagli Stati Uniti all'europa. Esso è volto a favorire la ricostruzione economica ed il conseguente consolidamento politico. L'erogazione degli aiuti viene subordinata alla condizione che la loro gestione avvenga in maniera coordinata fra loro. Per questo motivo, un ampio gruppo degli Stati europei danno vita all'OECE (organizzazione europea per la cooperazione economica) istituita con il Trattato di Parigi nel 1948. L'organo principale è il Consiglio. Le deliberazioni sono adottate all'unaminità. L'atto deliberato a maggioranza invece non si applica allo stato contrario. Tra gli atti che che il Consiglio può emanare ci sono anche le decisioni, atti vincolanti. Oggi questo organo si chiama OCSE, l'obbiettivo è la cooperazione economica globale. 3) L'integrazione europea nel settore della cooperazione politica, culturale e sociale. Va ricordato il Consiglio d' Europa, 1949, attualmente gli stati sono 47. Si tratta di una organizzazione con compiti e obbiettivi ampi: conseguire un'unione più stretta fra gli Stati membri; salvaguardare ed attuare gli ideali ed i principi che costituiscono il loro patrimonio comune; facilitare il loro progresso economico sociale. L'organo principale è il Comitato dei ministri, nel quale siedono i ministri degli esteri degli Stati membri. Per le decisoni più importanti è richiesta la maggioranza semplice e l'unaminità dei votanti. Lo strumento principale è favorire la conclusione di convenzioni internazionali tra gli Stati membri. Si tratta di atti la cui entrata in vigore è subordinata alla ratifica da parte dei vari Stati. Lo strumento più rilevante è la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950 (CEDU). Comprende un catalogo dei dirtti dell'uomo comune a tutti gli Stati contraenti e, un meccanismo di controllo internazionale del rispetto di tali diritti iperniato sulla Corte europea dei diritti dell'uomo. I diritti garantiti dalla CEDU fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali. L'INTEGRAZIONE SECONDO IL METODO COMUNITARIO: LE ORIGINI Gli strumenti delle cooperazione presentano elementi di notevole debolezza; le organizzazioni europee hanno la possibilità di agire efficacemente soltanto attraverso il consenso unanime di tutti gli Stati membri. Questo induce alcuni Stati a forme di cooperazione innovative: il metodo comunitario. Le caratteristiche sono: • prevalenza degli organi di individui: le persone che siedono nella maggior parte delle istituzioni comunitarie rappresentano se stesse, non lo Stato di appartenenza e dovranno essere indipendenti da esso. • Prevalenza del principio maggioritario: gli Stati che si trovano in minoranza sono vincolati dalle deliberazioni dell'istituzione anche se hanno votato contro l'approvazione. • Ampiezza del potere di adottare atti vincolanti: creano a carico degli Stati membri obblighi aggiuntivi a quelli già assunti con la firma dei trattati istitutivi. • Sistema di controllo giurisdizionale di legittimità: è necessario che la legittimità degli atti vincolanti possa essere sindacata da un organo giurisdizionale inserito nella stessa struttura dell'organizzazione. La nascita del metodo comunitario risale al 9 maggio 1950. Shuman, ministro degli esteri francese fece una dichiarazione. La proposta contenuta nella Dichiarazione Shuman viene accolta da 6 Stati: piccola europa ( Belgio, Francia, Germania; Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi). Dando vita alla CECA- comunità europea del Carbone e dell'Acciaio (1951). La CECA presenta tratti molto originali come il mercato comune del carbone e dell'acciaio. Si basa su 4 istituzioni: • L'alta autorità: nove persone nominati dagli Stati di comune accordo e scelte in funzione dello loro competenza professionale. Devono agire in piena indipendenza. Possono emanare decisioni e raccomandazioni che hanno effetti vincolanti. • il Consiglio speciale dei Ministri: composto dai rappresentanti del governo di ogni stato membro, ha funzioni consultive rispetto all'alta autorità. Mentre per alcune materie il suo parare è vincolante. • l'Assemblea comune: riunisce i rappresentanti dei parlamenti nazionali e ha funzione consultiva. • la Corte di giustizia: svolge funzioni di controllo giurisdizionale. Nel 1952 viene firmato il trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED), organo indipendente, al quale spetta il comando unificato delle forza armate di tutti gli stati membri: il Commissariato. Non entrerà mai in vigore. In quanto il compito di difendere il rerritorio nazionale è un elemento essenziale alla sovranità nazionale. Nel 1957 vengono firmati due diversi trattati: • Comunità Econoica Europea (TCE) • Comunità Europea dell'Energia Atomica (CEEA) La struttura istituzionale delle due nuove Comunità rispecchia quella della CECA. L'integrazione comunitaria non riguarda più un singolo settore ma tutti i settori dell'economia, gli Stati non possono accettare di delegare il potere di gestire il mercato comune generale a una autorità indipendente. Il Trattato CECA viene definito come un trattato legge. Vicecersa il TCE è detto trattato quadro. TCE: la disciplina in essa contenuta è molto meno definita e si limita spesso all'enunacizione di obiettivi e principi che devono poi essere attuati attraverso l'emanazione di atti normativi. LO SVILUPPO DELL'INTEGRAZIONE COMUNITARIA EUROPEA: L'UNIFICAZIONE L'ampliamento delle competenze materiali previste dal TCE comporta l'assoggettamento dei nuovi settori ai principi del metodo comunitario. L'affermaesi e lo sviluppo di coperazione tra stati membri sono svolte secondo il metodo tradizionale della cooperazione intergovernatica, di modo che gli stessi stati si trovano a cooperare tra di loro su due piani differenti, per quanto complementari. La politica estera generale. Il TCE attribuiva alla competenza della Comunità soltanto alcuni aspetti della politica estera: in particolare quello attinente gli scambi commerciali internazionali. Ciò implicava la necessità di un certo coordinamento anche segli aspetti non commerciali della rispettica politica estera, al fine di evitare contraddizioni e di accrescere l'efficacia delle loro azioni sul piano internzionale. Questo coordinamento non avviene però in sede comunitaria, preferendosi invece dar vita a periodiche riunioni dei ministri degli esteri o dei capi di stato e di governo. Seguendo percorsi simili, si dà avvio a forme di cooperazioni nei settori della giustizia e affari interni. Il coordinamento delle politiche nazionali nei settori citati avviene in virtù di rapporti approvati dal consiglio europeo ma senza il supporto di una disciplina pattizia vera e propria, il TUE permette finalmente di compiere importanti passi in avanti e di formalizzare la cooperazione già avviata. Il TUE istituisce la politica estera e di sicurezza comune (PESC). Viene affiancata la Giustizia e affari interni (GAI). La PESC e la Gai insieme alle tre comunità sono ricondotte a una realtà comune: l'unione europea. L'UE si fonda su tre pilastri: 1. la cooperazione comunitaria 2. la PESC 3. la GAI benchè distinti i tre pilastri sono funzionalmente legati l'uno all'altro. Vengono gestiti da un quadro istituzionale unico: le stesse istituzioni operano nell'ambito di tutti e tre i pilastri. Ulteriore passaggio si ha con il trattato di amsterdam e il trattato di nizza; una parte consistente delle materie che fino ad allora rientravano nel pilastro GAI vengono trasferite nel primo pilastro e vengono quindi sottoposte al metodo comunitario. Nel terzo pilastro rimane la sola Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. Si assiste all'introduzione parziale del seconfo e del terzo pilastro di alcuni principi caratterizzanti dal metodo comunitario. Nel terzo pilastro fa anche la sua comparsa la corte di giustizia, che fino ad allora era stata tenuta fuori dalle forme di cooperazione non comunitarie. La struttura a pilastri avrebbe dovuto essere soppressa con la riforma dei trattati prevista dal trattato di Lisbona. In realtà viene meno soltanto la distizione tra primo e terzo pilastro. L'inserimento dei settori già rientranti nel terzo pilastro tra quelli una volta di competenza comunitaria porta con se alcune importanti novità sul piano istituzionale: • eliminazione di ogni distinzione tra i titpi di atti che le istituzioni possono adottare ( soppressione degli atti tipici del terzo pilastro, decisioni quadro). • Applicazione della procedura legislativa ordinaria • estensione alle materie già di terzo pilastro della ordinaria competenza della Corte di giustizia. La PESC rimane soggetta ad un regime speciale per quanto riguarda le procedure decisionali, gli atti da adottare, e le quasi totale assenza di competenza della Corte di giustizia. L'EUROPA A PIU' VELOCITA' Riconduzione al metodo comunitario delle forme di cooperazione, ha come prezzo una certa contaminazione dello stesso metodo comunitario. Sempre più frequente ricorso a forme di cooperazione differenziata, perchè applicabile ad un numero ristretto di Stati membri: europa a più velocità. Soluzione di riepilogo cui ricorrere quando si constata che l'estensione della competenza comunitaria ad un nuovo settore o la previsione di poteri d'azione comunitari ed efficienti, rischiano di essere bloccate per l'opposizione di un numero molto limitato di Stati membri. Si preferisce rinunciare all'idea di un'integrazione uguale per tutti e permettere agli Stati che lo desiderano di andare avanti senza gli Stati contrari, nella speranza che, col tempo, anche questi seguiranno. ESEMPI PAG 28 E 29 Il trattato di amsterdam crea un apposito istituto di applicazione generale per permettere l'adozione di iniziative di integrazione limitate ad alcuni stati membri: la cooperazione rafforzata. IL TRATTATO CHE ADOTTA UNA COSTITUZIONE PER L'EUROPA Inserire in ciascun trattato di revisione o in appositi protocolli o dichiarazioni una clausola che fissa sin da allora l'anno in cui verrà avviato il successivo procedimento di riforma, talvolta stabilendo anche le materie su cui intervenire o gli obbiettivi da perseguire. Dichiarazione relativa al futuro dell'europa: delinea il percorso per avviare un dibattito più approfondito e ampio sul futuro dell'europa, i punti del dibattito sono: le modalità per stabile e mantenere una più precisa delimitazione delle competenze tra l'Unione europea, semplificazione dei trattati al fine di renderli più cari e meglio comprensibili senza modificarne la sostanza; il ruolo dei parlamenti nazionali nell'architettura europea. Il consiglio europeo con la dichiarazione di laeken definisce con maggior precisione le questioni da risolvere. Si decide di convocare una Convenzione con il compito di esaminare le questioni essenziali che il futuro dell'unione comporta e di ricavare le diverse soluzioni possibili. La dichiarazione prevede che, alla fine dei suoi lavori, la Convenzione redigerà un documento finale che costituirà il punto di partenza della conferenza intergovernativa che prenderà decisioni finali. La Convenzione esegue il mandato trasmettendo al Presidente del Consiglio europeo in carica un progetto di tratto che istituisce una costituzione per l'europa. Il Consiglio europeo approva il testo del trattato che adotta una costituzione per l'europa. IL TRATTATO DI RIFORMA DI LISBONA Gli Stati membri si decidono a riaprire le trattative al fine di predisporre un nuovo testo di trattato che, rinunciando agli aspetti più problematici del Trattato costituzionale, sia in grado di ottenere più problematici del Trattato costituzionale, sia in grado di ottenere l'approvazione prima dei governi degli Stati membri e poi dei parlamenti nazionali e degli elettori di referendum. Il Consiglio europeo decide di convocare una nuova CIG, alla CIG viene assegnato un mandato estremamente preciso e dettagliato. Incorporare nel testo degli attuali TUE e TCE le innovazioni contenute nel Trattato costituzionale. Trattato che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, 2007. Il trattato di lisbona modifica TUE e TCE ma riprende degli aspetti della costituzione europea. Per quanto riguarda gli elementi di continuità, occorre ammettere che la maggior parte delle innovazioni contenute nel Trattato costituzionale sono sopravvissute al passaggio nel Trattato di Lisbona. La trasformazione del consiglio europeo in un'istituzione vera e propria, alla creazione di un presidente stabile di questo organismo, eletto per due anni e mezzo; dalla nuova carica di altro rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al rafforzamento del ruolo del Presidente della Commissione; dalla riduzione della composizione del Parlamento europeo e della Commissione, alla generalizzazione della procedura legislativa ordinaria, corrispondente alla vecchia procedura legislativa ordinaria, corrispondente alla vecchia procedura di codecisione. La struttura a tre pilastri è abolita. Elelmenti di discontinuità – de costituzionalizzazione della riforma e di privarla di quelle caratteristiche di eccezionalità e di originalità che, nelle intenzioni della Convenzione per il futuro dell'Europa, avrebbero dovuto distinguerla dalle riforme precedenti. Il Consiglio europeo dichiara che il progetto costituzionaleè abbandonato. Il TUE viene riscritto mentre il TCE si trasforma in Trattato sul funzionamente dell'Unione europea (TFUE) e diventa il contenitore di tutte quelle disposizioni che sono giudicate di livello meno importante rispetto a quelle riservate al TUE. La de-costituzionalizzazione della riforma costituisce la componente centrale della complessa strategia messa in atto dal Consiglio europeo al fine di evitare il ripetrsi delle difficoltà incontrate dal Trattato costituzionale in sede di ratifica e di rassicurare l'opinione pubblica dagli Stati membri. Viene inseriti dei meccanismi di garanzia a favore degli Stati membri, sono di due tipi: - consentono a uno o più Stati membri di bloccare o almeno ritardare l'assunzione di decisioni alle quali siano contrari. - consentono a uno o più Stati membri di sottrarsi alla obbligatorietà di certe parti dei trattati o di certi atti delle istituzioni o ancora di accettare di esserne vincolati ma in maniera siversa rispetto agli altri Stati. Esempio di meccaniscmo di garanzia è il nuovo sistema di calcolo della maggioranza qualificata in sede di consiglio: un numero di membri che rappresentano i 3/4 o il 55% della popolazione dell'Unione o degli Stati membri può chiedere una proroga della discussione, precludendo così al Consiglio la possibilità di passare subito alla votazione- meccanismi di garanzia di primo tipo. I meccanismi di garanzia di secondo tipo permettono ad uno o più Stati membri di non essere obbligati da certe disposizioni dei trattati- cooperazine differenziata. Strumenti per impedire l'espansione dela competenza dell'Unione: si rafforza sensibilmente il potere di controllo e, indirettamente, di opposiziione dei parlamenti nazionali rispetto ad atti che, a loro avvisio, non siano conformi al principio di sussidiarietà. LA RITARDATA ENTRATA IN VIGORE DEL TRATTATO DI LISBONA Il Trattato di Lisbona, per entrare in vigore, necessità della ratifica di tutti gli Stati membri, ratifica che avviene 'conformemente alle rispettive norme costituzionali'. Il trattato di Lisbona è finalmente entrato in vigore il 1° dicembre 2009. LA RIFORMA DELLA GOVERNANCE ECONOMICA Nel 2008, con il fallimento della banca Lehman Brothers, negli Stati Uniti d'America scoppia una grave crisi bancaria. La crisi presto si diffonde anche in Europa, costringendo le autorità nazionali e dell'Unione ad assumere provvedimenti inediti. Di fronte alla crisi, gli Stati membri hanno dovuto impegnarsi a rifinanziare le proprie banche. Ciò si è tradotto in un notevole peggioramento delle finanze pubbliche. A partire dal 2009 si manifesta la crisi del debito sovrano. Gli investitori, temendo che tali Stati non siano in grado in futuro di onorare i propri debiti, richiedono tassi di interesse altissimi per nuove emissioni di debito. Le difficoltà che la situazione attuale provoca nella corretta gestione dell'euro e dello stesso mercato unico inducono l?Unione a promuovere una profonda riforma del coordinamento delle politiche economiche quale orignariamente disciplinato dai trattati. La riforma è consistita in due diverse componenti: - Istituzione di un sistema per venire in soccorso agli Stati membri che si trovino in gravi difficoltà finanziarie, per evitare che tali difficoltà possano riverberarsi sull'intera zona euro. - Rafforzamento del coordinamento e della vigilanza delle politiche economiche nazionali, per evitare che si ripetano situazioni come quelle verificatesi a partire dal 2009. Gli Stati membri della zona euro hanno dato vita a quello che viene comunemente definito un Fondo salva-Stati. L'isituzione del MES ha reso necessaria una modifica del TFUE. Era infatti dubbio che un fondo del genere, sia che fosse istituito dall'Unione, sarebbe stato compatibile con la clausola del no-bail out ovvero diviento per l'unione di farsi carico di debiti di altri Stati membri. Il nuovo paragrafo pertanto non istituisce esso stesso un fondo come il MES ma consiste in una mera clausola che abilita gli Stati membri della zona euro a farlo tra di loro. Il MES è un'organizzazione finanziaria internazionale. La sede è a Lussemburgo. L'oggetto è di reperire fondi per fornire, sotto stretta condizionalità, assistenza finanziaria agli Stati parte, che conoscano o siano minacciati da gravi difficoltà finanziarie, se indispensabile per garantire la stabilità finanziaria dell'insieme della zona euro e dei suoi Stati membri. Pur dotata di organi autonomi al suo funzionamento partecipano istituzione dell'Unione, in particolare la Commissione e la BCE- devono valutare l'esistenza di un rischio per la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso nonchè esprimersi sulla sostenibilità del debito pubblico dello Stato interessato e sulle rappresenta nelle relazioni internazionali, nelle cerimonie, negli atti amministrativi e giudiziari. Il presidente è assisitito da 14 vice-presidenti insieme ai quali costituisce l'Uffici di Presidenza con funzioni consultive. I membri del Parlamento sono organizzati in Gruppi politici. I presidenti dei Gruppi con il Presidente del Parlamento costituiscono la Conferenza dei presidenti, che decide sull'organizzazione dei lavori e tiene i rapporti con le altre istituzioni e con i parlamenti internzaionali. Il Parlamento europeo lavora in aula o in commissione. Esistono commissioni permanenti, commissioni speciali e commessioni temporanee d'inchiesta. Le funzioni: il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio. Esercita funzioni di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai trattati. Elegge il presidente della Commissione. Le funzioni più importanti: a) controllo politico; b) partecipazione all'adozione degli atti dell'Unione di natura legislativa. Per esercitare le funzioni di controllo politico, il Parlamento dispone di numerosi canali attraverso i quali riceve informazioni sull'operato della altre istituzioni e degli Stati memebri e dei privati. L'informazione regolare e periodica del Parlamento è assicurata dalla prestazione allo stesso di relazioni o rapporti da parte di altre istituzioni e organi. La più importante è la relazione generale annuale, presentata dalla Commiaaione ed esaminata dal Parlamento. Il Parlamento europeo dispone altresì del potere di procurarsi autonomamente informazioni attraverso lo strumento delle interrogazioni e quello delle aduzioni della Commissione, del Consiglio e del Consiglio europeo. Oltre questi canali di informazione istituzionali, il Parlamento europeo può trarre informazioni e stimoli dall'iniziativa degli individui. Il diritto di presentare petizioni al Parlamento su una materia che rientra nel campo d'attività dell'Unione spetta a qualsiasi cittadino dell'Unione, nonchè a qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro. Dimostrare che la materia oggetto della petizione concerne direttamente l'autore. Denunce di infrazione o di cattiva amministrazione nell'applicazione del diritto dell'Unione, il Parlamento può decidere di istituire una commissione temporanea di inchiesta. Il Parlamento europeo può essere investito dal Mediatore europeo- è una persone indipendente e autorevole, nominata dal Parlamento. Una volra ricevuto un ricorso, il Mediatore effettua le proprie indagini e, se ritiene che sussista un caso di cattiva amministrazione, si rivolge all'istituzione interessata, che dispone di tre mesi per comunicare il proprio parere. Il Mediatore elabora una relazione che trasmette al Parlamento e all'istituzione interessata. Il Mediatore è privo di un potere coercitivo autonomo, ma può contare sul prestigio morale della propria funzione per ottenere un intervento dell'istituzione interessata o, in difetto, del Parlamento. Il Parlamento dispone di poteri sanzionatori soltanto nei confronti della Commissione. Potrere di approvare una mozione di censura. La mozione di censura comporta il dimissionamento d'ufficio dell'intera Commissione, senza possibilità di limitarne la portata a particolari membri. La procedura per l'approvazione di una mozione di censura è di particolare solennità e complessità, trattandosi di uno strumento estremamente grave. Approvata da 2/3 dei voti espressi a maggioranza dei membri che compongono il Parlamento. Il controllo del Parlamento sull'operato del Consiglio non si traduce in poteri sanzionatori e riveste perciò carattere meramente motale. Parlamento e Consiglio sono due istituzioni tra di loro perfettamente pari-ordinate destinate a condividere poteri piuttosto che a dipendere l'una dall'altra. Il Parlamento per tutelare le proprie prerogative ed impedire che possano essere impunentemente violate dalle altre istituzioni, è stato costretto a utilizzare il sistema di controllo giurisdizionale presentando ricorso alla Corte di giustiza contro atti o comportamenti del Consiglio compiti senza rispettare i poteri parlamentari. IL CONSIGLIO Il Consiglio è un organo di Stati in quanto è composto da soggetti che rappresantano direttamente i singolo Stati membri di appartenenza. Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato a impegnare il governo dello Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto. Il processo di formazione della posizione del Governo italiano nel Consiglio è ora oggetto di disposizioni che hanno lo scopo di favorire un'ampia partecipazione di tutti gli organi e soggetti interessati e di coinvolgere a) il Parlamento; b) le Regioni e le Province autonome; c) enti territoriali; d) le parti sociali e le categorie produttive. Diversamente dal Parlamento e dalla Commissione; il Consiglio non è un organo permanente. Esso si riunisce in formazioni tipizzate dalla prassi che agiscono secondo calendari e nelle quali gli Stati membri si fanno rappresentare di volta in volta dal ministro competente per la materia dell'ordine del giorno. L'articolo prevede il Consiglio 'Affari generali' e il Consiglio 'affari esteri'. L'elenco delle 'altre formazioni del Consiglio' è invece stabilito con decisione del Consiglio europeo a maggioranza qualificata. Le funzioni del Consiglio 'Affari generali' sono le seguenti: assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni del Consiglio; prepare le riunioni del Consiglio europeo e ne assicura il seguito in collagamento con il Presidente del Consiglio europeo e la Commissione. Il Consiglio 'Affari esteri' ha invece il compiti di elaborare l'azione esterna dell'Unione, secondo le linee strategiche definite dal Consiglio europeo e di assicurare la coerenza dell'azione dell'Unione. Esso è presiduto dell'Alto rappresentante. Il Consiglio 'Affari esteri', nell'intento di assicurare maggiore stabilità e continuità alla gestione dell'azione esterna dell'Unione, la Presenza è attribuita in via permanente dall'Alto rappresentante. Per le altre formazioni è mantenuto il sistema precedente: la Presidenza passa da uno Stato membro all'altro, secondo un sistema di 'rotazione paritaria. La presidenza è esercitata da gruppi predeterminati di tre Stati membri per un periodo di 18 mesi. All'interno di tale periodo ciuascun membro del gruppo esercita a turno la presidenza di tutte le formazioni del Consiglio, ad eccezione della formazione 'affari esteri' per un periodo di sei mesi. La Presidenza ha anzitutto il compito di convocare le riunioni del Consiglio e di stabilirne l'ordine del giorno. Rappresenta inoltre l'istruzione nella sua unità, in particolare firma gli atti del Consiglio. I modi di deliberazione del Consiglio sono: - la maggioranza semplice - la maggioranza qualificata - l'unaminità La maggioranza semplice o l'unaminità si applicano soltanto se lo prescrive la norma dei trattati su cui il consiglio si basa per agire. Il modo normale di deliberazione è la maggioranza qualificata- 55% dei voti dei membri del Consiglio, con un minimo di 15 rappresentanti Stati membri che totalizzano il 65% della popolazione dell'Unione. Due condizioni: a) un quorum numerico minimo: i voti favorevoli devono essere non meno di 15 e non meno del 55% del totale dei membri del Consiglio. Attualmente i due parametri coincidono, posto che il 55% dei mebri del Consiglio corrisponde a 15. b) quorum demografico minimo: i voti a favore devono essere espressi in nome di Stati mebri la cui popolazione complessiva non sia inferiore al 65% della popolazione totale dell'Unione. Minoranze di blocco- il mancato raggiungimento del qorum demografico minimo non impedirà l'approvazione dell'atto qualora a votare contro siano i rappresentanti di non più di tre Stati membri. Lo scopo è evitare lo strapotere degli Stati demograficamente più importanti, che potrebbero facilmente bloccare le deliberazione del Consiglio. L'altro sistema di deliberazione del Consiglio previsto con una certa frequenza è l'unaminità. Quando i trattati richiedono l'unaminità, il voto contrario di un solo Stato membro è sufficiente ad impedire l'approvazione, l'astensione non ha questo effetto. Le astensioni dei membri presenti o rappresentati non ostano all'adozione delle deliberazioni del Consiglio per le quali è richiesta l'unaminità. Il TFUE ha voluto riservare agli Stati membri utisinguli, nella loro individualità di soggetti di diritto internazionale, determinate funzioni di notevole importanza nel funzionamento della Unione. Non trattandosi si atti di un'istituzione dell'Unione, tali atti non sono soggetti al controllo giurisdizionale della Corte di giustizia. Anche il Comitato dei Rappresentanti Permanenti rispecchia la composizione del Consiglio. Esso riunisce i rappresentanti diplomatici che ciascuno Stato membro accredita presso l'Unione europea. Nel caso del Consiglio, di persone di livello ministeriale, nel caso del COREPER, di diplomatici. La presidenza spetta al rappresentante permanente dello Stato membro che esercita la presidenza di turno del Consiglio. Il compito più importante consiste nell'esame preliminare di tutte le proposte che la Commissione vuole sottoporre al Consiglio. Il Consiglio è assistito dal segretariato generale sotto la responsabilità di un segretario generale, nominato Consiglio. Il Trattato di Lisbona ha istituito la carica di Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza- ha il compito di guidare la PESC attribuendogli un ruolo forte nell'ambito dei lavori sia del Consiglio 'Affari esteri' che della Commissione. a) 'guida' la PESC, con il compito di formulare proposte per l'elaborazione di tale politica e di attuarla in qualità di 'mandatario del Consiglio'. b) preside il Consiglio 'Affari esteri c) è uno dei Vicepresidenti della Commissione, incaricato 'delle responsabilità che incombono a tale istituzione nel settore delle relazioni estere e del coordinamento degli altri aspetti dell'azione esterna dell'Unione. Organo del Consiglio e di membro della Commissione, la procedura di nomina dell'Alto rappresentante coinvolge sia il Consiglio europeo che il Presidente della Commissione. Spetta al Consiglio europeo 'a maggioranza qualificata con l'accordo del Presidente della Commissione'. La durata del mandato coincide con quella degli altri membri della Commissione. Il Consiglio esercita, congiuntamente con il Parlamento europeo la funzione legislativa e di bilancio. Esercita funzioni di definizione della politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattati. IL CONSIGLIO EUROPEO Il Consiglio europeo è un organo di Stati in quanto è composto da soggetti che rappresentano direttamente i singoli Stati membri di appartenenza. La composizione del Consiglio europeo: • i Capi di Stato e di governo degli Stati membri • il Presidente • il Presidente della Commissione Partecipa ai lavori l'Alto rappresentante- non è un vero e proprio membro del Consiglio europeo. Alto rappresentante presiedendo il Consiglio 'affari esteri' dovrebbe essere in grado di farsi portatore delle opioni espresse dai ministri. In caso di deliberazione a maggioranza qualificata, votano soltanto i Capi di Stato e di governo. PRESIDENTE Il Consiglio europeo elegge il presidente a maggioranza qualificata per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una volta. La nomina è dunque affidata al Consiglio europeo con deliberazione a maggioranza qualificata. La durata del mandato è di due anni e mezzo, rinnovabili una sola volta: nel complesso cinque anni, che corrispondono alla durata della legislatura del Parlamento europeo e al mandato della Commissione. Le funzioni: a) assicurare la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo, in La procedura dinanzi alla Corte di giustizia si suddivide in due fasi. La fase scritta e orale. La sentenza è letta in pubblica udienza. Le funzioni assolte dalla Corte di giustizia hanno antura giurisdizionale: assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati. La Corte di giustizia esercita anche funzioni di natura consultiva, esprime un parere. I pareri della Corte hanno un valore parzialmente vincolante, dal momebto che il loro contenuro condiziona il comportamento delle istituzioni e degli Stati membri. In caso di parere negativo l'accordo previsto non può entrare in vigore salvo modifica dello stesso o revisione dei trattati. Le fonti normative riguardanti il Tribunale sono: TFUE, Statuto della Corte di giustizia. Infine il Tribunale approva il proprio regolamento di procedura ma deve farlo di concerto alla corte di giustizia. Il regolamento è poi sottoposto all'approvazione del consiglio che delibera a maggioranza qualificata. La composizione del Tribunale: almeno un giudice per Stato membro però il numero dei giudici è stabilito dalla Corte di giustizia. Attualmente i giudici sono 46, dal 1 sett. 2019 il tribunale sarà composto da 2 giudici per Stato membro. Anche per i giudici del Tribunale, la nomina avviene di comune accordo dai governi degli Stati membri, previa consultazione del comitato. I giudici hanno un mandato di sei anni rinnovabile ed eleggono tra di loro un presidente, che resta in carica tre anni. I requisiti sono: di indipendenza e di professionalità. Formazioni di giudizio: funziona normalmente in sezioni, composte da tre o da cinque giudici. Il Tribunale può avere una natura duplice. In generale è giufice di primo grado, il primo giudice a pronunciarsi sulle cause che rientrano nella sua competenza. Le pronunce emesse dal Tribunale come giudice di primo grado sono soggette ad impugnazione davanti alla Corte di giustizia. Il termine è di due mesi a decorrere dalla notifica della decisione da impugnare. L'impugnazione delle pronunce del Tribunale come giudice di primo grado dinanizi alla Corte non costituisce infatti un giudizio di appello, essendo limitata ai solo motivi di diritto. Il giudizio sul fatto si esaurisce dinanzi al tribunale ed è oggetto di un unico grado. Solo rispetto alle cuse che fossere ossegnate alla competenza dei tribunali specializzati, il tribunale opererebbe invece quale giudice di secondo grado, in quanto potrebbe conoscere delle impugnazioni proposte contro le sentenze di primo grado di questi tribunali. Il tribunale è compente in primo grado per tutte le azioni e cause che non siano riservate alla competenza esclusiva e in grado unico della corte di giustizia. Competenze del Tribunale: • decidere sulle controversie tra l'Unione e i suoi agenti • ricorsi proposti dalle persone fisiche e giuridiche contro le istituzioni e gli altri organi • per i ricorsi di annullamento proposti da uno Stato membro contro la Commissione • per i ricorsi d'annullamento proposti da uno Stato membro contro il Consiglio aventi ad oggetto: a) decisioni adottate; b) atti adottati in forza di un regolamento relativo a misure di difesa commerciale; c) atti di esercizio da parte del Consiglio. La competenza del tribunale è stabilita in base a criteri personali ma anche in base a criteri materiali. TRIBUNALI SPECIALIZZATI Il Parlamento europeo e il Consiglio possono istituire tribunali specializzati affiancati dal Tribunale e incaricati di conoscere in primo grado di talune categorie di ricorsi proposti in materie specifiche. L'istituzione avviene attraverso un regolamento che stabilisce la composizione e la portata delle competenze. La nomina dei membri è compito del Consiglio che delibera all'unaminità. Le sentenze dei tribunali specializzati sono impugnabili davanti al Tribunale per soli motivi di diritto. Il riesame della decisione del Tribunale davanti alla Corte di giustizia è invece previsto solo eccezionalmente e alle condizioni e entro i limiti previsti dallo Statuto, ove sussistono gravi rischi che l'unità o la coerenza del diritto dell'Unione siano compromesse. Tribunale specializzato passato in istituto e infine abolito era: Tribunale della funzione pubblica dell'Unione europea. LA CORTE DEI CONTI, LA BANCA CENTRALE EUROPEA E GLI ALTRI ORGANI CORTE DEI CONTI La Corte dei conti è un organo di individui. La composizione comprende un cittadino di ciascun Stato membro. I membri sono nominati dal Consiglio a maggioranza qualificata, previa consultazione del Parlamento europeo, conformemente alle proposte presentate da ciascuno Stato membro per un mandato di sei anni. I requisiti sono quelli di indipendenza e di professionalità. La Corte dei conti compiti : • esamina i conti di tutte le entrate e le spese dell'Unione nonché quelli di ogni organo o organismo creato dall'Unione. • Controlla la legittimità e le regolarità delle entrate e delle spese ed accerta la sana gestione finanziaria e riferisce su ogni caso di irregolarità. L'atto più rilevante è la relazione annuale. La Corte non disponde del potere di annullare eventuali atti irregolari o di impedirne l'esecuzione; non ha alcun autonomo potere sanzionatorio. Il quadro istituzionale dell'Unione è completato da numerosi altri organi che svolgono, per lo più, funzioni consultive o preparatorie. Il Comitato economico e sociale e il Comitato delle regioni sono organi di individui, non essendo i membri vincolati da mandato da parte degli Stati di appartenenza. IL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE Il Comitato economico e sociale è composto da 'rappresentanze delle organizzazioni di datori di lavoro, di lavoratori dipendenti e di altri attori rappresentativi della società civile. Il numero dei membri, che non può essere superiore a 350, è stabilito dal Consiglio con delibera all'unaminità, su proposta della Commissione. I membri sono nominati dal Consiglio a maggioranza qualificata. IL COMITATO DELLE REGIONI E' composto da rappresentanti delle collettività regionali e locali, che siano titolari di un mandato elettorale nell'ambito di una collettività regionale o locale o politicamente responsabili dinanzi ad un'assemblea eletta. Entrambi devono essere consultati dal Parlamento europeo, dal Consiglio o dalla Commissione quando ciò sia previsto dai trattati o possono esserlo quando tali istituzioni lo ritengano opportuno. Nel primo caso il parere è obbligatorio, ma non vincolante. Nel secondo caso il parere è puramente facoltativo. BANCA CENTRALE EUROPEA (BCE) SISTEMA EUROPEO DELLE BANCHE CENTRALI (SEBC) La BCE gode di personalità giuridica, ha il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione dell'euro ed è indipendente nell'esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze. Al suo interno in un Comitato esecutivo, composto da un Presidente, un Vice-Presidente e altri quattro membri, nominati dal Consiglio europeo che delibera a maggioranza qualificata un Consiglio direttivo, composto dai membri del Comitato esecutivo e dai Governatori delle Banche centrali nazionali degli Stati membri la cui moneta è l'euro. Il mandato è di otto anni non rinnovabili. I membri sono nominati tra cittadini di Stati membri di riconosciuta elevatura ed esperienza professionale nel settore bancario o monetario. Queste banche hanno il compito di garantire l'indipendenza ed in particolare di non sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione, dai governi degli Stati membri, né da qualsiasi altro organismo. L'obbiettivo principazle del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi e prevede che esso agisce in conformità del principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza . I compiti della BCE da assolvere tramite il SEBC sono: - definire e attuare la politica monetaria dell'Unione - svolgere le operazioni sui cambi - detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri; promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento. Ha anche un potere consultivo. La BCE ha il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote in euro. Per l'assolvimento dei propri compiti la BCE ha un potere normativo ed in particolare quello di adottare regolamenti, decisioni e formulare raccomandazioni o pareri. In relazione a tali atti la BCE gode anche di un potere sanzionatorio, potendo infliggere ammende per la violazione di obblighi imposti dalla stessa Banca con proprio atto. La BCE dispone inoltre di potere di indirizzo, consistente nell'invio alle BCN di indirizzi e istruzioni. Come tutte le altre istituzioni della UE, anche la BCE è sottoposta per la propria attività al controllo giuridizionale della Corte di giustizia. La BCE è a sua volta legittimata a proporre ricorsi dinanzi alla Corte di giustizia. BANCA EUROPEA DEGLI INVESTIMENTI (BEI) Di essa sono membri gli Stati membri che ne sottoscrivono il capitale. Le sue funzioni consistono nel facilitare, mediante concessione di prestiti e garanzie, senza perseguire scopo di lucro, il finanziamento di progetti finalizzati a contribuire allo sviluppo equilibrato e senza scosse del mercato interno. Attraverso atti del Consiglio o, del Parlamento e del Consiglio, appositi organi o agenzie indipendenti. LE PROCEDURE DECISIONALI Le procedure decisionali sequenza di atti o fatti richiesta dai trattati affinchè la volontà dell'Unione si possa manifestare attraverso determinati atti giuridici. Le procedure decisionali hanno prevalentemente carattere interistituzionale- atti o fatti provenirenti da più istituzioni politiche (parlamento eu, consiglio eu, consiglio, commiss). In alcuni settori, prevalgono ancora le istituzioni rappresentative degli Stati membri (2 Consi) o viene ancora richiesto che tali istituzioni deliberino all'unaminità. In altri settori, le procedure decisionali pongono invece su un piano di parità il Consiglio e il Parlamento europeo, istituzioni che, in quanto eletti democraticamente dai cittadini dell'UE, rappresenta istanze unitarie. Molto spesso le procedure decisionali necessitano dell'iniziativa della Commissione. Altre volte l'iniziativa può venire anche da altri soggetti istituzionali o adirittura da uno Stati membro o da un gruppo di essi. La disciplina delle procedure decionali è stabilita direttamente dai trattati ed è pertanto inderogabile dalle istituzioni. Va ricordata la tendenza ad inserire nei trattati disposizioni che affidano alle istituzioni il potere di disporre il passaggio da una procedura decisionale ad un'altra o di modificare taluni elementi delle procedure previste (sostituire l'unaminità con la maggioranza qualificata). Per l'adozione di atti legislativi necessitano alcune specifiche procedure: • procedura legislativa ordinaria: adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione; • procedure legislative speciali: si applicano soltanto nei casi specifici previsti dai trattati e prevedono l'adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decione da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio. Mentre la procedura legislativa ordinaria è largamente tipizzata, si svolge sempre nelle modalità previste, le procedure legislative speciali hanno in comune soltanto la partecipazione di entrambi il Parlamento europeo e il Consiglio. L'esatto svolgimento di ciascuna di esse è definito di volta in delibera urgente. Il parere del Parlamento deve essere dato sull'atto che poi sarà effettivamente adottato dal Consiglio. Se, pertanto, dopo la consultazione del Parlamento, il Consiglio decide di modificare l'atto nella sostanza o la Commissione ritira la proposta e ne presenta un'altra diversa da quella su cui il Parlamento si è espresso, è necessaria una seconda consultazione. In alcuni casi di particolare importanza, il TFUE prevede che l'atto legislativo deliberato dal Consiglio debba essere approvato dal Parlamento europeo- procedura di approvazione. Il potere deliberativo non appartiene più al Consiglio, ma è condiviso con il Parlamento, come avviene nella procedura legislativa ordinaria. Nella procedura di approvazione il Parlamento si limita ad approvare o a respingere l'atto. Per alcuni atti legislativi il cui contenuto è destinato a sostituirsi o a integrare la disciplina prevista dal TFUE, è prescritto l'atto adottato con la procedura di approvazione o, più raramente, di consultazione, per entrare in vigore debba essere approvato anche dagli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. Il Trattato di Lisbona ha eliminato ogni distinzione formale tra materie già da tempo comunitarizzate e materie che inizialmente rientravano nel III pilastro dell'Unione, in particolare la Cooperazione giudiziaria in materia penale e la Cooperazione di polizia. Qualunque sia la procedura legislativa applicabile, nel settore della Cooperazione giudiziaria in materia penale, in quello della Cooperazione di polizia e in quello della Cooperazione amministrativa, il potere di proposta non spetta soltanto alla Commissione ma anche all'iniziativa di un quarto degli Stati membri. In numerosi casi sono previsti taluni strumenti procedurali che consentono agli Stati membri contrari a determinati atti di impedirne o ritardarne l'adozione. Lo Stato membro contrario interviene perchè ritiene che il progetto di atto incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale. L'intervento avviene prima della deliberazione dell'atto da parte del Consiglio e comporta la sospensione della procedura legislativa ordinaria. L'esame dell'atto passa al Consiglio europeo che ha quattro mesi per approvare l'atto per il consenso. Se ciò avviene, l'atto è rinviato al Consiglio e la procedura legislativa ordinaria riprende. In caso contrario, se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di atto, essi ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione e l'autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata si considera concessa. In altre ipotesi invece lo strumento procedurale è associato a procedure legislative speciali che richiedono una delibera unanime da parte del Consiglio. In mancanza di unaminità, un gruppo di almeno nove Stati membri può richiedere che del progetto di atto sia investito il Consiglio europeo. Entro quattro mesi, il Consiglio europeo, decidendo per consenso, rinvia il progetto al Consiglio perchè lo adotti. Altrimenti, almeno nove Stati membri possono notificare al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione la loro intenzione di instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di atto e la necessaria autorizzazione si considera concessa. LE PROCEDURE NON LEGISLATIVE In molti casi i trattati prevedono l'adozione da parte delle istituzioni dell'Unione di atti non legislativi e stabiliscono di volta in volta la procedura decisonale applicabile. Il Consiglio europeo, i cui atti non hanno mai natura legislativa delibera seguendo procedure diverse da caso a caso. Le procedure in cui il Consiglio europeo decide in piena autonomia, senza necessità di alcuna proposta e senza che sia richiesta la consultazioone o l'approvazione di altre istituzioni; (es: elezioni del presidente del consiglio europeo. Formazioni del Consiglio. Presidenza del Consiglio.) L'approvazione del Parlamento europeo è necessaria per la nomina del Presidentw della Commissione, che il Consiglio europeo propone di propria iniziativa mentre per quella dell'Alto rappresentante occorre l'accordo del Presidente della Commissione. Consiglio europeo delibera a maggioranza qualificata. Procedure che ispirano ai modelli della procedura di consultazione o della procedura di approvazione. In questi casi il Consiglio non agisce di propria iniziativa ha bisogno di una proprosta. Come esempio di una porocedura simile alla procedura di consultazione, procedure di revisione dei trattati, il Consiglio europeo agisce su proposta del governo di uno Stato membro, del Parlamento europeo o della Commissione. Il Consiglio europeo necessita di una proposta di un terzo degli Stati membri, o della Commissione, per constatare, con decisione all'unanimità, l'esistenza di un violazione grava e persistente da parte di uno Stato membro dei valori. In questo caso è necessaria l'approvazione del Parlamento europeo. Una procedura non legislativa del tutto uguale a quella di consultazione è quella relativa ai regolamenti e le direttive all'applicazione di regole di concorrenza applicabili alle imprese. Il coordinamento delle politiche econoiche, il quale avviene attraverso lo strumento degli indirizzi di massima per le politiche economiche degli stati membri e dell'Unione. Gli indirizzi di massima sono approvati in esisto ad una procedura piuttosto macchinosa, che prende le mosse da una raccomandazione della Commissione, prosegue con una relazione del Consiglio, un dibattito in Consiglio europeo e infine una raccomandazione del Consiglio che incorpora gli indirizzi di massima. Sulla base degli indirizzi di massima viene seguita una procedura c.d. Di sotveglianza multilaterale, in cui viene controllata la congruenza delle politiche economiche di ciascuno Stato con gli indirizzi. La procedura per i disavanzi pubblici eccessivi. Il momento centrale è costituito dalla deciosione del Consiglio che, su proposta della Commissione e sentite le osservazioni dello Stato membro interessato, stabilisce che esiste un disavanzo eccessivo e adotta, su raccomandazione della Commissione, le raccomandazioni allo Stati membro in questione al fine di far cessare tale situazione entro un determinato periodo. Decorso invano il periodo accordato, il Consiglio può decidere di intimare allo Stato membro di prendere, entro un termine stabilito, le misure volte alla riduzione del disavanzo che il Consiglio ritiene necessarie per correggere le situazione e può chiedere allo Stato membro in questione di presentare relazioni seconfo un calendario preciso, al fine di esaminare gli sforzi compiuti da detto Stato membro per rimediare alla situazione. LE PROCEDURE NEL SETTORE DELLA PESC Il settore della Poltica Estera e di Sicurezza Comune resta separato rispetto a tutti gli altri settori rientranti nella competenza dell'Unione. Il Consiglio europeo esercita un vero e proprio potere decisionale. Le procedure decisionali consistono per lo più in deliberazioni assunte dal Consiglio all'unaminità, su iniziativa degli Stati membri o dell'Altro rappresentante. Il ruolo del Parlamento europeo è molto ridotto, essendo esso oggetto di semplice consultazione. Al Consiglio europeo il TUE attribuisce a quest'istituzione poteri decisionali veri e propri, delibera sempre all'unaminità. Unaminità- posto che le astensioni non escludono l'unaminità si è cercato di introdurre che i membri del Consiglio contrari ad una proposta di astenersi, piuttosto che esprimere un voto contrario- astensione costruttiva. L'atto viene adottato ma non vincola lo Stato membro astenuto. Alcune deliberazioni vengono assunte dal Consiglio a maggioranza qualificata, in 4 casi: 1. quando adotta una decisione che definisce un'azione o una posizione dell'Unione, sulla base di una decisione del Consiglio europeo relativa agli interessi e obbiettivi strategici dell'Unione. 2. Quando adotta una decsione che definisce un'azione o una posizione dell'Unione in base a una proposta dell'altro rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza presentate in seguito a una richiesta specifica rivolta a quest'ultimo dal Consiglio europeo di sua iniziatia o su iniziativa dell'alto rappresentante. 3. Quando adotta decisioni relative all'attuazione di una decisione che definisce un'azione o una posizione dell'Unione. 4. Quando nomina un rappresentante speciale. Deliberazioni a maggioranza qualificata può essere paralizzata grazie alla clausola di salvaguardia: se un membro del Consiglio dichiara che intende opporsi all'adozione di una decisione che richiede la maggioranza qualificata, non si porcede alla votazione. L'alto rappresentante cerca, in stretta consultazione con lo Stato interessato, una soluzione accettabile per quest'ultimo. In mancanza di un risultato il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può richiedere che della questione sia investito il Consiglio europeo, in vista di una decisione all'unaminità. Il potere d'iniziativa spetta ad ogni Stato, all'Alto rappresentante da solo o con l'appoggio della Commisione. Tutti questi soggetti possono sottoporre al Consiglio questioni rientranti nella PESC e presentare rispettivamente inziative o proposte. Il Parlamento europeo non svolge alcun ruolo attivo nell'elaborazione delle decisioni della PESC. LA PROCEDURA PER LA CONCLUSIONE DEGLI ACCORDI INTERNAZIONALI La procedura per negoziare e concludere accordi internazionali dell'Unione con Stati terzi o con altre organizzazioni internazionali è disciplinata dall'art. 218 TFUE. La procedura è caratterizzata dal ruolo centrale del Consiglio che decide su tutte le fasi. Il negoziato si apre a seguito ad autorizzazione del Consiglio su raccomandazione della Commissione o dell'Alto rappresentante. La firma è autorizzata dal Consiglio su proposta del negoziatore con decisione. Nel corso dell'intera procedura il Consiglio delibera normalmente a maggioranza qualificata. La fase della conclusione segue generalmente il modello della procedura di consultazione. Il Parlamento europeo deve essere sempre previamente consultato. Per i seguenti accordi si segue invece il modello della procedura di approvazione. Il Consiglio non può decidere la conclusione dell'accordo senza la preventiva approvazione del Parlamento europeo. Tale procedura è richiesta per: • accordi di associazione; • accordo sull'adesione dell'Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; • accordi che creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure di cooperazione; • accordi che hanno ripercussioni finanziarie considerevoli per l'Unione; • accordi che riguardano settori ai quali si applica la procedura legislativa ordinaria oppure la procedura legislativa speciale qualora sia necessaria l'approvazione del Parlamento europeo. Una particolarità della procedura in esame è che essa può comprendere la consultazione della Corte di giustizia. Uno Stato membro, il Parlamento, il Consiglio o la Commissione possono infatti domandare il parere della Corte di giustizia sulla compatibilità di un accordo previsto con le disposizioni del presente trattato. LE PROCEDURE PER L'ADOZIONE DEGLI ATTI D'ATTUAZIONE E D'ESECUZIONE Gli atti del Consiglio o quelli adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio affidano alla Commissione il compito di adottare atti di attuazione/esecuzione o di secondo grado. L'atto in base delega la Commissione a integrare la disciplina stessa con regole di dettaglio o addirittura autorizza la Commissione a modificare la disciplina di base su aspetti non centrali, in particolare per tenerla aggiornata ai nuovi dati tecnici e scientifici- atti di attuazione. L'atto di base conferisce alla Commissione soltanto il compito di applicare la normativa contenuta nell'atto di base, adottando provvedimenti di carattere generale o individuale a questo fine- atti di esecuzione. La distinzione tra atti di attuazione e atti di esecuzione è diventata invece molto importante dopo il Trattato di Lisbona. prima non esisteva. Gli atti di attuazione sono sempre adottati dalla Commissione su delega disposta da un atto legislativo adottato, congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio ovvero dall'una o dall'altra di queste istituzioni. La delega, abilita la Commissione all'emanazione di atti non legislativi di portata generale che integano o modificano determinati elementi non esseziali dell'atto legislativo. Gli atti di esecuzione sono emessi dalla Commissione quando sono necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione. Tra gli atti adottati dalle istituzioni troviamo gli atti legislativi e non legislativi. La distinzione tra atti legislativi e atti non legislativi è stata introdotta dal Trattato di Lisbona ma con molta prudenza. Non vengono infatti creati appositi tipi di atti. La distinzione si basa sulla procedura decisionale applicabile per l'adozione, soltanto gli atti giuridici adottati mediante procedura legislativa sono atti legislativi. Al contrario, gli atti adottati mediante una procedura non qualificata come legislativa saranno atti che, tali non sono. Dal momento che la procedura decisionale applicabile è indicata dalla base giuridica in forza del quale l'atto è adottato, è la stessa base giuridica che, stabilendo se si debba seguire una procedura legislativa oppure una procedura non qualificata come tale, ciò determina la natura legislativa o meno degli atti adottati. La categoria degli atti non legislativi è pertanto definita per esclusione. Sono tali tutti gli atti delle istituzioni per la cui adozione non è prevista una procedura legislativa. Peraltro le procedure legislative contemplano sempre l'adozione di atti da parte del Parlamento europeo o del Consiglio quindi gli atti delle altre istituzioni saranno a priori non legislativi. Tra gli atti legislativi figurano sia atti che verebbero qualificati come amministrativi sia atti che hanno la funzione di dare attuazione a specifiche disposizioni dei trattati e che, in un ordinamento interno, avrebbero valenza legislativa. Il fatto che un atto giuridico sia o meno legislativo comporta alcune importanti conseguenze: • i lavori del Consiglio per l'adozione di un atto legislativo dovranno svolgersi in seduta pubblica, con la conseguente necessità di dividere ciascuna sessione in due parti dedicate, rispettivamente, alle deliberazioni su atti legislativi dell'Unione e alle attività non legislative. • In merito agli atti legislativi saranno esercitati i poteri di controllo dei parlamenti nazionali circa il rispetto del principio di sussidiarietà. • Le condizioni di ricevibilità dei ricorsi d'annullamento delle persone fisiche o giuridiche saranno più severe se l'atto impugnato ha carattere legislativo di quanto lo saranno in caso di impugnazione di atti regolamentaeri che non comportano alcuna misura di esecuzione. La struttura degli atti delle istituzioni presentano grandi differenze. Gli atti tipici sono: • vincolanti- fonti del diritto: - i regolamenti - le direttive - le decisioni Non c'è gerarchia tra gli atti vincolanti. • non vincolanti- non possono fungere da diritto: - i pareri - le raccomandazioni Normalmente la base giuridica specifica di volta in volta quale tipo di atti le istituzioni possono adottare. Può capitare che il titpo di atto da adottare non venga precisato. In questo caso, spetta alle istituzioni competenti effettuare la scelta nel rispetto del principio di proporzionalità. La tipologia di atti contenuta nell'art 288 non è completa né tassativa. Gli stessi trattati prevedono atti non codificati. Accanto agli atti atipici, espressamente contemplati dai trattati, vanno annoverati alcuni tipi di atto affermatisi soltanto in via di prassi- comunicazioni. Una mera prassi, che non si sia tradotta in comunicazioni, può essere variata nel tempo dalla Commissione, senza che le imprese interessate possano vantare un legittimo affidamento circa il mantenimento della prassi anteriore. Le prese di posizione, contenute in lettere della Commissione rivolte a uno Stato membro non vincolano né lo Stato membro in questione né il giudice nazionale. Aspetti comuni a tutti gli atti delle istituzioni: motivazione, firma e entrata in vigore. Gli atti legislativi sono firmati dal Presidente del Parlamento europeo e/o Presidente del Consiglio, a seconda della procedura legislativa applicabile. Gli atti non legislativi sono firmati dal Presidente dell'istituzione che li ha adottati. Sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea. Gli atti pubblicati nella GU entrano in vigore venti giorni dopo la pubblicazione. Le direttive rivolte a determinati Stati membri e le decisioni che designano destinatari sono notificate a determinati Stati membri e le decisioni che designano destinatari sono notificate ai destinatari ed hanno efficacia in virtù di tale notificazione. I TRATTATI Le fonti del diritto primario dell'Unione: i trattati (TUE e TFUE), come emendati dai trattati di revisione e modificati dai trattati di adesione che si sono succeduti nel tempo. I due trattati hanno pari natuara giuridica. Il TFUE è strumentale rispetto al TUE. Le disposizioni più importanti sono concentrate nel TUE, mentre il TFUE è il contenitore di tutte quelle disposizioni che sono state considerate di importanza minore o di dettaglio. Di conseguenza il TFUE serve ad integrare e dettagkuare la disciplina generale contenuta nel TUE. Tra i due testi esiste pertanto un legame funzionale, nel cui ambito il TFUE è servente rispetto al TUE. Tra i due testi esisite un legame funzionale. Natura di fonti primarie hanno anche i Protocolli e gli Allegati ai trattati. L'atto finale delle CIG, convocate per approvare i trattati di revisione o di adesione, reca in allegato alcune dichiarazioni, aventi ad oggetto una o più disposizioni dei trattati ovvero questioni attinenti alla loro applicazione. Due tipi: a) dichiarazione della Conferenza, cioè a tutti gli Stati membri; b) dichiarazioni di uno o più Stati membri. Alle prime può riconoscersi un ruolo importante per quanto riguarda l'interpretazione delle disposizioni alla quale si riferiscono. Non costituiscono per l'interprete un vero e proprio vincolo. Minore rilevanza ha l'altro tipo di dichiarazioni, proprio perchè non emanano da coloro che detengono collettivamente il potere di revisione. Una questione molto dibattuta è quella della natura giuridica dei trattati; semplici trattati internazionali che nel loro insieke vanno considerati come carta costituzionale. Il TCE, il TUE e tutti i trattati che nel tempo li hanno modificati sono stati conclusi nelle forme secondo i procedimenti propri di un normale trattato internazionale- l'atto costitutivo di un'organizzazione internazionale. I trattati assolvano ad una funzione di natura costituzionale. Essi infatti definiscono la struttura istituzionale dell'Unione, le procedure per l'adozione degli atti di diritto derivato e le caratteristiche di tali atti; definiscono i settori attribuiti alla competenza dell'Unione, prevedono una serie di norme materiali che dettano i principi e le regole di base applicabili a tali vari settori. La disciplina contenuta nei trattati è inderogabile dalle istituzioni e dagli Stati membri. Opera una Corte di giustizia che assicura il rispetto dei trattati e del diritto in generale. Certo non si tratta di una costituzione di tipo statuale. La nascita di uno Stato europeo, di cui i trattati rappresenterebbero la carta fondamentale, non è, al giorno d'oggi, che uno dei possibili esisti di un processo ancora in corso. La Corte di giustizia considera e adopera i trattati come una costituzione. Tale concezione si riflette nei criteri interpretativi seguiti dalla Corte, che infatti si discostano notevolemnte dai criteri utilizzati per i trattati internazionali, compresi quelli istituitivi di organizzazioni internazionali. L'obbiettivo perseguito da disposizioni dei Trattatti è ricavato dai lavori preparatori. Le norme del TFUE sulle quattro libertà di circolazione (merci, persone, servizi e capitali) sono sempre interpretate estensivamente, così come lo sono le norme che definiscono le competenze dell'Unione. Al contratio, le norme che consentono agli Stati memebri di adottare o mantenere provvedimenti derogatori rispetto alle regole generali sono oggetto di interpretazione restrittiva, come anche le norme che mirano a consentire agli Stati membri di continuare ad utilizzare le loro competenze parallelamente a quelle dell'Unione. Le limitazioni della sovranità degli Stati si presumono. Un altro criterio interpretativo applicato alle norme del Trattato è l'effetto utile. Tra le varie interpretazioni possibili, la Corte preferisce quella che consente di riconoscere alla norma la maggiore effettività possibile, in maniera che gli scopi a cui la norma è rivolta possano essere raggiunti più compiutamente. I trattati possono essere modificati soltanto ricorrendo alle procedure previste a questo scopo dagli stessi trattati, art 48 TUE, procedure di revisione. La procedura di revisione ordinaria si suddivide in numerose fasi, di cui le prime, aventi carattere preparatorio, si svolgono all'interno del circuito isituzionale dell'Unione, mentre le fasi finali, nel corso delle quali vengono assunte le deliberazioni vere e proprie, si svolgono all'esterno di tale cicuito e vedono come protagonisti gli Stati membri e i loro parlamenti nazionali. La procedura si articola in questo modo: • presentazione al Consiglio di un progetto di modifica da parte del governo di qualsiasi Stato membro, del Parlamento europeo o della Commissione. • Decisione del Consiglio europeo, a maggioranza semplice, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, provvede all'esame delle modifiche trasmesse dal Consiglio. • Convocazione da parte del Presidente del Consiglio europeo di una convenzione composta da rappresentnati dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione con lo scopo di esaminare i progetti di modifica e di adottare per consenso una raccomandazione per la conferenza intergovernatica. In alternativa qualora l'entità delle modifiche non giustifichi la convocazione della convenzione decisionale del Consiglio europeo a maggioranza semplice, previa approvazione del Parlamento europeo, che definisce il mandato per la CIG. • Convocazione di una CIG formata dai rappresentanti dei governi degli Stati membri per stabilire di comune accordo le modifiche da apportare ai trattati. • Ratifica delle modifiche approvate da parte di tutti gli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali e loro entrata in vigore. Essendo rimessa a ciascuna costituzione nazionale la definizione delle forme necessarie per la ratifica, è a queste che spetta stabilire se la ratifica debba avvenire come per qualsiasi trattato internazionale o se invece sia necessario seguire procedure speciali. Art 48 un apposito comma che dovrebbe facilitare l'entrata in vigore del trattato di revisione. Qualora al termine di un periodo di due anni a deccorre dalla data della firma di un trattato che modifica i trattati, i quattro quinti degli Stati membri abbiano ratificato detto trattato e uno o più Stati membri abbiano incontrato difficoltà nelle procedure di ratifica, la questione è definita al Consiglio europeo. La possibilità che il Consiglio europeo decida misure che favoriscano l'entrata in vigore del trattato di revisione nonostante la mancata ratifica da parte di un unico Stato membro o da parte di un numero limitato di Stati. Accanto alla procedura ordinaria, il Trattato di Lisbona ha previsto due procedure semplificate di revisione. Modifiche, parziali ma anche totali, delle disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell'Unioni europea relative alle politiche e azioni interne dell'Unione, senza però che ciò comporti alcuna estensione delle competenze attribuite all'Unione nei trattati. La procedura è: • prestazione al Consiglio europeo da parte del governo di qualsiasi Stato membro, del Parlamento europeo o della Commissione, di progetti di modifica. • Adozione delle modifiche da parte del Consiglio europeo con decisione approvata all'unaminità, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione. • Entrata in vigore della in vigore della decisione del Consiglio europeo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. Evita la convocazione della convenzione e finanche quella della CIG, essendo affidato direttamente Nonostante le molte sollecitazioni ricevute, la Corte, invece non rietiene che rientrino nel campo d'applicazione del principio generale di non discriminazione le discriminazioni alla rovescia. Si tratta di situazioni che si creano quando le norme di uno Stato membro prevedono per i propri cittadini un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ai cittadini degli Stati membri. Il diritto dell'Unione non si oppone a che la stessa norma interna continui ad applicarsi a situazioni purmanete interne e perciò estranee al campo di applicazione della libera circolazione. La discriminazione alla rovescia deriva dalla combinazione tra ordinamento interno e ordinamento dell'Unione. • Principio di libera circolazione. • Principio della tutela giuridizionale effettiva. • Principio d'attribuzione. • Principio di sussidiarietà. • Principio di proporzionalità. Il principio che vincola l'Unione al rispetto dell'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e della loro identità nazionale e il principio di leale cooperazione. • Principio della fiducia reciproca fra Stati membri. Riveste un'importanza fondamentale. Esso impone a ciuscuno Stato di ritenere che tutti gli altri Stati membri rispettano il diritto dell'Unione e i diritti fondamentali. PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO COMUNI AGLI ORDINAMENTI DEGLI STATI MEMBRI Principi desunti non dal diritto dell'Unione, ma dall'esame parallelo dei vari ordinamenti nazionali. Principi inerenti all'idea stessa di Stato di diritto, che costituisce uno dei valori su cui l'Unione si fonda: • Principio di legalità. Ogni potere esercitato dalle istituzione deve trovare la sua fonte legittimante in una norme dei trattati che ne fissi le condizioni di esercizio. • Principio di certezza del diritto. Chi è tenuto al rispetto di una norma giuridica deve essere messo in condizione di poterlo fare e di conoscere il comportamento che la norma gli impone. • Principio di legittimo affidamento. In caso di modifica normativa imporovvisa e imprevedibile da parte degli operatori giuridici, senza che ciò sia giustificato da ragioni imperative di interesse generale. • Principio del contradditorio. Le istituzioni e gli organi dell'Unione quando intendono assumere un provvedimento sfavorevole a carico di un singolo, devono consentire a quest'ultimo di far valere il proprio punto di vista prima che il provvedimento stesso venga adottato. • Principio di proporzionalità. Gli interventi della pubblica autorità limitativi della libertà o dei diritti dei singoli per essere legittimi devono: a) essere idonei a raggiungere l'obbiettivo di interesse pubblico perseguito; b) devono essere necessari a questo stesso fine, evitando di imporre ai privati sacrifici superflui. LA PROTEZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI Una terza categoria di principi generali è quella comprendente i principi rivolti alla preotezione dei diritti umani. L'obbiettivo di proteggere tali diritti all'interno dell'ordinamento dell'Unione inizialmente faceva affidamento solo sui principi generali tratti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati mebri e dai trattati internazionali conclusi dagli Stati membri e dai trattati internazionali conclusi dagli Stati membri e dai trattati internazionali conclusi dagli Stati membri in qeusta materia. Dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la situazione è molto cambiata. La protezione dei diritti fondamentali dell'uomo è ora oggetto di molteplici fonti richiamate di una specifica disposizione di diritto primario: l'art 6 TUE. La protezione dei diritti umani nell'ordinamento dell'Unione trova la sua fonte e la sua disciplina in una pluralità di strumenti normativi: • La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. • La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. • I principi generali di cui fanno parte i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. La Carta dei diritti fondamentali e i principi generali sono ancora vincolanti per l'Unione europea. La CEDU invece lo divverà soltanto se quando sarà perfezionata l'adesione ad esse dell'Unione secondo quanto previsto. Per il momento la CEDU non vincola direttamente l'Unione ache se il suo contributo contribuisce a formarte i principi generali. Inizialmente, la completa assenza si qualsiasi riferimento alla tutela dei diritti fondamentali nel TCE aveva condotto la giurisprudenza della Corte di giustizia a teorizzare, a partire dagli anni 70, l'esistenza di principi generali che assicuravano la preotezione di tali diritti e per la cui ricostruzione occorreva trarre ispirazione dai trattati internazionali in materia, in particolare la CEDU, e dalle tradizioni cosituzionali comuni. Successivamente il TUE, aveva recepito l'impostazione data alla questione della giurisprudenza. Ben presto si era tuttavia avvertita la necessità di conferire una fonte più precisa e articolata alla tutela dei diritti fondamentali da parte della CE e poi dell'Unione. Inizialmente si era immaginato che la CE potesse aderire formalmente alla CEDU. Tale progetto si era però arenato di fronte al parere 2/9 del 28 marzo 1996. nel parere la Corte aveva escluso che la CE avesse la competenza necessaria. La volontà di assicurare l'adesione dell'Unione alla CEDU non è venuta meno. Il par. 2 dell'attuale art.6 contiene infatti una norma che autorizza tale adesione, stabilendo che l'Unione aderisce alla Convenzione europea della salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. I negoziati tra UE e Consiglio d'Europa, cominciati ancor prima che il Trattato di Lisbona entrasse in vigore, hanno portato alla preparazione di un progetto di accordo di adesione. La Corte di giustizia ha tuttavia dichiarato che il progetto in parola non è compatibile con l'articolo 6, paragrafo 2, TUE. La Corte di giustizia ritiene che il progetto non rispetti le caratteristiche specifiche dell'Unione e del suo diritto in quanto: - il controllo esterno sarebbe affidato alla Corte EDU avrebbe come effetto di imporre all'Unione e alle sue istituzione, nell'esercizio delle loro competenze interne, un'interpretazione determinata delle norme del diritto dell'Unione, di cui la Corte di giustizia è ccustode; ciò violerebbe l'autonomia del diritto dell'Unione, che è una delle caratteristiche essenziali di tale ordinamento; - vi sarebbero casi in cui alla Corte EDU sarebbe consentito di valutare profili di diritto dell'Unione sui quali la Corte di giustizia non avrebbe avuto ancora modo di pronunciarsi preliminarmente. Per la Corte di giustizia esistono principi generali del diritto che proteggono i diritti fondamentali e che vincolano le istituzioni- sono collegate alle Corti costituzionali italiana e tedesco-federale che partono dal presupposto che le norme costituzionali che hanno permesso all'Italia e alla Germania federale di aderire alla CE non consentono di derogare a quelle altre norme costituzionali che definiscono e proteggono i diritti fondamentali della persona umana. Tali norme costituzionali devono essere rispettare anche dagli atti adottati dalle istituzioni dell'Unione. La soluzione prospettata dalle due Corti costituzionali comportava un grave attentato al carattere unitario del diritto comunitario: un atto delle istituzioni, se giudicato in contrasto con i diritti fondamentali protetti dalla Costituzione italiana o tedesca, non avrebbero trovato applicazione nell'ordinamento dei due Stati, pur restando applicabile negli altri Stati membri della Comunità. Quindi la Corte di giustizia elabora in via giurisprudenziale una forma comunitaria di tutela dei diritti fondamentali. Secondo l'impostazione della Corte: • i diritti fondamentali vanno tutelati nell'ordinamento comunitario in quanto rientranti nei principi generali del diritto; • al fine di definire il contenuto di tali diritti e la portata della tutela che deve essere accordata ad essi, la Corte utilizza, quale fonti di ispirazione a) le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e b) i trattati internazionali in materia di tutela dei diritti dell'uomo. La soluzione elaborata dalla giurisprudenza è stata poi recepita e consacrata dall'art. 6 TUE. Se e quanto sarà portato a termine il processo di adesione previsto dal par. 2 dell'art 6 TUE, la CEDU avrà forza vincolante diretta anche nei confronti dell'Unione, così come già lo ha nei confronti degli Stati membri in quanto parti contraenti della Convenzione. Fino a quando l'adesione non sarà perfezionata, la CEDU continuerà a costituire per l'Unione una fonte non direttamente vincolante. Le tradizioni costituzionali comuni e i trattati internazionali in materia di diritti fondamentali sono utilizzati in quanto fonte di ispirazione per ricostruire i principi generali del diritto applicabili all'Unione. Le une e gli altri non hanno valore normativo immediato nell'ordinamento dell'Unione e pertanto non vincolano direttamente la Corte. La Corte ha eletto la CEDU a riferimento privilegiato e quasi inevitabile per effettuare il proprio controllo sul rispetto dei diritti fondamentali. La Corte si è spinta fino ad includere nelle proprie sentenze ampi e precisi riferimenti alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo, dando l'impressione di considerare la CEDU vincolante per l'Unione e la Corte stessa. Si tratta tuttavia di un'impressione che non risponde alla situazione giuridica attuale, in attesa dell'adesione formale dell'Unione alla CEDU. La mancata adesione formale dell'Unione alla CEDU solleva il problema della responsabilità degli Stati membri di fronte agli organi della Convenzione in conseguenza di attività delle istituzioni ovvero di attività poste in essere dagli Stati membri in esecuzione di atti delle istituzioni. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha ribadito che gli Stati i quali abbiano trasferito a un'organizzazione sopranazionale come l'Unione taluni poteri sovrani non sono sottratti, per quanto riguarda l'esercizio dei poteri sovrani oggetto del trasferimento, all'obbligo di rispettare i diritti tutelati dalla CEDU. Per quanto riguarda i casi in cui manca ogni discrezionalità in capo agli Stati membri, la Corte europea considera che il suo intervento non è necessario. L'Uonione tutela i diritti fondamentali in modo che, è almeno equivalente a quello della Convenzione il principio della protezione equivalente. Qualora permane la responsabilità degli Stati membri, la Corte europea deve poter intervenire. La Corte europea non si accontenta più di constatare che lo Stato membro non disponesse di alcun margine di discrezionalità nell'applicare il diritto dell'Unione, i rimedi giurisdizionali previsti dal diritto dell'Unione sono stati peinamente attivati a garanzia dei diritti fondamentali. La presunzione di protezione equivalente è dunque ora subordinata, a un condizione sostanziale – l'assenza di ogni margine di discrezionalità da parte delle autorità nazionali nell'attuazione del diritto dell'Unione- e a una condizione procedurale. I casi in cui sussiste un margine di discrezionalità in capo agli Stati membri nel dare attuazione agli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione. L'impostazione data dalla giurisprudenza della Corte di giustizia al problema di tutela dei diritti fondamentali nell'ordinamento dell'Unione non ha del tutto soddisfatto le Corti costituzionali italina e tedesco-federale e non le ha indotte a rinunciare alla pretesa di assicurare un autonomo controllo sul rispetto di tali diritti da parte delle istituzioni. LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA Il fatto di considerare i diritti fondamentali come rientranti nei principi generali del diritto comporta che alla Corte di giustizia è riservato un ruolo determinante. Ad essa spetta il compito non soltanto di individuare quali diritti siano da cosiderare fondamentali alla luce delle tradizioni costituzionali comuni e dai trattati internazionali, ma anche di delineare il contenuto e la portata dei diritti così individuati. La Corte non è tenuta ad applicare un testo scritto, attribuisce un elevato grado di flessibilità ai suoi interventi in materia dei diritti umani. Consente di adattare alla realtà norme che generali del diritto e vanno utilizzate per l'interpretazione delle norme dell'Unione, comprese quelle dei trattati. Inoltre il diritto internazione costituisce un parametro di legittimità degli atti delle istituzioni. Le norme di diritto internazionale generale possono essere invocate tanto dalle istituzioni e dagli Stati membri quanto dai soggetti degli ordinamenti interni, i quali possono avvalersene nelle azioni proproste dinanzi ai giudici degli Stati membri. Gli accordi internazionali con Stati terzi, sono di tre tipi: 1. accordi internazionali conclusi dagli Stati membri; 2. accordi internazionali conclusi dalla CE/Unione; 3. accordi internazionali conlusi dalla CE/Unione e dagli Stati membri- accordi misti. 1. Gli accordi internazionali conclusi da Stati membri con Stati terzi che non fanno parte dell'ordinameno dell'Unione, ma assumono rilevanza soltanto nella misura in cui un accordo del genere, determinato da condizioni, può essere invocato dallo Stato membro contraente come clausola di giustificazione per il mancato rispetto di obblighi derivanti dai trattati. Tale possibilità vale per accordi conclusi da uno Stato membro con uno Stato terzo prima della data in cui il TCE è entrato in vigore rispetto allo Stato membro. Ciò risulta dal principio di diritto internazionale generale secondo cui il trattato concluso con due Stati non può essere emendato, né tantomeno abrogato per effetto della successiva conclusione di altro trattato tra due Stati, di cui uno soltanto sia parte anche del primo trattato. Lo Stato che ha concluso tanto il primo quanto il secondo trattato resta tenuto a rispettarli entrambi- clausola di compatibilità. La clausola di compatibilità- consente allo Stato membro interessato di sottrarsi agli obblighi derivanti dei trattati soltanto in misura strettamente necessaria per permettergli di rispettare gli obblighi assunti nei confronti dello Stato terzo. Questa incontra un limite nel rispetto dei diritti fondamentali, art 351 TFUE. 2. Accordi conclusi dall'Unione con Stati terzi o con altre organizzazioni internazionali, fanno parte dell'ordinamento dell'Unione a partire dalla data della loro entrata in vigore. Art 216 TFUE: gli accordi conclusi dall'Unione vincolano le istituzioni dell'Unione e gli Stati membri. 3. Accordi misti a nome dell'Unione e dei duoi Stati membri, nella loro qualità di soggetti autonomi di diritto internazionale. Lo strumento dell'accordo misto si è rivelato utile di fronte ad ipotesi di accordi riguardanti anche materie che non rientravano affatto nella competenza concorrente dell'Unione ovvero materie sottoposte alla competenza dell'Unione e degli Stati membri e questi non intendevano affidare la conclusione alla sola Unione. Gli accordi misti hanno nell'ordinamento dell'Unione la stessa disciplina giuridica degli accordi conclusi senza la partecipazione degli Stati membri per quanto riguarda le disposizioni che rientrano nella competenza dell'Unione. In teoria invece non appartengono all'ordinamento dell'Unione quelle parti dell'accordo misto che hanno ad oggetto materie rientranti nelle competenze dei soli Stati membri. Valore giuridico degli accordi internazionali: per quanto riguarda i trattati non c'è dubbio che gli accordi internazionali sono ad essi subordinati e devono rispettarli. Gli accordi internazionali sono subordinati anche ai principi generali, in particolari quelli che tutelano i diritti fondamentali. Per quanto riguarda i rapporti tra gli accordi internazionali e gli atti delle istituzioni, prevalgono i primi. Le istituzioni non possono quindi adottare atti che non rispettino un accordo concluso dell'Unione. Gli accordi internazionali fungono da parametro di legittimità degli atti delle istituzioni. Eccezioni: alcuni accordi internazionali non possono essere utilizzati a questo fine. Come l'Accordo istitutivo dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), 1994. A causa della loro natura flessibile gli OMC non figurano in linea di principio tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie. La Corte ammette tuttavia due eccezioni alla eccezione, l'utilizzabilità degli accordi OMC come parametri della legittimità di atti comunitari viene ammessa: • se l'atto impugnato sia stato adottato proprio per dare esecuzione agli obblighi derivanti da tali accordi; • se l'atto impugnato richiama espressamente specifiche disposizioni degli accordi. Un' altra eccezione è la Concenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, 1982, di cui, oltre agli Stati membri, è parte anche la CE. I REGOLAMENTI Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. Portata generale ossia il regolamento ha natura normativa. Pone regole di comportamento rivolte, non a soggetti predeterminati in funzione della situazione individuale di ciascuno di loro, ma alla generalità dei soggetti. Obbligatorietà integrale: il regolamento deve essere rispettato in tutti i suoi elementi dagli Stati membri. Non possono lasciare inapplicate talune disposizioni del regolamento, limitarne il capo d'applicazione dal punto di vista temporale, territoriale, o personale, subordinarle a condizioni d'applicazione non previste ovvero introdurre facoltà di deroga non contemplate dal regolamento stesso. Diretta applicabilitò, in ciascun Stato membro: riguarda l'adattamento degli ordinamenti interni degli Stati membri o meglio i modi attraverso cui l'adattamento deve avvenire. TFUE ha inteso disciplinare uniformemente tale importante aspetto, prescrivendo che l'adattamento degli ordinamenti interni al regolamento avviene direttamente, cioè immediatamente e autonomaticamente, senza che sia necessario e nemmeno consentito agli Stati membri subordinare l'applicazione del regolamento ad uno specifico atto interno di adattamento o di attuazione. L'applicabilità diretta dei regolamenti implica la loro capacità di produrre effetti diretti all'interno degli ordinamenti degli Stati membri – efficacia diretta. Il regolamento alla stessa stregua di qualsiasi fonte normativa di diritto interno, è atto ad attribuire ai singoli dei diritti che i giudici nazionali devono tutelare. LE DIRETTIVE E LE DECISIONI QUADRO DELL'EX III PILASTRO La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. La direttiva essendo un atto vincolante ha portata individuale. Essa ha dei destinatari definiti in ciascuna direttiva, che possono consistere in uno o più Stati membri. Spesso la direttiva è rivolta a tutti gli Stati membri: in questo caso si parla di direttive generali. Le direttive mirano ad ottenere il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in determinate materie. Le direttive rappresentano uno strumento di normazione in due fasi: la prima accentrata a livello dell'Unione, dove vengono fissati gli obbiettivi e i principi generali, e la seconda decentrata a livello nazionale, dove ciascuno Stato membro attua, attraverso strumenti normativi completi e dettagliati, gli obbiettivi e i principi generali fissati dalla direttiva. Come il regolamento, la direttiva è obbligatoria in tutti i suoi elementi- obbligatorietà integrale. Gli Stati membri non possono infatti applicarla selettivamente o parzialmente. La direttiva si limita ad imporre agli Stati membri un risultato da raggiungere, lasciandoli liberi di scegliere le misure di adattamento necessarie per la realizzazione del risultato prescritto. La direttiva comporta un obbligo di risultato, il regolamento impone un obbligo di mezzi. Attuare la direttiva scegliendo i mezzi e le forme appropriate. Quanto alla diretta applicabilità, occore distinguere tra i due profili individuati a proposito dei regolamenti, la direttiva non gode della diretta applicabilità. Richiede che la direttiva riceva attuazione da parte degli Stati membri attraverso apposite misure. Gli Stati membri sono tenuti ad adattare, cioè a modificare l'ordinamento interno in modo da assicurare che il risultato voluto dalla direttiva sia raggiunto. In mancanza, la direttiva non è in grado, da sola, di ottenere il risultato voluto. La direttiva richiede agli Stati membri un'attività di adattamento degli ordinamenti interni. La capacità della direttiva di produrre effetti diretti negli ordinamenti interni- efficacia diretta. La direttiva, proprio per sua natuare, non gode di efficacia diretta nella stessa misura in cui ne godono i regolamenti. L'obbligo di attuazione di una direttiva è assoluto per ciascuno Stato membro al quale la direttiva è rivolta. L'unica ipotesi in cui è possibile omettersi si ha quando lo Stato membro è in grado di dimostrare che il suo regolamento interno è già conforme alla direttiva. L'obbligo va adempiuto entro il termine di attuazione fissato dalla direttiva stessa; pochi mesi- uno o più anni. Il termine è imperativo e perentorio. In pendenza del termine, lo Stato membro non può adottare provvedimenti in contrasto con la direttiva o comunque tali da compromettere gravemente la realizzazione del risultato che la direttiva prescrive – obbligo di stand-still o di non aggravamento. Il principio di leale collaborazione con l'Unione impone agli Stati membri di comunicare le misure di attuazione che essi hanno adottato. Gli Stati membri sono competenti dlla scelta delle forme e dei mezzi di attuazione. La scelta non è peraltro del tutto libera. È necessario che gli strumenti scelti dal legislatore nazionale siano idonei a produrre la modificazione dagli ordinamenti interni voluta dalla direttiva. Gerarchia delle fonti di diritto interno, strumenti di attuazione che garantiscano trasparenza e certezza del diritto. Nell'ambito di quello che, fino al Trattato di Lisbona, era noto come il III pilastro (Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale), le istituzioni potevano adottare una serie di atti che rispondevano ad una tipologia diversa rispetto a quella prevista per il pilastro comunitario; le posizioni comuni, le decisioni- quadro, le decisioni e le convenzioni- decisioni quadro. Tipo di atto che si ispira chiaramente al modello delle direttive. Con queste condivide lo scopo del riavvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Come le direttive poi le decisioni quadro sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma mezzi. Le decioni quadro non hanno efficacia diretta. Dopo il Trattato di Lisbona, gli effetti giuridici delle decisioni quadro sono mantenuti finchè tali atti non saranno stati abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati. LE DECISIONI L'ultima categoria di atti vincolanti sono le decisioni. La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se la decisone designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi. Due tipi di atti: • decisioni individuali: destinatari individuati nell'atto, che sono i solo soggetti alla sua portata obbligatoria; • decisioni generali: prive di destinatari individuati a portata obbligatoria generale. DECISIONE INDIVIDUALE: come il regolamento è obbligatoria in tutti i suoi elementi e deve quindi essere rispettata nella sua interezza. Come la direttiva non ha portata generale, vincolando i soli destinatari ad essa designati. A differenza della direttiva però la deciosione può essere rivolta non solo a Stati membri, ma anche ad altri soggetti, compresi i singoli. Le decisioni individuali rivolte agli Stati membri sono nella sostanza simili alle direttive, qualora impongano un obbligo di facere. L'obbligo di fare imposto dalle decisioni è spesso molto più specifico dell'obbligo di attuare una direttiva e lascia quindi allo Stato membro un margine di discrezionalità molto più ristretto. Le decisioni indiviauali rivolte ai singoli hanno natura spiccatamente amministrativa. Decisioni che la Commissione adotta nell'ambito della disciplina della concorrenza, che possono prevedere anche la comminazione di sanzioni pecuniarie a carico delle imprese. In questo ultimo caso, le decisioni costituiscono titolo esecutivo. Le decisioni generali hanno natura varia. Le decisioni che il Consiglio europeo adotta nell'ambito delle procedure di revisione dei trattati. Decisioni del Consiglio europeo, che danno attuazione a specifiche disposizioni dei trattati. Alcune decisioni generali sono prese dal Consiglio: cui constata di giustizia. Nell'indagine volta a stabilire se una norma dell'Unione abbia efficacia diretta, la Corte mira ad individuare nella norma in questione alcune caratteristiche sostanziali che la rendano suscettibile di essere applicata dal giudice, senza che questo debba sostituirsi al legislatore ed assumere compiti che, in base al principio della separazione dei poteri, non gli spetterebbero. Le due caratteristiche sostanziali: sufficiente precisione e incodizionatezza. Sufficiente previsione della norma: considerata alla luce del suo scopo e del contesto in cui si inserisce, la norma deve contenere un precetto sufficientemente definito perchè i soggetti destinatari possano comprenderne la portata e il giudice possa applicarlo nei giudizi di propria competenza. Sono richiesti questi tre aspetti: 1. il titolare dell'obbligo; 2. il titolare del diritto; 3. il contenuto del diritto-obbligo Può accadere che una stessa norma dell'Unione sia considerata sufficientemente precisa per determinati fini e non per altri. Incodizionatezza: assenza di clausole che subordinino l'applicazione della norma ad ulteriori interventi normativi da parte degli Stati membri o delle istituzioni dell'Unione, ovvero consentano agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità nell'applicazione. L'esistenza di norme che consentono agli Stati membri di derogare all'applicazione di un'altra norma per determinati motivi non esclude di per sé l'efficacia diretta di quest'ultima. I preupposti della precisione e dell'incodizionatezza assumono importanza decisiva quando la norma di diritti dell'Unione abbia l'effetto di determinare o di aggravare la responsabilità penale dei singoli. Ai fine della verifica l'efficacia diretta, la destinatarietà formale della norma non ha alcun rilievo. I presopposti dell'efficacia diretta sono gli stessi qualunque sia il tipo di norma dell'Unione rispetto alla quale il problema si pone. Le disposizioni dei trattati alcune si riferiscono espressamente ai singoli. Queste norme sono senz'altro direttamente efficaci, nel senso che sono direttamente opponibili alle imprese interessate. Norme dei trattati formalmente rivolte agli Stati membri possono effetti diretti qualora siano dotate delle caratteristiche della sufficiente precisione e della incondizionatezza. Le norme dei trattati producono effetti diretti tanto nei rapporti verticali, quanto nei rapporti orizzontali. È possibile invocarne il disposto non soltanto nei confronti di un'autorità pubblica, ma anche nei confronti di un privato- efficacia diretta verticale e efficacia orizzontale. Il problema dell'efficacia diretta si è posto anche con riguardo ai principi generali e alle norme della Carta dei diritti fondamentali. Quanto alla Carte dei diritti fondamentali, le sue norme, in quanto dirette a tutelare i diritti inviduali delle persone, godono in generale di diretta efficacia, nel senso che possono essere invocate dagli interessati in rapporti verticali, cioè a difesa di comportamento lesivi assunti da poteri pubblici ma anche nell'ambito di controversie tra privati. MA dall'art 52 par.5 sembrerebbe doversi ricavare che le disposizioni della Carta contenenti meri principi non sarebbero in grado di produrre effetti diretti. Il problema dell'efficacia diretta si pone anche riguardo agli accordi internazionali conclusi dall'Unione con Stati terzi. È possibile che soggetti privati siano interessati a far valere la disciplina contenuta in tali accordi, per contestare la legittimità di comportamenti o di provvedimenti degli Stati membri o delle istituzioni. La verifica svolta dalla Corte per decidere circa l'efficacia diretta della disposizione contenute in accordi internazionali si caratterizza per una particolare attenzione rivolta al contesto. L'analisi si svolge in due tempi: a) dimostrare che la natura e la struttura dell'accordo permettono di riconoscere effetti diretti alle sue disposizioni in generale. b) provare che la specifica disposizione invocata presenti le caratteristiche della sufficiente precisione e della incondizionatezza. Riguardo ai regolamenti, il problema dell'efficacie diretta ha, scarsa consistenza. Infatti la caratteristica della diretta applicabilità implica che la disposizioni dei regolamenti siano anche capaci di produrre effetti diretti. Il principio subisce una certa attuazione nel caso di regolamenti che richiedono (implicitamente o esplicitamente) l'emanazione da parte degli Stati membri di provvedimenti di integrazione o di esecuzione. In mancanza dei provvedimenti nazionali, non si può fare a meno di verificare che la disposizione regolamentare in questione presenti i presupposti della sufficiente precisione e della incodizionatezza. Anche i regolamenti producono effetti diretti tanto nei rapporti verticali quanto in quelli orizzontali. I CASI PARTICOLARI Anche le direttive, per essere direttamente efficaci, devono presentare le caratteristiche che sono state descritte a proposito delle altre fonti: sufficiente precisione ed incodizionatezza. In tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incodizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere nei confronti dello Stato, tanto se questo non ha trasposto tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, quanto se esso l'ha trasposta in modo inadeguato. Le differenze riguardano il momento a partire del quale l'efficacia diretta si produce e i soggeti nei cui confronti può essere fatta valere. DIFFERENZE: 1. portata temporale- per la sua natura, la direttiva non è concepita come fonte di effetti diretti. La disciplina dei rapporti giuridici interni rientranti nel suo oggetto non viene posta dalla direttiva stessa, ma dalle norme di attuazione emanate da ciascuno Stato membro. Di effetti diretti di una direttiva non può parlarsi se non dopo la scadenza del termine per l'attuazione concesso agli Stati membri. Prima di questo momento la direttiva non può, né produrre altri effetti giuridici che quello di obbligare gli Stati membri ad attuarla. L'unico caso di efficacia diretta anticipata potrebbe darsi nell'ipotesi di attuazione completa. effettuata prima della scadenza del termine. Lo Stato membro in questione rinuncia al termine concesso in suo favore e pertanto, qualora le misure d'attuazione si rivelino inadeguate, potrebbe soggiacere anticipatamente agli eventuali effetti diretti della direttiva. 2. La secconda differenza riguarda la portata soggettiva dell'efficacia diretta di una direttiva. La giurisprudenza che ha riconosciuto anche alle direttive non attuate la possibilità di produrre effetti diretti, ha seguito un percorso argomentativo alquanto vario, ma coerenti nel sottolineare il nesso tra efficacia diretta e violazione dell'obbligo d'attuazione che grava sugli Stati membri. Lo Stato membro che non ha recepito la direttiva, deve subire la conseguenze del proprio inadempimento e non può impedire ai singoli di avvalersi dei diritti ad essi riconosciuti dalla direttiva inattuata. L'efficavia interna della direttiva inattuata è conseguenza dell'obbligatorietà della stessa nei confronti degli Stati membri, si comprende perchè la Corte abbia limitato tale efficacia ai soli rapporti verticali e, più specificatamente, ai rapporti in cui la direttiva è invocata contro un'autorità pubblica. Viceversa, la direttiva inattuata, banchè contenente disposizioni sufficientemente precise e incondizionate, non può produrre effetti diretti nei rapporti orizzontali o comunque in modo da addossare obblighi ai soggetti privati, i quali non possono essere in alcun modo considerati responsabili- certezza del diritto. La direttiva ha efficacia diretta verticale, mentre è priva di efficacia: a) quanto la direttiva è invocata da un soggetto pubblico contro un soggetto privato (c.d rapporti verticali invertiti); b) quando è invocata da un soggetto privato contro un altro soggetto privato (rapporti orizzontali). Le direttive inattuate non hanno efficacia diretta orizzontale. Di fronte ad una direttiva inattuata, risulta pertanto determinante stabilire se il soggetto nei cui confronti si intende invocare la direttiva è un soggetto pubblico o un soggetto privato. La Corte applica, rovesciandola, quella visione unitaria di Stato che è caratteristica dei rapporti tra Stati membri e tra Stati membri e l'Unione. È invece pacifico che una direttiva inattuata possa essere invocata nei confronti di autorità fiscali, delle autorità di polizia e della magistratura, delle autorità competenti in materia di immigrazione. La giurisprudenza della Corte, postulando che una stessa norma di direttiva possa o non possa produrre effetti diretti a seconda del contesto in cui viene convocata (rapporto verticale, rapporto verticale invertito, rapporto orizzonatale), nega che l'efficacia diretta sia una qualità obiettiva della norma stessa ma le attribuisce un carattere variabile legato, per di più, a fattori casuali. Un atteggiamento che di fatto potrebbe ridurre la rilevanza della distinzione tra efficacia diretta verticale e orizzonatale consiste nel non sollevare d'ufficio la questione anche qualora la situazione che ha indotto il giudice nazionale ad adire la Corte in via pregiudiziale appare riguardare unicamente rapporti orizzontali o verticali invertiti. La Corte ritiene di doversi comunque pronunciare sull'interpretazione della direttiva e sulla sua idoneità in abstracto a produrre effetti diretti, senza porsi il problema del se tali effetti possano essere fatti valere nel contesto del giudizio a quo. Ha ammesso la produzione di effetti diretti da parte di norme di una direttiva inattuate in varie situazioni che sembrano avere ad oggetto rapporti verticali inversi o addirittura rapporti orizzontali. Eccezioni in cui la direttiva ha efficacia diretta anche nei rapporti verticali inversi e orizzontali: 1. rapporti triangolari: un privato invoca l'applicazione di una direttiva inattuata nei confronti di un organo pubblico, a titolo principale, ma anche nei confronti di altri soggetti privati, la cui posizione verrebbe compromessa dall'applicazione della direttiva. 2. Tipo particola di direttive: quelle che sottopongono le misure degli Stati membri ad una procedura di controllo. Adempimenti prescritti a carico dei soli Stati membri. La direttiva inattuata non influisce sulla disciplina di rapporti interprivati, se non indirettamente, nel senso di precludere l'applicazione di una normativa o di un provvedimento interno emanato in violazione delle procedure di controllo. 3. Norme contenute in direttive che siano utilizzate come parametro di valutazione di condotte individuali, anche a scapito di privati, per effetto di un rinvio da parte di un regolamento dell'Unione. 4. Direttive che attuano un principio generale del diritto o un diritto fondamentale. 5. Successione di norme interne- di cui la pià recente, a differenza della più antica si incompatibile con una sirettiva. La direttiva non comporterebbe di per sé effetti negativi a carico di privati, dal momento che essa si limiterebbe ad impedire l'applicazione della disposizione interna più recente; sarebbe invece lo stesso ordinamento interno, attraverso la norma più antica tornata in vigore, che produrrebbe effetti del genere. Raramente la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sull'efficacia diretta delle decisioni. La Corte ha riconosciuto la possibilità che tale decisione possa essere invocata non soltanto dalle istituzioni dell'Unione ma anche da qualsiasi soggetto interessato al suo adempimento. Decisioni in materia di aiuti statali alle imprese- molto spesso, tali decisioni prescrivono allo Stato membro destinatario l'obbligo di prendere dalle imprese beneficiarie la restituzione degli aiuti già erogati. Lo Stato membro interessato può opporre alle imprese l'obbligo di recupero derivante dalla decisione, creando apparentemente una situazione di effetto verticale inverso, visto che le imprese ricavano uno svantaggio dalla decisione rivolta allo Stato. Tuttavia l'effetto sfavorevole per le imprese non deriva dalla decisione in quanto tale, ma dai provvedimenti di attuazione che lo Stato membro è tenuto ad asssumere. Anche dopo il Trattato di Lisbona gli effetti giuridici degli atti adottati dalle istituzione ai sensi del TUE, cioè dei pilastri non comunitari sono mantenuti finchè tali atti non saranno stati abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati. La mancanza di effetti diretti a proposito delle decisioni quadro e delle decisioni. L'OBBLIGO DI INTERPRETAZIONE CONFORME Esistono numerosi motivi che possono escludere l'efficacia diretta di una norma dell'Unione. La norma potrebbe mancare delle caratteristiche della sufficiente precisione e della incondizionatezza. Qualora la norma sia contenuta in una direttiva inattuata, essa inoltre potrebbe non essere invocabile perchè il soggetto che ne trarrebbe svantaggio è un privato. Se la norma dell'Unione possa assumere un valore normativo indiretto nell'ordinamento degli Stati membri- efficacia diretta. Il ricorso alle A cedere di fronte al diritto dell'Unione sono le norme interne di qualunque rango. In caso contrario, l'efficacia della norma dell'Unione varierebbe in ragione del diverso rango delle norme interne che regolano. Il principio del primato può incontrare un limite nel caso di contrasto tra norme dell'Unione e norme nazionali, che siano necessarie per assicurare la tutela dei diritti fondamentali garantiti anche dall'ordinamento dell'Unione. L'ordinamento dell'Unione non soltanto impone la prevalenza della norma di questo ordinamento sulla norma interna incompatibile, ma determina altresì le modalità attraverso cui tale prevalenza deve trovare applicazione e in particolare l'organo competente a farla valere. Se, si ammettesse, che ciascun ordinamento nazionale è libero di determinare in quali modi e attraverso quali procedimenti applicare il principio del primato, il carattere uniforme della norma dell'Unione verrebbe meno. Il giudice nazionale incaricato di applicare, le disposizioni di diritto comunitario, ha l'obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro porocedimento costituzionale. L'esigenza di assicurare la tutela giurisdizionale immediata delle norme dell'Unione produttive di effetti diretti implica altresì il potere per il giudice nazionale di emanare provvedimenti provvisori, che comportino la sospensione dell'applicazione di una norma interna, in attesa che sia definitivamente accertata, l'incompatibilità della norma interna con il diritto dell'Unione. La circostanza che una norma interna sia incompatibile con il diritto dell'Unione e vada pertanto disapplicata dal giudice nazionale in forza del principio del primato, non esime lo Stato membro interessato dal provvedere alla abrogazione della norma incompatibile o alla sua modifica. In mancanza, la permanenza della norma nell'ordinamento dello Stato membro mantiene gli interessati in uno stato di incertezza circa la possibilità loro garantita di fare appello al diritto comunitario. La Corte costituzionale considera che lo Stato italiano è tenuto ad apportare le necessarie modificazioni o abrogazioni del proprio diritto interno al fine di depurarlo da eventuali incompatibilità o disarmonie con le prevalenti norme comunitarie. LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA La piena accettazione del principio del primato da parte della Corte costituzionale italiana è risultata particolamente difficoltosa. L'unico procedimento attraverso cui una legge in vigore può essere resa inapplicabile è la dichiarazione d'incostituzionalità ai sensi dell'art. 134 Cost. Secondo la Corte di giustizia il giudice nazionale deve sempre applicare le norme dei trattati, disapplicando qualsiasi norma interna contraria; secondo la Corte costituzionale invece il giudice italiano può applicare le norme dei trattati soltanto se non sia intervenuta una legge interna successiva incompatibile. Un primo avvicinamento della posizione della Corte costituzionale rispetto a quello delle Corte di giustizia avviene con la sentenza 20 Ottobre 75. La Corte costituzionale, valorizzando maggiormente l'art. 11 Cost ne deduce che tale norme non soltanto consente all'Italia di accertare limitazioni di sovranità con legge ordinaria, ma esige che il legislatore rispetti le limitazioni di sovranità così accettate e non ostacoli, attraverso l'emanazione di leggi successive incompatibili o anche meramente riproduttive, la diretta applicabilità dei regolamenti. La norma di legge è incostituzionale, tale vizio non può portare alla disapplicazione della norma di legge direttamente da parte del giudice ordinario, rendendosi invece sempre necessario il ricorso alla Corte costituzionale ai sensi dell'art 134 Cost. Il giudice italiano ha il potere di disapplicare una norma di legge interna contraria al diritto dell'Unione qualore la legge proceda nel tempo la norma dell'Unione europea ma non ha il potere di fare altrettanto qualora il rapporto temporale sia inverso: in questo caso il giudice non potrà fare altro che sollevare la questione di leggittimità costituzionale e attendere la decisione della Corte costituzionale. Sentenza simmenthal, la Corte costituzionale a modificare nuovamente il proprio orientamento. Novità della Corte costituzionale: rifiuto di assimilare le norme dell'Unione a norme nazionali di legge. L'impossibilità di applicare ai conflitti tra le une e le altre i metodi di risoluzione previsti per l'ipotesi di conflitto tra norme entrambe appartenti all'ordinamento italiano, compresa la dichiarazione di incostituzionalità ai sensi dell'art 134 Cost. Trattandosi di norme di ordinamenti diversi, gli eventuali conflitti vanno risolti in base ad un diverso criterio: il criterio della competenza. Occorre stabilire se la materia rientri tra quelle in relazione alle quali l'Italia ha accettato, in conformità con l'art. 11 Cost., di limitare la propria sovranità in favore dell'Unione. Compito svolto dal giudice ordinario. Qualora risulti che la materia rientra effettivamente nella competenza che i trattati attribuiscono alle istituzioni dell'Unione, il giudice italiano, senza dare importanza all'aspetto cronologico, accerta che la normativa scaturente da tale fonte regola il caso sottoposto al suo esame e ne applica di conseguenza il disposto, con esclusivo riferimento al sistema dell'ente sopranazionale. Vale soltanto se e quando il potere trasferito dalla Comunità si estrinseca in una normazione compiuta e immediatamente applicabile dal giudice interno, come nel caso dei regolamenti. La Corte costituzionale esclude il potere del giudice di applicare immediatamente la norma dell'Unione e di disapplicare l'eventuale legge interna confliggente, esigendo invece che sia sollevata questione di costituzionalità. Sono casi riservati alla competenza residua della Corte costituzionale. Norma interna, non va disapplicata ma va sollevata questione di costituzionalità: a) Norma dell'Unione contraria ai principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e ai diritti dell'uomo. Il giudice nazionale che fosse chiamato ad applicare una norma dell'Unione sospettata di violare i predetti principi, sarebbe pertanto tenuto a sollevare questione di costituzionalità relativamente alla legge d'esecuzione dei trattati- teoria dei controlimiti. La competenza rivendicata dalla Corte costituzionale confligge inevitabilmente con la competenza esclusiva della Corte di giustizia a giudicare della violazione dei diritti dell'uomo da parte di atti delle istituzioni. b) Norme di legge dirette ad impedire il rispetto dei principi fondamentali dei trattati. La competenza della Corte costituzionale a conoscere i conflitti tra norma dell'Unione e norme interne sussiste anche in tutte quelle ipotesi che si pongano al di fuori del giudizio di costituzionalità in via incidentale. Qualora infatti un conflitto del genere venga in rilievo nell'ambito di una delle sue competenze dirette, la Corte costituzionale è chiamata a risolverlo, rispettando il principio del primato. Con la riforma del Titolo V della Costituzione il principio del primato del diritto dell'Unione su quello interno ha trovato un'esplicita consacrazione del nuovo testo dell'art. 117. nel caso di contrasto rispetto ad una norma dell'Unione priva di efficacia diretta, il giudice, non potendo procedere alla disapplicazione della legge interna, deve sollevare davanti alla Corte costituzionale eccezione di costituzionalità per violazione degli arrtt. 11 e 117. IL SISTEMA DI TUTELA GIURISDIZIONALE L'Ordinamento dell'Unione comprende un sistema di tutela giurisdizionale che assicura la protezione delle posizioni giuridiche sorte per effetto del diritto dell'Unione. Tale sistema è ripartito in due livelli: a) Corte di giustizia dell'Unione europea. b) Organi giuridizionali degli Stati membri. Al primo livello spettano in via esclusiva alcune azioni tassativamente enumerate dai trattati, che i soggetti interessati possono proporre direttamente davanti ad una delle articolazioni della Corte di giustizia- competenze dirette: • Ricorsi per infrazione; nei confronti di uno Stato membro accusato di aver violato gli obblighi derivanti dai trattati. • Ricorsi d'annullamento; attraverso i quali viene contestata la legittimità di atti delle istituzioni. • Ricorsi in carenza; si vuole far constatare l'illegittimità delle omissioni addebitabili alle istituzioni. • Ricorsi per risarcimento; responsabilità extracontrattuale delle istituzioni. Eccezioni d'invalidità: l'invalidità di un atto di portata generale può essere fatta valere, non soltanto in via diretta, ma anche in via d'eccezione, nell'ambito di un'altra controversia di competenza della Corte di giustizia in cui venga in rilievo l'applicazione dell'atto stesso. Si aggiungono alcune competenze consultive. Al di fuori di rali azioni, vige invece la competenza dei giudici nazionali. I soggetti interessati all'applicazione di una norma dell'Unione possono infatti rivolgersi ai giudici nazionali e chiedere loro di assicurare la tutela giuridizionale delle posizioni giuridiche loro spettanti. Rinvio pregiudiziale: il giudice nazionale ha la facoltà o l'obbligo di deferire alla Corte di giustizia le questioni riguardanti il diritto dell'Unione. Collaborazione tra livello dell'Unione e livello nazionale di tutela giurisdizionale, che consente di preservare il carattere uniforme delle norme dell'Unione anche nel momento applicativo. La Corte conosce solo delle questioni di diritto dell'Unione deferite dal giudice nazionale, al quale spetta il potere di decidere l'intera controversia dopo che la Corte si sia pronunciata. Secondo la Corte di giustizia, tale sistema di tutela giurisdizionale è completo. L'ordinamento dell'Unione, infatti, rispetta il principio generale del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Qualora dovessero darsi delle lacune, nel senso che manchi un rimedio giurisdizionale utilizzabile per ottenere la protezione di determinante posizioni soggettive, queste dovrebbero essere colmate attraverso un'interpretazione evolutiva delle norme applicabili. Perchè si possa parlare di lacune è tuttavia necessario prendere in considerazione i rimedi esistenti tanto a livello dell'Unione quanto a livello nazionale. Prima della riforma del Trattato di Lisbona, nè il secondo, nè il terzo pilastro disponevano di un sistema di tutela giurisdizionale analogo a quello stabilito per il pilastro comunitario. La disciplina relativo alla PESC, non contemplava, alcun tipo di rimedio giurisdizionale. Gli atti adottati in tale ambito, pertanto erano sottratti a qualunque tipo di controllo di legittimità da parte della Corte di giustizia. Per quanto riguarda la Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, attribuiva alla Corte di giustizia talune competenze dirette e in via pregiudiziale molto ridotte rispetto alle analoghe competenze. La sopressione della distinzione tra pilastri dovuta al Trattato di Lisbona ha in parte comportato il venir meno di tale situazione. Riguardo alla PESC, il TFUE continuano invece ad escludere, la competenza della Corte in ordine alle disposizioni dei trattati relative alla PESC e agli atti adottati in virtù di tali disposizioni. Eccezione costituita dal ricorso d'annullamento speciale, avente ad oggetto le decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adottate dal Consiglio. Tenuto conto delle differenze tra le competenze attribuite alla Corte di giustizia in merito al controllo di legittimità degli atti delle istituzioni adottati in base ai vari ex pilastri, risulta ancora oggi determinante anche sotto questo profilo che la scelta della base giuridica con riferimento ad uno o ad un altro settore avvenga in modo corretto. La Corte è competente a verificare la leggitimità di tale scelta. IL RICORSO PER INFRAZIONE Il ricorso per infrazione è disciplinato dagli artt. 258 e 259. L'oggetto del ricorso: violazione da parte di uno Stato membro di uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati. Per Stato membro va inteso, lo Stato- organizzazione, comprensivo di tutte le articolazioni in cui è organizzato l'esercizio del potere pubblico sul territorio statale. Comportamenti di organi facenti capo al Governo nazionale; comportamenti imputabili a poteri indipendenti rispetto a quello esecutivo o ad enti territoriali dotati di autonomia e di competenze esclusive. L'oggetto del ricorso può riguardare la violazione di qualsiasi obbligo derivante direttamente dai trattati o dagli atti adottati in base ad essi. Particolarmente frequenti sono i ricorsi per mancata o non corretta attuazione delle direttive entro il termine. Eccezioni per cui il ricorso di infrazione non è esperibile: a) rispetto del divieto di disavanzi eccessivi. 1. l'autore; 2. il tipo; 3. gli effetti. Per quanto riguarda l'autore, possono essere impugnati gli atti di tutte le istituzioni eccetto la Corte di giustizia e la Corte dei conti. Tutti questi soggetti sono pertanto dotati di legittimazion3 passiva nell'ambito del ricorso di annullamento. Quanto al tipo gli atti impugnabili. Gli atti legislativi sono sempre impugnabili. Per gli altri, l'impugnabilità dipende dal terzo criterio, quello degli effetti. Mira a limitare l'impugnazione agli atti non legislativi che sono destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Per il Consiglio, la Commissione e la BCE questo scopo è raggiunto implicitamente, escludendo l'impugnabilità di raccomandazione o pareri e ammettendo, a contrario, l'impugnabilità di qualsiasi altro atto di tali istituzioni appartenente alle altre categorie (regolamenti, direttive e decisioni). Per le altre istituzioni (Parlamento europeo e Consiglio europeo) e per gli organi e organismi l'Unione invece, considerata la natura per lo più atipica degli atti che adottano deve trattarsi di atti destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. I soggetti legittimati a proporre il ricorso d'annullamento- legittimazione attiva; tre categorie di ricorrenti: • Stati membri; • Parlamento europeo; • Consiglio; • Commissione. Si parla di ricorrenti privilegiati dal momento che il loro diritto di ricorso ha portata generale. Essi possono proporre ricorso contro qualunque atto che rienti nella definizione di atto impugnabile e non devono dimostrare alcuno specifico interesse a ricorrere, essendo considerati portatori di un interesse generale alla legittimità degli atti delle istituzioni. Per Stati membri si intendono le solo autorità di Governo degli Stati membri delle Comunità europee e non anche gli esecutivi di regioni e di comunità autonome. Si parla di ricorrenti intermedi- Corte dei conti; BCE; Comitato delle regioni. La legittimazione ricorrere di tali soggetti non è generale, ma specificatamente finalizzata a salvaguardare le proprie prerogative. Possono ricorrere solo sostenendo che l'atto impugnato invade la sfera riservata alle loro competenze o ne pregiudica l'esercizio. Si parla di ricorrenti non privilegiati- persone fisiche e giuridiche. Ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che lo riguardano direttamente ed individualmente e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d'esecuzione. La norma disciplina tre ipotesi: 1) Persona fisica o giuridica impugna un atto adottato nei suoi confronti, cioè un atto di cui dimostrare di avere interesse a ricorre. 2) Persona fisica o giuridica impugna un atto di cui formalmente non è destinatario. Il ricorrente deve dimostrare che l'atto lo riguarda direttamente e individualmente. 3) La persona fisica o giuridica anche in questo caso non è destinatario formale dell'atto impugnato. L'atto però deve a) essere un atto regolamentare; b) non comportare alcuna misura d'esecuzione. Il ricorrente deve dimostrare che l'atto lo riguarda direttamente. Casi rivolti alla seconda ipotesi. a) Perchè una persona fisica o giuridica possa impugnare una decisione rivolta ad un'altra persona fisica o giuridica, l'onere probatorio da superare non è eccessivo. Basta dimostrare che il ricorrente è portatore di un interesse qualificato all'annullamento dell'atto. In casi del genere, la ricevibilità del ricorso viene ammessa senza procedere ad un esame differenziato dell'interesse diretto rispetto a quello individuale. b) L'atto impugnato sia costituito da un regolamento o anche da un decisione ricolta a uno o più Stati membri. Le difficoltà non riguardano tanto l'interesse diretto, inteso come dimostrazione che il ricorrente è pregiudicato direttamente dall'atto impugnato e non da successivi provvedimenti di esecuzione o di attuazione adottati dalle istituzioni o dagli Stati membri. Il vero scoglio è costituito dall'interesse individuale. Chi non sia destinatario di una decisione può sostenere che questa lo riguarda individualmente soltanto qualore il provvedimento lo tocchi a causa di determinate qualità personali, ovvero di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla gneralità, e quindi lo identifichi alla stessa stregua dei destinatari. FORMULA DI PLAUMANN- ciò che rileva non è che l'atto impugnato colpisca il ricorrente, ma a quale titolo il ricorrente sia colpito. Occorre dimostrare che l'atto ha preso in considerazione proprio la posizione individuale del ricorrente e pertanto: a) produce effetti giuridici soltanto sulla sua posizione individuale ovvero b) produce sul ricorrente effetti giuridici diversi rispetto a quelli che si producono a carico di tutti gli altri soggetti. C'è un interesse individuale quando: - Smascheramento dell'atto: il ricorrente deve fornire la dimostrazione che l'atto non è quel che appare, ma è una decisione individuale nei suoi confronti. - In altri casi, senza bisogno di contestare la natura normativa dell'atto impugnato, è sufficiente dimostrare che l'atto contiene disposizioni che riguardano in maniera individuale determinati operatori economici. - La presenza di un interesse individuale è inoltre dimostrata dalla circostanza che l'atto impugnato contenfa un espresso riferimento a determinati soggetti. Quanto alle decisioni rivolte ad uno o più Stati, un caso tipico è aiuti di Stato alle imprese. Decisioni con le quali la Commissione ingiunge allo Stato membro di recuperare, nei confronti di una o più imprese espressamente individuate (aiuti individuali), l'importo erogato o concesso a titolo di aiuto statale. Il nominativo alle imprese compare direttamente nelle decisioni ed è quindi palese che quest'ultime vantino un interesse individuale a impugnare la decisone. Meno agevole è invece l'individuazione dell'interesse individuale qualora la decisione impugnata riguardi un refime generale di aiuti, nel caso cioè in cui lo Stato abbia erogato aiuti ad un numero elevato di imprese, a volte neppure individuabili ex ante. Questo tipo di decisioni, pur essendo rivolte ad uno Stato membro, rivestono portata generale, con la conseguenza che la prova dell'interesse individuale da parte delle imprese coinvolte diventa molto difficile. Impresa che ha ricevuto un'aiuto rientrante in un regime generale di aiuti è legittimata a impugnare la decisione qualora provi di essere una beneficiaria effettiva dell'aiuto. - L'interesse individuale può ancora derivare dalle caratteristiche che del procedimento che conduce all'atto impugnato. Decisioni in materia di aiuti statali alle imprese. Le notevoli difficoltà che le persone fisiche o giuridiche incontrano per dimostrare l'esisitenza delle condizioni previste dall'allora vigente art 230 comma 4, TCE aveva spinto in molti a chiedere un'attenuazione del rigore mostrato finora dalla giurisprudenza. In particolare era stato evidenziato il rischio che si potessero produrre lacune nel sistema di tutela giurisdizionale in situazioni in cui i soggetti pregiudicati non dispongano di alcun rimedio giurisdizionale effettivo in alternativa al ricorso diretto ai sensi dell'art 230. Ciò avrebbe comportato una violazione del diritto fondamentale ad un rimedio giurisdizionale effettivo. La nuova fase finale del quarto comma stabilisce condizioni di ricevibilità dei ricorsi individuali meno severe - basta dimostrare soltanto che l'atto riguarda il ricorrente direttamente. Tali condizioni però valgono soltanto se oggetto d'impugnazione sono: a) atti regolamentari b) che non comportano alcuna misura di esecuzione. La nozione di atto regolamentare include qualsiasi atto di portata generale ad eccezione degli atti legislativi. Ad un'interpretazione più estensiva della nozione di atti regolamentari, la giurisprudenza è pervenuta nel senso di includervi anche atti diversi dai regolamenti, quali ad esempio le decisioni, purchè di portata generale e purchè non adottate secondo una procedura legislativa ordinaria o speciale. La nozione di atti regolamentari è stata estesa altresì ad atti non adottati da un'istituzione benì da altri organi. Un atto comporta misure d'esecuzione anche qualora lo Stato membro non abbia alcuna discrezionalità nell'adottarle. L'art. 263- vizi di legittimità che possono essere fatti valere nell'ambito di un ricorso d'annullamento: • incompetenza; • violazione delle forme sostanziali; • violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione; • sviamento di potere. INCOMPETENZA: si ha incompetenza interna nel caso in cui l'istituzione che emette l'atto non ha il potere di farlo, perchè tale spetta ad altra istituzione. Si ha incompetenza esterna quando nessuna istituzione ha il potere di emanare l'atto in questione, che non rientra affatto nella competenza dell'Unione ma in quella degli Stati membri. VIOLAZIONE DELLE FORME SOSTANZIALI: quando non sono rispettati quei requisiti formali di tale importanza da influire sul contenuto dell'atto. Procedimento da seguire per l'emanazione dell'atto. Un atto adottato senza osservare tali formalità è viziato e deve essere annullato. Violazione dell'obbligo di motivazione; il difetto di motivazione è considerato d'ordine pubblico, rilevabile d'ufficio. VIOLAZIONE DEI TRATTATI E DI QUALSIASI REGOLA DI DIRITTO RELATIVA ALLA LORO APPLICAZIONE: il vizio è espressione del principio della gerarchia delle fonti dell'Unione e può riguardare la violazione di qualunque norma giuridica che sia da considerare superiore rispetto all'atto impugnato. SVIAMENTO DI POTERE: istituzione ekana un atto che ha il potere di adottatr, perseguendo però scopi diversi da quelli per i quali il potere le è stato attribuito. Il termine di ricorso è di due mesi. Esso decorre: a) dalla pubblicazione sulla GU, se l'atto è stato pubblicato; b) dalla notificazione, se l'atto è stato notificato c) dal giorno in cui il ricorrente ha avuto conoscenza dell'atto. L'art 264 TFUE l'efficacia delle sentenze di annullamento. La sentenza ha quindi portata generale retroattiva: l'atto nullo erga omnes, e la nullità retroagisce al momento in cui l'atto è stato emanato. La Corte può limitare discrezionalmente gli effetti della sentenza che annulla l'atto. Salvo il diritto degli interessati a far valere la responsabilità extracontrattuale dell'autore dell'atto annullato. Il controllo sugli atti delle istituzioni esercitato dalla Corte di giustizia in base all'art 263 è un controllo di mera leggitimità. L'art 261 TFUE regolamenti adottati congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio o dal solo Consiglio possano attribuire alla Corte di giusizia anche una competenza di merito, limitata al riesame delle sanzioni previste nel regolamento. In casi del genere, la Corte dispone del potere di modificare l'ammontare della sanzione. IL RICORSO IN CARENZA Il ricorso in carenza costituisce un'altra forma di controllo giurisdizionale della legittimità del comportamento delle istituzioni. L'oggetto del controllo è un comportamento omissivo illegittimo, perchè è tenuto in violazione di un obbligo di agire previsto dai trattati. I presupposti del ricorso sono: a) l'esistenza di un obbligo di agire a carico dell'istituzione; b) la violazione dell'obbligo stesso. Essendo necessaria la presenza di un obbligo di agire, è escluso che si possa ricorrere in carenza contro l'omissione di atti la cui adozione è affidata alla discrezionalità delle istituzioni. La violazione di un obbligo di agire può essere fatta valere tramite un ricorso ai sensi dell'art. 265 a condizione che: a) l'istituzione, l'organo o l'organismo in causa siano stati previamente richiesti di agire In forza dell'art. 10 del Protocollo n.36 sulle disposizioni transitorie, la disciplina della competenza pregiudiziale è rimasta per i settori dell'ex terzo pilastro quella contenuta nel vecchio art. 35 per un periodo di cinque anni. Dalla scadenza si applica invece direttamente l'art. 267 TFUE. L'estensione della competenza pregiudiziale della Corte in relazione ai settori dell'ex terzo pilastro. La competenza pregiudiziale viene in rilievo anche sotto il profilo del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva tutelato dall'art. 6, par 1, della CEDU, e dall'art 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Omettendo di sollevare una questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia quando invece le circostanze lo richiederebbero, il giudice, soprattutto se di ultima istanza, pregiudica il diritto dei soggetti interessati ad un rimedio giurisdizionale effettivo o addirittura li distoglie dal loro giudice naturale. AMMISSIBILITA' E RILEVANZA DELLA QUESTIONE PREGIUDIZIALE Il meccanismo della competenza pregiudiziale costituisce uno strumento di cooperazione fra giudici nazionali e la Corte di giustizia. Svolgono un ruolo complementare al fine di individuare una soluzione al caso concreto che sia conforme al diritto dell'Unione. Non esiste una gerarchia. L'assenza di un rapporto di tipo gerarchico spiega perchè la Corte non eserciti alcun tipo di controllo sulla competenza del giudice nazionale a conoscere del giudizio nel cui ambito le questioni pregiudiziali sono state sollevate, ovvero sulla regolarità del giudizio stesso e, del provvedimento del rinvio. La Corte ha invece posto alcuni requisiti riguardanti il contenuto del provvedimento di rinvio. Normalmente, la Corte non verifica la necessità del rinvio e la rilevanza delle questioni di diritto dell'Unione rispetto alla soluzione del caso pendente davanti al giudice nazionale. Un uso talvolta improprio e persino abusivo del rinvio pregiudiziale ad opera delle parti e degli stessi giudici nazionali ha indotto la Corte a mutare atteggiamento. La corte si è riservata il potere di verificare la rilevanza delle questioni pregiudiziali al fine di controllare se essa sia competente a rispondere e se non sussista alcuna delle ipotesi patologiche individuate. Questioni patologiche: 1. questioni mancanti si una sufficientemente definizione nell' ambito di fatto di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate 2. questioni manifestamente irrilevanti, in cui la norma dell'Unione oggetto della questione pregiudiziale è manifestamente inapplicabile alla fattispecie soggetto del giudizio nazionale 3. questioni puramente ipotetiche, così definite in ragione della loro genericità o del fatto che non rispondono ad un effettivo bisogno del giudice nazionale, in vista della soluzione della controversia. Nella fase attuale, l'atteggiamento della Corte è nuovamente orientato verso maggiore prudenza. La Corte pur ribadendo il suo potere di rigiutarsi di rispondere a questioni pregiudiziali in casi eccezionali, parte da un sorta di presunzione di rilevanza. La Corte si accontenta in genere che il giudice nazionale abbia indicato i motivi che lo inducono a ritenere necessaria la risposta alle questioni pregiudiziali. LA NOZIONE DI GIURISDIZIONE La compotenza pregiudiziale può essere attivata soltanto da un organo che possa essere definito come un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri. La Corte si riserva il potere di verificare che l'organo autore del rinvio pregiudiziale rientri effettivamente in tale nozione- nozione autonoma. Il primo requisito che un organo nazionale deve soddisfare, perchè possa operare un rinvio pregiudiziale, è che svolga una funzione giuridizionale, cioè sia richiamato a statuire nell'ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale. Frutto di una lunga evoluzione risulta la posizione della Corte costituzionale italiana. Se per la Corte di giustizia non è stato mai posto in discussione che la Corte costituzionale italiana fosse abilitata a proporre questioni pregiudiziali; dal punto di vista della Corte costituzionale è stato difficile accettare di poter utilizzare lo strumento del rinvio pregiudiziale. Attualmente l'atteggiamento della Corte costituzionale è molto più aperto. Nei casi dubbi, debbono inoltre essere verificati altri requisiti; l'origine legale dell'organo, suo carattere permanente, l'obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contradditoria del procedimento, il fatto che l'organo applichi le norme giuridiche e che sia indipendente. L'approccio della Corte sia caratterizzato da notevole elasticità e come la presenza degli elementi menzionati non venga verificata in maniera sistematica e nemmeno con rigore costante. Più rigoroso è l'atteggiamento della Corte con riferimento al requisito dell'origine legale dell'organo, con particolare riferimento al caso degli arbitri, ai quali ha costantemente negato il potere di sollevare questioni pregiudiziali. L'unica eccezione ammessa riguarda i casi di arbitrato obbligatorio, qunado le parti sono tenute per legge a sottoporre ad arbitrato le proprie controversie in una determinata maniera. FACOLTA' E OBBLIGO DI RINVIO Rispetto al rinvio pregiudiziale, la posizione dei giudici nazionali varia a secondo che essi emettano decisioni contro le quali sia possibile proporre un ricorso giurisdizionale di diritto interno oppure no. Nel primo caso, il rinvio è oggetto di una semplice facoltà, mentre nel secondo caso, il giudice è sottoposto ad un obbligo di rinvio. Nel caso di un giudizio di ultima istanza, un errore del giudice nel risolvere questioni di diritto dell'Unione resterebbe, senza ulteriore rimedio. L'obbligo di rinvio da parte del giudice di ultima istanza costituisce l'estrema forma di tutela offerta ai soggetti interessati alla corretta applicazione giudiziaria del diritto dell'Unione. L'erronea soluzione data da un giudice di utlima istanza a questioni di diritto dell'Unione rischia di essere accolta in numerose altre pronunce giudiziarie e dunque di consolidarsi nonstante la sua non correttezza. Giudice di ultima istanza- possibilità concreta di proporre un'impugnazione contro le decisoni del giudice. Per stabilire se vi sia la possibilità di proporre un ricorso giurisdizionale di diritto interno, vanno presi in considerazione soltanto i rimedi ordinari. La facolta di rinvio che spetta ai giudici non di ultima istanza implica che questi sono liberi di scegliere se sollevare o meno le questioni di diritto dell'Unione davanti alla Corte di giustizia, indipendentemente dalla richiesta delle parti, e cioè anche d'ufficio. Tale libertà si estende inoltre alla scelta del momento in cui effettuare un rinvio. La facoltà di rinvio non può essere limitata per effetto di norme processuali nazionali. Nell' interpretare la portata dell'obbligo di rinvioo a carico dei giudici di ultima istanza, la Corte ha introdotto alcuni elementi di flessibilità, tali da rendere meno netta la distinzione rispetto agli altri giudici. I giudici di ultima istanza dispongono dello stesso potere di valutazione di tutti gli altri giudici nazionali nello stabilire se sia necessaria una pronuncia sul punto di diritto comunitario onde consentire loro di decidere. Il fatto che le parti hanno sollevato questioni di diritto dell'Unione non comporta obbligo di rinvio. La Corte ha individuato alcune ipotesi in cui, pur in presenza di questioni rilevanti, il rinvio può essere omesso- facoltà di rinvio anche per i giudici di ultima istanza. Il rinvio può essere omesso se: - la questione sia materialmente identica ad altra questione già decisa in via pregiudiziale. - la risposta da dare alle questioni risulti da una giurisprudenza costante della Corte. - corretta applicazione del diritto dell'Unione si imponga con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata- atto chiaro. L'atto chiaro è la più delicata e si presta a maggiori abusi. Per cercare di definire bene il campo d'applicazione la Corte infatti precisa che, prima di concludere nel senso che la questione è chiara e il rinvio alla Corte non è dovuto, al giudice di ultima istanza è fatto obbligo di procedere alle seguenti verifiche: - convincerti che la stessa soluzione si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri e alla Corte di giustizia; - raffrontare le diverse versioni linguistiche delle norme dell'Unione; - tenere conto della non necessaria coincidenza tra il significato di una medesima nozione giuridica nel diritto dell'Unione e nel diritto interno; - ricollocare la norma dell'Unione nel suo contesto e alla luce delle sue finalità. Qualora il giudice di ultima istanza ritenga di non essere obbligato a sollevare un rinvio pregiudiziale, è tenuto a fornire una motivazione del suo rifiuto di rivolgersi alla Corte di giustizia. In assenza di tale motivazione, il mancato rinvio potrebbe essere considerato arbitrario e condurre ad una violazione dell'art. 6, par.1 della Convenzione europea della salvaguardia dei diritti dell'uomo. Il comportamento arbitrario di un giudice di ultima istanza potrebbe inoltre costruire un'ipotesi di responsabilità dello Stato e dare luogo ad un risarcimento dei danni a favore del singolo in cui diritti siano stati lesi dalla pronuncia giudiziale. Obbligo di rinvio anche per giudici non di ultima istanza- riguarda le sole questioni pregiudiziali di validità; la Corte ha negato che il giudice possa autonomamente accertare l'invalidità di un atto delle istituzioni. Qualora ritenga fondati i motivi d'invalidità adotti dalle parti riguardo ad un atto delle istituzioni, il giudice, anche se non di ultima istanza, è tenuto a rinviare alla Corte la relativa questione pregiudiziale. Perchè l'obbligo di rinvio scatti, non basta pertanto che le parti abbiano sollevato dei motivi di invalidità ma occorre anche che il giudice adito li consideri fondati. L'OGGETTO DELLE QUESTIONI PREGIUDIZIALI Art 267 competenza pregiudiziale della Corte può riguardare questioni di interpretazionee questioni di validità. Le questioni pregiudiziali d'interpretazione possono avere ad oggetto: • i trattati; • gli atti compiuti dalle istituzioni dagli organi e dagli organismi dell'Unione. Per i trattati si deve intendere il testo del TUE e del TFUE- Gli atti compiuti dalle istituzioni sono atti appartenenti alle categorie di cui all'art. 288 TFUE, incluse le raccomandazioni e i pareri, gli atti atipici, gli accordi internazionali e gli atti privi di efficacia diretta. Art. 267 esclude che, nell'ambito di una questione di interpretazione, la Corte possa essa stessa procedere all'applicazione di norme dell'Unione alla fattispecie oggetto del giudizio pendente davanti al giudice nazionale. Non è previsto che la Corte possa procedere all'interpretazione di norme degli Stati membri o pronunciarsi sull'incompatibilità di una norma nazionale con norme dell'Unione. Entrambi questi compiti spettano al giudice nazionale che ha operato il rinvio. Si permette che il rinvio pregiudiziale sia utilizzato dai giudici nazionali per ottenere dalla Corte un giudizio, sia pure indiretto sulla compatibilità della norma interna con il diritto dell'Unione, con uso alternativo del rinvio pregiudiziale. La Corte accetta di pronunciarsi su questioni interpretative anche se le norme dell'Unione oggetto della questione non sono applicabili al caso di specie in quanto tale, ma in vitù di un richiamo operatoda norme inerne. Le questioni pregiudiziali di validità possono avere ad oggetto soltanto gli atti compiuti dalle istituzioni dagli organi e dagli organismi dell'Unione. Tali questioni consentono alla Corte di effettuare un controllo sulla validità di tali atti ad integrazione del controllo che la Corte esercita attraverso il ricorso di annullamento, l'eccezione di invalidità e, indirettamente, l'azione di danni da responsbilità extracontrattuale. L'analogia con il ricorso di annullamento comporta che oggetto di una questione pregiudiziale di validità possano essere tutti gli atti contro i quali si può proporre un ricorso ai sensi dell'art. 263. Anche i motivi di invalidità che possono essere fatti valere sono gli stessi. Tuttavia la questione di validità che riguardi un regolamento o una decisione rivolta a terzi non è sottoposta alle condizioni restrittive di cui al quarto comma dello stesso articolo. Parimenti non trova applicazione il termine di due mesi. Ne consegue che una questione di validità può essere proposta anche a distanza di anni dall'entrata in vigore dell'atto in causa. Il rinvio di questioni di validità diventa obbligatorio anche pe ri giudici non di ultima istanza, qualora essi ritengano non infondati i motivi di invalidità fatti valere dalle parti. IL VALORE DELLE SENTENZE PREGIUDIZIALI Le sentenze rese dalla Corte in un procedimento a norma dell'art. 267 TFUE vincolano anzittutto il giudice che aveva effettuato il rinvio. Questi non può discostarsene, ma può soltanto, qualora lo • conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca; • politica commerciale comune; • conclusione di accordi internazionali. Competenze concorrenti L'art.2, par.2, TFUE. Le caratteristiche: - coesistenza del potere di adottare atti legislativi e vincolanti in capo sia all'Unione che agli Stati membri; - pienezza del potere di azione degli Stati membri man mano che l'Unione agisce; - progressiva perdita del potere di azione degli Stati membri man mano che l'Unione agisce; - riacquisto del potere di azione da parte degli Stati membri nella misura in cui l'Unione decide di cessare di esercitare la propria competenza. Nei settori di competenza concorrente, Unione e Stati membri possono ciascuno esercitare i propri poteri. A mano a mano che questa agisce, diminuisce corrispondentemente lo spazio d'azione degli Stati membri. Qualora l'Unione scegliesse di adottare in un certo settore di competenza concorrente una disciplina completa e dettagliata, agli Stati membri sarebbe precluso qualunque intervento. La competenza concorrente, diventerebe nei fatti esclusiva- fenomeno detto svuotamento. Nei settori di competenza concorrenti, l'estensione e finanche la soppravvivenza della competenza degli Stati membri dipendono dai tempi e dai modi con cui la competenza dell'Unione viene esercitata. La perdita di competenza sunita dagli Stati membri per effetto dell'esercizio da parte della Unione di una propria competenza concorrente non sia mai definitva, ma potrebbe venir meno qualora l'Unione decidesse di non esercitarla più, abrogando gli atti adottati in precedenza. Per i settori di competenza concorrente non è prevista un'elencazione tassativa. Le competenze dell'Unione sono pertanto concorrenti a meno che non ricadano tra quelle espressamente qualificate come esclusive o di terzo tipo. Terzo tipo di competenze. Caratteristiche: - la competenza dell'Unione è esercitata in parallelo con la competenza degli Stati membri, attraverso azioni destinate a sostenere, coordinare o integrare quelle degli Stati membri; - l'esercizio della competenza dell'Unione non può mai sostituirsi a quella degli Stati membri o portare ad un suo progressivo svuotamento. Settori: • tutela e miglioramento della salute umana; • industria; • cultura; • turismo; • istruzione, formazione professionale, gioventù e sport; • protezione civile; • cooperazione amministrativa. PRINCIPIO DI SUSSIDIARITA' Il principio di sussidiarietà, così come il principio di proporzionalità, presuppongono l'esistenza di una competenza attribuita all'Unione. Nei settori che non sono di sua comptenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obbiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, nè a livello centrale nè a livello regionale e locale, ma possono essere conseguiti meglio a livello dell'Unione. Il principio di sussidiarietà vale soltanto nei settori che non sono competenza esclusiva dell'Unione. Restano soggette all'applicazione del principio in esame tutte le comptenze concorrenti, quelle del terzo tipo, nonchè quelle di coordinamento di cui all'art, 5 TFUE e quelle relative alla PESC. Esso è una garanzia per gli Stati membri che le loro competenze in settori di comptenza concorrenti del'Unione non vengano limitate, o addirittura, cancellate quando ciò non si giustifichi in relazione alla maggiore efficienza dell'azione dell'Unione rispetto a quella autonoma degli Stati membri. Consente di dare la preferenza all'azione statale ovvero a quella dell'Unione sulla base di un giudizio di efficienza relativa. Per come risulta formulato e per come esso viene inteso dagli Stati membri, invece, il principio di sussidiarietà esprime un favor per l'azione statale. Prima di decidere se e come esercitare una propria competenza (non esclusiva), l'Unone valuti se gli obbiettivi dell'azione prevista possano essere realizzati sufficientemente tramite un'azione degli Stati membri ovvero possano essere realizzati meglio a livello dell'Unione. L'azione statale va preferita se assicura il raggiungimento degli obbiettivi prescelti benchè solo in misura sufficiente, mentre l'azione dell'Unione può essere scelta soltanto se ne garantisce il raggiungimento ad un livello superiore. Un riferimento al livello regionale o locale accanto a quello centrale per valutare la sufficienza dell'azione degli Stati membri. Dal riferimento non sembra potersi ricavare che i trattati impongano agli Stati membri di rispettare il principio di sussidiarietà anche al proprio interno, nei rapporti tra potere centrale e autonomie territoriali. Le istituzioni si sono preoccupate soprattutto di stabile garanzie procedurali che favoriscano il rispetto di tale principio in occasione della approvazione dei vari atti- Protocollo n.2 sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Affidare ai parlamenti nazionali esercitando il controllo del rispetto del principio di sussidiarietà seconfo le procedure stabilite a tal fine dal protocollo. A ciuscun parlamento nazionale è attribuito il potere di formulare, entro otto settimane dalla trasmissione di un progetto di atto legislativo, un parere motivato di non conformità del progetto al principio di sussidiarietà. Qualora si siano espressi per la violazione del principio parlamenti o camere che rappresentino almeno un terzo dei voti disponibili, si applica la procedura del cartellino giallo: il progetto deve essere riesaminato dal suo autore, con possibilità di mantenerlo, modificarlo o ritirarlo, ma con obbligo di specifica motivazione. Un meccanismo ulteriore (il c.d cartellino arancione) è previsto se per l'adozione dell'atto si deve seguire la procedura legislativa ordinaria. Rispetto del principio di sussidiarietà oggetto di controllo giurisdizionale? La violazione del principio di sussidiarietà è stato invocato dalle parti come vizio della motivazione. Successivamente la Corte è stata chiamata a verificare l'esistenza della violazione del principio in esame in quanto vizio autonomo rientrante in quello di violazione dei trattati. Occorre esaminare se l'obbiettivo dell'azione progettata potesse essere meglio realizzato a livello comunitario e, che l'azione comunitaria non abbia oltrepassato la misura necessaria per la realizzare l'obbiettivo cui tale azione è diretta. In sede di controllo giurisdizionale, la Corte può essere chiamata a sindacare il rispetto delle garanzie procedurali previste dal Protocollo n.2. Uno Stato membro può quindi contestare con un ricorso di annullamento il mancato invio ai parlamenti nazionali delle proposte di atti legislativi dell'Unione o ancora, laddove ne ricorrano i presupposti, l'omesso riesame di tali proposte da parte della Commissione o l'omesso svolgimento della fase preliminare della procedura legislativa ordinaria dedicata alla verifica del rispetto del principio di sussidiarietà. IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA' Il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Anche questo principio attiene alle modalità di esercizio delle competenze dell'Unione. Tanto nei settori di competenza esclusiva, quanto in quelli di competenza concorrente, l'intervento dell'Unione, una volta che sia stato deciso, deve infatti essere limitato a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Il principio di proporzionalità, ha la funzione di tutelare gli Stati membri da interventi dell'Unione di portata ingiustificatamente ampia. Gli Stati membri, non hanno esitato ad utilizzare il principio di proporzionalità per contestare la legittimità di atti delle istituzioni giudicati eccessivamente invasivi delle loro competenze. La Corte, tuttavia, limita il proprio riesame alle ipotesi di errore manifesto, sviamento di potere o minifesto travalicamento dei limiti della discrezionalità. La Corte ha chiarito che il principio di proporzionalità non risulta violato per il semplice fatto che una atto legislativo dell'Unione possa incidere più su uno Stato membro che su altri. L'esigenza di rispettare la proporzionalità comporta restrizioni pre quanto riguarda tanto la scelta del tipo di atto da adottare quanto il contenuto. Qualora i trattati non prevedano il tipo di atto sa adottare, le istituzioni lo decidono di volta in volta, nel rispetto delle procedure applicabili e del principio di proporzionalità. Il principio generale di proporzionalità si è inizialmente affermato come strumento di protezione dei singoli nei confronti delle istituzioni ovvero delle autorità degli Stati membri, quando queste ultime agiscono in un settore rientrante nel campo d'applicazione dei trattati. Il principio esige infatti che i sacrifici e le limitazioni di libertà imposte ai singoli non eccedano quanto necessario per il raggiungimento degli scopi pubblici da perseguire e siano indonei a raggiungere l'obbiettivo perseguito e siano necessari a questo stesso fine, evitando di imporre ai privati sacrifici superflui. Il principio di proporzionalità, invece, riguarda, il rapporto tra le competenze dell'Unione e quelle degli Stati membri. Esso constituisce una garanzia specificatamente prevista per questi ultimi. LA COMPETENZA A CONCLUDERE ACCORDI INTERNAZIONALI Particolarmente complessa la definizione e la classificazione della competenza dell'Unione per quanto riguarda la conlusione di accordi internazionali- competenza esterna. In quanto soggetto autonomo di diritto internazionale, l'Unione ha la capacità di concludere accordi con altri soggetti ordinamento senza dover passare attraverso i propri Stati membri. Tuttavia la competenza esterna dell'Unione non ha portata illimitata. Soggiace al principio di attribuzione. Inoltre la soggettività di diritto internazionale dell'Unione coesiste con quella degli Stati membri. Il Trattato di Lisbona ha colmato la lacuna, prevedendo due appositi articoli del TFUE: - art. 216, termini generali in quali casi l'Unioe è competente a concludere accordi internazionali. - art. 3. par.2, in quali casi la competenza esterna dell'Unione ha carattere esclusivo. Art 216, par.1, TFUE, i casi in cui l'Unione è dotata di competenza esterna: 1. - conclusione di un accordo è prevista dai trattati; 2. - conlusione di un accordo è necessaria per la realizzazione di uno degli obiettivi fissati dai trattati, nell'ambito delle politiche dell'Unione. 3. - conclusione di un accordo è prevista da un atto giuridico vincolante dell'Unione; 4. - accordo da concludere possa incidere su norme comuni o alterarne la portata. I casi 1 sono i più semplici e costituiscono competenza esterna normativamente prevista. I trattati dispongono espressamente che l'Unione può concludere accordi internazionali di determinati tipi o in determinati settori. I casi 2, 3, 4 competenza esterna parallela. La Corte di giustizia aveva infatti stabilito che l'Unione può concludere accordi internazionali non soltanto nei casi in cui ciò è espressamente previsto dai trattati ma anche in tutte le altre materie per le quali disponga del potere di adottare atti sul piano interno- parallelismo dei poteri interni ed esterni. Questione più delicata è stabilire se la competenza esterna dell'Unione ha natura esclusiva o concorrente. Determinare se la possibilità che l'Unione concluda un accordo internazionale in un certo campo impedisca agli Stati membri di concludere a loro volta un accordo nel medisimo campo in alternativa all'Unione o a fianco della stessa. Anche su questo aspetto è intervenuto il Trattato di Lisbona, inserendo nell'art. 3 TFUE, che
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved