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Riassunto diritto processuale civile., Dispense di Diritto Processuale Civile

Riassunto per persone in crisi di tempo. Se una persona vuole prendere almeno 18 in sei giorni di studio, è possibile. Ho preso 30.

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 14/11/2020

francesca_casula2
francesca_casula2 🇮🇹

4.5

(18)

9 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto diritto processuale civile. e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! 1. Il processo rappresenta una serie di atti e comportamenti medianti i quali due o più parti sottopongono una controversia alla decisione di un terzo imparziale ossia il giudice. La controversa è un conflitto d'interessi rilevante per il diritto fra due o più persone. L'alternativa al processo è un accordo fuori di esso. Nel processo civile si accerta il fatto e si applica il diritto. Il processo può essere considerato come: 1. Cosa delle parti: il processo è visto come un gioco tra le parti o gara in cui il giudice si limita a registrare chi ha successo e chi soccombe; questo modello richiama il liberalismo dove si ha una neutralità del giudice e lo scopo è quello di definire la lite raggiungendo una situazione di equilibrio. 2. Cosa del giudice: il giudice interviene attivamente e qui si impone la ricerca della soluzione giusta pagando però il prezzo di un giudice che è schierato in modo preferenziale per la parte che risulta portatrice di un interesse meritevole di maggior tutela. L’obiettivo del processo è risolvere la controversia secondo verità e giustizia quindi non è appagante l’idea che sia giusta la decisione che ha seguito l’iter processuale corretto. 1. Il diritto processuale civile è regolato principalmente dal codice di procedura civile (cpc), in vigore dal 1942 che consta di 4 libri: 1. disposizioni generali 2. processo di cognizione 3. processo di esecuzione 4. procedimenti speciali Vi rientrano anche le disposizioni di attuazione rilevanti per il funzionamento pratico dell’attività giudiziaria. Un’importante revisione del codice fu quella apportata dalla legge 353/1990 che cercò di risolvere il problema dei tempi eccessivamente lunghi del processo civile che rischiano di vanificare l’effettività della tutela. Per fronteggiare questo problema non è sufficiente cambiare le norme, ma il modo di funzionamento della macchina amministrativa. 2. C'è anche l’ordinamento giudiziario che costituisce una parte fondamentale della tutela giurisdizionale, la legge sull’ordinamento professionale dell’avvocato, la legge istitutiva del giudice di pace e quella istitutiva del giudice unico in materia civile. 3. Ci sono anche la normativa europeea e quella internazionale. 4. Poi c'è il sesto libro del C.C. dedicato alla tutela dei diritti. 5. Altre fonti sono la giurisprudenza e il protocoli di comportamento tra gli organi giudiziari e le organizzazioni professionali forensi con lo scopo di disciplinare meglio aspetti pratici e organizzativi e di stabilire interpretazioni comuni di determinate norme di legge o di importanti sentenze. Colmano la concreta applicazione della giustizia senza essere vincolanti. 6. PRINCIPI: 6.1. ART. 24 CST: diritto di difesa e d'azione = “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione” = 1. accesso alla tutela giurisdizionale; 2. garanzia del contradditorio; 3. parità delle armi nel processo: non significa uguaglianza assoluta di posizioni ma almeno omogeneità della capacità di ogni singola parte di fare valere i suoi diritti Con una serie di importanti sentenze la Consulta ha enucleato un contenuto minimo del diritto alla difesa che si articola nel rispetto del contradditorio, nella facoltà di dare prova dei fatti, nel diritto ad una difesa tecnica e nel potere di proporre impugnazioni. 6.2. ART. 111 = giusto processo. Anche la riserva di legge indicata dalla norma non esclude né forme di elasticità processuale né l’apporto giurisprudenziale. Processo come strumento: da un lato si cerca di ridurre le situazioni in cui una parte perde un diritto sostanziale per un errore di procedura dall’altro lato di togliere importanza alle irregolarità processuali qualora non abbiano inciso effettivamente sulla decisione del giudice. C2: “ogni processo si svolge nel contradditorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale La legge ne assicura la ragionevole durata”. In una certa misura le affermazioni di questo comma sono comprese nella lettura dell’articolo 24 ma rileva il profilo della ragionevole durata che eleva al piano costituzionale il criterio di un’estensione temporale del processo che non ne pregiudichi l’effettività. Infatti la ragionevole durata non va riferita soltanto al singolo processo quindi all’interesse del singolo ad ottenere una pronuncia senza attendere ma soprattutto significa equilibrio tra le risorse complessive del sistema. La riaffermazione del principio del contradditorio, della parità fra le parti e della terzietà ed imparzialità del GIURISDIZIONE A. La prima nozione che si incontra è quella di giurisdizione che significa potere di decidere una controversia. (distinta dall'esecutivo e legislativo) ART 101 CST: la giustizia è amministrata in nome del popolo e che i giudici sono soggetti soltanto alla leggeART 102.1: la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati da norme sull’ordinamento giudiziarioART 1 CPC: la giurisdizione civile, salvo speciali disposizioni di legge, è esercitata dai giudici ordinari secondo le norme del codice di rito. ?Il fine della giurisdizione: 1. la giurisdizione ha lo scopo oggettivo di attuare i precetti dell’ordinamento quindi il potere giudiziario è visto come una cinghia di trasmissione dell’ordinamento che ha lo specifico interesse di veder regolate dalle sua norme le controversie tra i propri cittadini. Con questa ipotesi confliggono le facoltà delle parti di scegliere un giudice o un arbitro stranieri che non applicano il diritto italiano e la possibilità che il processo si estingua senza una sentenza. 2. la giurisdizione come modo di risoluzione dei conflitti e di garanzia della pace sociale ma in realtà la decisione giurisdizionale può risolvere la lite ma non sempre elimina, anzi a volte accresce, il conflitto. Ancora si può affermare che lo scopo della giurisdizione è quello di reintegrare le posizioni soggettive lese e questa lettura è la più conforme all’articolo 24 cost. ma si scontra con le forme di inefficacia o mancata attuazione pratica delle misure giurisdizionali. B. Un più moderno approccio vede la giurisdizione quale la prestazione di un servizio pubblico, con il contenuto di risolvere le controversie, applicando la legge italiana a favore, in alcune materie, obbligatoriamente di tutti i consociati e in altre a favore di coloro che liberamente se ne vogliono avvalere. La giurisdizione civile deve essere destinata a garantire la giuridicità dell’ordinamento italiano quindi deve essere valutata anche in rapporto all’efficienza dei suoi risultati. L’attività giurisdizionale ha carattere strumentale e sostitutivo infatti il fine della giurisdizione non è quello di realizzarsi ma di raggiungere uno scopo che è al di fuori di essa: come il processo è uno strumento, la giurisdizione è un potere strumentale. Dire che il processo è uno strumento significa affermare che la finalità del processo e della giurisdizione civile consiste nella realizzazione di obiettivi di giustizia sostanziale quindi se un processo si conclude con un esito che si arresta alla semplice affermazione di un profilo processuale, la giustizia sostanziale non è perseguita anche se la sentenza è corretta. Inoltre la giurisdizione ha un carattere sostitutivo cioè il soggetto leso non può farsi giustizia da solo, divieto di autotutela. La giurisdizione si sforza di risolvere le controversie secondo giustizia e verità ma non i modo assoluto infatti l’obiettivo del processo è quello di risolvere le controversie anche accettando la permanenza di pronunce non conformi al diritto (articolo 363 cpc) o fondate su falsi presupposti (articolo 2738 cc). Secondo l’articolo 363 cpc quando le parti non hanno proposto ricorso in cassazione nei termini di legge o vi hanno rinunciato, ovvero quando il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile, il procuratore generale presso la corte di cassazione può chiedere che la corte enunci nell’interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi. La pronuncia della corte non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito quindi esiste una sentenza gravemente errata in diritto il cui errore è stato posto in luce dalla Cassazione ma che non viene cancellata dall’ordinamento e continua a vincolare le parti. Secondo l’articolo 2738 cc nel caso che il processo sia stato deciso da un giuramento e successivamente una sentenza penale accerti che il giuramento era falso, la decisione contenuta nella sentenza non può essere rivista e la parte lesa può soltanto domandare il risarcimento dei danni. Quindi l’ordinamento è consapevole che quella decisione è ingiusta ma non la rimuove infatti apre soltanto la strada ad una reintegrazione patrimoniale dal danneggiato. L’attività giurisdizionale è molto diversa a seconda che risolva un conflitto (GIURISDIZIONE contenziosa) o che integri, completi e controlli i poteri mancanti a dati soggetti dell’ordinamento (giurisdizione volontaria). La giurisdizione volontaria è attività sostanzialmente amministrativa, affidata al giudice per motivazioni storiche, ma che potrebbe essere demandata ad uffici pubblici non giurisdizionali. In questa giurisdizione vi è un solo interesse che il giudice è chiamato a proteggere e questa dà vita ad un provvedimento dato in relazione allo stato delle cose che non da luogo ad un giudicato e che, come ogni atto amministrativo è revocabile e modificabile. Un esempio è l’articolo 320.3 che afferma che i genitori non possono alienare o ipotecare i beni immobili pervenuti al figlio minore a qualsiasi titolo, né compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione se non dopo autorizzazione del giudice tutelare quindi i genitori che ricorrono al giudice non vogliono una condanna nei confronti di qualcuno ma solo ottenere il permesso di compiere un atto a vantaggio del figlio (interesse del minore). Invece nella giurisdizione contenziosa vi è una domanda di un soggetto contro un altro soggetto e questa giurisdizione tende ad un accertamento, che si muove verso una dimensione di stabilità, che si realizza pienamente in un giudicato. Essa si divide a seconda della struttura dell'attività espletata in: 1. La giurisdizione di cognizione tende ad affermare un giudizio di conformità del fatto concreto rispetto alla fattispecie legale astratta. Questo giudizio prende il nome di accertamento: il terzo imparziale dotato di potere giurisdizionale (giudice) determina cioè accerta i rapporti tra le parti. Inoltre questo accertamento ha tendenzialmente efficacia stabile: si ha il cosiddetto giudicato sostanziale. Nella controversia giudiziaria ciascuna delle parti propone al terzo, che giudica, una propria visione della vicenda cioè afferma l’esistenza di determinati fatti e offre una determinata valutazione in diritto. La fattispecie concreta deve essere sussunta nella norma astratta. L’attività del giudice di cognizione è un’attività intellettuale che porta all’emanazione di un giudizio cioè il risultato finale di un confronto fra la fattispecie concreta, individuata dalle contrapposte posizioni delle parti e il dato normativo. il giudizio del giudice costituisce l’accertamento cioè la verità legale su quella controversia. Inoltre l’accertamento ha funzione sostitutiva cioè può semplicemente chiarire una situazione incerta, può La tesi più diffusa in dottrina tende a confermare il carattere non giurisdizionale delle authorities alle quali manca il profilo della piena terzietà infatti nel decidere il conflitto le autorità hanno di mira la finalità affidata a ciascuna di esse. Oggi la giurisdizione esclusiva su questa materia spetta ai giudici amministrativi che però esercitano un controllo debole in quanto tende ai soli profili di legittimità. CRITERI DI RIPARTO L’attribuzione del potere giurisdizionale in rapporto ad una data singola controversia fra giurisdizione ordinaria e giurisdizioni speciali è fatta dalla legge quindi non esiste la possibilità di scegliere fra l’una e l’altra giurisdizione o di cumularne più di una infatti l’inserimento di una data materia nel potere di una giurisdizione esclude, per definizione, il potere delle altre e gli eventuali contrasti danno luogo ad una questione di giurisdizione. 1)è il giudice chiamato a decidere la causa a stabilire anche d’ufficio se ha o no giurisdizione 2)la risposta finale proviene dalla corte di Cassazione a cui la questione può pervenire in tre modi: attraverso le vie ordinarie di impugnazione della decisione sulla giurisdizione, mediante un ricorso preventivo prima che il giudice abbia statuito sul merito in primo grado (regolamento preventivo di giurisdizione) e infine quando sia sollevato un conflitto positivo o negativo di giurisdizione ex articolo 362 cpc. Occorre accennare alle modalità di riparto fra giurisdizione ordinaria e giurisdizioni speciali e per quanto riguarda la giurisdizione amministrativa abbiamo un incrocio fra due diversi criteri: 1. natura della situazione soggettiva tutelata = in quanto i diritti soggettivi spettano al giudice ordinario mentre gli interessi legittimi a quello amministrativo (art 101 Inoltre è la stessa norma costituzionale a prevedere che, nelle particolari materie indicate dalla legge, i giudici amministrativi possono occuparsi anche di diritti soggettivi. 2. materie affidate in esclusiva = o all’autorità giudiziaria ordinaria come i rapporti di lavoro di pubblico impiego o al giudice amministrativo come i pubblici servizi e l’urbanistica PERò il secondo criterio è più usato recentemente: In questi casi si parla di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; esclusiva perché abbraccia l’intera materia indipendentemente dalla distinzione delle posizioni soggettive che si utilizza nel primo criterio. Più in dettaglio l’ARTICOLO 7 del codice del processo amministrativo stabilisce che sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, riguardanti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti posti in essere dalla pubblica amministrazione. La giurisdizione amministrativa si articola in: 1. giurisdizione generale di legittimità = sono attribuite le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali. 2. giurisdizione esclusiva = il giudice amministrativo conosce anche controversie su diritti soggettivi estese al profilo risarcitorio; queste materie sono indicate dall’articolo 133 del codice del processo amministrativo e comprendono aspetti di grande rilievo politico e economico come le controversie in materia di pubblici servizi, di affidamento di lavori pubblici, di espropriazione per pubblica utilità, di provvedimenti sanzionatori delle autorità garanti e di concessioni nel settore dell’energia = 3. giurisdizione estesa al merito = in questo caso il giudice amministrativo può non soltanto annullare gli atti illegittimi ma anche sostituirsi all’amministrazione adottando un nuovo atto o modificando e riformando quello impugnato La suddivisione dei compiti fra le altre giurisdizioni speciali non conosce il criterio fondato sulla distinzione delle posizioni soggettive ma solo quello per materia perciò vengono attribuite alla giurisdizione contabile le materie della contabilità pubblica, della responsabilità erariale e parte della materia pensionistica dei pubblici dipendenti mentre la giurisdizione tributaria si occupa di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi. Il tribunale superiore delle acque decide le controversie aventi ad oggetto provvedimenti dell’autorità in materia di acque pubbliche e di demanio marittimo mentre i tribunali militari si occupano solo dei reati militari con la precisazione che la loro giurisdizione si estende soltanto nei confronti dei soggetti che appartengono alle forze armate. La specializzazione del giudice: Ci si deve domandare se chi giudica una lite deve essere necessariamente un giurista o può essere anche un tecnico, eventualmente assistito da un giurista. Oggi nelle controversie che suppongono una rilevante conoscenza di elementi fattuali che sfuggono alla comune esperienza, il metodo è quello della richiesta di un’indagine affidata ad un esperto nella forme di una consulenza tecnica. In ogni caso devono essere organizzate delle strutture giudiziarie che, per la formazione dei giudici o per l’affiancamento ad essi di esperti qualificati, possano garantire anche una maggiore capacità di percepire la fattualità tecnica della controversia. Questa è la logica del giudice specializzato che è un giudice ordinario il cui impiego non solo non incontra alcun limite costituzionale ma è anzi espressamente previsto dalla carta repubblicana che all’articolo 102.2 sancisce che possono istituirsi presso organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. Demandare a questi giudici la cognizione di determinate tipologie di conflitti costituisce una concreta applicazione del principio di rango costituzionale del buon andamento dell’amministrazione della giustizia. La specializzazione del giudice può essere attuata in primo luogo rigorosamente all’interno degli organi giudiziari ordinari (per esempio il tribunale civile) destinando alcuni magistrati ad occuparsi più stabilmente di determinate controversie quindi questi magistrati vengono assegnati a sezioni che si dedicano a particolari aspetti del contenzioso. È ciò che accade per i magistrati impiegati nelle sezioni lavoro e in una certa misura per quelle sezioni specializzate in materia di impresa. Dal 2003 operavano le sezioni specializzate per la materia della proprietà industriale e intellettuale: si trattava di sezioni di tribunale e corte di appello, ubicate solo in alcune sedi ma nel 2012 queste sezioni sono state trasformate in sezioni specializzate in materia di impresa e ne è stato aumentato il numero infatti le nuove sezioni di tribunale e corte di appello si trovano in tutte le sedi delle città capoluogo di regione. Si aggiungono le controversie in materia di società di capitali e cooperative, di appalti pubblici, di violazione della disciplina italiana ed europea antitrust. queste sezioni applicano il rito ordinario e non un rito speciale. In altri casi si cerca di raggiungere l’obiettivo della specializzazione mediante la tecnica di una composizione modificata dell’organo giudiziario ossia ai giudici di carriera vengono affiancati membri non togati dotati di specifiche competenze in un dato settore. Al riguardo si devono menzionare i tribunali regionali delle acque che sono giudici ordinari e la sezione di corte di appello è integrata da tre esperti iscritti nell’albo degli ingegneri nominatati con decreto del ministro della giustizia, le sezioni specializzate in materia agraria dei tribunali e delle corti di appello dove i magistrati vengono affiancati esperti nominati dal CSM scelti fra gli iscritti all’albo dei professionisti dei dottori in scienze agrarie, dei periti agrari, dei geometri e degli agrotecnici e infine il tribunale per i minorenni composto da un magistrato di corte di appello, da un magistrati di tribunale e da due esperti (un uomo e una donna) benemeriti dell’assistenza sociale scelti fra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, pedagogia e psicologia. Quando la specializzazione è perseguita assegnando stabilmente i magistrati a determinate funzioni il punto critico è quello della formazione e dell’aggiornamento invece quando si opera per la specializzazione dell’organo giudiziario attraverso l’integrazione di componenti laici si aprono problemi sotto il profilo della modalità di scelta dei membri tecnici infatti da un lato occorre individuare persone di sicura competenza tecnica mentre dall’altro occorre evitare che i giudici non professionali si trovino più vicini a una delle parti della lite. AZIONE: 1. Tutela delle parti la controversia diventa lite giudiziaria quando una delle parti la porta dinanzi al giudice. Quindi in ogni caso la parte dovrà valutare quanto sia importante l’interesse leso, quali sono le probabilità di ottenere una decisione favorevole e quale sia il rapporto costi-benefici fra l’azione giudiziaria e il risultato auspicato. (conciliazione e moediazione) Domanda: 1)la prima istanza sociale è quella di una giustizia rapida infatti è evidente che la vita dei processi è troppo prolungata per i tempi di decisione del mondo economico e imprenditoriale quindi il perdurare della situazione di incertezza legata a processi iniziati e non conclusi è inaccettabile 2)la seconda è il bisogno di informazione e di trasparenza infatti anche se il livello di cultura media è cresciuto spesso il linguaggio dei giuristi e il tecnicismo del rito risultano incomprensibili 3)il terzo profilo è quello della scarsità delle risorse in quanto si preferiscono i settori delle infrastrutture e della sanità pubblica mettendo in secondo piano settori come quello della giustizia 4)il quarto si può definire come fuga dal processo cioè l’idea che il processo sia un male da evitare e che agli inevitabili conflitti si debbano trovare soluzioni di tipo diverso e alternativo rispondano rigorosamente ai loro interessi. Così pure, un certo livello di disuguaglianza fra le parti (se non altro, perché il difensore di una è più capace del difensore dell’altra) è ineliminabile e non può essere superato semplicemente con un rafforzamento, a questi fini, dei poteri di iniziativa del giudice. Il vero problema è di ridurre i casi in cui le regole di procedura, volte a garantire un leale confronto in contraddittorio, possano diventare ragione, talvolta unica, di vittoria di uno dei due antagonisti. Per esempio (prescindendo qui dalle risposte offerte dal diritto positivo) non è fruttuoso che una domanda sia respinta per mere ragioni di incompetenza o di carenza di giurisdizione, senza che sia consentito alla parte di riproporla, senza pregiudizio alcuno per il diritto sostanziale fatto valere, dinanzi all’autorità competente o che non si possa rimediare ad un errore formale in una notificazione. L’azione è tradizionalmente concepita come modo di tutela di diritti individuali. In realtà la moderna sensibilità giuridica ha fatto nascere forme di tutela diversa cioè quella che ha di mira gli interessi diffusi e gli interessi collettivi. Si parla oggi di: 1. interessi diffusi->quando non è possibile distinguere un soggetto che ne sia portatore esclusivo per esempio la protezione dell’ambiente 2. interessi collettivi->quando l’interesse è comune ad una pluralità potenzialmente definibile di soggetti In entrambi i casi il problema è quello di individuare un ente che si faccia carico di rappresentare questi interessi e abbia la legittimazione a difenderli in giudizio. LE CONDIZIONI DELL'AZIONE Obiettivo dell’azione è quello di ottenere dal giudice della cognizione un accertamento favorevole, previa instaurazione di un valido rapporto processuale. Domanda: Nell’ordine il giudice deve verificare l’esistenza dei presupposti processuali, delle condizioni dell’azione e infine del diritto fatto valere. I presupposti processuali sono i requisiti che devono sussistere affinché il giudice possa validamente decidere e la loro mancanza impedisce al giudice di decidere sulla domanda. Questo non significa che non vi sarà una decisione ma soltanto che quella decisione darà atto dell’impossibilità per il giudice di pronunciarsi (sentenze di rito). I presupposti vanno verificati al momento di inizio del processo (art. 5 cpc) o al momento in cui è compiuto un atto carente di requisiti. 1.1. presupposti di esistenza che riguardano la regolare instaurazione del giudizio 2.2. presupposti di validità che afferiscono al corretto svolgimento del giudizio Rientrano fra i presupposti processuali tutti i profili di validità formale del processo per esempio la sussistenza della competenza in capo al giudice o la regolare instaurazione del contraddittorio. Le condizioni dell’azione sono i requisiti che devono sussistere affinché il giudice possa validamente decidere nel merito così come proposto nella domanda cioè esaminare la questione sul piano del diritto sostanziale e accertare chi tra le parti in lite abbia ragione. La loro mancanza impedisce al giudice di passare all’esame della sostanza del caso perché le modalità della domanda (e non le condizioni formali - processuali) non permettono di farlo e la loro sussistenza va verificata al momento della decisione. 2.1. legittimazione ad agire e contraddire che consiste nella corrispondenza fra la situazione del rapporto sostanziale e quella del rapporto processuale cioè la domanda giudiziale deve essere presentata da chi vanta la titolarità del diritto leso (e non da altri) e nei confronti di chi ha posto in essere la condotta ritenuta lesiva (e non da altri) 2.2. l’interesse ad agire = se è vero che chi propone una domanda giudiziale ha subito la lesione di un diritto, occorre che l’accoglimento della domanda abbia potenzialmente l’effetto di dare all’attore un beneficio concreto infatti l’art. 100 cpc stabilisce che per proporre una domanda o per contraddire alla stessa occorre avervi interesse. Il punto dell’interesse è centrale nella dinamica del processo: in primo luogo esso significa che chi si rivolge al giudice deve potersi prefigurare di ottenere un’utilità, conforme a diritto, maggiore e diversa da quella che potrebbe conseguire non agendo o non difendendosi. In secondo luogo, esso significa che la tutela giurisdizionale non è accordata a chiunque infatti i tribunali non sono una sorta di sportello a cui ogni cittadino può chiedere opinioni ma soltanto chi, attraverso la mediazione della giurisdizione, può conseguire l’eliminazione di una lesione e la reintegrazione di un diritto, ha titolo per rivolgersi al giudice. Ritorna ancora l’idea dell’abuso del processo per esempio, le sezioni unite della Cassazione hanno sancito come inammissibile il frazionamento di un credito in più domande: il creditore ha certo il diritto di agire, ma non ha l’interesse a dividere il suo credito in più azioni giudiziarie. 3. L’esistenza del diritto fatto valere dall’attore è altro requisito per l’accoglimento della domanda. Si tratta del requisito principale e se manca il giudice darà luogo ad un accertamento, che però risulterà negativo sotto il profilo delle aspettative e dell’interesse dell’attore. L'attore deve dimostrare l'esistenza di tutti i requisiti, mentre il convenuto la mancanza di solo uno di questi. presenta carente di difetto, nel confronto di coloro che hanno assunto formalmente la qualità di parte e coloro che avrebbero dovuto assumerla e in tal caso si dovrà procede alla chiamata di queste parti sostanziali (integrazione del contraddittorio) con l’annotazione che se ciò non avvenisse si avrà un rapporto processuale inesistente. 2. OgGetto (petitium) è ciò che si domanda al giudice e può essere inteso come: 1. provvedimento = allora si parla di petitum immediato perché è ciò che il giudice può dare con la sua attività 2. bene della vita a cui il soggetto che propone la domanda aspira = allora si parla di petitum mediato, che si otterrà cioè attraverso e per mezzo del provvedimento del giudice 3. TITOLO (causa petendi) è l’intreccio fra fatto e norma cioè è la norma invocata come applicabile ai fatti della controversia o il fatto in quanto rilevante ai fini della norma e ricompreso nella fattispecie. L’attività tipica del giudice della cognizione è un giudizio di conformità tra il fatto concreto e la fattispecie astratta, che si attua tramite un sillogismo: il sillogismo del giudice parte dalla premessa maggiore (in diritto: l’individuazione della fattispecie e della norma da applicare) passa alla premessa minore (in fatto: la verifica di ciò che è accaduto) e trae poi la sintesi conclusiva, che è il giudizio (quindi l’inserimento del fatto concreto all’interno della fattispecie astratta). L’individuazione della causa petendi opera in modo diverso per i diritti: 1. diritti assoluti = il diritto è sempre il medesimo, anche in presenza di una pluralità di eventi lesivi (fenomeno della autodeterminazione della domanda). Sono quelli che garantiscono al titolare un potere che può far valere indistintamente verso tutti gli altri soggetti sui quali grava semplicemente l'obbligo di non turbare il godimento del diritto stesso (ad esempio, il diritto di proprietà). Una volta proposta la domanda, essa si estende a tutti i possibili modi di acquisto della proprietà quindi in questa ipotesi il contenuto della domanda è determinato dall’interno perciò si parla di domande autodeterminate . 2. diritti relativi = ad ogni fatto costitutivo corrisponde un diverso diritto (fenomeno della eterodeterminazione della domanda). Sono quelli che assicurano al titolare un potere che si può far valere solo verso una o più persone determinate (in personam) a carico delle quali sussiste l'obbligo di fare o non fare qualcosa per esempio si pensi ad una pluralità di fatti illeciti, che provocano danni successivi alla stessa persona. Ogni fatto-evento è suscettibile di un’autonoma azione risarcitoria infatti l’accertamento di un fatto non comporta l’accertamento degli altri e l’accertamento dell’insussistenza di un fatto non suppone l’inesistenza degli altri. La domanda giudiziale concerne quel fatto (o quei fatti) di cui si vuole ottenere il risarcimento e spetta a chi agisce determinare dall’esterno il contenuto della domanda per questo si parla di eterodeterminazione . Mentre il diritto assoluto si caratterizza per la relazione diretta tra un soggetto ed un bene, il diritto relativo necessita della cooperazione di un terzo; si instaura così un rapporto giuridico fra due soggetti, il creditore ed il debitore. LITISPENDENZA, CONTINENZA E CONNESSIONE: confrontando due azioni fra loro, si parla di: litispendenza = quando le azioni sono identiche 2. connessione = quando hanno in comune alcuni elementi; può essere soggettiva quando l’elemento comune sono soltanto le parti o oggettiva quando comuni sono l’oggetto e il titolo oppure può essere propria quando vi sia un elemento comune o impropria quando due azioni totalmente diverse devono però essere risolte in base alle medesime regole di diritto. 3. continenza = quando hanno in comune alcuni elementi e un elemento diverso che per una di esse, ricomprende quello corrispondente all’altra. Gli effetti processuali di questi istituti sono regolati dagli articoli 39-40 cpc e obiettivo del sistema è fare in modo che su una data domanda o azione vi sia una sola pronuncia giurisdizionale infatti in linea generale l’ordinamento, in caso di litispendenza, sopprime le altre azioni, lasciandone in vita una mentre in caso di connessione cerca di favorire la trattazione delle varie azioni in un solo alveo processuale. Per quanto riguarda la litispendenza, l’articolo 39.1 cpc afferma che se una stessa causa (parti, oggetto e titolo identici) è proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d’ufficio, dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone la cancellazione della causa dal ruolo. Poi per determinare quale giudice sia stato adito per primo quindi quale dei due deve dichiarare la litispendenza, il comma 3 dell’articolo 39 collega la prevenzione alla nascita del processo che avviene con la notificazione dell’atto di citazione o con il deposito del ricorso, a seconda del tipo di atto introduttivo previsto dal rito. Per quanto riguarda il caso della continenza, rileva il comma 2 dell’articolo 39 cpc che afferma che se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara con ordinanza la continenza e fissa un termine perentorio entro il quale le parti devono riassumere la causa davanti al primo giudice. Per quanto riguarda la connessione, rileva l’articolo 40 cpc che afferma che se sono proposte davanti a giudici diversi più cause connesse che possono essere decise in un solo processo, il giudice fissa con ordinanza alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa principale e negli altri casi davanti a quello preventivamente adito quindi controversa la quantità della prestazione dovuta, il giudice, su istanza di parte, può limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione. Il profilo dell’interesse e dell’attualità della lesione viene in gioco anche per la condanna in futuro. Di solito, tale forma di condanna non è ammissibile, perché il diritto alla tutela sorge solo con la violazione del diritto: solo talora, la legge eccezionalmente la consente (come nel caso dell’art. 657 cpc, in tema di convalida di licenza per finita locazione). Distinta dalla condanna in futuro è quella che si ottiene mediante le azioni inibitorie. Qui non si ha a che fare con la reintegrazione di un diritto leso, ma con la richiesta di rimozione di un comportamento antigiuridico, destinato a provocare lesioni e danni in futuro. L’attività illecita sussiste già, ma l’obiettivo è esattamente quello di prevenirne le conseguenze. Nell’ordinamento italiano non esiste una fattispecie generale di azione inibitoria, ma una pluralità di norme che prevedono domande di questo tipo (ad esempio, in tema di tutela del consumatore o di ordini di protezione contro gli abusi familiari). Si parla, da altro profilo, di pronunce di condanna condizionata; queste pronunce sono frutto della creazione giurisprudenziale e sono ammesse, in omaggio al criterio della economia dei giudizi, in quanto l’efficacia della condanna è subordinata al sopraggiungere di un determinato evento futuro ed incerto, o di un termine prestabilito, o di una controprestazione specifica, sempre che il verificarsi della circostanza tenuta presente non debba essere controllato da altri accertamenti di merito, in un ulteriore giudizio di cognizione, ma possa essere semplicemente fatto valere in sede esecutiva, mediante l’istituto dell’opposizione all’esecuzione. In particolare, la giurisprudenza, in maniera consolidata, ha evidenziato che la condanna condizionale non può essere concessa nel caso in cui l’evento incerto e futuro dipende da altro accertamento di merito da farsi in un altro giudizio e tra altri soggetti e nel quale il condannato condizionato rimane estraneo, con la conseguenza di poter subire pregiudizi senza avere la possibilità di difendersi. Rilevanti sono anche le forme di condanna con cognizione sommaria, con prevalente funzione esecutiva, come il decreto ingiuntivo a norma degli articoli 633 ss. cpc e l’ordinanza di convalida della licenza o dello sfratto con riserva delle eccezioni del convenuto, secondo l’articolo 665 cpc. 3. AZIONI COSTITUTIVE hanno luogo quando la lesione del diritto è sanata da una pronuncia del giudice, in cui all’accertamento consegue, senza che vi sia necessità di vincere una resistenza materiale, una modificazione della realtà giuridica. Questo potere è conferito ai giudici dall’articolo 2908 cc, secondo il quale nei casi previsti dalla legge, l’autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. 3.1. giurisdizione costitutiva necessaria = l’effetto modificativo si attua solo per il tramite dell’intervento del giudice 3.2. giurisdizione costitutiva non necessaria = l’effetto si può produrre anche con l’accordo delle parti. DIGSA DEL CONVENUTO: fino alla decisione che conclude la lite, vi sono soltanto due o più parti contrapposte, ciascuna delle quali ha pieno diritto di difesa e di tutela.Di fronte alla domanda giudiziale, il convenuto si può difendere in vari modi, di crescente intensità: può limitarsi alla mera negazione del fatto, può svolgere obiezioni di diritto, può contestare la sussistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione. PRINCIPIO DI NON CONTESTAZIONE: significa che se una delle parti afferma la verità di un fatto e l’altra non la contesta o non propone un’eccezione, il giudice non deve effettuare alcuna indagine ma ritiene per confermata quella circostanza. Non si tratta di un profilo collegato alla disponibilità della materia del contendere, che riguarda domande e non singoli fatti né di un criterio di verità ma si tratta di una combinazione di un criterio di economia processuale con la responsabilità delle parti e la loro autonomia nella gestione del contenzioso. Tale principio avviene se il convenuto è presente e sta in silenzio ed opera a due condizioni: 1)la parte interessata a negare un fatto sia attivamente presente nel processo 2)la parte interessata sia in grado di avere un’opinione sulla verità del fatto che decide di non contestare Va detto, peraltro, che le norme positive impongono al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda (oltre che di proporre le eventuali eccezioni di rito o di merito non rilevabili d’ufficio, a pena di decadenza): così l’art. 167 cpc e l’art. 416 cpc. Più in specifico, l’art. 115.1 prevede che il giudice debba porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. (valenza formale) Il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato: Il primo punto è quello della disponibilità della tutela giurisdizionale cioè data una controversia e una lesione di una posizione soggettiva, la parte può decidere di richiedere la tutela giurisdizionale oppure no, rinunciando alla pretesa. L’art. 2907 cc sancisce il principio della domanda cioè il processo inizia su decisione di parte e il giudice non può iniziare il processo d’ufficio. (tranne pubblico ministero) Fa eco l’articolo 99 cpc che afferma ch chi vuole fare valere un diritto in giudizio deve proporre la domanda al giudice competente. Quindi la decisione di iniziare il processo o no spetta solo all’attore, ma una volta che il processo è iniziato entrambe le parti possono decidere di porvi fine, eventualmente disponendo delle posizioni sostanziali. Infatti secondo l’art. 306 cpc le parti possono rinunciare agli atti estinguendo il processo e questa rinunzia suppone il consenso di tutte le parti costituite. La semplice rinunzia agli atti non preclude alle parti la possibilità di riproporre in un secondo momento la domanda. Se però, oggetto di controversia sono diritti disponibili, è frequente che la rinuncia agli atti sia dovuta al fatto che le parti hanno trovato un accordo in separata sede e normalmente si tratta di una transazione che secondo l’articolo 1965 cc è un contratto con cui le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già insorta. Dalla domanda di parte scaturisce il dovere decisorio del giudice, che si esplica in tanto in quanto le parti lo hanno richiesto. Sono le parti a delimitare l’oggetto del processo e quindi il potere-dovere di decidere del giudice. Secondo gli articoli 112 cpc e 2907 cc il giudice deve pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa. Infatti l’accertamento e il giudicato si formeranno in relazione al terreno individuato dalle domande, anche riconvenzionali, e dalle eccezioni delle parti. La regola si completa con il divieto per il giudice di pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti. All’obbligo di decidere su tutta la domanda, corrisponde il vizio dell’omissione di pronuncia, mentre al dovere di non pronunciare oltre i limiti della domanda corrisponde il vizio di ultra-petizione. (non è ammesso il diniego dig iustizia = non liquet) Inoltre il giudice è chiamato a svolgere un ruolo attivo di gestione della lite, attraverso la ponderazione degli interessi. processo; il che è possibile in quanto la partecipazione attiva nel processo è una facoltà e non un obbligo. Il processo in contumacia non viola il processo del contraddittorio infatti il contraddittorio assicura l’uguaglianza formale delle parti, ossia la pari possibilità (e non quella sostanziale) come parità di livello di difesa. ONERE della prova L’accertamento presuppone l’individuazione dei fatti e la prova dei fatti lesivi. L’individuazione dei fatti è compito delle parti e rientra nel monopolio della tutela giurisdizionale cioè sono le parti, ed esse sole, a decidere quali fatti introdurre in causa. Il giudice non può né cominciare il processo da solo, né può modificare di sua iniziativa la materia del contendere, introducendo fatti nuovi. L’attività di parte, che consiste nell’introdurre fatti nel processo, prende il nome di allegazione; allegare, o dedurre i fatti, significa portarli in causa all’attenzione del giudice. Diverso, invece, è il punto della prova dei fatti allegati. L’articolo 2697 cc afferma che chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e di cui egli afferma l’esistenza; a sua volta chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti o eccepisce che il diritto non è mai sorto o si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda. Quindi l’attore deve provare i fatti costitutivi, il convenuto i fatti estintivi, impeditivi e modificativi; è questa la regola dell’onere della prova. Si parla di onere in senso tecnico cioè nessuno è obbligato a provare nulla, come nessuno è obbligato ad iniziare una lite. Se però iniziato il processo, vuole ottenere ragione, ha l’onere di dare l’opportuna dimostrazione dei fatti al giudice. L’onere della prova è una: 1. regola di giudizio = consente al giudice di evitare il non liquet e se i fatti non sono dimostrati, il giudice ne prende atto in senso contrario alla posizione di chi li doveva provare 2. regola di attività = nel senso che la parte onerata si deve dare carico di apportare al processo gli elementi idonei a dimostrare i fatti di suo interesse, nella consapevolezza che, diversamente, la sua tesi, contenuta nella domanda o nell’eccezione, non potrà essere accolta La distribuzione dell’onere della prova appartiene al diritto sostanziale perché, in un certo modo, rappresenta un modo di essere del rapporto giuridico in questione. A conferma, si noti che le parti possono accordarsi, sul piano del diritto materiale e fuori dal processo, per disciplinare in modo diverso l’onere della prova. La legge non proibisce questi accordi che invertono o modificano l’onere della prova (articolo 2698 cc) ma li rende nulli in caso di diritti indisponibili o quando l’inversione o la modificazione ha per effetto di rendere a una delle parti eccessivamente difficile l’esercizio del diritto. Negli anni più recenti, si è fatto largo in giurisprudenza il principio della prossimità della prova. Si intende, con questo, che l’onere probatorio è a carico della parte più vicina ai fatti da provare, indipendentemente dal suo interesse che la relativa dimostrazione entri in causa. Un esempio tipico si ha in materia di adempimento delle obbligazioni: la parte creditrice della prestazione è tenuta a provarne la base contrattuale, mentre spetta alla parte debitrice della prestazione provare di avere correttamente adempiuto. Porre l’onere della prova a carico di una parte o di un’altra può essere frutto di precise scelte politiche del legislatore che, in questo modo, intende facilitare il compito di una di esse. Ad esempio, l’art. 4 del d.lgs. n. 216 del 9 luglio 2003 in tema di parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, prevede che, quando il ricorrente fornisce elementi presuntivi che facciano ragionevolmente supporre l’esistenza di comportamenti discriminatori, spetta al datore di lavoro convenuto di provare l’insussistenza della discriminazione. Questa tecnica, basata sull’intervento sull’onere della prova, costituisce una forma ormai classica di sostegno alle tutele antidiscriminatorie. normalmente possono essere superate da una dimostrazione di segno opposto Impulso di parte, impulso d’ufficio e la direzione del processo: Agli occhi di un osservatore esterno il processo appare come una successione di atti scritti e udienze. Occorre quindi domandarsi chi determina la successione di queste fasi e vi sono due possibili schemi: impulso di parte o impulso del giudice. Il processo civile italiano, ad eccezione di quello davanti alla Cassazione, è retto dal principio dell’impulso di parte cioè la parte ha l’onere di mantenere in vita il processo e questa soluzione è coerente con il monopolio della tutela giurisdizionale in capo alle parti. Quindi ad ogni singolo snodo del procedimento le parti sono chiamate ad affermare la loro volontà di andare avanti ponendo in essere attività specifiche e se non lo fanno la conseguenza è l’estinzione del processo. L’estinzione del processo viene disciplinata anche dal’articolo 306 cpc che afferma che il processo può estinguersi per rinuncia agli atti del giudizio quindi le parti decidono di porre fine alla lite. In realtà il processo si estingue anche quando le parti non continuino a dare attività di impulso e in questo caso rilevano gli articoli 309 e 181 cpc che affermano che se nessuna delle parti si presenta all’udienza, il giudice fissa una seconda udienza; ove le parti non si prestino nemmeno alla seconda la causa viene cancellata dal ruolo e il processo si estingue immediatamente. L’estinzione per inattività non concerne solo il processo di cognizione ma anche quello esecutivo e quello cautelare. Rileva su questo argomento anche l’istituto della riassunzione del processo cioè in dipendenza da vari eventi procedurali, occorre talora che la parte chieda nuovamente al giudice di prendere in esame la trattazione del procedimento; non si tratta di un procedimento ex novo ma di far ripartire, dandogli nuovo impulso, un processo esistente. La riassunzione è disciplinata in via generale dall’articolo 125 cpc. Il processo davanti alla corte di Cassazione è retto invece dall’impulso d’ufficio cioè proposto il ricorso il processo prosegue fino alla sentenza, salva per le parti la facoltà di rinuncia. La direzione del processo spetta al giudice secondo l’articolo 127 cpc quindi è solo il giudice terzo, imparziale e consapevole del rapporto fra le risorse disponibili e il contenzioso da smaltire, a dettare i tempi e ad imprimere l’orientamento della trattazione; per esempio spetta al giudice fissare le udienze e stabilire quindi il ritmo del caso. Viene in gioco l’espressione anglosassone case management cioè il giudice diventa una sorta di manager della giustizia il che non significa solo dirigere la trattazione del processo ma avere la capacità di stabilire quanto tempo, energie e attenzioni si possono dedicare ad un singolo giudizio in rapporto agli altri che attendono di essere decisi. Il magistrato però non riceve nessuna formazione in questo senso infatti è un giurista che apprende in pratica come gestirsi. Si parla in questo caso di economia processuale per indicare la tendenza ad evitare inutili duplicazioni di attività e favorire la semplificazione. Rispetto al potere di direzione del processo, si configurano due modelli: il processo a struttura rigida e il processo a struttura elastica. Il sistema italiano è prevalentemente rigido, anche se non mancano norme improntate alla flessibilità. La struttura elastica del processo significa che in determinate fasi processuali il giudice può imboccare una fra più strade diverse, a seconda delle esigenze del caso concreto. Infatti l’elasticità processuale costituisce nella miglior risposta alla necessità di personalizzare il rito cioè adeguarlo il più possibile alle caratteristiche del singolo caso. In primo luogo va ricordato che l’elasticità è un modo di strutturarsi del processo cioè ha carattere di elasticità un processo il cui rito può diversificarsi a seconda dei singoli casi esaminati quindi in relazione alle specificità delle singole cause. In secondo luogo l’uso dell’elasticità è un’operazione impropria che può giustificarsi soltanto sulla base di un riferimento normativo. Questo è l’articolo 24 cost. cioè una norma che, al di là delle scelte del legislatore che privilegiano la rigidezza, permette di utilizzare l’elasticità come criterio interpretativo, strumentale all’efficace realizzazione del diritto di difesa della parti. ORALITà ECC in tutti i sistemi la trattazione del processo è caratterizzata sia da oralità che da scrittura un processo completamente orale comporterebbe problemi di documentazione e uno completamente scritto comporterebbe difficoltà di comunicazione. la citazione è un atto scritto ma è possibile anche in forma orale davanti al giudice oppure la testimonianza è solitamente orale ma in alcuni casi può essere scritta. = non c'è un criterio In linea teorica si afferma la prevalenza del principio di oralità ma di fatto sussiste una tendenza alla scrittura in quanto soprattutto i processi ad elevata difficoltà tecnica richiedono una puntualizzazione scritta. Per esempio secondo l’articolo 180 cpc la trattazione della causa è orale, ma è anche prescritto che della trattazione si rediga processo verbale; questo verbale descrive cioè che si è fatto e fa fede di quanto avvenuto. In pratica ciò che rimane dell’oralità è un sintetico riassunto scritto e le parti si assicurano che le loro prese di posizione, se importanti, vengano riportate nel verbale. Inoltre il dilemma oralità e scrittura si ripropone nella fase della discussione della causa e l’articolo 275 cpc afferma che la discussione orale è soltanto eventuale in quanto è fissata solo se richiesta dalle parti. Il processo telematico ha ad oggetto la gestione digitale del processo attraverso la dematerializzazione degli atti, quale strumento di veicolazione delle informazioni tra uffici giudiziari, avvocati ed altri professionisti. per via telematica le comunicazioni fra il giudice e le parti o delle parti fra loro, presentazioni degli atti giudiziari, emissioni di provvedimenti giurisdizionali, consultazione dello stato dei procedimenti risultante dai registri di cancelleria e il pagamento delle spese di giustizia. Nel futuro però diventa immaginabile anche un’udienza telematica in cui il confronto tra le parti e il giudice non avviene fisicamente ma con l’impiego di un personal computer. Punto di partenza è stata l’accettazione della validità del documento informatico e delle condizioni di sicurezza che lo devono accompagnare cioè le firme elettroniche; quest’ultima e la forma elettronica sono disciplinate nel codice dell’amministrazione digitale. Inoltre le trasmissioni telematiche si basano sulla posta elettronica certificata (PEC) ma l’introduzione delle modalità informatiche non incide in sé sulla struttura del processo infatti ciò che cambia è la forma espressiva e la rapidità delle GIUDICATO L’obiettivo del processo di cognizione consiste nel formarsi di un accertamento sulla controversia: si deve conoscere la risposta che l’ordinamento da alla lite. il sistema ha necessità di dare certezza e quindi l’attività giurisdizionale ad un certo punto deve arrestarsi fissandosi su un risultato. Si arriva così al giudicato ossia l’accertamento definitivo e stabile che si ha al termine del processo di cognizione. Occorre ricordare qui la regola fondamentale per cui l’esercizio dell’attività giurisdizionale si può dare una sola volta per una data controversia; una sola volta include tutti i gradi di giudizio e questo perché può esistere una sola verità legale. SIGNFICATI: 1. giudicato formale che riguarda l’incontrovertibilità di ciò che è stato deciso, con il conseguente divieto di ripetere l’accertamento e il giudizio sulla stessa causa; in base all’articolo 324 cpc si intende passata in giudicato formale la sentenza che non è più attaccabile con i mezzi di impugnazione ordinari, o perché già esperiti o perché non più esperibili, con l’effetto di impedire la proposizione di un processo identico (ne bis in idem) 2. giudicato sostanziale che è disciplinato dall’articolo 2909 cc che afferma che l’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato fa stato fra le parti, i loro eredi e aventi causa; il giudicato sostanziale è la concretizzazione della norma generale ed astratta, ossia il comando normativo dato dal giudice per quel caso concreto Il giudicato sostanziale, in quanto legge del caso concreto, prevale anche sulle variazioni legislative. Infatti se il giudice ha deciso in base alla legge applicabile in quel momento e poi la pronuncia è passata in giudicato, eventi come la successiva abrogazione o la dichiarazione di incostituzionalità della legge non travolgono gli effetti di quel giudicato. C’è solo un’eccezione quella in cui la legge successiva espressamente dispone la perdita di efficacia dei giudicati formati secondo la disciplina precedente. Bisogna ricordarsi che ciò che passa in giudicato non è la sentenza ma l’accertamento in essa contenuto in quanto la sentenza può anche pronunciarsi su profili diversi dal merito, come i presupposti processuali e le condizioni dell’azione. Mentre tutte le sentenze sono idonee a passare formalmente in giudicato, non tutte danno luogo a giudicato sostanziale, perché non tutte contengono un accertamento di merito. Il giudicato è il risultato del processo di cognizione mentre il processo di esecuzione e quello cautelare non danno luogo ad un accertamento definitivo: si può quindi parlare di giurisdizione e non di giudicato. In particolare il processo cautelare porta ad un provvedimento provvisorio mentre il processo esecutivo non conduce ad un accertamento ma ha effetti materiali. Per indicare questi effetti materiali si utilizza in dottrina l’espressione di “preclusioni pro iudicato”. LIMITI SOGGETTIVI DEL GIUDICATO Il problema dei limiti soggettivi è stabilire fra chi ha efficacia il giudicato sostanziale (ART 2909 CC) Il punto fondamentale è che il giudicato si forma e si esplica fra le parti del rapporto sostanziale a prescindere da chi abbia agito nel processo. si è distinto tra capacità di agire e legittimazione processuale: la capacità di agire secondo l’articolo 75 cpc corrisponde alla capacità di agire sostanziale infatti chi può far valere un diritto sostanziale può allo stesso tempo difenderlo in sede giudiziaria mentre la legittimazione processuale normalmente spetta a chi ha la disponibilità del diritto. Nella maggior parte dei casi il titolare del diritto, capace di agire, è la parte processuale quindi gli effetti del giudicato si producono sul titolare del diritto. L’articolo 110 cpc stabilisce che quando la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore a titolo universale. Questo schema subisce alcune variazioni nei casi di rappresentanza e sostituzione processuale. Nel caso della rappresentanza processuale, un soggetto agisce in nome e per conto di un altro, sul qual però ricadono gli effetti dell’accertamento giurisdizionale come stabilisce l’articolo 75.2 cpc. Si avrà allora: 1. rappresentanza volontaria che è basata su una procura 2. rappresentanza istituzionale che è per le persone giuridiche private o pubbliche che agiscono per mezzo del legale rappresentante 3. rappresentanza legale che è per i soggetti minori o incapaci. 4. rappresentanza legale speciale che è quella del curatore per la liquidazione giudiziale è sempre necessario verificare che chi agisce in nome e per conto del rappresentato disponga di un vero potere di rappresentanza e se così non fosse, la domanda giudiziale risulterebbe carente di una condizione dell’azione e non potrebbe essere accolta. La rappresentanza processuale va tenuta distinta dalla difesa o rappresentanza tecnica cioè la designazione di un soggetto, difensore o avvocato, abilitato in via esclusiva a compiere gli atti del processo che la parte non può compiere a causa del divieto di difendersi da sola. Un’ipotesi ancora diversa è quella regolata dall’articolo 81 cpc della sostituzione processuale cioè un soggetto è abilitato ad agire in giudizio in nome proprio ma per vantare un diritto altrui. Mentre nella rappresentanza gli LIMITI OGGETTIVI = che cosa deve ritenersi definitivamente accertata? Quindi bisogna capire ciò che è stato definitivamente accertato e ciò che è ancora possibile oggetto di dibattito. Bisogna partire dall’individuazione del profilo oggettivo dell’azione dato da petitum e dalla causa petendi e occorre individuare quindi il fatto costituivo e i fatti lesi posti a fondamento della domanda. Mentre nei diritti obbligatori il fatto costitutivo e il fatto leso coincidono nei diritti assoluti non è così. Il giudicato si dice copre il dedotto e il deducibile ossia i fatti lesivi specificati e quelli anteriori che avrebbero potuto essere introdotti in causa e non lo sono stati. Il dedotto richiama la chiarezza delle posizioni, la razionalità dell’accertamento e l’oggettività di una verità giudiziaria . Il deducibile invece porta con sé un’indefinita serie di accadimenti che avrebbero potuto essere ma non lo sono stati quindi allude a potenzialità inespresse. Il giudicato però non può coprire ciò che ancora non era deducibile cioè i fatti successivi. 1. giudicato implicito = il giudicato copre non solo l’oggetto diretto della pronuncia ma anche tutto ciò che ne rappresenta il fondamento logico-giuridico, anche se non sia stato discusso in causa; inoltre è prevalsa la tesi che le questioni pregiudiziali di merito sono coperte dal giudicato solo se, per leggo o per volontà delle parti, il giudice via abbia esteso la sua diretta cognizione. 2. giudicato esterno = decisione emessa dal giudice con forza di giudicato nella causa x, che fissa in modo stabile l’accertamento su alcuni elementi della controversia sottoposta al giudice nella successiva causa y. L’ordinamento nel suo obiettivo di dare certezza, cerca di evitare il contrasto tra giudicati cioè la situazione in cui, sullo stesso diritto si formano due accertamenti contrastanti. I mezzi per evitare questo rischio sono la revocazione ordinaria, la sospensione del processo, l’eccezione di litispendenza cioè si cerca di evitare sul sorgere che nascono due presupposti identici decisi da due giudici diversi e l’eccezione di cosa giudicata che mira a paralizzare un’azione proposto dopo il passaggio in giudicato di una data sentenza, rilevando che il giudice ha già esercitato il suo potere di ius dicere esattamente sulla medesima domanda. (unicità dell'esercizio del potere giurisdizionale = sollevabile ancha d'ufficio) Diverso è il contrasto di giurisprudenza che è affrontato dall’articolo 374 cpc in base al quale in caso di soluzioni diverse date dalle sezioni semplici della corte di Cassazione, la questione è sottoposta all’esame delle sezioni unite cioè una composizione allargata e più autorevole della stessa Cassazione. Si ha una questione di giurisdizione quando, nel corso del processo, sorge un contrasto fra le parti o si manifesta un diverso punto di vista del giudice circa la sussistenza o no della giurisdizione in capo all’organo adito. La giurisdizione è il primo dei presupposti processuali nel senso che il giudice, per cominciare a prendere in considerazione il caso, deve verificare di essere investito del potere di deciderlo. Secondo l’articolo 37 cpc la questione di giurisdizione può sorgere in ogni stato e grado del processo e può essere sollevata dalle parti o d’ufficio dal giudice. Inoltre l’espressione in ogni stato e grado allude ad ogni istanza o fase processuale quindi suppone che tale questione possa essere sollevata per la prima volta anche in sede di appello o di giudizio di cassazione. In realtà alcune recenti sentenze delle sezioni unite della Cassazione hanno affermato che ogni pronuncia di merito implica di regola la preventiva verifica della potestas iudicandi da parte del giudice che l’ha emessa quindi data una sentenza di primo grado, la mancata proposizione in appello della questione di giurisdizione implica un comportamento incompatibile con la volontà di dedurre il difetto di giurisdizione e ciò suppone la formazione del giudicato sul punto della giurisdizione e ne preclude sia la proponibilità sia la rilevabilità d’ufficio in Cassazione. La Cassazione ha corretto praeter legem l’interpretazione dell’articolo 37 cpc affermando che la rilevabilità del difetto di giurisdizione, anche d’ufficio e in qualsiasi stato e grado del giudizio, deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo con la conseguenza che il rilievo officioso della giurisdizione è permesso soltanto fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato.ogni giudice di merito ha il potere di decidere sulla propria giurisdizione. Tuttavia potrebbero sorgere dei conflitti positivi o negativi di giurisdizione quindi in via definitiva la decisione deve spettare ad un solo organo individuato nella Cassazione a sezioni unite. può riguardare l’ambito interno cioè i rapporti fra giudice ordinario e giudici speciali o i conflitti di attribuzione tra il giudiziario e pubblica amministrazione oppure può riguardare l’ambito internazionale o quello dei rapporti con ordinamenti speciali (ordinamento canonico). quello stabilito con un accordo tra le parti. Si deve ricordare però che non sempre viene determinata una sola giurisdizione abilitata a conoscere della controversia ma talora vi sono casi di concorso fra giurisdizioni. L’interpretazione di queste norme è affidata alla Corte di Giustizia che può essere investita della questione in via pregiudiziale dai giudici nazionali secondo il meccanismo previsto dall’articolo 267 TFUE. INTERNAZIONALE rgge 218/1995 1. controversia nazionale = quella priva di qualsiasi rilevante elemento di estraneità con il nostro ordinamento e che dà vita ad un giudicato con effetti solo in Italia 2. controversia internazionale = quella caratterizzata da un elemento di estraneità la cui decisione è destinata a produrre effetti, non esclusivamente, nell’ordinamento italiano per esempio azione obbligatoria tra un italiano e uno straniero residente in Italia oppure un’azione risarcitoria tra due cittadini italiani entrambi residenti in Italia per un fatto illecito verificatosi all’estero 3. controversia estera o straniera = quella controversia che pur avendo qualche elemento di collegamento con l’ordinamento italiano dà vita ad un giudicato inidoneo a produrre effetti in Italia 4. controversia transnazionale = ogni controversia che interessa due o più ordinamenti quindi sono ricomprese sia le controversie internazionali sia quelle che riguardano più di un ordinamento Secondo l’articolo 3.1 la giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’articolo 77 cpc e negli altri casi in cui è prevista dalla legge. Quindi non viene dato nessun rilievo alla cittadinanza infatti quando si parla di residenza o domicilio si intende l’esistenza di un legame tendenzialmente stabile della persona fisica o giuridica con il territorio italiano.C2: disposizioni drla convenzione di Bruxelles del 1968 sussiste giurisdizione italiana nei confronti di un convenuto domiciliato ovunque nel mondo quando sussiste uno dei criteri stabiliti dalla sezione 2, 3 e 4 del titolo II della convenzione. = in materia contrattuale, l’obbligazione dedotta in giudizio debba essere eseguita in Italia o in materia di fatto illecito, qualora l’evento dannoso sia avvenuto nel territorio nazionale o quando si tratta di azione promossa da un consumatore domiciliato nella repubblica. L’articolo 3 richiama tra le norme della convenzione tutte quelle che contengono forme di tutela per l’effettività della difesa delle parti ritenute più deboli come lavoratori dipendenti, consumatori e assicurati. Queste norme individuano come competente la giurisdizione del luogo in cui è domiciliata la parte più debole anche quando è questa a farsi attrice. La legge 218/1995 introduce il criterio della accettazione e della deroga convenzionale alla giurisdizione italiana stabilito dall’articolo 4 che pone come criterio normale quello della derogabilità pattizia della giurisdizione. Il comma 1 dell’articolo 4 allarga l’ambito della giurisdizione nazionale estendendola a tutte quelle situazioni in essa sia stata convenzionalmente accettata dalle parti purché se ne possa dare prova scritto ovvero il convenuto compaia nel processo senza eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo. In questo modo la giurisdizione italiana si pone al servizio della risoluzione di una lite non altrimenti collegata con il territorio e con l’ordinamento giuridico della repubblica se non dalla volontà delle parti (deve risolvere una controversia estera). Il comma 2 dell’articolo lascia, al contrario, piena libertà a coloro che sarebbero attratti nella sfera della giurisdizione italiana di scegliere un giudice di un altro Stato o un arbitro straniero e in questo caso l’accordo derogatorio deve essere provato per iscritto ma deve anche riguardare diritti disponibili. il comma 3 dell’articolo prescrive che la deroga è inefficacie se il giudice o gli arbitri indicati declinano la giurisdizione o non possono conoscere la causa. Bisogna ora analizzare i criteri speciali di giurisdizione e l’articolo 5 pone un criterio negativo escludendo in ogni caso la giurisdizione italiana rispetto alle azioni reali aventi ad oggetto beni immobili situati all’estero. Inoltre l’articolo 10, in materia cautelare, afferma che la giurisdizione italiana sussiste quando il provvedimento deve essere eseguito in Italia o quando il giudice italiano ha giurisdizione nel merito. Infine l’articolo 9 si occupa della giurisdizione volontaria e afferma che la giurisdizione italiana sussiste quando il provvedimento richiesto concerne un cittadino italiano o una persona residente in Italia o quando riguarda rapporti o situazioni a cui è applicabile la legge italiana. Il sistema si completa con le norma sul riconoscimento delle sentenze straniere che escludono il riesame nel merito e limitano i casi di non riconoscimento a situazioni di gravi violazioni di regole processuali fondamentali e/o diritti umani. Bisogna definire il concetto di forum necessitatis con il quale si intende che la fondata prognosi di una violazione grave dei diritti di difesa nello stato estero può consentire al giudice italiano, privo di giurisdizione, di accettare di conoscere la causa al fine di rendere una decisione non coercibile nel paese formalmente dotato di giurisdizione ma opponibile previo riconoscimento, negli altri paesi con significativi effetti di protezione patrimoniale. tra i giudici dello stesso tipo ha la competenza per la controversia (criterio meno importante). Per indicare un organo giudiziario in rapporto alla sua competenza territoriale la legge usa l’espressione foro quindi si dice foro del convenuto se si vuole indicare che è competente il giudice del luogo dove risiede il convenuto o foro dell’obbligazione per riferirsi al giudice del luogo con il quale è collegato il rapporto obbligatorio. In generale è competente il giudice del luogo dove il convenuto ha la residenza o il domicilio (eventualmente la mera dimora) infatti posto che è il convenuto a subire l’iniziativa giudiziaria, il legislatore ritiene di doverlo maggiormente garantire. Solo quando il convenuto non ha collegamenti con nessun luogo del territorio nazionale si usa il criterio residuale del luogo dove risiede l’attore. Se convenuta è una persona giuridica o un’associazione riconosciuta, è competente per territorio il giudice del luogo della sede non solo legale ma anche amministrativa e operativa (articolo 18 e 19 cpc). Tuttavia è possibile radicare la causa anche altrove se, come spesso accade, la legge processuale stabilisce più criteri di collegamento tra la controversia e il luogo; si parla in questo caso di fori concorrenti. Un esempio è quelle delle cause relative a diritti di obbligazione infatti secondo l’articolo 20 cpc, oltre a quello della residenza o della sede, è competente anche il giudice del luogo in cui è sorta o deve estinguersi l’obbligazione dedotta in giudizio. Invece si parla di foro esclusivo quando la legge prevede un solo criterio di collegamento tra la controversi e il territorio per esempio l’articolo 21 cpc concentra la competenza nelle cause relative ad immobili in capo al giudice del luogo dove ha sede l’immobile oppure l’articolo 22 cpc collega normalmente le cause ereditarie al luogo dove si è aperta la successione. Inoltre l’articolo 23 cpc impone a soci e condomini di radicare le cause tra loro, nonché quelle tra condomini e condominio, nel luogo dove ha sede la società o il condominio oppure l’articolo 24 cpc attribuisce la competenza per le cause relative alle gestioni tutelari e patrimoniali al giudice del luogo di esercizio della tutela o dell’amministrazione. La competenza per territorio può normalmente essere derogata dalle parti e si tratta di un principio che risponde alla fiducia che il legislatore ripone in tutti i suoi giudici in qualunque parte del territorio nazionale si trovino ad operare. La regola è poi coerente sul piano internazionale ed europeo con le norme che, nella moderna società globalizzata, permettono in modo sempre più ampio di portare la lite davanti a giudici diversi da quelli dell’ordinamento o degli ordinamenti in cui la decisione avrà effetto. Secondo l’articolo 29 cpc (pactum de foro prorogando) la competenza per territorio può essere modificata dalle parti, anche se il foro è esclusivo, in base a patto scritto anteriore alla controversia o a controversia già insorta. Nel primo caso ossia quando il patto è anteriore alla controversia il codice circonda la scelta delle parti con qualche tutela ossia l’accordo deve riferirsi ad uno o più affari predeterminati, deve risultare da atto scritto e non attribuisce al giudice designato competenza esclusiva quando ciò non è espressamente stabilito. La seconda ipotesi cioè il patto avviene a controversia già insorta si ha quando l’attore radica la competenza in un foro diverso da quelli consentiti dalla legge e il convenuto non eccepisce l’incompetenza che rimane fissata quindi l’accordo sulla modifica della competenza si forma per modo implicito come conseguenza del comportamento inconcludente del convenuto. Vi sono casi in cui la competenza per territorio non può essere derogata con l’obiettivo di garantire la parte più debole o di assicurare precise esigenze di ordine pubblico. Queste ipotesi sono elencate dall’articolo 28 cpc in cui alcune vengono tassativamente precisate mentre per altre vi è un rinvio a specifiche disposizioni di legge. Quelle espressamente indicate dalla norma sono i casi di esecuzione forzata e della relativa opposizione, i procedimenti cautelari, possessori e i procedimenti in camera di consiglio. L’articolo continua dicendo che la competenza è inderogabile per ogni altro caso in ci l’inderogabilità sia disposta per legge e fra queste ipotesi importante è la disposizione sull’inderogabilità della competenza territoriale nel rito del lavoro e quella sul foro del consumatore. Infatti in base all’articolo 33 del codice del consumo nel contratto concluso tra professionista e consumatore si presumono vessatorie le clausole che hanno per oggetto o per effetto quello di stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore (clausole vessatorie sono nulle di diritto). l’articolo 25 cpc che afferma che per le cause nelle quali è parte un’amministrazione dello stato, è competente il giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’avvocatura dello stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie. Altra norma speciale è l’articolo 30bis cpc che afferma che nelle cause in cui sono parti i magistrati si sposta la competenza ad un foro diverso da quello del distretto dove il magistrato esercita le proprie funzioni. è competente ad accertare anche il rapporto pregiudiziale, deve spogliarsi della competenza a decidere il rapporto pregiudicato infatti l’intero processo passa al giudice competente a conoscere il rapporto pregiudiziale (la causa pregiudicata segue quella pregiudiziale). Per distinguere i casi in cui l’accertamento è solo incidentale o deve acquisire efficacia di giudicato occorre risalire al principio della domanda cioè il giudice è chiamato ad accertare ciò che le parti hanno chiesto e non altro. A volte può accadere che sia la legge ad imporre l’accertamento con efficacia di giudicato e ciò accade per esempio nei rapporti di stato: se la qualità di parente viene in gioco per stabilire l’obbligo o no di versare gli alimenti non è possibile esaminarla solo incidentalmente ma bisogna dimostrare il rapporto di parentela. COMPENSAZIONE E DOMANDA RICONVENZIONALE: Non molto diverso è il meccanismo previsto per il caso di compensazione infatti l’articolo 35 cpc afferma che quando è opposto in compensazione un credito che è contestato ed eccede la competenza del giudice adito, questi normalmente rimette la causa al giudice superiore (applicando il meccanismo dell’articolo 34). Solo se la domanda è fondata su un titolo non controverso o facilmente accertabile, può decidere su di essa e rimettere le parti al giudice competente per l’esame della sola eccezione di compensazione. Il fenomeno della domanda riconvenzionale è disciplinato dall’articolo 36 cpc e il meccanismo è analogo a quello dell’accertamento incidentale: se, proposta dall’attore una certa domanda, il convenuto spiega una domanda riconvenzionale (connessa per l’oggetto o titolo alla domanda principale) che deve essere decisa per materia o valore da un altro giudice, l’intera materia del contendere viene portata dinanzi a questo giudice. L’effetto di spostamento della competenza è una conseguenza solo eventuale della proposizione della domanda riconvenzionale infatti nella maggior parte dei casi quando il giudice è competente sia per la domanda principale che per quella riconvenzionale, l’effetto della domanda riconvenzionale è solo quello di ampliare la materia del contendere. CONNESSIONE E CUMOLO DI CAUSE: Bisogna considerare gli articoli 31, 32, 33, 40 e 103 cpc che definiscono la connessione oggettiva o cumolo soggettivo e gli articoli 104 e 105 cpc che definiscono la connessione soggettiva o cumolo oggettivo. L’articolo 31 cpc stabilisce che quando una causa è accessoria ad un’altra, le due siano decise nello stesso processo della causa principale infatti la domanda accessoria può essere proposta al giudice territorialmente competente per la domanda principale affinché sia decisa nello stesso processo, osservata quanto alla competenza per valore la disposizione dell’articolo 10 cpc. La domanda si qualifica accessoria quando, pur avendo petitum e causa petendi autonomi, rappresenta una conseguenza logica e giuridica della domanda formulata nella causa principale. L’articolo 32 cpc definisce la domanda di garanzia e afferma che essa può essere proposta al giudice competente per la causa principale affinché sia decisa nello stesso processo ma se eccede la competenza per valore del giudice adito, comporta il passaggio di entrambe le cause, quella principale e quella di garanzia, al giudice superiore. La domanda di garanzia è la domanda con la quale una parte fa valere il suo diritto sostanziale di essere garantita da un terzo e si distingue fra: 1. garanzia propria = quando l’obbligo principale e quello di garanzia sono fondati sul medesimo titolo o su titoli connessi 2. garanzia impropria = quando l’obbligo principale e quello di garanzia sono fondati su titoli diversi o solo occasionalmente connessi In queste ipotesi si verifica la connessione oggettiva che si verifica quando due o più azioni hanno in comune uno o entrambi gli elementi oggettivi che sono petitum e causa petendi. L’effetto della connessione oggettiva è quello di modificare la competenza per territorio infatti l’articolo 33 cpc afferma che le cause contro più persone che a norma degli articoli 18 e 19 cpc devono essere proposte davanti a giudici diversi, se sono connesse per l’oggetto o per il titolo possono essere proposte davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una di esse, per essere decise nello stesso processo. Quindi si forma un cumolo soggettivo nel senso che più parti, che avrebbero dovuto essere convenute dinanzi a fori diversi, sono citate insieme davanti allo stesso foro. La connessione soggettiva è più debole e si verifica quando due o più azioni hanno in comune solo le parti. In questo caso rileva l’articolo 104 cpc che permette che più domande non altrimenti collegate se non per il fatto che sono proposte contro la stessa persona, possono essere proposte nello stesso processo. Tuttavia secondo l’articolo 10.2 cpc tali domande si sommano tra loro e gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione si sommano con il capitale. Si forma così un cumolo oggettivo (più domande verso la stessa persona) ma la proposizione congiunta di queste domande è possibile solo se la competenza per ogni azione individua il medesimo foro. Quindi questi articoli si occupano di stabilire le regole per cui più cause possono essere promosse fin dall’inizio dinanzi allo stesso organo mentre l’articolo 40 cpc si occupa dell’ipotesi in cui più cause connesse sono proposte dinanzi ad organi giudiziari diversi e si preoccupa di facilitare la riunificazione in un solo processo di cause avviate separatamente attraverso il criterio della prevenzione. Il giudice-organo: Gli organi giudiziari civili nel sistema italiano sono indicati dall’articolo 1 del regio decreto 30 gennaio 1941 numero 12 sull’ordinamento giudiziario; essi sono giudice di pace, tribunale ordinario, tribunale per i minorenni, la corte di appello e la corte di cassazione. I giudici di pace sono magistrati onorari mentre sono giudici di carriera i componenti degli altri uffici giudiziari; il reclutamento dei magistrati avviene mediante concorso, i vincitori assumono il grado di magistrati ordinari tirocinanti e prima di essere assegnati alle funzioni in una determinata sede seguono un periodo di tirocinio pratico. I giudici organo possono avere: 1. composizione monocratica quando decide un solo giudice 2. composizione collegiale quando decidono più giudici La scelta fra il modello di giudice monocratico o giudice collegiale è difficile infatti il giudice collegiale offre più garanzie cioè la decisione è frutto di un dibattito fra più persone in cui l’esperienza dei colleghi più navigati può agevolare la scelta dei magistrati più giovani ma suppone l’impegno di più giudici per una sola controversia mentre il giudice monocratico è più esposto al rischio di errori ma assicura maggiore efficienza. Il modello italiana del codice di rito del ‘42 prevedeva giudici monocratici per le controversie di minor valore (uno onorario come il conciliatore prima e il giudice di pace poi, e un togato come il pretore) invece il tribunale e la corte di appello operavano collegialmente. Entrambi gli organi collegiali conoscevano la figura del giudice istruttore, un magistrato singolo a cui era affidata la trattazione della causa che poi ritornava sul tavolo del collegio al momento della decisione finale o per taluni incombenti di particolare rilevanza. All’interno del collegio nella maggior parte dei casi, soltanto il giudice istruttore aveva una completa conoscenza della causa finendo con il fare prevalere la propria opinione su quella degli altri componenti La varie riforme hanno decisamente optato a favore del giudice monocratico e ciò è avvenuto in primo luogo con l’ampliamento delle funzioni del pretore e poi con l’abolizione delle preture accompagnata dalla previsione della composizione monocratica del tribunale. Ora la normalità è il giudice monocratico che sono sia il giudice di pace che il tribunale anche quando giudice in sede di appello contro le sentenze del giudice di pace (articolo 50ter cpc) mentre hanno composizione collegiale la corte di appello in sede di appello (articolo 350 cpc) e in altre sedi, il tribunale nei casi dell’articolo 50bis cpc e la corte di cassazione. Il tribunale quando opera collegialmente decide nella composizione di 3 membri mentre in composizione monocratica è costituito da un magistrato che abbia esercitato la funzione giurisdizionale per non meno di 3 anni, in modo di garantire ai cittadini un sufficiente grado di esperienza. L’articolo 50bis cpc elenca i compiti residualmente affidati al tribunale in composizione collegiale: cause in cui è obbligatorio l’intervento del pubblica ministero, quelle in materia concorsuale e societaria, quelle devolute alle sezioni specializzate, quelle relative ad alcuni aspetti delle successioni testamentarie e quelle concernenti la responsabilità dei magistrati. Inoltre la composizione collegiale è stabilita da singoli disposizioni come quella per la decisione sulla querela di falso o sulle azioni collettive risarcitorie. I tribunali sono normalmente articolati in più sezioni e i giudici destinati a ciascuna sezione non possono essere meno di cinque per consentire la formazione dei collegi. Le sezioni costituiscono una forma puramente interna di divisione del lavoro e la ripartizione delle cause fra le diverse sezioni non riguarda solo la distinzione tra civile e penale ma all’interno di questi due settori comporta una sorta di specializzazione dei giudici. Di grande rilievo è il ruolo del presidente del tribunale che, sotto il profilo amministrativo è il capo dell’ufficio giudiziario e che ha il compito di distribuire il lavoro alle singole sezioni. Anche le sezioni sono dotate di un presidente che sorveglia l’andamento dei servizi di cancelleria ed ausiliari, distribuisce il lavoro fra i giudici e vigila sulla loro attività curando anche lo scambio di informazioni sulle esperienze giurisprudenziali all’interno della sezione. Come il tribunale pula Corte d'appello ò essere articolata in sezioni fra le quali una incaricata esclusivamente delle controversie in materia di lavoro, di previdenza e assistenza obbligatorie. La struttura della corte prevede sempre anche una specifica sezione per i minorenni ed eventualmente quella che funziona da tribunale regionale della acque pubbliche. Sul piano territoriale sono previste sezioni distaccate di corte di appello. La principale competenza della corte di appello è quella di decidere sugli appelli proposti contro le sentenze dei tribunali che si trovano all’interno del distretto. Vi sono tuttavia alcune materie in cui la corte giudica in unico grado come il riconoscimento delle sentenze straniere e quello dei lodi esteri e per le opposizioni alla stima in materia di espropriazione per pubblica utilità. il sistema italiano della giustizia civile si caratterizza per la regola del doppio grado di giurisdizione di merito in base alla quale è normativamente previsto un duplice livello di decisione sulla materia oggetto di causa, prima dell’eventuale giudizio di legittimità in Cassazione. Queste scelta risponde ad un’esigenza di garanzia ma comporta un aggravio di mezzi e strutture. Gli articoli 52 e 42 della legge sul’ordinamento giudiziario prescrivono la costituzione di una corte di appello nel capoluogo di ciascun distretto ed un tribunale ordinario nel capoluogo di ciascun circondario. Tendenzialmente i distretti di corte di appello coincidono con il territorio amministrativo di ciascuna regione mentre i circondari di tribunale coincidono con il territorio delle provincie. Questa soluzione ha patito a lungo molte eccezioni e troppi uffici giudiziari affollavano il territorio. Si arrivò così alla soppressione di numerosi tribunali minori, di tutte le sezioni distaccate di tribunale e un numero cospicuo di uffici del giudice di pace. Un altro problema che si deve affrontare è quello di migliorare il lavoro delle uffici giudiziari. La prima soluzione che si sta cercando di percorre è quella di un maggiore impegno degli strumenti informatici; si tratta del cosiddetto processo civile telematico che favorisce la semplificazione di alcune attività con significativo risparmio di costi. Un secondo aspetto è quello di dotare magistrati di collaboratori che sotto la loro direzione li possano efficacemente coadiuvare. La differenza sta nel fatto che i giudici non di carriera accedono alle funzioni giudiziarie per nomina e non per concorso, senza che si instauri un rapporto di servizio di pubblico impiego. Quindi i giudici onorari fanno parte dell’ordine giudiziario ma non sono incardinati nella struttura burocratico-gerarchica cui appartengono i magistrati di carriera ed esercitano le funzioni giudiziarie in via non esclusiva ed a tempo determinato. Non è invece elemento identificativo la gratuità dell’incarico che storicamente caratterizzava le funzioni giudiziarie onorarie ma che oggi è scomparsa. La presenza di giudici non di carriera trova il suo fondamento nella carta costituzionale infatti l’articolo 106.2 afferma che la legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari Si è soliti parlare di ausiliari del giudice per indicare le figure che, come il cancelliere e l’ufficiale giudiziario, sono stabilmente chiamate a svolgere funzioni specifiche accanto a quelle propriamente giurisdizionali dei magistrati e questi soggetti ricevono compiti direttamente dalla legge. Invece è più opportuno parlare di ausiliari per le figure che cooperano con il giudice episodicamente per esempio i custodi, i consulenti tecnici, i traduttori e gli interpreti infatti in questi casi la nomina viene fatta dal giudice in relazione a dati specifici incarichi. Il cancelliere è il primo collaboratore del giudice e le sue funzioni sono riassunte da due norme generali cioè gli articoli 57 e 58 cpc. Il cancelliere documenta a tutti gli effetti, nei casi e nei modi previsti dalla legge, le attività proprie, quelle degli organi giudiziari e delle parti. Inoltre assiste il giudice in tutti gli atti dei quali deve essere formato processo verbale e quando il giudice provvede per iscritto, il cancelliere stende la scrittura e vi appone la sua sottoscrizione dopo quella del giudice. Infine il cancelliere attende al rilascio di copie ed estratti automatici dei documenti prodotti, all’iscrizione delle cause a ruolo, alla formazione del fascicolo d’ufficio e alla conservazione di quelli delle parti, alle comunicazioni e alle notificazioni prescritti dalla legge o dal giudice. L’ufficiale giudiziario è ausiliario del giudice per tutte le funzioni in cui occorre mettere in atto la forza coercitiva dello stato per esempio le notificazioni e l’attività di esecuzione forzata. L’articolo 59 cpc ne riassume le funzioni affermando che l’ufficiale giudiziario assiste il giudice in udienza, provvede all’esecuzione dei suoi ordini, esegue la notificazione degli atti e attende alle altre incombenze che la legge gli attribuisce. Sia il cancelliere che l’ufficiale giudiziario sono soggetti a responsabilità civile in alcune ipotesi limitate indicate dall’articolo 60 cpc: 1. quando senza giusto motivo ricusano di compiere gli atti che sono loro legalmente richiesti oppure omettono di compierli nel termine che è fissato dal giudice 2. quando hanno compiuto un atto nullo con dolo o colpa grave Indipendenza delg iudice Essenziale alla stessa struttura del processo di cognizione è la terzietà del giudice che significa che il giudice non è parte e che non ha interessi, legami o condizioni strutturali che lo avvicinano più ad una parte che all’altra. Questa è garantita da due profili: l’indipendenza e l’imparzialità. L’indipendenza attiene al modo di nomina e alle condizioni di lavoro del giudice (qui inteso come persona fisica) cioè è un insieme di situazioni che rendono il giudice libero di rispondere soltanto alla legge. L’indipendenza è una condizione che consente l’imparzialità e va vista sotto diversi profili: 1. indipendenza nei confronti dell’esecutivo = la Costituzione ha cercato di assicurarla sia sancendo che i giudici sono soggetti soltanto alla legge e che la magistratura è indipendente e autonoma da ogni altro potere (art. 104 Cost.), sia instaurando un apposito organo di autogoverno dei giudici, il Consiglio superiore della Magistratura, al quale sono affidate tutte le decisioni che potrebbero compromettere la serenità di un magistrato 2. indipendenza nei confronti del giudiziario = significa che ogni giudice è vincolato solo all’osservanza della legge e non a direttive provenienti da altri giudici, che occupino posizione di vertice nell’organizzazione giudiziaria infatti il precedente funge da criterio interpretativo della legge e non va in alcun modo confuso con direttive di servizio o istruzioni operative 3. indipendenza dalle appartenenze politiche e ideologiche = il giudice non può non avere idee o non schierarsi ma è indipendente se l’esercizio delle sue funzioni non è (sensibilmente) condizionato da tale opinione ed appartenenza Un’altra caratteristica del giudice è la sua imparzialità che è l’equidistanza effettiva del giudice rispetto alle posizioni (di fatto e di diritto) e agli interessi delle parti infatti il giudice è imparziale quando non prende le parti di nessuno dei contendenti e la sua decisione discende da una comprensione oggettiva della fattispecie e da una corretta applicazione della norma giuridica. Mentre l’indipendenza ha portata generale, l’imparzialità riguarda il caso concreto. Nell’ambito della giustizia civile il dibattito sull’imparzialità è collegato essenzialmente a due aspetti: 1. ruolo del giudice nel processo = si privilegia la nozione di giudice attivo cioè un giudice, che pur non investigando direttamente i fatti, che sono soltanto quelli presentati direttamente dalle parti, dispone però di ampi poteri inquisitori finalizzati alla ricerca della verità 2. condizioni personali del giudice e il suo rapporto con le parti nella lite = sotto questo profilo si devono prendere in esame i rimedi che il codice utilizza per garantire l’imparzialità del giudice come l’astensione e la ricusazione La responsabilità civile del giudice è disciplinata dalla legge 117/1988 che afferma che nel caso in cui il giudice abbia posto in essere un atto o un provvedimento giudiziario con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni (negligenza inescusabile), o qualora vi sia stato diniego di giustizia, la parte può agire per ottenere il risarcimento dei danni subiti. L’azione di risarcimento del danno si instaura con un ricorso al Presidente del Consiglio dei Ministri. La competenza spetta al tribunale del luogo ove ha sede la corte d’appello del distretto più vicino a quello in cui è compreso l’ufficio giudiziario al quale apparteneva il magistrato al momento del fatto. La proposizione della domanda presuppone una pronuncia di ammissibilità della stessa da parte del tribunale che, sentite le parti, delibera in camera di consiglio dichiarando, con decreto motivato, l’inammissibilità dell’azione quando essa è manifestamente infondata. Se l’azione è dichiarata ammissibile, si svolge il relativo giudizio nel quale il magistrato interessato, può intervenire in ogni fase e grado del procedimento. In caso di accoglimento della domanda, lo Stato, dichiarato responsabile e condannato al risarcimento, può esercitare, entro un anno dall’avvenuto risarcimento, l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato, nella misura non superiore al terzo di un’annualità dello stipendio, salvo il caso di dolo. Costituisce colpa grave, secondo l’art. 2 della legge, la violazione manifesta della legge (italiana o europea), il travisamento del fatto o delle prove, o l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontestabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontestabilmente dagli atti del procedimento, o ancora l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione. L’art. 3bis come novellato chiarisce le circostanze che rendono manifesta la violazione della legge. Al riguardo, si tiene conto del grado di chiarezza e precisione delle norme violate e dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza. Infine, se la violazione concerne il diritto dell’Unione europea, si deve tenere conto dell’eventuale inosservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia. Nel riassetto dell’istituto, non è più radicalmente esclusa, come in precedenza, quale possibile fonte di responsabilità del magistrato, l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove. La fattispecie del diniego di giustizia, secondo l’art. 3 della legge, sussiste invece in caso di rifiuto, omissione o ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio, quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell’atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria (termine che è però prorogabile dal dirigente dell’ufficio). stabilito in base al precedente sistema delle tariffe fissate normativamente, che, in quanto limitativo del libero mercato, è stato abolito ma la remunerazione del professionista va fissata d’accordo con il cliente e l’avvocato, se richiesto, deve preventivare i costi della sua attività. In mancanza, si applicano appositi parametri stabiliti con d.m. Un punto importante è quello della responsabilità. Posto che è il difensore ad agire per la parte dinanzi al giudice, gli errori del difensore, sotto il profilo processuale, sono errori della parte infatti se per esempio, il difensore omette una certa attività in un dato termine, è la parte ad averla omessa, con ogni conseguenza sul piano della perdita dei diritti; però, sul piano del rapporto sostanziale, la parte-cliente potrà chiedere il risarcimento dei danni all’avvocato. I professionisti forensi sono obbligati per legge a stipulare polizze assicurative di responsabilità civile e a renderne note ai clienti le caratteristiche essenziali. L’articolo 2236 cc, peraltro, dispone che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il professionista intellettuale risponde dei danni solo in caso di dolo o di colpa grave. L’avvocato è chiamato a rispettare le norme della deontologia professionale verso i clienti, i colleghi e i giudici che sono tradotte in un apposito codice deontologico emanato dal consiglio nazionale forense cioè l’organo esponenziale della categoria a livello nazionale. Uno dei principali doveri dell’avvocato è quello della formazione quindi non basta avere la laurea in giurisprudenza e superato l’esame per l’accesso alla professione invece per quanto riguarda la correttezza rilevano anche l’articolo 88 cpc che ribadisce il dovere delle parti e dei loro difensori di comportarsi in giudizio con lealtà e probità e l’articolo 89 cpc che pone il divieto di usare negli scritti e nelle difese orali davanti al giudice espressioni sconvenienti e offensive. Il diritto processuale a volte si trova a dover affrontare situazioni in cui la controversia non riguarda solo due parti ma più parti Si parla di complex litigation tutte le volte che, per il numero di soggetti coinvolti, la gestione del processo assume caratteristiche peculiari. La pluralità di parti nel processo può essere: 1. originaria = il processo, a seconda dei casi, nasce o deve nascere con più parti e si parla di litisconsorzio cioè quando il processo comincia o deve cominciare con più parti 2. successiva = si parla di intervento o litisconsorzio successivo cioè le parti aumentano a processo già iniziato In base all’articolo 102 cpc il litisconsorzio necessario si ha quando la decisione non può essere pronunciata che in confronto di più parti e in tal caso queste devono agire o essere convenute nello stesso processo per esempio la domanda di divisione deve proporsi nei confronti di tutti gli eredi, o di tutti i condomini. Quindi in caso di litisconsorzio necessario oggetto della causa è un unico rapporto sostanziale con più parti. La giurisprudenza è orientata a ritenere che vi sia litisconsorzio necessario, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, solo quando la situazione sostanziale dedotta in giudizio debba essere necessariamente decisa in modo unitario nei confronti di tutti i soggetti che ne sono partecipi, per non privare la decisione dell’utilità collegata all’esperimento dell’azione proposta. Ciò avviene soprattutto quando la domanda tende alla costituzione o alla modifica di un rapporto plurisoggettivo unico, ovvero all’adempimento di una prestazione inscindibile comune a più soggetti. La mancata presenza di un litisconsorte necessario rende totalmente inesistente il rapporto processuale. Nel caso in cui il giudizio venga promosso senza la presenza di tutti i litisconsorti, cioè da alcune parti o soltanto nei confronti di alcune di esse, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti della parte dimenticata che si è soliti chiamare litisconsorte pretermesso Quindi l’ordine di integrazione del processo deve essere dato, possibilmente, ad inizio del processo (183.1 cpc) tuttavia, occorrendo, può essere dato in ogni momento successivo. Se nessuna delle parti provvede, il giudice deve prendere atto che il processo non può avviarsi e ne dichiara immediatamente l’estinzione. Se non viene percepita la necessità di integrare il contraddittorio e la sentenza passa in giudicato senza che sia rilevata la mancanza di qualche litisconsorte Così come sono state riunite, le cause possono anche essere separate e la separazione è possibile, con provvedimento del giudice, secondo l’articolo 103.2 quando, nel corso della istruzione o nella decisione, vi è istanza di tutte le parti o quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo. Così pure, il giudice può spezzare il cumulo oggettivo realizzato dall’attore per esempio si pensi al caso in cui siano cumulate, contro lo stesso convenuto, una semplice domanda di pagamento di somme e una più complessa richiesta di accertamento di una servitù (104.2 cpc). Separate le cause, il giudice che le trattava può rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza. Qui si riscontra una delle particolarità che giustificano la categoria del litisconsorzio unitario cioè le diverse cause di impugnazione della medesima delibera, una volta proposte insieme o successivamente riunite, non possono essere poi separate. L’articolo 140bis del codice del consumo introduce in Italia l’azione di classe o meglio, l’azione collettiva risarcitoria. = l’accertamento della responsabilità, la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori.Questi diritti possono essere fatti valere individualmente a prescindere da un’azione di classe proposta da altri (140bis.) ma la norma consente che siano azionati in modo collettivo. Peraltro l’azione di classe può tutelare anche interessi collettivi e qui la natura collettiva dell’azione è imposta dalla struttura dell’interesse tutelato. Sul piano sostanziale ci si trova in una delle seguenti situazioni: 1)sono in gioco i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 (condizioni generali di contratto) e 1342 cc (contratto concluso mediante moduli o formulari) 2)si discute di diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale 3)la controversia riguarda i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali Un esempio può essere quello di un’impresa mette in commercio un prodotto difettoso, in un grande numero di esemplari e molti consumatori sono danneggiati da questo difetto, anche se forse in misura modesta per ciascuno. Ognuno di essi potrebbe avviare una controversia individuale ma, nell’analisi costi- benefici, difficilmente investirebbe il tempo e il denaro necessari per un vantaggio, in definitiva, limitato. L’azione di classe unifica le forze e trasforma molti piccoli soggetti in una sola squadra, in grado di mettere in difficoltà l’impresa danneggiante mediante un solo processo. Si noti, che le singole situazioni sono fra loro omogenee (medesimo prodotto), ma non identiche (ogni consumatore ha acquistato un esemplare diverso di quel prodotto) e inoltre l’identificazione della classe avviene ex post cioè dopo l’illecito. Chi aderisce all’azione di classe, entra nella classe e ne segue le sorti infatti la sentenza che definisce il giudizio fa stato nei confronti di tutti gli aderenti. Non possono essere proposte più azioni collettive in rapporto ai medesimi fatti. Inoltre le rinunce e le transazioni
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