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Riassunto Diritto Processuale Civile., Appunti di Diritto Processuale Civile

Il presente racchiude alcuni degli argomenti più importanti, sintetizzati, della materia ''diritto processuale civile''.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 26/10/2023

Hiesm.
Hiesm. 🇮🇹

28 documenti

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Scarica Riassunto Diritto Processuale Civile. e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! DIRITTO PROCESSUALE CIVILE. FONTI NORMATIVE DEL DIRITTO PROCESSUALE CIVILE. • FONTI NORMATIVE DI RANGO PRIMARIO: 1) Il codice di procedura civile del 1940; 2) La legge del 31 maggio del 1995 n. 218 sulla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, che, in relazione al processo, riguarda: a) Le disposizioni sulla giurisdizione, che si occupano di determinare se una controversia che presenta elementi di estraneità (ad es. il convenuto nel processo non è cittadino italiano) ricada o meno nell'ambito della giurisdizione italiana (ma questa normativa è subalterna rispetto alle fonti internazionali e comunitarie); b) Le disposizioni che individuano quale sia la legge applicabile a fattispecie che presentano elementi di estraneità; c) La disciplina sul riconoscimento delle sentenze e degli atti stranieri; 3) Il d.lgs. del 4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione civile che, per alcune tipologie di controversie, ha reso l'esperimento del procedimento di mediazione condizione di procedibilità della domanda giudiziale (art. 5 d.lgs. 28/2010); 4) Il d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150, noto come decreto sulla semplificazione dei riti, che ha ricondotto i procedimenti civili di cognizione autonomamente regolati da leggi speciali ai tre riti principali previsti dal codice di procedura civile (il rito ordinario, il rito del lavoro ed il rito sommario di cognizione); 5) La legge del 28 giugno 2012 n. 92, il rito Fornero, che ha previsto un rito speciale per l'impugnativa dei licenziamenti (comma 47-69). • FONTI NORMATIVE DI CARATTERE SOVRAORDINATO: 1) La Costituzione; 2) Le fonti sovranazionali di provenienza europea: a) Le norme costituzionali che interessano da vicino la funzione giurisdizionale sono: art. 24; art. 25; art. 101; art. 102; art. 103; art. 111; b) Le fonti sovranazionali di provenienza europea sono: - CEDU, ratificata dall'Italia nel 1955, che all'art. 6, paragrafo 1, riconosce il diritto a un equo processo; - I regolamenti comunitari, che prevedono disposizioni in tema di processo civile per quelle controversie aventi ad oggetto diritti transnazionali e che sono immediatamente precettive nell'ordinamento italiano, come: a) Il regolamento 1393/2007 del 13 novembre 2007, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale; b) Il regolamento 861/2007 dell'11 luglio 2007, per le controversie di modesta entità, come modificato dal regolamento (UE) 2421/2015; c) Il regolamento 1896/2006 del 12 dicembre 2006, sul procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento, anch'esso modificato dal reg. (UE) 2421/2015; d) Il regolamento 805/2004 del 21 aprile 2004, sul titolo esecutivo europeo; f) Il regolamento 2201/2003 del 27 novembre 2003 (c.d Bruxelles Il bis), in materia di giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle sentenze straniere in materia di matrimonio e filiazione; g) Il regolamento 44/2001 del 22 dicembre 2000, sulla competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; h) Il regolamento 1346/2000 del 29 maggio 2000, in tema di insolvenza transfrontaliera. Le norme di rango primario devono essere compatibili con le fonti normative di carattere sovraordinato. - DIRITTO PROCESSUALE CIVILE. Esso riguarda il complesso delle norme giuridiche che, in un determinato Stato, regola lo svolgimento dei procedimenti mediante i quali si attua concretamente la giurisdizione, la quale costituisce una delle tre funzioni dello Stato (le altre due sono quella legislativa e quella esecutiva). Esso ha per oggetto la tutela dei diritti soggettivi, che trova concreta attuazione attraverso l'attività giurisdizionale. Inoltre, ha carattere secondario (o strumentale), rispetto al diritto sostanziale, in quanto serve a realizzare l’assetto dei diversi diritti come delineato dalle norme sostanziali (anche dette, per questa ragione, norme primarie). In breve, il diritto sostanziale viene realizzato attraverso l'intervento del giudice, il quale si realizza all'interno del processo civile. - PROCESSO CIVILE. Esso rappresenta, invece, lo strumento attraverso il quale viene posta in essere la funzione giurisdizionale. Esistono due diverse forme nelle quali si esplica la GIURISDIZIONE CIVILE: 1. GIURISDIZIONE CONTENZIOSA. Essa riguarda l'esercizio dell'attività giurisdizionale per garantire la tutela dei diritti soggettivi per eliminare il conflitto, nel caso in cui a delle situazioni giuridiche attive (ad es. diritti, poteri, facoltà), corrispondono situazioni giuridiche passive (ad es. doveri, obblighi, oneri). Ha natura di tipo SOSTITUTIVA, in quanto l’intervento del giudice dà attuazione alle residua la possibilità che il diritto di azione venga sottoposto ad alcune limitazioni: è quella che si definisce ‘’giurisdizione condizionata’’ in quanto, il diritto di adire il giudice è stato subordinato, per espressa previsione legislativa, ad alcune condizioni. In questi casi la Corte costituzionale è chiamata a compiere una valutazione che riguarda la ragionevolezza della limitazione posta dal legislatore ordinario, anche in rapporto ad altri principi sempre di rango costituzionale; 2. La garanzia del diritto di difesa (art. 24, 2° comma, Cost.). Esso, invece, riconosce e tutela espressamente il principio del contraddittorio. Inoltre, sancisce anche il diritto alla ‘’difesa tecnica’’, ossia il diritto di potersi avvalere di un intermediario qualificato da un punto di vista professionale (avvocato), al fine di far valere le proprie ragioni dinanzi all'organo giudiziario. Il 3° comma, in più, avvalora la tesi stabilendo che: ‘«sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione». ART. 25 COST.一 LA PRECOSTITUZIONE DEL GIUDICE PER LEGGE. Detta garanzia implica che sia esclusivamente la legge a dettare i criteri in base ai quali individuare, prima dell'avvio del giudizio, il giudice competente, inteso sia come tribunale (giudice in composizione collegiale), sia come singolo (giudice in composizione monocratica). ART. 111 COST.一 LA GARANZIA DEL GIUSTO PROCESSO. Fondamentali per il processo civile sono i commi 1, 2, 6, 7 e 8: ● 1° COMMA, COST. — «La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge». La garanzia costituzionale del giusto processo può dirsi rispettata solo se ricorrono questi due fattori: 1) Il processo deve essere strutturato, nel suo complesso, in modo tale che l'accertamento (che il giudice pone a fondamento della propria decisione) sia il più possibile conforme alla realtà dei fatti (la c.d. verità materiale); 2) Quando il processo è fornito degli strumenti che sono in grado di far conseguire, alla parte che ha richiesto la tutela giurisdizionale e che ha ottenuto il riconoscimento del proprio diritto, tutto quello che le era stato attribuito astrattamente sul piano sostanziale; ● 2° COMMA, COST. — «Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata». Il giudice, se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, deve assegnare alle parti, a pena di nullità, un termine per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione. In attuazione del principio della ragionevole durata, invece, è stata emanata la c.d. Legge Pinto (1. 24 marzo 2001, n. 89) che disciplina il diritto ad una riparazione per il pregiudizio derivante dall'eccessivo protrarsi del processo civile; ● 6° COMMA, COST. — «Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati». La motivazione dei provvedimenti rappresenta un requisito indispensabile per poter ricostruire il percorso logico affrontato dal giudice per la decisione. Nello stesso tempo, la motivazione consente di verificare che la decisione corrisponda ai canoni oggettivi del diritto e della ragione e, quindi, che il giudice non abbia risolto la controversia in base a delle proprie intuizioni personali. Oltretutto, la motivazione è fondamentale per le parti, in special modo per quella soccombente che, presa visione della motivazione, può decidere se sottoporre la decisione all'esame di un giudice superiore attraverso le impugnazioni; ● 7° COMMA, COST. — «Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra». ● 8° COMMA, COST. — «Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione». ART. 113 COST.— DECISIONI SECONDO EQUITA’. ● 1° COMMA, C.P.C. — «Nel pronunciare sulla causa, il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità». E’ la stessa legge che riconosce al giudice la possibilità di ricercare in principi o in valori etici o sociali (oggettivamente individuabili) la regola non scritta a cui fare riferimento per la decisione nel caso concreto. Tale principio, tuttavia, soggiace a delle eccezioni, una delle quali è quella enunciata nella parte iniziale del 2° comma, ove è detto che: “il giudice di pace decide secondo equità”. LA GIURISDIZIONE CONDIZIONATA. Essa ha luogo quando il diritto di azione è subordinato ad alcune condizione. Qualora ciò accada, il problema principale diviene quello di stabilire se questa limitazione sia o meno compatibile con la garanzia costituzionale sancita dall'art. 24, 1° comma, Cost. In questi casi, la verifica compiuta dalla Corte costituzionale attiene alla ragionevolezza della limitazione al diritto di azione, anche in rapporto ad altri principi di rango costituzionale. Nell'ambito della GIURISDIZIONE CONTENZIOSA, si distinguono tre forme di tutela giurisdizionale dei diritti. Ciascuna di esse ha una propria funzione e, di conseguenza, una finalità che la differenzia rispetto alle altre. Queste 3 forme sono: 1. TUTELA DI COGNIZIONE (o dichiarativa). Ha come scopo quello di ottenere certezza in ordine all'esistenza o all'inesistenza del diritto vantato dall'attore nei confronti del convenuto. Laddove l'accertamento conduca ad un esito positivo, la sentenza, resa all'esito del processo, stabilisce un obbligo in capo alla parte convenuta. La tutela di cognizione si divide poi, a sua volta, in tre diverse species: a) la tutela di accertamento; b) la tutela costitutiva; c) la tutela di condanna; 2. TUTELA ESECUTIVA. Ha come scopo quello di conseguire l'attuazione forzata di un diritto che sia stato già accertato, tutte le volte in cui non vi sia collaborazione spontanea da parte del soggetto obbligato per la realizzazione del diritto della controparte; 3. TUTELA CAUTELARE. E’ un genere di tutela che si configura come strumentale rispetto alla tutela di cognizione, in quanto consente di ottenere un provvedimento (in genere provvisorio) che tuteli in via temporanea il diritto che la parte afferma di vantare. Nello specifico: 1. TUTELA DI COGNIZIONE. E’ quella che viene impartita attraverso il processo ordinario di cognizione. Ha come funzione tipica e specifica quella di risolvere la controversia insorta tra due o più parti, dichiarando, al termine del processo di cognizione, quale è la regola di condotta cui le parti debbono uniformarsi in relazione al bene della vita che ha costituito oggetto del processo stesso. Ha come scopo fondamentale quello di conseguire una certezza giuridica in ordine all'esistenza o all'inesistenza del diritto che l'attore ha vantato nei confronti del Come si è visto, la classificazione delle azioni di cognizione si basa sul tipo di pronuncia che viene richiesta al giudice. Si è visto inoltre che la tutela di cognizione si divide poi, a sua volta, in tre diverse species: 1. la tutela di accertamento; 2. la tutela costitutiva; 3. la tutela di condanna. Analizzando le azioni e le pronunce punto per punto, abbiamo: 1. TUTELA DI ACCERTAMENTO. 1.1) AZIONE DI ACCERTAMENTO: ha come finalità quella di rendere certa l'esistenza o il modo di essere di un diritto o di un rapporto giuridico (accertamento positivo o negativo). L’OGGETTO di tale tutela sono: - I diritti reali di godimento e i diritti assoluti (es. diritto di proprietà); - I rapporti giuridici complessi, soprattutto se di durata (es. locazione o lavoro subordinato). In relazione all'oggetto, l'azione di accertamento incontra due limiti: — E’ dubbia la possibilità di ritenere ammissibili le azioni di mero accertamento per i diritti relativi, cioè quelli che hanno ad oggetto una specifica prestazione da parte di un determinato soggetto; — L’azione di accertamento deve vertere su di un diritto o su di uno status, non può mai riguardare l'esistenza o l'interpretazione di una norma giuridica, né un mero fatto slegato dall'esistenza a monte di un rapporto giuridico. 1.2) PRONUNZIA DI MERO ACCERTAMENTO. 1. ACCERTAMENTO POSITIVO: attraverso questa azione la parte chiede che sia fatta certezza in ordine all'esistenza di un diritto o di un rapporto giuridico, oppure circa il modo di essere di un determinato diritto; 2. ACCERTAMENTO NEGATIVO: attraverso questa azione la parte che vi abbia interesse agisce per vedere dichiarato che non esiste il diritto da altri vantato. Benché nel nostro sistema manchi una disposizione in merito ad un termine di prescrizione cui assoggettare la proponibilità dell'azione di mero accertamento, si ritiene che questa azione non sia soggetta a termini di prescrizione, se non nei casi previsti espressamente dalla legge. 2. TUTELA COSTITUTIVA. 2.1) AZIONE COSTITUTIVA: è quell'azione che può condurre alla nascita di un diritto o di uno status, oppure alla modificazione o all'estinzione di un diritto o di un rapporto giuridico preesistente. Essa trae il suo fondamento dall'art. 2908 c.c., in base al quale il giudice, nei casi previsti dalla legge, può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. Essa è dunque volta ad ottenere un provvedimento giurisdizionale munito di effetto creativo, modificativo o estintivo della realtà giuridica sostanziale. La caratteristica principale di questo tipo di azione è la tipicità, nel senso che essa è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge (con efficacia ex nunc e, nei casi stabiliti dalla legge, ex tunc). Es. l'art. 2932 c.c., nel caso di inadempimento dell'obbligo di concludere un contratto, consente la pronunzia di una sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso; Es. l'art. 1441 ss. c.c., relativo all'azione di annullamento del contratto. Il soggetto esercita l'azione costitutiva attraverso la domanda giudiziale. Nel processo, il giudice verifica se sussistono i presupposti della modificazione giuridica richiesta e, in caso affermativo, emette la sentenza costitutiva. 2.2) SENTENZA: rappresenta, in via esclusiva, il titolo dell'effetto giuridico che si produce dal momento del passaggio in giudicato della sentenza stessa. In base al carattere disponibile o indisponibile del rapporto giuridico sottoposto a modificazione, le azioni costitutive si dividono in: 1. AZIONI NECESSARIE: attengono ai diritti indisponibili e sono volte a produrre una modificazione giuridica esclusivamente per mezzo del provvedimento giudiziale e solo a seguito dell'accertamento dei presupposti di legge cui è subordinata la produzione dell'effetto giuridico voluto. Es. Azioni di divorzio, di annullamento o di nullità del matrimonio, azioni di revoca della potestà genitoriale, di interdizione o di inabilitazione; 2. AZIONI NON NECESSARIE: concernono, invece, i diritti disponibili e sono quelle azioni volte al conseguimento di un effetto giuridico che le parti del rapporto avrebbero potuto realizzare in via di autonomia privata, cioè a dire al di fuori del processo e dunque grazie alla cooperazione del soggetto obbligato. Es. Le parti che hanno stipulato un contratto preliminare avrebbero potuto darvi esecuzione spontaneamente, stipulando il contratto definitivo, senza ricorrere al giudice. 3. TUTELA DI CONDANNA. 3.1) Lo scopo è quello di sanzionare la parte che non adempia spontaneamente al proprio obbligo. Nel momento in cui si verifica la violazione di un diritto sul piano sostanziale, il soggetto il cui diritto è stato violato oltre a domandare l’accertamento del diritto dedotto in giudizio (la cui esistenza in molti casi non viene neppure messa in discussione) può chiedere al giudice di verificare l’intervenuta lesione del proprio diritto a seguito dell’inadempimento del titolare della corrispondente situazione giuridica passiva e, di conseguenza, l’attore può chiedere al giudice di condannare quest’ultimo alla prestazione necessaria al fine di realizzare il proprio diritto. 3.2) OGGETTO: possono essere soltanto i diritti soggettivi (ossia i diritti assoluti o i diritti di credito). 3.3) SENTENZA DI CONDANNA: essa costituisce il presupposto necessario per la successiva attuazione del diritto in via coattiva, ossia attraverso l’esecuzione. Anch’essa ha contenuto di accertamento ed è idonea al giudicato sostanziale. Tuttavia, rispetto alla sentenza di mero accertamento, essa non si limita a dichiarare l’esistenza del diritto dedotto in giudizio, ma impone un obbligo al soggetto che si è reso autore della violazione. Pertanto, diversamente dall’azione di mero accertamento, questa forma di tutela richiede una situazione di lesione del diritto che dovrà essere verificata attraverso lo svolgimento del processo. Gli effetti tipici della sentenza di condanna sono tre: 1) Costituisce titolo esecutivo per l’esecuzione forzata; 2) Costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni del debitore. Ciò comporta che la sentenza di condanna, anche quando non è ancora passata in giudicato, consente all’attore vittorioso di ottenere una garanzia specifica per l’ipotesi in cui il debitore non adempia spontaneamente all’obbligo che gli è imposto dalla sentenza; 3) E’ idonea, nel momento in cui passa in giudicato, a determinare la conversione delle prescrizioni brevi in prescrizioni ordinarie decennali. Quando la sentenza di condanna ha ad oggetto prestazioni fungibili non si pone alcun problema in termini di successiva azione esecutiva, in quanto si tratta di prestazioni che possono essere surrogate dall’organo esecutivo. Tuttavia, quando invece ha ad oggetto prestazioni infungibili (totali o parziali), l’esecuzione diretta non può avere luogo, perché in questo caso la prestazione cui l’obbligato è tenuto non può essere surrogata dall’organo esecutivo. Es. Un famoso cantante che si è impegnato a tenere un concerto. In quest’ultimo caso il diritto può trovare attuazione solo mediante la cooperazione del soggetto obbligato, e quindi il suo adempimento spontaneo. Tuttavia, al fine di indurre il debitore all’adempimento, può essere prevista una misura coercitiva consistente in provvedimento di condanna anteriormente al verificarsi dell’inadempimento dell’obbligato e, quindi, anteriormente al verificarsi dell’illecito. Questo consente al creditore di procurarsi un valido titolo esecutivo che in futuro, cioè non appena il credito sia scaduto e sia perciò divenuto esigibile, gli consentirà di procedere immediatamente ad esecuzione forzata. Lo scopo della condanna in futuro è quello di premunire l’avente diritto di un titolo esecutivo di cui avvalersi una volta che si sia verificato l’inadempimento. A ciò si collega strettamente anche un secondo vantaggio: nel momento in cui dovesse concretamente verificarsi l’inadempimento, costui non ha bisogno di altro tempo per poter accedere al processo esecutivo, essendo già munito di un valido titolo esecutivo. La condanna in futuro può riguardare diverse fattispecie ma l’esempio classico è quello fornito dall’art. 657 c.p.c., per il quale il locatore può richiedere la condanna al rilascio dell’immobile locato (anche) anteriormente alla scadenza del contratto di locazione. In questo caso, il locatore mira a procurarsi un provvedimento di condanna (nel caso di specie un’ordinanza), che costituisce titolo esecutivo, da poter utilizzare qualora alla scadenza del contratto il conduttore non rilasci spontaneamente l’immobile. Però, come si è prima detto, alla categoria della condanna in futuro vengono ricondotte anche altre fattispecie, nella quale il giudice, pronunciando in relazione ad obblighi (di dare, di fare o di non fare) che presentano come caratteristica il carattere periodico o continuativo della prestazione, accerta la violazione di un obbligo che è già attuale. Tuttavia, dal momento che l’azione di condanna in futuro costringe il convenuto a subire un processo anche nel caso in cui questi non abbia ancora violato il diritto dell’attore, è preferibile ritenere la condanna in futuro alla stregua di uno strumento di carattere eccezionale; configurabile, pertanto, nelle sole ipotesi espressamente previste dalla legge. Viceversa, al di fuori di questi casi, un diritto rispetto al quale non sia ancora configurabile una violazione potrà essere soggetto soltanto ad una azione di mero accertamento, naturalmente ove ne ricorrano le condizioni. DOMANDA GIUDIZIALE: Essa rappresenta l’atto fondamentale del processo civile, in quanto è l’atto attraverso cui il diritto sostanziale (di cui si lamenta la lesione) entra ufficialmente nel processo. Essenziale, al riguardo, è il combinato disposto di cui agli artt. 2907 c.c. e 99 c.p.c.: ● ART. 2907 C.C, 1° COMMA 一 «alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l'autorità giudiziaria su domanda di parte e, quando la legge lo dispone, anche su istanza del pubblico ministero o d’ufficio». ● ART. 99 C.P.C 一 «chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente». La regola di carattere generale è che il diritto di agire in giudizio rientra nella disponibilità del titolare del diritto che si assume leso. Es. i casi nei quali la tutela giurisdizionale dei diritti può essere invocata dal P.M. o d’ufficio, rappresentano delle ipotesi eccezionali: Es. in materia fallimentare, al procedimento per la dichiarazione di fallimento, ove l’iniziativa spetta anche al pubblico ministero. Il principio contenuto nell’art. 99 c.p.c. sta a significare che il processo viene attivato dal titolare del diritto che assume essere stato leso attraverso la proposizione della domanda giudiziale. Pertanto, la domanda giudiziale rappresenta nello stesso tempo sia l’indispensabile atto d’impulso del processo, sia un onere per la parte che invoca la tutela. Il c.d. ‘’PRINCIPIO DISPOSITIVO’’ è alla base del processo civile. In base a tale principio, tutto il processo civile dipende dall’attività delle parti, tanto nella determinazione, sulla base delle domande ed eccezioni, dell’oggetto del giudizio, quanto nel suo successivo svolgimento. La domanda giudiziale ha come funzione fondamentale quella di determinare con esattezza qual è l’oggetto del processo e, per conseguenza, quale sarà l’oggetto del successivo giudicato. Difatti, la domanda giudiziale, in base al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (sancito dall’art. 112 c.p.c.) serve proprio a definire e a circoscrivere l'ambito della decisione giudiziale, in quanto sussiste il vincolo per il giudice di pronunciare su tutta la domanda proposta e non oltre i limiti della stessa. L’oggetto del processo, individuato dalla domanda giudiziale, costituisce il “perno” intorno al quale si muoverà tutta la (successiva) attività processuale ed in base al quale si determina il modo di operare di una serie importantissima di istituti. L’OGGETTO del processo è il diritto soggettivo fatto valere in giudizio attraverso la domanda giudiziale, per il quale è appunto invocata la tutela giurisdizionale. Breve riepilogo: Nella domanda giudiziale la parte afferma di essere titolare di un determinato diritto che assume essere stato violato dall’altrui comportamento: ma è solo nel corso del processo che si dovrà verificare se tale diritto esiste o meno e, successivamente, se è stato effettivamente leso. Per conseguenza, all’esito del processo verrà emanata la sentenza, che, per l’appunto, dichiarerà l’esistenza o, all’opposto, l’inesistenza del diritto vantato dall’attore. Per tale ragione, sarebbe più corretto dire che l’oggetto del processo è il diritto sostanziale ipotetico, cioè meramente affermato nella domanda giudiziale e da accertare per il tramite del processo stesso. Colui che dà avvio al processo (e quindi colui che esercita l’azione) si definisce “attore”; la domanda è proposta nei confronti di un altro soggetto, nei cui riguardi è instaurato il processo, che si definisce “convenuto”. Inoltre, non bisogna confondere la domanda giudiziale con l’atto processuale che la contiene. La domanda giudiziale, infatti, è necessariamente contenuta nell’atto introduttivo del processo. Tuttavia, ulteriori domande, secondo le regole previste dalla legge, possono essere proposte nel corso del processo. Il problema che si pone – e che assume un’importanza centrale per il processo civile – diviene quello della c.d. identificazione della domanda giudiziale, vale a dire una corretta individuazione degli elementi che servono a contrassegnare in modo inequivoco una determinata domanda giudiziale. Gli elementi che concorrono ad identificare, sul piano soggettivo ed oggettivo, la domanda giudiziale sono tre: 1. LE PERSONAE. Il primo passo è sempre stabilire quali siano i soggetti del processo. Quindi, è necessario che sia identificata la parte che propone la domanda giudiziale e, per contro, quale sia la parte nei cui confronti tale domanda viene proposta. A tali fini rileva anche la qualità in cui un soggetto propone una domanda giudiziale, oppure ne è il destinatario: ciò significa che in tutti i casi nei quali la legge consente di far valere diritti altrui in nome proprio o diritti altrui in nome altrui, si deve avere riguardo al soggetto che è l’effettivo titolare del diritto sostanziale, cioè il rappresentato o il sostituito; 2. IL PETITUM. Il petitum è l’oggetto della domanda giudiziale. Questo elemento risulta dalla combinazione di due diversi elementi, strettamente correlati tra loro: - il petitum immediato, che è il provvedimento che viene richiesto in via immediata al giudice; - il petitum mediato, che è il bene della vita concretamente richiesto dall’attore attraverso la domanda giudiziale (ad es. una somma di denaro); 3. LA CAUSA PETENDI. Letteralmente: ‘’la ragione del domandare’’. In altri termini, è il diritto o lo status in base al quale un soggetto rivendica il bene giuridico di cui al petitum. Dunque, il titolo sul quale l’azione giudiziale si fonda. Perciò, la causa petendi si sostanzia nella compiuta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono le ragioni della domanda, in maniera univoca. - È questa la c.d. ‘’teoria della sostanziazione’’, secondo la quale è necessaria l'esposizione specifica e concreta dei fatti sui quali è basata la pretesa azionata; - Secondo la c.d. ‘’teoria dell’individuazione’’, invece, sarebbe sufficiente l’indicazione del rapporto giuridico che costituisce la fonte della pretesa. In ogni caso, i fatti che confluiscono nella causa petendi si dicono costitutivi. Quelli posti, invece, a fondamento delle eccezioni di merito sollevate dal convenuto, sono processo, siano date, per quanto possibile, le stesse utilità che avrebbe ottenuto dall’adempimento spontaneo del soggetto obbligato. Il tipico esempio, è fornito dall’effetto sospensivo della prescrizione. LE DIFESE DEL CONVENUTO: Il convenuto può liberamente scegliere se partecipare o meno al processo di cui è parte e, quindi, può liberamente scegliere se difendersi o meno. Laddove decida di volersi difendere, è necessaria la sua costituzione in giudizio. La parte che non si costituisce in giudizio, tecnicamente, si definisce contumace. E’ tuttavia opportuno precisare che la parte non ha alcun obbligo giuridico di costituirsi. La sua mancata costituzione non assume infatti né: - Rilevanza immediata: l’omessa costituzione non implica automaticamente l’accoglimento della domanda proposta dall’attore; - Rilevanza mediata: l’omessa costituzione non implica il riconoscimento dei fatti costitutivi posti a fondamento della domanda e questi non possono neppure ritenersi non contestati. Se, invece, il convenuto sceglie di difendersi è necessaria la sua costituzione in giudizio. Il vantaggio della costituzione in giudizio del convenuto incide solo sulla sua possibilità di esercitare nel processo i propri poteri difensivi, che, più nel dettaglio, sono: - Le mere difese (in fatto o in diritto); - Le eccezioni (di merito e di rito); - Le domande (a carattere incompatibile). 1. LE MERE DIFESE. Esse costituiscono l’attività difensiva più semplice che la parte convenuta può esercitare, al fine di vedere respinta la domanda proposta nei suoi confronti. A loro volta, le mere difese si distinguono in: a) Mere difese in diritto: il convenuto svolge argomentazioni e deduzioni attinenti alla soluzione della quaestio iuris. Esse hanno come fine quello di persuadere il giudice della correttezza della propria soluzione rispetto alla quaestio iuris. Tuttavia, il giudice può, senza bisogno di tale attività difensiva, risolvere siffatta questione autonomamente. b)Mere difese in fatto: il convenuto contesta i fatti, cioè nega la verità di quei fatti. Esse, invece, hanno un effetto processuale più pregnante, consistente in una contestazione specifica della verità del fatto, rendendolo per conseguenza, bisognoso di prova. Questo sta a significare che tale fatto non può essere ritenuto esistente dal giudice se non sulla base di una prova idonea a dimostrarlo. ‘’PRINCIPIO DELLA NON CONTESTAZIONE’’: il fatto non specificamente contestato non è bisognoso di prova e questo significa che la parte a cui vantaggio opera tale fatto, è sollevata dall’onere di provare il fatto stesso ed il giudice può ritenerlo esistente, anche in mancanza di una prova che lo dimostri (è anche detto: «onere della contestazione specifica»). Va specificato che, tale onere, è un principio di esclusiva spettanza della parte costituita, mentre non opera a carico della parte non costituita. Se, invece, una parte contesta il fatto su cui si basa la pretesa della controparte, torna a riespandersi l’art. 2697 c.c., per cui quel fatto deve essere necessariamente provato dalla parte che lo deduce in giudizio come titolo (asserito) del proprio diritto. 2. LE ECCEZIONI. Esse rappresentano un ulteriore meccanismo di difesa che l’ordinamento appresta per il convenuto. Esse si distinguono in: a) ECCEZIONI DI RITO: mezzo mediante il quale il convenuto contesta la possibilità che il giudice giudichi attualmente sulla fondatezza o sull’infondatezza della domanda proposta dall’attore. Ciò può avvenire perché egli contesta: - Il difetto di un presupposto processuale; - La mancanza di una delle condizioni dell’azione; - La nullità di un atto processuale. b) ECCEZIONI DI MERITO: mezzo attraverso il quale il convenuto solleva questioni che riguardano l’inesistenza del diritto controverso. In altri termini, esse consistono nell’allegazione, da parte del convenuto, di fatti impeditivi, modificativi o estintivi rispetto al diritto vantato dall’attore e volti dunque al suo rigetto. E poiché attraverso l'eccezione vengono introdotti nel processo nuovi fatti, gli stessi devono essere provati secondo il principio dell’onere della prova e il giudice non può accogliere la domanda senza prima esaminare l’eccezione. ⬇ ART. 112 C.P.C. 一 CORRISPONDENZA TRA IL CHIESTO E IL PRONUNCIATO. ‘’Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e non può pronunciare d'ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti’’. Inoltre, questo articolo prevede due tipologie di eccezioni di merito: 1. EDM IN SENSO STRETTO: sono eccezioni che solo la parte può sollevare. Hanno efficacia costitutiva. Il giudice può applicare l’effetto giuridico al fatto e tenerne conto ai fini della decisione soltanto se la parte ha rilevato tale eccezione; 2. EDM IN SENSO LATO: sono eccezioni che riguardano fatti ai quali anche il giudice, pure d’ufficio, può applicare l’effetto giuridico e tenerne conto ai fini della decisione. ⬇ Data l’importanza della distinzione, è stata la giurisprudenza della Corte di Cassazione a dettare due criteri in via interpretativa: 1. CRITERIO LETTERALE: in alcuni casi, è la legge stessa a qualificare una determinata eccezione come rilevabile solo su istanza di parte oppure come rilevabile anche d’ufficio. Es. EDM S.S. - la prescrizione e la compensazione. Es. EDM S.L. - la nullità del contratto; l’inefficacia del contratto concluso dal falsus procurator; l’accettazione beneficiata. 2. CRITERIO SISTEMATICO: ogni qualvolta la legge non dispone diversamente, l’eccezione è da intendersi rilevabile anche d’ufficio, a meno che non si tratti di un fatto collegato all’esercizio di un diritto potestativo con effetti costitutivi. I PRESUPPOSTI PROCESSUALI— LE QUESTIONI. Il processo civile è regolato da ‘’norme processuali’’, le quali: - Stabiliscono le regole che i soggetti del processo (le parti ed il giudice) sono tenuti ad osservare nel compiere i singoli atti che regolano il processo; - Prevedono gli strumenti di controllo per verificare se tali regole sono state rispettate e, eventualmente, per porre rimedio agli errori compiuti. ➡ QUESTIONI DI MERITO: esse riguardano l’esistenza del diritto che forma l’oggetto del processo. ➡ QUESTIONI DI RITO: quando nel processo sorge una questione relativa al rispetto della norma processuale. Esse, a loro volta, si distinguono in: - Questioni inerenti alla validità dei singoli atti processuali, attinenti ai requisiti di forma contenuto dell’atto processuale, che danno luogo, in caso di violazione dei requisiti richiesti, a ‘’nullità formali’’; - Questioni inerenti alle condizioni per la decisione nel merito della domanda giudiziale, cioè ai presupposti processuali, che danno luogo a ‘’nullità extraformali’’. La differenza tra le due risiede nel fatto che mentre le prime incidono sulla validità del singolo atto processuale, di modo che la nullità dello stesso implica semplicemente che esso non possa essere preso in considerazione dal giudice ai fini della decisione; le seconde attengono, invece, alla valida instaurazione del processo e perciò condizionano il potere del giudice di decidere nel merito la causa. Inoltre, va ricordato che se il difetto appena citato non è stato sanato (nei casi in cui è prevista Ad oggi, le GIURISDIZIONI SPECIALI esistenti sono: ● La GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA, a tutela degli interessi legittimi, che viene esercitata: - dai tribunali amministrativi regionali in primo grado; - dal Consiglio di Stato in grado di appello. ● La GIURISDIZIONE DELLA CORTE DEI CONTI che viene esercitata in materia di contabilità pubblica, di danno erariale (imputabile ai pubblici dipendenti) e di pensioni statali; ● La GIURISDIZIONE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE che viene esercitata in materia di imposte e di tasse, in primo e in secondo grado; ● La GIURISDIZIONE MISTA (CIVILE E AMMINISTRATIVA), che viene esercitata dal tribunale superiore delle acque pubbliche, nelle materie indicate dalla legge. ART. 65 ORD. GIUD. ― ATTRIBUZIONI DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE. ‘’La corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità, del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge. La corte suprema di cassazione ha sede in Roma ed ha giurisdizione su tutto il territorio del Regno, dell'Impero e su ogni altro territorio soggetto alla sovranità dello Stato.’’ ⬇ Nel nostro ordinamento, la competenza a regolare la giurisdizione in caso di conflitto, di tutte le magistrature presenti nello Stato, spetta in via istituzionale alla Corte di cassazione, essendo l’organo posto al vertice dell’intero ordine giurisdizionale. ART. 102 COST.— SEZIONI SPECIALIZZATE. ‘’La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Non possono essere Istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia.’’ ⬇ Già dal disposto costituzionale si evince che le sezioni specializzate non sono organi giudiziari autonomi (come i giudici speciali), ma costituiscono delle articolazioni interne degli organi giudiziari ordinari, caratterizzate da una specifica competenza in ordine a determinate materie. La specialità di queste sezioni attiene più che altro alla composizione dell’organo giudicante, in quanto la composizione dell’organo collegiale è integrata da esperti esterni all’ordine giudiziario (per un periodo di tempo determinato). Dunque, le questioni che insorgono tra giudice ordinario e sezioni specializzate non riguardano una questione di giurisdizione, bensì una questione di competenza (per materia), essendo entrambi organi della giurisdizione ordinaria. A questa regola fa eccezione unicamente il tribunale specializzato per le imprese, che è interamente composto da magistrati ordinari, senza l’aggiunta di esperti esterni all’ordine giudiziario. I LIMITI DELLA GIURISDIZIONE ORDINARIA. La giurisdizione del giudice ordinario non può essere illimitata ed incondizionata, ma incontra dei limiti. Questi limiti sono giustificati dalla circostanza che la giurisdizione nazionale non può estendersi anche a controversie che non presentano motivi di interesse per lo Stato. Nell’ordinamento italiano questi limiti sono tre: 1. NEI CONFRONTI DEL CONVENUTO STRANIERO. In realtà esiste un limite nei confronti del convenuto. Il criterio è fornito dall’art. 3 della legge 218/95: è necessario che il convenuto sia domiciliato o residente in Italia. Se il convenuto straniero è domiciliato o residente in Italia, allora sussiste la giurisdizione italiana ed egli può essere chiamato dinanzi ad un giudice italiano. Tuttavia, quanto detto rappresenta un criterio residuale, in quanto si applica se non sono applicabili norme internazionali e/o i regolamenti comunitari in materia. Il difetto di giurisdizione nei confronti del convenuto, generalmente, è rilevabile solo ad istanza di parte. È rilevabile d’ufficio solo se: - La controversia riguarda un bene immobile; - Il convenuto è contumace (cioè se non si è costituito in giudizio); - La giurisdizione è esclusa da una norma internazionale. L’eccezione può essere rilevata dal convenuto costituito solo nella prima difesa. 2. NEI CONFRONTI DI ALTRI POTERI DELLO STATO. Al riguardo, si discorre di c.d. «difetto assoluto di giurisdizione» in quanto, laddove si venga a delineare una situazione di questo genere, tanto il giudice ordinario quanto qualsiasi altro giudice dello Stato, risultano privi del potere giurisdizionale rispetto alla materia oggetto del processo. Ciò accade quando è richiesto di provvedere rispetto ad una materia, la quale è rimessa, in via esclusiva, alle attribuzioni di un altro potere dello Stato, in particolare (anche se non esclusivamente) alla pubblica amministrazione. Es. si chiede al giudice di ordinare al Sindaco di disporre l’apertura della biblioteca comunale nei giorni festivi. Il difetto assoluto di giurisdizione è rilevabile anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo. 3. NEI CONFRONTI DEI GIUDICI SPECIALI. In relazione a questa categoria si è soliti discorrere di «difetto relativo di giurisdizione», in quanto la controversia sottoposta al giudice ordinario appartiene alla giurisdizione di un giudice speciale. All’interno della funzione giurisdizionale, intesa nel suo complesso, al giudice ordinario è attribuito un potere giurisdizionale generale in materia di diritti soggettivi; ai giudice speciali è attribuita, invece, giurisdizione in settori specifici. In tali casi si dice che il difetto è “relativo”, in quanto il potere difetta in capo al giudice adito, perché spetta ad un altro giudice dell’ordinamento. Questo difetto di giurisdizione può dare luogo alla prosecuzione della causa di fronte al giudice effettivamente munito di potestas iudicandi e circa il rilievo, il difetto relativo di giurisdizione è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo. ART. 37 C.P.C.― DIFETTO DI GIURISDIZIONE. ‘’Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo.’’ ART. 59 L. 69/2009― DECISIONE DELLE QUESTIONI DI GIURISDIZIONE. ● 1° COMMA: Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di [altri] giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo. ● 2° COMMA: Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall'instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il del regolamento stesso è ammessa. Più nello specifico: 1. IL REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE A ISTANZA DI PARTE. 1.1)MODALITA’ DI PROPOSIZIONE. Attraverso il regolamento si va ad investire direttamente la Cassazione della questione di giurisdizione. Si tratta di un rimedio preventivo che può essere utilizzato soltanto prima che la questione di giurisdizione venga risolta (implicitamente o esplicitamente) dal giudice del merito. Inoltre, è esperibile da entrambe le parti del processo. Quanto all'ambito di applicazione, il regolamento preventivo di giurisdizione è esperibile nei soli processi a cognizione piena. Diversamente, non può essere proposto nel corso del: processo esecutivo, procedimento cautelare, né nei procedimenti a cognizione sommaria. 1.2) TERMINE ENTRO IL QUALE E’ AMMESSO IL REGOLAMENTO. La giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha stabilito che il regolamento di giurisdizione non è più proponibile se, nel corso del processo di merito, vi sia stata una qualsiasi pronunzia: di rito o di merito, definitiva o non definitiva. 1.3) QUESTIONI PROPONIBILI CON IL REGOLAMENTO. Le questioni proponibili sono così elencate: a) Rapporto tra giudice ordinario e giudici speciali; b) Rapporto tra giudice ordinario e pubblica amministrazione; c) Limiti della giurisdizione italiana. Il secondo punto è quello più delicato. Al riguardo, infatti, la giurisprudenza, partendo dal presupposto per il quale i rapporti tra giudice ordinario e pubblica amministrazione non riguardano una questione di giurisdizione ma attengono al merito della causa, cioè alla fondatezza o all’opposto all’infondatezza della domanda proposta, ha precisato che attraverso il regolamento non può essere dedotta l’ipotesi della c.d. improponibilità assoluta della domanda. Questa ipotesi ricorre quando viene dedotta in giudizio, nei confronti della pubblica amministrazione, una situazione soggettiva che non è qualificabile come diritto soggettivo, né come interesse legittimo, ma soltanto alla stregua di interesse semplice. In tal caso il regolamento di giurisdizione non può trovare applicazione. 1.4)MODALITA’ DI PRESENTAZIONE DELL’ISTANZA. L’istanza si propone con ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione. Il ricorso, per regolamento, deve essere sottoscritto (a pena d’inammissibilità) da un avvocato iscritto all’albo speciale della Cassazione e munito di procura speciale. Va poi notificato alle altre parti e poi depositato (a pena d’improcedibilità), presso la cancelleria della suprema Corte. L’istanza dovrà contenere (a pena di inammissibilità), l’esposizione sommaria dei fatti di causa rilevanti ai fini della decisione, nonché l’indicazione delle parti, del procedimento cui si riferisce e della fase processuale nella quale questo si trovi. Una copia del ricorso così redatto deve poi essere depositata anche nella cancelleria del giudice investito della causa di merito, al fine di consentirgli di valutare, oltre alla sussistenza dei requisiti formali, la fondatezza dei presupposti che l’art. 367, 1° comma, c.p.c. ricollega alla sospensione del processo. 1.5) EFFETTI DELLA PROPOSIZIONE DELL’ISTANZA SUL GIUDIZIO DI MERITO. La proposizione del ricorso per regolamento di giurisdizione dà luogo alla sospensione del giudizio di merito sino a quando non interviene la decisione delle Sezioni Unite sulla giurisdizione. Non si tratta, tuttavia, di una sospensione che opera in maniera automatica, in quanto il giudice di primo grado, prima di sospendere il processo, deve verificare che: - L’istanza proposta non sia manifestamente inammissibile; - La contestazione della giurisdizione non sia manifestamente infondata. Solo in questo caso il giudice investito della causa di merito potrà procedere (con ordinanza) alla sospensione del processo. Difatti, mentre la decisione in relazione all’ammissibilità e alla fondatezza del ricorso per regolamento proposto da una delle parti del giudizio è di esclusiva competenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, al giudice investito della causa di merito spetta valutare se concedere la sospensione del giudizio o negarla quante volte l’istanza gli appaia palesemente inammissibile o la questione di giurisdizione infondata. Nell’ipotesi in cui il giudizio di merito sia stato sospeso e le Sezioni unite abbiano riconosciuto la giurisdizione del giudice originariamente adìto, le parti sono tenute a riassumere il processo nel termine di sei mesi dalla comunicazione del biglietto di cancelleria della sentenza delle Sezioni Unite; in difetto di riassunzione, il processo si estingue. 2. IL REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE PROPOSTO DALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. 2.1)MODALITA’ DI PROPOSIZIONE. In questo caso, il regolamento è esperibile dalla sola pubblica amministrazione (nella persona del prefetto), anche qualora non sia parte in causa. Circa il procedimento, la richiesta per regolamento può essere fatta soltanto dal prefetto (del luogo nel quale pende la causa) con proprio decreto motivato, da notificare alle parti e, a seconda dei casi, al procuratore della Repubblica presso il tribunale, oppure al procuratore generale presso la Corte d’appello. Il decreto prefettizio viene comunicato dal pubblico ministero al capo dell’ufficio giudiziario, che provvede con decreto a disporre la sospensione del giudizio di merito, senza sentire le parti. Il capo dell’ufficio giudiziario non può valutare la fondatezza della richiesta, ma deve limitarsi ad accertare che il decreto prefettizio, una volta emesso, sia stato notificato alle parti e al p.m. Quindi, nel caso dell’art. 41, 2° comma, la sospensione del giudizio è necessaria, escludendo ogni valutazione da parte del giudice adìto circa l’inammissibilità dell’istanza e la fondatezza della richiesta. Oltretutto, la sospensione viene disposta dal capo del relativo ufficio giudiziario, che, una volta ricevuta comunicazione dal P.M. del decreto prefettizio, deve provvedere con decreto (senza obbligo di sentire le parti). Le Sezioni Unite vengono poi investite della questione di giurisdizione solo qualora una delle parti in causa proponga ricorso, nel termine perentorio di trenta giorni decorrenti dalla notificazione del decreto di sospensione. Nel caso in cui questo termine perentorio decorra infruttuosamente, pur in assenza di un'espressa disposizione di legge, si ritiene che il giudizio di merito sia improcedibile. 2.2) TERMINE ENTRO IL QUALE E’ AMMESSO IL REGOLAMENTO. La pubblica amministrazione (nella persona del prefetto) può chiedere il regolamento di giurisdizione in ogni stato e grado del processo. L’unica preclusione è data dalla circostanza che la giurisdizione sia stata affermata con sentenza passata in giudicato e, dunque, che sulla giurisdizione si sia formato un giudicato positivo. 2.3) QUESTIONI PROPONIBILI CON IL REGOLAMENTO. Si tratta, in buona sostanza, di una sorta di rivendicazione dell’esercizio di poteri che la legge attribuisce alla pubblica amministrazione; per cui, se è stato chiesto al giudice ordinario di esercitare un potere che, invece, per legge spetta alla p.a., si determina un difetto assoluto di giurisdizione, in conseguenza del quale la p.a. può richiedere il regolamento (sino a quando la giurisdizione non sia stata affermata con sentenza passata in giudicato). LA COMPETENZA. E’ il secondo presupposto processuale, dopo la giurisdizione, che attiene al giudice. Essa rappresenta la parte di giurisdizione concretamente attribuita a ciascun giudice. Il complesso di norme sulla competenza serve ad individuare quale, tra i giudici ordinari, ha il potere di decidere la controversia: in pratica, ha lo scopo di ripartire gli affari civili tra i I criteri generali e i criteri facoltativi possono trovare contemporanea applicazione, con il risultato che può essere territorialmente competente per la medesima controversia più di un giudice. Nel rispetto dei rapporti interni a ciascuno di tali criteri, l’attore può liberamente scegliere a quale giudice proporre la domanda giudiziale. ⬇ Un’altra distinzione da dover fare è quella tra: 1. I criteri di competenza territoriale derogabile: le parti possono concludere un accordo, che deve risultare da atto scritto, con cui individuano il giudice competente e possono prevedere, inoltre, che il criterio convenzionale sia esclusivo. 2. I criteri di competenza territoriale inderogabile: sono quei criteri che non possono formare oggetto di deroga neppure in caso di accordo delle parti tra loro. ⬇ ART. 38 C.P.C.一 INCOMPETENZA PER MATERIA. ● 1° COMMA: ‘’L’incompetenza per materia, per valore o per territorio devono essere eccepite a pena di decadenza nella comparsa di risposta tempestivamente depositata rispettando il termine per la costituzione in giudizio (ossia almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione). Qualora l’eccezione riguardi il difetto di competenza per territorio (derogabile o inderogabile), l’eccezione si ha per non proposta se non contiene l’indicazione del giudice ritenuto competente.’’ Dal 1° comma si evince che la parte legittimata a sollevare l’eccezione di incompetenza è il convenuto, che deve provvedere al rilievo dell’eccezione nel suo primo atto difensivo, a pena di decadenza, qualunque sia il criterio che egli assume essere stato violato (materia, valore o territorio). Il convenuto, inoltre, non può limitarsi semplicemente ad eccepire tale vizio, ma deve anche indicare l’ufficio giudiziario che ritiene essere competente altrimenti l’eccezione si avrebbe come non formulata. Quanto detto assume particolare rilievo in caso di violazione di criteri di competenza per territorio derogabile, essendo criteri posti nell’interesse del convenuto e quindi da lui solo eccepibili. ● 2° COMMA: ‘’Fuori dai casi previsti dall’art. 28 c.p.c. (competenza per territorio inderogabile), se le altre parti costituite aderiscono all’indicazione del giudice compiuta dal convenuto, la competenza del giudice indicato rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione dal ruolo.’’ Quando vi è l’adesione delle parti costituite all’indicazione del convenuto, non è necessaria una decisione sulla questione di competenza, ma è sufficiente che il giudice (incompetente) disponga con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo. La competenza del giudice indicata dal convenuto ed accettata dalle altre parti costituite resta ferma solo se la causa è riassunta entro tre mesi dall’ordinanza di cancellazione dal ruolo dinanzi al giudice che è stato indicato come competente. Nel caso in cui la causa non venga riassunta entro i tre mesi, il processo si estingue. ● 3° COMMA: ‘’L’incompetenza per materia, valore e per territorio inderogabile devono essere rilevate d’ufficio entro la prima udienza di trattazione.’’ ● 4° COMMA: ‘’Le questioni di cui ai commi precedenti sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall'eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni’’. La decisione del giudice sulla questione di competenza può essere di due tipi: 1. DICHIARATIVA: afferma la competenza del giudice adìto e, quindi, afferma la propria competenza; 2. DECLINATORIA: dichiara l’incompetenza del giudice adìto e, quindi, definisce il processo instaurato dinanzi a lui. In entrambe i casi la decisione del giudice può essere impugnata. La decisione del giudice viene resa in forma di: 1. ORDINANZA: se il giudice si dichiara incompetente oppure se decide solo tale questione, separatamente dal merito, perché si ritiene competente; 2. SENTENZA: unitamente al merito, quando il giudice non ha deciso separatamente la questione di competenza e si ritiene competente a decidere la causa. Quando il giudice si dichiara incompetente indica, contestualmente, il giudice che ritiene competente. L’attore a quel punto può riassumere la causa dinanzi al giudice indicato e il processo così continua (= translatio iudicii 一 rapporti tra giudici diversi ma appartenenti alla stessa giurisdizione, ossia quella ordinaria). Gli eventuali conflitti di competenza tra il giudice a quo (quello preventivamente adìto) e il giudice ad quem (quello indicato come competente dal giudice preventivamente adìto) possono riguardare unicamente i criteri di competenza per materia e per territorio inderogabile. LITISPENDENZA. Tale termine sta ad indicare due diverse situazioni processuali, cui corrispondono due diverse nozioni: 1. Una NOZIONE AMPIA: designa la pendenza della lite, cioè la situazione che si verifica dall’inizio del processo – cioè dal momento della proposizione della domanda giudiziale alla pronunzia della sentenza – e che perdura sino al passaggio in giudicato formale della sentenza; 2. Una NOZIONE RISTRETTA: designa la sussistenza di una situazione anomala, che si verifica quando la stessa causa (o due cause identiche) è contemporaneamente pendente dinanzi a giudici diversi (intesi sempre come uffici giudiziari). Il legislatore si concentra sulla nozione ristretta di litispendenza, che costituisce uno dei presupposti processuali che attengono all’oggetto della causa, essendo inaccettabile che la stessa causa possa essere pendente dinanzi a due giudici diversi. Questo per due ragioni: 1. Per il principio di economia processuale: il legislatore ha voluto impedire la duplicazione dei giudizi e delle attività relativamente ad uno stesso diritto ed a un’identica richiesta di tutela; 2. Per evitare il contrasto pratico tra giudicati: evitare cioè il rischio che vengano rese due sentenze in ordine al medesimo diritto aventi contenuto contrastante. Il problema è risolto dal legislatore imponendo al giudice successivamente adìto di spogliarsi della causa – in qualunque stato e grado – emettendo una pronuncia di rito, con la quale dichiara la litispendenza e chiude il processo dinanzi a sé pendente, disponendo la cancellazione della causa dal ruolo. Questa soluzione implica che si abbia un criterio certo per capire quale tra i due giudici è quello preventivamente adìto e, quindi, quale causa è stata proposta per prima. Tale criterio è quello della prevenzione (art. 39, comma 3): esso vuole che spetti al primo giudice adito la decisione della controversia e che tale prevenzione sia determinata dalla notificazione della citazione o dal deposito del ricorso. I presupposti della LITISPENDENZA sono 2: 1. DEVE TRATTARSI DELLA STESSA CAUSA: due cause sono identiche quando presentano gli stessi elementi identificativi della domanda dal punto di vista soggettivo ed oggettivo; 2. LA CONTEMPORANEA PENDENZA DEVE AVVENIRE DINANZI A DUE UFFICI GIUDIZIARI DIVERSI, ma appartenenti entrambi alla giurisdizione ordinaria. L’obiettivo è quello di consentire il cumulo di più domande in un unico processo. Si tratta di una situazione che risponde ad esigenze di comodità, purché lo stesso ufficio giudiziario sia competente per materia e per territorio per tutte le cause preposte dall’attore. Per quanto riguarda invece la competenza per valore, essa la si determina sommando le diverse domande preposte dall’attore contro la stessa parte e in base al risultato, si determina il giudice competente. 2. LA CONNESSIONE OGGETTIVA. Essa può essere di due tipi: 1) CONNESSIONE OGGETTIVA IMPROPRIA. Riguarda l’ipotesi in cui due o più cause si trovino in un rapporto per cui la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni di fatto o di diritto, riguardando tuttavia soggetti diversi. Si tratta, in questo caso, di cumulo soggettivo: in uno stesso processo vi è una pluralità di domande proposte da (o contro) parti parzialmente diverse. Lo scopo è quello di assicurare che le questioni comuni alle due cause trovino una soluzione uniforme. Tuttavia, questo non rappresenta un’esigenza per il legislatore, in quanto differendo petitum e causa petendi non vi è il rischio di conflitto tra giudicati. In tal caso, la realizzazione del simultaneus processus dipende dall’eventualità che sussista uno stesso ufficio giudiziario competente per tutte le cause legate da connessione oggettiva impropria. 2) CONNESSIONE OGGETTIVA PROPRIA. Riguarda l’ipotesi in cui due o più domande abbiano in comune l’oggetto (petitum) o il titolo (causa petendi) dal quale dipendono. In questa ipotesi si parla di cumulo soggettivo perché le cause coinvolgono parti diverse ma hanno in comune l’oggetto o il titolo, e dunque ove possibile, il legislatore consente di cumulare il tutto in un unico processo. In questo caso il legislatore consente la deroga soltanto per il criterio di competenza per territorio: l’art. 33 contempla una deroga ai soli fori generali. 3) CONNESSIONE QUALIFICATA. Essa costituisce una specie di connessione oggettiva, ma «qualificata» da un particolare rapporto di subordinazione di una causa rispetto ad un’altra; rapporto per lo più inquadrabile nello schema della pregiudizialità-dipendenza. La pregiudizialità-dipendenza consiste nella circostanza che l’esistenza o l’inesistenza di un diritto o di uno status dipende, sul piano sostanziale, dall’esistenza o dall’inesistenza di un altro rapporto giuridico, che costituisce un fatto costitutivo o un fatto i.m.e. del primo. ⬇ LE SINGOLE IPOTESI DI CONNESSIONE: 1. ACCESSORIETA’. ART. 31 C.P.C. ― La domanda accessoria si cumula alla domanda principale, dinanzi al giudice territorialmente competente per la domanda principale, affinché siano decise nello stesso processo. Tuttavia, quando le domande sono proposte contro la medesima parte, il valore della domanda principale si somma con il valore della domanda accessoria. Tra le due domande vi è un rapporto di connessione qualificata, in quanto la decisione di una di esse dipende strettamente dalla decisione dell’altra. Chiaramente, se viene respinta la domanda principale, anche la domanda accessoria cadrà automaticamente. E’ pertanto richiesto che tra la domanda accessoria e la domanda principale sussista identità di soggetti. 2. GARANZIA. La domanda di garanzia è la domanda accessoria con la quale una parte (il garantito) chiede, in conseguenza di un suo mancato adempimento, di essere cautelato (sicché il creditore non potrà domandargli il pagamento) da un altro soggetto (il garante), qualora, all’esito del processo e in accoglimento della domanda dell’attore/creditore, dovesse venire condannata perché la somma o la prestazione pretesa risultano dovute. Tra le due domande vi è un rapporto di connessione qualificata, nel senso che il diritto alla garanzia dipende – sul piano sostanziale – dall’esistenza del diritto che un terzo (cioè l’attore) vanta nei confronti del garantito. ART. 32 C.P.C ― La domanda di garanzia può essere proposta al giudice competente per la causa principale affinché sia decisa nello stesso processo. Qualora essa ecceda la competenza per valore del giudice adito, questi rimette entrambe le cause al giudice superiore assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione. Tuttavia, detto articolo si applica solo alle ipotesi di garanzia propria, che ricorre quando il garante è tenuto a rispondere delle obbligazioni di una parte (garantito) verso un’altra parte, in virtù di un rapporto sostanziale nascente da contratto oppure dalla legge. Non opera, invece, per la garanzia impropria, trattandosi di ipotesi nelle quali il convenuto pretende di essere garantito da un terzo in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale. 3. PREGIUDIZIALITA’. ART. 34 C.P.C.― ACCERTAMENTI INCIDENTALI. La norma contempla l’ipotesi in cui vi siano delle questioni pregiudiziali che hanno un oggetto diverso rispetto a quello dedotto in giudizio, ma che devono essere decise con efficacia di giudicato. Quando si parla di questione pregiudiziale si fa riferimento a una questione processuale la cui soluzione costituisce una tappa necessaria per decidere la controversia. Vi rientrano: - Da un lato le questioni di rito, cioè le questioni attinenti ai presupposti processuali (ad es., giurisdizione, competenza), quelle attinenti alla mancanza di una delle condizioni dell’azione (ad es., capacità e legittimazione processuale) e quelle attinenti alla validità degli atti processuali; - Dall’altro le questioni di merito, introdotte da eccezioni che riguardano l’inesistenza del diritto controverso e che hanno, perciò, lo scopo di condurre ad una pronuncia di rigetto per infondatezza della domanda proposta dall’attore, rendendo inutile la prosecuzione del processo. L’art. 34, in ogni caso, fa riferimento esclusivamente alle questioni di merito che riguardano l’esistenza o l’inesistenza di un rapporto giuridico diverso da quello che forma oggetto del processo e che condiziona l’esistenza o l’inesistenza di tale diritto. Dunque, il giudice deve decidere sia sulla domanda principale, sia sulla domanda pregiudiziale. ART. 34 C.P.C. ― ‘’Il giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle parti è necessario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a quest'ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui’’. Tuttavia, se il giudice inferiore è competente per materia o per valore anche per la seconda le trattiene entrambe. 4. COMPENSAZIONE. Questa forma di connessione ipotizza una situazione per la quale nel processo sorge una particolare questione pregiudiziale che ha ad oggetto l’esistenza di un contro-credito opposto in compensazione giudiziale o legale. - La compensazione legale è un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento e si verifica quando i debiti di due soggetti, obbligati l’uno verso l’altro, si estinguono per la quantità corrispondente. - La compensazione giudiziale ricorre, invece, tra un credito liquido e un credito di facile e pronta liquidazione. Nel caso in cui il contro-credito sia contestato dall’attore ed ecceda la competenza per valore del giudice adito, il tutto deve essere deciso con efficacia di giudicato e naturalmente è pregiudiziale, in quanto dalla risoluzione di quest’ultimo dipenderà l’esito della causa principale. Il giudice che rileva la connessione deve compiere una valutazione se convenga o meno realizzare il simultaneus processus, a seconda dello stato di avanzamento delle rispettive cause. Se le due cause pendono dinanzi allo stesso giudice, inteso come persona fisica, egli può disporre anche d’ufficio, direttamente la riunione delle due cause connesse. Se, diversamente, le due cause pendono dinanzi a due magistrati differenti (sempre intesi come persone fisiche) appartenenti alla medesima sezione o al medesimo tribunale, devono avvisare il Presidente del Tribunale, il quale disporrà con decreto che: ‘’le cause siano chiamate alla medesima udienza davanti allo stesso giudice o alla stessa sezione per i provvedimenti opportuni’’. IL GIUDICE. Il GIUDICE ORDINARIO può essere: 1. MONOCROMATICO: composto da una sola persona. Nel nostro ordinamento processuale, sono giudici monocratici: a) Il giudice di pace, che è un giudice onorario, che ha sede in ogni circondario indicato in un'apposita tabella ; b) Il tribunale, che è un giudice togato e che, attualmente, opera in funzione di giudice unico. Il tribunale ha sede in ogni capoluogo ed il suo ambito territoriale coincide con il circondario; 2. COLLEGIALE: composto da tre persone che formano un collegio. Nel nostro ordinamento processuale, invece, sono giudici collegiali: a) Il tribunale, nelle ipotesi previste dall’art. 50-bis c.p.c. ove giudica con un collegio composto da tre magistrati; b) La Corte d’appello, composta da tre magistrati, che ha sede solo nei comuni capoluogo dei distretti indicati in un'apposita tabella e che ha giurisdizione per l’impugnazione proposta avverso le sentenze rese dal tribunale; c) La Corte di cassazione, composta da cinque magistrati quando pronuncia a Sezioni semplici e da nove magistrati quando pronuncia a Sezioni unite, che è unica per tutto il territorio nazionale ed ha sede a Roma e che ha il compito di assicurare l’uniformità dell’interpretazione del diritto. L’attività giurisdizionale è assistita da una serie di garanzie costituzionali: - ART. 101, COMMA 2, COST.― in base al quale i giudici sono soggetti soltanto alla legge e, quindi, liberi da vincoli nei confronti di altri poteri; - ART. 104, COST. ― per cui la magistratura costituisce un organo autonomo ed indipendente da ogni altro potere; - ART. 105, COST. ― per cui le funzioni di autogoverno dei magistrati sono attribuite al Consiglio superiore della magistratura, organo autonomo ed indipendente sia dal potere legislativo che da quello esecutivo; - ARTT. 104 e 108, COMMA 2, COST. ― in base ai quali la legge deve assicurare l’indipendenza dei giudici; - ART. 107, COMMA 1, COST.― per cui i giudici sono inamovibili. IL CANCELLIERE. La legge sull’ordinamento giudiziario inquadra la figura del cancelliere tra gli ausiliari del giudice. Egli funge da necessario collegamento tra le parti in causa ed il giudice, giacché, di regola, tutte le istanze che le parti rivolgono al giudice vanno depositate nella cancelleria, così come devono essere depositati in cancelleria i documenti prodotti nel giudizio. Peraltro, i provvedimenti emessi dal giudice vengono resi noti alle parti per il tramite della cancelleria. Al cancelliere sono affidati svariati compiti: - Egli documenta, nei casi e nei modi previsti dalla legge, le attività proprie, quelle degli organi giudiziari e delle parti; - Egli assiste il giudice in tutti gli atti dei quali deve essere formato processo verbale; - Egli assiste il giudice in udienza; - In ogni caso in cui è previsto che il giudice provveda per iscritto, il cancelliere deve stendere la scrittura ed apporre la propria sottoscrizione dopo quella del giudice. In tale ultimo caso, il cancelliere ha un’importante responsabilità, essendo tenuto alla pubblicazione della sentenza; - Egli provvede al rilascio di copie ed estratti autentici dei documenti prodotti; - Egli provvede all’iscrizione a ruolo delle cause; - Egli forma il fascicolo d’ufficio e conserva quelli delle parti; - Egli effettua le comunicazioni e le notificazioni prescritte dal giudice o dalla legge; - Egli provvede alla ricezione dei depositi giudiziari nei casi in cui una delle parti sia tenuta a prestare una cauzione. Il cancelliere, inoltre, è civilmente responsabile in due casi: 1. Quando rifiuta, senza giusto motivo, di compiere gli atti che gli sono stati legalmente richiesti oppure omette di compierli nel termine fissatogli, su istanza di parte, dal giudice; 2. Quando ha compiuto un atto nullo con dolo o colpa grave. L’UFFICIALE GIUDIZIARIO. E’ un altro ausiliario del giudice. Alcune delle sue attività sono esclusivamente materiali, come: - Assistere il giudice in udienza; - Provvedere all’esecuzione degli ordini del giudice - Elevare i protesti. Ben più rilevanti, infatti, sono le altre funzioni che riguardano: - Le attività esecutive (ad. es, pignoramento mobiliare, pignoramento presso terzi, pignoramento immobiliare); - Le notificazioni, infatti esse sono di regola un atto dell’ufficiale giudiziario, la cui competenza è disciplinata dalla legge ed avviene su istanza di una delle parti, del cancelliere o del P.M. Le limitazioni che l'ufficiale giudiziario incontra nell’esercizio delle sue funzioni solo di natura territoriale. Egli deve, infatti, svolgere gli atti del proprio ministero esclusivamente nell'ambito del mandamento in cui ha sede l’ufficio al quale è addetto. Difatti, il vizio relativo all’incompetenza territoriale dell’ufficiale giudiziario dà luogo a nullità. L’unica deroga riguarda le notificazioni effettuate a mezzo del servizio postale. In tal caso, l’ufficiale giudiziario può operare anche al di fuori del mandamento, in quanto, secondo la giurisprudenza, l’avviso di ricevimento è l’unico documento che attesta l’avvenuta notifica. Come per il cancelliere, l’ufficiale giudiziario è civilmente responsabile in due casi: 1. Quando rifiuta, senza giusto motivo, di compiere gli atti che gli sono stati legalmente di prova e deve essere depositato in cancelleria due giorni prima dell’udienza, se al ricusante è noto il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa, e prima dell’inizio della trattazione o discussione di questa nel caso contrario. La ricusazione, chiaramente, sospende il processo.Questo sta a significare che la proposizione dell’istanza di ricusazione comporta automaticamente la sottrazione della causa alla cognizione del giudice che è stato ricusato e che, in modo contestuale, il giudice competente a decidere sull’istanza di ricusazione venga investito della questione. La decisione sulla richiesta di ricusazione spetta: - Al presidente del tribunale, se è ricusato un giudice di pace; - Al collegio, se è ricusato uno dei componenti del tribunale o della corte. Circa il procedimento di ricusazione, è stabilito che debba essere sentito il giudice ricusato ed assunte, ove occorra, le prove offerte. Il provvedimento conclusivo di tale sommario giudizio riveste la forma dell’ordinanza, che potrà essere: - Di accoglimento del ricorso di ricusazione, in tal caso verrà designato il magistrato che dovrà sostituire quello ricusato; - Di rigetto del ricorso di ricusazione, in tal caso è necessario che l’ordinanza provveda anche alle spese del procedimento e la parte ricusante potrà essere condannata ad una pena pecuniaria non superiore a 250 €. In entrambi i casi l’ordinanza non è autonomamente impugnabile, salva la possibilità di ricorrere in Cassazione avverso il solo capo che ha deciso in ordine alle spese del procedimento e in entrambi i casi l’ordinanza deve essere comunicata alle parti dal cancelliere, affinché provvedano alla riassunzione della causa nel termine perentorio di sei mesi. IL PUBBLICO MINISTERO. Nel processo civile, la legge assegna a tale figura compiti decisamente circoscritti. Nel processo civile si distingue tra: 1. P.M. AGENTE (art. 69)一 INTERVENIENTE NECESSARIO. Egli esercita l’azione civile nei casi stabiliti dalla legge. Egli può promuovere l’azione civile soltanto in fattispecie tipiche e tassative, trattandosi di una deroga. Mentre, si provvede su istanza del pubblico ministero o d’ufficio soltanto quando lo dispone la legge. Il p.m. agisce per far valere un diritto in sostituzione di chi non può o non vuole farlo valere, proponendo la domanda e compiendo i successivi atti processuali. Il dato che accomuna le ipotesi è che si tratta di azioni riguardanti diritti o status sottratti alla disponibilità delle parti, la cui tutela risponde ad interessi di natura pubblicistica. In tali casi, infatti, l’esercizio del potere di azione costituisce per il p.m. un potere-dovere (e non un mero potere); 2. P.M. INTERVENIENTE (art. 70)一 INTERVENIENTE FACOLTATIVO. In questo caso, si devono distinguere casi di: a) INTERVENTO OBBLIGATORIO: si ricollegano all’esigenza di controllare le attività delle parti nelle ipotesi di diritti indisponibili, al fine di evitare che le parti si difendano male o che addirittura colludano tra loro per frodare la legge, facendo apparire una situazione di fatto che è invece diversa da quella reale; b) INTERVENTO FACOLTATIVO: l’opportunità dell’intervento è rimessa ad una valutazione discrezionale da parte dello stesso p.m. Lo si ha in ogni altra causa che ravvisi un pubblico interesse. LA CAPACITA’. I presupposti processuali che attengono alle parti del processo sono: - Capacità processuale; - Legittimazione ad agire; - Interesse ad agire. Si tratta, come si ricorderà, di condizioni necessarie per poter giungere alla decisione nel merito della domanda giudiziale. La carenza di uno di questi presupposti processuali inerenti alle parti (come quelli inerenti al giudice) rende invalida la domanda e quindi l’instaurazione del processo. Ove ciò accada, è previsto un meccanismo di sanatoria con efficacia retroattiva, ma se la nullità non viene sanata, si riverbera su tutti gli atti del giudizio, imponendo al giudice di concludere il processo con una sentenza di mero rito. La nozione di CAPACITA’ fa riferimento a due concetti diversi: 1. Intesa come idoneità, di un soggetto, di essere destinatario degli effetti degli atti processuali, c.d. capacità giuridica (art. 1 c.c.) - in senso processuale; 2. Intesa come idoneità, di un soggetto di compiere validamente ed efficacemente gli atti del processo, c.d. capacità di agire (art. 2 c.c.) - in senso formale. La capacità processuale è regolata dall’art. 75 c.p.c. Nelle ipotesi in cui la parte in senso processuale sia un soggetto processualmente incapace (ad es., un minore o un interdetto, oppure il fallito), questi sta in giudizio mediante un soggetto che ne ha la rappresentanza (legale). La rappresentanza costituisce un presupposto processuale, in quanto rappresenta una condizione necessaria affinché il soggetto incapace possa acquisire la qualità di parte nel processo e possa essere così destinatario degli effetti degli atti del processo. Il difetto di rappresentanza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo. Tuttavia, tale vizio è sanabile e la sanatoria si produce con efficacia retroattiva rispetto agli effetti della domanda. Dalla rappresentanza deve essere tenuta distinta l’autorizzazione: questo istituto viene in rilievo quando il rappresentante, per poter compiere validamente ed efficacemente gli atti del processo, necessita di essere autorizzato. L’autorizzazione incide solo sulla validità degli atti compiuti dal rappresentante,con l’effetto che l’eventuale difetto di autorizzazione, ove espressamente prescritta da disposizioni di legge o statutarie, determina un vizio. Anche tale vizio è sanabile e la sanatoria si produce con efficacia retroattiva. LA LEGITTIMAZIONE AD AGIRE. E’ anch’essa un presupposto processuale. Il potere di agire in giudizio per la tutela di un diritto soggettivo spetta in via esclusiva a colui che afferma essere titolare di quel diritto in linea generale. Entrano in ballo due concetti: 1. LEGITTIMAZIONE ORDINARIA: divieto di agire in giudizio per la tutela di un diritto la cui titolarità appartiene ad un altro soggetto. Tuttavia, può subire alcune deroghe nelle ipotesi previste dalla legge. Si tratta di ipotesi in cui, in via del tutto eccezionale, il potere di agire in giudizio per la tutela di un certo diritto soggettivo è attribuito anche ad un soggetto, che non si affermi titolare di quel diritto. 2. LEGITTIMAZIONE STRAORDINARIA: il soggetto, in via del tutto eccezionale, pur non essendo titolare del diritto in questione può agire in giudizio in nome proprio per un diritto altrui (anche detta ‘’sostituzione processuale’’). Nel tentativo di operare una classificazione, seppure parziale, vengono solitamente individuati due gruppi di ipotesi: 1. IPOTESI DI LEGITTIMAZIONE STRAORDINARIA A TUTELA DI INTERESSI PUBBLICI O SOVRAINDIVIDUALI. Possono rientrare in questa categoria le ipotesi in cui la legge attribuisce la legittimazione ad agire al pubblico ministero nei casi previsti dalla legge. Es. Il pubblico ministero può esercitare l’azione di impugnazione del matrimonio; privata autenticata: cosa che richiederebbe la presenza di un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Circa la durata del potere rappresentativo del difensore, l’art. 85 c.p.c. disciplina gli istituti della revoca e della rinuncia alla procura. - La revoca proviene dalla parte che aveva conferito il mandato; - La rinuncia proviene dallo stesso difensore. Fermo restando che né la revoca della procura, né la rinuncia alla procura, abbiano effetto nei confronti della controparte fino a quando non sia avvenuta l’effettiva sostituzione del difensore, passaggio che si formalizza con la nomina e la costituzione in giudizio del nuovo difensore. IL LITISCONSORZIO. Dal punto di vista tecnico, si intende far riferimento al processo a cui partecipano più di due parti, dal lato attivo o da quello passivo. Esso può essere: - Attivo: quando la pluralità di parti riguarda il lato dell’attore; - Passivo: quando la pluralità di parti riguarda il lato del convenuto; - Misto: quando la pluralità di parti riguarda entrambi i lati. - Originario: quando si determina sin dall’instaurazione del processo; - Successivo: quando si determina in un momento successivo. - Necessario: quando il processo deve necessariamente instaurarsi tra più parti; - Facoltativo: quando il processo può instaurarsi tra più parti. Gli istituti che danno luogo al processo soggettivamente complesso sono: - Il litisconsorzio necessario; - Il litisconsorzio facoltativo; - L’intervento volontario del terzo; - L’intervento del terzo su istanza di parte; - L’intervento del terzo su ordine del giudice. 1. IL LITISCONSORZIO NECESSARIO. ART. 102 C.P.C. 一 ‘’Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo. Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito.’’ ⬇ La dottrina definisce tale norma: ‘’norma in bianco’’ in quanto si limita a dire che in alcuni casi, la decisione di merito, deve essere pronunciata tra più parti e tali parti devono partecipare al processo. Tuttavia, non precisa quando la decisione deve essere pronunciata in confronto di più parti. Infatti, se al contraddittorio non partecipano tutti coloro che devono agire in giudizio o essere convenuti in giudizio, difetta una condizione per la decisione della domanda nel merito. Prescindendo dalle ipotesi nelle quali è la legge stessa a prevedere la necessità del litisconsorzio, dottrina e giurisprudenza hanno individuato tre gruppi di fattispecie nelle quali il litisconsorzio necessario trova applicazione: 1) I rapporti plurisoggettivi. E’ un rapporto unico ma con una pluralità di parti. OGGETTIVA UTILITA’ DELLA SENTENZA: la decisione del giudice, per poter essere utile all’attore (cioè per rendergli la tutela giurisdizionale del suo diritto) deve essere resa necessariamente nei confronti di tutti i soggetti che sono parte del rapporto giuridico e che quindi sono contitolari del medesimo rapporto giuridico. In particolare, nelle ipotesi di: a) Processi relativi all’impugnazione di rapporti contrattuali plurilaterali ad effetti indivisibili; b) Processi di adempimento di obbligazioni ad attuazione congiunta, ma non anche nei processi di adempimento di obbligazioni aventi natura parziale o solidale; c) Processi di accertamento o di impugnazione relativamente agli status familiari; d) Processi di scioglimento di situazioni giuridiche di contitolarità di un diritto; e) Processi passivi della comunione. 2) Le ipotesi di legittimazione straordinaria. In questa ipotesi, un soggetto è legittimato ad agire, in nome proprio, per la tutela di un diritto altrui. In questi casi, bisogna tenere conto della regola, di carattere generale, in ordine all’azione surrogatoria. Si ritiene, in sostanza, che quando agisce un soggetto investito di legittimazione straordinaria, il legittimato ordinario (o sostituito) debba essere considerato litisconsorte necessario. In questa ipotesi, viene in rilievo l’interesse del convenuto ad ottenere una sentenza che faccia stato anche nei confronti del legittimato ordinario. A questa regola di carattere generale fanno eccezione soltanto le ipotesi di sostituzione processuale nelle quali il legittimato ordinario non è parte del processo. 3) Le ragioni di mera opportunità. Riguarda le ipotesi in cui devono partecipare al processo i soggetti titolari di un rapporto giuridico che è diverso da quello che costituisce oggetto del processo, ma è ad esso strettamente connesso, solitamente per un rapporto di pregiudizialità-dipendenza. In tali casi, la necessaria partecipazione al processo di tutti i titolari dei rispettivi rapporti giuridici discende da ragioni di mera opportunità che sono ricollegate all’esigenza di ottenere un accertamento uniforme del rapporto pregiudiziale. Si tratta di ipotesi tassative, in quanto l’applicazione dell’istituto del litisconsorzio necessario non può essere rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, ma deve essere prevista dalla legge. 2. IL LITISCONSORZIO FACOLTATIVO. Come già visto, il legislatore si è preoccupato di favorire – in presenza di determinate condizioni – il cumulo processuale, consentendo una deroga agli ordinari criteri di competenza per ragioni di connessione. In particolare, si ricorderà che l’art. 33 c.p.c. (cumulo soggettivo), individua i criteri ordinari, stabilendo, altresì, a favore di quale giudice opera la deroga. A tal proposito, si deve considerare che la deroga agli ordinari criteri di competenza opera soltanto per le ipotesi di litisconsorzio facoltativo proprio. Un ostacolo è rappresentato dall’eventuale diversità dei riti cui sono soggette le due cause. L’art. 103, comma 2, c.p.c., infine, disciplina la separazione delle cause cumulate, indicando i presupposti in presenza dei quali essa può essere disposta dal giudice. Tuttavia, la separazione delle cause cumulate non è sempre possibile. Essa è possibile nei casi di connessione per il solo titolo o per identità di questioni e nelle ipotesi in cui la connessione riguardi l’oggetto e il titolo. Inoltre, l’aspetto che va chiarito è che nel processo cumulato le due cause sono autonome, sia in relazione ai presupposti processuali, sia in relazione alle vicende che possono interessare una delle due cause. Per quanto concerne le attività di merito rispetto alla questione comune vige il principio di acquisizione: le allegazioni e le risultanze istruttorie possono essere utilizzate per la decisione di entrambe le cause. Questo principio incontra il solo limite delle eccezioni in senso stretto, che, essendo eccezioni rilevabili esclusivamente dalla parte, valgono per la sola causa in relazione alla quale la parte legittimata le ha esercitate. 3. L’INTERVENTO VOLONTARIO DEL TERZO. Secondo l’art. 105, comma 1, c.p.c. «ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo» ⬇ Nelle ipotesi previste dal comma 1, il terzo interviene al fine di far valere un proprio diritto. In questi casi, l’intervento del terzo determina un ampliamento anche oggettivo del giudizio. Difatti, attraverso queste ipotesi di intervento, il processo tra le parti Si tratta, infatti, di ipotesi nelle quali il terzo avrebbe potuto agire sin dall’inizio, cioè sin dall’instaurazione del processo, insieme alle parti originarie: ecco perché questo tipo di intervento volontario viene anche definito litisconsortile. Peraltro, laddove il terzo non dovesse intervenire nel processo, la sentenza resa tra le parti originarie non provocherebbe un pregiudizio al suo diritto. c) L’INTERVENTO ADESIVO DIPENDENTE. È il terzo tipo di intervento contemplato dall’art. 105, definito così perché il terzo non propone una propria domanda, ma interviene limitandosi a sostenere le ragioni di una delle parti qualora vi abbia un proprio interesse. Dottrina e giurisprudenza sono da tempo concordi nel ritenere che questo tipo di intervento presuppone che il terzo sia titolare di un diritto dipendente rispetto a quello che è oggetto del giudizio tra le parti originarie, e pertanto, dall’esito del processo potrebbe derivare (indirettamente) al terzo un vantaggio o un pregiudizio. In pratica, viene in rilievo un relazione di pregiudizialità-dipendenza tra il diritto oggetto del processo e il diritto del terzo (ma non è una vera e propria forma di connessione). Difatti il terzo, qualora non intervenisse nel processo, potrà proporre nei confronti della sentenza resa all’esito del processo tra le parti originarie che lo pregiudica, soltanto l’opposizione di terzo revocatoria, che è un mezzo di impugnazione straordinario e che presuppone, peraltro, che la sentenza sia l’effetto del dolo o della collusione tra le parti. Per quel che riguarda i poteri processuali del terzo, infatti, mentre i primi due tipi di intervento (quello principale e quello adesivo autonomo) consentono al terzo il diritto di impugnare la sentenza in via ordinaria, l’intervento adesivo dipendente non concede al terzo il diritto di impugnare autonomamente la sentenza. Il terzo, a prescindere da quale tipo di intervento dispieghi, può intervenire in ogni fase del giudizio di primo grado, sino al momento della precisazione delle conclusioni. Mentre, nel giudizio d’appello l’intervento del terzo è ammesso nel solo caso di quei terzi che sarebbero legittimati alla proposizione dell’opposizione di terzo prevista dall’art. 404 c.p.c.. Per quanto concerne il primo grado del giudizio, per il terzo, pur potendo intervenire sino al momento di precisazione delle conclusioni, non è indifferente il momento nel quale interviene nel processo, in quanto subisce le preclusioni che siano già maturate nel corso del giudizio e, di conseguenza, il terzo non può esercitare i poteri processuali rispetto ai quali, nel momento in cui interviene, si è già verificata la preclusione. 4. L’INTERVENTO DEL TERZO SU ISTANZA DI PARTE. L’art. 106 c.p.c. afferma che: «ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende di essere garantita». Attraverso la chiamata, un terzo viene chiamato a partecipare al processo già pendente tra altre parti e pertanto, il terzo, assume la qualità di parte. Ma perché ciò sia possibile, è necessario che sussista una connessione tra il diritto principale che è oggetto del processo e il diritto azionato nei confronti del terzo. Vengono dunque in rilievo, ai fini della chiamata del terzo su istanza di parte, due presupposti: 1. La comunanza della causa. 2. La (chiamata in) garanzia. Con la chiamata, può essere o meno esercitata una domanda nei confronti del terzo, quindi possiamo avere: ● Chiamate del terzo senza una specifica domanda — in cui si ha una mera denuncia della lite al terzo, finalizzata a rendere efficace nei suoi confronti la sentenza sul diritto intercorrente tra altre parti, giacché, in difetto di chiamata tale sentenza non sarebbe efficace nei confronti del terzo a motivo delle regole in tema di limiti soggettivi del giudicato; ● Chiamate del terzo con una specifica domanda — in cui viene proposta una vera e propria domanda nei confronti del terzo: in questo caso il terzo è evocato in giudizio ed è contestualmente azionato nei suoi confronti un diritto da parte del soggetto che lo ha chiamato nel processo I due presupposti che rendono possibile la chiamata del terzo nel processo su istanza di parte, dunque, sono: 1) LA COMUNANZA DI CAUSE. La nozione di “comunanza della causa” è intesa dalla giurisprudenza in senso molto ampio, in quanto si ritiene che rientrino nella nozione di comunanza tutte le ipotesi di connessione propria per l’oggetto e/o per il titolo e che giustificherebbe l’intervento volontario del terzo, rendendo con ciò possibile anche la chiamata in causa del terzo. Dunque, l’intervento coatto su istanza di parte deve ritenersi utilizzabile quando ricorre una di queste tre situazioni: a. Quando il terzo è titolare di un rapporto giuridico dipendente da quello che è oggetto del processo; b. Quando il terzo, chiaramente al di fuori delle ipotesi che danno luogo a litisconsorzio necessario, venga indicato quale contitolare di un rapporto plurisoggettivo che è oggetto del processo; c. In presenza di una connessione per alternatività e/o incompatibilità tra il rapporto giuridico oggetto del processo e quello di cui sarebbe titolare il terzo. Quest’ultima figura è quella più complessa ed è quella che si concretizza quando nel processo viene contestata la legittimazione attiva o la legittimazione passiva, si vuole con ciò fare riferimento ai casi in cui viene contestato il titolare attivo del diritto oppure il titolare passivo dell’obbligo. In entrambi i casi, per effetto della chiamata, sarà possibile accertare, con efficacia nei confronti di tutte le parti in causa chi è il vero obbligato e chi è il titolare del diritto dedotto in giudizio. 2) LA CHIAMATA IN GARANZIA. La seconda ipotesi in cui è consentita la chiamata in causa su istanza di parte è la chiamata in garanzia, cioè il caso del terzo dal quale la parte intende essere garantita. Riprendendo concetti già esaminati, il «garante» è colui che tiene indenne il «garantito», dalle conseguenze negative derivanti dalla sua soccombenza nel giudizio, rispetto alla domanda proposta nei suoi confronti. Partendo da questo presupposto, deve perciò distinguersi: ● GARANZIA PROPRIA FORMALE: è la garanzia prevista dalla legge nei contratti ad effetti reali, onerosi o gratuiti: quindi tanto in una compravendita che in una donazione. - “Garanzia per evizione”: il venditore è tenuto a garantire all’acquirente l’esistenza del diritto trasmesso. Per cui l’acquirente, che sia stato evitto, ha diritto di essere tenuto patrimonialmente indenne dal venditore. Processualmente, nel giudizio in cui sia stato convenuto dal legittimo proprietario può chiamare il venditore, affinché il giudice, con la sentenza con cui decide sulla domanda di rivendica, in caso di accoglimento, condanni il venditore, ove la accolga, per aver venduto una cosa altrui. La peculiarità di questa forma di garanzia è che il terzo venditore è tenuto ad assumere nel processo la difesa del garantito: per tale ragione si parla di garanzia formale propria ed in tal caso il garantito, nella specie un acquirente che ha corrisposto il prezzo, può essere estromesso dal processo. Se, infatti, l’acquirente non chiamasse il venditore nel processo, potrebbe sì sempre opporgli la sentenza che lo ha condannato alla restituzione del bene altrui, ma perderebbe il diritto alla garanzia ove il venditore riuscisse a dimostrare che esistevano ragioni sufficienti per far respingere la domanda. ● GARANZIA PROPRIA INFORMALE: è la garanzia prevista dalla legge in relazione a vincoli di co-obbligazione. La legge stabilisce che un soggetto sia tenuto a rispondere del debito altrui derivante o da un contratto di fideiussione è controverso tra due soggetti quale sia il titolare del credito nei confronti del debitore. In situazioni di questo genere, poiché il debitore/convenuto non contesta la sussistenza del proprio debito, può dichiararsi disposto ad adempiere a colui che risulti essere l’effettivo titolare del credito. In tal caso, il debitore può depositare quanto dovuto e, per conseguenza, chiedere di essere estromesso dal processo, che proseguirà per l’accertamento dell’effettiva titolarità del diritto dedotto in giudizio. 3. ESTROMISSIONE DEL DANTE CAUSA - ART. 111 C.P.C. Questa figura riguarda la parte che, nel corso del processo, ha alienato il diritto controverso (cioè il diritto che forma oggetto del processo) e può avvenire a seguito dell’intervento (volontario o su chiamata di parte) del soggetto che ha acquistato il diritto controverso. Si tratta di vicende accomunate dal dato di «far uscire» una parte dal processo, il quale proseguirà comunque tra altre parti. LA SUCCESSIONE UNIVERSALE. ART. 110 C.P.C. - «quando la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto». L’articolo in questione si occupa, quindi, dell’individuazione del soggetto che può continuare o nei cui confronti deve essere proseguito il processo quando la parte originaria «viene meno». L’ipotesi presa in esame riguarda il verificarsi di un fenomeno di successione universale che attenga a tutti i rapporti giuridici che facevano capo alla parte non più esistente. ● Il primo presupposto applicativo dell’art. 110 c.p.c. è che si tratti di una successione universale - è «naturale» che il processo prosegua nei confronti di chi è subentrato alla parte originaria, avendo da questa acquisito, a seguito del fenomeno di successione universale, anche la legittimazione ad agire o a contraddire nei giudizi già pendenti. ● Il secondo presupposto applicativo previsto dalla norma riguarda la circostanza che il venir meno della parte (persona fisica o giuridica) originaria sia avvenuta nel corso del processo - solo in questo caso può parlarsi di un fenomeno di successione universale, perché se il venir meno della parte originaria fosse avvenuta prima del processo, questo sarebbe affetto da nullità, in quanto iniziato nei confronti di un soggetto non più esistente. Un problema un po’ delicato riguarda la cancellazione di una società commerciale dal registro delle imprese a seguito di liquidazione volontaria. Il problema si è posto in quanto, prima della riforma del diritto societario, era pacifico che, indipendentemente dalla cancellazione, la società rimaneva in vita se vi fossero stati rapporti giuridici (attivi o passivi) ancora pendenti. Dopo tale riforma, invece, l’art. 2495, comma 2, c.c., riguardante le società di capitali, impone la soluzione opposta, dovendosi ritenere che la cancellazione di una società dal registro delle imprese ne determini l’estinzione. Peraltro, secondo la lettura fornita dalla giurisprudenza, l’art. 2495, comma 2, c.c., pur riguardando le società di capitali, andrebbe letto estensivamente con riguardo anche alle società di persone, per le quali, quindi, dovrebbe valere il medesimo principio. Premesso che, comunque, i creditori sociali potrebbero sempre proporre un nuovo ed autonomo giudizio nei confronti dei soci della società cancellata dal registro delle imprese, il problema resta quello di stabilire la sorte dei giudizi pendenti al momento della cancellazione-estinzione della società. Sul punto è intervenuta nel 2013 la Corte di cassazione a Sezioni Unite, la quale ha affermato che: ‘’la cancellazione dal registro delle imprese della società determina l’estinzione della stessa’’. Pertanto, qualora l’estinzione intervenga durante la pendenza di un giudizio del quale la società cancellata è parte, si determina un evento interruttivo con l’effetto che l’eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, avviene in base all’art. 110 c.p.c., in quanto ciò determina un vero e proprio fenomeno di tipo successorio. Quindi, pur trattandosi di un fenomeno successorio un po’ particolare, esso va senz’altro ricondotto nell'ambito applicativo dell’art. 110 c.p.c. LA SUCCESSIONE A TITOLO PARTICOLARE. ART. 111 C.P.C. — «se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie. Se il trasferimento a titolo particolare avviene a causa di morte, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto. In ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l’alienante o il successore universale può esserne estromesso. La sentenza pronunciata contro questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore universale ed è impugnabile anche da lui, salve le norme sull’acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione». E’ necessario precisare che il trasferimento a titolo particolare può avvenire secondo due modalità: 1. PER ATTO TRA VIVI. Es. il convenuto aliena il bene per il quale l’attore aveva promosso domanda di rivendica. In questo caso, si prevede che il processo continui comunque tra le parti originarie si tratta di una scelta di tutela per la controparte, cioè la parte che non ha dato causa al trasferimento del diritto, in quanto, in caso contrario, l’attore sarebbe costretto a riproporre la domanda nei confronti del nuovo titolare del diritto, il quale potrebbe a propria volta alienare il diritto controverso in corso di causa, e così via. 2. A CAUSA DI MORTE. Es.il diritto controverso è oggetto di un legato di specie. Nel caso in cui il trasferimento sia avvenuto a causa di morte, il processo continua nei confronti del successore a titolo universale, ossia dell’erede (o dei coeredi). Si tratta di una ratio ispirata all’esigenza delle parti originarie, per evitare alle altre parti del processo di doversi attivare per individuare l’eventuale legatario. Gli effetti della sentenza pronunziata tra le parti originarie si estendono anche al terzo avente causa, a prescindere dalla circostanza che il terzo avente causa abbia acquisito oppure no la qualità di parte nel processo. Poiché diversamente, la posizione dell’altra parte che non aveva dato causa al trasferimento, non sarebbe stata adeguatamente tutelata. Il legislatore, comunque, si preoccupa anche della posizione del successore a titolo particolare, il quale comunque può intervenire nel processo volontariamente, oppure esservi chiamato. Qualora il terzo prenda parte al processo, tramite intervento o tramite chiamata, può avere luogo la estromissione della parte originaria del giudizio, a condizione che le altre parti vi consentano. Il terzo, qualora prenda parte al processo, potrà esercitare tutti i poteri processuali connessi all’acquisto della qualità di parte. Anche qualora il terzo non prenda parte al processo, ha comunque la possibilità di impugnare la sentenza con i rimedi ordinari riservati solitamente alle parti del giudizio, stemperando così la previsione della soggezione del successore agli effetti della sentenza resa tra le parti originarie. GLI ATTI PROCESSUALI. Sono quegli atti, posti in essere dalle parti del processo, che svolgono un ruolo nella dinamica del processo. Dal punto di vista formale, il processo civile è un particolare «procedimento» composto da una sequenza di atti tra loro correlati e preordinati, al fine di rendere possibile una pronuncia di merito, ossia una decisione sulla domanda giudiziale. Pertanto, gli atti processuali consentono al processo di procedere, sino ad arrivare al provvedimento conclusivo del giudizio. L’atto processuale è quindi quell’atto in grado di produrre effetti sul processo (requisito oggettivo dell’atto) ed è proveniente dalle parti del giudizio (requisito soggettivo). è l’atto iniziale per proporre appello, revocazione e opposizione di terzo. La citazione è un atto scritto, autografo, unilaterale e recettizio. Non è previsto nel precetto esecutivo, a meno che non sia proposta opposizione. • RICORSO. È l’atto scritto con il quale, in alcuni casi, viene introdotto il giudizio (ha una funzione omologa all’atto di citazione) Es. nel caso del processo del lavoro. In altri casi è, invece, l’atto iniziale di un grado del giudizio. Es. nel caso di ricorso per cassazione. In tali casi l’attore prende il nome di ricorrente. ● CONVENUTO. • COMPARSA DI RISPOSTA (ART. 167). È l’atto con il quale il soggetto, che è stato chiamato in giudizio dall'attore, risponde per chiedere il rigetto della domanda giudiziale. E’ il primo atto del convenuto ed è anch’esso un atto scritto. • CONTRORICORSO. È l’atto scritto con il quale il convenuto risponde alla richiesta del ricorrente, chiedendo il rigetto della sua domanda. In tali casi il convenuto prende il nome di resistente. ● ATTORE E CONVENUTO. • COMPARSA (ART. 125). È un atto scritto. I provvedimenti che domandano al giudice, indicando il fondamento, in fatto e in diritto, di tali domande. Es. la comparsa conclusionale, che viene depositata sia dall’attore sia dal convenuto prima della decisione della causa. ● ATTORE O CONVENUTO (in base a chi abbia avuto ragione nel giudizio di primo grado). • ATTO DI PRECETTO (ART. 480 C.P.C.). È l’atto scritto con il quale viene annunciato l’inizio del processo di esecuzione forzata. Esso consiste in una intimazione, rivolta alla parte obbligata, di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro il termine, non inferiore a 10 giorni, con l’avvertimento che in mancanza si darà inizio all’esecuzione forzata. I TERMINI PROCESSUALI E LE PRECLUSIONI. Nel processo civile esistono una serie di scadenze temporali per il compimento delle attività delle parti e dell’ufficio giudiziario. A tal fine il legislatore utilizza due nozioni, tra loro diverse, ma preordinate al medesimo fine: 1. LA PRECLUSIONE. Indica la perdita di un potere processuale, riguarda esclusivamente l’attività delle parti e può derivare da circostanze diverse: - Es. perché la stessa parte ha compiuto precedentemente un’attività incompatibile con la conservazione del potere in questione; - Es. perché un potere processuale è soggetto a consumazione, per cui una volta esercitato è appunto consumato e quindi non può più essere esercitato; - Es. perché è decorso il termine entro il quale tale potere poteva essere esercitato dalla parte. Laddove una parte volesse ugualmente compiere un’attività ormai preclusa, la conseguenza sarebbe l’invalidità degli atti processuali posti in essere. 2. IL TERMINE. Indica un determinato periodo di tempo, stabilito dalla legge, per il valido compimento degli atti processuali e riguardano indifferentemente l’attività delle parti e l’attività dell’ufficio giudiziario. I termini processuali, una volta che scaduti, possono determinare la decadenza dal potere di compiere un determinato atto o una determinata attività processuale (per questo profilo, i due termini «atto» e «attività» devono considerarsi equivalenti), decadenza che, di regola, opera determinando i medesimi effetti della preclusione, vale a dire in maniera irreversibile. Nell’ambito dei termini processuali si opera questa distinzione: ● IN RELAZIONE ALLA FONTE. 1. TERMINI LEGALI: cioè i termini previsti direttamente dalla legge; 2. TERMINI GIUDIZIALI: cioè i termini stabiliti dal giudice. Il giudice può stabilire un termine nei soli casi in cui è la legge ad attribuirgli espressamente tale potere. ● IN RELAZIONE ALLA FUNZIONE. 1. TERMINI ACCELERATORI: cioè i termini in base ai quali una determinata attività deve essere compiuta entro un certo momento. A loro volta si distinguono in: termini perentori e termini ordinatori. 2. TERMINI DILATORI: cioè i termini che mirano ad assicurare che una determinata attività non venga compiuta prima di un certo momento. Per quanto riguarda le conseguenze della violazione dei termini in relazione alla loro funzione, bisogna fare un’ulteriore precisazione: 1. La violazione di un termine dilatorio rende sempre invalido l’atto intempestivo; 2. La violazione di un termine acceleratorio può produrre conseguenze diverse a seconda che il termine acceleratorio sia: - Perentorio: la decorrenza del termine dà automaticamente luogo alla decadenza dal potere di compiere l’atto. Es. Un termine perentorio fissato dal giudice è quello per l’integrazione del contraddittorio. -Ordinatorio: l’inosservanza di questo termine comporta la decadenza dal potere di compiere un determinato atto solo dopo una valutazione discrezionale del giudice. LA RIMESSIONE IN TERMINI. La rimessione in termini ha come presupposto applicativo l’oggettiva scusabilità della parte incorsa in una decadenza. La legge dispone che la rimessione in termini può essere richiesta al giudice dalla parte: «che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile». Il giudice, una volta ammessa la prova dell’impedimento, può disporre la rimessione in termini. In tali casi, egli provvede pronunciando un'ordinanza che rimette in termini la parte, la cui decadenza era incolpevole. Il punto più delicato riguarda la definizione del concetto di «causa non imputabile» alla parte, in quanto la genericità di tale concetto potrebbe tradursi, di fatto, in una valutazione discrezionale del giudice. Per evitare che ciò accada, si ritiene che la rimessione in termini non possa essere concessa ogniqualvolta i comportamenti negligenti, pur non essendo imputabili direttamente alla parte, siano però riferibili a soggetti abilitati ad operare nel processo in nome e per conto della parte, come ad es. il suo difensore. I PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE. I modelli formali che il legislatore ha previsto per i provvedimenti del giudice sono tre: 1. Sentenza; 2. Ordinanza; 3. Decreto. linea di principio, si può dire che il decreto è caratterizzato dalla revocabilità e modificabilità ad opera dello stesso giudice che l’ha emesso ed è impugnabile attraverso uno specifico rimedio. LE COMUNICAZIONI. E’ l’atto con il quale il cancelliere informa, le parti o altri soggetti che operano nel processo, che si è verificato un fatto rilevante per il processo oppure che è stato posto in essere un atto del processo. Essa avviene tramite la consegna (diretta o indiretta) di una copia del ‘’biglietto di cancelleria’’ in 2 modi: 1. Mediante la consegna diretta del biglietto di cancelleria, documentata attraverso una ricevuta apposta dal destinatario sulla copia del biglietto, che viene conservata nel fascicolo d’ufficio; 2. Mediante notificazione, che avviene però a cura dell’ufficiale giudiziario. Inoltre, va sottolineato che: - Se viene redatto su supporto cartaceo, il biglietto di cancelleria si compone di due parti uguali: una è consegnata al destinatario e l’altra viene conservata nel fascicolo d’ufficio. - Se viene trasmesso a mezzo posta elettronica certificata (PEC), il biglietto di cancelleria è costituito dal medesimo messaggio di posta elettronica certificata, formato e inviato nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. LE NOTIFICAZIONI. E’ un procedimento preordinato a conseguire la certezza legale di un atto del processo da parte di uno o più soggetti determinati. La certezza legale è necessaria affinché si producano gli effetti che la legge riconnette a quel determinato atto. Il soggetto cui compete tale procedimento è l’ufficiale giudiziario. La differenza tra la comunicazione e la notificazione risiede: a. Nel soggetto cui compete. La comunicazione spetta al cancelliere, la notificazione all’ufficiale giudiziario; b. Nell’oggetto. La comunicazione può avere ad oggetto un atto o un fatto del processo, la notificazione, invece, è finalizzata alla conoscenza di un atto del processo. Le notificazioni, quando la legge non disponga diversamente, sono eseguite dall’ufficiale giudiziario su istanza di parte, del p.m. o del cancelliere. Sono eseguite mediante la consegna (diretta) al destinatario di una copia conforme all’originale dell’atto da notificarsi. Inoltre, se l’atto da notificare è un documento informatico e il destinatario non possiede un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC), l’ufficiale giudiziario prosegue con la consegna di una copia dell’atto su supporto cartaceo, da lui dichiarata conforme all’originale e conserva il documento informatico per i due anni successivi. Lo svolgimento del procedimento di notificazione deve essere documentato dall’ufficiale giudiziario mediante una apposita relazione, che va stilata in calce all’originale e alla copia dell’atto (c.d. relata di notifica), datata e sottoscritta dallo stesso ufficiale giudiziario. Quest’ultima, certifica l’avvenuta esecuzione della notifica e della persona alla quale è stata consegnata la copia dell’atto. Se non vengono osservate tali disposizioni, la notificazione è nulla. Dal momento che la notificazione avviene trasmettendo DIRETTAMENTE al destinatario una copia conforme dell’atto da notificare, occorre specificare le dinamiche: ● NOTIFICAZIONE IN MANI PROPRIE. Consiste nella consegna diretta dell’atto nelle mani del destinatario, presso la casa di abitazione, oppure, se ciò non è possibile, ovunque lo trovi nell'ambito della circoscrizione dell’ufficio giudiziario al quale (l’ufficiale giudiziario) è addetto. Il destinatario dell’atto non può però essere «costretto» a ricevere l’atto da notificare e pertanto, in caso di rifiuto, la legge stabilisce che tale scelta debba essere documentata nella relata di notifica dell’ufficiale giudiziario. ● NOTIFICAZIONE NELLA RESIDENZA, DIMORA O NEL DOMICILIO. Se non fosse possibile la consegna nelle mani del destinatario, la legge prevede che la notificazione può essere fatta nel comune di residenza del destinatario: è indifferente che si tratti di abitazione o ufficio di lavoro. Se fosse sconosciuto anche il comune di residenza, la legge prevede che la notificazione possa essere fatta nel comune di dimora. Se anche questo fosse sconosciuto, può essere fatta nel comune di domicilio. Se il destinatario non viene trovato in nessuno di questi luoghi, la legge prevede una serie di possibili consegnatari: - Una persona di famiglia (non necessariamente convivente); - Se estranea, una persona addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda (che abbia capacità di intendere e volere). Se non vi è nessuna di queste persone o nessuna sia disposta a riceverla: - Al portiere dello stabile; - Ad un vicino che accetti di ricevere la copia. In questi due ultimi casi è necessario che: 1. Il portiere o il vicino sottoscrivano una ricevuta; 2. L’ufficiale giudiziario invii al destinatario una lettera raccomandata nella quale dà notizia dell’avvenuta notificazione. In tali casi, il procedimento di notifica si perfeziona solo dopo avere eseguito tali formalità. ● IRREPERIBILITA’ O RIFIUTO NEL RICEVERE LA COPIA. L’ufficiale giudiziario deposita una copia dell’atto nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi. Se questa è ignota, l’ufficiale giudiziario affigge l'avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda del destinatario e gliene da notizia per raccomandata con avviso di ricevimento. ● NOTIFICAZIONE ALL’ESTERO. Quando il destinatario dell’atto non ha né residenza, né domicilio o dimora nel territorio della Repubblica, la notificazione va effettuata seguendo due formalità: 1. La spedizione di una copia dell’atto al destinatario a mezzo posta con raccomandata; 2. La consegna di una seconda copia al pubblico ministero, perché ne curi la trasmissione al Ministero degli esteri per il recapito al destinatario. Una volta che l’ufficiale giudiziario abbia adempiuto a questa duplice formalità, la notificazione si ha per eseguita nel XX° giorno successivo, indipendentemente, cioè, dalla prova dell’effettiva ricezione dell’atto da parte del destinatario. Nell'ambito dell’U.E. la materia è regolata dal regolamento CE n. 1393 del 2007, in base al quale ogni atto giudiziale o stragiudiziale, in materia civile o commerciale, deve essere trasmesso in un altro Stato membro per essere comunicato o notificato al suo destinatario, salvo quando sia ignoto il recapito di quest’ultimo. ● NOTIFICAZIONE A PERSONA DI RESIDENZA, DIMORA E DOMICILIO SCONOSCIUTI. Se sono sconosciuti la residenza, la dimora e il domicilio del destinatario, l’ufficiale giudiziario esegue la notifica mediante deposito di copia dell’atto nella casa comunale dell’ultima residenza o, se questa è ignota, in quella del luogo di nascita del destinatario dell’atto. Qualora siano ignoti il luogo dell’ultima residenza e il luogo di nascita, l’ufficiale giudiziario consegna una copia dell’atto al pubblico ministero. La notificazione si ha per eseguita nel ventesimo giorno successivo a quello in cui l’ufficiale giudiziario ha adempiuto a queste formalità, indipendentemente dalla prova dell’effettiva ricezione dell’atto da parte del destinatario. ART. 161, COMMA 1, C.P.C. - NULLITA’ DELLA SENTENZA. Le nullità da cui è affetta la sentenza, sia dovute a vizi propri, sia derivate, possono essere dedotte con i mezzi di impugnazione delle sentenze. Tali nullità devono essere valorizzate dalla parte legittimata, affinché queste possano costituire motivo di invalidità della sentenza. Qualora la nullità della sentenza non sia dedotta con i mezzi di impugnazione previsti, tale nullità si sana, ciò significa che la sentenza non potrà più essere contestata dalla parte legittimata, in quanto la sentenza non impugnata è coperta da giudicato formale. In altre parole, il passaggio in giudicato formale della sentenza comporta che nessuna nullità (neppure assoluta) sia più rilevabile. LE SPESE PROCESSUALI. Il processo rappresenta una fonte (diretta o indiretta) di spese per le parti, comprensive delle somme da pagare: - A vario titolo allo Stato; - Ai soggetti che prestano la propria opera professionale all'interno del processo; - Al difensore. Proprio perché il processo comporta dei costi per la parte, viene da pensare che la garanzia costituzionale del diritto alla difesa non sarebbe realmente effettiva qualora la parte che ha ragione dovesse sopportare tali costi. La disciplina delle spese processuali si occupa, pertanto, di regolare la distribuzione tra le parti del processo dei costi sostenuti. I principi fondamentali in tema di spese processuali sono: 1. PRINCIPIO DI ANTICIPAZIONE DELLE SPESE. Ciascuna parte deve provvedere alle spese degli atti processuali che compie e di quelli che chiede ed è comunque tenuta ad anticipare le spese occorrenti per gli atti necessari al processo, quando l'anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal magistrato. 2. PRINCIPIO DELLA SOCCOMBENZA. La parte soccombente (cioè quella che ha avuto torto) viene condannata dal giudice, con sentenza definitiva, al rimborso delle spese processuali in favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari spettanti ai procuratori. 3. DISTRAZIONE DELLE SPESE. Questo principio riguarda l'opera professionale svolta dal difensore. Dal punto di vista sostanziale, infatti, il difensore vanta nei confronti del soggetto che ha rappresentato nel giudizio, il diritto ad ottenere il corrispettivo per l'opera professionale prestata, nonché il rimborso per le spese sostenute che egli abbia anticipato per conto del proprio assistito. Quando l'assistito ottiene la condanna dell'avversario al pagamento delle spese processuali, è soltanto la parte vittoriosa che può pretendere il pagamento dal soccombente. Per evitare che la parte vittoriosa si faccia pagare dalla parte soccombente ed ometta poi di soddisfare il credito vantato dal proprio avvocato, quest’ultimo, munito di procura, può chiedere la ‘’distrazione degli onorari non riscossi’’ e delle spese che dichiara di avere anticipato. In altri termini, quando il giudice deve pronunciare la condanna alle spese in favore del proprio rappresentato, il difensore può chiedere che le spese relative agli onorari non riscossi e alle spese anticipate vengano attribuite direttamente a lui, anziché alla parte. LE DEROGHE AL PRINCIPIO DELLA SOCCOMBENZA. ART. 91, COMMA 1, C.P.C. - CONDANNA ALLE SPESE. 1. LA COMPENSAZIONE DELLE SPESE. Il criterio per cui le spese vanno poste a carico della parte soccombente può essere derogato da quanto contenuto nell’art. 92, comma 2, c.p.c., per cui è possibile compensare, totalmente o parzialmente, le spese tra le parti in alcuni casi specifici: - Quando vi è soccombenza reciproca tra le parti; - In caso di novità assoluta della questione trattata nel processo; - Se vi è stato un mutamento della giurisprudenza in ordine alle questioni dirimenti. In tali ipotesi, il giudice ha la facoltà di disporre la compensazione delle spese tra le parti, indicando le ragioni nella motivazione della sentenza. Peraltro, il giudice può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, qualora le reputi eccessive o superflue. 2. L'INGIUSTIFICATO RIFIUTO DI UNA PROPOSTA DI MEDIAZIONE O CONCILIAZIONE. Qualora la parte che ha proposto la domanda giudiziale abbia rifiutato senza un giustificato motivo una proposta conciliativa formulata nel corso del giudizio (dalla controparte o dal giudice) veda accolta la propria domanda in misura non superiore alla proposta, tale parte, benché formalmente vittoriosa, può essere condannata al pagamento delle spese processuali maturate dopo la formulazione della proposta. Viene comunque fatto salvo il principio sopra citato, ossia la possibile compensazione, totale o parziale, anche in questo caso delle spese rispettivamente sostenute dalle parti. 3. LA RESPONSABILITA' AGGRAVATA. Essa costituisce un vero e proprio obbligo di risarcimento del danno (che prescinde dalla condanna alle spese), ed è contemplata dall'art. 96 c.p.c. Può avere luogo in due ipotesi: 1) La prima ipotesi, di carattere più generale, si verifica quando risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave. In tali casi il giudice, su istanza dell'altra parte, condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni; 2) La seconda ipotesi, senz'altro più specifica, ricorre quando: - Venga accertata l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata. - L'attore o il creditore procedente abbia agito senza la normale prudenza. In presenza di questi presupposti, il giudice, su istanza della parte danneggiata, condanna il responsabile del danno al risarcimento, liquidando, anche in questo caso, l'importo, pure d'ufficio, nella sentenza. IL PROCESSO DI COGNIZIONE. Come abbiamo visto, la tutela di cognizione (anche detta tutela dichiarativa) viene impartita attraverso il processo a rito ordinario a cognizione piena ed esauriente e ha come obiettivo quello di ottenere certezza in ordine all'esistenza o all'inesistenza del diritto vantato dall'attore nei confronti del convenuto. Il processo ordinario deve perciò necessariamente essere a cognizione piena ed esauriente, cioè con forme e cadenze predeterminate in maniera piuttosto rigida. ● Rito ordinario di cognizione→ ‘’rito ordinario’’. E’ di applicazione generalizzata. A tale disciplina sono dedicati i titoli I, II e III del libro II del codice di procedura civile. Dal punto di vista strutturale, è la legge a predeterminarne forme, i termini e i modi di instaurazione del contraddittorio e di compimento degli atti processuali. Inoltre, la regola di giudizio circa l'esistenza o l'inesistenza dei fatti storici rilevanti è quella sancita dell'art. 2697 c.c. E’ quel rito attraverso il quale sono esercitate attribuzioni giurisdizionali proprie della tutela dichiarativa, le quali pongono capo ad una decisione sempre idonea ad assumere autorità di cosa giudicata sostanziale. ART. 163 C.P.C. - CONTENUTO DELLA CITAZIONE. ‘’La domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa. Il presidente del tribunale stabilisce, con decreto approvato dal primo presidente della corte di appello, i giorni della settimana e le ore delle udienze destinate esclusivamente alla prima comparizione delle parti. L'atto di citazione deve contenere: 1) L'indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; 2) Il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell'attore; il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se attore o convenuto è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l'indicazione dell'organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio; 3) La determinazione della cosa oggetto della domanda; 4) L'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni; 5) L'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione; 6) Il nome e il cognome del procuratore e l'indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata; 7) L'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione; l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata o di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato, con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167. L'atto di citazione è consegnato dalla parte o dal procuratore all'ufficiale giudiziario, il quale lo notifica.’’ Una volta formato l'atto di citazione, è necessaria la sottoscrizione della parte stessa, qualora stia in giudizio personalmente, oppure del suo difensore. La citazione va poi consegnata all'ufficiale giudiziario, affinché questi provveda alla notificazione al convenuto (condizione indispensabile). L'adempimento successivo alla notificazione è l'iscrizione a ruolo della causa: è l'attività con la quale l'ufficiale giudiziario prende formalmente in carico la controversia, ma all'iscrizione a ruolo vera e propria provvede il cancelliere, su richiesta della parte che si costituisce per prima (che solitamente è l'attore). È in questo momento che si crea il contatto con l'Ufficio giudiziario, che viene così informato dell'esistenza dell'atto di citazione. ART. 164 C.P.C. - NULLITA’ DELLA CITAZIONE. ‘’La citazione è nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nei numeri 1) e 2) dell'articolo 163, se manca l'indicazione della data dell'udienza di comparizione, se è stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge o se manca l'avvertimento previsto dal numero 7) dell'articolo 163. Se il convenuto non si costituisce in giudizio, il giudice, rilevata la nullità della citazione, ne dispone d'ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio. Questa sana i vizi e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione. Se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue. La costituzione del convenuto sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali; tuttavia, se il convenuto deduce l'inosservanza dei termini a comparire o la mancanza dell'avvertimento previsto dal numero 7) dell'articolo 163, il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto dei termini. La citazione è altresì nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito nel numero 3) dell'articolo 163 o se manca l'esposizione dei fatti di cui al numero 4) dello stesso articolo. Il giudice, rilevata la nullità, fissa all'attore un termine perentorio per rinnovare la citazione o, se il convenuto si è costituito, per integrare la domanda. Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti quesiti anteriormente alla rinnovazione o alla integrazione. Nel caso di integrazione della domanda, il giudice fissa l'udienza e si applica l'art. 167.’’ LA COMPARSA DI RISPOSTA. Essa rappresenta il primo atto difensivo del convenuto nel processo e va depositata almeno 20 giorni prima della data di udienza di comparizione fissata dall’attore nell’atto di citazione. In tal modo, il convenuto si costituisce e diventa parte attiva del processo. Tuttavia, va sottolineato che egli non è obbligato a costituirsi. Il convenuto assume la qualità di parte processuale per effetto della notificazione dell’atto di citazione: questa è condizione sufficiente affinché la domanda dell’attore possa essere ugualmente decisa nel merito. Anche qualora il convenuto decidesse di presentarsi successivamente, nel corso del processo, la comparsa di risposta rappresenterebbe comunque il primo atto difensivo del convenuto. Se il convenuto, invece, non si costituisce, egli viene dichiarato CONTUMACE → tale termine, letteralmente, corrisponde alla mancata costituzione in giudizio della parte (totalmente diverso, ad esempio, dall’assenza ad una o più udienze). Nel nostro ordinamento, la CONTUMACIA è considerata come un atteggiamento processuale neutro, cioè non sono previste conseguenze sfavorevoli a carico del convenuto. Il solo effetto che produce questo fenomeno consiste nel fatto che, in tal modo, il convenuto non potrà esercitare le proprie difese nel processo. LA NULLITA’ DELLA DOMANDA RICONVENZIONALE. E’ prevista nel caso in cui sia stato omesso o risulti incerto l’oggetto o il titolo della domanda. Anche in questo caso, il giudice deve assegnare al convenuto un termine perentorio entro il quale deve provvedere all’integrazione della domanda. Pure in questo caso, la sanatoria opera con efficacia non retroattiva, lasciando ferme le decadenze maturate e salvi i diritti acquisiti anteriormente. In caso di omessa integrazione, è da ritenere che la conseguenza sarà l’insanabilità del vizio e, quindi, la definizione in rito della domanda riconvenzionale, che non potrà perciò essere decisa. COSTITUZIONE IN GIUDIZIO. Solo con la costituzione in giudizio le parti possono concretamente esercitare i poteri processuali loro attribuiti. Nello specifico: ● COSTITUZIONE DELL’ATTORE: deve avvenire entro i dieci giorni successivi alla notificazione della citazione al convenuto. La costituzione si attua attraverso il deposito in cancelleria del fascicolo di parte, che deve contenere l’originale dell’atto di citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione. ● COSTITUZIONE DEL CONVENUTO: egli deve costituirsi almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione. La costituzione si attua attraverso il deposito in cancelleria del fascicolo di parte, che deve contenere copia della citazione notificatagli, la comparsa di risposta, la procura e i documenti offerti in comunicazione. LA FASE DI TRATTAZIONE. Alla fase iniziale del processo, fa immediatamente seguito la fase di trattazione, ossia la fase deputata alla «raccolta» degli elementi necessari per permettere al giudice di rendere la decisione, con la eventuale sotto-fase della fase istruttoria. La disciplina della prima udienza di trattazione è contenuta nell’art. 183 c.p.c., nel quale sono descritte e regolate una serie di attività che il giudice e le parti possono (e, per certi profili, devono) compiere in questa udienza. Il legislatore ha previsto ch’essa inizi già nell’udienza di prima comparizione e si concluda, in linea di principio, in questa stessa udienza, anche se nella prassi questa costituisce un’eventualità di difficile realizzazione. - Le preclusioni che maturano in questa fase processuale. Nell’analizzare in dettaglio le attività che le parti, all’udienza e nelle memorie, possono compiere, è necessario operare un'ulteriore distinzione e differenziare tali attività in due gruppi: 1. Le attività che una parte può svolgere in replica alle difese e alle attività compiute dall’avversario; 2. Le attività che ciascuna parte può compiere liberamente, anche se non sono conseguenza delle difese dell’avversario. 3. Le attività che una parte può svolgere quale conseguenza rispetto alle attività compiute dall’avversario. ⬇ ● PER L’ATTORE: nella stessa udienza, l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Quindi, l’attore, a condizione che ciò sia conseguenza delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, può: - Proporre nuove domande; - Proporre nuove eccezioni; - Chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo. ● PER IL CONVENUTO: se richiesto, il giudice concede un termine ulteriore di 30 giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime. Per cui il convenuto potrà, all’udienza di trattazione o nelle memorie, svolgere qualsiasi ulteriore attività di replica rispetto alle novità introdotte dall’attore. Per quanto riguarda le attività che una parte può svolgere liberamente, anche se non sono una conseguenza delle attività compiute dall’avversario, la norma di riferimento prevede che le parti possono: ‘’precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate’’. Con il termine: ‘’modificazione’’ si intende una modifica della domanda, che avviene per lo più attraverso l’allegazione di nuovi fatti e che non determina un mutamento della domanda proposta. → TEORIA DELL’INDIVIDUAZIONE DELL’OGGETTO DEL PROCESSO: - si ha una modifica se l’oggetto del processo non subisce variazione; - si determina un mutamento se, all’opposto, l’oggetto del processo subisce variazione. E’ infatti vietato il mutamento della domanda già proposta, a meno che la legge espressamente non lo consenta, mentre è liberamente consentita la modificazione della domanda proposta. L’attività di modifica o di precisazione investe le eccezioni in senso stretto, che si precludono con la comparsa di risposta. Invece, sono liberamente proponibili le eccezioni in senso lato, posto che, rispetto ad esse non è prevista la preclusione nella comparsa di risposta. In sintesi, tra l’udienza e la prima e la seconda memoria si precludono: - Il potere di proporre nuove domande; - Il potere di proporre nuove eccezioni in senso stretto; - Il potere di modificare le domande proposte e le eccezioni esercitate; - Il potere di allegare nuovi fatti e rilevare le corrispondenti eccezioni in senso lato. I POTERI ISTRUTTORI DELLE PARTI IN FASE DI TRATTAZIONE. Essi attengono alla formulazione delle istanze istruttorie e alla produzione di documenti volti a dimostrare l’esistenza (o l’inesistenza) dei fatti rilevanti e bisognosi di prova. Al riguardo, la legge dispone che: - Nella seconda memoria, siano indicati i mezzi di prova e le produzioni documentali; - Nella terza memoria, possano essere indicate le sole prove contrarie. Da ciò si desume che le prove dirette si precludono nella seconda memoria, dato che nella terza possono trovare spazio esclusivamente le prove contrarie. Per prova contraria si intende il mezzo di prova volto a contrastare le risultanze del mezzo di prova richiesto dall’altra parte e a dare dimostrazione di un fatto che, se esistente, implica l’inesistenza del fatto che l’altra parte voleva dimostrare. Per quanto riguarda invece il potere di contestazione, la legge non detta espresse prescrizioni. Tuttavia, è comunque vincolato da un termine di preclusione. Il sistema delle preclusioni deve cedere il passo qualora si verifichino determinate situazioni che determinano la restituzione dei poteri di allegazione e di prova già preclusi alle parti e ciò può avvenire: - in caso di sopravvenienze di nuovi fatti rilevanti o di nuove norme di diritto, che intervengono nel corso del processo, dopo che si sono già realizzate le preclusioni; - in caso di tardiva attivazione del contraddittorio tra le parti da parte del giudice su una questione rilevata d’ufficio. Durante la fase della trattazione il giudice non ha mai il potere di decidere in modo vincolante una questione, essendo sempre consentito il riesame in sede di decisione. Peraltro, tale riesame in alcuni casi è condizionato all’espressa istanza di parte, mentre in altri casi è svolto d’ufficio. Vi sono alcune ipotesi nelle quali, conclusa la fase della trattazione, non ha luogo l’attività istruttoria ma il giudice rimette immediatamente la causa in decisione, senza dare luogo all’assunzione dei mezzi di prova. Ciò avviene qualora il giudice ritenga la causa matura per la decisione senza dover assumere mezzi di prova. Diversamente, se il giudice ritiene che la causa necessita di istruttoria, la rimessione in decisione potrà aversi solo a seguito dello svolgimento di tale fase. Le ipotesi sono, sostanzialmente, le seguenti: - La controversia è di puro diritto: in questi casi non vi è la necessità di accertare l’esistenza e il modo di essere dei fatti storici rilevanti, ma solo di stabilire quali siano le conseguenze giuridiche di tali fatti; - La controversia è documentalmente istruita: in questo caso, i fatti storici sono comprovati da prove documentali e non vi è necessità di dare luogo alla fase istruttoria, essendo questa è deputata all’assunzione nel processo dei mezzi di prove costituende; invece, i documenti entrano nel processo senza necessità di dare luogo ad attività di assunzione, mediante il loro mero deposito; - La controversia non è documentalmente istruita: in questo caso vi sono fatti controversi, ma le parti non hanno formulato istanze istruttorie né vi sono mezzi di prova disponibili d’ufficio che possano essere utilizzati dal magistrato; - Se il giudice ritenga che vi sia una questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito, la cui decisione è idonea a definire il processo; in tal caso, infatti, è superflua l’istruttoria sugli altri fatti rilevanti e controversi. In tal caso il giudice può rimettere la causa immediatamente in decisione solo quando, a seguito di una delibazione, gli appaia fondata, non anche in caso contrario. Anche in questo caso, comunque, la rimessione della causa in decisione è meramente facoltativa. Le QUESTIONI PREGIUDIZIALI DI RITO idonee a definire il processo sono le questioni attinenti ai presupposti processuali. Il giudice, di fronte ad una questione pregiudiziale di rito attinente ad un presupposto processuale non sanabile o in concreto non sanato, può rimettere la causa in decisione, essendo inutile compiere ulteriore attività di trattazione, tanto meno probatoria, se, in difetto di tale presupposto processuale, non sarà comunque possibile rendere una decisione di merito. Le QUESTIONI PRELIMINARI DI MERITO idonee a definire il giudizio sono le Invece, l’argomento di prova, da solo, non può fondare tale convincimento. Si tratta dunque di elementi con funzione accessoria rispetto alla prova propriamente detta. Agli argomenti di prova si possono aggiungere le dichiarazioni rese al consulente tecnico e le prove formate nel processo estinto. ● PROVE PRECOSTITUITE / PROVE COSTITUENDE. Le prove costituende sono le prove che si formano nel processo, secondo la disciplina del procedimento istruttorio, deputato alla loro formazione. Per cui, in caso di prova costituenda: - La parte interessata richiede l’assunzione del mezzo istruttorio; - Il giudice effettua un controllo di legalità della prova e rilevanza della prova, cioè verifica che il fatto oggetto della prova sia rilevante ai fini della decisione e bisognoso di prova. Le prove precostituite, invece, sono le prove che sono già formate fuori dal processo e che quindi preesistono al processo: sono prove precostituite i documenti. Esse non sono assunte mediante il procedimento istruttorio, ma vengono introdotte in giudizio mediante la produzione, cioè attraverso il loro materiale inserimento nel fascicolo di parte. Dunque, a differenza delle precedenti, non subiscono in via preliminare il vaglio di ammissibilità e rilevanza. ART. 115, COMMA 1, C.P.C. - PRINCIPIO DELLA DISPONIBILITA’ DELLE PROVE. Sono le parti (e, nei giudizi in cui interviene, il P.M.) ad avere i poteri di iniziativa istruttoria. Invece, il giudice ha poteri di iniziativa istruttoria solo nei casi previsti dalla legge nel rito ordinario e può disporre d’ufficio: - La consulenza tecnica; - L’ispezione; - La richiesta di informazioni alla p.a.; - L’interrogatorio libero; - La prova testimoniale. Tali poteri, inoltre, devono essere esercitati nel rispetto del principio di divieto di scienza privata del giudice e quindi, devono riguardare fatti legittimamente appartenenti al materiale di causa e devono riguardare fonti materiali di prova che emergono dalle risultanze processuali. In relazione ai poteri di iniziativa istruttoria, vigono due principi nel processo civile: 1. IL PRINCIPIO DI ACQUISIZIONE. In base a tale principio, le prove entrano nel processo per iniziativa di una parte al fine di dimostrare un certo fatto. Tuttavia, una volta acquisita, non è più nella disponibilità del soggetto che l’ha chiesta o che l’ha prodotta. Essa può essere utilizzata sia per comprovare l’inesistenza del fatto che era diretta a provare, sia per comprovare l’esistenza di fatti diversi, anche se sfavorevoli alla parte. 2. IL PRINCIPIO DELL’ONERE DELLA PROVA. Quando i fatti rilevanti sono bisognosi di prova è necessario fare riferimento al principio dell’onere della prova, contemplato dall’art. 2697 c.c. il quale, in realtà, detta due regole: 1) La prima è rivolta al giudice ed è una regola di giudizio: I fatti non provati o non completamente provati devono essere ritenuti inesistenti. In questo modo, si consente al giudice di emettere sempre una decisione sul diritto dedotto in giudizio e si pone il divieto di non liquet (se ritiene, ad es., non pienamente provato un fatto costitutivo del diritto, deve rigettare la domanda); 2) La seconda è rivolta alle parti: stabilisce su quale delle due parti ricada l’onere di provare i fatti rilevanti e, conseguentemente, a svantaggio di quale parte va il mancato assolvimento di tale onere. Diviene perciò essenziale distinguere tra fatti costitutivi, da un lato, e fatti impeditivi, modificativi ed estintivi, dall’altro lato. Si tratta, peraltro, di distinzione talvolta non semplice, soprattutto in ordine alla qualificazione di un fatto come costitutivo o come impeditivo. L’applicazione dell’art. 2697 c.c. sta a significare che nel processo civile l’onere per il convenuto di provare l’esistenza di un fatto i.m.e. sorge soltanto dopo che l’attore abbia assolto l’onere di provare l’esistenza di tutti i fatti costitutivi e necessari affinché il diritto da lui vantato possa essere considerato come esistente. I SINGOLI MEZZI ISTRUTTORI - LE PROVE COSTITUENDE. Esse sono quelle prove che si formano nel processo, secondo la disciplina del procedimento istruttorio, deputato alla loro formazione. Le prove costituende per eccellenza sono: - L’interrogatorio formale; - La confessione; - Il giuramento; - La prova testimoniale. Una posizione a parte rivestono: - La consulenza tecnica; - L’ispezione giudiziale. 1. L’INTERROGATORIO. Nel nostro ordinamento sono previsti due tipi di interrogatorio delle parti, che differiscono per la loro funzione: a) INTERROGATORIO LIBERO (anche detto non formale). E’ utilizzabile discrezionalmente dal giudice in qualunque stato e grado del processo. Dunque, non ha funzione probatoria, ma è uno strumento di chiarificazione delle posizioni difensive delle parti. E’ diretto a consentire alle parti in causa di precisare la propria versione in ordine ai fatti rilevanti per la decisione e quindi a fissare il thema probandum (cioè i fatti bisognosi di prova). Peraltro, dalle risposte che le parti forniscono in sede di interrogatorio libero, il giudice può desumere argomenti di prova; b) INTERROGATORIO FORMALE. E’ rimesso all’esclusiva disponibilità delle parti ed è un mezzo di prova a tutti gli effetti. La parte che intende far sottoporre l’avversario a interrogatorio formale è tenuta a dedurre l’interrogatorio «per articoli separati e specifici»: questo significa che, in sede di interrogatorio, le domande non potranno avere ad oggetto fatti diversi rispetto a quelli formulati in quegli articoli, con l’unica eccezione che non si tratti di domande sulle quali le parti concordano e che il giudice ritenga rilevanti. La parte sottoposta ad interrogatorio ha il dovere di comparire all’udienza e di rispondere personalmente alle domande. Il legislatore ricollega, infatti, delle conseguenze processuali alla mancata comparizione della parte, cui viene equiparato il rifiuto di rispondere alle domande. Difatti, se la parte non compare all’udienza fissata per l’interrogatorio o, pur se compare, rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il giudice, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio. Naturalmente, tutto questo in assenza di un «giustificato motivo», in quanto, altrimenti, il giudice deve fissare una nuova udienza per l’interrogatorio. L’obiettivo dell’interrogatorio formale è quello di costringere una parte a prendere posizione specifica sui fatti allegati dalla parte avversaria al fine di selezionare, nell'ambito di tutti i fatti allegati, quelli contestati e, per conseguenza, quelli effettivamente bisognosi di prova. Nella sostanza, il valore delle risposte rese in sede di interrogatorio formale, hanno il valore di una confessione quando il fatto dichiarato sia sfavorevole al dichiarante. 2. LA CONFESSIONE. La confessione è la dichiarazione (di scienza) che la parte fa di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte - ‘’dichiarazione contra se’’. La confessione è un mezzo di prova legale, che fa piena prova del fatto confessato. L’efficacia di prova della confessione è superata mediante la revoca della confessione, che può aversi esclusivamente per i casi in cui essa è stata determinata da errore di
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