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Riassunto diritto processuale civile 1, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Elementi di diritto processuale civile della prof.ssa Merlin

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 12/02/2024

gaia-campobello
gaia-campobello 🇮🇹

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Scarica Riassunto diritto processuale civile 1 e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! DIRITTO PROCESSUALE CIVILE 1 CAPITOLO 1 – PROCESSO CIVILE E FUNZIONE GIURISDIZIONALE 1. La funzione in generale del processo civile Il "diritto processuale civile" è costituito dalle norme contenute nel codice di procedura civile (codice Grandi-Calamandrei, approvato con Regio Decreto n. 262 del 1942, 4 libri, circa 840 articoli) Quale diritto "processuale " si distingue dal diritto "sostanziale" che regola il contenuto delle situazioni soggettive che si fanno valere nel processo La contrapposizione al "sostanziale" non va intesa nel senso che si tratti di un diritto "formale", bensì solo nel senso che le situazioni che esso regola hanno un valore strumentale, di "servizio", rispetto alle esigenze nascenti dalle relazioni di diritto sostanziale Scopo primario del processo civile è assicurare che le situazioni soggettive riconosciute dalle norme sostanziali possano ricevere, ove non rispettate o violate, la tutela giurisdizionale dovuta dallo Stato Se lo Stato non mettesse a disposizione tali strumenti di tutela giurisdizionale verrebbe meno al dovere di garantire l'effettività delle norme che esso stesso detta per regolare le relazioni dei singoli Così sarebbe se, riconosciuto nel codice civile che dal contratto di compravendita deriva il diritto al pagamento del corrispettivo, lo Stato non mettesse poi a disposizione del venditore lo strumento di tutela idoneo a conseguirne il pagamento: ne risulterebbe contraddetta la stessa giuridicità della regola secondo cui chi acquista ha obbligo di pagare il corrispettivo Tale essenziale funzione (garantire la tutela giurisdizionale delle situazioni sostanziali di vantaggio) è enunciata anche nell'art. 2907 c.c., ove al processo civile è assegnato il compito di provvedere alla "tutela giurisdizionale dei diritti" Sul piano dei rapporti con lo Stato-istituzione "a fini generali" al singolo spetta un diritto soggettivo di natura pubblicistica alla tutela giurisdizionale, detto "diritto di azione giurisdizionale", che ha il rango di diritto fondamentale che lo Stato non potrebbe negare o comprimere se non violando, oltre che le condizioni della sua stessa esistenza come Stato di diritto, i valori della civiltà giuridica, anche internazionalmente riconosciuti Il diritto alla tutela giurisdizionale civile è espressamente riconosciuto nell'art. 24, 1° comma, Cost. e nella Convenzione Europea sui "diritti dell'uomo e le libertà fondamentali" di Roma del 1950 (resa esecutiva in Italia dal 1955), il cui mancato rispetto può dar luogo a pronunce sanzionatorie a carico degli Stati aderenti da parte della Corte Europea dei diritti dell'uomo (Corte "EDU") La coessenzialità del diritto di azione alla stessa "giuridicità" delle regole sostanziali che riconoscono diritti e situazioni di vantaggio comporta anche che la spettanza del diritto di azione non ha bisogno di essere prevista con una norma ad hoc=> il diritto di azione è caratterizzato dall'atipicità 2. La tutela di cognizione, di esecuzione e cautelare La "tutela giurisdizionale" che è oggetto del diritto di azione che lo Stato deve garantire si concreta in tutela di cognizione, esecutiva e cautelare, a cui corrispondono tre diversi tipi di azione e di processo (disciplinati rispettivamente nei libri II, III e IV del c.p.c.) Essi sono accomunati dall'essere un fenomeno di "processo", ossia una serie concatenata di atti costituenti un iter dinamico per pervenire al risultato finale dato sempre da un "provvedimento", ma assolvono funzioni diverse e sono anche fra loro diversi nella struttura e nelle modalità di svolgimento Di questa pluralità di funzioni non si capirebbe la ragione se non si tenesse presente che per tutelare un diritto soggettivo del singolo lo Stato deve anzitutto accertarne l'esistenza, non potendo accontentarsi delle sole affermazioni di colui che ne chiede tutela Tale operazione di accertamento di esistenza del diritto soggettivo dà luogo alla tutela e al processo detti di "cognizione" perché diretti a "conoscere" dell'esistenza effettiva del diritto soggettivo e sfocianti nell'atto giurisdizionale - la sentenza - che ne dà certezza Lo scopo di acquisire certezza dell'esistenza del diritto azionato dal singolo si esprime dicendo che occorre la celebrazione di un processo "a cognizione piena ed esauriente", che si svolga con tutti gli strumenti e le garanzie razionalmente adeguati ad assicurare alla decisione del giudice il massimo grado di affidabilità possibile e la sua giustizia in concreto Coerente a tale funzione è che la sentenza sia destinata ad acquisire l'effetto di cosa giudicata, che vale a rendere indiscutibile ed irretrattabile l'accertamento in essa contenuto L'accertamento reso con la sentenza potrebbe non essere sufficiente a ristabilire l'ordine giuridico violato e a soddisfare il diritto non rispettato (ad assicurare che il venditore possa davvero materialmente ottenere la somma dovuta se, nonostante l'accertamento, il debitore continui a non pagare) A tal fine lo Stato deve apprestare anche la tutela esecutiva, che dà luogo al processo esecutivo: tale tipo di processo mira ad assicurare che il singolo possa coattivamente ottenere ciò cui ha diritto (il pagamento della somma di denaro) attraverso l'intervento autoritativo dell'organo giurisdizionale e anche contro la volontà dell'obbligato Il processo esecutivo si svolge attraverso operazioni di natura materiale e pratica, implicanti l'uso della forza (es. l'aggressione dei beni del debitore per ricavarne la somma dovuta al venditore), cui è estraneo uno scopo di accertamento, che in linea di principio è soddisfatto dall'essersi già svolto in precedenza un processo di cognizione Le decisioni da emettere in sede di processo esecutivo sono per lo più fondate su mere valutazioni di "opportunità" riguardanti il miglior modo in cui dare attuazione al diritto del creditore es. circa la determinazione del prezzo adeguato per mettere all'asta un bene del debitore o dei tempi da seguire per accedere alla sua abitazione e asportare il bene che deve essere consegnato all'avente diritto Le tutele di cognizione ed esecutiva possono ancora non bastare ad assicurare una protezione giurisdizionale effettiva e completa La necessità, per il singolo, di provocare un accertamento del suo diritto attraverso lo svolgimento del processo di cognizione comporta di per sé, inevitabilmente, dei tempi=> ciò significa che il momento in cui il singolo otterrà la sentenza che accerta il suo diritto e che gli consentirà di intraprendere l'esecuzione forzata è inevitabilmente un momento, sovente non di poco, successivo a quello in cui il diritto si trova in stato di insoddisfazione Se ciò è in sé inevitabile, lo Stato non può non preoccuparsi di proteggere il singolo nei casi in cui nell'intervallo di tempo necessario per arrivare alla pronuncia di cognizione, il suo diritto sia esposto a un pericolo grave e specifico di non poter essere di fatto più reintegrato o soddisfatto, pericolo tale da rendere praticamente inutile la tutela assicurata dalla sentenza A fronte del pericolo di inutilità della sentenza lo Stato deve mettere a disposizione un ulteriore strumento processuale dato dalla tutela e dall'azione cautelare: essa si concreta nell'emanazione di misure che, nel tempo occorrente per lo svolgimento del processo di cognizione, in via immediata anticipino, in tutto o in parte, gli effetti esecutivi della futura sentenza, neutralizzando gli eventi che potrebbero vanificarne l'utilità Si tratta di provvedimenti provvisori, resi in un processo celere e semplificato, diretto in una sua prima fase a verificare la sussistenza delle specifiche condizioni per la concessione della tutela cautelare e in una seconda fase alla materiale esecuzione della misura concessa Il processo cautelare, regolato agli artt. 669 bis e ss. c.p.c., ha una natura mista, sia di cognizione (1° fase) sia di esecuzione (2° fase), e sfocia in provvedimenti destinati a perdere effetto nel momento in cui arriverà la sentenza del processo di cognizione In ragione di tale funzione due sono le condizioni cui è subordinata la concessione della tutela cautelare e che vengono verificate nella fase di cognizione (1° fase) (solo se ricorrono queste due condizioni è giustificato che eccezionalmente siano anticipati gli effetti della futura sentenza): 4. La garanzia del diritto di difesa e la struttura "contraddittoria" del processo L'esercizio dell'azione si concreta sempre in una richiesta (la "domanda giudiziale") di un provvedimento giudiziale che produca effetti a carico di un altro soggetto In ragione della tipica "bilateralità" dell'azione è fondamentale che colui contro il quale l'azione è esercitata sia messo in grado di partecipare al processo e di difendersi con pienezza per ottenerne il rigetto In tutti gli ordinamenti moderni la partecipazione attiva al processo del convenuto è solo una facoltà, rimessa alla sua scelta, e la sua contumacia non impedisce lo svolgimento del processo Il diritto di difesa va garantito dallo Stato e dai suoi organi giurisdizionali non meno che il diritto di azione e trova solenne riconoscimento nel 2° comma dell'art. 24 Cost. ("la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento"), nell'art. 111, 2° comma, Cost. (che lo esprime come diritto al "contraddittorio"), e nell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (riconosce il diritto a un "equo esame" anche a coloro che siano citati in giudizio per l'accertamento di "doveri" e come soggetti passivi dell'azione) Quanto detto circa la reazione alle violazioni dello Stato al dovere di garanzia del diritto di azione, sia sul piano normativo che concreto, vale parimenti per le violazioni della garanzia del diritto di difesa Il diritto di difesa e al contraddittorio del convenuto viene assicurato imponendo che egli sia messo a conoscenza legale dell'avvio del processo, tramite la notifica della domanda giudiziale, e gli sia dato un congruo termine per costituirsi in giudizio ed esporre le sue difese, nonché gli siano riconosciuti poteri processuali equivalenti a quelli dell'attore al fine di poter incidere sul contenuto del provvedimento del giudice 5. La giurisdizione come funzione generale dello Stato. Funzione giurisdizionale, funzione legislativa e funzione esecutiva (differenze tra le 3 funzioni) La tutela che lo Stato deve mettere a disposizione dei singoli ha natura "giurisdizionale" e il diritto di azione va qualificato come diritto di azione giurisdizionale (art. 24, 1° comma, Cost., diritto di agire "in giudizio") La funzione giurisdizionale può definirsi sul piano oggettivo come funzione di accertamento e realizzazione di effetti giuridici concreti (iuris dictio) Gli effetti giuridici sono le conseguenze date dall'applicazione delle norme generali e astratte a un concreto episodio della vita e il loro accertamento presuppone due passaggi diversi: 1.la ricognizione dell'esistenza e del contenuto della norma generale da applicare (quaestio iuris) 2.la ricognizione del fatto, cioè del modo in cui si è svolto il concreto episodio della vita (quaestio facti) per pervenire alla conclusione se l'effetto si è realmente verificato Anche la ricognizione del più semplice effetto giuridico implica lo svolgimento di questa operazione di "accertamento", e poi pone a un livello successivo l'esigenza dell'attuazione pratica Tale definizione generalissima comprende tutte le manifestazioni della funzione giurisdizionale, non solo quella civile, ma anche quella amministrativa e penale La funzione giurisdizionale civile è accertamento e realizzazione di effetti giuridici dati da "diritti soggettivi" sostanziali dei singoli (il diritto di proprietà, il diritto di credito, il diritto al nome, ecc.) -Sulla base di tale elemento oggettivo è facile distinguere la funzione giurisdizionale dalla funzione legislativa: non è accertamento di effetti giuridici concreti, ma posizione di nuove norme generali e astratte, applicabili a una serie indeterminata di casi futuri -Più complessa è la distinzione fra funzione giurisdizionale e funzione esecutiva dello Stato È vero che la funzione esecutiva è attuazione dei compiti generali dello Stato-amministrazione tramite provvedimenti produttivi di nuovi effetti giuridici in applicazione di valutazioni discrezionali (es. l'istituzione di un'Università o la distribuzione delle risorse finanziarie fra le varie branche dell'amministrazione) La funzione esecutiva ha manifestazioni eterogenee e i provvedimenti con cui è esercitata possono avere portata normativa (come i regolamenti generali dei ministeri) o anche di accertamento di effetti giuridici preesistenti senza alcun margine di discrezionalità (come nel caso del provvedimento amministrativo che accerta una condotta di violazione di una norma di natura pubblicistica ed applica una sanzione) La linea di confine va tracciata da un lato osservando che, anche quando sono accertamento di effetti giuridici preesistenti, gli atti della funzione esecutiva sono privi della qualità tipica dei provvedimenti giurisdizionali, cioè, sono privi dell'efficacia di "giudicato" (res iudicata); dall'altro, osservando che manca nella funzione esecutiva l'elemento soggettivo dell'indipendenza ed imparzialità tipico della funzione giurisdizionale, poiché i provvedimenti sono posti in essere per perseguire interessi propri dell'ente che li emette e non con lo scopo di attuare l'interesse oggettivo all'applicazione della legge ai casi concreti Dal punto di vista soggettivo la funzione giurisdizionale si caratterizza per essere esercitata da organi dello Stato-istituzione a fini generali in posizione di indipendenza, imparzialità e terzietà Tali organi, costituenti la magistratura nel suo complesso, hanno una posizione istituzionale di indipendenza da tutti gli altri poteri dello Stato (art. 104, 1° comma, Cost.: "la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere") e nell'emettere i loro provvedimenti perseguono esclusivamente l'interesse oggettivo alla corretta applicazione della legge ai casi concreti Tanto che i giudici realizzano un interesse che è proprio dello Stato-comunità nel suo complesso (art. 101, 1° comma, Cost.: "la giustizia è amministrata in nome del popolo") e "sono soggetti soltanto alla legge" (art. 101, 2° comma, Cost.) 6. I principi generali sul processo civile Il processo civile è governato da alcuni principi generali direttivi, molti dei quali presidiati dall'espresso e solenne riconoscimento nella Costituzione e nell'art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo a) Il principio "della domanda di parte" e il principio dispositivo in senso stretto o in senso sostanziale Il principio della "domanda di parte", che trova espressione anche nell'art. 2907 c.c., esige che il processo sia avviato su impulso di un soggetto estraneo all'organo giurisdizionale, vietandone l'iniziativa d'ufficio (brocardi tradizionali: nemo iudex sine actore e ne procedat index ex officio) Se al giudice fosse dato di dar corso di sua iniziativa all'inizio di un processo per la tutela di un determinato diritto, che assumesse violato, sarebbe vulnerata la sua posizione di imparzialità (essendo verosimile che l'avvio d'ufficio sarebbe promosso da un giudice già in linea di massima convinto dell'esistenza del diritto su cui deve giudicare) Il principio dispositivo in senso stretto (o in senso sostanziale) traduce l'ulteriore esigenza che la domanda che dà avvio al processo provenga proprio dal soggetto che si afferma titolare del diritto sostanziale violato, cui è rimessa in via esclusiva la facoltà di scegliere se agire giudizialmente oppure trascurare di richiederne la tutela giurisdizionale (anche art. 24, 1° comma, Cost. ove riferisce l'azione alla richiesta di "tutela dei propri diritti") Il principio corrisponde alla visione liberale della funzione del processo, ossia al suo conformarsi al valore della piena autonomia dei privati sul piano sostanziale cui è rimesso un monopolio esclusivo nel promuovere la tutela delle posizioni di vantaggio di cui sono portatori Corollario ne è la regola secondo cui a chi propone la domanda è rimesso in via esclusiva anche di stabilire per quale diritto chiedere tutela e in che misura richiederla, di modo che il giudice è vincolato a decidere solo di tale diritto e nei limiti della richiesta della parte La regola della legittimazione ordinaria ad agire esclude che un soggetto possa agire in giudizio per un diritto altrui, pretendendo di sostituirsi al titolare (cosa ammessa in soli casi tipici e tassativi, detti di legittimazione straordinaria) Il principio dispositivo sostanziale trova deroga nei casi eccezionali in cui l'esercizio dell'azione relativa a rapporti privati risponde a preminenti interessi pubblicistici, che escludono che la scelta dell'agire in giudizio possa essere riservata a coloro che ne sono titolari => in questi casi (detti di "sostituzione ufficiosa") la legge attribuisce l'esercizio del potere di azione anche al pubblico ministero che è legittimato a dedurre in giudizio il diritto o il rapporto sostituendosi ai privati (art. 69 c.p.c.) es. in materia di status familiari (come è per l'esercizio dell'azione di accertamento della nullità del matrimonio), di illegittimità delle delibere degli enti (azione di annullamento delle delibere delle associazioni e fondazioni) In tali casi è rispettato il principio della "domanda di parte", poiché il processo non è avviato ex officio dal giudice, ma su richiesta dell'ufficio del P.M., organo giudiziario che assume il ruolo di parte Su di un piano diverso si pone il principio dispositivo processuale, anche detto istruttorio o "di trattazione", secondo cui vanno riservate strettamente alle parti anche tutte le attività strumentali a preparare il contenuto del provvedimento finale di accertamento, quali specialmente quelle di deduzione dei fatti e delle prove necessarie ai fini della decisione sulla domanda, di modo che il giudice non possa procedere d'ufficio alla loro raccolta ed assunzione [il principio non è correlato alla posizione di autonomia sostanziale dei privati (che è già rispettata rimettendo loro in via esclusiva la scelta dell'agire in giudizio) e risponde solo a contingenti opzioni di tecnica processuale e di semplice opportunità] b) Il principio di garanzia del diritto di azione giurisdizionale e diritto al contraddittorio (artt. 24 e 111, 2° comma, Cost.) L'azione va garantita non solo come diritto di accesso ai tribunali per mettere in moto il processo che può condurre all'emanazione del provvedimento di tutela richiesto, ma anche come diritto all'esercizio di tutti i poteri processuali funzionali alla dimostrazione della pretesa sostanziale azionata, quale il potere di allegare fatti e di provarne l'esistenza (c.d. diritto alla prova) Una volta esercitata, l'azione assume dimensione bilaterale sicché i poteri processuali vanno garantiti ad entrambe le parti del processo, e anche a colui, il convenuto, che è destinatario passivo della domanda ed interessato a dimostrare l'inesistenza della pretesa dell'attore Altresì della garanzia del contraddittorio si parla come diritto del convenuto ad essere messo in condizione di partecipare al processo e di interloquire con il giudice e la controparte (art. 101, 1° comma, c.p.c.: "il giudice non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata") Il principio del contraddittorio permea di sé l'intero svolgimento del processo e va inteso come garanzia anche per l'attore di poter replicare alle iniziative e alle deduzioni del convenuto o alle stesse iniziative ufficiose del giudice (art. 101, comma 2, c.p.c.) Non solo il provvedimento finale - la sentenza nel processo di cognizione - non può essere emesso senza aver assicurato che entrambe le parti siano sentite e abbiano potuto esporre le rispettive ragioni, ma anche i provvedimenti intermedi del processo che comunque incidono sull'esercizio dei poteri delle parti (es. il provvedimento con cui il giudice si pronuncia sull'ammissione di una prova oppure su un'istanza di sospensione del processo) vanno resi solo dopo aver dato alle parti la possibilità di interloquire in forma scritta od orale In un sistema ideale la garanzia del contraddittorio dovrebbe essere assolutamente inderogabile di modo che non possa mai essere pronunciato alcun provvedimento se non dopo aver sentito anche la parte contro cui è richiesto A questo sistema ideale il legislatore da sempre apporta alcune deroghe nell'ambito di singoli procedimenti speciali in cui la pronuncia del provvedimento (e anche la sua esecuzione) precede o può precedere l'instaurazione del contraddittorio (e avviene inaudita altera parte), che è posticipato a una fase processuale successiva es. nel procedimento speciale di condanna in via ingiuntiva (art. 633 ss. c.p.c.) e per specifiche ipotesi nei procedimenti cautelari (art. 669 sexies, 2° comma, c.p.c.) La legittimità costituzionale di queste previsioni derogatorie è condizionata sia al fatto che la compressione del valore del contraddittorio trovi una ragionevole giustificazione in ragione di altri valori di pari rango costituzionale, sia al fatto che le deroghe siano delimitate e disciplinate in modo tale che il soggetto passivo abbia strumenti adeguati per reagire ed esporre le proprie ragioni in tempi brevi e di vederle esaminate anche al fine di impedire l'esecuzione del provvedimento (tali deroghe si traducono in un eccezionale privilegio per l'attore e vanno considerate strettamente tassative) c) Il principio della "parità delle parti" (art. 111, 2° comma, Cost.) è un'applicazione del principio generale di uguaglianza (art. 3 Cost.) ed esige che alle parti siano attribuiti equivalenti possibilità di sostenere le proprie ragioni es. proporre prove o impugnare i provvedimenti sfavorevoli o replicare alle deduzioni avversarie CAPITOLO 2 – LE AZIONI DI COGNIZIONE 1. L'azione di cognizione in generale Secondo l'iter naturale, l'interessato alla tutela deve anzitutto proporre domanda per avviare un processo di cognizione che accerti l'esistenza del suo diritto verso il convenuto L'azione di cognizione è diretta all'emanazione del provvedimento - la sentenza di accertamento - che dia certezza circa l'esistenza di tale diritto La sentenza è espressione del nucleo essenziale della funzione giurisdizionale (iurisdictio) ed è caratterizzata dall'essere idonea ad assumere efficacia di cosa giudicata, costituendo un atto irretrattabile e fonte di un vincolo per le parti e i giudici di ogni futuro processo (res iudicata) Art. 2909 c.c.: "l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti" L'efficacia di cosa giudicata assiste la sentenza in ogni caso, sia che essa dichiari esistente il diritto fatto valere sia che lo dichiari inesistente, operando così a seconda dei casi in senso sfavorevole al convenuto o all'attore L'incontestabilità dell'accertamento reso con la sentenza passata in giudicato prescinde dalla sua effettiva giustizia, dall'essere cioè il giudice incorso in errori di fatto o di diritto L'incontestabilità sopravviene solo nel momento in cui la sentenza non è più esposta ai mezzi di impugnazioni ordinari, che costituiscono gli unici strumenti dati alle parti per fare valere la presenza di errori di fatto o di diritto Il processo di cognizione è istituzionalmente diretto a sfociare in una sentenza atta a decidere sulla relazione fra le parti con efficacia di cosa giudicata ed è la forma più complessa di processo, dovendosi fare carico di compiere tutte le operazioni pratiche ed intellettuali necessarie per pervenire alla conclusione se esista o meno il diritto fatto valere La natura giuridica del diritto fatto valere non muta in nulla il modo di svolgimento del processo di cognizione, che è indifferente al fatto che si tratti di un diritto reale o di un diritto di credito o della personalità o di un diritto potestativo A seconda del tipo di esigenza di tutela ricorrente nel singolo caso l'azione di cognizione esercitata può essere di mero accertamento, di condanna o costitutiva=> esse si distinguono a seconda degli effetti della sentenza richiesta dall'attore: pur essendo immancabile l'elemento dell'accertamento, la sentenza può essere dotata di effetti ulteriori, dati dall'efficacia esecutiva (nel caso di azione di condanna) o da effetti innovativi sostanziali (nel caso di azione costitutiva) L'esistenza di queste 3 azioni si desume dal sistema complessivo dell'ordinamento, tanto che solo per l'azione costitutiva vi è una norma generale nel codice civile 2. L'azione di mero accertamento La protezione dell'interesse sostanziale non sempre necessita del conseguimento di un'utilità materiale, poiché talvolta non vi è un obbligo inadempiuto per cui occorra chiedere una condanna finalizzata all'attuazione coattiva di una determinata condotta del convenuto La necessità della tutela giurisdizionale nasce in questi casi semplicemente da una situazione di incertezza pregiudizievole che reca intralcio allo svolgimento pacifico delle relazioni intersoggettive e, per porvi rimedio, la legge accorda all'interessato un'azione di mero accertamento La sentenza cui dà diritto si limita ad accertare l'esistenza o l'inesistenza o l'inefficacia o ancora il modo di essere di un diritto o di un rapporto giuridico, e, assistita dall'efficacia di giudicato, rimuove l'intralcio dell'incertezza Tale situazione si dà specialmente nel campo dei diritti reali o di status personali o di diritti della personalità Tipica è per i diritti reali l'azione di accertamento positivo dell'esistenza del diritto (di proprietà, di usufrutto, di servitù, ecc.) nei confronti di chi lo contesta (es. accertamento positivo della servitù esercitata dal titolare del fondo dominante) o di accertamento negativo di diritti che altri vantino sulla cosa (azione c.d. negatoria esercitata dal proprietario) La natura di mero accertamento dell'azione si coglie con chiarezza se si pensa alla distinzione, presente agli artt. 948-949 c.c., fra azione di rivendica e azione negatoria: • nell’azione di rivendica il proprietario agisce contro il possessore o il detentore del bene ed ha l'esigenza non solo di far accertare il suo diritto, ma anche di recuperare materialmente il bene: l'azione esercitata è tipicamente un'azione di condanna, diretta a una sentenza che, accertato il diritto di proprietà, ordini il rilascio del bene, eseguibile anche in via forzata • nell'azione negatoria il presupposto è che il proprietario sia nel possesso del bene e abbia solo l'esigenza di fare giudizialmente dichiarare l'inesistenza di diritti che altri vantano sulla cosa (specialmente, diritti reali limitati, come servitù od usufrutto), rimuovendo l'incertezza che intralcia il pacifico godimento del suo diritto: l'azione esercitata è tipicamente diretta ad una sentenza di mero accertamento Anche se non espressamente prevista dalla legge l'azione di mero accertamento è sempre ammessa per far dichiarare l'esistenza di uno status (es. filiazione) o di una qualità soggettiva fonte di diritti (es. la qualità di erede o di socio) nei confronti di chi li contesta Nell'ambito dei rapporti obbligatori l'azione di mero accertamento ha per lo più ad oggetto il rapporto fondamentale contrattuale, che è fonte di reciproci diritti ed obblighi, sia nel senso di farne dichiarare l'esistenza o permanenza nei confronti del contraente che la contesta, sia nel senso di farne dichiarare l'inesistenza o l'inefficacia (es. accertamento della nullità di un contratto o di simulazione) Più raro è che vi sia pratico interesse ad esercitare l'azione di mero accertamento in relazione a un singolo diritto di credito, poiché le contestazioni insorgono per lo più quando già è attuale l'obbligo di prestazione e la controversia sfocia nell'esercizio di un'azione di condanna da parte del creditore L'iniziativa dell'azione di mero accertamento dell'obbligazione è sovente esercitata dal soggetto che ritiene di essere infondatamente indicato come debitore od obbligato ed assume allora il contenuto di un'azione di mero accertamento negativo diretta alla dichiarazione di inesistenza dell'altrui diritto di credito=> in tale particolare caso l'azione assume funzione di tutela non di un diritto soggettivo dell'attore, ma più in generale dell'integrità della sua sfera giuridica, intesa come "libertà" da un debito o da un obbligo (quello che la controparte afferma esistere a suo carico) es. attore che chiede accertarsi che non sussiste la violazione di un diritto di brevetto affermato dalla controparte per vedere affermata la liceità della sua attività di messa in commercio di un determinato prodotto => anche la "libertà" da obblighi e debiti è ritenuta un'aspettativa meritevole di tutela giurisdizionale in quanto diretta a rimuovere un ostacolo - l'incertezza - al pacifico svolgimento delle relazioni giuridiche 3. L'azione di condanna L'azione di condanna è diretta a una sentenza che, oltre ad accertare il diritto dell'attore, contiene l'ordine autoritativo di tenere una determinata condotta da parte dell'obbligato L'ordine è la condanna ed è assistito dall'efficacia esecutiva, che consente all'avente diritto di avviare, se necessario, un processo di esecuzione forzata dell'obbligo inadempiuto Effetto tipico della sentenza di condanna è di costituire un titolo esecutivo, che determina la nascita dell'azione esecutiva La condotta ordinata può consistere nel semplice pagamento di una somma o nella consegna di un bene determinato o nell'esecuzione di un fare o non fare Le condotte di "non fare" costituiscono oggetto di obblighi negativi, detti di "astensione", che possono essere di durata istantanea (es. l'obbligo di non impedire lo svolgimento di un'assemblea o la realizzazione di un'opera) o di durata permanente (es. l'obbligo di non porre in essere atti qualificati come di sleale concorrenza fra imprenditori ex art. 2598 c.c. o di non porre in essere turbative o molestie dell'altrui diritto di proprietà ex art. 949 c.c.) Non sempre all'obbligo violato corrisponde un diritto soggettivo in senso proprio dell'attore, potendo trattarsi anche solo di una situazione di "libertà" giuridicamente tutelata (es. nel caso dell'azione di repressione della concorrenza sleale, la situazione tutelata è la libertà di iniziativa economica) Nella legge e nell'uso i casi di condanna all'astensione sono spesso detti di condanna inibitoria, alludendosi alla funzione di "inibire" determinate condotte illegittime, ordinandone la cessazione (es. l'art. 2598 c.c. prevede che la sentenza che accerta "atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione") L'effettività della tutela derivante dalla sentenza di condanna dipende dalla possibilità della sua forzata esecuzione, non essendo dubbio che la tutela sarebbe solo nominale se, in caso di inottemperanza dell'obbligato l'avente diritto non avesse anche lo strumento per provocare un forzato adempimento => tale risultato può essere assicurato secondo due tecniche diverse, ossia in via di: • esecuzione forzata diretta quando il risultato dovuto viene ottenuto, senza la cooperazione dell'obbligato, direttamente tramite l'opera degli organi esecutivi che compiono in via di "sostituzione" l'attività che realizza l'interesse del creditore La sostituzione dell'opera dell'organo esecutivo a quella dell'obbligato comporta, in misura maggiore o minore, l'invasione, anche con la forza, della sua sfera materiale o giuridica La tecnica presuppone che sia concepibile la sostituzione dell'attività dell'obbligato tramite l'organo esecutivo, ossia presuppone la fungibilità dell'obbligo L'ordinamento appresta tre diverse forme di esecuzione forzata diretta, applicabili a seconda del contenuto dell'obbligo da attuare e sfocianti in procedimenti diversi: 1.L'esecuzione per "espropriazione" diretta alla realizzazione dei crediti di denaro (art. 2910 c.c.), basata sulla apprensione di uno o più beni del patrimonio del debitore tramite il vincolo giuridico del pignoramento e sulla loro trasformazione in denaro tramite la vendita forzata con attribuzione del ricavato al creditore (oppure, in caso di pignoramento di crediti del debitore verso terzi, con assegnazione degli stessi al creditore) 2.L'esecuzione in forma specifica degli obblighi di dare beni mobili determinati o beni immobili, fondata sulla materiale immissione, a cura dell'organo esecutivo, del creditore nel possesso o nella detenzione del bene di cui ha diritto di avere la consegna (art. 2930 c.c.: esecuzione per consegna o rilascio) 3.L'esecuzione in forma specifica degli obblighi di fare consistenti nel compimento di un'opera materiale o nella sua distruzione (es. la posa di un cancello o la distruzione di un muro), fondata sulla realizzazione dell'opera a cura di un terzo incaricato dall'organo esecutivo, che la esegue a spese dell'obbligato (artt. 2931 e 2933 c.c.) In tutti questi casi, lo svolgimento dell'esecuzione forzata può implicare la necessità di superare la resistenza dell'obbligato, ma il risultato dovuto al creditore è sempre conseguito indipendentemente dalla sua attività e collaborazione • esecuzione forzata indiretta si fonda sull'uso di strumenti che valgono a forzare indirettamente la volontà dell'obbligato, tramite la minaccia di un "male" più grave che non quello insito nell'adempimento dell'obbligo, inducendolo ad ottemperare alla sentenza di condanna ("misure coercitive civili") In questi casi il risultato non è conseguito tramite la sostituzione dell'attività degli organi esecutivi a quella dell'obbligato, ma anzi confidando che, tramite la penalità minacciata, sia egli stesso a porre in essere la condotta dovuta Sino alla riforma dovuta alla L. n. 69/2009 il nostro ordinamento non conosceva strumenti generali di esecuzione indiretta, che trovava applicazione solo in singoli casi previsti dalle leggi speciali in settori considerati di particolare rilevanza sociale ed economica (es. al fine di garantire l'esecuzione delle condanne rese in materia di comportamenti del datore di lavoro discriminatori della parità fra uomo e donna nelle relazioni di lavoro - art. 37- 38 D.Lgs. n. 198/2006, o lesivi dei diritti sindacali art. 28 L. n. 300/1970) Con la L. n. 69/2009 si è introdotta una previsione generale all'art. 614 bis c.p.c., che oggi consente che il giudice, su istanza di parte e al momento della pronuncia della condanna, imponga all'obbligato delle misure di "coercizione indiretta", consistenti nell'obbligo di pagamento, in favore del creditore, di una a) Condanna in futuro: è ammessa la condanna per crediti ancora soggetti a termine nei casi particolari in cui si è già accertato l'inadempimento dell'obbligato relativamente a rapporti a prestazioni periodiche Esempi rilevanti si danno nel caso del locatore che abbia agito in giudizio per la risoluzione del contratto di locazione per morosità del conduttore, in cui il giudice pronuncia la condanna anche dei canoni "da scadere" fino al rilascio del bene locato; ed altresì nel caso di inadempimento dei coniugi all'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli, essendo ammessa la pronuncia di una condanna esecutiva anche tutti i ratei che verranno a scadere in futuro L'esigenza protetta è di evitare al creditore di dover reiteratamente agire in giudizio per i ratei che vengono via via a scadere e di consentirgli di ottenere una condanna che abbia effetto di titolo esecutivo anche per tutte le scadenze a venire b) Condanna generica La condanna ordinaria può essere pronunciata in favore dell'attore solo quando siano stati accertati tutti i presupposti per dichiarare esistente il diritto e all'insieme sia accertata e quantificata l'entità della prestazione dovuta (es. la quantificazione monetaria del danno da risarcire) L'art. 278 c.p.c. consente che, su istanza dell'attore, possa essere anticipatamente pronunciata condanna generica con cui si dichiara esistente il diritto e dovuta la prestazione, senza operare la quantificazione della prestazione (si è accertato l'"an" del diritto, ma non il "quantum") La sentenza non definisce il processo, che deve proseguire per pervenire alla sentenza definitiva che provvede alla quantificazione della prestazione L'interesse all'anticipazione della pronuncia sull'an sussiste quando debbano svolgersi ulteriori attività istruttorie sui profili del quantum, mentre le questioni relative all'an siano già istruite e in condizione di essere decise Trattandosi di condanna che non specifica l'entità della prestazione, la sentenza non ha efficacia esecutiva, non potendosi consentire al creditore di avviare un'esecuzione forzata es. per una somma da lui stesso unilateralmente e discrezionalmente determinata L'utilità della sentenza è data dal suo costituire immediatamente titolo per iscrivere ipoteca giudiziale sui beni immobili del debitore ex art. 2818 c.c. c) Condanna sommaria: condanna resa a cognizione sommaria nei casi in cui essa può essere pronunciata sulla base di una cognizione non completa dei presupposti dell'esistenza del diritto al fine di dotare in un momento anticipato il creditore dell'azione esecutiva Le tecniche della condanna sommaria sono differenziate, potendosi distinguere le seguenti ipotesi c1) Condanna con riserva di un'eccezione La sommarietà è in questo caso dovuta al fatto che il giudice pronuncia condanna sulla base di una cognizione solo parziale, sulla base di un convincimento pieno e completo sui fatti costitutivi del diritto, ma senza decidere su un'eccezione del convenuto, che, se fondata, dovrebbe importare il rigetto della domanda dell'attore (senza che vi sia neppure certezza circa l'an del suo diritto) La decisione sull'eccezione del convenuto viene "riservata", nel senso che avverrà solo nell'ulteriore corso del processo con l'emanazione della sentenza definitiva La condanna con riserva ha efficacia esecutiva, pur avendo natura di una sentenza soggetta a condizione risolutiva, destinata a perdere efficacia se poi l'eccezione del convenuto dovesse essere accolta con la sentenza definitiva Il caso più importante previsto dal codice è quello della condanna con riserva dell'eccezione di compensazione, eccezione volta a far rigettare la domanda dell'attore per sopravvenuta estinzione del credito azionato con un controcredito del convenuto Art. 35 c.p.c.: il ricorso alla condanna con riserva è ammesso solo se l'eccezione e il controcredito del convenuto abbisognano di ulteriore trattazione e istruzione, mentre vi siano già i presupposti per dichiarare l'esistenza, sotto tutti gli altri profili diversi dalla compensazione, del credito dell'attore c2) Condanna a cognizione sommaria superficiale La "superficialità" della cognizione implica che il giudice possa emettere la condanna anche se l'esistenza del credito può essere dichiarata in termini di "probabilità", ma non di certezza, nemmeno relativa, non essendosi ancora poste in essere le attività processuali necessarie per pervenire a un accertamento pieno La mera superficialità della cognizione può essere dovuta al fatto che la pronuncia in favore del creditore viene emessa in un procedimento che si svolge senza contraddittorio con il debitore, ossia inaudita altera parte, e senza aver potuto tener conto delle sue contestazioni ed eccezioni Il caso più importante è il procedimento per ingiunzione, regolato agli artt. 633 ss. c.p.c., in cui il creditore di una somma di denaro o alla consegna di una cosa mobile determinata o a una determinata quantità di cose mobili fungibili, che possa offrire prova documentale del suo credito, può ottenere, senza citare il debitore, un'ingiunzione con forma di decreto, equivalente ad una pronuncia di condanna L'ingiunzione determina un'inversione a carico del debitore dell'onere di instaurare il processo di cognizione, che è rimesso alla proposizione da parte sua dell'opposizione entro 40 giorni dalla notifica del decreto e in mancanza della quale il decreto diviene esecutivo e acquista efficacia di cosa giudicata In altre ipotesi, il provvedimento sommario di condanna, normalmente in forma di ordinanza, è reso nell'ambito di un ordinario processo di cognizione e nel contraddittorio delle parti, se il giudice si convince che vi siano elementi di preponderante probabilità di esistenza del diritto e di infondatezza delle contestazioni ed eccezioni sollevate dal convenuto In seguito alla pronuncia del provvedimento sommario, sempre dotato di immediata efficacia esecutiva, il processo prosegue per pervenire comunque alla sentenza da rendersi a cognizione piena che, se dichiara l'inesistenza del diritto, comporta la perdita di efficacia del provvedimento sommario e la necessità di disporre le restituzioni in favore del convenuto Questi casi sono considerati di tutela giurisdizionale "privilegiata", cioè prevista dal legislatore in favore di specifiche categorie di soggetti perché socialmente deboli o comunque meritevoli di un rapido accesso alla condanna esecutiva es. nelle controversie di lavoro può essere pronunciata in favore del lavoratore ordinanza di condanna provvisionale al pagamento di somme quando il giudice semplicemente "ritenga" il diritto accertato, destinata ad essere poi revocata con la sentenza che decide la causa; l'art. 18, 11° comma, St.lav., prevede che, in caso di impugnazione del licenziamento dei lavoratori "sindacalmente impegnati", il giudice possa disporre nel corso del giudizio con ordinanza l'immediata reintegrazione nel posto di lavoro "quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro" Questa tecnica di tutela sommaria-superficiale ha forti elementi di analogia con la tutela cautelare di tipo anticipatorio, ma se ne differenzia poiché essa non corrisponde ad un autonomo tipo di azione e la sua concessione non presuppone la dimostrazione di un periculum in mora, ma solo degli specifici presupposti prefigurati dalla legge per la sua concessione nei singoli casi tipici 6. L'azione costitutiva L'utilità cui si ha diritto secondo il diritto sostanziale non è data da un bene della vita materiale o immateriale, ma direttamente dalla produzione di un effetto giuridico consistente in un'innovazione nella relazione giuridica intersoggettiva, che realizza in sé l'interesse protetto es. nel caso di una delibera dell'assemblea condominiale illegittima, l'interesse protetto del condomino si realizza assicurandogli la rimozione della delibera e il suo annullamento Si tratta di posizioni soggettive aventi ad oggetto beni giuridici astratti (la rimozione della delibera, l'annullamento del contratto, ecc.), che si considerano produttivi di vantaggi per la sfera giuridica dell'avente diritto In questi casi il diritto soggettivo riconosciuto dalla legge sostanziale ha la natura di un diritto potestativo, inteso come diritto a ottenere unilateralmente una modificazione giuridica con effetti operanti anche nell'altrui sfera giuridica, rispetto alla quale il soggetto passivo è in una situazione di mera soggezione L'azione con cui è esercitato il diritto potestativo si definisce "costitutiva", poiché conduce a una sentenza dotata di una duplice funzione: da un lato, pone in essere l'effetto giuridico sostanziale cui l'attore ha diritto, dall'altro, accerta con efficacia di giudicato l'esistenza del diritto potestativo e dei presupposti per la realizzazione del nuovo effetto giuridico (nell'es. il vizio della delibera impugnata), rendendolo incontestabile La sentenza costitutiva ha un elemento in più rispetto ad una sentenza di mero accertamento (la pronuncia del nuovo effetto giuridico), ma, al pari della sentenza di mero accertamento, non abbisogna di una fase di esecuzione poiché l'interesse sostanziale è attuato e soddisfatto direttamente con la sua pronuncia Non tutti i diritti potestativi corrispondono all'esercizio di azioni costitutive -Vi sono diritti potestativi "semplici” o ad "esercizio stragiudiziale", in cui il titolare può provocare la modificazione giuridica che realizza il suo interesse con una semplice dichiarazione di volontà stragiudiziale diretta alla controparte, senza che occorra, né sia possibile chiedere l'emanazione di una sentenza costitutiva es. nei casi in cui la legge attribuisce a una o entrambe le parti di un contratto il potere di "recedere" e di provocarne lo scioglimento, come è tipico nei contratti di durata es. potere delle parti di un contratto di locazione di intimarne la "disdetta" e di impedirne la rinnovazione, o di sciogliere in qualsiasi momento contratti a durata indeterminata (come la somministrazione o il comodato) o potere del datore di lavoro di licenziare il dipendente per giusta causa o giustificato motivo=> in questi casi l'effetto di scioglimento del contratto si produce sul piano stragiudiziale in virtù della semplice dichiarazione negoziale della parte, senza che sia accertata la presenza dei suoi presupposti (es. la data di scadenza del contratto di locazione disdettato) Se al riguardo sorge controversia fra le parti, l'una o l'altra potranno ricorrere al giudice esercitando un'azione di mero accertamento, volta, a seconda dei casi, a far dichiarare che quei presupposti sussistevano o non sussistevano e che il rapporto si è o non si è efficacemente estinto In questi casi, il giudice interviene solo per accertare se l'effetto, preesistente al processo perché scaturente dalla dichiarazione unilaterale della parte, si è effettivamente verificato -All'opposto, nei casi di diritto potestativo ad “esercizio giudiziale” (o altrimenti detto potere di azione costitutiva) la parte non può ottenere l'effetto se non provocandone la pronuncia da parte del giudice, che all'insieme accerta la sussistenza dei presupposti per la sua realizzazione, di modo che l'innovazione si produce nel momento in cui vi è al riguardo piena certezza L'effetto costitutivo si produce solo al momento del passaggio in giudicato della sentenza, anche se nei singoli casi è possibile che esso operi retroattivamente, sin dal momento in cui erano venuti ad esistenza i presupposti per la sua realizzazione (es. l'annullamento del contratto per vizio della volontà ne determina l'inefficacia sin dal momento in cui era stato stipulato e dà diritto ad ottenere la restituzione delle prestazioni già eseguite) L'azione costitutiva, a differenza dell'azione di condanna e di mero accertamento, è tipica, nel senso che solo nei "casi previsti dalla legge" il giudice può emanare una sentenza che valga a "costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici": così recita l'art. 2908 c.c., che lascia anche intendere che la portata dell'effetto da pronunciare può essere costitutivo in senso stretto (dando luogo a una nuova situazione giuridica), estintivo o modificativo (ponendo nel nulla o modificando una situazione giuridica preesistente) I casi più importanti di azione costitutiva in senso stretto sono quelli dell'azione diretta a provocare la nascita di un diritto di servitù coattiva sul fondo confinante in ragione es. dell'interclusione del fondo dominante rispetto alla pubblica via, e dell'azione diretta alla c.d. "esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto", che spetta a colui che ha stipulato un contratto preliminare fonte di reciproche obbligazioni a concludere un successivo contratto definitivo: a fronte del rifiuto di adempiere, l'altra parte può esercitare il diritto potestativo di azione costitutiva diretta all'emanazione della "sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso" Le sentenze estintive sono le più frequenti: nel campo delle delibere degli enti, l’azione di annullamento delle delibere illegittime delle società e delle associazioni; in materia di rapporti familiari e di status, l'azione di divorzio o di separazione personale fra i coniugi, l'azione di annullamento del matrimonio, o l'azione di disconoscimento della paternità legittima CAPITOLO 3 – L’AZIONE VERSO LO STATO-GIUDICE E LE CONDIZIONI PER LA PRONUNCIA DI MERITO 1. L'azione di cognizione in senso dinamico e la pronuncia di merito A fianco e distintamente rispetto all'azione nei confronti dello Stato-istituzione (come Ente a fini generali obbligato a predisporre gli strumenti processuali di tutela dei diritti dei singoli), si colloca l'azione come posizione soggettiva processuale nei confronti dello Stato-giudice avanti al quale essa è concretamente esercitata proponendo una domanda giudiziale In tale momento dinamico l'azione di cognizione non è e non può essere diritto ad avere il provvedimento di tutela (sia essa di condanna, di mero accertamento o costitutiva), poiché il diritto alla "tutela" presuppone che sia effettivamente esistente il diritto sostanziale fatto valere e ciò si saprà solo alla conclusione del processo, quando, raccolti tutti gli elementi utili per la decisione, il giudice statuirà se il diritto esiste o non esiste Già prima ed indipendentemente dall'esito del processo, nel rapporto con lo Stato-giudice spetta all'attore una posizione soggettiva processuale di "vantaggio", poiché egli ha almeno diritto all'emanazione di una sentenza che si pronunci sulla relazione sostanziale dichiarando se esista o meno il diritto fatto valere, e ha diritto alla prestazione giurisdizionale consistente nella sentenza detta "di merito" La garanzia di tale diritto assicura che il giudice non possa sottrarsi dal pronunciarsi sul diritto sostanziale per mere considerazioni di opportunità o discrezionali es. perché la causa è troppo complessa o bagatellare Il diritto di azione ha proprie condizioni legali ed oggettive e solo se esse mancano il processo legittimamente si conclude con una sentenza che non affronta il "merito" Il giudice deve e può limitarsi a statuire la mancanza delle specifiche condizioni per rendere una decisione sulla relazione sostanziale fra le parti (pronuncia di rigetto in "rito" o "processuale") Le condizioni per l'esistenza del diritto di azione in senso dinamico sono elementari: • interesse ad agire • legittimazione ad agire Esse sono dirette ad assicurare che il giudice sia impegnato a pronunciarsi sulla relazione sostanziale solo se nel singolo caso ciò risponde allo scopo istituzionale del processo, vale a dire allo scopo di soddisfare un bisogno di tutela di interessi sostanziali propri di chi la richiede 2. L'interesse ad agire La prima condizione, l'interesse ad agire, è enunciata in termini generali dall'art. 100 c.p.c. e corrisponde al principio secondo cui l'azione deve essere sorretta da un bisogno di tutela coerente alla funzione giurisdizionale e al tipo di azione (di condanna, di mero accertamento, costitutiva) esercitato Non basta reclamare l'utilità pratica o soggettiva di una pronuncia di merito su una certa relazione sostanziale se tale utilità non è conforme a quella predeterminata dagli scopi tipici della giurisdizione e in tal caso il processo deve concludersi con una sentenza di rigetto in rito Il "bisogno di tutela giurisdizionale" si giudica diversamente a seconda del tipo di azione esercitata ed è dato per l'azione di mero accertamento dall'esistenza di un'incertezza oggettiva, concreta e attuale, sull'esistenza o il modo di essere di un diritto o di un rapporto L'incertezza è oggettiva e concreta se deriva da contestazioni o vanti stragiudiziali del convenuto, che abbia con serietà messo in dubbio il diritto dell'attore o si sia affermato titolare di diritti che ne limitano il contenuto (es. azione negatoria che l'art. 949 c.c. attribuisce al proprietario per far dichiarare l'inesistenza di diritti "affermati da altri sulla cosa" o dell'azione di accertamento positivo della servitù che può esercitarsi, ex art. 1079 c.c., "contro chi ne contesta l'esercizio") Può esservi in alcuni casi incertezza oggettiva anche a prescindere da comportamenti del convenuto es. se l'azione è diretta a far accertare la nullità o la simulazione del contratto, poiché il contratto nullo o simulato ha un'oggettiva "apparenza" di esistenza ed efficacia e, sia esso contestato o meno, l'esigenza di rimuovere tale apparenza corrisponde a un bisogno meritevole di tutela in via giurisdizionale È escluso l'interesse ad agire se l'esigenza di avere certezza giudiziale deriva solo da dubbi o timori meramente soggettivi dell'attore=> in tal caso impegnare la giurisdizione nell'accertamento sul merito sarebbe sproporzionato e l'azione deve essere rigettata con sentenza di mero rito L'interesse ad agire è anche escluso se l'accertamento richiesto non riguarda un diritto o un rapporto giuridico, ma una mera questione giuridica astratta (es. l'interpretazione di una norma) o una semplice questione di fatto (es. fatto di interversione del possesso come presupposto per il futuro e solo eventuale maturare dell'usucapione), la cui soluzione non darebbe di per sé certezza circa l'esistenza o inesistenza di un diritto sostanziale=> la pronuncia riguarderebbe una singola questione rilevante per giudicare di un certo diritto, ma non recherebbe una statuizione circa l'esistenza di tale diritto (che potrebbe in seguito essere negata per qualsivoglia altro motivo), risultando così essersi esercitata la funzione giurisdizionale per soddisfare un bisogno che non è conforme a quello proprio del suo scopo istituzionale La pratica applicabilità del filtro dato dall'interesse ad agire nel campo dell'azione di condanna e costitutiva è solo marginale Nell'azione di condanna l'attore chiede che si accerti un obbligo attuale del convenuto di tenere una determinata condotta e se ne ordini l'attuazione L'interesse ad agire non deriva necessariamente da un'incertezza oggettiva (potendosi dare il caso dell'obbligato a una condotta che non contesti alcunché e semplicemente non la ponga in essere), ma anche solo dall'attuale inadempimento dell'obbligo per cui è chiesta la condanna L'assenza dell'interesse ad agire resta prospettabile solo nei casi limite in cui l'attore agisca in via preventiva e precauzionale chiedendo la condanna pur se l'obbligo non sia ancora attuale es. se si chiedesse la condanna al pagamento di una somma per un'obbligazione dichiaratamente soggetta a un termine non ancora scaduto o la condanna alla restituzione di un bene di proprietà prima di essere spossessati solo per precostituirsi in anticipo un titolo per l'esecuzione forzata (salvi i casi tipici in cui la legge ammette la condanna in futuro)=> in tali casi mancherebbe l'attualità della violazione dell'obbligo di condotta e la domanda dovrebbe essere rigettata in rito, senza appurare se dalla relazione sostanziale derivi l'obbligo affermato dall'attore Nell'azione costitutiva l'attore chiede che si accerti l'esistenza del suo diritto potestativo ad ottenere, per il tramite della sentenza, una determinata innovazione della relazione sostanziale con il convenuto Come nell'azione di condanna, la stretta tipizzazione della situazione sostanziale esercitata rende prospettabile la mancanza di interesse ad agire solo in casi residuali es. se l'attore chiedesse di costituire un diritto già esistente (es. una servitù coattiva di passaggio già costituita mediante atto negoziale, cui per precauzione l'attore volesse aggiungere la costituzione per via di sentenza) oppure di rimuovere un rapporto già estinto (es. di risolvere in via giudiziale un contratto già risolto in via consensuale), o se l'innovazione richiesta risultasse inutile perché vanificata da altre vicende sostanziali (es. se si chiedesse di annullare una delibera condominiale o societaria di contenuto identico ad un'altra non impugnata nei termini) Nei casi particolari in cui all'azione costitutiva corrisponde un vero e proprio obbligo della controparte di porre in essere la modifica richiesta e il ricorso alla tutela giurisdizionale presuppone che tale obbligo sia inadempiuto, può aversi mancanza di interesse ad agire se l'attore esercita l'azione pur essendosi la controparte offerta di soddisfare il suo obbligo es. se fosse chiesta la sentenza costitutiva degli effetti del contratto definitivo nonostante la piena disponibilità della controparte a dare attuazione in via negoziale al contratto preliminare 3. La legittimazione ad agire Anche la legittimazione ad agire è una condizione dell'azione e, se difetta, il giudice può (e deve) soprassedere sul merito e, senza stare a stabilire se il diritto esercitato esiste, rigettare la domanda con pronuncia di rito Essa individua le "giuste" parti del processo, intese come le parti nei cui confronti può legittimamente pronunciarsi la decisione di merito Secondo la regola della legittimazione ordinaria, l'azione spetta solo a chi, proponendo la domanda, si afferma titolare del diritto esercitato (legittimazione attiva) e conviene in giudizio il soggetto che afferma essere l'obbligato (legittimazione passiva) L'aspetto della legittimazione attiva trova giustificazione anche nel principio dispositivo che esige che l'accertamento giurisdizionale sia chiesto per diritti affermati come propri del soggetto agente e non per diritti affermati come spettanti a un soggetto diverso Della legittimazione attiva si trova indiretta menzione nell'art. 81 c.p.c., secondo cui "nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui" La condizione della legittimazione è soddisfatta sulla base del criterio dell'affermazione: basta che nella domanda attore e convenuto siano affermati rispettivamente titolari del diritto e dell'obbligo, mentre non occorre che lo siano effettivamente, poiché tale questione appartiene al merito della causa e, se è contestata, può condurre ad una pronuncia di rigetto nel merito per difetto di "appartenenza soggettiva", attiva o passiva, del diritto sostanziale azionato Per poter immaginare casi di mancanza della legittimazione ordinaria occorre pensare ad ipotesi in cui un soggetto eserciti l'azione per un diritto dichiaratamente altrui o convenga in giudizio un soggetto dichiarando che non è l'obbligato=> tale eventualità può accadere quando fra i vari soggetti esistono relazioni che possono indurre a pensare di essere ammessi ad esercitare i diritti di altri es. il socio di una società che eserciti in proprio un'azione per diritti di credito (che lui stesso dichiara essere) spettanti alla società verso terzi oppure il genitore che eserciti in proprio diritti che (lui stesso dichiara essere) di titolarità del figlio minore Il discorso è diverso e non vi è alcuna anomalia se tali soggetti agissero non in nome proprio ma dichiarando di essere rappresentanti del soggetto cui spetta il diritto esercitato (nel caso del socio in quanto amministratore con rappresentanza esterna della società e nel caso del genitore in quanto legale rappresentante del figlio minore), poiché la rappresentanza processuale è ammessa dalla legge e, se sussiste, implica che l'azione è esercitata in giudizio sì per un diritto altrui ma anche in nome altrui (spesso attraverso la contemplatio domini), senza che possa sorgere questione di legittimazione ad agire Si pongono problemi estranei alla legittimazione ad agire anche nei casi in cui, proposta regolarmente la domanda per un diritto affermato come proprio e contro un soggetto indicato come l'obbligato, sorgano contestazioni sulla titolarità attiva o passiva della posizione sostanziale Tali contestazioni riguardano non già la legittimazione ad agire e la spettanza del diritto di azione, ma la titolarità effettiva del diritto/obbligo dedotto e implicano questioni di merito che vanno decise con pronuncia di merito Con tali contestazioni il convenuto non mette in discussione la legittimazione processuale propria o dell'attore, ma mette in discussione di essere il "vero" obbligato o che l'attore sia il "vero" avente diritto (questione di titolarità dell'interesse sostanziale e non del diritto processuale di azione) Il criterio dell'affermazione non vale nei casi particolari in cui la titolarità del diritto sostanziale dipende da determinate qualità soggettive specifiche, date dall'appartenenza ad una determinata categoria di soggetti In tali casi per potersi dire sussistente la legittimazione non basta che l'attore affermi genericamente di essere titolare del diritto, ma occorre che affermi di avere quella specifica qualità soggettiva che è il criterio sostanziale di attribuzione dell'azione esercitata es. i diritti potestativi di annullamento delle delibere degli enti spettano normalmente solo ai soggetti portatori di qualità soggettive che esprimono l'esistenza di un legame qualificato con l'ente e tale qualità specifica va affermata al momento dell'esercizio dell'azione in giudizio: la qualità di associato o socio al fine dell'esercizio delle azioni di annullamento per illegittimità delle delibere, rispettivamente, delle associazioni (art. 23 c.c.) e delle società (art. 2377, 2° comma, c.c.) In questi casi particolari la titolarità della qualità soggettiva legittimante non coincide con una questione attinente al merito e, se al riguardo sorge contestazione, la legittimazione non può fondarsi sulle mere affermazioni dell'attore e deve procedersi ad accertarne la sussistenza effettiva lesi da un identico episodio di vita e portatori di diritti "omogenei" al risarcimento dei danni o a restituzioni di fonte contrattuale o extracontrattuale verso il medesimo responsabile Secondo il modello accolto nel nostro ordinamento, l'azione del cui avvio viene data adeguata pubblicità (oggi sul portale telematico del Ministero di Giustizia) provoca il radicarsi di un giudizio condotto solo dal promotore, nel quale gli altri portatori dei diritti omogenei possono volontariamente fare ingresso mediante un atto di "adesione", esponendosi agli effetti di giudicato della sentenza che si pronuncia sulle questioni relative alla sussistenza della responsabilità del convenuto Se la domanda di classe è accolta ed è statuita la responsabilità del convenuto, l'accertamento è completato in una fase successiva destinata alla decisione su tutte le questioni ulteriori necessarie per pervenire a dichiarare l'esistenza e l'ammontare di tutti i diritti individuali, risarcitori o restitutori, dei singoli aderenti L'adesione è atto di deduzione in giudizio del diritto individuale, ma l'aderente non assume qualità di parte processuale, che spetta solo al promotore-attore collettivo L'adesione assume anche il valore di accettazione di un'offerta negoziale con cui si acconsente all'attribuzione al promotore di tutti i poteri processuali di conduzione del processo anche nell'interesse e con effetti per l'aderente Il fatto che la sentenza che si pronuncia sulla sussistenza dei presupposti della responsabilità del convenuto abbia effetto di vincolante accertamento anche ai fini della decisione sul diritto dell'aderente, giustifica l'inquadramento della sua posizione come "parte in senso sostanziale" del processo collettivo, nel quale, per scelta volontaria, egli ha accettato di essere sostituito dal promotore-attore collettivo L'attore collettivo cumula la qualità di parte in nome proprio sia per il diritto individuale a lui personalmente spettante, sia per i diritti individuali degli aderenti, assumendo il ruolo di un sostituto processuale c.d. volontario In origine il processo di classe era previsto solo per la tutela dei diritti "omogenei" dei consumatori e degli utenti (era disciplinato dal Codice del consumo, 2005) La materia è stata completamente ridisegnata con la L. 12 aprile 2019, n. 31 che, abrogando la disciplina del Codice del consumo, ha introdotto nel c.p.c. un apposito nuovo corpo di norme, gli artt. 840 bis/quinquiesdecies, entrati in vigore nel 2021 Il campo di applicazione della nuova azione di classe è oggi tendenzialmente generale perché riguarda tutti i casi di classi di "diritti omogenei" verso un unico responsabile, anche se spettanti non a consumatori, ma a imprenditori o professionisti o investitori La nuova disciplina è molto articolata e complessa, avendo anche organizzato il processo collettivo in 3 fasi distinte, ciascuna retta da regole differenziate Una rilevante peculiarità della nuova disciplina si coglie nella regola, espressa all'art. 840 undecies, ult. comma, secondo cui l'aderente può sottrarsi agli effetti dell'accertamento cui si è pervenuti nel processo di classe (non condividendone gli esiti) revocando la sua adesione prima che esso sia divenuto "definitivo" e riacquistando in tal caso il libero esercizio della sua azione individuale in separato processo Regola di evidente favore dato che, in base ai principi, chi è stato parte, anche solo in senso sostanziale, di un processo non può sottrarsi agli effetti del giudicato Il ruolo di "attore collettivo" viene assunto da un componente della classe, e dunque da un soggetto che è portatore di un proprio diritto individuale compreso nella "classe", che esercita in giudizio, cumulando il ruolo di sostituto processuale e di parte, sostanziale e processuale, per il diritto proprio La legge ammette in alternativa che il ruolo di "attore collettivo" sia assunto da un'organizzazione di settore senza scopo di lucro (art. 840 bis, 2° comma, c.p.c.), che non esercita alcun diritto proprio e assume solo il ruolo di sostituto processuale 6. Pronuncia di rito e presupposti processuali Se sussistono le condizioni dell'interesse e della legittimazione ad agire (ordinaria o straordinaria), l'attore ha il diritto alla prestazione giudiziaria dello Stato-giudice, consistente nell'emanazione di una sentenza di merito, il cui esito potrà poi essere per lui favorevole o sfavorevole In quest'ultimo caso egli sarà anche, in quanto soccombente, condannato a rifondere le spese processuali alla controparte (art. 91 c.p.c.) Questa eventualità va messa in conto poiché la spettanza del diritto processuale di azione (inteso come diritto alla pronuncia giudiziale di merito) non ha in sé nulla a che vedere con la spettanza del diritto sostanziale ed il suo esercizio non può avvenire ponendo "costi" a carico della controparte Nella medesima situazione (attore cui spetta il diritto processuale di azione ma che ha torto e resta soccombente nel merito), l'attore sopporta in via definitiva le spese legali che egli stesso ha affrontato per avviare e coltivare il processo (compensi al proprio difensore, oneri fiscali verso lo Stato, eventuali anticipazioni per singole spese processuali) Al rischio di sopportare questi oneri, che in sé suggerisce di valutare preventivamente con attenzione le chances di accoglimento nel merito dell'azione, in linea pratica è possibile far fronte stipulando un'assicurazione specifica per le spese legali relative ad eventuali, future liti giudiziarie In mancanza delle condizioni dell'azione il giudice deve limitarsi ad una pronuncia di contenuto meramente processuale, detta "di rito", con cui dichiara di non poter giudicare sul merito della domanda Le conseguenze sul piano degli oneri delle spese sono le medesime di quelle viste per l'ipotesi dell'esito del rigetto nel merito dell'azione In caso di rigetto in rito, l'attore non ha neppure ottenuto il beneficio di avere una sentenza che chiarisca, con l'autorità dell'accertamento giudiziale, se il diritto sostanziale che pretende esista o meno La conclusione del processo con una sentenza di rito, tradizionalmente detta di "absolutio ab instantia", può essere dovuta, oltre che alla mancanza delle condizioni dell'azione, alla carenza di altri specifici requisiti cui la legge condiziona il potere del giudice di decidere nel merito Si tratta di regole attinenti all'ordinato e funzionale svolgimento dei processi, rispondenti per lo più ad esigenze pubblicistiche, costituenti nel loro complesso i c.d. presupposti processuali o le condizioni di "decidibilità della causa nel merito" I presupposti processuali hanno una portata simile a quella delle condizioni dell'azione perché, se risultano mancanti, impediscono di emettere una sentenza di merito, tanto che, se fosse egualmente pronunciata, essa sarebbe viziata ed invalida e destinata ad essere annullata in sede di impugnazione L'esito di un processo che non perviene a un giudizio di merito e si conclude con una sentenza di "rito" è considerato in linea generale patologico dallo stesso legislatore, che prevede che il vizio possa essere sanato in modo da consentire comunque l'approdo a una valida decisione di merito (meccanismi di sanatoria insiti negli artt. 50 e 182 c.p.c.)=> in questi casi il rigetto in rito è esito possibile solo se non viene posta in essere la sanatoria prevista dalla legge Sono presupposti processuali a) in relazione alla "legittimazione" del giudice: la sussistenza della giurisdizione e della competenza b) in relazione alle parti: la sussistenza della capacità di essere parte, della capacità processuale e della legittimazione formale c) in relazione all'oggetto del processo: l'assenza di precedente giudicato, l'assenza di litispendenza e l'assenza di compromesso in arbitrato (c.d. presupposti processuali negativi) Condizioni dell'azione e presupposti processuali hanno una portata di stretta pregiudizialità giuridica rispetto al merito (e sono complessivamente denominati "questioni processuali impedienti") nel senso che vanno necessariamente verificati prima di pronunciare sul merito Neppure se il giudice fosse già convinto che l'azione sia infondata, potrebbe direttamente rigettarla nel merito accantonando le questioni processuali impedienti insorte: vi è un ordine cogente di priorità decisoria del "rito" rispetto al "merito" Non esiste una fase processuale preliminare diretta alla loro verifica che condizioni il passaggio alla fase di trattazione nel merito, intesa come svolgimento delle attività di raccolta del materiale a tal fine necessario (es. lo svolgimento di un'istruttoria sui fatti controversi) Insorta una questione pregiudiziale di rito il giudice può egualmente procedere alla trattazione e accantonare provvisoriamente la questione ed è solo la decisione di merito ad essere necessariamente condizionata alla sua previa soluzione in senso non impediente Tali questioni rappresentano condizioni per la decidibilità ma non per la trattabilità della causa nel merito Altresì la decisione sul merito della causa in sé presuppone logicamente la positiva esistenza sia delle condizioni dell'azione che dei singoli presupposti processuali, ma non vi è un obbligo per il giudice di dar conto esplicitamente nella sentenza di averne verificato la sussistenza Il dovere di verifica espressa si pone per il giudice solo se sulla singola condizione o presupposto processuale sia insorta, d'ufficio o su istanza di parte, effettivamente questione Se così non è, la presenza di tutte le condizioni per l'esercizio del potere e dovere di pronuncia nel merito può rimanere anche solo implicitamente presupposta nella sentenza e la questione potrà poi essere sollevata in sede di impugnazione (se non operano specifici termini di decadenza agganciati al primo grado di giudizio) per farne dichiarare l'invalidità Una volta proposta la domanda per un diritto soggetto es. a prescrizione di 10 anni, non solo dal giorno della proposizione della domanda inizierà un nuovo periodo di prescrizione decennale, ma esso sarà da computarsi solo con decorrenza dal giorno in cui passa in giudicato la sentenza che chiude il processo Effetto interruttivo si ha, in materia di domande con cui si esercitano diritti reali, anche rispetto al corso dell'usucapione, per il quale l'art. 1165 c.c. richiama le norme in tema di interruzione e sospensione della prescrizione Sarebbe contrario ad esigenze di giustizia che l'attore che rivendica la proprietà di un bene possa veder maturare il termine dell'usucapione in favore del convenuto possessore proprio nel corso del processo e così veder estinto il diritto di proprietà rivendicato La sfera giuridica dell'attore è protetta dall'efficacia interruttiva della domanda, che non solo fa decorrere da capo il termine, ma ne paralizza la decorrenza sino al momento del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio Di portata conservativa è l'effetto prodotto riguardo alla decadenza che rimane "impedita" dalla proposizione della domanda giudiziale, e non può produrre l'estinzione del diritto fatto valere Per esigenze di certezza, l'esercizio di alcuni diritti, specie dei diritti potestativi, è assoggettato dalla legge a brevi e perentori termini di decadenza (art. 2964 c.c.) es. sono assoggettati a termini di decadenza il diritto del lavoratore ad impugnare rinunce o transazioni nelle materie indicate dall'art. 2113 c.c. (soggetto al termine di 6 mesi), e i diritti potestativi di annullamento delle delibere degli enti (per il condominio soggette a un termine di 30 giorni e per le società di capitali a un termine di 90 giorni) Talvolta l'impedimento della decadenza sarebbe possibile anche con semplici atti stragiudiziali, ma in ogni caso esso si produce con la proposizione della domanda giudiziale, rendendo irrilevante che il termine venga a scadere nel corso del processo Altresì vi sono ipotesi in cui determinati diritti si estinguono con la morte del loro titolare e non si trasmettono agli eredi (diritti c.d. intrasmissibili)=> ma, in alcuni casi previsti dalla legge, se al momento della morte il titolare aveva già esercitato in giudizio il diritto, la sua domanda giudiziale vale ad impedirne l'estinzione e a consentirne la trasmissibilità agli eredi es. art. 127 c.c.: trasmissibilità agli eredi dell'azione di impugnazione del matrimonio ("l'azione per impugnare il matrimonio non si trasmette agli eredi se non quando il giudizio è già pendente alla morte dell'attore") In altri casi la domanda produce effetti sostanziali accrescitivi, ossia che non si limitano a proteggere il diritto esercitato rispetto ad eventi estintivi, ma hanno la funzione di anticipare l'efficacia della sentenza di merito favorevole all'attore al momento della proposizione della domanda, attribuendogli delle utilità che in teoria presupporrebbero il previo accoglimento della domanda es. art. 1148 c.c.: il possessore in buona fede di un bene altrui deve corrispondere al rivendicante i frutti percepiti o percepibili sin dal giorno della domanda giudiziale (anche se, in astratto, solo dal momento in cui è resa la sentenza favorevole all'attore egli dovrebbe considerarsi in mala fede) Gli effetti "accrescitivi" tengono conto del fatto che la necessità di ricorrere al processo è dovuta al comportamento dell'obbligato che ha disconosciuto il diritto dell'attore, di fatto costringendolo ad agire, sicché non è equo che del tempo del processo debba beneficiare colui che infondatamente ha resistito alla domanda giudiziale 4. Segue. La trascrizione della domanda ad effetti sostanziali Rientra nella categoria degli effetti sostanziali "accrescitivi" anche l'effetto che, in materia di diritti relativi a beni immobili, è prodotto dalla trascrizione della domanda nei registri immobiliari (disciplina che si estende alla categoria dei beni mobili registrati) L'effetto consiste nell'allargare in favore dell'attore la prevalenza dell'effetto sostanziale della sentenza rispetto ai terzi subacquirenti In molti casi l'azione esercitata dall'attore è diretta a una sentenza costitutiva fra i cui effetti rientra il recupero della proprietà di un bene, di cui le norme sostanziali comuni non assicurano l'opponibilità ai subacquirenti, ossia agli aventi causa dal convenuto, oppure la assicurano solo in limiti ristretti, sicché, anche se la domanda è accolta, l'attore non sarebbe in grado di "prevalere" nei loro confronti In questi casi, non potendo recuperare il bene dai subacquirenti, l'attore dovrebbe accontentarsi di una pronuncia risarcitoria o ripristinatoria commisurata al valore dello stesso Grazie alla trascrizione della domanda la posizione dell'attore assume una sfera di prevalenza sostanziale rispetto ai terzi subacquirenti, maggiore di quella che sarebbe assicurata dalle norme comuni del c.c. Ipotesi paradigmatiche: l'azione di risoluzione per inadempimento o di annullamento per vizi della volontà di un contratto ad effetti reali => l'accoglimento di tali azioni determina, assieme alla caducazione del contratto, il ritrasferimento in favore dell'attore del diritto che aveva alienato al convenuto con il contratto ad effetti reali risolto od annullato e così il diritto alla restituzione del bene alienato L'effetto sostanziale di ritrasferimento della proprietà prodotto dalla sentenza è destinato a non poter operare se il bene è stato nel frattempo alienato ad altri dal convenuto, c.d. subacquirenti (restando all'attore solo una tutela risarcitoria per equivalente) Per la risoluzione la regola comune è quella dell'incondizionata prevalenza dei subacquirenti: la risoluzione, pur avendo effetto retroattivo fra le parti, "non pregiudica i diritti acquistati dai terzi" in un momento antecedente alla risoluzione Per l'annullamento (per vizi della volontà diversi dall'incapacità legale) la prevalenza dell'attore rispetto ai terzi subacquirenti è molto limitata poiché è assicurata solo verso coloro che acquistano in mala fede o a titolo gratuito, risultando viceversa non pregiudicati i diritti acquistati "a titolo oneroso dai terzi di buona fede" In conseguenza di tale disciplina l'attore può contare sulla prevalenza incondizionata rispetto ai subacquirenti solo se il loro acquisto sia avvenuto dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ha pronunciato la risoluzione o l'annullamento del contratto In materia immobiliare la domanda giudiziale diretta alla risoluzione o all'annullamento è suscettibile di pubblicità tramite la trascrizione nei registri immobiliari e ciò consente di ampliare la sfera della prevalenza sostanziale dell'attore e della sentenza resa in suo favore rispetto ai terzi subacquirenti Tramite la trascrizione della domanda nei registri immobiliari si realizza una sorta di anticipazione degli effetti sostanziali della sentenza, di modo che l'acquisto del terzo (se trascritto dopo la trascrizione della domanda) è trattato come se fosse stato compiuto dopo il passaggio in giudicato della sentenza (c.d. effetto di prenotazione degli effetti della sentenza) Se la domanda di risoluzione o di annullamento è trascritta prima della trascrizione degli atti di acquisto dei terzi, la sentenza che l'accoglie sarà loro sempre opponibile e sarà prevalente travolgendo il loro acquisto come se esso fosse avvenuto dopo la pronuncia del ritrasferimento in favore dell'attore La trascrizione della domanda risolve il conflitto fra l'attore e i terzi aventi causa allargando la sfera di prevalenza sostanziale della posizione dell'attore, poiché in assenza della trascrizione la risoluzione del contratto non sarebbe mai opponibile ai subacquirenti e l'annullamento sarebbe opponibile solo ai subacquirenti in mala fede o a titolo gratuito CAPITOLO 5 – LE DIFESE DEL CONVENUTO 1. L'accertamento del diritto litigioso come applicazione della norma generale astratta a fatti concreti. L'introduzione dei fatti nel processo L'operazione di accertamento che il giudice compie per pronunciare sulla domanda giudiziale comprende i due passaggi che chiunque deve svolgere per stabilire se si è verificato un determinato effetto giuridico e che riproducono il classico schema logico di un sillogismo: • Ricognizione della norma o regola giuridica astratta applicabile al caso concreto e del suo contenuto (questione di diritto, quaestio iuris) • Ricognizione della verifica di come si sono svolti i fatti storici, materiali (questione di fatto, quaestio facti) All'esito dei due passaggi è possibile per chi giudica sussumere il fatto concreto nella norma generale e astratta e concludere se l'effetto giuridico, dato normalmente nel processo civile da un diritto soggettivo, esiste o non esiste Per quanto riguarda la quaestio iuris, il giudice può procedere d'ufficio a individuare la norma concretamente applicabile e a stabilirne la più corretta interpretazione, non essendo vincolato alle norme e alle argomentazioni in diritto invocate dalla parte interessata=> art. 113 c.p.c.: “nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto" L'unico limite per il giudice è dato dal dovere di provvedere comunque a segnalare alle parti le norme su cui ritiene di fondare la decisione e di sollecitarne il contraddittorio (art. 101, 2° co., e 183, 4° co., c.p.c.), anche perché dalla diversa impostazione della quaestio iuris può derivare l'esigenza di introdurre nel processo nuovi fatti rilevanti (es. la qualifica del rapporto come comodato anziché come locazione incide sulle condizioni per chiedere la restituzione della cosa concessa in godimento) Per quanto riguarda i fatti si distingue tradizionalmente fra: • Fatti principali/primari: sono quelli che integrano direttamente la fattispecie legale invocata dalla parte es. richiesta la risoluzione del contratto di compravendita per vizi della cosa, la concreta affermazione della presenza di un vizio che la rende inidonea all'uso cui è destinata è fatto principale perché integra la fattispecie legale applicabile (art. 1490 c.c.); richiesto il risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale, la concreta affermazione della condotta lesiva tenuta in violazione di norme giuridiche o dei comuni canoni di diligenza integra la fattispecie legale delineata dall'art. 2043 c.c. Per questi fatti si ritiene comunemente che operi un onere di allegazione a cura della parte interessata, che deve affermare espressamente per quali ragioni in fatto ritiene debba farsi applicazione della fattispecie invocata L'allegazione si intende come asserzione del fatto ai fini della realizzazione di una determinata fattispecie giuridica con la richiesta che se ne tenga conto ai fini del giudizio • Fatti secondari: sono fatti che di per sé non integrano la fattispecie legale ma sono semplici circostanze specificative del fatto principale oppure rilevano solo sul piano probatorio, perché consentono di desumere, in via logico-deduttiva, l'esistenza di un fatto principale Dei fatti secondari il giudice può tener conto d'ufficio (cioè, anche se non allegati dalla parte interessata), alla sola condizione che risultino correttamente acquisiti agli atti del processo (come può essere se essi risultano da una testimonianza assunta o da un documento prodotto in causa) es. il giudice può tener conto d'ufficio delle specifiche circostanze di tempo e di luogo in cui è stato stipulato un contratto oppure si è verificato un sinistro A proposito dei fatti secondari di rilievo istruttorio, se il fatto principale è dato dall'acquisto per usucapione, il giudice può tenere conto d'ufficio della circostanza, indirettamente dimostrativa dell'animus possidendi, che il possessore abbia offerto in vendita il bene a terzi, solo perché riferita, es. da un testimone; o se il fatto Tuttavia, tale soluzione radicale non è praticabile, poiché, se l'attore dovesse anche provare che il suo diritto non si è estinto, modificato o non è impedito nella sua efficacia, il suo onere probatorio sarebbe di estensione indeterminata e per lo più di impossibile assolvimento, destinando la domanda ad un rigetto nel merito In ragione di ciò, al fine di pervenire alla pronuncia favorevole di merito, l'attore si giova di una semplificazione, essendo sufficiente che dia la prova dei fatti costitutivi che hanno determinato la nascita del suo diritto=> in virtù di un fenomeno detto della "semplificazione della fattispecie", la legge seleziona i diversi fatti secondo la loro efficacia giuridica, restringendo l'onere probatorio dell'attore ai soli fatti propriamente costitutivi ed accollando l'onere probatorio dei fatti di eccezione al convenuto => dire che una certa parte sopporta l'onere della prova di certi fatti significa che essa sopporta il rischio della mancata prova degli stessi, rischio che è dato dalla pronuncia di una decisione di merito ad essa sfavorevole La portata di questa regola si intende tenendo conto che il giudice deve pronunciarsi nel merito anche se su alcuni dei fatti rilevanti non si è acquisita alcuna prova che deponga nel senso della loro esistenza o inesistenza (per non essere stata dedotta alcuna prova o perché le prove acquisite non hanno avuto alcun esito persuasivo) La situazione di incertezza sul fatto impedisce che il giudice possa dirsi convinto in un senso o nell'altro: tuttavia il giudice non può semplicemente chiudere il processo con una decisione allo stato degli atti che non si concreti in una declaratoria di esistenza o inesistenza del diritto (c.d. divieto di non liquet) A una statuizione conclusiva egli deve comunque pervenire e lo deve fare qualificando giuridicamente il fatto rimasto incerto: se si tratta di un fatto costitutivo la domanda va rigettata nel merito (ricadendo l'incertezza a carico dell'attore che era gravato dell'onere della prova); viceversa, se si tratta di un fatto estintivo-impeditivo-modificativo la domanda va accolta nel merito (ricadendo l'incertezza a carico del convenuto che era gravato dell'onere della prova) La regola dell'onere della prova fornisce al giudice il criterio per stabilire quale sia il tenore della decisione da emettere (accoglimento o rigetto) quando si trovi a pronunciare in una situazione di incertezza sui fatti e si parla in tal senso dell'onere della prova come regola di giudizio es. se è rimasto incerto se il contratto inter partes è stato effettivamente concluso, per essere rimasto incerto se la proposta contrattuale formulata dall'attore è stata accettata dal convenuto, l'incertezza riguarda un fatto costitutivo e la domanda va rigettata; se è rimasto incerto se, dopo la stipulazione del contratto, le parti abbiano concluso un patto di risoluzione consensuale o di proroga del termine per l'adempimento (fatti estintivi/modificativi), l'incertezza riguarda un fatto eccezione, e la domanda va accolta La regola dell'onere della prova non configura un rigido criterio di distribuzione in senso soggettivo delle istanze di prova, ossia non delimita rigidamente l'onere di deduzioni istruttorie delle parti ai fatti che appartengono all'area per la quale ciascuna sopporta l'onere della prova Quand'anche si tratti di un fatto per cui la parte non ha l'onere della prova, essa non può comunque disinteressarsi della sua dimostrazione in giudizio e deve attivarsi per la formulazione di prova contraria Se la prova dedotta dalla parte onerata ha poi esito positivo (la prova dedotta dall'attore sulle circostanze integranti accettazione della proposta contrattuale), scatta per la controparte l'onere di dedurre prove contrarie atte a contrastare la persuasività di tale prova (deducendo es. una prova testimoniale diretta a smentire le circostanze provate dall'attore) Poiché, in virtù del principio dell'unitarietà della fase istruttoria, tutte le prove vanno dedotte contestualmente, sin dall'inizio la parte ha un onere di deduzioni istruttorie esteso a tutta l'area dei fatti controversi in giudizio La regola dell'onere della prova è attenuata dalla possibilità che la dimostrazione del fatto favorevole risulti comunque da prove assunte su iniziativa di una parte diversa da quella onerata, vigendo il principio detto di "acquisizione processuale" secondo cui il convincimento del giudice si forma su tutte le prove acquisite in causa, indipendentemente dall'essere state richieste dall'una o dall'altra parte Operano un'attenuazione del carico dell'onere della prova anche le regole che ammettono che, a determinate condizioni, le prove possano essere disposte d'ufficio dal giudice (es. per la prova testimoniale alle condizioni indicate agli artt. 257, 1° comma, e 281 ter c.p.c.); e la regola secondo cui i fatti non contestati vanno assunti come pacifici e non abbisognano di essere provati (art. 115, 1° comma, c.p.c.) => regola che vale a favore di entrambe le parti, e anche in favore del convenuto ove i fatti storici che fondano la sua eccezione non siano specificamente contestati dall'attore 4. L'individuazione delle eccezioni La distinzione fra mere difese ed eccezioni è di pratica rilevanza: quando un fatto è rimasto incerto, solo la sua qualificazione giuridica in un senso o nell'altro consente di fare corretta applicazione della regola dell'onere della prova La distinzione non presenta particolari difficoltà a proposito delle eccezioni estintive e modificative, che per il loro stesso contenuto si differenziano dai fatti costitutivi: esse presuppongono che al diritto nato in un certo momento si sia in un momento successivo sovrapposto un fatto di estinzione o di modificazione Eccezioni estintive: es. paradigmatici le fattispecie considerate dal c.c. come cause di "estinzione" delle obbligazioni: la prescrizione, la decadenza, la novazione, la remissione di debito, la compensazione, il pagamento, la confusione, l'impossibilità sopravvenuta, la cessione del credito a terzi, ecc. + cause estintive di carattere generale come rinuncia al diritto, transazione o avverarsi di una condizione risolutiva Più rare le fattispecie a portata meramente modificativa es. pattuizione di una dilazione per il pagamento o della proroga di un contratto o di un accordo che abbia modificato l'oggetto della prestazione dovuta da uno dei contraenti La ricognizione dei fatti impeditivi riserva maggiori difficoltà: si tratta di fatti che determinano l'"inefficacia" (art. 2697 c.c.) della fattispecie legale costitutiva cui è virtualmente collegata la nascita del diritto soggettivo Il fatto impeditivo è per lo più coevo alla stessa realizzazione del fatto costitutivo ed impedisce che il diritto sorga sin dall'inizio, derogando al principio (detto di "simultaneità giuridica") secondo cui tutti gli elementi che la legge vuole siano necessari per l'attribuzione di un diritto soggettivo dovrebbero in astratto considerarsi appartenenti alla fattispecie costitutiva All'opposto, nei casi considerati la fattispecie costitutiva si considera perfezionata in presenza di solo alcuni degli elementi e un suo elemento viene a costituire oggetto di una distinta fattispecie (impeditiva) di eccezione, soggetta come tale all'onere della prova della controparte La ricognizione dei fatti impeditivi obbliga a selezionare fra gli elementi che la norma indica come presupposti per l'attribuzione del diritto soggettivo quelli operanti in positivo come fatti costitutivi in senso proprio e quelli operanti in negativo (impeditivi), che solo ab externo paralizzano l'efficacia della fattispecie costitutiva (frequente è la definizione del fatto impeditivo come "fatto costitutivo a segno invertito") La distinzione si coglie anche sul piano delle allegazioni di cui è onerato l'attore: egli è tenuto, prima ancora che a provare, ad affermare la sussistenza di tutti gli elementi aventi ruolo di fatti costitutivi, mentre non è affatto tenuto ad affermare che non sussistono fatti impeditivi es. dall'esame della disciplina del codice civile si desume che il compratore di un bene ha diritto alla garanzia (risoluzione del contratto o riduzione del prezzo) se il bene acquistato risulta affetto da vizi che non conosceva e non erano conoscibili al momento dell'acquisto: tutti tali elementi condizionano in astratto l'attribuzione del diritto alla garanzia Eppure, secondo invalsa interpretazione l'elemento della non conoscenza e della non riconoscibilità (coevo temporalmente alla consegna del bene) non è fatto costitutivo che vada affermato e provato dal compratore-attore ed è il suo inverso - la conoscenza o facile riconoscibilità - un fatto impeditivo del diritto alla garanzia, ed è eccezione soggetta all'onere della prova del venditore-convenuto Il comproprietario di un muro ha diritto al rimborso pro quota delle spese fatte per la sua riparazione dall'altro comproprietario "salvo che la spesa sia stata cagionata da uno dei partecipanti", ossia se il danno deriva dal fatto proprio di uno dei comproprietari=> tutti gli elementi descritti dalla norma sono necessari affinché possa dirsi esistente il diritto al rimborso della spesa, eppure la causazione del danno per fatto proprio di uno dei comproprietari è considerato come fatto impeditivo di eccezione, soggetto all'onere della prova del convenuto cui è domandato il rimborso della spesa O il risarcimento dei danni da inadempimento di un'obbligazione non si estende ai danni che lo stesso danneggiato ha concorso a provocare, ma il concorso di colpa è considerato in positivo un fatto impeditivo soggetto all'onere della prova del convenuto • si tratta di fatti che si verificano nello stesso momento (coevi) di quelli costitutivi e la loro qualificazione come "impeditivi" non è sorretta dal criterio temporale della "sopravvenienza" che vale per i fatti estintivi e modificativi L'alternativa qualificazione di un determinato elemento come fatto costitutivo oppure impeditivo si pone come delicato problema a fronte di innumerevoli fattispecie In assenza di un criterio assoluto ed intrinseco ci si deve affidare a indici sintomatici di natura empirica, quale è quello c.d. di normalità della non ricorrenza del fatto impeditivo es. non "normale" può considerarsi l'acquisto di un bene che si sa essere viziato, oppure la causazione del danneggiamento di un muro per fatto di uno dei comproprietari e ciò giustifica l'assunzione di tali circostanze come fatti impeditivi Nel medesimo senso vale, la natura "negativa" del fatto, l'essere cioè un elemento la cui "mancanza" condiziona la nascita del diritto (la non conoscenza del vizio, la non causazione del danneggiamento del muro ad opera di uno dei comproprietari), essendo di norma assai difficoltosa la prova dell'assenza di un fatto, e così più equo porre l'onere della prova della presenza positiva del suo opposto (la conoscenza rispetto alla "non conoscenza") a carico dell'altra parte (brocardo "negativa non sunt probanda") Altresì si considerano sintomi della natura impeditiva del fatto l'uso da parte del legislatore di formule lessicali "eccettuative", che lascino intendere come sia lo stesso legislatore ad aver considerato la circostanza come residuale ("salvo che", "tranne che", "a meno che", che compaiono sovente nelle norme) Tenuto conto della funzione della regola dell'onere della prova, può dirsi che un determinato elemento può considerarsi fatto impeditivo se, in base all'assetto degli interessi in gioco, appare equo che l'incertezza circa la sua ricorrenza nel singolo caso sia un rischio da porre a carico della parte contro cui il diritto è fatto valere e se è accettabile che il diritto possa essere dichiarato esistente senza motivare nella sentenza circa la ricorrenza o meno di quell'elemento A questi tradizionali criteri la giurisprudenza accosta un criterio, detto della "vicinanza della prova", che consente di addossare l'onere della prova alla parte che più facilmente ha accesso alle informazioni sui fatti controversi e ha la disponibilità dei mezzi di prova da offrire al riguardo di tale criterio si è fatta es. applicazione nelle controversie fra lavoratore e datore di lavoro, nelle quali tipicamente è il datore di lavoro a poter più agevolmente provare i fatti, di solito inerenti la gestione dell'azienda, che condizionano l'esistenza o la misura dei diritti del lavoratore 5. Le controeccezioni Poiché l'eccezione è a sua volta fattispecie legale, anch'essa incontra fatti che ne paralizzano l'efficacia, qualificabili come impeditivi e, corrispondentemente, soggetti all'onere della prova di colui, di solito l'attore, interessato al rigetto dell'eccezione=> "controeccezioni" Es. fatto estintivo della prescrizione del diritto: la prescrizione non opera se, pur essendo decorso il tempo previsto dalla legge, prima della sua scadenza il creditore ha posto in essere un atto interruttivo o, successivamente, il debitore vi ha rinunciato=> l'atto interruttivo e la rinuncia sono considerate fatti impeditivi della prescrizione, che vanno controeccepiti dal creditore-attore e sono soggetti al suo onere della prova Si pensi al caso in cui, a fronte del fatto impeditivo della facile riconoscibilità dei vizi del bene venduto, il compratore che agisce per la garanzia possa controeccepire che il venditore aveva dichiarato che la cosa era esente da vizi; o ancora al caso in cui all'attore che agisce per il risarcimento dei danni da illecito extracontrattuale sia opposta l'eccezione della mancanza di capacità di intendere e di volere nel convenuto danneggiante e di tale fatto possa essere paralizzata l'efficacia dall'attore controeccependo, come fatto impeditivo, che lo stato di incapacità è dovuto a colpa dello stesso danneggiante (es. ubriaco) Nel caso di riconvenzionale fondata sui medesimi fatti che danno titolo alla domanda dell'attore, la relazione fra le due domande può essere di: incompatibilità, di compatibilità o di consequenzialità -Si dà incompatibilità quando l'accoglimento dell'una domanda implichi il rigetto dell'altra e viceversa, non potendo essere fondate entrambe poiché i due diritti (dell'attore e del convenuto) si escludono reciprocamente es. l'attore fa valere il diritto al risarcimento dei danni derivati da un determinato sinistro stradale e che il convenuto, oltre a difendersi per ottenere il rigetto, ritenendo di imputare all'attore la responsabilità del medesimo sinistro ed avendo a sua volta subito danni, chiede la condanna dell'attore al risarcimento di tali danni; oppure l'attore chiede la risoluzione del contratto per inadempimento e il convenuto, ritenendo che inadempiente sia l'attore, chiede a sua volta la condanna del medesimo all'adempimento delle prestazioni dovute in base a quel contratto -Si dà compatibilità quando, nonostante la connessione, i due diritti sono reciprocamente autonomi e le due domande possono essere entrambe accolte, rigettate o l'una accolta e l'altra rigettata es. l'attore chiede la condanna del convenuto al pagamento del corrispettivo di una compravendita e il convenuto chiede a sua volta l'adempimento di prestazioni accessorie rimaste ineseguite (es. la realizzazione di opere sul bene venduto che il venditore si era impegnato ad eseguire); oppure l'attore chiede la condanna del convenuto al pagamento di canoni arretrati a titolo di locazione di un bene e il convenuto chiede la condanna dell'attore al rimborso di spese sostenute per opere di riparazione straordinaria del bene -Si dà consequenzialità quando la domanda riconvenzionale presuppone l'accoglimento della domanda dell'attore ed è proposta dal convenuto in via subordinata per l'eventualità che essa sia effettivamente accolta es. l'attore chiede l'accertamento della nullità del contratto e il convenuto, pur resistendo alla domanda, chieda in via riconvenzionale, per il caso che sia accolta, la restituzione delle prestazioni già eseguite in base al contratto; oppure l'attore chiede l'accertamento della propria qualità di erede legittimo e il convenuto, pur resistendo alla domanda, chiede, per il caso che sia accolta, la condanna dell'attore al pagamento di un debito contratto dal de cuius in suo favore (debito di cui non potrebbe chiedere il pagamento se non nel caso che all'attore sia riconosciuta la qualità di erede) Il caso della riconvenzione fondata sul "titolo" dedotto in giudizio come mezzo di eccezione si dà essenzialmente nei casi di "eccezione riconvenzionale", immaginando che il controdiritto sia fatto valere non solo come motivo per il rigetto della domanda dell'attore, ma anche per ottenere l'emanazione di un distinto provvedimento di tutela in favore del convenuto => in questi casi la domanda riconvenzionale è tipicamente incompatibile con la domanda dell'attore es. a fronte dell'azione di adempimento di un contratto il convenuto, anziché limitarsi ad eccepirne l'annullabilità per vizio del consenso, può chiedere che nel medesimo processo sia pronunciato, in via costitutiva, l'annullamento del contratto, e che esso sia ad ogni effetto definitivamente caducato O il convenuto con azione di rivendica della proprietà può opporre di aver usucapito la proprietà del bene non solo per provocare il rigetto della domanda attrice, ma anche per ottenere in suo favore una sentenza che statuisca definitivamente l'esistenza del suo diritto di proprietà In caso di accoglimento della domanda riconvenzionale, si avrà, diversamente che nel caso di mera eccezione, una sentenza che statuisce con efficacia di giudicato sul diritto all'annullamento del contratto o sul diritto di proprietà del convenuto, precludendo all'attore soccombente qualsiasi successiva contestazione al riguardo Un caso particolare ed assai frequente di comunanza col "titolo dell'eccezione" è offerto dalla compensazione legale: fatto estintivo di crediti reciproci fra le medesime parti, liquidi ed esigibili All'azione di condanna esercitata da uno dei creditori contro l'altro, quest'ultimo può eccepire l'avvenuta estinzione per compensazione, fondandola sul proprio controdiritto (il "controcredito"), al fine di veder dichiarato di non dover pagare alcunché all'attore e di vederne rigettata la domanda Ben può accadere che il credito del convenuto sia di importo superiore a quello dell'attore e in tal caso è interesse del convenuto "sviluppare" l'eccezione e chiedere con domanda riconvenzionale che l'attore sia condannato in suo favore al pagamento della differenza in eccedenza Il convenuto avrà il vantaggio di vedere pronunciato non solo il rigetto della domanda dell'attore, ma anche di ottenere nel medesimo processo la condanna per il pagamento dell'eccedenza, anziché dover poi agire in separato processo Per quanto riguarda il trattamento del processo cumulativo originato dalla proposizione della riconvenzionale, non sempre il nesso fra domanda principale e domanda riconvenzionale è tale da richiedere uno stretto coordinamento decisorio Non lo è es. nel caso di relazione di compatibilità, in cui la decisione dell'una non condiziona il contenuto della decisione sull'altra poiché esse possono essere entrambe accolte, entrambe rigettate o l'una accolta e l'altra rigettata Tuttavia, vista la comunanza di titolo fra le due domande, è da ritenere che, anche in caso di compatibilità non meno che negli altri, la loro separazione per semplici esigenze di opportunità sia sempre da escludere La separazione per mera opportunità è prevista espressamente dalla legge per il caso della pluralità di domande dell'attore contro il medesimo convenuto, ma sul presupposto che fra la stesse non vi sia, o possa non esservi, alcun nesso di connessione oggettiva CAPITOLO 6 – IL GIUDICATO 1. Sentenze di rigetto e di accoglimento della domanda. L'assorbimento di questioni La mancanza di presupposti processuali o di condizioni dell'azione obbliga il giudice a chiudere in rito il processo e a rigettare la domanda con sentenza di absolutio ab instantia La sentenza di rigetto in rito, non contenendo alcuna statuizione sul diritto fatto valere, non impedisce che la medesima domanda sia riproposta in un nuovo processo, ossia non esplica alcun effetto di giudicato neppure sotto il profilo negativo del ne bis in idem La sentenza con cui, premessa l'esistenza di tutte le condizioni di legge per pronunciare nel merito, il giudice dichiara l'esistenza o l'inesistenza del diritto fatto valere, accogliendo o rigettando la domanda nel merito, è destinata ad assumere effetto di cosa giudicata sostanziale e a valere come accertamento che "fa stato ad ogni effetto" fra le parti e i loro successori ai sensi dell'art. 2909 c.c. La sentenza definitiva di merito contiene immancabilmente la statuizione sul diritto sostanziale controverso, ma il suo contenuto è variabile Opera la regola secondo cui il giudice non è tenuto a pronunciarsi su tutte le questioni che rilevano per l'esistenza di tale diritto, ma solo sulle questioni che sono sufficienti per sorreggere la statuizione finale La regola, che è di "economia decisoria", ha spazio di applicazione assai differenziato a seconda che si tratti di pronuncia di rigetto o di accoglimento La sentenza di rigetto manifesta tipicamente un contenuto più semplice, poiché può fondarsi su di un solo elemento della fattispecie Per dichiarare inesistente un diritto è sufficiente accertare la mancanza anche solo di un fatto costitutivo o la presenza di un fatto estintivo, impeditivo, modificativo e non vi è alcuna necessità per il giudice di estendere la cognizione a tutti gli elementi della fattispecie es. nel caso in cui sia fatta valere l'usucapione di un diritto di proprietà: se accertato che il godimento del bene è avvenuto a titolo di detenzione e non di possesso, la domanda può essere rigettata senza che vi sia bisogno di accertare se il godimento si sia prolungato per il lasso di tempo previsto dalla legge o se esso fu conseguito in modo violento o clandestino Lo stesso vale per i fatti estintivi, impeditivi, modificativi: per poter accogliere la domanda occorre che il diritto sia attualmente esistente, sicché se è operante uno di tali fatti ciò basta per pronunciarne il rigetto Se il diritto si è estinto, es. per prescrizione o per decadenza, tanto basta a rigettare la domanda e non occorre verificare se esso esistesse originariamente e se sussistessero tutti gli elementi della sua fattispecie costitutiva Se il diritto risulta inesigibile perché soggetto a un termine o a una condizione, ciò è sufficiente a rigettare la domanda e della sua esistenza in sé si dibatterà semmai nel nuovo processo in cui la domanda sia riproposta, una volta scaduto il termine o avveratasi la condizione Nel caso dei fatti estintivi-modificativi-impeditivi la pronuncia può assumere una portata ipotetica, poiché solo un diritto effettivamente esistente può essersi estinto o risultare modificato od impedito => ciò non è di ostacolo alcuno alla possibilità di poter fondare su tali fatti il rigetto della domanda, in quanto la funzione del processo è di decidere se può essere o meno accordata tutela al diritto azionato e non di verificare sul piano logico tutte le componenti della fattispecie legale astrattamente rilevanti=> la pronuncia di rigetto può fondarsi su di un unico motivo con assorbimento di tutte le altre questioni astrattamente rilevanti La pronuncia di accoglimento della domanda ha sempre un contenuto più complesso poiché per dichiarare esistente un diritto occorre aver compiuto una ricognizione completa, estesa a tutti gli elementi che compongono la fattispecie legale, ossia aver verificato la sussistenza di tutti i fatti costitutivi e l'insussistenza di tutti i fatti estintivi-modificativi-impeditivi concretamente rilevabili Non basta aver accertato che vi è stata una condotta colposa del convenuto o che non si è verificata la prescrizione per poter statuire l'esistenza di un diritto al risarcimento dei danni, ma occorre verificare l'esistenza di tutti gli elementi che compongono la fattispecie dell'art. 2043 c.c. e l'inesistenza di tutte le altre eccezioni emerse nel processo data possibilità di insistere nell'ambito di quel processo (definitivamente "chiuso") per vedere dichiarata l'esistenza dell'azione o la competenza o per vedere dichiarata l'esistenza del suo diritto Lo stesso vale se la sentenza ha deciso solo parzialmente la lite, come è nel caso della sentenza non definitiva, con cui es. si è dichiarata la sussistenza di una condizione dell'azione o l'insussistenza di una causa di estinzione del diritto (come la prescrizione) Si tratta sempre di constatare che la sentenza, una volta passata in giudicato, non può più essere rimossa e il potere di decidere quella questione è in questo processo definitivamente consumato 3. La cosa giudicata o giudicato sostanziale. Efficacia negativa e positiva del giudicato Assunto che la sentenza sia passata in cosa giudicata, è problema diverso stabilire quali effetti essa manifesta al di fuori del processo in cui è stata resa Ad esso risponde l'istituto della "cosa giudicata sostanziale" (o "giudicato sostanziale") in virtù del quale la sentenza ha effetto di accertamento vincolante ed incontestabile in ogni futuro processo fra le stesse parti, impedendo loro e ai giudici di tali processi di rimettere in discussione la dichiarazione di esistenza o inesistenza del diritto sostanziale (art. 2909 c.c.: "l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto") Il vincolo a ritenere che la situazione sostanziale è quella dichiarata nella sentenza opera indipendentemente dagli errori di giudizio che il primo giudice possa aver compiuto o dai vizi processuali del primo processo (siano essi dati dall'aver pronunciato in assenza delle condizioni per la decisione di merito o dall'essersi verificate nel processo nullità formali) La cosa giudicata sostanziale è effetto tipicamente scaturente solo dalle sentenze di merito che decidono sulla fondatezza della domanda, poiché solo esse contengono un accertamento sull'esistenza o sul modo di essere del diritto o del rapporto sostanziale controverso es. diritto di proprietà o diritto di credito o rapporto contrattuale oggetto della domanda Può trattarsi di sentenze di mero accertamento, di condanna o costitutive, poiché anche queste ultime contengono l'accertamento del diritto sostanziale cui danno attuazione Le sentenze processuali (quali quelle relative ai presupposti processuali) divengono sì immutabili al momento del passaggio in giudicato formale, ma non recano tale accertamento e sarebbe improprio riferire ad esse l'effetto di cosa giudicata sostanziale Alle sentenze di rito spetta soltanto un effetto vincolante "endoprocessuale” nell'ambito del processo in cui sono state rese, detto di "giudicato interno", ma ben diverso dalla vera e propria autorità di giudicato sostanziale=> con ciò si allude solo al fatto che la sentenza che risolve, in un senso o nell'altro, una questione pregiudiziale di rito non solo non è revocabile dal giudice che l'ha pronunciata, ma ha effetti vincolanti anche per i giudici delle successive fasi processuali se la questione non viene di nuovo sollevata con l'impugnazione es. se il giudice ha dichiarato la propria competenza o l'esistenza dell'interesse ad agire e la sentenza è impugnata solo per altri motivi, la questione della competenza o dell'interesse ad agire non può più essere ridiscussa nei gradi successivi del processo, operando un effetto preclusivo di "giudicato interno" Solo eccezionalmente la legge riconosce alle sentenze di rito l'attitudine a manifestare efficacia extra- processuale - come è specialmente per le decisioni rese dalla Corte di cassazione sulla giurisdizione e sulla competenza, che vincolano anche nei nuovi processi in cui sia riproposta la medesima domanda -, ma si tratta di un fenomeno diverso poiché non si ha qui quell'accertamento del diritto controverso cui si fa riferimento parlando di "giudicato sostanziale" L'essenza della cosa giudicata sostanziale si coglie nel suo operare nell'ambito dei futuri processi fra le stesse parti Occorre distinguere fra efficacia negativa ed efficacia positiva del giudicato Se il successivo processo ha lo stesso oggetto di quello definito dalla sentenza (in quanto vertente sul medesimo diritto sostanziale già deciso) il giudicato sostanziale opera con efficacia negativa/preclusiva, nel senso che impedisce al giudice di pronunciarsi nuovamente nel merito e gli impone di rigettare in rito la domanda Il giudicato assume in tal caso il valore di un presupposto processuale negativo, nel senso che la pronuncia di merito è ammessa solo se fra le parti non è già in vigore un precedente giudicato che abbia statuito sul medesimo diritto sostanziale es. se dopo una pronuncia di rigetto nel merito l'attore riproponesse la medesima domanda, al giudice è vietato compiere al riguardo un nuovo accertamento (neppure conforme a quello già reso) e deve limitarsi a definire in rito il processo in omaggio al principio detto del ne bis in idem L'effetto negativo di ne bis in idem vale nel caso in cui sia il convenuto, soccombente nel primo processo, a proporre una domanda di accertamento negativo del diritto che con la prima sentenza è stato dichiarato esistente La cosa giudicata presidia funzionalmente la stabilità del risultato del primo processo nell'interesse di entrambe le parti e anche a favore del soccombente e a carico del vincitore es. accolta la domanda dell'attore per un credito di un determinato ammontare sarebbe anche a lui - vincitore - precluso riproporre la domanda sostenendo che è dovuta una somma di maggior ammontare L'efficacia meramente negativa di ne bis in idem non può esplicarsi se il nuovo processo ha un oggetto diverso, riguardando la controversia relativa a un diritto che non coincide con quello già deciso dal giudicato Il potere di pronuncia nel merito non può considerarsi consumato e il giudice del nuovo processo deve statuire sul diverso diritto avanti a lui azionato Tenendo conto che la cosa giudicata sostanziale fa stato fra le parti "ad ogni effetto" il giudicato può manifestare in tali nuovi giudizi un'efficacia positiva/conformativa => ciò avviene tipicamente se il nuovo diritto fatto valere è collegato a quello già deciso dal giudicato da una relazione di pregiudizialità- dipendenza Tale relazione si dà quando il primo diritto o rapporto giuridico, oggetto del giudicato, è parte della fattispecie costitutiva del secondo, assumendo sul piano sostanziale il ruolo di una sua condizione di esistenza (ponendosi in tal senso come "pregiudiziale") Per poter dire esistente il diritto dipendente occorre anche accertare l'esistenza del diritto condizionante (detto "pregiudiziale") e, se tale accertamento è già stato reso con sentenza passata in giudicato, nessuna contestazione in proposito sarà più ammessa e il giudice del secondo processo sarà positivamente vincolato ad uniformarsi a quella decisione Al giudicato il giudice dovrà attenersi anche se avesse dubbi sulla giustizia della sentenza o la considerasse viziata: il dubbio è irrilevante e sull'esistenza o inesistenza del diritto pregiudiziale il giudice deve pronunciarsi in senso conforme a quanto deciso nel primo giudicato Il diritto al risarcimento per danneggiamento di un bene presuppone l'esistenza del diritto di proprietà dello stesso (diritto condizionante/pregiudiziale): se sulla proprietà non si è mai svolto un processo, il giudice si pronuncia liberamente al riguardo e potrà affermarne o negarne l'esistenza Ma, se sul diritto di proprietà si è già svolto un primo processo conclusosi con accertamento, coperto da giudicato, della sua esistenza, tale dichiarazione ha effetto pienamente vincolante anche nel successivo processo sul diritto al risarcimento dei danni e il giudice deve attenersi a tale accertamento, senza poterlo rimettere in discussione e così positivamente reiterando il precetto enunciato dal primo giudicato Lo stesso vale a proposito del caso dell'accertamento dello stato di filiazione che opera in modo positivamente vincolante nel secondo processo in cui sia fatto valere il diritto agli alimenti fra le stesse parti (diritto dipendente, secondo il diritto sostanziale, dall'esistenza di uno stato di parentela) oppure dell'accertamento della nullità di un contratto rispetto al successivo processo in cui sia esercitato il diritto (dipendente) alla restituzione delle prestazioni eseguite in base al contratto nullo Quanto all'estensione del vincolo positivo, la decisione del secondo giudice è vincolata quanto all’esistenza del diritto pregiudiziale, ma è del tutto libera ed impregiudicata quanto agli ulteriori elementi che compongono la fattispecie costitutiva del diritto dipendente: pur non potendosi ridiscutere della proprietà del bene o dello stato di filiazione o della nullità del contratto, la domanda proposta (per i danni, per gli alimenti, per le restituzioni) potrà essere rigettata se mancano altri elementi della fattispecie (es. perché il danneggiamento non è dovuto a una condotta del convenuto, non sussiste lo stato di bisogno necessario per accordare gli alimenti, la prestazione di cui è chiesta la restituzione non è stata eseguita) L'efficacia positiva del giudicato riguarda solo quella specifica frazione della fattispecie costitutiva del diritto dipendente che è data dall'esistenza del diritto pregiudiziale Sia che nei nuovi processi venga in considerazione l'efficacia negativa o positiva, il giudicato è sempre rilevabile d'ufficio dal giudice poiché esso risponde ad un'esigenza pubblicistica di stabilità e di certezza della statuizione decisoria resa nel primo processo e non semplicemente ad un interesse disponibile delle parti => l'eccezione di giudicato (exceptio rei judicatae) è eccezione in senso lato 4. La preclusione del dedotto e del deducibile. I limiti cronologici del giudicato La cosa giudicata sostanziale consiste nell'accertamento vincolante ed incontestabile nei futuri processi dell'esistenza o inesistenza del diritto che ha costituito oggetto della domanda L'intangibilità del giudicato è assicurata non solo dal divieto di riesaminare ciò che è stato deciso dal primo giudice, ma anche dalla regola della preclusione del "dedotto e del deducibile": in virtù della preclusione l'accertamento non può essere rimesso in discussione non solo chiedendo il riesame delle questioni che erano state dedotte assumendo che esse siano state risolte scorrettamente dal giudice, ma neppure sollevando questioni nuove che non siano state dedotte e che il giudice non ha preso in esame, ma che erano comunque deducibili nel primo processo La preclusione colpisce tutte le questioni, siano esse di rito o di merito, di fatto o di diritto, e le stesse deduzioni istruttorie (salvi solo i casi eccezionali in cui la legge ammette la parte a chiedere la revocazione straordinaria della sentenza) La preclusione del "deducibile" è espressione dell'esigenza di certezza e stabilità della decisione della lite che si vuole sia assicurata dal giudicato, e che sarebbe compromessa se esso potesse essere rimesso in discussione in base a nuove ragioni che avrebbero potuto essere fatte valere già nell'ambito del primo processo Per l'operare della preclusione conta l'oggettiva deducibilità della questione e non l'imputabilità soggettiva della mancata deduzione a negligenza della parte Quand'anche il fatto risultasse non soggettivamente deducibile, perché es. non conosciuto dalla parte, la sua deduzione in un nuovo processo sarebbe egualmente preclusa semplicemente perché il fatto era già esistente all'epoca del primo processo (salvi i casi eccezionali che consentono di impugnare la sentenza in via di revocazione straordinaria) L'ambito oggettivo della preclusione è correlato all'oggetto del processo come identificato dalla domanda giudiziale, e risulta impedita la deduzione di qualsivoglia fatto costitutivo, impeditivo, modificativo od estintivo del diritto che con la domanda è stato fatto valere Al convenuto rimasto soccombente non può così consentirsi di ridiscutere del giudicato deducendo un fatto estintivo (il pagamento, la prescrizione, ecc.) che ha trascurato di far valere nel primo processo All'attore che abbia visto rigettata la domanda non potrà consentirsi di chiedere un nuovo giudizio deducendo ulteriori fatti che dimostrino l'esistenza del suo diritto e che non ha fatto valere nel primo processo es. attore che, dopo aver fondato la domanda di risarcimento dei danni da illecito extracontrattuale sulla responsabilità per colpa ex art. 2043 c.c., pretenda, dopo il giudicato di rigetto, di dedurre circostanze che potevano valere ad integrare la responsabilità semi-oggettiva per svolgimento di attività pericolose o per cose in custodia ex artt. 2050-1 c.c. o che, vistasi rigettare la domanda per mancanza di titolarità di un credito, pretenda di dedurre di averlo acquistato in virtù di una cessione o di un trasferimento di azienda=> circostanze che il giudice del primo processo non ha conosciuto perché non dedotte, ma che, essendo già allora deducibili, non consentono di superare la preclusione del deducibile scaturente dal giudicato Diverso problema è quello del superamento cronologico della sentenza, vale a dire della possibilità di superare l'accertamento reso sulla base di eventi sopravvenuti=> eventi che non erano affatto deducibili perché non ancora esistenti al tempo del primo processo Il giudicato può considerarsi cronologicamente superato solo se il fatto sopravvenuto è rilevante in base alle ragioni poste a base della decisione ed esso è rilevante solo se incide sul motivo portante della decisione, che determina la variabilità dell'efficacia preclusiva scaturente dal giudicato Dal punto di vista dell'efficacia conformativa in successivi processi il "motivo" della decisione varia la portata oggettiva del giudicato in relazione alla decisione da pronunciarsi su diritti dipendenti A seconda del motivo della decisione, la decisione sul diritto dipendente può considerarsi pregiudicata in misura diversa es. a seconda che la domanda relativa al pagamento del capitale di un'obbligazione sia stata rigettata per inesistenza originaria del credito oppure perché esso si è estinto, la sentenza manifesta una variabile efficacia conformativa nel successivo giudizio in cui l'attore chieda il pagamento del diritto dipendente agli interessi: nel primo caso il giudice dovrà rigettare nel merito la domanda per gli interessi, essendosi già accertato, nella motivazione della prima decisione, che il credito al capitale non è mai esistito; nel secondo caso, il motivo del rigetto è dato solo dall'estinzione del credito al capitale (es. per pagamento o compensazione) ed è possibile riconoscere l'esistenza del diritto agli interessi ed accogliere nel merito la relativa domanda Per le sentenze di accoglimento della domanda, alla decisione che abbia accolto la domanda di risoluzione per inadempimento di un contratto e alla sua efficacia nel successivo giudizio in cui l'attore chieda il risarcimento del danno conseguente all'inadempimento: se il motivo della prima pronuncia è dato da un fatto di inadempimento da ritardo nell'esecuzione della prestazione contrattuale, l'attore potrà fondare sul giudicato la richiesta dei danni da ritardo, ma non potrà più chiedere il danno conseguente ad un fatto di inadempimento diverso che non è stato fatto valere (es. inesattezza della prestazione eseguita dal convenuto) Se la sentenza ha accolto la domanda relativa all'accertamento dell'esistenza di un rapporto di godimento alternativamente qualificabile di locazione o comodato, a seconda della qualificazione scelta dal giudice essa manifesterà una differenziata efficacia conformativa nel secondo processo in cui sia chiesto il pagamento dei canoni locatizi (solo se motivata in termini di comodato non oneroso la sentenza imporrà il rigetto nel merito della successiva domanda per i canoni, che risulterà suscettibile di essere accolta se la motivazione è in termini di locazione); la domanda di accertamento della proprietà di un bene può essere accolta per l'uno o l'altro dei possibili fatti giuridici costituenti titolo di acquisto della proprietà e, a seconda della datazione del titolo di acquisto che dà motivo alla sentenza, la decisione sulla successiva domanda con cui si chieda il pagamento dei frutti sarà conformata in modo differenziato quanto alla misura dei frutti riconoscibili all'attore (che spetteranno solo dalla data in cui si è verificato il titolo di acquisto che il giudice ha posto a fondamento della decisione sulla proprietà) Il "motivo" posto a fondamento della sentenza rileva per il perimetro oggettivo del vincolo del giudicato, incidendo sulla variabilità dell'efficacia preclusiva e conformativa che esso può esplicare in futuro in nuovi processi aventi ad oggetto il medesimo diritto o diritti da esso dipendenti CAPITOLO 7 – L’IDENTIFICAZIONE DELL’OGGETTO DEL PROCESSO 1. L'oggetto del processo e gli elementi di identificazione della domanda giudiziale. Le parti La precisa identificazione del diritto sostanziale posto ad oggetto del processo è operazione fondamentale al fine della corretta applicazione di numerose regole processuali L'oggetto del processo dà la misura del dovere decisorio del giudice e dei suoi confini (art. 112 c.p.c.) e fissa anche l'ambito oggettivo del giudicato sostanziale e della preclusione del dedotto e del deducibile Solo se si identifica l'oggetto del processo è possibile stabilire se due processi separatamente pendenti fra le stesse parti siano in relazione di litispendenza e cioè abbiano un oggetto identico di modo che uno dei due debba essere eliminato; e stabilire se, a fronte di nuove deduzioni di fatto o di diritto svolte in corso di causa, si sia in presenza di un nuovo e diverso oggetto del processo oppure di semplici modifiche dell'oggetto originario L'applicazione di tali regole presuppone che sia con chiarezza stabilito quale è l'oggetto del processo L'individuazione dell'oggetto del processo è rimessa all'attore e si traduce nella problematica dell'individuazione della domanda giudiziale La questione non può tradursi solo in un problema di "volontà" di chi propone la domanda poiché l'ordinamento impone che ad oggetto del processo vi sia un'entità minima predeterminata, sicché se anche l'attore intendesse dedurre in giudizio solo un profilo specifico di esistenza o di contenuto di un diritto soggettivo sostanziale, la sua domanda varrebbe a sottoporlo integralmente al dovere decisorio del giudice e a farne nella sua interezza oggetto del giudizio es. se anche l'attore abbia inteso chiedere in giudizio solo una parte del risarcimento che gli spetta in base a un determinato fatto illecito, non è dubbio che oggetto del giudizio sarebbe il diritto di risarcimento nella sua interezza e così che il giudicato coprirebbe tutte le voci di danno risarcibili in base a quel fatto precludendo all'attore di esercitare il suo diritto risarcitorio per tali ulteriori voci (si parla di principio della infrazionabilità della domanda giudiziale) È la legge a dettare il criterio di identificazione della domanda giudiziale ed esso fa capo a 3 elementi: le parti (elemento soggettivo), l'oggetto e il titolo (elementi oggettivi), che devono essere indicati nell'atto con cui la domanda è introdotta, sia esso la citazione, il ricorso o, per la domanda riconvenzionale, la comparsa di risposta In linea di principio solo se tutti e tre questi elementi coincidono può parlarsi di "identità" delle domande, mentre se anche solo uno di essi è diverso altrettanto diverse devono considerarsi le domande giudiziali (che potranno solo considerarsi connesse anche in senso molto stretto, ma non identiche) Per quanto riguarda le parti occorre stabilire qual è il soggetto che ha proposto la domanda e qual è il soggetto contro il quale la domanda è proposta, e chi è rispettivamente indicato come attore e come convenuto nell'atto introduttivo del giudizio Affinché la domanda proposta in un determinato processo possa dirsi identica a quella proposta in un altro occorre che vi sia coincidenza di entrambe le parti es. pur se è fatto valere il medesimo diritto di credito, se l'attore agisce in un primo processo contro un determinato convenuto e successivamente, magari nel dubbio circa l'effettiva individuazione dell'obbligato, conviene in giudizio altro soggetto, le due domande sono diverse e fra le stesse non sussiste una situazione di litispendenza Nei casi in cui la parte sta in giudizio tramite un rappresentante (legale o volontario), costui agisce in nome altrui: la qualità di parte spetta solo al rappresentato ed è solo la sua identità a venire in rilievo per l'individuazione dell'oggetto del processo es. se un determinato diritto è fatto valere nel processo dal genitore-rappresentante legale in nome del minore, e poi esso è separatamente azionato dal genitore in nome proprio, le parti non coincidono e fra i due processi non sussiste litispendenza Nei casi di sostituzione processuale si ha uno sdoppiamento della qualità di parte: il sostituto, che assume la qualità di parte in senso processuale ed il sostituito, cui spetta il diritto fatto valere, che assume la qualità di parte in senso sostanziale => identità di oggetto del giudizio si ha non solo in caso di coincidenza della parte in senso processuale, ma anche di coincidenza della parte in senso sostanziale: se il sostituito agisse in separato giudizio per il medesimo diritto già azionato dal suo sostituto, i due processi avrebbero oggetto identico e il secondo sarebbe destinato ad essere eliminato per litispendenza Normalmente anche il sostituito deve essere citato in giudizio ed assume anche la qualità di parte in senso processuale, sicché non risulta nemmeno necessario fare capo alla sua qualità di parte in senso sostanziale Ai fini dell'individuazione dell'oggetto del processo conta stabilire chi è di fatto parte del processo, in quanto autore o destinatario della domanda giudiziale; non conta stabilire se tale soggetto sia anche la parte "legittima", ossia abbia anche la legittimazione ad agire attiva e passiva (in quanto indicato nella domanda rispettivamente come titolare del diritto o titolare dell'obbligo fatto valere) => la legittimazione serve a individuare le "giuste" parti del processo e non le parti in quanto tali e solo queste ultime contano ai fini dell'individuazione della domanda giudiziale 2. Il petitum e la causa petendi L'oggetto della domanda, con terminologia tradizionale designato come "petitum", indica "ciò che è chiesto in giudizio”, mentre il titolo della domanda, designato come “causa petendi”, è la "ragione", il "perché" del domandare Una delle norme in cui i due elementi si trovano chiaramente richiamati è l'art. 103, 1° comma, c.p.c. ove, a proposito della connessione fra cause litisconsortili, si parla di "oggetto e titolo della domanda" Nella norma sull'atto di citazione vi è nella menzione della "cosa oggetto della domanda" il riferimento al petitum (art. 163, 3° comma, n. 3) e nella menzione dell'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda (art. 163, 3° comma, n. 4) il riferimento alla causa petendi Il petitum (od oggetto) si intende sia come immediato che come mediato In via immediata l'oggetto è il provvedimento che si chiede al giudice di emanare: la sentenza di mero accertamento, di condanna o costitutiva Se le azioni esercitate in due processi tendono a provvedimenti diversi anche i due processi vanno considerati non identici es. se in un processo si chiedesse il mero accertamento di un credito e in un altro processo si chiedesse la condanna al suo adempimento, il petitum immediato delle due domande risulterebbe comunque diverso Il petitum mediato è ciò che la domanda è diretta a conseguire mediatamente, per via del provvedimento del giudice, e si identifica con il bene della vita e l'utilità giuridica (il "bene giuridico") pretesi: può trattarsi del pagamento di una somma di denaro, della consegna di un determinato bene, dell'attuazione di una condotta di fare o non fare, o, nelle azioni costitutive, della realizzazione di un certo effetto giuridico (la risoluzione, l'annullamento, la rescissione di un certo contratto, ecc.) Non vi è identità della domanda se diverso è il bene preteso es. se si pretende il riconoscimento di una servitù di passaggio a carico di un certo fondo e poi di un fondo diverso oppure si chiede l'inibitoria di attività fonte di immissioni insalubri da un fondo vicino e poi si chiede la demolizione delle opere da cui derivano le immissioni Il "perché" del domandare (la causa petendi) è il diritto soggettivo sostanziale in forza del quale è formulata la richiesta del provvedimento e del bene preteso es. se si chiede la condanna al pagamento di una somma, la ragione della richiesta sarà data dalla spettanza di un "diritto di credito" Poiché l'affermazione della spettanza di un diritto soggettivo non può andare disgiunta dalla indicazione delle concrete ragioni sostanziali che consentono di considerare sussistente tale diritto, la causa petendi si traduce nella indicazione dei suoi fatti costitutivi, intesi come concreto episodio storico giuridicamente qualificato nella sua idoneità a essere elemento genetico di un diritto soggettivo di un certo tipo es. a fronte della richiesta della restituzione di un bene l'attore assolve il compito di dedurre i fatti costitutivi, da un lato, narrando che in un certo momento (es. il 30 aprile 2018) è stato concluso con il convenuto un certo accordo ed è stato a lui consegnato un certo bene, e, dall'altro, qualificando tale accordo come contratto che dà diritto a una certa scadenza ad avere la restituzione del bene (qualificandolo es. come locazione o comodato)=> a fronte della richiesta del pagamento di una somma sulla base di un diritto di credito, l'attore processuale=> si parla di "concorso alternativo" di azioni, e di azioni realmente diverse anche se collegate da una stretta relazione di "alternatività sostanziale", tal per cui l'esistenza dell'una esclude l'esistenza dell'altra => ne consegue che il passaggio dall'una all'altra fattispecie va inteso come proposizione di una domanda diversa da quella originaria e che, rigettata la domanda proposta per una delle due fattispecie, di regola il giudicato non vale ad impedire che sia esercitata l'azione fondata sull'altra Data la stretta relazione, anche pratica, fra le due domande è molto consigliabile che l'attore cumuli sin dall'inizio le due domande nel medesimo processo anche in via condizionale, il che è ammesso 4. Le domande autodeterminate Seguendo una tradizione assai risalente, è dato acquisito che per un'ampia categoria di domande la causa petendi è data semplicemente dal tipo di diritto esercitato e non muta se sono dedotti a suo fondamento fatti costitutivi diversi, intesi non solo come diverse fattispecie giuridiche, ma anche come episodi storici del tutto distinti L'oggetto del processo in questi casi resta immutato anche se l'attore deduce nel corso del processo una pluralità di fatti costitutivi diversi, ferma restando solo la tipologia di diritto fatto valere Le domande appartenenti a questa categoria sono dette "autodeterminate", perché in sé identificate da elementi "interni" alla richiesta di tutela, ossia, oltre che dal bene materiale costituente il petitum, dal tipo di diritto che l'attore pone a suo fondamento Si considerano domande autodeterminate quelle relative ai diritti assoluti, ed in particolare ai diritti reali di godimento (proprietà, usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, servitù), e le domande relative a diritti di credito a una prestazione specifica (quali le domande relative all'esecuzione di una prestazione di fare o alla consegna di un bene determinato) Tale inquadramento è giustificato dal fatto che, anche in presenza di una pluralità di fatti costitutivi, unico è il diritto che ne deriva, poiché costante ed invariabile è l'utilità giuridica che essi garantiscono all'interessato I diversi fatti costitutivi (dati da distinti episodi storici di acquisto inquadrabili eventualmente anche in fattispecie legali diverse) sono fungibili e non possono determinare la nascita di una pluralità di diritti, poiché non è concretamente prospettabile la simultanea titolarità di più diritti del medesimo contenuto e tipo su un medesimo bene in capo ad un medesimo soggetto Esemplificando con il diritto di proprietà su un determinato bene: può essere che nel tempo si siano realizzati più titoli di acquisto, quali possono essere l'acquisto per compravendita, per donazione, per successione ereditaria o per usucapione, ma ad essi non corrisponde l'acquisto di una pluralità di diritti di proprietà sul medesimo bene in capo allo stesso soggetto (che non può essere "più volte" proprietario di quel certo bene) I diversi titoli di acquisto vanno considerati fatti costitutivi concorrenti del medesimo diritto, che non incidono sull'identificazione della domanda=> ciò giustifica che la domanda con cui è esercitato il diritto di proprietà resta identica anche se diversi sono i fatti costitutivi che si pongono via via a suo fondamento; correlativamente, la preclusione del giudicato investe potenzialmente tutti i possibili concorrenti fatti costitutivi, che vanno dedotti dall'attore nel primo processo e non potrebbero più essere posti a fondamento di una domanda nuova in un processo successivo A fronte del giudicato di rigetto della domanda relativa alla proprietà di un bene determinato fondata su un acquisto per successione ereditaria, ad una nuova domanda si oppone l'eccezione di ne bis in idem tratta da questo giudicato, anche se essa sia fondata su un fatto costitutivo diverso (es. l'usucapione) diverso e non dedotto nel primo processo L'identità dell'oggetto del giudizio trae con sé la piena e diretta operatività del primo giudicato e della preclusione del dedotto e del deducibile da esso scaturente Es. diritto di servitù: è vero che a favore di un determinato fondo dominante e a carico del medesimo fondo servente possono esistere contemporaneamente più servitù Tuttavia, l'effettiva pluralità dei diritti presuppone una diversità di contenuto e diversità della stessa utilità giuridica che essi assicurano (trattandosi di titolarità sia di una servitù di passaggio che di acquedotto oppure di più diritti di servitù di passaggio date da vincoli con diversa localizzazione materiale) Se il contenuto è il medesimo è anche qui escluso che i plurimi fatti di acquisto diano luogo alla titolarità di una pluralità di diritti di servitù e il diritto resta unico quale che sia il fatto costitutivo dedotto (compravendita, destinazione del padre di famiglia, ecc.), tornando applicabili le regole sulle domande autodeterminate Si ha diversità di domande se diversa è la "tipologia" di diritto fatto valere e ciò anche se l'episodio storico allegato come fatto costitutivo è il medesimo es. se si deduce di essere divenuti proprietari di un bene in forza di un determinato atto di acquisto (quale può essere un testamento fondante una successione ereditaria) e poi si deduce di essere in virtù del medesimo testamento divenuti titolari di un diritto di usufrutto sul bene, non è dubbio che si tratti di diritti e di domande diverse Lo stesso vale se si deduce di essere comproprietari di un bene, e dunque titolari di una quota ideale di proprietà sul bene indiviso, e poi di essere proprietari in via esclusiva dell'intero bene Il giudicato di rigetto relativo ad un diritto non può precludere la proposizione di una domanda relativamente all'altro L'applicazione di tale criterio ai diritti di credito ad una prestazione specifica (anch'essi da considerarsi "autodeterminati") è di portata residuale, poiché è raramente prospettabile sul piano pratico che possano essersi conclusi una pluralità di negozi per l'acquisizione della medesima prestazione di specie Tuttavia, può immaginarsi che per la riconsegna di un bene determinato l'attore possa far valere sia l'intervenuta scadenza di un contratto di comodato intervenuto molto tempo fa e all'insieme anche la scadenza di un contratto di locazione ad esso succedutosi nel tempo => anche in tal caso l'utilità consistente nella riconsegna del bene non può che essere conseguita una volta sola, sicché la domanda proposta per il diritto alla consegna coinvolge tutti i possibili fatti costitutivi, che vanno dedotti a suo fondamento a pena di preclusione 5. L'identificazione della domanda nelle azioni costitutive Nelle azioni costitutive il diritto sostanziale esercitato è un diritto potestativo ed è assai discusso se la domanda giudiziale appartenga alla categoria delle domande autodeterminate o eterodeterminate Il quesito è rilevante nei casi in cui l'effetto giuridico (costitutivo-modificativo-estintivo) cui tende la domanda può essere alternativamente fondato da più distinti titoli ed episodi della vita concreti Caso paradigmatico dell'azione di annullamento del contratto: secondo la disciplina sostanziale il diritto all'annullamento del contratto spetta nelle ipotesi in cui esso sia stato concluso con errore, dolo, violenza o in stato di incapacità Nei casi concreti è prospettabile che rispetto ad un medesimo contratto si sia verificato sia un episodio di errore (es. sull'autore del quadro acquistato), sia un episodio di dolo (es. raggiri sulle circostanze incidenti sulla quotazione di mercato del quadro) Ci si chiede se in presenza di tali plurimi episodi di vizi della volontà nascano tanti corrispondenti diritti di annullamento del contratto oppure se, nonostante l'effettiva presenza di una pluralità di fatti costitutivi, il diritto sia uno solo Scegliendo la prima alternativa la domanda sarebbe eterodeterminata ed identificata dal concreto episodio (es. l'errore) dedotto come causa petendi ed il suo rigetto non precluderebbe all'attore di agire successivamente per fare valere l'altro episodio (il dolo): alla pluralità dei fatti costitutivi corrisponderebbe la pluralità delle domande e degli oggetti del processo Opposta la conclusione se la domanda (essendo medesimo il diritto) si considera autodeterminata: chiesto nel primo processo l'annullamento l'attore è onerato di dedurre tutti i possibili fatti costitutivi e il giudicato di rigetto spiega portata preclusiva di ogni ulteriore deduzione (sicché, quand'anche si sia fatto valere solo l'episodio di errore, la domanda non potrà più essere riproposta deducendo l'episodio di dolo) Il caso può darsi anche nella risoluzione del contratto che possa fondarsi su tanti episodi distinti di inadempimento (es. il ritardo nella consegna della merce e la consegna di merce deteriorata), oppure nell'azione di annullamento delle delibere degli enti (es. delibera annullabile sia perché adottata senza la prescritta maggioranza, sia perché avente un contenuto contrario ad una specifica disposizione dello statuto della società) La soluzione meno artificiosa è quella di ricondurre tali domande alla categoria delle domande autodeterminate L'utilità giuridica consistente nell'annullamento del contratto (o nella risoluzione o nell'annullamento della delibera) è invariabile, quale che sia il motivo che vi dà fondamento e unico pare il diritto scaturente dai diversi fatti costitutivi Data l'identità dell'utilità giuridica pare ragionevolmente esigibile che l'attore sia onerato, a pena di preclusione, della deduzione di tutti i possibili - concorrenti - fatti costitutivi già in occasione del primo processo Deve parlarsi di diritti diversi se diversa è la modificazione giuridica richiesta con la domanda, poiché in tal caso non può parlarsi di identità dell'utilità giuridica perseguita e di identità del diritto potestativo Anche se esercitate in relazione al medesimo contratto le domande dirette alla risoluzione del contratto per inadempimento, o all'annullamento per vizio della volontà o alla rescissione per lesione si differenziano per la tipologia di modifica richiesta e dal punto di vista del petitum mediato e vanno considerate domande diverse L'accoglimento di una azione può avere l'effetto di privare di oggetto l'altra e di esaurire l'interesse sostanziale cui è collegata, poiché non può modificarsi un rapporto giuridico che, essendo già stato posto nel nulla da una precedente sentenza, non sussiste più (pronunciata la risoluzione del contratto in un primo processo, l'azione poi proposta per il suo annullamento, andrebbe rigettata per infondatezza nel merito)=> fenomeno diverso dall'effetto del giudicato, che può definirsi di "consumazione sostanziale" dell'azione La pluralità di distinte azioni costitutive incidenti su un medesimo rapporto dà luogo ad un fenomeno assimilabile a quello del concorso semplice di azioni 6. Concorso semplice ed elettivo di azioni Si parla di concorso semplice di azioni quando, per la tutela di un medesimo interesse sostanziale, la legge attribuisce una duplicità di diritti del medesimo contenuto che coesistono, ma che sono coordinati dal punto di vista funzionale in quanto il risultato pratico-economico può essere conseguito una sola volta La regola di coordinamento consiste nel fatto che ottenuta la soddisfazione dell'uno dei due diritti si estingue anche l'altro Es. paradigmatico è il concorso fra azione causale e azione cartolare tratta dalla emissione di un titolo di credito: se a tutela di un credito pecuniario derivante da un contratto (da cui trae origine l'azione detta causale) il debitore ha emesso un assegno o una cambiale (da cui deriva l'azione detta cartolare), il creditore ha a disposizione due azioni diverse per ottenere il pagamento della somma dovuta => tali azioni possono essere separatamente esercitate e il rigetto dell'una (es. rigetto dell'azione cartolare per difetto dei requisiti specifici del credito cartolare, come può essere la mancanza della denominazione "cambiale" nel testo del titolo o della data di emissione nell'assegno) di regola non impedisce l'esercizio dell'altra MA, l'adempimento dell'un credito estingue anche l'altro, poiché il creditore non ha comunque diritto di ottenere per due volte il pagamento della somma Secondo una diffusa opinione, anche prima dell'adempimento, la pronuncia di accoglimento dell'una azione consuma l'altra, il cui esercizio non appare più sorretto dall'interesse ad agire, sicché anche prima dell'esecuzione della sentenza l'azione concorrente risulta "consumata" dal punto di vista processuale Ipotesi classica: la pluralità di azioni spettanti al proprietario spogliato del possesso del bene, che può esercitare, ai fini del suo recupero, sia l'azione possessoria, fondata sui requisiti della violenza o clandestinità dello spoglio e dell'esercizio entro un termine annuale, sia la comune azione petitoria di CAPITOLO 8 – IL GIUDICE 1. Le condizioni della potestà di giudicare nel merito: giurisdizione e competenza La funzione giurisdizionale civile è esercitata dall'ordine dei giudici civili ordinari la cui potestà decisoria ha carattere del tutto generale e si estende a qualsivoglia controversia civile, come risulta dall'art. 102, 1° comma, Cost. e dall'art. 1 c.p.c. ("la giurisdizione civile è esercitata dai giudici ordinari secondo le norme del presente codice"), salve soltanto le deroghe espressamente previste dalla legge La giurisdizione ordinaria incontra deroghe, dette "limiti" della giurisdizione, solo in ragione della specifica appartenenza della controversia alla giurisdizione dei giudici speciali previsti dall'ordinamento e, sul piano internazionale, della sua mancanza di collegamento con il territorio italiano Poiché la giurisdizione è un presupposto processuale, se tali limiti sono concretamente operanti il giudice adito non può giudicare sul merito della domanda proposta: la giurisdizione va declinata e la domanda rigettata con sentenza di rito di absolutio ab instantia Se il giudice decidesse egualmente la causa nel merito, la sentenza sarebbe invalida e destinata ad essere annullata in sede di impugnazione Una volta stabilito che la controversia rientra nell'ambito della giurisdizione nazionale e ordinaria, per poter validamente pronunciare nel merito va altresì verificato se essa appartiene alla competenza del giudice adito, tenuto conto che esiste una pluralità di giudici civili ordinari, tra i quali la legge distribuisce la giurisdizione attribuendone a ciascuno una porzione secondo criteri legali predeterminati (come esige il rispetto della garanzia del "giudice naturale precostituito per legge", di cui all'art. 25, 1° comma, Cost.) La distribuzione della competenza avviene sia tra giudici di diverso tipo (es. in primo grado fra giudice di pace e tribunale), sia fra giudici del medesimo tipo ma con diversa sede territoriale Pur attenendo solo alla distribuzione della potestà decisoria fra diversi giudici dell'ordine giudiziario ordinario, anche la competenza è una condizione di decidibilità della causa nel merito (presupposto processuale) e, se manchi, la causa va definita con pronuncia di rito Giurisdizione e competenza sono entrambe classificate come presupposti processuali attinenti alla "capacità" del giudice Quando si parla di "giudice" in questo contesto ci si riferisce all'ordine giurisdizionale o all'ufficio giudiziario nel suo complesso (es. il tribunale di Milano) e non al singolo magistrato-persona fisica investito della trattazione e decisione della causa 2. Il difetto di giurisdizione nei confronti dei giudici speciali L'art. 102, 1° comma, Cost. prevede che la "giurisdizione è esercitata dai magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario" + divieto di istituzione di "giudici speciali" (2° comma) E’ la stessa Costituzione ad avere contemplato, all'art. 103, alcuni giudici speciali e all'insieme ad aver ammesso, vietando solo la nuova istituzione di giudici speciali, la conservazione dei giudici speciali già all'epoca esistenti, imponendone una revisione entro 5 anni dall'entrata in vigore del testo costituzionale La generalità della giurisdizione dei giudici ordinari è derogata nei casi di appartenenza della controversia all'ambito della giurisdizione di un giudice speciale I principali giudici speciali sono i giudici amministrativi (TAR in primo grado e Consiglio di stato in grado di appello), la Corte dei conti, e le commissioni tributarie In senso formale solo i giudici ordinari sono soggetti alla legge generale sull'ordinamento giudiziario (ancor oggi il r.d. n. 12/1941, più volte riformato nel tempo), che ne regola in modo uniforme lo stato giuridico e le modalità di funzionamento, mentre i giudici speciali sono soggetti alla disciplina di apposite leggi speciali In senso più sostanziale per i giudici ordinari è la stessa Costituzione a dettare le regole precettive che ne assicurano la piena indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato, regole cogenti e inderogabili dalla legge ordinaria, fra le quali spiccano quelle della necessità di nomina per concorso di merito (art. 106, 1° comma, Cost.) e della attribuzione di tutti i provvedimenti relativi alla carriera dei magistrati al Consiglio Superiore della magistratura, organo elettivo di autogoverno (artt. 104 e 105 Cost.) Per i giudici speciali la Costituzione, all'art. 108, 2° comma, prevede solo che la legge ordinaria che li disciplina sia atta ad assicurare l'indipendenza, ma senza che ciò debba necessariamente avvenire con il rispetto delle specifiche garanzie previste dalla stessa Costituzione per i giudici ordinari (essendo possibile che il reclutamento dei magistrati addetti avvenga con nomina politica e non tramite concorso di merito, se la scelta di tale diversa modalità non compromette in sé l'indipendenza del giudice) La specialità è anche di ordine oggettivo, nel senso che a tali giudici spettano soltanto settori tipici e predeterminati di controversie, specificamente indicati dalla legge, cui si contrappone la generalità dell'ambito della giurisdizione ordinaria Per i giudici amministrativi (TAR e Consiglio di stato) è la stessa Costituzione a prevedere che siano loro attribuite le controversie nei confronti della Pubblica Amministrazione in cui siano fatti valere "interessi legittimi" (art. 103, 1° comma) Il criterio di ripartizione della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo è dato non dal tipo di "materia", ma dalla natura della situazione soggettiva da tutelare, spettando al giudice ordinario la tutela dei diritti soggettivi e al giudice amministrativo la tutela degli interessi legittimi L'interesse legittimo corrisponde ai casi in cui la PA agisce in forza di una posizione di supremazia (iure imperii) che le consente di sacrificare unilateralmente con provvedimenti autoritativi gli interessi dei privati in base a scelte discrezionali non sindacabili (es. valutare la pubblica utilità di una nuova opera al fine di espropriare il bene di un privato o fissare determinate qualità soggettive per l'accesso a un bando di concorso)=> di tali provvedimenti il privato può chiedere l'annullamento in sede giurisdizionale, davanti al giudice amministrativo, a tutela dei propri interessi ma solo per motivi di stretta legalità, ossia senza poter contestare il merito discrezionale del provvedimento (se non nel caso limite dell'abuso di potere) L'interesse legittimo è una posizione soggettiva di natura strumentale che consente di contestare la (sola) legalità dell'azione amministrativa e non assicura, a differenza del diritto soggettivo, l'incondizionata attribuzione di un'utilità sostanziale o di un bene della vita, e da qui l'uso della formula interesse "legittimo" (chi è destinatario di un provvedimento di espropriazione per pubblica utilità potrà, con l'azione avanti al giudice amministrativo, ottenerne l'annullamento solo se esso sia stato emesso senza il rispetto delle condizioni legali, ma non contestando la valutazione discrezionale di opportunità sulla "pubblica utilità" dell'opera da realizzare) Se si tratta di rapporti in cui la Pubblica Amministrazione non opera in posizione di supremazia, ma in una posizione di parità con il privato, da tali rapporti scaturiscono diritti soggettivi tutelabili in senso pieno, che non possono essere repressi o incisi dagli atti della Pubblica Amministrazione, la quale può essere convenuta avanti ai giudici civili ordinari alle condizioni comuni (così per i contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione in regime di diritto privato o per i comportamenti fonte di illecito aquiliano ad essa imputabili si ha piena giurisdizione dei giudici ordinari e per giudicare dei diritti dei privati non vi è riserva alcuna di una sfera di discrezionalità della P.A.) A fianco del criterio generale si pongono casi in cui eccezionalmente ai giudici amministrativi è attribuita giurisdizione anche in tema di diritti soggettivi Art. 103, 1° comma, 2° parte, Cost.: la legge può indicare "particolari materie" in cui ai giudici amministrativi spettano anche le controversie attinenti a diritti soggettivi e si parla in tal caso di settori di "giurisdizione esclusiva": tali settori corrispondono alle materie in cui vi è un intreccio complesso fra interessi legittimi e diritti soggettivi che rende opportuna l'attribuzione della tutela di entrambi, e dell'intera materia, alla giurisdizione amministrativa I casi sono indicati dall'art. 133 del codice del processo amministrativo, e fra i più importanti vi sono attualmente i settori dati dalla materia dell'"urbanistica ed edilizia", dei rapporti di appalto di lavori pubblici e di concessione di pubblici servizi La giurisdizione della Corte dei conti e delle commissioni tributarie (commissione tributaria provinciale in primo grado e commissione tributaria regionale in grado di appello) riguarda controversie di cui è parte una Pubblica Amministrazione, ma in cui si controverte essenzialmente di posizioni di diritto soggettivo Sono materie particolari, caratterizzate da notevole complessità tecnica e di particolare rilievo per gli interessi finanziari dello Stato Per la Corte dei conti si tratta principalmente delle controversie in tema di responsabilità amministrativa e contabile dei pubblici funzionari nei confronti della Pubblica Amministrazione e in tema di pensioni pubbliche (cioè, di pensioni dei dipendenti pubblici) (art. 1 codice di giustizia contabile) Per le commissioni tributarie si tratta delle controversie fra i privati e la Pubblica Amministrazione in materia di "tributi di ogni genere e specie" (art. 5 codice del processo tributario), in cui si decide dei diritti ed obblighi facenti capo all'amministrazione finanziaria e al contribuente 3. Segue. E nei confronti della Pubblica Amministrazione L'art. 37 c.p.c. menziona a fianco del difetto di giurisdizione nei confronti dei giudici speciali, il difetto nei confronti della "Pubblica Amministrazione" Si tratta di difetto assoluto in quanto l'azione esercitata deduce interessi "semplici" da considerarsi non giustiziabili (che non assumono spessore né di diritto soggettivo, né di interesse legittimo) e la controversia non è soggetta né alla giurisdizione dei giudici ordinari, né dei giudici speciali L'ipotesi è che l'attore chieda la tutela di interessi generali attinenti alla gestione discrezionale delle attività pubbliche (es. chieda che l'amministrazione sia condannata all'istituzione di una nuova università o alla più efficiente gestione del servizio di manutenzione delle strade), in quanto tali in assoluto non tutelabili in sede giurisdizionale, ma solo in sede politica In passato il caso si è concretizzato a proposito dell'azione di alcune associazioni sindacali volte a far dichiarare la responsabilità del Governo per il mancato rispetto di intese "politiche", da cui non scaturiva alcuna situazione soggettiva (né di diritto soggettivo, né di interesse legittimo) suscettibile di tutela giurisdizionale Possono ricondursi anche i casi in cui sia chiesto al giudice di emettere una pronuncia che comunque implica invasione della sfera di altri poteri pubblici es. se l'attore chiede al giudice di accertare l'incostituzionalità di una norma o di emanare una nuova legge La natura assoluta del difetto fa sì che la declinatoria assuma portata solo negativa, senza riconoscere potestà decisoria ad alcun altro ordine giurisdizionale 4. La rilevabilità del difetto di giurisdizione In entrambi i casi visti i limiti della giurisdizione del giudice ordinario sono di natura cogente, ossia rispondono a superiori interessi pubblici=> da ciò consegue che non è ammessa in alcun modo la derogabilità convenzionale della giurisdizione, nel senso che le parti non possono neppure d'accordo attribuire al giudice la giurisdizione di cui è sfornito (es. anche se vi fosse un diverso accordo fra il privato e la Pubblica Amministrazione convenuta in giudizio andrebbe declinata la giurisdizione relativa a una controversia in materia di interessi legittimi) Della mancanza di giurisdizione il giudice deve tenere conto anche se non vi è eccezione del convenuto, poiché, come si legge nell'art. 37 c.p.c., essa è "rilevabile d'ufficio in qualunque stato e grado del processo" Anche in grado di appello, se il giudice di primo grado ha pronunciato nel merito dovrebbe potersi per la prima volta rilevare d'ufficio la mancanza di giurisdizione e pronunciare l'invalidità della sentenza impugnata e lo stesso dovrebbe poter avvenire in cassazione in sede di impugnazione della sentenza di appello Un limite al potere del giudice di rilevare d'ufficio il difetto di giurisdizione deriva dall'operare delle regole proprie delle impugnazioni, e in particolare dalla regola secondo cui per le questioni già decise dal giudice dei gradi precedenti opera un onere di espressa riproposizione ad opera della parte interessata, a pena, altrimenti, della formazione del giudicato c.d. interno che preclude l'esercizio del potere di rilievo d'ufficio del giudice dell'impugnazione=> in applicazione di tale regola può dirsi che la questione di giurisdizione può essere rilevata d'ufficio nei gradi di impugnazione solo se tale potere non è già stato esercitato nei gradi precedenti, poiché, se lo è stato e la questione è stata decisa, il potere ufficioso è ormai "consumato" e di consegnarsi la merce venduta) o, in materia extracontrattuale, se qui è il luogo in cui si è verificato l'illecito fonte di responsabilità aquiliana Si tratta di deroghe al criterio del foro "del convenuto" considerate accettabili perché designano uno Stato il cui territorio ha una prossimità oggettiva al luogo in cui si sono svolti i fatti all'origine della controversia e che saranno di norma oggetto di istruzione probatoria Per quanto riguarda i fori esclusivi, uno dei più importanti è quello per le cause relative a beni immobili che fa capo allo Stato del luogo in cui è situato l'immobile, i cui giudici hanno giurisdizione senza che possa venire in considerazione il foro generale del convenuto=> criterio ispirato da esigenze pubblicistiche, ossia dall'esigenza di assicurare che la causa si svolga avanti ai giudici del medesimo Stato cui inerisce, per essere l'immobile situato nel suo territorio, la responsabilità per il servizio di iscrizione o trascrizione nei pubblici registri degli atti (negoziali o giudiziali) riguardanti l'immobile Nella maggior parte dei casi la distribuzione della giurisdizione fra i diversi Stati secondo i criteri legali di collegamento non risponde a ragioni pubblicistiche cogenti, tanto che il foro generale risponde semplicemente all'esigenza di facilitare la difesa del convenuto Per questa ragione la distribuzione secondo i criteri legali è considerata rispondente a interessi disponibili delle parti ed è ammessa la derogabilità convenzionale della giurisdizione, ossia è ammesso che le parti si accordino per attribuire la giurisdizione ai giudici di uno Stato diverso da quello a cui spetterebbe in applicazione dei criteri legali=> così dispongono sia l'art. 25 del Regolamento UE che l'art. 4, 1° e 2° co., della L. n. 218/1995, alla cui stregua è efficace sia il patto con cui le parti attribuiscono al giudice italiano la giurisdizione che non avrebbe in base ai criteri legali, sia il patto con cui esse attribuiscano alla giurisdizione di un giudice straniero la causa che spetterebbe alla giurisdizione italiana La derogabilità convenzionale non è ammessa se la causa è soggetta a un foro speciale esclusivo ispirato da superiori esigenze pubblicistiche Alla derogabilità per accordo fra le parti corrisponde anche un particolare regime della rilevabilità del difetto di giurisdizione internazionale Stando alla disciplina della L. n. 218/1995 (largamente coincidente con quella del Regolamento UE), il difetto di giurisdizione è rilevabile d'ufficio solo se il convenuto è contumace oppure se vengono in considerazione criteri legali inderogabili (es. giurisdizione esclusiva dei giudici dello Stato in cui è situato l'immobile) Al di fuori del campo dei criteri legali inderogabili, e nella stragrande maggioranza dei casi, se il convenuto si è costituito il difetto è deducibile in ogni stato e grado del giudizio, ma solo su sua espressa eccezione che va proposta a pena di decadenza nel "primo atto difensivo" Il convenuto può eccepire il difetto di giurisdizione costituendosi in qualunque momento del giudizio ("in ogni stato e grado"), ma ha l'onere di sollevare l'eccezione nel primo atto difensivo, dovendosi altrimenti considerare "tacitamente" accettata la giurisdizione italiana L'impossibilità di rilevare d'ufficio il difetto di giurisdizione non eccepito dal convenuto costituito è coerente con il fatto che il rispetto dei criteri legali risponde in massima parte a un suo interesse disponibile Vi sono controversie che, pur essendo di "giurisdizione civile", sono tradizionalmente escluse dalla "materia civile e commerciale" e sono soggette a discipline specifiche, date da Regolamenti UE di settore e dalle regole speciali di giurisdizione della L. n. 218/1995, fra le quali le più importanti sono le cause in materia di stato e capacità delle persone, di regime patrimoniale fra i coniugi e di successioni mortis causa=> settori in cui gli Stati rivendicano l'esercizio della propria giurisdizione a prescindere da un collegamento "fisico" della controversia con il proprio territorio e dettano regole che danno sovente rilevanza, come criterio attributivo di giurisdizione, anche solo alla cittadinanza di una delle parti es. in materia di rapporti di filiazione, la giurisdizione italiana sussiste anche solo perché uno dei genitori o il figlio "è cittadino italiano" e, in materia di successioni per causa di morte, anche solo perché il defunto era cittadino italiano 6. La competenza: i giudici civili ordinari “Competenza”: distribuzione delle cause fra i diversi uffici giudiziari "ordinari" Come si ricava dalla legge sull'ordinamento giudiziario, attualmente la materia della giurisdizione civile contenziosa è attribuita al giudice di pace, al tribunale, alla Corte di appello e alla Corte di cassazione Il giudice di pace (cui la legge attribuisce le cause considerate di minore importanza) è un giudice unipersonale onorario di primo grado, cioè non professionale, nominato senza selezione con concorso e non legato da un rapporto di stabile impiego con la pubblica amministrazione (detto giudice "laico") Possono essere nominati giudici "onorari" di pace soggetti laureati in giurisprudenza di età compresa fra i 27 e i 60 anni, con incarico di durata di 4 anni, rinnovabile solo per un numero limitato di volte, che dà diritto a un'indennità La nomina avviene con decreto del Ministro della Giustizia, previa delibera del CSM L'attribuzione di funzioni giurisdizionali a giudici onorari è consentita esplicitamente dall'art. 106, 2° comma, Cost. (in deroga alla regola dell'assunzione tramite concorso di merito) alla condizione che si tratti di funzioni che la legge riserva a giudici singoli (monocratici), con esclusione delle cause più "importanti" che la legge riserva ai giudici collegiali Il tribunale è giudice "togato", composto da magistrati ordinari, ossia magistrati professionali selezionati tramite concorso e legati da un rapporto di stabile servizio con la pubblica amministrazione Esso giudica normalmente in composizione monocratica e solo nei casi particolari tassativamente indicati dalla legge in composizione collegiale di 3 membri Il tribunale è giudice di primo grado ma svolge altresì le funzioni di giudice di appello rispetto alle sentenze del giudice di pace In seguito a recenti riforme, volte a fronteggiare il problema del sovraccarico di lavoro dei tribunali, anche a tali uffici possono essere addetti alcuni giudici onorari non professionali, anch'essi legati all'amministrazione solo da un rapporto temporaneo e non selezionati tramite concorso La Corte di appello è composta da giudici togati e giudica invariabilmente in composizione collegiale di 3 membri La Corte è normalmente giudice di secondo grado, anche se nei casi particolari previsti dalla legge è investita di funzioni in unico grado e decide con sentenze non appellabili e soggette solo a ricorso in cassazione Giudice di pace, tribunale e Corte di appello sono uffici distribuiti sul territorio nazionale: - Giudice di pace e tribunale hanno un ambito territoriale denominato "circoscrizione", organizzato secondo differenti dimensioni di modo che la circoscrizione di un tribunale comprende normalmente una pluralità di circoscrizioni dei giudici di pace - La Corte d'appello ha un ambito territoriale più vasto, denominato "distretto", tale da comprendere più tribunali, e solo tendenzialmente coincidente con le Regioni La Corte di cassazione è unica ed ha sede a Roma con giurisdizione su tutto il territorio dello Stato Essa svolge la funzione di supremo giudice di legittimità in posizione apicale, con il compito fondamentale di "assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge" e "l'unità del diritto oggettivo nazionale" (c.d. funzione di nomofilachia) Essa giudica in composizione collegiale di 5 membri e, nei casi di maggiore importanza previsti dalla legge, a Sezioni unite, cioè in composizione plenaria con 9 membri 7. Le sezioni degli uffici giudiziari Per ragioni organizzative gli uffici giudiziari civili sono normalmente divisi in articolazioni interne minori, dette sezioni, fra le quali sono distribuiti i vari magistrati addetti all'ufficio La distribuzione dei diversi affari, in ragione della tipologia di cause, fra le sezioni avviene in base a provvedimenti dell'organo dirigente (il Presidente dell'ufficio), anche se in applicazione di criteri prestabiliti in sede amministrativa con decreto del Ministro di Giustizia, previa delibera del CSM (c.d. criteri tabellari) Il rapporto fra le diverse sezioni dell'ufficio non va inteso in termini di competenza e il rispetto dei criteri di ripartizione, non trattandosi di un presupposto processuale, non incide in modo alcuno sulla validità della sentenza; il passaggio degli affari fra l'una e l'altra sezione, anche per rimediare ad eventuali errori, avviene con semplici ordinanze non impugnabili con cui la causa è rimessa al capo dell'ufficio ai fini dell'eventuale riassegnazione ad altra sezione Talora l'istituzione di una sezione e l'ambito delle sue attribuzioni sono previsti direttamente dalla legge Anche in tal caso non si tratta di ripartizione di competenza quanto di distribuzione delle cause fra articolazioni interne del medesimo ufficio, volta a favorire l'attribuzione delle cause a magistrati con particolare esperienza in determinate materie es. per le sezioni dedicate alla trattazione delle controversie di lavoro previste all'art. 46 della legge sull'ordinamento giudiziario (c.d. sezioni "lavoro"), e per le sezioni per "l'impresa" (impropriamente denominate "tribunali dell'impresa"), composte da magistrati dotati di "specifiche competenze" (ossia "esperti") Alle sezioni per "l'impresa" sono attribuite le cause previste dall'art. 3 del D.Lgs. n. 168/2003, fra le quali tutte le cause in materia di diritto industriale e diritto d'autore e in materia di rapporti societari, di trasferimento delle partecipazioni societarie e di patti parasociali, e oggi anche le controversie in tema di azione di classe e procedimenti collettivi (art. 840 ter, 1° comma, e 840 sexiesdecies, 3° comma, c.p.c.) In tali casi le sezioni rappresentano una sorta di "corsia preferenziale" in quanto il loro organico, oltre che esperto, è composto in modo da assicurare una più celere trattazione delle cause Diverso è il caso delle vere e proprie "sezioni specializzate" che si caratterizzano per una diversa composizione dell'organo giudicante, che è integrato dalla presenza, a fianco dei magistrati di ruolo, di semplici "cittadini esperti" delle materie da trattarsi (giudici onorari di qualificazione non giuridica) Tali organi, la cui istituzione è espressamente consentita dalla Costituzione (art. 102, 2° comma, Cost.), sono comunque giudici ordinari e non giudici speciali, ma la loro relazione con le sezioni ordinarie viene intesa in termini di vera e propria competenza, tale da incidere, in caso di errore, sulla validità della sentenza => i casi più importanti sono le sezioni specializzate "agrarie", istituite presso i tribunali e le Corti di appello, che giudicano con la partecipazione di 2 esperti in scienze agrarie, e gli organi di giustizia "minorile", costituiti dal tribunale per i minorenni (organizzato come vero e proprio ufficio autonomo) e dalle sezioni per i minorenni presso le Corti di appello, i cui collegi giudicano con la partecipazione di 2 esperti (1 uomo e 1 donna) in specifiche materie, come pedagogia e psicologia 8. La competenza per materia e valore (in senso verticale) La distribuzione delle cause fra i diversi giudici civili ordinari avviene in base a regole di competenza, che si definisce come la misura di giurisdizione spettante a ciascun ufficio Se la controversia non appartiene alla competenza che la legge attribuisce a quel determinato ufficio giudiziario, la domanda va rigettata con pronuncia di rito, salvo la possibilità di sanatoria tramite translatio iudicii La competenza per le cause in primo grado è ripartita in senso verticale fra giudice di pace e tribunale, e solo in casi specifici e particolari è attribuita alla Corte di appello, che giudica allora in primo ed unico grado In senso orizzontale la competenza è ripartita fra i diversi uffici del medesimo tipo (i diversi giudici di pace, i diversi tribunali) distribuiti sul territorio statale e ciascuno dotato di una circoscrizione La verifica della competenza deve riguardare in via logicamente prioritaria l'appartenenza della causa alla competenza verticale del giudice adito, e quindi al giudice di pace o al tribunale I criteri di distribuzione in senso verticale sono: la materia e il valore della controversia Il criterio della materia si applica solo nei casi specifici previsti dalla legge e comporta l'attribuzione di quel tipo di controversie alla competenza dell'ufficio giudiziario sulla base della natura del rapporto giuridico litigioso, indipendentemente dal valore economico Solo se non sono previste specifiche regole di competenza per materia, l'attribuzione della causa al giudice di pace o al tribunale si stabilisce semplicemente in base al criterio del valore, che ha portata residuale Il valore della causa/controversia va stabilito in base alla domanda dell'attore (art. 10, 1° comma, c.p.c.) e in base ad una valutazione economica del petitum della domanda La distribuzione di competenza fra giudice di pace e tribunale è disciplinata agli artt. 7 e 9 c.p.c. Solo per le prime è concretamente prospettabile che il foro facoltativo conduca al giudice della residenza o domicilio dello stesso attore, se, come è di norma, è lui il creditore Per la materia specifica dei contratti del "consumatore" la legislazione speciale (il codice del consumo del 2005) esclude l'applicabilità dei fori facoltativi, stabilendo la competenza esclusiva del giudice del luogo di residenza o domicilio del consumatore I più importanti fori esclusivi riguardano le cause in materia di diritti reali su beni immobili, locazione e comodato di immobili e affitto di aziende, per le quali è competente solo il giudice del luogo ove si trova l'immobile o l'azienda (art. 21 c.p.c.), per le cause ereditarie (art. 22 c.p.c.), per le quali è competente il giudice del luogo dell'aperta successione, dato dall'ultimo domicilio del defunto, per le controversie in materia di lavoro, per le quali l'art. 413 c.p.c. detta specifici criteri speciali e solo se essi non siano concretamente applicabili è possibile fare ricorso, in via sussidiaria, ai fori generali degli artt. 18 e 19 La competenza per territorio è caratterizzata dal poter essere derogata pattiziamente dalle parti, che, con accordo ad hoc oppure con clausola inserita in un contratto, scelgano di attribuire la competenza ad un giudice diverso da quello previsto dalla legge (art. 28 c.p.c.) => competenza per territorio semplice Art. 29 c.p.c.: l'accordo deve risultare da atto scritto e riferirsi ad "affari determinati", e comunque non vale ad attribuire competenza esclusiva al giudice prescelto se non sia espressamente previsto Ulteriori requisiti formali sono necessari in applicazione della disciplina del codice civile sulle condizioni generali di contratto e sui contratti conclusi su moduli o formulari poiché la clausola derogatoria della competenza è fra quelle considerate "vessatorie", per cui occorre una specifica e separata approvazione per iscritto Derogabili sono tutti i criteri attributivi della competenza territoriale, compresi i fori speciali esclusivi Fanno eccezione solo i casi particolari di competenza per territorio funzionale (contrapposti ai casi ordinari, detti di competenza per territorio semplice), cui fa riferimento in generale l'art. 28 c.p.c. => in tali casi il foro è stabilito dalla legge in ragione di preminenti interessi pubblicistici, come tali non disponibili su accordo delle parti Si tratta di casi di solito previsti espressamente dalla legge, come sono quelli delle cause in cui è parte una pubblica amministrazione (art. 25 c.p.c.), per le quali è inderogabilmente competente il giudice del luogo ove ha sede l'ufficio dell'avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le regole ordinarie (c.d. foro erariale); delle cause, indicate all'art. 70 c.p.c., in cui è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero (es. cause in materia di stato e capacità delle persone); e delle cause per cui l'inderogabilità è prevista specificamente dalla legge es. in materia di lavoro, per le quali la nullità delle clausole derogative della competenza per territorio è espressamente stabilita dall'ult. comma dell'art. 413 La distinzione fra competenza per territorio semplice e funzionale ha importanti ricadute sulle regole relative alle modalità e agli effetti dell'accertamento dell'incompetenza 10. L'accertamento della competenza (art. 38) Trattandosi di ripartizione della potestà di giudicare tra diversi uffici comunque appartenenti al medesimo ordine giurisdizionale, l'incompetenza, pur dovendo impedire la decisione di merito, rappresenta un vizio di gravità attenuata e il legislatore detta regole intese ad assicurare che la relativa questione possa essere sollevata solo all'inizio della causa o sia altrimenti definitivamente preclusa Esse impongono precisi limiti temporali alla possibilità di eccepire l'incompetenza o di rilevarla d'ufficio da parte del giudice I limiti sono diversi in ragione di una gerarchia di importanza fra i diversi criteri di competenza Per la competenza per territorio semplice (cioè, non funzionale ed inderogabile nel senso inteso dall'art. 28) è del tutto escluso il rilievo d'ufficio da parte del giudice e solo il convenuto può eccepire l'incompetenza (art. 38, 1° comma, 1° parte, c.p.c.) L'eccezione del convenuto va sollevata all'esordio della causa, vale a dire a pena di decadenza al momento della tempestiva costituzione in giudizio con il deposito della comparsa di risposta 20 giorni prima della prima udienza di trattazione L'eccezione non può essere fondata sulla sola contestazione negativa della competenza territoriale del giudice adito (art. 38, 1° comma, 2° parte), ma deve contenere anche l'indicazione del giudice che si ritiene competente, onerandosi così il convenuto di indicare es. il luogo ove si trova la sua residenza o il suo domicilio ai fini dell'art. 18 o il luogo ove ritiene che il contratto sia stato concluso ai fini dell'art. 20 => tale indicazione vale non solo a semplificare la verifica del giudice, ma anche ad assecondare la soluzione della questione mediante un accordo endoprocessuale fra le parti, che risparmi al giudice di pronunciarsi al riguardo Secondo il 2° comma dell'art. 38, l'attore può aderire all'indicazione del convenuto e in tal caso la causa viene semplicemente cancellata dal ruolo con ordinanza fondata sullo stesso accordo raggiunto fra le parti, che resta fermo se essa è poi riassunta entro 3 mesi avanti al giudice concordemente individuato Regime che è il riflesso della derogabilità per via di accordo negoziale della competenza per territorio semplice, come prevista nell'art. 28 c.p.c., sebbene l'accordo "endoprocessuale" abbia effetto solo se ad esso fa seguito, entro il detto termine perentorio, la riassunzione avanti al giudice indicato L'adesione dell'attore all'indicazione del convenuto può rispondere all'interesse ad evitare comunque la condanna alle spese, che sarebbe inevitabile se il giudice dovesse pronunciare l'incompetenza accogliendo l'eccezione del convenuto Nel caso di incompetenza per materia, per valore e per territorio funzionale, la questione non può mai essere definita mediante accordo endoprocessuale e va comunque decisa dal giudice=> anche in questi casi, la questione deve essere sollevata all'inizio del processo Come previsto dal 1° e 3° comma dell'art. 38, il convenuto deve eccepire il difetto di competenza al momento della tempestiva costituzione in giudizio 20 giorni prima della prima udienza di trattazione; in mancanza, l'incompetenza è sì rilevabile d'ufficio dal giudice ma comunque non oltre lo svolgimento della prima udienza di trattazione Superata questa fase del processo, se la questione di competenza non è stata sollevata, essa è definitivamente preclusa e la competenza del giudice adito non può più essere messa in discussione L'accertamento della competenza da parte del giudice adito deve precedere in senso logico la decisione del merito della causa e dovrebbe poter essere compiuto dal giudice semplicemente sulla base di ciò che risulta dalla domanda dell'attore e senza necessità di dar luogo ad atti di istruzione anche se la questione dipende da fatti incerti e controversi A questa regola non ci si può sempre attenere se non a costo di ammettere che l'attore possa praticamente scegliersi il giudice competente sol compiendo affermazioni conformi al criterio legale es. affermando che la residenza del convenuto è in un luogo compreso nella circoscrizione del giudice adito o che ivi è stato concluso il contratto A tal fine è fondamentale la distinzione fra criteri estrinseci ed intrinseci di competenza I primi corrispondono a criteri che sono fondati su fatti del tutto estranei alle questioni rilevanti per il merito e che importano solo per stabilire la competenza: la residenza del convenuto non ha normalmente rilievo per la decisione della causa nel merito, importa solo stabilire per se essa è stata instaurata avanti al giudice territorialmente competente; allo stesso modo il fatto che il contratto è stato stipulato in un certo luogo è estrinseco perché di norma rileva soltanto per fare applicazione del criterio di competenza dell'art. 20 I criteri intrinseci sono fondati su elementi che rilevano sia per stabilire la competenza sia per il contenuto della decisione nel merito es. se l'attore chiede il risarcimento dei danni da illecito extracontrattuale e determina la somma dovuta in un importo superiore ad Euro 5.000,00, l'entità della somma dovuta rileva per stabilire se la causa appartiene alla competenza del giudice di pace o del tribunale, ma rileverà poi anche per la misura della condanna in sede di decisione di merito; lo stesso vale se l'attore aziona pretese fondandole sull'esistenza di un contratto di lavoro subordinato, la cui esistenza può rilevare sia per radicare la competenza per materia del tribunale, sia per giudicare della fondatezza nel merito della sua domanda Nel caso di criteri intrinseci la competenza può essere accertata sulla base delle sole affermazioni dell'attore (l'indicazione della somma dovuta in un importo superiore ad Euro 5.000,00 basta di per sé a radicare la competenza del tribunale)=> ciò perché, se le affermazioni fossero compiute dall'attore strumentalmente al solo fine di radicare la competenza dell'ufficio giudiziario adito, egli ne pagherebbe comunque le conseguenze sul piano della soccombenza nel merito e della almeno parziale responsabilità per le spese processuali (l'artificiosa determinazione della somma dovuta in un importo superiore ad Euro 5.000,00 espone l'attore ad un parziale rigetto della domanda e così ad una condanna parziale al rimborso delle spese processuali del convenuto) Il che basta a considerare trascurabile il rischio che l'attore compia affermazioni strumentali al solo fine di "scegliersi" liberamente il giudice competente Nel caso di criteri estrinseci la determinazione della competenza non può essere rimessa alle sole affermazioni dell'attore, che non rischia nulla sul piano della soccombenza nel merito e ben potrebbe compiere affermazioni artificiose solo al fine di radicare la competenza=> in tali casi, se vi sono contestazioni, occorre procedere alla verifica degli elementi che fondano la competenza es. del luogo in cui il convenuto ha la residenza o del luogo in cui è sorto il contratto o, ancora, del valore del bene di cui si pretende la restituzione Anche in questi casi, il legislatore considera opportuno che la decisione avvenga secondo modalità semplificate, e prevede che l'accertamento avvenga sulla base di ciò che "risulta dagli atti" (e dai documenti acquisiti) e solo se indispensabile svolgendo un'istruttoria rudimentale, data dalla raccolta di mere "sommarie informazioni" (art. 38, 4° comma) 11. La decisione sulla competenza e il regolamento di competenza In seguito alla riforma dovuta alla L. n. 69/2009, la pronuncia sulla competenza viene resa in forma semplificata di ordinanza, anziché con sentenza, nel caso in cui il giudice decida la sola questione della competenza (art. 279, 1° comma, c.p.c.) All'opposto se la pronuncia definisce anche altre questioni, di rito o di merito, o decide integralmente la causa (come è possibile se il giudice dichiara la propria competenza e procede con il medesimo provvedimento a decidere altre questioni o il merito della causa), è necessaria la decisione con provvedimento avente veste formale di sentenza L'adozione della forma dell'ordinanza non incide sulla natura del provvedimento che, pronunciandosi su un presupposto processuale, va considerato comunque provvedimento decisorio soggetto alle impugnazioni La possibilità di decidere con la forma dell'ordinanza vale solo a consentire al giudice di seguire un iter decisorio di maggiore semplificazione, non essendo necessario, come avviene per la sentenza, che la decisione sia preceduta da una specifica fase di trattazione scritta con scambio delle memorie conclusionali L'ipotesi che il giudice si trovi a decidere della sola questione di competenza, e possa così fare uso della forma dell'ordinanza, è anzitutto quella in cui egli si dichiari incompetente, non potendo così decidere di alcuna altra questione; ma può essere anche il caso in cui il giudice abbia immediatamente ed anticipatamente rimesso in decisione la questione e si dichiari competente, disponendo per l'ulteriore prosecuzione del giudizio Le decisioni sulla competenza sono soggette a un regime particolare, con cui il legislatore ha inteso evitare che la questione possa trascinarsi nei vari gradi del processo, lasciando troppo a lungo incerto quale sia il giudice competente a pronunciare sul merito della causa Sebbene la questione di competenza possa essere sollevata, solo nella fase iniziale del processo, se essa è sollevata nei termini previsti dall'art. 38 c.p.c., nulla esclude che la disputa al riguardo possa proseguire nelle fasi di impugnazione e anche molto tempo dopo possa essere contraddetta la decisione del giudice di primo grado Seguendo l'iter normale delle impugnazioni, la decisione di primo grado, sia essa affermativa o declinatoria della competenza, sarebbe impugnabile in appello e la decisione di appello sulla competenza a sua volta sarebbe impugnabile in cassazione=> ciò significa che, se vi è stata declinatoria della competenza, il processo ben potrebbe proseguire nei gradi successivi al solo fine di vedere individuato l'ufficio giudiziario cui spetta la potestas iudicandi, e anche che, se il giudice ha affermato la propria competenza e deciso nel merito, il processo debba essere dichiarato invalido e ripreso da capo avanti ad altro ufficio giudiziario pronunciarsi, comunque con effetti vincolanti erga omnes, sulla competenza, potendo es. statuire la competenza del primo giudice che aveva emesso la pronuncia declinatoria => in tal caso il processo dovrà essere riassunto avanti al primo giudice e non sarà possibile alcuna ulteriore contestazione Il descritto meccanismo è teso ad evitare il concretizzarsi di molteplici declinatorie di competenza da parte dei giudici di merito, ma si applica solo con alcuni adattamenti quando vengono in considerazione criteri di competenza ritenuti particolarmente importanti dalla legge Art. 45 c.p.c., se il giudice avanti al quale il processo è riassunto ritenga di essere incompetente per ragioni di materia o per territorio funzionale (criteri attributivi considerati di maggiore importanza), non può comunque pronunciarsi e declinare la competenza (regolamento di competenza d’ufficio) Egli non è vincolato in modo assoluto dalla prima pronuncia poiché può d'ufficio richiedere il regolamento di competenza, rimettendo con ordinanza gli atti alla Corte di cassazione affinché definisca la questione Tramite l'onere della proposizione del regolamento d'ufficio la legge evita comunque che possa concretizzarsi un conflitto negativo di competenza (inteso come conflitto "reale", vale a dire come duplici declinatorie di competenza da parte di giudici diversi) ed impone che, al suo manifestarsi in forma "virtuale", della questione sia investito l'organo, la Corte di cassazione, legittimato a statuire sulla competenza con effetti vincolanti per tutti i giudici dell'ordinamento La prima dichiarazione di incompetenza è fonte di un vincolo assoluto quando si tratta di incompetenza per valore o territorio semplice e di un vincolo relativo quando si tratta di incompetenza per materia o territorio funzionale Entrambi i vantaggi insiti nella translatio iudicii (continuazione del processo avanti al nuovo giudice e suo vincolo assoluto o relativo alla pronuncia del primo giudice) presuppongono che il processo sia effettivamente riassunto entro i termini di legge Se la riassunzione non avviene tempestivamente, il processo si estingue (art. 50, 2° comma) e non solo esso dovrà essere iniziato ex novo, con perdita degli effetti processuali e sostanziali della domanda originaria, ma la prima pronuncia sulla competenza perde ogni effetto Il giudice avanti al quale l'azione sia nuovamente esercitata può pronunciarsi del tutto liberamente sulla competenza e così, se pure sia il medesimo giudice-ufficio che aveva emesso la declinatoria di competenza, potrà viceversa ritenersi competente oppure, se sia il giudice-ufficio che era stato indicato come competente, potrà dichiararsi incompetente senza alcun onere di richiedere il regolamento d'ufficio alla Corte di cassazione Al possibile contrasto di pronunce sulla competenza la legge non dà alcun rimedio, poiché la parte aveva lo strumento (la tempestiva translatio iudicii) per evitarlo ed è sua responsabilità non averlo utilizzato 13. La pronuncia sulla giurisdizione e il regolamento (preventivo) di giurisdizione La decisione sulla questione di giurisdizione avviene sempre con sentenza, impugnabile secondo la trafila consueta delle impugnazioni Anche per la giurisdizione spetta alla Corte di cassazione la funzione di organo "regolatore" supremo, che si pronuncia "statuendo" al riguardo con effetti vincolanti per tutti i giudici dell'ordinamento e definitivamente impedendo ogni nuova contestazione (art. 382, 1° comma, c.p.c.) L'importanza delle questioni di giurisdizione è riflessa nella regola secondo cui la Suprema Corte si pronuncia di regola a Sezioni Unite, cioè in composizione plenaria con 9 componenti (art. 374, 1° co., c.p.c.) L'esigenza di approdare rapidamente al giudizio regolatore della Suprema Corte è assicurata, ma tramite un mezzo - il regolamento di giurisdizione - di natura molto diversa rispetto al regolamento di competenza A differenza di quest'ultimo, il regolamento di giurisdizione non è un mezzo di impugnazione della pronuncia del giudice di primo grado e è un mezzo da proporsi prima che egli si pronunci sulla giurisdizione in modo da rimettere immediatamente la decisione al riguardo alla Corte Suprema (che, come avviene per il regolamento di competenza, si pronuncia con ordinanza in camera di consiglio) Questo spiega perché si parli di regolamento preventivo di giurisdizione e perché esso sia proponibile indifferentemente dall'una o dall'altra parte del processo entro un termine di preclusione dato dal fatto che la causa sia stata decisa nel merito (art. 41, 1° comma, c.p.c.) Poiché la questione può non essere stata ancora decisa dal giudice adito, non vi è ancora una parte che possa dirsi soccombente sulla questione e la legittimazione a proporre il regolamento spetta al convenuto non meno che all'attore, che può avere interesse, una volta insorta la questione, che su di essa si pronunci direttamente la Corte di cassazione Per quanto riguarda il termine finale per la proposizione del regolamento, esso è dato dal fatto che "la causa sia stata decisa nel merito in primo grado" Il regolamento dovrebbe considerarsi precluso solo dopo l'emanazione di una sentenza, definitiva o non definitiva, avente ad oggetto il rapporto sostanziale controverso Tuttavia, secondo un'interpretazione più severa, si ritiene oggi che l'emanazione di qualsivoglia sentenza (sia essa sul merito o su un presupposto processuale o sulla stessa questione di giurisdizione) da parte del giudice di primo grado impedisca definitivamente la proposizione del regolamento => la giustificazione di tale restrittiva lettura è tratta dal fatto che la parte ha in tal caso dato mostra di voler attendere l'esito, per quanto parziale, del giudizio di primo grado e di aver trascurato l'esigenza di un'immediata investitura della Suprema Corte, che le è definitivamente preclusa La questione di giurisdizione sarà decisa (o lo è già stata) dal giudice di primo grado con sentenza che sarà soggetta ad appello e solo in seguito a ricorso per cassazione ordinario, proposto avverso la sentenza di appello, sarà possibile accedere al giudizio della Suprema Corte L'originaria funzione del regolamento di impedire l'esercizio dei poteri decisori di merito da parte del giudice di primo grado la cui giurisdizione sia contestata è stata fortemente attenuata con la riforma, nel 1990, dell'art. 367, 1° comma, c.p.c.: la norma prevede che il processo di primo grado riguardo al quale è proposto il regolamento di giurisdizione non debba necessariamente essere sospeso in attesa della pronuncia della Suprema Corte, ma possa solo esserlo se lo stesso giudice di primo grado, esaminato il ricorso, ritenga, con valutazione discrezionale, che esso non sia manifestamente destinato ad essere rigettato, e in caso diverso possa proseguire il processo In tal caso, nelle more del procedimento di regolamento avanti la Suprema Corte, il giudice di primo grado, pur non potendo pronunciarsi sulla giurisdizione (che è questione rimessa in via esclusiva alla Corte), potrebbe pervenire a una decisione sul merito della causa La soluzione del problema creato dall'eventualità che poi la Corte neghi la giurisdizione di tale giudice viene trovata in via interpretativa, ritenendo che la sentenza di merito resti caducata, anche se eventualmente già passata in giudicato, dalla sentenza della Cassazione Il regolamento di giurisdizione è proponibile, in considerazione della portata letterale del rinvio che l'art. 41, 1° comma, fa all'art. 37 c.p.c., nei casi di questioni di giurisdizione relative ai rapporti fra giudici ordinari e giudici speciali o fra i giudici ordinari e la Pubblica Amministrazione In seguito ad un intervento della L. n. 218/1995, non sono più letteralmente comprese le questioni relative ai limiti della giurisdizione internazionale=> la giurisprudenza successiva ha mostrato di considerare tuttora esperibile il regolamento di giurisdizione anche per tali questioni, anche se solo con limiti particolari es. escludendolo se la parte interessata a contestare la giurisdizione italiana sia residente o domiciliata in Italia (e solo intenda richiamarsi a un diverso criterio di giurisdizione speciale ed esclusivo operante in favore di un giudice straniero) e riservandolo alla parte che non sia residente né domiciliata in Italia 14. La translatio iudicii fra giudici ordinari e giudici speciali (art. 59, L. n. 69/2009) Sino ad anni recenti non vi era uno strumento che consentisse di sanare le conseguenze della pronuncia di rigetto della domanda per accertata assenza di giurisdizione A fronte di tale pronuncia, quale che fosse il grado in cui era emessa, l'attore doveva iniziare ex novo la causa avanti al giudice dotato di giurisdizione, senza neppur poter evitare (se nell'ambito del primo processo non si era pronunciata la stessa Suprema Corte) che tale giudice ritenesse a sua volta di essere privo di giurisdizione, realizzando così un "conflitto negativo reale" di giurisdizione L'impossibilità di raccordo, dovuta ad una supposta reciproca "impermeabilità" dei diversi ordini di giurisdizione, è apparsa via via ingiustificata e contraria al valore costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale A tale irrazionale situazione si è posto rimedio, per le questioni di riparto di giurisdizione fra giudice civile ordinario e giudici speciali, con la L. n. 69/2009 Oggi, secondo il suo art. 59, in caso di pronuncia declinatoria della giurisdizione, si applica un meccanismo analogo alla translatio iudicii operante nei rapporti di competenza fra i diversi giudici civili => translatio iudicii fra giudici ordinari e giudici speciali La norma, al 1° comma, obbliga il giudice, sia esso un giudice ordinario o speciale, che dichiari il proprio difetto di giurisdizione ad indicare sempre positivamente "il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione" (così il giudice civile dovrà precisare se ritiene che la causa spetti al giudice amministrativo o alle commissioni tributarie o alla Corte dei conti) Come previsto nel 2° comma, entro il termine di 3 mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia, la domanda può essere semplicemente "riproposta" al giudice indicato come dotato di giurisdizione Nonostante una certa ambiguità del termine "riproposta", che non si tratta di inizio di un nuovo processo, ma di prosecuzione di quello definito con la prima pronuncia declinatoria, che semplicemente continua avanti al nuovo giudice (simile a quanto previsto, per i rapporti di competenza, dall'art. 50 c.p.c.) => ne è conferma il fatto che la norma espressamente precisi che "sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall'instaurazione del primo giudizio": si conferma che la traslazione determina una sanatoria retroattiva del vizio di modo che la litispendenza va comunque datata, anche per il prodursi degli effetti sostanziali e processuali della domanda, sin dal momento dell'instaurazione del giudizio avanti al giudice dichiaratosi privo di giurisdizione Si è introdotto un regime idoneo ad impedire il realizzarsi di un conflitto negativo reale di giurisdizione => regime che è incentrato sull'operatività per il secondo giudice di un vincolo relativo alla indicazione contenuta nella prima pronuncia declinatoria dell'altro giudice, simile a quello insito, per i casi di incompetenza per materia e territorio funzionale, nella disciplina del regolamento di competenza d'ufficio Come prevede il 3° comma, il giudice avanti al quale il processo è riassunto, se ritiene di essere in realtà privo di giurisdizione, non può a sua volta decidere e respingere la domanda, ma deve investire della questione la Corte di cassazione con istanza di regolamento di giurisdizione d'ufficio, sulla quale la Corte si pronuncerà stabilendo in via definitivamente vincolante quale sia il giudice dotato di giurisdizione I vantaggi propri della translatio iudicii non si producono se la causa non è riassunta nei termini di legge Come previsto nel 4° comma, il processo si estingue e la domanda potrà solo essere proposta ex novo, senza possibilità di conservazione degli effetti prodottisi nel primo processo e sulla giurisdizione il giudice adito si pronuncerà del tutto liberamente 15. Il momento determinante ai fini della giurisdizione e della competenza Nel processo rilevano anche tutti gli eventi che si verificano dopo il suo inizio, quali possono essere i nuovi fatti o il mutamento delle norme giuridiche applicabili Se tali eventi incidono sulla giurisdizione e sulla competenza il giudice, in origine munito di giurisdizione e di competenza, dovrebbe rigettare la domanda in rito per sopravvenuto venir meno di un presupposto processuale => questo risultato, considerato dalla legge eccessivamente punitivo per l'attore, che in origine ha identificato correttamente il giudice investito della potestà decisoria, è evitato dal principio della c.d. perpetuatio iurisdictionis et competentiae Art. 5 c.p.c.: "la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo" compiere validamente gli atti processuali "se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità" A seconda della gravità del limite operante il soggetto può stare in giudizio solo per il tramite di un rappresentante legale che lo sostituisce integralmente nel compimento degli atti processuali (il curatore del fallimento, i genitori esercenti la potestà genitoriale sul minore, il tutore per il soggetto interdetto), oppure solo con l'assistenza di un curatore con cui vanno compiute congiuntamente le attività processuali (così per il curatore dell'inabilitato o del minore emancipato) Altresì il valido compimento delle attività processuali esige talvolta che il rappresentante legale o il curatore siano previamente autorizzati, di norma da un giudice, all'esercizio dell'azione o alla costituzione in giudizio e in tal caso la mancanza di autorizzazione incide comunque sulla capacità processuale (es. genitore o tutore che per promuovere determinate cause devono essere previamente autorizzati) Diverso dal fenomeno della rappresentanza/assistenza delle persone fisiche incapaci è quello della rappresentanza organica degli enti, che necessariamente devono agire per mezzo di altri soggetti che compiano in loro nome gli atti del processo e che sono in via istituzionale titolari di una carica organica Tutti gli enti "stanno in giudizio per mezzo di chi li rappresenta a norma della legge o dello statuto" (art. 75, 3° comma) es. l'amministratore unico o il presidente del consiglio di amministrazione o l'amministratore delegato delle società o il presidente di un'associazione non riconosciuta o di un comitato Anche per gli enti può essere necessaria, per legge o per previsione del loro statuto, una specifica autorizzazione preventiva del rappresentante, rimessa per lo più a un organo collegiale dell'ente (come sovente accade per gli enti pubblici); in tali casi l'autorizzazione assume natura di requisito integrativo della validità degli atti compiuti dal rappresentante organico Il fenomeno della rappresentanza non va confuso con la sostituzione processuale: diversamente dal sostituto processuale, che agisce in nome proprio e assume la qualità di parte (in senso processuale) del giudizio, il rappresentante, sia esso legale stricto sensu od organico, agisce in nome e per conto altrui e non assume in alcun modo la qualità di parte, che spetta esclusivamente al soggetto rappresentato Il rappresentante è come tale il formale legittimato al compimento degli atti processuali, ma non è destinatario dei loro effetti, né dei provvedimenti emessi dal giudice=> se ne ha conferma nel fatto che, in caso di soccombenza, la condanna alle spese processuali è emessa nei confronti della parte rappresentata (nei cui confronti, a seconda dei casi, il rappresentante potrà poi rispondere per mala gestio) e solo eccezionalmente, per "gravi motivi", il rappresentante o il curatore possono essere condannati, in solido con la parte rappresentata o assistita, alle spese del processo o di singoli atti (art. 94 c.p.c.) 2. La rappresentanza volontaria delle parti La legge ammette solo restrittivamente che la rappresentanza in giudizio sia frutto di una scelta volontaria della parte, espressa tramite il conferimento di un'apposita procura al terzo da cui vuole essere rappresentata Può trattarsi della persona fisica dotata di piena capacità ad agire che intenda delegare il compimento degli atti processuali ad altro soggetto per ragioni di comodità; o del rappresentante legale organico di un ente che preferisca non compiere in proprio tali atti e rimetterli a un terzo suo procuratore (come è sovente per gli enti di notevoli dimensioni che hanno necessità di coltivare un numero elevatissimo di cause, di cui non potrebbe personalmente occuparsi il rappresentante organico): anche in tal caso, poiché il compimento degli atti processuali è rimesso a chi non ha la rappresentanza organica dell'ente, si parla di rappresentanza volontaria La presenza di un rappresentante processuale pone problemi particolari e delicati, poiché non solo occorre comunque sottoporre a verifica l'esistenza dei poteri rappresentativi, ma anche la loro estensione, essendovi atti processuali (come la confessione o la conciliazione) che presuppongono la capacità di disporre dei diritti e degli obblighi sostanziali controversi e che non potrebbero essere compiuti da chi abbia solo poteri di rappresentanza processuale Per limitare tali inconvenienti la legge non vieta in assoluto la rappresentanza volontaria ma la assoggetta a presupposti rigorosi Art. 77, 1° comma, c.p.c.: l'essere rappresentante della parte sul piano sostanziale non basta ad estendere la rappresentanza ai poteri processuali, occorrendo che la rappresentanza processuale sia stata conferita "espressamente per iscritto" La rappresentanza processuale può essere conferita solo a un soggetto che abbia anche la rappresentanza sostanziale del rapporto giuridico litigioso=> si ricava in via interpretativa dal 1° comma dell'art. 77, ove menziona, come possibili rappresentanti processuali della parte, il suo "procuratore generale" e il procuratore "preposto a determinati affari": l'uno e l'altro, in quanto "preposti" agli affari o a specifici affari della parte, sono soggetti dotati di pieni poteri di rappresentanza sostanziale del rapporto litigioso La necessità che vi sia congiunto conferimento sia della rappresentanza processuale sia sostanziale evita gli inconvenienti di cui si è detto sopra poiché, essendo investito anche della rappresentanza sostanziale, il delegato è nella condizione di compiere anche gli atti processuali che presuppongono la capacità di disporre del diritto controverso 3. La rappresentanza tecnica Non molti sono gli atti del processo che possono essere compiuti direttamente dalla parte Oltre alla sottoscrizione della procura al difensore tecnico, necessaria in sede di costituzione in giudizio, si tratta dei singoli, pochi atti che le norme del c.p.c. per espressa riserva vogliono siano compiuti personalmente dalla parte (es. la rinuncia agli atti del giudizio e la sua accettazione ex art. 306, 2° comma, c.p.c. o la proposizione della querela di falso ex art. 221, 2° comma, c.p.c.) Art. 84, 1° comma, c.p.c.: quando la parte sta in giudizio col ministero del difensore, "questi può compiere e ricevere, nell'interesse della parte stessa, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati” => quando il codice si riferisce alla "parte" senza altro specificare il riferimento va inteso fatto al suo difensore Poiché la necessità della rappresentanza da parte di un difensore tecnico è regola praticamente generale, di fatto assai limitate sono le attività processuali che vengono compiute personalmente dalla parte (per tale intendendosi anche il suo rappresentante non tecnico) Per i giudizi avanti al tribunale, alla Corte di appello e alla Corte di cassazione la parte che intenda partecipare attivamente al giudizio deve necessariamente designare un "procuratore legalmente esercente" (art. 82, 3° comma, c.p.c.), vale a dire un professionista iscritto all'Albo degli avvocati (ed iscritto, per i giudizi avanti la Corte di cassazione, in un apposito albo speciale degli avvocati "cassazionisti")=> onere del "patrocinio tecnico", giustificato dall'esigenza che il compimento degli atti processuali sia posto in essere da un soggetto dotato di preparazione giuridica professionale, capace di meglio interloquire in senso tecnico con il giudice => rappresentanza tecnica Poche sono le eccezioni a tale regola: -L'una è quella dell'ammissione a difendersi personalmente per la parte che abbia la qualità di procuratore legalmente esercente presso l'ufficio giudiziario adito, ossia sia essa stessa un avvocato (art. 86 c.p.c.) -L'altra riguarda i giudizi avanti il giudice di pace, nei quali la difesa personale è ammessa per le cause di valore molto contenuto (non superiore ad Euro 1.100,00: art. 82, 1° comma) oppure nei casi in cui la parte sia a ciò autorizzata con provvedimento specifico dello stesso giudice di pace sulla base di una valutazione della "natura ed entità della causa" (ossia, la natura non complessa delle questioni implicate nella lite e il non eccessivo rischio economico che essa comporta: art. 82, 2° comma)=> art. 317, 1° comma, c.p.c.: avanti al giudice di pace il ruolo di difensore può essere assunto anche da un soggetto non tecnicamente qualificato, ossia non iscritto all'albo degli avvocati Il rapporto fra la parte e il difensore ha natura di mandato con rappresentanza e l'investitura del difensore trova fonte in un'apposita procura, da sottoscriversi personalmente dalla parte o dal suo rappresentante processuale, detta "procura alle liti" La caratteristica della procura "alle liti" risiede nel fatto che l'ampiezza e il contenuto dei poteri delegati non sono determinati dalla parte che la rilascia, ma hanno un contenuto minimo cogentemente predeterminato dalla legge, che li estende al compimento e alla ricezione di "tutti gli atti del processo", salvo solo quelli espressamente riservati alla parte da singole norme In seguito alla costituzione in giudizio, il difensore è anche legittimato a ricevere, nel suo domicilio, tutte le notificazioni e comunicazioni dirette alla parte, salvo solo diversa previsione di legge (art. 170 c.p.c.) Posto tale nucleo minimo e cogente di poteri spettanti al difensore in virtù della legge, la parte è naturalmente libera di attribuirne di ulteriori es. delegando anche il compimento di atti dispositivi negoziali (come la stipula di una transazione o conciliazione) o comunque di atti processuali che sono ad essa espressamente riservati (non compresi nel contenuto minimo legale della procura: art. 84, 2° comma) Peculiare è la regola della c.d. ultrattività della procura, alla cui stregua la revoca (della parte) e la rinuncia (del difensore) non hanno effetto nei confronti dell'altra parte (e dell'ufficio) sinché il difensore non sia stato sostituito (art. 85 c.p.c.) La procura alle liti si definisce • speciale se è rilasciata per uno specifico processo • generale se è estesa a tutte le possibili liti attive e passive della parte che la rilascia Per esigenze di certezza, essa dovrebbe essere sempre rilasciata con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata a cura di un pubblico ufficiale, normalmente un notaio È prassi generalizzata avvalersi della possibilità, prevista per la procura speciale al 3° comma dell'art. 83, che l'autenticità della sottoscrizione della parte sia certificata dallo stesso difensore se essa è apposta direttamente sull'atto (in calce o a margine del medesimo) con cui la parte fa il suo ingresso nel processo (l'atto di citazione per l'attore, la comparsa di risposta per il convenuto, la comparsa di intervento per il terzo interveniente, ecc.), evitandosi la necessità di ricorso al pubblico ufficiale 4. La sanatoria dei vizi attinenti alla capacità e alla rappresentanza delle parti La capacità della parte, intesa in entrambi i sensi visti e anche come validità della sua rappresentanza legale, organica o volontaria, è un presupposto processuale ed i vizi ad essa attinenti determinano in linea di principio la necessità di una pronuncia di rigetto in rito della domanda Tale esito è inevitabile se il vizio attiene alla capacità statica di essere "parte", ossia se la domanda è stata proposta da o nei confronti di un'entità del tutto priva di soggettività giuridica All'opposto, se non è questione di capacità statica ma di capacità processuale del soggetto che ha assunto la qualità di parte, anche sotto il profilo della validità della sua rappresentanza, il vizio è sanabile e, se concretamente viene sanato, il processo può pervenire alla pronuncia di merito Art. 182, 2° comma, c.p.c.: "quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione" il giudice assegna un termine perentorio per "la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza" o "per il rilascio delle necessarie autorizzazioni" e se il termine è rispettato il vizio è sanato La formula della norma in sé allude ai casi in cui il vizio di "rappresentanza/assistenza" o di "autorizzazione" sia dovuto alla domanda introduttiva del giudizio e rappresenti carenza di un presupposto processuale=> tali sono i casi in cui l'attore abbia agito senza la intermediazione del proprio legale rappresentante, come può essere se si tratta di soggetto minore di età o interdetto che abbia rilasciato in proprio la procura al difensore e senza farsi rappresentare dal genitore o dal tutore (e parimenti se siano proprio il genitore o il tutore ad aver rilasciato la procura ma senza essersi previamente muniti dell'autorizzazione necessaria per legge nei singoli casi) oppure se l'ente giuridico attore abbia agito con la rappresentanza di un soggetto diverso da quello cui spetta rappresentanza organica Si può trattare anche dei casi in cui l'attore abbia proposto la domanda per il tramite di un diverso soggetto in mancanza dei requisiti richiesti dall'art. 77 c.p.c. per l'assunzione della qualità di rappresentante volontaria Quando i vizi di capacità riguardano il convenuto non sempre essi sono davvero imputabili alla domanda dell'attore e non sempre corrispondono al difetto di un presupposto processuale La regola è attenuata solo in caso di pendenza delle due cause avanti al medesimo ufficio giudiziario (si tratti dello stesso o di diversi giudici dell'ufficio): in questo caso specifico la legge, all'art. 273 c.p.c., consente che esse siano riunite in unico processo 2. L'eccezione di precedente giudicato Anche l'esistenza di un precedente giudicato opera come presupposto processuale negativo, che impedisce la decisione nel merito, se vi è piena identità di oggetto della causa rispetto a quello della sentenza passata in giudicato, ed impone che la domanda sia rigettata in rito (con pronuncia da rendersi con sentenza impugnabile nei modi ordinari) Opera qui l'effetto negativo del giudicato inteso come effetto che esclude una nuova decisione sul merito della causa identica a quella a già decisa e non semplicemente che esclude una decisione di merito difforme L'eccezione di giudicato (ne bis in idem) è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo Se anche risulti solo nel giudizio di appello o di cassazione che vi è (o è sopravvenuta) una pronuncia passata in giudicato sul merito della medesima causa, il processo va chiuso e la domanda rigettata in rito L'operatività del ne bis in idem vale anche se il giudicato risulti formato in un processo che era iniziato per secondo e che avrebbe dovuto chiudersi con declaratoria di litispendenza, poiché il mancato rilievo o l'erroneo rigetto dell'eccezione di litispendenza è vizio, che diviene irrilevante volta che la decisione sia passata in giudicato Anche per l'operatività dell'eccezione di giudicato, occorre che vi sia una relazione di identità fra l'oggetto del processo pendente e quello del processo definito dal giudicato La condizione di identità è verificata applicando i criteri di identificazione della domanda giudiziale Se non vi è identità delle cause, ed esse risultano soltanto connesse, il primo giudicato non impedisce la decisione di merito e non si ha carenza di un presupposto processuale Se la connessione è per pregiudizialità-dipendenza, il primo giudicato potrà solo manifestare efficacia positiva e la causa dipendente sarà decisa nel merito conformandosi, per quanto riguarda la situazione pregiudiziale, a quanto si è già accertato nel primo processo 3. L'eccezione di compromissione in arbitri o di arbitrato Nelle controversie relative a diritti disponibili (salve le espresse esclusioni di legge) alle parti è data la possibilità di accordarsi affinché esse siano decise da giudici privati (detti "arbitri") anziché dai giudici statali La convenzione di arbitrato può assumere le vesti di un accordo ad hoc riferito ad una specifica controversia già insorta (si parla di "compromesso": art. 807 c.p.c.), oppure di un accordo riferito a tutte le possibili controversie future relative a determinati rapporti contrattuali o extracontrattuali (si parla di "clausola compromissoria": artt. 808 e 808 bis c.p.c.) Le parti possono scegliere fra un arbitrato rituale, disciplinato nei suoi aspetti essenziali dal codice (artt. 816 ss.) e destinato a condurre a una decisione della causa dotata di effetti equiparati a quelli delle sentenze del giudice statale (ed idonea al giudicato), e un arbitrato irrituale, sfociante in una decisione avente valore di sistemazione negoziale della lite (art. 808 ter, 1° comma, c.p.c.=> "determinazione contrattuale", a seconda dei casi produttiva degli effetti propri di un negozio di accertamento o di una transazione) In entrambi i casi, il patto arbitrale ha l'effetto di sottrarre la controversia alla potestà decisoria del giudice statale che, se investito della causa, deve rigettare in rito la domanda sul fondamento dell'eccezione di arbitrato Nell'art. 819 ter, 1° comma, c.p.c. l'eccezione di arbitrato è equiparata ad un'eccezione di incompetenza per territorio semplice: anch'essa va sollevata dal convenuto a pena di decadenza nella comparsa di risposta (non è rilevabile d'ufficio, essendo il rispetto della convenzione di arbitrato considerato come rispondente a un interesse disponibile delle parti) L'equiparazione vale in punto di regime di impugnazione del provvedimento che si pronuncia sull'eccezione di arbitrato, che deve rendersi in forma di sentenza (e non di ordinanza), ma è soggetto all'impugnazione con regolamento, a seconda dei casi necessario o facoltativo, di competenza In seguito ad una pronuncia della Corte Costituzionale (sent. 19/07/13 n. 223) il 2° comma dell'art. 819 ter è stato dichiarato illegittimo nella parte in cui escludeva la translatio iudicii nei rapporti fra giudizio statale e giudizio arbitrale, imponendo in ogni caso l'inizio ex novo del processo Oggi, a fronte della sentenza di dichiarazione di "incompetenza" per compromissione in arbitri, la parte interessata può proseguire il processo riassumendolo avanti agli arbitri nel termine, normalmente di 3 mesi, previsto dalla legge La possibilità della riassunzione della causa risponde ad un'importante esigenza di tutela dell'attore, che può in tal modo conservare gli effetti processuali e sostanziali della domanda originariamente proposta CAPITOLO 11 – I LIMITI OGGETTIVI E SOGGETTIVI DEL GIUDICATO 1. I limiti oggettivi del giudicato. La preclusione dei diritti incompatibili Il giudicato sostanziale investe il diritto fatto valere con la domanda => vi è coincidenza fra oggetto della domanda, oggetto del processo ed oggetto del giudicato L'accertamento di esistenza o inesistenza del diritto recato dalla sentenza impedisce alle parti di rimetterlo in discussione anche sollevando nuove questioni non trattate nel primo processo, e così impedisce all'attore di riproporre la domanda rigettata invocando fatti costitutivi allora non dedotti e al convenuto di contestare la pronuncia di accoglimento invocando nuove eccezioni La stabilità del giudicato è assistita dalla preclusione del dedotto e del deducibile L'ambito oggettivo della preclusione è anche più ampio di quello segnato dal diritto dedotto con la domanda, poiché l'autorità del giudicato va garantita anche a fronte dell'esercizio di diritti diversi da quello accertato e che siano con esso incompatibili, ossia collegati da una relazione di reciproca esclusione tal per cui all'esistenza dell'uno corrisponde necessariamente l'inesistenza dell'altro e viceversa Il giudicato non ha valore solo di accertamento della situazione sostanziale, ma anche di attribuzione di un concreto bene della vita, la cui stabilità non può essere rimessa in discussione neppure in via indiretta, tramite l'esercizio di un diritto incompatibile che vanifichi l'utilità pratica assicurata al vincitore Non si tratta di un'estensione dell'effetto di accertamento, ma dell'effetto di preclusione scaturente dal giudicato, che investe i diritti incompatibili solo nella misura in cui il loro esercizio costituisce un attentato alla portata pratica del giudicato e in misura variabile nei singoli casi L'effetto di preclusione delle azioni incompatibili ha modo di operare soprattutto nel caso di sentenze di accoglimento della domanda es. dopo essere stato condannato al risarcimento dei danni in favore dell'attore in ragione di un determinato illecito, il convenuto esercita un proprio contrapposto diritto al risarcimento dei danni derivanti dal medesimo illecito, imputandone la responsabilità all'attore e chiedendone la condanna: nel primo processo il giudice non ha pronunciato su tale contrapposto diritto al risarcimento, eppure ammetterne l'esercizio significherebbe compromettere la portata pratico-attributiva del giudicato reso in favore dell'attore e l'azione del convenuto va considerata preclusa (allo stesso modo di come il giudicato preclude l'esercizio delle mere eccezioni) Caso in cui il convenuto sia stato condannato in favore dell'attore al risarcimento dei danni provocati ad un bene di proprietà di quest'ultimo: la garanzia della portata pratico-attributiva del giudicato esige che l'esistenza del diritto al risarcimento non possa essere rimessa in discussione neppure con l'esercizio di un'azione con cui il convenuto sostenesse di essere il vero proprietario del bene: del suo diritto di proprietà non si è deciso nel primo processo ed egli potrà ancora esercitarlo ad altri fini, ma non al fine di intaccare il riconoscimento in favore dell'attore del credito al risarcimento dei danni Egli potrà rivendicare il bene e pretenderne la consegna, ma non potrà pretendere di avere la restituzione della somma pagata all'attore che vinse il primo processo L'effetto di preclusione del giudicato deve operare anche a carico di diritti ed azioni diverse nei limiti in cui essi siano esercitati per rimettere in discussione il risultato del primo processo=> tali diritti ed azioni, in quanto incompatibili, avrebbero dovuto essere fatti valere nel primo processo in via di difesa, eccezione (riconvenzionale) o anche di domanda riconvenzionale e non basta constatarne l'estraneità all'oggetto del primo processo per sottrarli all'operare della preclusione 2. Le questioni pregiudiziali e la domanda di accertamento incidentale Fermo quanto detto sulla preclusione dei diritti incompatibili, il problema dei limiti oggettivi del giudicato si pone tenendo presente che al fine di pervenire alla decisione sul diritto fatto valere con la domanda, il giudice risolve per lo più necessariamente una serie di questioni ed alcune di esse potrebbero tornare ad essere rilevanti anche in successive controversie fra le stesse parti relative a diritti diversi Ci si chiede se anche la soluzione di tali questioni, costituenti i motivi della decisione, sia coperta da efficacia di giudicato e non possa così essere ridiscussa in futuri processi Sin tanto che non è esplicitamente chiesto un accertamento incidentale, non vi è domanda relativamente al diritto/rapporto pregiudiziale e la decisione che il giudice rende al riguardo va considerata un mero passaggio della motivazione della sentenza Tale principio va rispettato anche se il risultato può essere quello di condurre a pronunce logicamente contraddittorie es. intangibile resta la sentenza che ha negato il credito ereditario assumendo che l'attore non ha la qualità di erede, ma tale sentenza dovrà coesistere con quella che successivamente dichiari ad altri fini che tale qualità invece sussiste Il contrasto è tollerabile poiché è puramente "logico" nel senso che la questione della qualità di erede costituisce solo un "motivo" della prima sentenza che in sé si pronuncia solo sul singolo credito ereditario; lo stesso vale per la sentenza che accoglie la domanda al risarcimento dei danni provocati ad un bene dell'attore dovrà coesistere con quella che successivamente, insorta la controversia sulla titolarità del bene, dichiari che in realtà la proprietà del bene spetta al convenuto 3. L'accertamento incidentale per volontà di legge Alla regola della stretta corrispondenza fra oggetto della domanda e oggetto del giudicato si deroga, come risulta dallo stesso art. 34 c.p.c., nei soli casi particolari in cui è la legge stessa ad imporre che, a fronte della contestazione insorta sul diritto/rapporto pregiudiziale, la decisione sia resa con efficacia di giudicato anche in assenza di una domanda di parte => si tratta dei casi particolari detti di "accertamento incidentale per volontà di legge" (ex lege), in cui all'ordinamento non pare tollerabile che la decisione resa nel primo processo sul diritto/rapporto pregiudiziale possa essere in seguito contraddetta Due sono le ipotesi casistiche emblematiche: -Art. 124 c.c.: se, nel giudizio di impugnazione del matrimonio per bigamia (e per esistenza di un precedente matrimonio), sia eccepita la nullità del primo matrimonio, tale questione pregiudiziale deve essere "preventivamente giudicata" => si considera insita la necessità che della nullità del primo matrimonio sia in ogni caso deciso con efficacia di giudicato, anche se l'oggetto della domanda è dato in sé solo dalla validità del secondo matrimonio Paradossale e difficilmente tollerabile sarebbe diversamente l'esito della contraddittorietà delle pronunce: nel primo processo il secondo matrimonio, impugnato per bigamia, potrebbe essere dichiarato valido per nullità del precedente matrimonio e in un successivo processo quest'ultimo potrebbe essere dichiarato valido Trattandosi di controversie in materia di status, l'esigenza di assicurare la coerenza degli accertamenti giudiziali assume rilievo pubblicistico tale da dover prevalere anche sul principio dispositivo, sicché della questione pregiudiziale relativa al primo matrimonio occorre in ogni caso decidere con efficacia di giudicato, indipendentemente da una specifica domanda di parte -Art. 35 c.p.c. in materia di eccezione di compensazione La compensazione implica la deduzione di un distinto credito che il convenuto oppone in via di eccezione per fondare l'estinzione del credito dell'attore Il controcredito del convenuto è questione pregiudiziale negativa, nel senso che solo se esso non esiste può concludersi per l'esistenza del credito dell'attore (se il controcredito esiste ricorrendo anche gli specifici requisiti di legge, dovrebbe considerarsi fondata l'eccezione di compensazione e dovrebbe essere rigettata la domanda dell'attore) Se fra le parti insorge contestazione circa l'esistenza del controcredito e anche se nessuna delle parti lo chieda, esso diviene oggetto di accertamento incidentale e di decisione con efficacia di giudicato => a fondamento dell'accertamento incidentale ex lege sembrano esservi considerazioni di opportunità attinenti alla garanzia della portata pratico-precettiva della prima pronuncia, che sarebbe esposta ad essere indirettamente attentata se del controcredito del convenuto si conoscesse solo incidenter tantum senza effetti di giudicato Se non vi fosse l'estensione del giudicato sarebbe prospettabile che, rigettata l'eccezione di compensazione perché il controcredito è inesistente, il convenuto possa ancora liberamente azionarlo in un separato giudizio per pretenderne il pagamento da parte dell'attore e pervenire a un esito opposto => risultato che sembra ledere il significato pratico della vittoria dell'attore nel primo giudizio, che ha sì ottenuto la condanna del convenuto al pagamento di un determinato importo, ma sarebbe esposto nel nuovo processo a vedersi chiedere il pagamento di eguale importo da parte del convenuto in ragione del controcredito di cui ha già dimostrato l'inesistenza nel primo giudizio 4. Le questioni pregiudiziali in senso meramente logico La regola generale, secondo cui in assenza di esplicita domanda di accertamento incidentale il giudicato non si estende al diritto-rapporto pregiudiziale, è ritenuta inadatta a disciplinare i casi detti di "pregiudizialità logica"=> sono quelli in cui come questione pregiudiziale si ponga l'esistenza o il modo di essere di un rapporto che sia fonte di una pluralità di diritti legati da un nesso di stretto coordinamento funzionale, come è specialmente per i rapporti contrattuali sinallagmatici da cui derivano diritti in relazione di corrispettività La domanda con cui si fa valere uno dei diritti scaturenti dal contratto deduce come fatto costitutivo, e come causa petendi, il rapporto contrattuale, il quale astrattamente assume il ruolo di mera questione pregiudiziale di cui il giudice deve conoscere per decidere della domanda relativa al singolo diritto azionato (trattandosi di stabilire se il contratto è stato concluso, è valido e va qualificato in un determinato modo) Il problema si pone perché in queste ipotesi non si è proposta, come è in astratto ammissibile, domanda che investa direttamente il rapporto contrattuale di base (nei suoi profili di efficacia, validità, qualificazione), ma una domanda relativa ad uno dei singoli diritti che ne scaturiscono sicché il rapporto assume solo il ruolo di una questione pregiudiziale Se in queste ipotesi dovesse tenersi ferma la regola dell'estraneità del rapporto pregiudiziale all'efficacia di giudicato della sentenza, si perverrebbe, almeno in alcuni casi, ad una intollerabile disarticolazione dei nessi funzionali che legano le diverse situazioni soggettive che scaturiscono dal rapporto contrattuale Es. proposta da parte del venditore la domanda al pagamento del prezzo e pronunciata la sentenza che accoglie la domanda, l'esistenza, efficacia e validità del contratto di compravendita dovrebbe considerarsi questione pregiudiziale non coperta dal giudicato e liberamente ridiscutibile fra le parti in successivi processi=> ne conseguirebbe che ove sia poi il compratore, condannato al pagamento del prezzo, ad agire in un successivo processo chiedendo la condanna del venditore alla consegna del bene acquistato, il venditore convenuto sarebbe libero di opporre che il contratto non si è mai perfezionato o è invalido, e il giudice potrebbe per tale motivo respingere la domanda del compratore Ove la prima domanda al prezzo del venditore sia stata rigettata per nullità del contratto, niente impedirebbe che, proposta dal compratore la domanda alla consegna del bene, quest'ultima possa poi essere accolta sull'opposto assunto che il contratto sia valido Come risultato della regola processuale che limita gli effetti del giudicato alla singola posizione elementare fatta valere con la domanda, si potrebbe pervenire al risultato che al venditore sia assicurato il diritto al pagamento del prezzo, ma non sia poi ritenuto obbligato a consegnare il bene (con incongruo "arricchimento" a danno del compratore che dovrebbe pagare il prezzo non potendo ottenere la prestazione corrispettiva), o, viceversa, che gli sia negato il diritto al prezzo e però sia poi ritenuto obbligato a consegnare il bene (con incongruo "arricchimento" in tal caso a danno del venditore) Il risultato sarebbe lo stesso se immaginassimo che ad agire nel primo processo sia il compratore per esigere la consegna del bene e che sia successivamente il venditore ad agire per conseguire il prezzo Identici inconvenienti possono verificarsi se sia in gioco la qualificazione giuridica del rapporto contrattuale che dà titolo alle corrispettive obbligazioni es. caso in cui in un primo processo sia accolta la domanda del lavoratore al pagamento di ratei di retribuzione per lavoro straordinario e la domanda sia accolta qualificando il contratto come rapporto di lavoro subordinato Se sia in seguito il datore di lavoro ad agire per vedere dichiarati obblighi del prestatore di lavoro che presuppongono la qualificazione del rapporto come di lavoro subordinato (es. l'obbligo di rispettare un determinato orario), la prima sentenza non esplicherebbe al riguardo alcun effetto di giudicato e il rapporto potrebbe essere qualificato come di lavoro autonomo, privo come tale di vincoli di orario Le divergenti qualificazioni sarebbero anche qui fonte di una disarticolazione dei nessi che collegano funzionalmente, sul piano sostanziale, le singole posizioni soggettive derivanti dall'unitario rapporto di base Gli inconvenienti si danno non solo se il giudice del primo processo si sia effettivamente occupato delle questioni relative al rapporto contrattuale di base, ma anche se, non essendo insorta alcuna contestazione al riguardo, neppure abbia svolto una cognizione incidentale e abbia semplicemente dato per presupposta la sua efficacia o validità o un suo certo modo di essere => si ritiene che tali gravi inconvenienti debbano essere evitati inquadrando questi casi come di "pseudo-pregiudizialità", cioè di pregiudizialità meramente logica, inadatti ad essere regolati dai principi posti dall'art. 34 c.p.c. L'art. 34 va riferito solo ai casi in cui il diritto/rapporto pregiudiziale e il diritto dipendente sono veri diritti o relazioni distinti, e il diritto dipendente è una conseguenza meramente occasionale di quello pregiudiziale e non ne esprime il contenuto essenziale => casi di pregiudizialità in senso tecnico e proprio Non è dubbio che il diritto a vedere risarciti danni arrecati a un bene non esprime il contenuto essenziale del diritto di proprietà (che è dato piuttosto dal diritto di godere del bene illimitatamente), sicché decidere nell'uno o nell'altro senso circa il diritto al risarcimento dei danni non significa aver pronunciato su una manifestazione essenziale del diritto di proprietà, che deve poter essere liberamente accertato nei successivi processi All'opposto nella relazione fra il rapporto contrattuale (il rapporto detto "fondamentale") e i singoli diritti che ne scaturiscono vi è una relazione di immedesimazione, tanto che il rapporto contrattuale non ha in sé pratico significato se non per il tramite dei singoli diritti elementari che ne definiscono il contenuto (il pagamento al prezzo, la consegna al bene venduto, ecc.)=> tale relazione sostanziale di immedesimazione giustifica l'inquadramento di questi casi come di pregiudizialità meramente "logica": vanno sottratti all'applicazione dell'art. 34 ed assoggettati all'imposta regola secondo cui la decisione sulla domanda relativa ad uno dei diritti elementari ha effetto di giudicato, anche in assenza di specifica domanda di accertamento incidentale, sulle questioni relative all'esistenza, all'efficacia, alla validità e al modo di essere del rapporto contrattuale e sarà vincolante nei futuri giudizi in cui siano esercitati altri diritti derivanti da quel rapporto Nel campo della pregiudizialità meramente logica la domanda relativa ad uno dei diritti elementari di per sé potenzialmente espone anche il rapporto fondamentale dedotto come causa petendi ad essere investito dagli effetti del giudicato, rendendo incontestabile la presa di posizione, esplicita o implicita, del giudice del primo processo sulle questioni ad esso relative Solo in casi particolari la decisione sulla domanda relativa al singolo diritto elementare può lasciare impregiudicata la questione relativa all'esistenza e alla qualificazione del rapporto fondamentale Tanto avviene quando il rigetto della domanda è pronunciato sulla base di un'eccezione che riguarda esclusivamente il singolo diritto elementare e che non postula alcuna presa di posizione relativamente all'esistenza o inesistenza del rapporto fondamentale es. se la domanda relativa al singolo diritto derivante dal contratto sia respinta per prescrizione, che può essere dichiarata del tutto prescindendo dal se il diritto sia mai venuto ad esistenza e comunque è una causa estintiva sostanziale che non ha alcuna implicazione logico-funzionale rispetto all'esistenza di altri diritti scaturenti dal medesimo contratto; e lo stesso vale se il rigetto fosse pronunciato solo perché il termine per l'adempimento non è ancora scaduto e il credito non è attualmente esigibile=> in tali casi il motivo di rigetto investe in via esclusiva il diritto azionato e le questioni relative al rapporto contrattuale "fondamentale" potranno essere liberamente discusse ed accertate nei successivi giudizi in cui si facciano valere altri diritti elementari di cui esso è fonte, non ponendosi alcun rischio concreto di disarticolazione dei nessi funzionali impressi nella relazione sostanziale 5. I limiti soggettivi del giudicato. Terzi interessati di fatto e terzi titolari di posizioni giuridicamente autonome I soggetti vincolati al giudicato sono naturalmente le parti, che, avendo partecipato od essendo comunque state poste in condizione di partecipare al processo, sono naturali destinatarie degli effetti, favorevoli o sfavorevoli, della sentenza che in esso viene resa 6. Terzi aventi causa E’ regola sancita dalla legge che il giudicato ha effetto a carico dei terzi che siano aventi causa dalle parti del processo => art. 2909 c.c.: il giudicato "fa stato fra le parti, i loro eredi o aventi causa" Con la menzione di "eredi e aventi causa" ci si riferisce in generale ai soggetti che sono successori delle parti, sia per causa di morte che per atto tra vivi, a titolo universale o particolare Altresì sono compresi non solo i casi in cui il terzo succeda direttamente nella medesima posizione sostanziale che è oggetto della sentenza, ma anche quelli in cui succeda in una situazione sostanziale minore da essa derivata es. il giudicato che accerta la sussistenza di un diritto di proprietà in favore dell'attore ha effetto anche a carico del terzo che abbia acquistato la proprietà (e un diritto coincidente con quello accertato) dal convenuto soccombente a titolo di compravendita, donazione, eredità, ecc., terzo che non potrà più contestare che il convenuto, suo dante causa, non era affatto proprietario del bene Parimenti è esposto a risentire degli effetti sfavorevoli del giudicato il terzo acquirente a cui favore il convenuto soccombente nella lite sulla proprietà abbia costituito un diritto di usufrutto o di ipoteca (diritto reale minore derivato) sul bene controverso Medesima conclusione si dà nei casi in cui l'oggetto del giudicato sia un diritto di credito che sia trasferito dal soccombente ad un terzo es. se dopo il giudicato che accerta l'inesistenza di un credito dell'attore, quest'ultimo lo ceda a un terzo, che viene così a porsi come avente causa nella posizione giuridica oggetto della sentenza In questi casi la posizione del terzo non è affatto autonoma ed è subordinata rispetto a quella accertata dal giudicato poiché l'efficacia sostanziale del suo titolo di acquisto, che è di natura derivativa, è condizionata dall'esistenza del diritto in capo al suo dante causa: vi è una relazione giuridica tale per cui il giudicato è di immediata rilevanza oggettiva per giudicare del diritto del terzo In virtù del carattere derivativo dell'acquisto, i successori subiscono gli effetti dell'attività giuridica operanti nella sfera del loro dante causa al momento della trasmissione del diritto (che "passa" o non "passa" al successore se non nello stato in cui si trova al momento dell'acquisto) Ciò vale senza dubbio per gli effetti degli atti sostanziali dispositivi posti in essere dal dante causa in epoca anteriore alla trasmissione: se in tale momento il dante causa avesse già disposto del diritto in favore di altri soggetti es. avesse già venduto o donato il bene o avesse su di esso costituito un diritto reale minore, il successore risentirebbe inevitabilmente degli effetti pregiudizievoli di tali atti di disposizione, e vedrebbe compromessa o limitata in modo corrispondente l'efficacia sostanziale del suo acquisto Ciò che vale per gli atti sostanziali di disposizione, vale anche per gli effetti processuali del giudicato (sfavorevole al dante causa) che sia già operante al momento dell'acquisto del terzo, con il quale si sia accertato che il dante causa non è titolare o è titolare solo in una minor misura del diritto trasferito al terzo L'estensione ultra partes del giudicato è una conseguenza, logicamente obbligata, della conformazione "subordinata" della relazione sostanziale fra dante causa ed avente causa, rispetto alla quale sarebbe eccessivo far prevalere il principio del contraddittorio La soluzione risponde a preminenti esigenze di ordine processuale, ossia alle esigenze di certezza e stabilità della definizione della lite come attuata dal giudicato Se il terzo successore potesse, pur avendo acquistato dopo il giudicato, rimettere in discussione l'accertamento recato dalla sentenza, e poter contestare la statuizione sfavorevole al suo dante causa, la parte vittoriosa del giudizio sarebbe esposta a veder vanificato l'esito del processo In tal caso alla parte soccombente in un giudizio sulla proprietà del bene basterebbe porre in essere, dopo il giudicato, un atto di alienazione in favore di un terzo per porre la controparte vittoriosa nella situazione di non potersi avvantaggiare degli effetti della sentenza che le ha dato ragione e dover nuovamente affrontare la controversia sulla medesima situazione sostanziale La compromissione del legittimo interesse della parte vittoriosa (sia essa l'attore o il convenuto) alla stabilità dell'esito favorevole della lite rispetto ai futuri successori della controparte sarebbe grave attentato allo stesso diritto di azione, che nemmeno il principio del contraddittorio potrebbe in sé giustificare Va fatta salva solo la possibilità per l'avente causa di fare opposizione di terzo alla sentenza, ex art. 404, 2° comma, c.p.c. nei casi limite in cui essa sia frutto di dolo o collusione a suo danno L'estensione del giudicato che trova fondamento nell'art. 2909 c.c. deve riferirsi solo ai terzi che abbiano acquistato a titolo derivativo dopo il passaggio in giudicato della sentenza (c.d. successori post rem iudicatam) => solo in tal caso può dirsi che gli effetti del giudicato si producono in un momento (anteriore alla successione) in cui l'avente causa è esposto a subire le conseguenze pregiudizievoli operanti nella sfera giuridica del suo dante causa e solo in tal caso la soggezione del terzo al vincolo del giudicato risponde all'esigenza di non veder compromessa la stabilità dell'esito della causa in favore della parte vittoriosa Priva di giustificazione sarebbe l'estensione del giudicato ai terzi che abbiano acquistato prima del giudicato, poiché in tal caso il giudicato sopravviene in un momento in cui si è ormai interrotta la relazione di subordinazione rispetto alla sfera giuridica del dante causa=> non può applicarsi la regola espansiva dell'art. 2909 c.c. es. se l'attore ha agito per vedere accertato che il convenuto non è proprietario e poi risulti che già in epoca antecedente il convenuto aveva costituito un diritto di usufrutto in favore di un terzo, quest'ultimo non potrà in alcun modo considerarsi esposto a subire gli effetti della sopravvenuta sentenza sfavorevole al suo dante causa e di tale posizione potrà liberamente ridiscutersi nella lite che veda poi contrapporsi il terzo e l'attore vittorioso del primo processo Benché l'art. 2909 c.c. sia formulato in termini molto ampi (la sentenza fa stato nei confronti degli "eredi ed aventi causa" delle parti senza distinzione), la norma va letta facendo riferimento ai soli successori post rem iudicatam Un'attenuazione del principio si ha soltanto in virtù della speciale disposizione dell'art. 111 c.p.c., che, in omaggio a superiori esigenze di ordine processuale, anticipa l'effetto del giudicato al momento dell'inizio del processo, consentendo di assoggettare al vincolo del giudicato anche i successori che abbiano acquistato in un momento ad esso anteriore, purché posteriore al momento iniziale della litispendenza (c.d. successori pendente lite), equiparandoli ai successori post rem iudicatam 7. Terzi titolari di posizioni oggettivamente coincidenti con quella oggetto del giudicato In presenza di situazioni sostanziali plurisoggettive di contenuto oggettivamente identico, è ammesso ampiamente il fenomeno secondo cui esse possono esercitarsi in giudizio da parte di o nei confronti di uno solo dei titolari in via di collegittimazione disgiuntiva => terzi titolari di posizioni oggettivamente coincidenti con quella oggetto del giudicato Le situazioni giuridiche attive in contitolarità di più soggetti possono essere sovente esercitate in giudizio da uno solo dei titolari nei confronti del comune avversario es. in caso di comunione del diritto di proprietà, uno solo dei comproprietari può agire in giudizio per rivendicare il bene da chi lo possiede illegittimamente o per far accertare l'inesistenza di diritti da altri vantati sul bene (come può essere in caso di esercizio dell'azione negatoria di un diritto di servitù o di usufrutto vantato dal convenuto)=> in tal caso la sentenza ha ad oggetto l'unitaria situazione sostanziale in contitolarità e l'interrogativo è se essa possa vincolare anche il comproprietario che non ha partecipato al giudizio Nelle obbligazioni solidali il singolo concreditore può agire in giudizio contro il comune debitore deducendo in giudizio il concredito nella sua interezza (solidarietà attiva); parimenti in caso di condebito solidale il creditore può agire nei confronti di uno solo dei condebitori deducendo in giudizio l'obbligazione solidale nel suo complesso (solidarietà passiva) La regola sostanziale si traduce sul piano processuale in un regime di legittimazione disgiuntiva all'esercizio delle azioni, che rende fisiologico ipotizzare che la sentenza sulla comune situazione obbligatoria sia resa in un processo cui ha partecipato solo uno dei concreditori/condebitori Nel campo delle azioni di annullamento delle delibere degli enti, l'azione può essere esercitata da uno solo dei legittimati e la sentenza che accolga o rigetti la domanda si pronuncia oggettivamente sulla comune situazione di diritto potestativo es. nel campo delle azioni di annullamento delle delibere delle società, delle associazioni, in cui l'azione può essere esercitata anche solo da uno dei soci, associati La regola della legittimazione disgiuntiva (attiva o passiva) all'esercizio dell'azione in giudizio non può implicare alcuna deroga al principio del contraddittorio, poiché ciascuno dei contitolari della comune situazione sostanziale ha pari legittimazione ad interloquire nel processo in cui essa è stata sottoposta ad accertamento giudiziale, e non gli si può imporre di subire gli effetti della sentenza sfavorevole pronunciata a carico di un altro collegittimato E’ la piena parità della posizione dei diversi legittimati ad escludere la configurabilità di un'estensione ultra partes degli effetti del giudicato La regola trova espressa conferma in alcune norme di diritto positivo -Nell'art. 1306, 1° comma, c.c. è detto espressamente che la sentenza pronunciata fra il creditore e uno solo dei condebitori in solido o fra uno dei creditori in solido e il comune debitore "non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori" -Dall'art. 2377, 7° comma, c.c., in materia di azione di annullamento delle delibere delle società, si desume chiaramente che la sentenza di rigetto non ha effetto a carico degli altri soci legittimati al suo esercizio rimasti estranei al processo (che potranno, sempre che abbiano esercitato l'azione nel breve termine di decadenza previsto dalla legge, veder accolta in separato processo l'azione ed annullata la delibera) Tali norme vanno considerate espressione di un principio generale applicabile a tutti i casi di legittimazione disgiuntiva alla deduzione in giudizio di situazioni soggettivamente complesse di identico contenuto oggettivo: il terzo non può essere in alcun modo vincolato e pregiudicato dal giudicato reso nel processo cui non ha potuto partecipare La regola dell'inefficacia della sentenza nei confronti di chi è rimasto estraneo al processo va riferita solo alla sentenza sfavorevole => è coerente con i principi generali che i terzi possano avvalersi della sentenza favorevole emessa nei riguardi del collegittimato che sia stato parte in giudizio (c.d. efficacia in utilibus) Ciò trova conferma nell'art. 1306, 2° comma, c.c.: i condebitori rimasti estranei al giudizio possono "opporre" al creditore la sentenza (ad essi favorevole) emessa nel processo cui ha preso parte un altro condebitore (e parimenti i concreditori rimasti estranei al giudizio possono "opporre" la sentenza al comune debitore che sia rimasto soccombente nel processo cui ha partecipato un altro concreditore) + art. 2377, 7° comma, c.c. ove dispone che la sentenza che, accogliendo la domanda proposta da uno dei collegittimati, annulla la delibera della società "ha effetto rispetto a tutti i soci" Non vi è alcun sacrificio del diritto di difesa poiché il soggetto cui la sentenza viene opposta (es. il creditore che ha visto rigettata la domanda verso uno dei condebitori per inesistenza dell'obbligazione e che si vede opposta la sentenza da altro condebitore, la società che si vede opposta da altro socio la sentenza di annullamento della delibera), è stato parte del giudizio e ha pienamente potuto esercitare i poteri e le facoltà assicurati dal principio del contraddittorio 8. I terzi titolari di situazioni soggettive giuridicamente dipendenti da quella oggetto del giudicato (+ dipendenza permanente) La problematica dei limiti soggettivi del giudicato si pone da sempre in termini particolari con riguardo ai terzi titolari di posizioni giuridicamente dipendenti da quella accertata nella sentenza Si dà "giuridica dipendenza" quando la situazione soggettiva del terzo - un diritto, ma più spesso un obbligo - comprende nella propria fattispecie costitutiva un rapporto (detto pregiudiziale o condizionante) intercorrente fra altri soggetti (inter alios) => in virtù di tale collegamento l'esistenza del rapporto dipendente facente capo al terzo presuppone sul piano sostanziale l'esistenza del rapporto o diritto pregiudiziale intercorrente fra gli altri due soggetti Si tratta di una situazione analoga a quella osservata a proposito della "pregiudizialità-dipendenza" fra rapporti intercorrenti fra le medesime parti, che assume rilevanza con riguardo al problema dei limiti oggettivi del giudicato La differenza è data dal fatto che qui non vi è coincidenza fra i soggetti titolari del rapporto pregiudiziale (le parti A e B) e i soggetti titolari del rapporto dipendente (A o B, da un lato, e il terzo C, dall'altro)
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