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Riassunto Diritto Unione Europea L. Daniele - Ultima edizione, Dispense di Diritto dell'Unione Europea

Evoluzione, istituzioni, procedure decisionali, fonti, sistema giudiziario e competenze dell'Unione europea.

Tipologia: Dispense

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Scarica Riassunto Diritto Unione Europea L. Daniele - Ultima edizione e più Dispense in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! LE ORIGINI E LO SVILUPPO DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA L’ideale di un continente europeo si sviluppa dal XIX secolo, la realizzazione concreta si presenta solo alla fine della seconda guerra mondiale. Tale movimento di idee prende piede soltanto tra gli Stati dell’Europa occidentale. Gli Stati dell’Europa orientale danno vita a forme alternative di aggregazione militare ed economica. Solo con la caduta del muro di Berlino (’89) e lo scioglimento dell’Unione sovietica (’91) tali Stati hanno cominciato a partecipare alle forme di integrazione di matrice occidentale. L’integrazione dell’Europa occidentale segue due metodi: - Metodo tradizionale o della cooperazione intergovernativa, gli Stati cooperano tra loro come soggetti sovrani. Prevalenza di organi di Stati, principio dell’unanimità e assenza o rarità del potere di adottare atti vincolanti. - Metodo innovativo o comunitario. Prevalenza degli organi di individui, prevalenza del principio maggioritario, ampiezza del potere di adottare atti vincolanti e controllo giurisdizionale di legittimità. Il Trattato di Parigi del 1951 istituisce la CECA - Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, ossia un ente sovranazionale (detentore di poteri di governo non riconducibili agli Stati nazionali) basato su quattro istituzioni: Alta Autorità, Consiglio speciale dei Ministri, Assemblea comune e Corte di Giustizia. Nel 1957, a Roma, sono firmati il Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea (CEE) e il Trattato che istituisce la Comunità Europea dell’Energia Atomica (CEEA/Euratom). *Con il Trattato di Maastricht, istitutivo della Unione Europea, la Comunità Economica Europea muta in Comunità Europea. Si vuole semplificare, l’obiettivo è quello di pervenire alla fusione delle tre Comunità. Viene ratificata la Convenzione su alcune istituzioni comuni delle Comunità europee (Assemblea e Corte di Giustizia), si passa al Trattato che istituisce un Consiglio e una Commissione unici delle Comunità europee e il non rinnovamento della CECA (2002). Il Consiglio europeo nel 2004 approva il testo del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, tuttavia tale tentativo fallisce. Con il Trattato di Lisbona la CE cessa di esistere come ente autonomo e viene incorporata nell’Unione Europea, di conseguenza il TCE diviene TFUE. Per quanto riguarda le modifiche della membership esse sono consistite nell’adesione di numerosi nuovi Stati membri e nella Brexit. Figurativamente l’Unione è paragonata ad un tempio greco con frontone sorretto da tre pilastri: cooperazione comunitaria, PESC (Politica Estera e di Sicurezza Comune) e GAI (Giustizia e Affari Interni). Pilasti distinti e gestiti da un quadro istituzionale unico. Anche in tale campo si ha integrazione: la cooperazione comunitaria acquista numerose materie della GAI. Nel 2008, con il fallimento della banca Lehman Brothers (USA), scoppia una grave crisi bancaria mentre nel 2009 si manifesta la crisi del debito sovrano. I cd Stati della zona euro si trovano nell’impossibilità o in grave difficoltà per far fronte all’ingente stock di debito pubblico accumulato e gli investitori, temendo che gli Stati non siano in grado in futuro di onorare i propri debiti, richiedono tassi di interesse altissimi provocando un notevole aumento dello spread. Gli Stati membri della zona euro hanno dato vita ad un fondo salva-Stati, attraverso il Trattato MES (Meccanismo Economico di Stabilità). Il MES è una organizzazione finanziaria internazionale che reperisce fondi per fornire, sotto stretta condizionalità, assistenza finanziaria agli Stati parte se indispensabile per garantire la stabilità finanziaria dell’insieme della zona euro e dei suoi Stati membri. L’Unione europea non è uno Stato né una semplice organizzazione internazionale: è dotata, nei settori che sono stati attribuiti alla sua competenza o in alcuni di essi, di poteri assimilabili a quello di un vero e proprio Stato mentre la sovranità statale rimane limitata dalle competenze attribuite all’unione. IL QUADRO ISTITUZIONALE Le azioni svolte dalle istituzioni sono rette dal principio di coerenza, dal principio dell’equilibrio istituzionale, dal principio della leale collaborazione e dal principio del rispetto dell’acquis. Le istituzioni politiche dell’Unione. Parlamento Europeo (art. 14 TUE) Il Parlamento europeo è composto di rappresentanti di cittadini dell’Unione, eletti a suffragio universale diretto, libero e segreto. La durata del mandato è di 5 anni. Il numero dei membri non può essere superiore a 750 + il presidente e la rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale, con una soglia minima di 6 membri per Stato membro e una soglia massima dei 96 seggi. *Il numero totale e la distribuzione dei seggi tra gli Stati membri è disposta con una decisione del Consiglio europeo, con iniziativa e approvazione del Parlamento. Il Parlamento dispone di alcuni organi: - Presidente , dirige i lavori e rappresenta il Parlamento nelle relazioni internazionali, nelle cerimonie, negli atti amministrativi e giudiziari; - Commissioni . Possono essere permanenti o temporanee. “Il Parlamento esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio. Esercita funzioni di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai trattati. Elegge il presidente della Commissione.” Per esercitare le funzioni di controllo politico, il Parlamento dispone di numerosi canali di informazione sull’operato delle altre istituzioni. La più importante è la relazione generale annuale presentata dalla Commissione. Il Parlamento dispone altresì di procurarsi autonomamente informazioni attraverso interrogazioni o audizioni della Commissione, del Consiglio e del Consiglio europeo. Il Parlamento può trarre informazioni dall’iniziativa degli individui: gli individui possono presentare petizioni e denunce. Il potere sanzionatorio è esercitabile solo nei confronti della Commissione, approvando una mozione di censura. Nei confronti del Consiglio il Parlamento può ricorrere solo ad un controllo giurisdizionale. Consiglio (art. 16 TUE) termine di 2 mesi a decorrere dalla notifica della decisione da impugnare. Solo rispetto alle cause che fossero assegnate alla competenza dei tribunali specializzati opererebbe come giudice di secondo grado. Il tribunale è competente in primo grado per tutte le azioni e cause che non siano riservate alla competenza esclusiva e in grado unico della Corte di Giustizia. Vi è possibilità anche di una competenza pregiudiziale. Corte dei Conti È un organo di individui, è composta da un cittadino di ciascuno Stato membro nominati dal Consiglio a maggioranza qualificata previa consultazione del Parlamento europeo. Il mandato è di 6 anni. Funzioni: controllo dei conti dell’Unione. Altri organi sono il Comitato economico e sociale (organo di individui) e il Comitato delle regioni. La BCE è una istituzione specializzata. La BCE gode di personalità giuridica, tra il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione dell’euro ed è indipendente nell’esercizio dei suoi poteri nella gestione delle sue funzioni. Si articola in un Comitato esecutivo (presidente, vicepresidente e altri quattro membri) e un Consiglio direttivo (membri del Comitato esecutivo e dei Governatori delle Banche centrali nazionali degli Stati membri la cui moneta è l’Euro). Il mandato è di otto anni non rinnovabili. LE PROCEDURE DECISIONALI Per procedure decisionali si intende la sequenza di atti o fatti richiesta dai trattati affinché la volontà dell’Unione si possa manifestare attraverso determinati atti giuridici. Hanno prevalentemente carattere interistituzionale: si compongono di atti o atti provenienti da più di una istituzione, in particolare da istituzioni politiche. Si distinguono per la loro grande varietà. La disciplina è stabilita direttamente dai trattati ed è inderogabile dalle istituzioni. Va tuttavia segnalata la tendenza ad inserire nei trattati disposizioni che affidano alle istituzioni il potere di disporre il passaggio da una procedura decisionale ad un’altra o di modificare taluni elementi delle procedure previste. Il TFUE riserva alla adozione degli atti legislativi: - Procedura legislativa ordinaria , consiste nell’adozione congiunta di un atto (regolamenti, direttive o decisioni) da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione; - Procedure legislative speciali , consistenti nell’adozione di un atto (regolamenti, direttive e decisioni) da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o da parte del Consiglio con la partecipazione del Parlamento. Procedure applicabili solo nei casi specifici previsti dai trattati. Accanto alle procedure legislative, i trattati prevedono le procedure non legislative per l’adozione di atti di natura diversa. Per stabilire quale procedura vada seguita occorre definire la base giuridica. La corretta individuazione della base giuridica dall’analisi di elementi oggettivamente rilevabili: lo scopo e il contenuto dell’atto. Laddove, accanto ad una base giuridica generale, sia utilizzata una base giuridica più specifica per un determinato atto, occorre privilegiare quest’ultima (specifica > generale). Può accadere che uno stesso atto persegua una pluralità di scopi o presenti contenuti differenziati, la base giuridica va dedotta dal cd centro di gravità dell’atto. Qualora non sia possibile determinare il centro di gravità, l’atto dovrà eccezionalmente avere una base giuridica plurima. In caso di procedure decisionali incompatibili andrà preferita la base giuridica che non pregiudichi i poteri di partecipazione del Parlamento europeo alla procedura decisionale. La procedura legislativa ordinaria (artt. 289 e 294 TFUE) “La procedura legislativa ordinaria consiste nell’adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione”. Parlamento europeo e Consiglio sono co-legislatori. La disciplina della procedura (ex art. 294) si fonda su un sistema di ripetute letture della proposta di atto legislativo. 1) Proposta della Commissione , indirizzata simultaneamente al Consiglio e al Parlamento europeo. Il Parlamento europeo e il Consiglio godono del potere di sollecitare la Commissione a presentare una proposta. Le proposte possono essere sollecitate anche da altre istituzioni o organi o su iniziativa dei cittadini. 2) Prima lettura. Il Parlamento europeo adotta la propria posizione sulla proposta della Commissione. Tale posizione è trasmessa al Consiglio, il quale può: - Approvare la posizione del Parlamento europeo, l’atto è approvato con tale formulazione. - Non approvare la posizione del Parlamento europeo e adottare, con maggioranza qualificata, una posizione in “prima lettura”. 3) Seconda lettura. Entro tre mesi il Parlamento può: - Approvare posizione “in prima lettura” del Consiglio o omettere di deliberare, l’atto è adottato nella formulazione corrispondente alla posizione del Consiglio. - Respingere la posizione a maggioranza assoluta dei membri che lo compongono. La procedura si arresta perché l’atto non si considera adottato. - Proporre emendamenti . Il Consiglio può approvare gli emendamenti del Parlamento e l’atto è definitivamente approvato. Se il Consiglio non approva tutti gli emendamenti si apre un comitato di conciliazione. Il Comitato di conciliazione, in 6 settimane, può: - Non approvare un progetto comune, l’atto non è approvato. - Approvare un progetto comune del Parlamento europeo e del Consiglio. L’atto dovrà definitivamente essere approvato in terza lettura sia dal Parlamento europeo sia dal Consiglio, in un termine di sei settimane. In mancanza dell’approvazione dell’una o dell’altra istituzione, l’atto si considera non adottato. Le procedure legislative speciali. Il potere di iniziativa è disciplinato come nella procedura legislativa ordinaria: salvo eccezioni, l’istituzione competente (Consiglio o Parlamento europeo) non può deliberare in mancanza di una proposta della Commissione. Si distinguono: - Procedura di consultazione. Il Consiglio adotta - a maggioranza qualificata - un atto previa consultazione del Parlamento europeo, il quale è chiamato ad emettere un parere consultivo (obbligatorio ma non vincolante). La Consultazione del Parlamento europeo, quando richiesta, deve essere effettiva e regolare. Il TFUE non stabilisce alcun termine per l’emanazione del parere del Parlamento, tuttavia il parere deve essere emanato in un termine ragionevole (in osservanza del principio di leale collaborazione). Il parere del Parlamento deve essere dato sull’atto che poi sarà effettivamente adottato dal Consiglio: se dopo la consultazione del Parlamento, il Consiglio decide di modificare l’atto nella sostanza o la Commissione ritira la proposta o ne presenta un’altra diversa, è necessaria una seconda consultazione. - Procedura di approvazione. L’atto legislativo deliberato dal Consiglio deve essere approvato dal Parlamento europeo. In realtà il potere deliberativo non appartiene più al Consiglio ma è condiviso con il Parlamento, come avviene nella procedura legislativa ordinaria. *Per alcuni atti legislativi il cui contenuto è sostitutivo o integrativo della disciplina del TFUE l’atto, adottato con la procedura di consultazione o di approvazione, per entrare in vigore deve essere approvato anche “dagli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali”. Le procedure legislative nel settore dello Spazio di sicurezza, libertà e giustizia. Nei settori in questione la procedura legislativa ordinaria è molto presente ed è spesso affiancata da procedure legislative speciali. Qualunque sia la procedura legislativa applicabile, nel settore della Cooperazione giudiziaria in materia penale, nel settore della Cooperazione di polizia e nel settore della Cooperazione amministrativa, il potere di proposta spetta alla Commissione ed all’iniziativa di ¼ degli Stati membri. Inoltre sono previsti strumenti procedurali che consentono agli Stati membri contrari a determinati atti di impedirne o ritardarne l’adozione. Le procedure non legislative - categoria molto eterogenea. Il Consiglio europeo, i cui atti non hanno mai natura legislativa, delibera seguendo procedure diverse caso per caso: 1) Procedure in cui il consiglio europeo decide in piena autonomia, senza alcuna proposta e senza consultazione o approvazione di altre istituzioni (elezioni Presidente del Consiglio europeo). Oppure procedure in cui la deliberazione del Consiglio europeo, benché condizionata da una proposta, è subordinata alla approvazione di un’altra istituzione (nomina del Presidente della Commissione). 2) Procedure che si ispirano ai modelli della procedura di consultazione o della procedura di approvazione. Il Consiglio ha bisogno di una proposta. Quando il Consiglio europeo adotta atti non legislativi nel campo di applicazione del TFUE segue le procedure modellate sulla procedura di consultazione e di approvazione. Nel settore della UEM, in relazione alla peculiarità degli atti adottati (sempre non legislativi) sono spesso previste dai trattati procedure sui generis. momento che la procedura decisionale applicabile è indicata dalla base giuridica in forza del quale l’atto è adottato, è la stessa base giuridica che determina la natura legislativa o meno degli atti adottati. Dal punto di vista della struttura gli atti presentano grandi differenze. L’art. 288 TFUE individua i cd atti tipici: - Regolamenti; - Direttive; - Decisioni; - Pareri; - Raccomandazioni. I pareri e le raccomandazioni non sono atti vincolanti. I regolamenti, le direttive e le decisioni sono atti vincolanti. L’art. 288 TFUE non prevede alcuna gerarchia tra atti vincolanti e atti di tipo diverso, inoltre la tipologia di atti in esso contenuta non è né completa né tassativa. Accanto agli atti atipici, vanno annoverate le comunicazioni (atti affermatesi in via di prassi). Gli artt. 296 e 297 TFUE disciplinano alcuni aspetti comuni a tutti gli atti delle istituzioni: motivazione, firma e entrata in vigore. Fonti di diritto primario Trattati. TUE e TFUE ( hanno lo stesso valore giuridico ma, funzionalmente, il TFUE è strumentale rispetto al TUE) così come i Protocolli e gli Allegati ai trattati sono fonti di diritto primario dell’Unione europea. Tradizionalmente i trattati vanno considerati come semplici trattati internazionali ovvero, nel loro insieme, come una carta costituzionale (la Corte di Giustizia tende a dare rilievo decisivo a criteri interpretativi contestuali e teleologici). I trattati possono essere modificati soltanto ricorrendo alle procedure previste dagli stessi trattati. Art. 48 TUE - La Procedura di revisione ordinaria si articola in: - Presentazione al Consiglio di un progetto di modifica da parte del governo di qualsiasi Stato membro, del Parlamento europeo o della Commissione; - Decisione del Consiglio europeo, a maggioranza semplice , previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione. Provvede, inoltre, all’esame delle modifiche trasmesse dal Consiglio; - Convocazione , da parte del Presidente del Consiglio europeo, di una convenzione “composta dai rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione” con lo scopo di esaminare i progetti di modifica e di adottare per consenso una raccomandazione per la CIG. In caso di modifiche istituzionali nel settore monetario è consultata anche la BCE; - In alternativa , se “l’entità delle modifiche” non giustifichi la convocazione della convenzione, vi è decisione del Consiglio europeo - a maggioranza semplice - previa approvazione del Parlamento che definisce il mandato della CIG. - Convocazione di una CIG formata dai rappresentanti dei governi degli Stati membri per “stabilire di comune accordo le modifiche da apportare ai trattati”; - Ratifica delle modifiche approvate da parte di tutti gli Stati membri “conformemente alle rispettive norme costituzionali” e loro entrata in vigore. Se al termine di due anni a decorrere dalla data della firma di un trattato che modifica i trattati, i 4/5 degli Stati membri abbiano ratificato detto trattato e uno o più Stati membri abbiano incontrato difficoltà nelle procedure di ratifica, la questione è deferita al Consiglio europeo. Procedure semplificate di revisione. 1) Ex art. 48 par. 6 TUE La procedura disciplinata può avere ad oggetto soltanto modifiche, parziali ma anche totali delle “disposizioni della parte III del TFUE relative alle politiche e azioni interne dell’Unione” senza che ciò comporti alcuna estensione delle “competenze attribuite all’Unione dai trattati”. La procedura consta: - Presentazione al Consiglio europeo da parte del governo di qualsiasi Stato membro, del Parlamento europeo o della Commissione, di progetti di modifica; - Adozione delle modifiche da parte del consiglio europeo con decisione approvata all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo, della Commissione; - Entrata in vigore delle decisioni del Consiglio europeo “previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali”. **Si evita la convocazione della convenzione e della CIG, essendo affidata al Consiglio europeo il compito di definire le modifiche attraverso una propria decisione. 2) Ex art. 48 par. 7 TFUE – Procedura passerella La procedura può avere ad oggetto soltanto quelle disposizioni del TFUE o del titolo V del TUE (PESC). - Iniziativa del Consiglio europeo; - Trasmissione dell’iniziativa ai parlamenti nazionali, ciascuno dei quali può, entro sei mesi, opporsi all’iniziativa, impedendo che la procedura prosegua; - In assenza di opposizione, si ha deliberazione del Consiglio europeo all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo. I trattati prevedono infine procedure speciali che permettono di modificare soltanto taluni articoli o aspetti specifici. L’elaborazione e l’approvazione delle modifiche è affidata ad una delibera unanime del Consiglio europeo o del Consiglio ma l’entrata in vigore è subordinata all’approvazione da parte degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. Un altro modo per modificare i trattati è la procedura di adesione all’Unione di nuovi Stati ex art. 49 TUE. Può presentare domanda all’Unione: a) “Ogni Stato europeo” (condizione geografica); b) “Che rispetti i valori ex art. 2 e si impegni a promuoverli” (condizione politica). La domanda di adesione è presentata al Consiglio, il quale la approva all’unanimità previa consultazione della Commissione e approvazione del Parlamento europeo. Le “condizioni per l’ammissione e gli adattamenti da essa determinati” sono oggetto di un trattato concluso tra gli Stati membri e lo Stato candidato, che deve essere ratificato da tutti gli Stati contraenti. Sono il Consiglio e il Parlamento europeo a decidere circa l’ammissione o meno di un nuovo Stato membro. Il trattato è invece definito dagli Stati. Ex art. 50 TUE – Recesso dall’Unione. Lo Stato membro che intende ritirarsi notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Il recesso può essere: - Concordato . Si arriva alla conclusione di un accordo tra l’Unione e lo Stato recedente “volto a definire le modalità del recesso”. - Unilaterale . I trattati cessano direttamente di applicarsi allo Stato interessato. Principi generali del diritto. Negli ordinamenti giuridici pienamente sviluppati, i principi hanno poco spazio. Negli ordinamenti di più recente formazione o in quelli in cui il sistema di produzione delle norme è poco efficiente, i principi assumono un ruolo importante. Essi possono essere suddivisi in: 1) Principi generali di diritto dell’Unione. Principi che trovano espressione in determinate norme dei trattati, alle quali viene assegnato carattere imperativo e inderogabile. Esempi: il principio di non discriminazione, il principio di libera circolazione, il principio della tutela giurisdizionale effettiva, il principio d’attribuzione, il principio di sussidiarietà, il principio di proporzionalità ecc. ecc. 2) Principi generali del diritto comuni agli ordinamenti degli Stati membri. Principi desunti dall’esame parallelo dei vari ordinamenti nazionali. Esempi: il principio di legalità, il principio della certezza del diritto, il principio del legittimo affidamento, il principio del contraddittorio ecc. ecc. 3) Principi generali posti a protezione dei diritti fondamentali (art. 6 TUE). Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Carta di Nizza (2000). Il suo valore giuridico come fonte di diritto primario è stato definito solo con il Trattato di Lisbona. La Carta ha valore documentale, non normativo, poiché riassumerebbe l’elenco e la descrizione dei diritti fondamentali. La Carta non impedisce l’applicazione della CEDU o delle altre fonti nella misura in cui queste prevedano una tutela più ampia di quella garantita dalla Carta (clausola di compatibilità - art. 53). Uno Stato membro può applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali a patto che, tale applicazione, non comprometta: il livello di tutela previsto dalla Carta (come interpretato dalla Corte) né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione. Qualora il grado di tutela del diritto fondamentale sia stato cristallizzato nel diritto dell’Unione a seguito di un bilanciamento normativo, la Corte non ammette che uno Stato membro pretenda di applicare il proprio livello di protezione maggiore. La Carta deve essere applicata in maniera che il livello di protezione assicurato dalla Carta ai diritti tutelati anche dalla CEDU sia almeno equivalente a quello garantito dalla CEDU (clausola di salvaguardia – art 52 par. 3). Resta salva la possibilità che il diritto dell’unione preveda un livello di tutela addirittura superiore. Ugualmente resta salva la possibilità che la Carta protegga diritti non coperti affatto dalla CEDU. I principi generali e la Carta dei diritti fondamentali assolvono una funzione strumentale, in quanto influiscono sull’applicazione di norme materiali derivanti da altre fonti. I principi generali: - vengono in rilievo come criteri interpretativi; - fungono da parametro di legittimità per gli atti delle istituzioni; - operano indirettamente da parametro di legittimità per alcuni comportamenti degli Stati membri. Per contestare, allo Stato membro, una violazione di un principio generale o di un diritto fondamentale occorre un collegamento tra il comportamento dello Stato membro e il diritto dell’Unione: occorre, in altri termini, che lo Stato membro abbia agito per attuare una norma dei trattati o un atto delle istituzioni. I comportamenti degli Stati membri confliggenti con i diritti dell’uomo, anche se privi di collegamento con il campo di applicazione dei trattati, possono essere oggetto della procedura di controllo e sanzione prevista ex art. 7 TUE. L’obbligo di rispettare i principi generali del diritto e i diritti fondamentali vale per tutto il campo di attività dell’Unione, comprese la PESC e la Cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale. Atti che non hanno mai carattere legislativo. L’adattamento dell’ordinamento italiano al diritto dell’Unione europea. L’ordine di esecuzione dei trattati è stato dato con la medesima legge con cui il Parlamento italiano ha autorizzato la ratifica del trattato stesso da parte del Capo dello Stato, ex art. 80 Cost. In assenza di una norma costituzionale specifica, si è ritenuto poter ricondurre l’adesione italiana all’Unione all’art. 11 Cost. “consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. L’art. 11 Cost. è norma permissiva e procedurale. Più difficile è il risultato il compito di assicurare l’attuazione in Italia del diritto secondario o derivato. Le maggiori difficoltà si sono avute riguardo alle direttive. Inizialmente si ricorreva allo strumento della delega legislativa al governo ex art. 76 Cost. ma si avevano problemi di ordine giuridico. La L. 234/2012 contempla due distinti provvedimenti: - La legge delegazione europea. Utilizza la delega legislativa al governo ex art. 76 Cost. e può contenere disposizioni che autorizzano il Governo all’attuazione delle direttive in via regolamentare (procedendo alla delegificazione). - La legge europea. Dà attuazione diretta agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione attraverso l’abrogazione o la modifica di disposizioni statali vigenti. Tale legge si occupa anche dell’attuazione del diritto dell’Unione da parte delle Regioni. DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA E SOGGETTI DEGLI ORDINAMENTI INTERNI Nell’ordinamento dell’Unione la titolarità della soggettività giuridica spetta agli Stati membri e agli individui. La capacità delle norme dell’ordinamento dell’Unione di rivolgersi direttamente ai cittadini degli Stati membri comporta che tali norme presentano una dimensione internazionale e una dimensione interna. Di tipo internazionalistico sono i rapporti giuridici che il diritto dell’Unione fa sorgere in capo agli Stati membri e all’Unione stessa. Ad una dimensione interna all’ordinamento di ciascuno Stato membro osserviamo i rapporti giuridici, sia orizzontali sia verticali, interessati dal diritto dell’Unione che coinvolgono soggetti di tali ordinamenti. La norma comunitaria produce effetti diretti/gode di efficacia diretta negli ordinamenti interni e nei confronti dei soggetti riconosciuti da tali ordinamenti. L’efficacia diretta implica che il soggetto nei cui confronti la norma produce effetti favorevoli può pretendere il rispetto da parte dell’altro soggetto del rapporto (efficacia diretta in senso sostanziale). In caso di mancato rispetto, l’efficacia diretta comporta anche l’invocabilità in giudizio. N.B. L’applicabilità diretta in senso stresso, nel senso di non necessità di misure di attuazione da parte degli Stati membri, è riservata ai soli regolamenti. L’efficacia diretta è una caratteristica che può essere presente anche in altre fonti del diritto dell’Unione. L’efficacia diretta non costituisce l’unica forma attraverso cui le norme dell’Unione assumono rilevanza normativa interna. La giurisprudenza ha individuato due forme di efficacia indiretta: 1) Interpretazione conforme . Il diritto dell’Unione anche non direttamente applicabile ha un valore interpretativo cogente rispetto alle norme interne. 2) Risarcimento del danno . La mancata attuazione di una norma dell’Unione anche se non direttamente efficace fa sorgere, in capo a coloro che sono stati danneggiati dalla mancata attuazione, il diritto al risarcimento del danno a carico dello Stato membro responsabile. L’efficacia diretta non è caratteristica propria di ogni norma dell’Unione. La capacità della norma dell’Unione di produrre effetti diretti costituisce questione attinente all’interpretazione della norma stessa e rientra nella competenza pregiudiziale della Corte di Giustizia. Nell’indagine volta a stabilire se una norma dell’Unione abbia o meno efficacia diretta, la Corte mira ad individuare nella norma alcune caratteristiche sostanziali: - La sufficiente precisione . La norma deve contenere un precetto sufficientemente definito, specificante: il titolare dell’obbligo, il titolare del diritto e il contenuto del diritto-obbligo creato dalla norma stessa. Può accadere che una stessa norma sia considerata sufficientemente precisa per determinati fini e non per altri: la diretta efficacia si determina anche in funzione del contenuto del diritto che si intende azionare. - L’incondizionatezza . Assenza di clausole che subordinano l’applicazione della norma ad ulteriori interventi normativi da parte degli Stati membri o delle istituzioni dell’Unione, ovvero consentano agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità nell’applicazione. Tali presupposti assumono importanza decisiva quando la norma di diritto dell’Unione abbia l’effetto di determinare o di aggravare la responsabilità pensale dei singoli. Ai fini dell’efficacia diretta, la destinatarietà formale della norma non ha alcun rilievo. In linea di massima, i presupposti dell’efficacia diretta sono gli stessi qualunque sia il tipo di norma dell’Unione. Le caratteristiche proprie di ciascuna fonte portano ad alcune differenze di approccio e a soluzioni particolari. Le norme dei trattati producono effetti diretti tanto nei rapporti verticali, quanto nei rapporti orizzontali. La Carta dei diritti fondamentali contiene norme che godono di efficacia diretta, tuttavia ex art. 52 par. 5 della stessa le disposizioni contenenti principi non sarebbero in grado di produrre effetti diretti. Per gli accordi internazionali conclusi dall’Unione con Stati terzi occorre dimostrare che la natura e la struttura dell’accordo permettono di riconoscere effetti diretti alle sue disposizioni in generale e, successivamente, è necessario provare che la disposizione invocata sia sufficientemente precisa e incondizionata. Riguardo ai regolamenti, il problema della efficacia diretta presenta scarsa rilevanza in quanto le disposizioni in essi producono sempre effetti diretti. Una certa attenuazione si ha in caso di regolamenti che richiedono (esplicitamente o implicitamente) l’adozione, ad opera degli Stati membri, di provvedimenti integrativi o esecutivi. Le direttive, per loro natura, non sono concepite come fonte di effetti diretti: di regola hanno un’efficacia normativa meramente indiretta o mediata. Di effetti diretti di una direttiva non può parlarsi se non dopo la scadenza del termine di attuazione concesso agli Stati membri. L’unico caso di efficacia diretta anticipata potrebbe darsi nell’ipotesi di attuazione completa effettuata prima della scadenza del termine. La giurisprudenza, tuttavia, ha riconosciuto anche alle direttive non attuate la possibilità di produrre effetti diretti: soltanto efficacia diretta verticale – la Corte riconosce una nozione ampia di soggetto pubblico. Per le decisioni la Corte di Giustizia ha stabilito l’applicazione delle stesse limitazioni previste per le direttive. L’individuazione di forme di efficacia indiretta del diritto dell’Unione è stata valorizzata in particolare rispetto alle direttive. La prima forma di efficacia indiretta consiste nell’obbligo di interpretazione conforme: quando sono chiamati ad applicare norme interne, gli operatori giuridici e i giudici sono tenuti ad interpretarle in conformità con il diritto dell’Unione, anche se questo non è direttamente efficace. Tale obbligo si ricollega all’obbligo di leale collaborazione. La Corte ha poi chiarito che l’obbligo in questione riguarda “tutto il diritto nazionale” , senza alcuna distinzione . L’obbligo di interpretazione conforme incontra alcuni limiti : 1) L’obbligo è subordinato all’esistenza del margine di discrezionalità. L’interprete, tra più interpretazioni possibili della norma interna, ha obbligo di scegliere l’interpretazione maggiormente conforme alle esigenze del diritto dell’Unione. “L’obbligo di interpretazione conforme non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale”. Se la norma interna è contraria alla norma dell’Unione, l’obbligo viene meno. 2) L’obbligo non sorge prima della scadenza del termine di attuazione della direttiva in questione. La Corte afferma che nell’adempiere al proprio obbligo di interpretazione conforme, il giudice deve osservare i principi generali del diritto, in particolare: certezza del diritto, irretroattività e quelli a tutela dei diritti fondamentali. L’interpretazione conforme non può portare ad un aggravamento della responsabilità penale degli individui. Nell’efficacia diretta il giudice disapplica la norma interna confliggente con la norma dell’Unione. Nell’interpretazione conforme il giudice applica la norma interna ma interpretandola in modo aderente a quella dell’Unione. Un’altra forma di efficacia indiretta consiste nel riconoscere che la norma dell’Unione, anche se non direttamente efficace, è fonte di un diritto al risarcimento del danno. Le condizioni perché il diritto al risarcimento sorga sono: 1) La norma dell’Unione violata deve essere diretta a conferire diritti ai singoli danneggiati, il cui contenuto possa essere individuato in base alla norma stessa; 2) La violazione della norma deve essere sufficientemente grave e manifesta; 3) Tra la violazione e il danno deve esistere un nesso di causalità diretto. Le condizioni formali e sostanziali per l’esercizio del diritto al risarcimento dipendono dalle varie legislazioni nazionali, salvo il rispetto dei limiti che tali legislazioni devono osservare quando si applicano ad azioni aventi ad oggetto diritti che trovano la loro fonte in norme dell’Unione. La tutela processuale dei diritti derivanti da norme dell’Unione. Salvo eventuali interventi di armonizzazione da parte delle istituzioni dell’Unione, la definizione degli aspetti processuali spetta all’ordinamento dello Stato membro nel cui ambito la norma dell’Unione è azionata [principio dell’autonomia processuale degli Stati membri] . Tale principio non è assoluto, perché possa valere deve rispettare le seguenti condizioni: - Principio di equivalenza. La Corte ha affermato che la limitazione della sua competenza in ambito PESC costituisce un’eccezione alla regola generale ex art. 19 TUE. Ricorso per infrazione - artt.258 e 259 TFUE. Per Stato membro va inteso lo Stato-organizzazione, comprensivo di tutte le articolazioni in cui è organizzato l’esercizio del potere pubblico sul territorio statale. L’oggetto del ricorso può riguardare la violazione di qualsiasi obbligo derivante direttamente dai trattati o dagli atti adottati in base ad essi. Sono previste alcune eccezioni per cui il ricorso per infrazione non è esperibile: 1) rispetto del divieto di disavanzi eccessivi (art. 126 TFUE); 2) le materie rientranti nella PESC; 3) alcune violazioni dei diritti dell’uomo da parte degli Stati membri. Il ricorso è esperibile soltanto qualora il comportamento di uno Stato membro che si sostiene comporti violazione dei diritti dell’uomo sia stato adottato dallo Stato membro in attuazione di una norma contenuta nei trattati o di un atto delle istituzioni o comunque rientri nel campo di applicazione del diritto dell’Unione. La violazione è presa in considerazione nel suo obiettivo manifestarsi. Non è necessario dimostrare la presenza di un atteggiamento psicologico di colpa o dolo da parte dello Stati membro o dei suoi organi. Lo Stato membro non può addurre giustificazioni tratte da eventi interni, né può invocare particolari difficoltà, né può addure morivi fondati su cause di forza maggiore o di ordine pubblico. Il procedimento varia a seconda del soggetto che ne assume l’iniziativa: la Commissione (art. 258) o lo Stato membro (art. 259). In entrambi i casi sono previste due fasi: a) una fase precontenziosa preliminare , che favorisce la composizione amichevole (evitando l’intervento della Corte) ed è condizione di ricevibilità del ricorso alla Corte. b) una fase contenziosa vera e propria, svolgentesi dinanzi alla Corte. Prevede l’emanazione di una decisione giudiziaria. Ex art. 258 TFUE l’avvio del procedimento, di portarlo avanti con maggiore o minore celerità e di porvi termine spettano alla Commissione. La fase precontenziosa si articola: a) invio allo Stato membro di un atto non formale (lettera di messa in mora), con cui la Commissione invita lo Stato membro a presentare le proprie osservazioni in un termine stabilito. b) Presentazione delle osservazioni da parte dello Stato membro. In mancanza la Commissione può passare alla fase successiva. c) Emissione di un parere motivato non vincolante, mediante il quale la Commissione espone in via definitiva gli addebiti mossi allo Stato e lo invita a conformarsi entro il termine fissato. Il potere di constatare l’infrazione spetta alla Corte. Ne consegue che lo Stato membro non è obbligato a conformarsi al parere motivato, lo farà soltanto se preferisce evitare il ricorso alla Corte di Giustizia. Il passaggio alla fase contenziosa è possibile soltanto una volta che il termine fissato sia decorso invano. Ex art. 258 c.2 TFUE “qualora lo Stato non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di Giustizia” – la Commissione non è obbligata a ricorrere alla Corte, né a farlo in un tempo predeterminato. Una volta presentato il ricorso alla Corte, l’eventuale eliminazione da parte dello Stato membro della violazione contestata non comporta alcuna conseguenza sull’esito del giudizio a meno che la Commissione non accetti di rinunciare al ricorso: la situazione di infrazione si cristallizza al momento della presentazione del ricorso. Spetta alla Commissione l’onere di dimostrare l’esistenza dell’inadempimento dedotto e di fornire le prove necessarie. Lo Stato può solo confutare gli argomenti della Commissione, non può eccepire. La fase contenziosa termina con sentenza di mero accertamento: la Corte si limita a riconoscere che lo Stato membro ha mancato ad un obbligo derivante dai trattati. Lo Stato membro “è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta”; la sentenza non indica a quali adempimenti ed entro quanto lo Stato dovrà provvedere. La mancata o ritardata adozione dei provvedimenti necessari a conformarsi alla sentenza può indurre la Commissione ad avviare nei confronti dello Stato membro un secondo procedimento di infrazione per violazione ex art. 260 TFUE, con la possibilità di emanazione di una vera e propria sentenza di condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria. Disciplina speciale, ex art. 260 par. 3 TFUE, è prevista per le infrazioni consistenti nel non aver comunicato “le misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa” poiché la sanzione piò intervenire già all’esito del primo procedimento di infrazione. Ex art. 259 TFUE il procedimento è avviato ad iniziativa di uno Stato membro. È l’unico mezzo per risolvere una controversia tra Stati membri circa il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati. - Lo Stato membro deve rivolgersi alla Commissione chiedendole di agire nei confronti dell’altro Stato membro; - La Commissione deve porre in condizione gli Stati interessati “di presentare in contraddittorio le loro osservazioni scritte”; - La Commissione emette un parere motivato. Se il parere non è stato formulato in un termine di 3 mesi dalla domanda, il primo Stato può presentare ricorso direttamente alla Corte Ricorso di annullamento - artt. 263 e ss. TFUE. Forma principale di controllo giurisdizionale di legittimità prevista per gli atti delle istituzioni, mirante ad ottenere l’annullamento degli atti che risultino viziati. Ex art. 263 gli atti impugnabili sono: - gli atti di tutte le istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione ad eccezione della Corte di giustizia e della Corte dei conti (autore). - tutti gli atti legislativi (tipo). - gli atti non legislativi destinati a produrre “effetti giuridici nei confronti dei terzi” (effetti). La legittimazione attiva spetta a tre categorie: - i ricorrenti privilegiati. Gli Stati membri, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione possono proporre ricorso contro qualunque atto e non devo dimostrare alcun specifico interesse a ricorrere. Il loro diritto di ricorso ha portata generale. - I ricorrenti intermedi. La Corte dei conti, la BCE e il Comitato delle regioni possono ricorrere solo sostenendo che l’atto impugnato invade la sfera riservata alle loro competenze o ne pregiudica l’esercizio. - I ricorrenti non privilegiati. Persone fisiche e giuridiche possono ricorrere se ne hanno interesse in quanto destinatari dell’atto, se l’atto lo riguarda direttamente e individualmente o se l’atto lo riguarda direttamente. I vizi di legittimità (ex art. 263 c.2 TFUE) che possono essere fatti valere nell’ambito di un ricorso d’annullamento sono: - L’incompetenza. Può essere interna nel caso in cui l’istituzione che emette l’atto non ha il potere di farlo, perché tale potere spetta ad altra istituzione. Può essere esterna quando nessuna istituzione ha il potere di emanare l’atto, che non rientra affatto nella competenza dell’Unione ma in quella degli Stati membri. - La violazione di norme sostanziali. Sussiste quando non sono rispettati i requisiti formali di tale importanza da influire sul contenuto dell’atto. Può trattarsi di forme relative al procedimento o attengono all’atto in quanto tale (es. motivazione). - La violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione. Può riguardare la violazione di qualunque norna giuridica che sia da considerare superiore rispetto all’atto impugnato, compresi i principi generali, i principi del diritto internazionale generale e gli accordi internazionali. - Lo sviamento di potere. Si ha quando un’istituzione emana un atto che ha il potere di adottare, perseguendo però scopi diversi da quelli per i quali il potere le è stato attribuito. Il termine di ricorso è di 2 mesi. Decorre: a) Dalla pubblicazione sulla GU, se l’atto è pubblicato; b) Dalla notificazione, se l’atto è stato notificato. Vale solo per il destinatario della notificazione; c) In mancanza di pubblicazione o notifica, dal giorno in cui il ricorrente ha avuto conoscenza dell’atto. Ex art. 264 TFUE “se il ricorso è fondato, la Corte dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato”. La sentenza di annullamento ha portata generale e retroattiva: l’atto è nulla erga omnes e la nullità retroagisce al momento in cui l’atto è stato emanato. *L’annullamento dell’atto può essere anche solo parziale. “Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi”, trattasi di eccezione alla regola generale. Ex art. 266 c.1 TFUE “l’istituzione, l’organo o l’organismo da cui emana l’atto annullato […] sono tenuti a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione comporta”. È fatto salvo il diritto degli interessati a far valere la responsabilità extracontrattuale dell’autore dell’atto annullato. Il controllo sugli atti delle istituzioni esercitato dalla Corte è un controllo di mera legittimità: la sentenza si limita ad annullare l’atto. La facoltà di rinvio implica che questi sono liberi di scegliere se sollevare o meno le questioni di diritto dell’Unione davanti alla Corte di Giustizia indipendentemente dalla richiesta delle parti (anche d’ufficio). Tale libertà si estende inoltre alla scelta del momento di rinvio, secondo la Corte potrebbe essere opportuno che siano già stati accertati i fatti e siano già state risolte le questioni di diritto interno. La facoltà di rinvio non può essere limitata per effetto di norme processuali nazionali. - Nel secondo caso di decisioni contro le quali non è possibile proporre ricorso giurisdizionale di diritto interno, vi è obbligo di rinvio. Se il giudice di ultima istanza ritiene di non essere obbligato a sollevare un rinvio pregiudiziale è tenuto a fornire motivazione del suo rifiuto di rivolgersi alla Corte. È stato introdotto un obbligo di rinvio anche per i giudici non di ultima istanza ma solo per le questioni pregiudiziali di validità: se un giudice non di ultima istanza ritiene fondati i motivi di invalidità addotti dalle parti riguardo ad un atto delle istituzioni, è tenuto a rinviare alla Corte la relativa questione pregiudiziale. La competenza pregiudiziale della Corte può riguardare: - Questioni pregiudiziali di interpretazione . Possono avere ad oggetto trattati e gli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi e dagli organismi dell’Unione. La Corte non può procede all’applicazione di norme dell’Unione alla fattispecie oggetto del giudizio pendente dinanzi al giudice nazionale, né procedere all’interpretazione di norme degli Stati membri o pronunciarsi sull’incompatibilità di una norma nazionale con norme dell’Unione. La Corte accetta di pronunciarsi anche se le norme dell’Unione oggetto della questione non sono applicabili al caso di specie in quanto tale ma in virtù di un richiamo operato da norme interne. - Questioni pregiudiziali di validità. Possono avere ad oggetto soltanto gli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi e dagli organismi dell’Unione. Le sentenze pregiudiziali vincolano il giudice che aveva effettuato il rinvio, questi non può discostarsene. Può soltanto, qualora lo ritenga necessario, adire nuovamente la Corte per chiedere ulteriori chiarimenti. Le sentenze pregiudiziali hanno valore generale. In linea di principio hanno valore retroattivo, tuttavia tale valore deve essere conciliato con il principio generale della certezza del diritto. Inoltre la Corte si riserva il potere di limitare nel tempo la portata delle proprie sentenze pregiudiziali. LE COMPETENZE DELL’UNIONE EUROPEA. Il principio di attribuzione è caratteristica essenziale dell’ordinamento e riguarda la struttura costituzionale dell’Unione. La regola generale è la competenza degli Stati. Ex art. 5 TUE “l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti”. Il principio di attribuzione esige che per ciascun atto dell’Unione venga indicata la base giuridica su cui l’atto è fondato. La Corte di Giustizia ha ammesso che, in mancanza di un’espressa attribuzione di poteri, l’Unione possa essere considerata competente quando l’esercizio di un potere sia indispensabile per l’esercizio di un potere espressamente previsto ovvero per il raggiungimento degli obiettivi dell’ente (teoria dei poteri impliciti). Attraverso la clausola di flessibilità, i trattati prevedono una deroga parziale al principio della competenza di attribuzione. Ex art. 352 TFUE occorre che siano soddisfatte alcune condizioni: - La necessità dell’azione; - La mancata previsione di adeguati poteri; - L’esclusione di misure di armonizzazione nei settori in cui non sono previste, volta ad impedire il raggiro dei limiti posti dai trattati alla competenza delle istituzioni. Ex art. 352 è affidata alle istituzioni la scelta del tipo di atto da adottare. Ex art.2 TFUE le competenze dell’Unione si distinguono in: 1) Competenze esclusive . Caratteristiche: esistenza del potere di adottare atti legislativi o vincolanti soltanto in capo all’Unione; assenza del potere di adottare atti del genere in capo agli Stati membri anche in caso di inazione dell’Unione; potere degli Stati membri di agire soltanto se autorizzati dall’Unione e se si tratta di atti destinati a dare attuazione ad atti dell’Unione. L’art. 3 TFUE fornisce un elenco tassativo dei settori di competenza esclusiva: - Unione doganale; - Definizioni delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; - Politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l’euro; - Conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della polita comune della pesca; - Politica commerciale comune. 2) Competenze concorrenti. Caratteristiche: coesistenza del potere di adottare atti legislativi e vincolanti in capo sia all’Unione sia agli Stati membri; pienezza del potere degli Stati membri finché l’Unione resta inerte; riacquisto del potere di azione da parte degli Stati membri nella misura in cui l’Unione decide di cessare di esercitare la propria competenza. In forza del principio di leale collaborazione, gli Stati membri sono tenuti ad astenersi “da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione”. Nei settori di competenza concorrente, l’estensione e la sopravvivenza della competenza degli Stati membri dipendono dai tempi e dai modi con cui la competenza dell’Unione viene esercitata. L’art. 4 TFUE fornisce un elenco dei settori di competenza concorrente: - Mercato interno; - Politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato; - Coesione economica, sociale e territoriale; - Agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare; - Ambiente; - Protezione dei consumatori; - Trasporti; - Reti trans-europee; - Energia; - Spazio di libertà, sicurezza e giustizia; - Problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato; - La ricerca, lo sviluppo tecnologico e lo spazio; - La cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario. 3) Competenze di sostegno, coordinamento e completamento. Caratteristiche: la competenza dell’Unione è esercitata in parallelo con la competenza degli Stati membri, attraverso azioni destinate a sostenere, coordinare o integrare quelle degli Stati membri; l’esercizio della competenza dell’Unione non può mai sostituirsi a quella degli Stati membri o portare ad un suo progressivo svuotamento. L’art. 6 TFUE fornisce un elenco tassativo delle competenze di sostegno: a) Tutela e miglioramento della salute umana; b) Industria; c) Cultura; d) Turismo; e) Istruzione, formazione professionale, gioventù e sport; f) Protezione civile; g) Cooperazione amministrativa. Il principio di sussidiarietà. Art. 5 TFUE “l’esercizio delle competenze dell’Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e di proporzionalità”. Il principio di sussidiarietà vale soltanto nei settori che non sono di competenza esclusiva dell’Unione (anche nel settore PESC). Nel settore della competenza concorrente, esso costituisce una garanzia per gli Stati membri. In astratto il principio dovrebbe essere neutrale, consentendo di dare preferenza alla azione statale o alla azione dell’Unione sulla base di un giudizio di efficienza relativa - giudizio basato sull’esame obiettivo mirante ad assicurare il migliore risultato. Per come è formulato e per come è inteso, tuttavia esprime un favor per l’azione statale: l’azione statale va preferita soltanto se assicura il raggiungimento degli obiettivi prescelti in misura sufficiente. Il principio di sussidiarietà dà luogo a non pochi problemi in sede di applicazione. Il controllo del rispetto del principio è affidato ai parlamenti nazionali attraverso i meccanismi del cartellino giallo e del cartellino arancione. La Corte di Giustizia opera un controllo con estrema prudenza, tenendo conto che la scelta di considerare un atto conforme al principio di sussidiarietà spetta alla sfera di discrezionalità politica che deve essere riservata alle istituzioni, verificano “se l’obiettivo dell’azione progettata potesse essere meglio realizzato a livello comunitario” e che l’azione comunitaria non abbia “oltrepassato la misura necessaria per realizzare l’obiettivo cui tale azione è diretta”. Il principio di proporzionalità. Art. 5 TUE “In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati”. Tale principio ha la funzione di tutelare gli Stati membri da interventi dell’Unione di portata ingiustificatamente ampia. La competenza a concludere accordi internazionali – cd competenza esterna. Non ha portata illimitata: essa soggiace al principio di attribuzione. Ex art. 216 par. 1 TFUE - l’Unione è dotata di competenza esterna nei seguenti casi: - Competenza esterna normativamente prevista . a) Casi in cui la conclusione di un accordo è prevista dai trattati; - Competenza esterna parallela – cd principio del parallelismo dei poteri interni ed esterni . b) Casi in cui la conclusione di un accordo è necessaria per la realizzazione di uno degli obiettivi fissati dai trattati, nell’ambito delle politiche dell’Unione (preventiva);
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