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Riassunto Dispensa Frequentanti (Prof.Pellegrini), Teologia 1, Appunti di Teologia

Riassunto completamente sostituitivo della dispensa per frequentanti della Prof.ssa Pellegrini per l'esame di TEOLOGIA 1 (corso di laurea: Psicologia e scienze della formazione). Vengono riassunte non solo le parti da studaire, ma anche quelle da LEGGERE ATTENTAMENTE (vengono chieste per chi vuole prendere voti alti)

Tipologia: Appunti

2018/2019

In vendita dal 19/02/2019

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Scarica Riassunto Dispensa Frequentanti (Prof.Pellegrini), Teologia 1 e più Appunti in PDF di Teologia solo su Docsity! CAPITOLO 1 Premessa La rivelazione di Dio è il movimento di Dio verso l’uomo. Il cristianesimo è una religione rivelata in quanto nata a partire da una rivelazione divina: Dio si è fatto conoscere. La teologia si chiede come sia avvenuta questa rivelazione. La Dei Verbum È la fonte più autorevole per trovare una risposta adeguata. La Dei Verbum è la Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione emanata da Concilio Vaticano II del 1962-65. È un documento con valore normativo per tutti i credenti, ovvero è un punto di riferimento assolutamente necessario perché proclama il primato della Parola di Dio. È scritta in latino e tradotta in tutte le lingue. Il testo è dedicato alla parola di Dio che originariamente è la rivelazione storica e personale del Dio vivente avvenuta nella storia d’Israele. La parola di Dio è la luce del Verbo, è il Signore Gesù, la predicazione della chiesa apostolica, la Sacra Scrittura. Il Concilio Vaticano II in questo documento affronta e riformula temi dottrinali, metodologici, pastorali di grande importanza SCHEMA DELLA DEI VERBUM CAPITOLO I La rivelazione di Dio e la fede CAPITOLO II La trasmissione della divina rivelazione CAPITOLO III -L’ispirazione divina -Verità -Interpretazione à Della Sacra Scrittura CAPITOLO IV Il valore dell’Antico Testamento CAPITOLO V La centralità del Nuovo Testamento e il suo valore storico CAPITOLO VI La centralità della Sacra Scrittura nella vita della chiesa A. la storia della salvezza: dio parla agli uomini come ad amici (DV N.2) Il cap. I della DV parla della Divina rivelazione. La chiesa parla della rivelazione in prospettiva personalistica e cristologica e non più intellettualistica. Essa presenza la rivelazione come un atto di amore gratuito da parte di Dio, egli si comunica gratuitamente all’uomo. La rivelazione ha un carattere personale, un carattere storico-salvifico, ha un carattere cristocentrico 1. La rivelazione è un atto libero e gratuito di Dio Attraverso l’interesse verso l’uomo, l’amore immenso per l’umanità, Dio rivela progressivamente il mistero della sua persona, che trova piena manifestazione nel Signore Gesù. Dio di rivela perché gli uomini abbiano accesso al padre. L’amore di Dio diventa capace di generare nell’uomo la capacità di amare, come lui ama. Lo scopo della rivelazione è stabilire con dio un rapporto autentico, una profonda relazione interpersonale. 2. La rivelazione ha carattere personale Il DV presenta la rivelazione in chiave personalistica: appare come comunicazione di Dio che per sua iniziativa ha voluto parlare di sé. Dio è un essere personale, che conosce, ama, si esprime ed è capace di entrare in rapporto con l’uomo. La rivelazione di Dio non mette prima di tutto l'uomo di fronte a qualcosa, una dottrina, una morale…, ma lo mette di fronte a "Qualcuno", ovvero Dio vivente che si è rivelato pienamente nella persona di Gesù. Dio parla, il suo stile è confidenziale, di affetto, di amicizia. Il linguaggio è un evento, parlare significa molte cose: comunicare contenuti, rivelare sé stessi, rivelare i propri sentimenti, affetti, significa entrare in dialogo, aspettarsi risposte… la filosofia ha dimostrato che il linguaggio umano è un evento attraverso cui l’uomo rivela il suo mistero personale e si pone in dialogo con gli altri. Ogni comunicazione svolge tre funzioni contemporaneamente: • funzione informativa à il soggetto dà delle informazioni • Funzione espressiva à il soggetto manifesta la su dimensione interiore • Funzione appellativa à il soggetto entra in dialogo con gli altri. La parola di Dio è un evento. L’atto stesso del parlare di Dio consente all’uomo di fare una reale esperienza di Lui, Israele fu il primo popolo che sperimentò nella storia il parlare di Dio. Dio parla agli uomini come ad amici e questo è importante perché parlare tra amici significa condividere qualcosa, donare qualcosa di sé, significa anche percepire oltre le parole dette, percepire il vissuto profondo di quella persona e la volontà di condividerlo. Ma parlare tra amici significa anche essere consapevoli che rimarrà sempre un mistero, una parte sconosciuto dell'altro. La rivelazione mette l’uomo in contatto con l’intimità personale di Dio, ma non annulla il suo mistero. Dio è sempre oltre ciò che l’uomo percepisce, il suo mistero è inesauribile. La rivelazione diventa quindi svelamento e velamento di Dio. La rivelazione rivela anche il suo carattere dialogico, la risposta si ha con la fede dell'uomo. Il coinvolgimento dell’uomo si chiama fede. L’obiettivo della DV è di far sentire all’uomo contemporaneo la bontà e la sapienza di Dio, la sua amicizia, perché il cuore sia mosso e conquistato dalla bellezza del mistero di Dio. 3. La rivelazione ha carattere storico salvifico Dio si rivela nella storia. Tutto cominciò con l'elezione di Israele, popolo scelto da Dio per il bene dell'umanità e per preparare, lungo i secoli, la via all'evangelo. Essere eletti significa avere una grande responsabilità. La Dei Verbum accenna sinteticamente ad alcuni grandi protagonisti che hanno condotto Israele a riconoscere Dio: o Abramo à primo pagano a diventare credente. Egli divenne il punto di appoggio per salvare l'intera umanità e arrivare a benedire il mondo e tutte le nazioni. Racconto nella Genesi o Mosè à Dio gli parla dal roveto ardente, attraverso lui libera il popolo dall'Egitto, li dona la legge/Torah che contiene le istruzioni per condurre Israele a vivere l'alleanza. Racconto nell'Esodo o Profeti à sono uomini di Dio che predicano durante momenti più critici della vita d'Israele. Denunciano la cattiva condotta dei re e richiamano il popolo a vivere nella giustizia e nella pace. L'esperienza che Israele fa di Dio costituisce una lenta e lunga preparazione all'evangelo, Dio fa in modo che questo popolo conosca progressivamente il Dio vero e maturi dentro la storia l'attesa del Messia che rivelerà definitivamente il vero e autentico volto di Dio. La rivelazione viene presentata del DV come "economia" che avviene nella storia attraverso le opere e parole di Dio. Economica à Dio non agisce con una serie di interventi staccati, ma agisce seguendo un paino stabilito, pensato, ordinato e unitario. 4. La rivelazione ha carattere cristocentrico La rivelazione trova la sua pienezza in Gesù, raggiunge il suo vertice. Gesù è il mediatore, è la parola del padre, rivela il volto del padre. In Cristo morto e risorto, la rivelazione approda dunque alla sua forma definitiva, quindi questo evento ha il valore di criterio assoluto per interpretare il mistero di Dio. Gesù è inviato dal padre con un duplice scopo: dimorare con gli uomini e rivelare i segreti di Dio. È il Verbo fatto carne, è Dio che si fa uomo venendo a condividere tutto nell’umanità, tranne il peccato. Egli si fece realmente uomo, ebbe una famiglia, un paese natale, una cultura, appartenne a un popolo, si calò in una situazione sociale e politica. Tutto questo lo accettò e lo decise liberamente in accordo con il Padre. Per il cristianesimo non si può conoscere pienamente Dio se non conoscendo Gesù, e non si può conoscere Gesù se non conoscendo i Vangeli che sono la testimonianza dei suoi discepoli. Nessuna apparizione o rivelazione nuova potrà mai aggiungere nulla di nuovo a quanto già detto da Cristo, non ci si deve aspettare nessuna nuova rivelazione pubblica. Dio non ha più niente da dire all’uomo? Con Gesù la rivelazione è giunta a compimento e dunque è terminata la fase costitutiva; la fase di ricezione, invece, continua durante tutta la vita della chiesa. Durante questa fase il significato della Rivelazione viene sempre più approfondito e ricompreso, questa fase continuerà fino alla fine dei tempi. CAPITOLO 4 A. che cos'è il vangelo? Vangelo non è una parola di origine cristiana, esisteva già nel mondo greco profano. Inizialmente veniva usata per indicare una vittoria militare, un messaggio di salvezza, una notizia particolarmente importante che riempiva di gioia. Il termine deriva dal greco euaggelion letteralmente buona notizia. Nella comunità cristiana del I secolo il termine vangelo non rimandava ai testi scritti, soltanto nel II secolo iniziò ad essere utilizzato pe indicare gli scritti di Marco, Matteo, Luca e Giovanni. B. la formazione dei vangeli Gli esegeti attraverso uno studio attento dei vangeli e delle letture del nuovo testamento hanno individuato tre tappe della loro formazione: 1. Evento Gesù Cristo à vicenda storica di Gesù, egli ha parlato, agito, ma non ha scritto nulla. Non ha ordinato ai suoi discepoli di scrivere, ma solo di predicare. Ciò che le Scritture dell'antico testamento annunciavano si realizzano. 2. Predicazione degli apostoli à vita della Chiesa delle origini (30-65) che nasce per opera dello spirito santo dopo la morte e resurrezione di Gesù. Attorno agli apostoli si comincia a formare una comunità di credenti che ricevendo il battesimo vanno a formare la prima Chiesa. Negli Atti verranno descritte le vicende della prima comunità cristiano, sottolineando i 4 pilastri della comunità: a. Insegnamento degli apostoli b. Comunione fraterna c. Frazione del pane (eucarestia) d. Preghiere Nella comunità gli apostoli contiamo a fare memoria delle parole e delle esperienze di vita di Gesù. Inizia una predicazione orale del vangelo, catechesi, che consente alla prima comunità di approfondire e conoscere ampiamente il mistero di Cristo. Gli apostoli ricomprendono più profondamente le parole e opere di Gesù. In questo ampio intervallo di tempo il vangelo viene trasmesso oralmente, interpretato e attualizzato dento le comunità cristiane. In questo periodo si forma quella che possiamo chiamare il deposito della fede, ovvero le tradizioni orali su Gesù, le prime tradizioni scritte, tutte quelle fonti da cui gli evangelisti attingeranno per la stesura dei loro vangeli 3. Redazione dei vangeli àla predicazione orale di Gesù viene messa per iscritto tra il 65 e il 110 d.C. molto probabilmente questi testi vennero poi chiamati vangeli perché vennero riconosciuto come contenenti la verità dell’“evangelo", cioè della "lieta notizia". Non sono delle biografie su Gesù (ci sono grandi lacune biografiche), sono un racconto teologico, sono delle attestazioni di fede, ovvero degli scritti attraverso i quali è offerta al lettore la testimonianza credente dei discepoli di Gesù e delle prime generazioni cristiane. Tutti i vangeli trattano di Gesù, ma ogni evangelista presenta il mistero di Gesù con sottolineatura e accentuazioni differenti e proprie. Gli evangelisti usano linguaggi diversi perché sono rivolti a comunità cristiane differenti (giudaismo, paganesimo…). L'esistenza dei quattro vangeli dipende da un'operazioni complessa definita discernimento ecclesiale à fin da subito i quattro vangeli vennero considerati come scritti sacri e ispirati. Questo è accaduto nei primi secoli dell'era cristiano. I primi tre vangeli (Marco, Matteo, Luca) sono molto simili tra loro e vengono definiti Vangeli sinottici --> sinottici = con uno sguardo unico, viene usato per indicare che i tre vangeli si possono leggere con un unico sguardo, disponendo il testo su tre colonne parallele. Questo apre quella che viene definita la questione sinottica, ovvero i rapporti di dipendenza tra i primi tre vangeli. Il primo vangeli scritto fu molto probabilmente quello di Marco, al quale seguì quello di Matteo, Luca e per ultimo quello di Giovani (fine del primo secolo, inizio del secondo). Il vangelo di Marco molto probabilmente divenne una fonte sia per il vangelo di Matteo di per quello di Luca. Tuttavia, esistono degli episodi che sono presenti sia in Matteo sia in Luca, ma non in Marco. Allora si ipotizza l'esistenza di una fonte comune tra i due, la fonte Q. Inoltre, si riconosce l'esistenza di fonte separate sia per il vangelo di Matteo sia per quello di luca I vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni sono vangeli definiti canonici che si differenziano dai vangeli apocrifi e gnostici. A. Vangeli canonici à parte del canone delle sacre scritture. Sono sacri e ispirati, sorti in ambiente apostolico, costudiscono la tradizione dei testimoni oculari e riportano il fatto storico. Sono utilizzati dalle Chiesa e sono testi normativi B. Vangeli apocrifi à scritti che vanno dal II al V secolo d.C. Non sono sorti in ambiente apostolico. Sono stati scritti con l'intenzione di aggiungere notizie o rivelazioni nascoste su Gesù che non sono presenti nei vangeli canonici, da qui il nome apocrifi (apocrifo = tenere nascosto, in filosofia indica un sapere segreto per pochi). Domina l'elemento fantasioso, la magia. Narrano una visione ingenua della divinità di Gesù C. Vangeli gnostici à sorgono da sette gnostiche, incorporano elementi della filosofia platonica, altre religioni e del cristianesimo. Non incompatibili con la fede scristiana e quella testimoniata dagli apostoli. C. L'autenticità dei Vangeli: approcci e criteri La Dei Verbum afferma la storicità dei vangeli. Gli esegeti hanno studiato il valore storico dei vangeli. Questo lavoro è stato condotto attraverso diversi approcci: • Approccio fondato su criteri di storicità. • Approccio fondato sulla spiegazione sufficiente. • Approccio fondato sulla testimonianza. Approccio fondato su criteri di storicità Comprende tre criteri: criterio della molteplice attestazione, criterio della discontinuità, criterio della continuità. Tutti i criteri devono essere soddisfatti contemporaneamente. 1. Il criterio della molteplice attestazione afferma che è da ritenersi autentico un dato evangelico quando è attestato in tutte, o quasi tutte, le fonti della tradizione perché esse siano diverse e indipendenti tra loro. Questo criterio è di uso corrente nella storia universale. Si basa sulla convergenza e sull'indipendenza delle fonti. Questo criterio permette di riconoscere come storicamente attendibili i tratti essenziali della figura di Gesù, come l'amore per i poveri, rifiuto di essere u Messia politico, predicazioni… 2. Il criterio della discontinuità afferma che è da considerarsi autentico un dato evangelico che costituisce qualcosa di unico e originale in rapporto ad ogni altra letteratura, qualcosa di irriducibili sia alle concezioni del giudaismo sia a quelle della chiesa delle origini. Es. Gesù chiama Dio "Abba", l'atteggiamento di Gesù di fronte alla Torah… da solo non è sufficiente a farci ricostruire tutta la storia autentica di Gesù, se valesse solo questo criterio arriveremo ad avere u profilo di Gesù simile a quello di un marziano, vissuto fuori dallo spazio e dal tempo. Per questo motivo utilizziamo il suo complementare, ovvero il criterio della continuità. 3. Il criterio della continuità afferma che è da ritenersi autentico un dato evangelico che è conforme con l’ambiente palestinese e giudaico al tempo di Gesù, quale noi lo conosciamo dalla storia, dall’archeologia e dalla letteratura. Questo criterio dice che si possono accettare come autentici quei dati della storia di Gesù che: a) si inseriscono bene nel contesto ambientale dei suoi tempi b) e si accordano con il nucleo originale del suo messaggio. Esempi: livello storico politico sono attendibili i personaggi politici, livello geografici sono presenti dati topografici attendibili e lo stesso vale per i dati raccolti a livello culturale e religioso. à i criteri di discontinuità e continuità si completano a vicenda. Il primo rivela Gesù come persona originale e unica, il secondo consente di situare Gesù nella storia. Approccio fondato sulla spiegazione sufficiente Se c’è un evento occorre risalire ad una spiegazione sufficiente che giustifichi adeguatamente tale evento. Questo criterio viene usato abitualmente nella storia, nel diritto. Es. i miracoli di Gesù esigono una spiegazione sufficiente che è quella della unicità della sua persona nella quale agisce la potenza di Dio. Approccio fondato sulla testimonianza Identificare la fonte di una determinata notizia, i suoi portatori, verificare se siano in possesso dei requisiti indispensabili per essere accettati come testimoni attendibili. Approccio usato normalmente in campo storiografico. Si indaga sugli evangelisti e sulla comunità primitiva. La comunità primitiva ha tre importanti caratteristiche: 1. Comunità tradizionaleà proclama un messaggio di cui non è padrona, al quale nulla si può aggiungere, togliere o modificare. La tradizione che si riceve, si trasmette con fedeltà. 2. Comunità gerarchica à gli apostoli intervengono con autorità per correggere eventuali deviazioni dottrinali. 3. Comunità testimoniale à gli apostoli sono stati scelti come testimoni oculari. Conclusione I tre approcci non si escludono a vicenda, ma sono complementari. Meditante il loro utilizzo, e di altri, gli studiosi sono giunti a ricostruire un quadro globale della vita e delle azioni di Gesù. Il Cristo di cui parlano i Vangeli è veramente il Gesù storico. Questo non significa che si può scrivere scientificamente una vita di Gesù. D. La teologia dei Vangeli IL VANGELO DI MARCO Marco non è un testimone oculare del ministero di Gesù. Raccoglie le predicazioni di Pietro e attinge alle tradizioni. Lo scritto si rivolge ad una comunità di origine pagana ed è stato scritto tra il 67 e il 70 circa. Marco vuole condurre i lettori a scoprire l’identità di Gesù. L’intero libro è percorso da un interrogativo: chi è Gesù? Marco punta tutta l’attenzione sulla figura di Gesù. Forse per la sua brevità è stato ritenuto il vangelo più povero e quindi meno letto. Usa un lessico, una sintassi e uno stile molto poveri. Usa dei semitismi, è povero come quantità di parole usate, usa parole aramaiche e si preoccupa sempre di tradurle, usa frequenti latinismi, abbondano i diminutivi. Sintassi poco curata, vicina allo stile popolare; interrompe spesso le frasi e le lascia in sospeso. Usa la costruzione perifrastica, il participio presente storico, la doppia negazione e il plurale impersonale. Sembra che il vangelo sia stato scritto per essere proclamato ed ascoltato. Tutto ciò non significa incapacità tecnica, ma indica la volontà di esprimere fortemente alcuni significati. Marco esprime l’umanità di Gesù, i suoi sentimenti ed emozioni. In questo vangelo, Gesù chiede a tutti di mantenere il segreto sulla sua identità, invita tutti a tacere, per questo viene chiamato il vangelo del segreto. Gesù impone il silenzio alla folla, agli ammalati guariti, ai discepoli, ai demoni. Perché da una parte Egli si manifesta e dall’altra si nasconde? Vi sono diverse spiegazioni: Alcuni sostengono che Gesù non si voleva proclamare come il Messia, ma questa spiegazione non ha fondamento. Altri sostengono che il segreto serve ad evitare dei malintesi sull’identità di Gesù, ma anche questa spiegazione non è soddisfacente. Il segreto si svela senza fraintendimenti sulla croce, quando il centurione pagano dice:” Quest’uomo era veramente il Figlio di Dio”. Il mistero di Cristo è così profondo che lo si può scoprire soltanto seguendo tutto il suo cammino siano alla morte e risurrezione. La narrazione del vangelo di marco INTRODUZIONE: Trittico Sinottico - Predicazione di Giovanni Battista a. (prima festa di pasqua): annuncio della "nuova economia". La testimonianza di Giovanni al Messia, il miracolo-segno delle nozze di Cana, il nuovo tempio, la nuova nascita, il nuovo culto; guarigione del figlio di un funzionario del re a Cana (4,46-54) b. (festa dei Giudei): il miracolo-segno della guarigione del paralitico alla piscina di Betzetà e prime opposizioni alla rivelazione di Gesù in Gerusalemme; c. (seconda festa di pasqua): Gesù compie in Galilea il miracolo-segno dei pani e si presenta come il pane di vita; Gesù cammina sulle acque (6,16-21); d. (festa dei tabernacoli): il miracolo-segno della guarigione del cieco nato, la grande rivelazione messianica a Gerusalemme e il grande rifiuto; e. (festa della dedicazione del tempio): il grande miracolo-segno della risurrezione di Lazzaro e la decisione del sinedrio di uccidere Gesù; f. (terza festa di pasqua): ultima rivelazione pubblica e incredulità dei Giudei. 2) IL LIBRO DELLA GLORIA (PIENAMENTE RIVELATA) a. La rivelazione confidenziale ai discepoli durante l'ultima cena (discorsi di addio); b. Il racconto della passione-morte (glorificazione di Gesù) c. La risurrezione di Gesù e la fede pasquale dei discepoli. + Prima conclusione EPILOGO: Apparizione di Gesù sul lago di Galilea + Seconda conclusione CAPITOLO 5 A. il regno di Dio Il nucleo della predicazione di Gesù è il "regno di Dio". Il tema è presente in tutte le fonti e sotto formule letterarie diverse come parabole, miracoli (criterio della molteplice attestazione). È un tema già presente nella cultura giudaica, ma non occupava un posto così centrale (criterio della discontinuità). Gesù non inventa l'idea del regno di Dio, ma gli conferisce un nuovo significato. Esso era già presente nell'antico testamento dove l'espressione era sinonimo di giustizia, speranza, salvezza e pace. L’espressione “Regno di Dio” indica quasi sempre la signoria di Dio stesso, Dio presente nella storia che soccorre i bisognosi. Quindi il Regno di Dio è una realtà dinamica della manifestazione potente e gloriosa di Dio. Nella cultura giudaica contemporanea a Gesù, il regno di Dio veniva visto come una realtà da attendere. Tra loro regnava ancora l'ingiustizia, l'emarginazione, ma avevano fede nella parola di Dio in quanto egli realizza quello che promette. I Giudei attendevano il regno di Dio, il modo dell'avvento del regno varia a seconda del gruppo politico- religioso: A. Farisei à regno nel momento in cui Israele avesse praticato perfettamente la legge di Dio B. Zeloti à nel momento in cui si sarebbe manifestata la sovranità religiosa-politica di Israele, anche con la lotta armata C. Apocalittici à regno di Dio coincide con la fine del modo e la venuta dei cieli e terra nuova. La novità della nozione “Regno di Dio” per Gesù: Gesù parla del regno in mondo del tutto nuovo e originale affermando che il regno si è fatto vicino ed è già presente. Gesù stesso non è solo l'annunciatore del regno di Dio, ma il protagonista e il soggetto attivo di questo evento. Con la sua attività egli stabilisce un legame unico tra la sua persona e Dio. Attraverso lui Dio manifesta il suo amore. Inoltre, annuncia che i destinatari privilegiati di questo regno sono: • Poveri • Bambini --> all'epoca i bambini come gli schiavi e le donne erano considerati senza diritti • Peccatori --> tra cui i pubblicani (ebrei esattori delle tasse per i romani), prostitute, pagani Il regno di Dio è un dono di grazia e perdono per tutti, il regno di Dio non discrimina nessuno, spezza via goni privilegio e discriminazione. B. L'annuncio del regno attraverso le parabole Gesù non dà mai una definizione di "Regno di Dio", egli preferisce farlo percepire attraverso il linguaggio parabolico. Perché Gesù parla in parabole? A. La parabola descrive dei comportamenti Nella parabola l'azione è significativa. I personaggi sono importanti per quello che fanno e non fanno, per il modo in cui si atteggiano e si comportano con gli altri. Gesù utilizza le parabole per fari capire al meglio i comportamenti in cui vuole che le persone si impegnino e quelli da cui dovrebbero allontanarsi. Le parabole servono per far comprendere il comportamento di Dio che però non viene mai descritto direttamente. Le parabole insegnano in modo molto concreto, semplice, immediato. Sono molto realistiche, le situazioni, le reazioni nel bene o nel male sono normali, reali. Proprio per questo realismo esse hanno una forza persuasiva notevole 1. La parabola ha una funzione dialogica argomentativa: l'effetto parabola La parabola è uno strumento di dialogo. È un racconto fittizio che utilizza una strategia dialogico- argomentativa. Non è un racconto costruito per il gusto di narrare, ma ha un obiettivo preciso. Il racconto è costruito per suscitare un certo effetto, per condurre l'ascoltatore ad un nuovo convincimento. Il racconto di per se non è una parabola se non implica un dialogo, un rapporto diretto tra chi parla e chi ascolta. La parabola prima sollecita chi ascolta C. la parabola ha lo scopo di rivelare Per parlare di Dio bisogna partire dalla nostra esperienza. Con la parabola si può esprimere qualcosa di ulteriore e di più profondo. È una forma particolare di annuncio, ha lo scopo di spianare la via rimuovendo pregiudizi e ostacoli. Aiuta a suggerire un punto di vista da adottare. C. spiegazione di alcune parabole 1. Le parabole del seme A. INTRODUZIONE NARRATIVA vv. 1-2 [1]Cominciò di nuovo cominciò a insegnare lungo il mare. Si riunì intorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere, stando in mare, mentre la folla era a terra lungo la riva. [2]Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: B. PARABOLA DEL SEMINATORE vv. 3-9 [3]« Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. [4]Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. [5]Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra, e subito germogliò perché il terreno non era profondo, [6]ma quando il sole, fu bruciata e, non avendo radice, seccò. [7]Un'altra parte cadde tra i rovi e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. [8]Altre parti caddero sul terreno buono, e diedero frutto; spuntarono, crebbero, e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». [9]E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». C. DIALOGO TRA I DISCEPOLI E GESÙ VV. 10- 25 [10]Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: [11]«A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto viene esposto in parabole, [12]affinchè: guardino sì, ma non vedano, ascoltino sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato». Gesù spiega la parabola del seminatore [13]E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? [14]Il seminatore semina la parola. [15]Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la parola, ma quando l'ascoltano, subito viene satana, e porta via la Parola seminata in loro. [16]Quelli seminati --> Gesù parlando alla folla semina in loro la Parola. Il verbo “insegnare” è ripetuto due volte (una volta è usato il sostantivo "insegnamento"): Gesù viene visto come un Maestro, si sottolinea l’importanza del comunicare. --> Si apre e si chiude con l’imperativo “ascoltate!”. È un invito all’attenzione e alla riflessione per comprendere le cose che stanno per essere dette. Ascoltare non è il semplice sentire, è insieme ascoltare, capire e obbedire, implica, quindi, un coinvolgimento totale della persona. "orecchi" = intelligenza, la parabola è qualcosa che bisogna decifrare e che richiede attenzione della mente e del cuore. Gesù, quindi, chiede un ascolto intelligente, un ascolto riflessivo che porti a delle domande. Non è una disposizione di tutti! Il centro dell'attenzione è rivolta alla sorte del seme (i verbi si riferiscono al seme). Nella parabola, infatti, viene descritta la sorte del seme in quattro quadri progressivi, tre negativi e uno positivo. I prime tre rappresentano un fallimento , l'ultimo il successo. Il contadino semina con fiducia senza preoccuparsi di eventualmente perdere parte del seme, perché non pretende che il seme germogli sempre e ovunque, ma ha la certezza che in qualche parte esso germoglierà. Essa vuole far comprendere a chi ascolta le dinamiche della crescita del Regno di Dio: di fronte al fallimento Gesù non si scoraggia, ma continua a fidarsi; dona la parola a tutti, in sovrabbondanza, tanto che sembra sprecata, ma in realtà non è spreco, ma gratuità ed amore incondizionato. Gesù vuole far comprendere come è consapevole che la sua Parola incontri rifiuti e ostacoli, ma il successo non sarà impedito per questo motivo. --> Nel colloquio privato Gesù è interrogato dai Dodici e da altri discepoli i quali dimostrano di non aver capito il senso della parabola. Gesù fa intendere che è possibile avere nei suoi confronti diversi atteggiamenti: si può essere come i discepoli, aperti ad incontrarlo ed incoraggiarlo, oppure come “quelli di fuori” che si chiudono, se ne vanno e spesso giudicano e accusano Gesù. Gesù non sta dividendo le persone in due categorie, i credenti e non credenti, ma sta fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». cambiare i suoi progetti, si impegna per lui anche per il futuro, impegna persone esterne (albergatore). Tutto ciò senza voler nulla in cambio. "ebbe compassione", il verbo in greco richiamata l'amore incondizionato, gratuito materno. La compassione è dunque l'amore divino. --> la questiono non è chi è il prossimo, ma è quello di essere soggetti attivo di misericordia, Gesù invita il suo interlocutore a vedere nell'altro un amico da amare 3. Le tre parabole della misericordia Le parabole sono indirizzate agli scribi e farisei che mormorano scandalizzati la familiarità con i pubblicani e peccatori Le tre parabole si articolano su elementi comuni, le prime due sono gemelle, l’ultima è più sviluppata e si comprende meglio alla luce delle precedenti. Caratteristiche comuni: • Il protagonista subisce la perdita di un bene. • Ciò che si perde o colui che si perde si allontana da qualcosa o da qualcuno. • Ricerca ostinata e perseverante da parte dei protagonisti. • Ritrovamento di ciò che si era smarrito. • Al ritrovamento segue un’intensa gioia. 1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola: La pecora perduta 4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. La moneta perduta 8 Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia --> Gesù accoglie i peccatori e mangia con loro. Sedere alla stessa mensa era ritenuto un segno di comunione. Era un gesto di rottura con le leggi della comunità giudaica che vietavano la comunanza con tali persone se non erano dei pentiti. "mormorare" indica la tendenza di queste persone molte religiose a criticare, giudicare, a non perdonare. --> Può essere divisa in due scene: • La degradazione del figlio minore e l’incontro con il padre. • La contestazione del figlio maggiore e l’incontro con il padre. davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Il padre misericordioso (Il figlio prodigo) 11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. 25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha Il personaggio principale è il PADRE, è l'elemento che dà unità all'intera narrazione. Richiesta del figlio minore di avere la propria parte di eredità. In caso di necessità un figlio poteva chiederlo, ma qui il figlio non ha necessità, per cui la richiesta sembra assurda. Il padre acconsente, non lo rincorre. --> La decisione di tornare a casa avviene confrontando ciò che aveva e ciò che ha. Egli pensa di aver perso la sua condizione di figliolanza (divisione dei bene è già stata fatta), ma spera che il padre non gli precludi la situazione di salariato. Questo è il ragionamento di un uomo prostrato dalla fama, abbattuto, stanco. Simile al cammino del figlio minore è quello del peccatore che dopo aver sperimentato il degrado, il fallimento, l’umiliazione, la perdita della dignità a causa del male commesso, torna a Dio spinto dal senso di colpa e dal bisogno. --> il padre non lo rimprovera, non gli fa nemmeno finire di parlare. I suoi gesti sono pieni di commozione e di gioia incontenibile. I gesti del padre sottolineano anche come egli abbia sempre e continui a considerare il giovano suo figlio. Qui si rivela qual è il comportamento di Dio e di Gesù nei confronti dell'uomo peccatore: è il perdono incondizionato che rende possibile il cambiamento di vita, il pentimento, il riconoscimento degli errori. --> Il figlio maggiore rappresenta il punto di vista dei “mormoratori” che contestano Gesù. Il fratello si indegna. Il vero motivo dell'irritazione è quello che il padre ha dato al figlio minore. Egli imposta tutta la relazione con il padre nei termini di una prestazione da dare e di una ricompensa da ricevere. Per il figlio maggiore ognuno va amato nella misura in cui ha saputo meritarlo (mentalità diffusa). Qui vengono confrontate due logiche: logica della giustizia e la logica dell'amore. --> Il padre raccoglie in sé i caratteri più originali di Dio: è umile, compassionevole, ricco di speranza e largo nel perdono. Traspare il mistero di paternità di Dio caratterizzata da un amore totale ed appassionato per l’umanità intera. riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”». CAPITOLO 6 A. i miracoli Gesù trasmette il suo messaggio sul Regno non solo tramite parola, ma anche tramite le sue azioni. Le prassi più significative presentate nei Vangeli sono i miracoli. 1. La testimonianza evangelica sui miracoli I vangeli riportano circa 30 miracoli i quali riguardano guarigioni, esorcismi, miracoli sulla natura e di risurrezione. Nei Vangeli sinottici Gesù compie miracoli sono in Galilea, ad eccezione della guarigione del cieco in Samaria, mentre nel vangelo di Giovanni vengono raccontati i miracoli compiuti in Giudea e solo uno in Galilea. Ogni evangelista ha presentato i miracoli con una propria prospettiva teologica: Marco vede nei miracoli la potenza di Gesù; Matteo afferma che sono una dimostrazione che Gesù è il Messia e sono un appello a credere in lui; Luca afferma che sono segni di salvezza e di infinita misericordia; Giovanni sostiene che sono segni che anticipano la gloria. 2. La storicità dei miracoli La verifica storica sui miracoli incontra delle difficoltà, innanzitutto perché essi sono un evento soggetto a pregiudizio. I miracoli per definizione sono qualcosa che non corrispondono alle leggi della natura, sono qualcosa di non spiegabile scientificamente. L'attuabilità storica dei miracoli di Gesù si riconosce se si supera il pregiudizio illuministico-razionalistico per cui la verità è solo ciò che è compatibile con le leggi della natura per cui dimostrabile scientificamente. La critica storica ha applicato ai miracoli i criteri di storicità che risultano verificati, essi sono: A. Criterio di molteplice attestazione: l’attività taumaturgica di Gesù è attestata da tutte le fonti evangeliche e da varie fonti letterarie. B. Criterio di discontinuità o differenza: i miracoli hanno dei tratti caratteristici che li distinguono dall’ambiente ellenistico (miracoli stravaganti, fantasiosi, burleschi) e dall’ambiente giudaico (miracoli operati da rabbini, ma rari). Gesù compie i miracoli con estrema semplicità e sobrietà, il miracolo da lui compiuto è opera della forza della sua parola (pochi gesti simbolici, es. cieco). Gesù inoltre compie i miracoli non in nome di una divinità esterna, ma li compie in nome proprio. Egli compie i miracoli non fini a sé stessi, ma per instaurare un rapporto personale tra sé e il destinatario del miracolo stesso, devono condurre alla di relazione fede con lui. • Teoria dell’evoluzione à dopo la morte di Gesù i discepoli avrebbero riscoperto la validità del suo messaggio e affermarono la risurrezione in base alle promesse dell’AT e sotto l'influsso di altre religioni mistiche che credono nella morte e risurrezione • Teoria delle visioni à la risurrezione è frutto di visioni soggettive. Anche ai giorni nostri l'accettazione della risurrezione incontra delle resistenze. La risurrezione nel NT Le testimonianze del NT concordano nell’affermare che Gesù, dopo la morte, ha dimostrato di essere ancora vivo. Nessuno afferma di aver visto il Cristo nell'atto di risorgere dal sepolcro. Le diverse testimonianze sulla risurrezione vengono solitamente diviste in tre gruppi: 1. Professioni di fede e inni à proclamati durante le liturgie o i confessionali. Si tratta di pubbliche professioni di fede, delle forme abbastanza fisse. 2. Predicazione missionari o Kerigma à giustifica e fonda le confessioni di fede e gli inni. Mette in evidenza la fede cristiana, cioè l’adesione a Gesù che è vissuto in mezzo agli uomini, morto e risorto. 3. Narrazioni evangeliche: con narrazioni ampie e distese annunciano la risurrezione. Si trattano di due tipi di racconti: • ritrovamento del sepolcro vuoto à questi racconti contengono un dato storico, ovvero che la tomba è stata trovata vuota. Questo è considerato un dato certo sia perché tutti e quattro i vangeli concordano sia perché i primi testimoni del sepolcro vuoto sono le donne. All'epoca, per la tradizione rabbinica, la testimonianza delle donne era pari al nulla per cui il fatto che i vangeli diano importanza a questa testimonianza va controcorrente rispetto alla mentalità • apparizioni di Cristo risorto à Gesù si inserisce in maniera concreta nell'esperienza quotidiana. I quattro vangeli concordano con testimoniare che dopo la morte Gesù è apparto vivo, prima alle donne e poi ai discepoli. I racconti di Luca e Giovanni sulle apparizione agli Undici sono simili, prima Gesù si manifesta, i discepoli lo riconoscono (luca sottolinea la realtà corporea di Cristo), cristo li invita in missione. Il racconto di Marco invece non dà spazio al riconoscimento e al dubbio, ma i discepoli certi della presenza di Cristo risorto decidono di intraprendere l'attività missionaria. Oltre a queste apparizioni Luca e Giovanni riferiscono altre due episodi: l'apparizione ai discepoli di Emmaus e quella a Maria di Magdala. Il linguaggio delle testimonianze bibliche sulla risurrezione Due tipi di linguaggio: 1. Linguaggio della risurrezione à è presente nelle confessioni di fede, nella predicazione missionaria e nelle narrazioni evangeliche (Luca e Giovanni in particolare). Sottolinea l’aspetto temporale: prima muore, dopo torna in vita (asse prima-dopo). Questo sottolinea come il Risorto (dopo) sia lo stesso Gesù di Nazareth (prima). Da solo però è un linguaggio con dei limiti perché non esprime sufficientemente la novità di vita, è un linguaggio che potrebbe insinuare che la risurrezione si auna semplice rianimazione, qualcosa di simile all'evento di Lazzaro. 2. Linguaggio dell’esaltazione à presenta uno schema spaziale, dal basso all’alto, dalla condizione di umiliazione a quella di glorificazione alla destra di Dio. Usa verbi tipici come "innalzare", "salire" … si trova negli inni, nelle confessioni di fede e nei vangeli (Matteo specialmente). Con questo linguaggio si sottolinea la novità della condizione di Cristo risolto che ore è divenuto signore dell'universo. B. il significato della risurrezione di Cristo Premessa Domanda fondamentale: la risurrezione di Cristo è un avvenimento storico realmente accaduto? È una domanda importante perché se Cristo non fosse risuscitato allora il cristianesimo non esisterebbe. Il problema della sua storicità è delicato perché la risurrezione non è solo un fatto straordinario, ma anche un mistero di salvezza. È un avvenimento escatologico, anzi è l'avvenimento escatologico per eccellenza. La testimonianza del nuovo testamento afferma che la risurrezione di Cristo è un fatto reale che riguarda non solo la nostra fede in cristo, ma riguarda Cristo stesso, e afferma che il Cristo risolto è lo stesso Gesù storico. Per affrontare la storicità della risurrezione bisogna chiarire e fare una distinzione tra "storico" e "reale". Storico è qualcosa che si realizza nel tempo e che si può descrivere, analizzare con i metodi di indagine storica stabilendo delle relazioni di causa-effetto Reale è qualcosa che c’è ma che è difficile da spiegare (es. amore). Le testimonianze del NT vogliono dire che la risurrezione è un fatto reale che va al di là di ciò che è storico: infatti è qualcosa di inspiegabile dovuto alla potenza di Dio, non ha analogie con le nostre esperienze, è qualcosa di assolutamente nuovo come la creazione. Essa, però, ha lasciato delle tracce nella storia come le apparizioni, la trasformazione dei discepoli e la nascita della comunità cristiana. Chi nega la risurrezione rifiutando come "non storiche" le testimonianze del Nuovo Testamento deve provare, storicamente e psicologicamente, come sia stato possibile che dopo la morte di Gesù sia potuto risuonare l'annuncio della sua risurrezione. Tra la morte di Gesù e la nascita del cristianesimo deve per forza essere intervenuto un avvenimento capace di far diventare la morte in croce di Gesù come elemento basilare di questa fede. La risurrezione di Cristo è un avvenimento carico di significato 1. La risurrezione è importante perché è la risposta divina all’ingiustizia umana che aveva condannato Gesù. Con la risurrezione Dio riabilita pubblicamente Gesù e la sua opera. Così nasce l'interesse per la storia e le azioni di Gesù. Questo avvenimento conferisce profondità di significato e validità al parlare, agire, vivere e morire del Gesù storico. Con la risurrezione Dio si è identificato con colui che si identificava con Dio 2. è azione sovrana della potenza di Dio. Per parlare della risurrezione il NT usa verbi attivi dei quali Dio è soggetto e dei verbi passivi in cui l'agente riamane sempre e comunque Dio. Comunque, più di risurrezione bisognerebbe parlare di risuscitazione o di risuscitamento, perché così si mette in risalto l'umanità di Cristo. 3. Con la risurrezione Gesù è associato così alla potenza di Dio. Si parla di risurrezione corporea con cui si sottolinea che l'intera persona del Signore si trova definitivamente presso Dio e che il Risorto mantiene il suo riferimento al mondo e agli esseri umani. Gesù viene infatti indicato con il titolo di "Signore" che indica sia l'uguaglianza con Dio sia il dinamismo di salvezza che si sprigiona dal Risorto 4. Nel risorto vediamo la meta del nostro cammino. La morte e la sofferenza umana cessano di essere un assurdo, pur rimanendo un mistero. Per il cristiano la risurrezione di Cristo è motivo di speranza nelle situazioni più disperate. I pagani per esempio erano a conoscenza di questo tanto che negli "atti dei martiri di Lione" si riferisce come i persecutori pagani bruciassero i corpi dei martiri e gettassero le ceneri nel Rodano per non lasciare ai cristiani la speranza della risurrezione. 5. La risurrezione fonda la speranza del credente. La speranza non è passiva, ma è impegno attivo per trasformare tutto ciò che è opaco rispetto al futuro mondo della risurrezione. La risurrezione non è solo l'accettazione di un fatto passato e di un avvenimento futuro, ma è qualcosa che riguarda il presente, perché con essa è entrata nel mondo la forza stessa di Dio che fa nascere la vita dalla morte. CAPITOLO 8 A. il libro della bibbia La Bibbia è il libro più diffuso e tradotto in tutto il mondo. È il libro che ha lasciato le tracce più significative, arte, letteratura, musica, costumi dei popoli si sono ispirati alla Bibbia. È documento centrale della religione ebraica (Tanak) e cristiana (AT+NT), ma è anche stimata nel mondo islamico. Essa affronta le domande esistenziali che assillano e inquietano ogni uomo e richiedono una risposta per poter vivere (es. perché esiste il male? Che volto ha Dio?). È una grande opera letteraria, un testo classico, letterario e storico che parla a tutti. La Bibbia è per l'uomo, è per chi porta in sé domande e dubbi, speranze e certezze, è per chi non smette mai di cercare con tenacia e passione il senso profondo della vita. B. Il significato dei termini • Bibbia à deriva dal greco biblos e significa “libretto”. Viene così chiamata perché è composta da molti libri di vario genere, scritti in tempi diversi e da molti autori. • I titoli Antico Testamento (Nb. NON si chiama Vecchio testamento) e Nuovo Testamento sono stati introdotti una volta completata la Bibbia. • Testamento à traduce la parola ebraica Berit = alleanza / patto o Nell’AT si fa riferimento all’Alleanza, al patto che Dio ha stipulato con Noè, con Abramo, con Israele anche se quest’ultimo spesso romperà l’Alleanza, ma Dio, la rinnova continuamente lungo la storia. o Nel NT si fa riferimento a questa nuova Alleanza che si compie in Gesù, attraverso cui l'uomo ridiventa capace di scoprire la paternità di Dio. Tutti i libri dell'AT sono stati scritti prima della nascita di Cristo, dal X seco al 50 a.C., quelli del NT dopo la nascita di Cristo, dal 50 d.C. al 110 d.C. C. Le lingue della Bibbia Le lingue principali sono tre: ebraico, aramaico, greco. L’AT è scritto quasi tutto in ebraico, tranne sette libri in aramaico e alcuni libri in greco La lingua ebraica è una lingua semitica consonantica, ovvero è costituita solo da 22 consonanti. Il lettore conoscendo la lingua, vedendo le consonanti pronunciava le parole con le vocali. Solo dopo i masoreti, IX secolo d.C, vocalizzarono il testo biblico, per evitare errori di lettura, realizzando quello che viene chiamato il testo masoretico. Il NT è scritto in greco della koinè, la lingua popolare diffusa anche in oriente tramite le conquiste di Alessandro Magno. L'aramaico è la lingua che gradualmente sostituì l'ebraico tra il 700 e 300 a.C., è la lingua parlata da Gesù e apostoli, anche se l'ebraico resta la lingua del culto. D. la Tanak degli ebrei, la bibbia dei cristiani cattolici e quella dei protestanti Gli Ebrei considerano sacri e ispirati solo i testi più antichi dell’Antico Testamento scritti in ebraico. Non riconoscono i 7 libri scritti in greco. La Bibbia dei cristiani-cattolici ha 73 libri, quella delle chiese cristiane-protestanti ne ha 66, quella degli ebrei ne ha solo 39. La Bibbia dei cristiani-cattolici riconosce oltre all’AT ebraico altri 7 libri presi dalla Bibbia della LXX. I cristiani-protestanti seguono per l’AT la Bibbia degli Ebrei, ma per il NT seguono l’elenco della Chiesa cattolica. 4. I libri PROFETICI raccontano le parole e le vicende dei profeti che Dio suscita per parlare al popolo attraverso loro. o Il profeta è colui che parla prima degli altri, che dice in anticipo ciò che accadrà. Sono quegli uomini che Dio ha chiamato per predicare durante i momenti più difficili di Israele, hanno richiamato il popolo a vivere nella giustizia e nella pace condannando la cattiva condotta dei re. Il profeta partecipa alla vita politica, sociale e culturale del suo popolo senza, però, voler essere un politico. I quattro grandi profeti sono Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele. 2. Il messaggio del Nuovo Testamento È costituito da 27 scritti: 1. Vangeli à vedi capitolo 4 2. Atti degli apostoli: scritto da Luca, inizia con l’ascensione di Gesù al cielo e con la discesa dello Spirito sugli apostoli. Si sviluppa con la narrazione delle vicende della testimonianza apostolica. 3. Lettere di Paolo: lettere inviate alle comunità cristiane fondate nel corso dei suoi viaggi. A San Paolo si deve la diffusione del vangelo oltre i confini del territorio di Israele, in Asia minore e in Europa. Le lettere di paolo vengono suddivise in: lettere maggiori, lettere "pastorali", lettera a Filemone. Vi è anche la lettera agli Ebrei che però non fu scritta da Paolo 4. Lettere cattoliche: scritte da alcuni apostoli ed inviate a tutta la chiesa e non a una comunità specifica 5. Apocalisse: il termine significa "rivelazione". Scritto di Giovanni centrato sulla rivelazione di Cristo Risorto, non ha come interesse principale la fine del mondo, ma vuole rivelare il fine della storia. Gesù Cristo è il fine, la realtà definitiva, la misura di ogni realtà. È un libro denso di simbolismo che occorre conoscere e decodificare altrimenti il testo risulta incomprensibile (non bisogna farne una lettura fondamentalista) CAPITOLO 9 A. L'ispirazione della sacra scrittura Per i cristiani la bibbia è parola di Dio, viene sottolineato durante la celebrazione dell'Eucarestia quando viene letto un brano dell'AT a fine lettura viene pronunciato "parola di Dio". È un testo ispirato, un’opera scritta da molti uomini, ma anche opera di Dio. L’ispirazione è infatti quell’azione dello Spirito Santo o Spirito di Dio in forza del quale la Rivelazione si è fatta parola umana ed ha assunto la forma di un testo scritto: la bibbia. La DV afferma che: 1. La Sacra scrittura è un libro scritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo e quindi ha Dio come autore. 2. Gli autori sono veri autori. 1. La sacra scrittura è un libro scritto sotto l'ispirazione dello Spirito Santo Si può dire che la bibbia ha Dio per autore. Dio non è l'autore letterario, non ha scritto lui i libri, ma le scritture provengono da un’azione misteriosa dello Spirito che ha mosso tutti e ha diretto tutti coloro che hanno ricevuto il carisma di scrivere e di trasmettere in linguaggio umano la parola di Dio. La chiesa ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell'antico testamento sia del nuovo testamento. Questi sono ritenuti tali non perché proclamati come tali dal Concilio di Trento (1546), ma sono stati ritenuti Parola di Dio dal momento in cui sono stati scritti, fin dal tempo della chiesa apostolica. Gli autori dell’AT- Gesù- gli autori del NT. Nell’AT non troviamo l’affermazione esplicita dell’ispirazione di questi testi, ma gli autori hanno coscienza di essere guidati da Dio. o Nei libri profetici i profeti sanno che c’è una parola potente a suscitare in loro ciò di cui devono parlare, questo è evidente nelle formule profetiche che ricorrono frequentemente come "dice il Signore", "oracolo del Signore"… o Nei libri sapienziali lo Spirito accompagna e guida gli autori alla luce della fede. L'ispirazione qui è più nascosta, misteriosa. o Nei libri storici gli autori interpretano i fatti storici alla luce della fede raccogliendo documentazioni antiche. Gesù considera i libri dell’AT sacri. Conferisce alla sua parola un’autorità divina: ha coscienza di essere più di un profeta. Gesù è la parola divina che diventa carne, egli non usa formule profetiche, ma afferma, egli si presenta come la rivelazione suprema e definitiva di Dio. Negli autori del NT lo Spirito agisce con forza e potenza, manifestano direttamente o indirettamente la coscienza di annunciare una parola che proviene dall'alto. Fin da subito nella chiesa delle origini vi è la consapevolezza che gli scritti apostolici sono sullo stesso piano di quelli dell'Antico Testamento. Per i cristiani non ci sono libri più ispirati di altri, l'antico testamento permette di comprendere il NT, il Nuovo Testamento permette di dare luce all'AT. 2. Gli autori sono veri autori Sono veri autori dei quali Dio si servì nel pieno possesso delle loro facoltà e capacità. Lo Spirito non soffoca, non mortifica, non distrugge l'uomo, ma eleva l’umano affinché possa esprimere il divino. L'ispirazione non deve essere intesa come uno scritto meccanico di ciò che Dio dettava. Dio li ha scelti, ha agito in loro e attraverso di loro. Ognuno ha scritto con il suo stile, il suo talento, ognuno si è espresso con il suo linguaggio, con la cultura del suo tempo. 3. La realtà divino-umana della sacra scrittura: analogia con il mistero dell'incarnazione Dire che la Bibbia è "Parola di Dio" significa che le Sacre Scritture sono un libro di fede. Significa che la Bibbia ha la forza e la potenza di comunicare la rivelazione, la salvezza e la verità su Dio. Dio assume il linguaggio umano per rivelarsi in modo comprensibile agli uomini. B. La verità della Sacra Scrittura (Dv-Cap. III) La Bibbia può sbagliare? In che senso tutto ciò che è scritto nella Bibbia è vero? Si trovano errori e contraddizioni nella bibbia. Per capire meglio il problema facciamo un breve excursus storico per vedere come il tema della verità delle Sacre Scritture è stato affrontato Periodo dogmatico Va dal i al XVI secolo, è caratterizzato da una fiducia semplice e spontanea nella verità della bibbia. Periodo apologetico Nell’epoca moderna, dal XVII al XIX secolo, la dottrina della verità della bibbia divenne causa di gravi conflitti con il nascere della scienza. Tutto ebbe inizio con Galileo Galilei e le sue prove di conferma della teoria copernicana, ovvero sistema eliocentrico, contro il sistema tolemaico. Sistema tolemaico à la terra al centro dell'universo, è il sole a girare in torno al nostro pianeta Sistema eliocentrico à al centro dell'universo vi è il sole e la terra gira intorno al sole La dottrina astronomica eliocentrica smentiva un’affermazione della bibbia, mettendo in discussione il principio della Sacra Scrittura come esente da errori. L’affermazione è contenuta nel libro di Giosuè, nel capitolo in cui si racconta la vittoria del popolo di Israele sugli Amorrei, dove l’autore si esprime secondo la concezione geocentrica di Tolomeo. La difficoltà dei teologi ad ammettere un possibile errore nella bibbia era dovuta alla dottrina dell’inerranza (nella bibbia non ci possono essere errori!). La rivelazione era concepita come una "somma di verità" che Dio aveva rivelato agli uomini, per cui la Bibbia conteneva le conoscenze vere che Dio aveva fatto mettere per iscritto agli autori senza farli commettere errori. I teologi dell'epoca non capivano che accettando le scoperte di Galileo non si metteva in discussione la verità della bibbia, ma solo un certo modo di intendere questa verità. All'epoca, quindi, chi metteva in discussione delle affermazioni del testo biblico veniva condannato come eretico. Questa impostazione viene superato con il Concilio Vaticano II! Periodo ermeneutico Nel XX secolo i nuovi studi portano a nuove acquisizioni che si rivelano fondamentali anche per il nostro problema. Gli studi teologici affermano che la Rivelazione non è una somma di verità, ma la comunicazione progressiva di Dio compiutasi con Gesù. Gli studi biblici mettono in evidenza come la bibbia sia stata scritta da autori umani e quindi condizionata dai limiti della loro cultura. Nella fase ermeneutica ci si sforza di capire in che senso ciò che è scritto è vero. La verità della bibbia è il mistero di Cristo, nella Sacra Scrittura ci possono essere errori astronomici, geografici, inesattezza storiche perché la cultura dell'uomo antico non è uguale a quella di oggi. à La verità della Bibbia riguarda il mistero di Dio
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