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Riassunto e analisi contesto storico de Il Cortegiano, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto e analisi contesto storico de Il Cortegiano di Baldassare Castiglione

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 28/11/2020

Marta.uni997
Marta.uni997 🇮🇹

4.5

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Scarica Riassunto e analisi contesto storico de Il Cortegiano e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! 1 STORIA DEL RINASCIMENTO IL CORTEGIANO, BALDASSARE CASTIGLIONE Castiglione è uno dei personaggi più importanti del suo tempo, Il Cortegiano tocca problemi quali: la formazione del cortigiano; il rapporto cortigiano- principe; la conversazione a corte; il ruolo della donna di corte; l’amore. Per questi motivi il trattato ha avuto molto successo sia in Italia sia in Europa. Siamo in possesso di diverse copie della prima edizione del Cortegiano 1513- 1518, edizione del 1528. È il trattato più importante del periodo in Italia; l’opera è ambientata nel 1507 alla corte di Urbino. Molti personaggi dell’opera, intellettuali saranno morti quando verrà pubblicato. Il “Cortegiano” è un libro politico perché riguarda i rapporti tra gli uomini; lo scopo è quello di regolare i rapporti tra principe e cortigiano e del ruolo di quest’ultimo in un luogo politico, la corte. Il cortigiano sa sia come condurre una conversazione futile, sia consigliare il principe in situazioni delicate. Nell’uomo non si possono dividere e separare la forma dalla sostanza, fanno parte di una cosa sola, così dev’essere il cortigiano, di lui fanno parte sia le conversazioni futili sia i consigli in diverse situazioni. Il cortigiano di BC deve avere delle virtù naturali ma educarle, non lasciarle selvagge; avviene così una rivalutazione della concezione negativa del cortigiano. Con libro di BC, avviene anche una rivalutazione dei compiti del cortigiano: principale è quello dell’uomo d’armi, ma non solo, l’uomo d’armi viene definito come un guerriero al servizio di un principe guerriero, come Ludovico il Moro, un principe guerriero che proteggeva, stimolava e promuoveva l’arte. La maggior parte dei cortigiani erano uomini d’arme. Nel libro, queste e altre mansioni seguono e condizionano i principi, come una corrente a doppia circolazione, condizionandosi l’un l’altro. A questo nuovo cortigiano vengono richieste altre capacità oltre a quelle militari: vengono richieste capacità diplomatiche, culturali ed artistiche. Inizia così la politica dell’immagine: l’unione tra arte e politica era ritenuta un segno di ricchezza e di potenza economica; nel 1400 il possedimento di denaro, la ricchezza, nel campo artistico era molto influente, infatti, il denaro era il mezzo della promozione culturale. L’indipendenza economica del principe non era accolta con la visione rigida di Machiavelli, ma con la visione di BC, ovvero che le opere non dovevano eccedere nello sfarzo 2 ma, dovevano eccedere nella ricchezza artistica che si trovava all’interno dell’opera poiché la ricchezza proponeva una morale. Libro primo: viene presentato da Ludovico di Canossa, ed espone le qualità fisiche e morali del cortigiano, successivamente viene dato spazio alla formazione che dovrà avere durante il suo percorso. Questi, oltre ad essere sano, forte, nobile e uomo d’armi deve essere anche esperto nelle arti liberali, una caratteristica presente solo in ambito italiano, che solo successivamente si diffonderà anche in Europa. È qui esposto il concetto di sprezzatura: ossia la capacità che il cortigiano deve avere di apparire naturale in determinate situazioni, anche se in realtà obbedisce a regole precise (ad esempio quando balla non deve far capire che sta seguendo certe regole ma deve far sembrare tutto spontaneo. Castiglione condanna dunque l’affettazione, ossia lo sforzo e la ricercatezza. Tali idee si richiamano all’idea estetica del tempo cioè che l’arte deve imitare la natura ma poi scomparire senza lasciare traccia di sé. Per tale motivo si deve usare la grazia, ossia la capacità di dominio del proprio corpo. Libro secondo: presentato da Federico Fregoso, vengono illustrati i modi e le occasioni in cui il cortigiano deve mostrare le virtù; dunque, è dedicato a come essere piacevoli nel parlare (con ispirazione al De Oratore di Cicerone), anche qui si stabilisce il principio della misura adeguando il nostro rapporto in base alla persona con cui stiamo parlando. Libro terzo: presentato da Giuliano de’ Medici ed è dedicato alla donna di corte, che non va confusa con la cortigiana perché questa spesso era una prostituta, dunque Baldassare va contro la letteratura misogina che equiparava la donna di corte alla prostituta. La donna del Rinascimento diventa più importante e colta (esempio: donne poetesse); tuttavia, è più limitata dell’uomo, ha il compito di portare grazia a corte e deve saper praticare le arti. Come nel primo libro, anche qui Castiglione dà regole di comportamento, rivolte questa volta alla donna; di tutti e quattro i libri che compongono l’opera, l’autore realizza per primo proprio questo. Il quarto è presentato da Ottaviano Fregoso, e viene illustrato il rapporto tra il Cortegiano e il principe, viene diviso in due parti: - nella prima parte si parla del rapporto col principe, a corte il potere è molto sbilanciato poiché il cortigiano deve stare attento a come si comporta per avere il favore del principe. Il cortigiano con la sua saggezza deve dire la verità al principe e guidarlo. Tuttavia, ciò non è possibile a causa dello strapotere del principe. Nonostante ciò, Castiglione non rinuncia a cercare di nobilitare il cortigiano, gli affida tale compito per migliorare la realtà anche se solo idealmente. In questo contesto si trovano influenze sulla questione dell’adulazione nei confronti dei potenti, tema che ha origini antiche (orazioni di Demostene). La seconda metà del libro parla dell’amore: 5 (conversazione= forma di coesione degli elementi che vivono nella corte); il dialogo è una finzione, viene messo in scena dall’autore. Tra i trattati dialogici: - “Libro del Cortegiano” Baldassar Castiglione; - “Asolani” Pietro Bembo; - “Galateo” Giovanni Della Casa (1558, pubblicato postumo, suddiviso in 30 capitoletti, trova il suo precedente diretto nel libro del Cortegiano, non descrive la realtà ma il modo in cui la società che rappresenta vorrebbe che fosse; vi è il passaggio tra il personaggio descritto da Baldassare, circoscritto ad un determinato ambiente a quello descritto dal Galateo, dove il segretario si viene a sostituire all’uomo di corte, quindi si verifica il passaggio dal perfetto cortigiano all’uomo comune che doveva avere comunque quei comportamenti; non si tratta di valori universali ma si individuano i valori per arricchire gli uomini medi, non per tutti; viene trattato anche l’abbigliamento e si definisce che l’uomo deve essere vestito secondo la sua condizione di appartenenza e l’età, e se trasportato in una città straniera deve adattarsi alle usanze); - “Civil Conversazione” Stefano Guazzo, 1564 (incentrato sul tema del buon parlare, conversare; i protagonisti sono il fratello Guglielmo e il medico Annibale Magnocavalli; è suddiviso in quattro libri, in cui vengono trattati gli aspetti privati, la forma della civil conversazione…). Il Castiglione è ambientato nel 1507-08 alla corte di Urbino, nel 1507 papa Giulio II si ferma due giorni ad Urbino e alcuni della sua corte rimangono lì. Baldassarre immagina i dialoghi successivi alla sua partenza, ai quali non partecipa perché era in Inghilterra. Immagina che il contenuto di quei dialoghi gli sia stato riportato e lui lo abbia riscritto, la corte coincide con una città dove si esercita la vita politica: sono i principali luoghi di produzione artistica e culturale quindi le opere principali sono dedicate ai signori e ai principi. Il Cortegiano ha la funzione di ambasciatore, consigliatore del principe. Le principali corti italiane sono: Roma, la corte del papa; Napoli con la dinastia aragonese; Milano con i Visconti e gli Sforza; Urbino con i Montefeltro piccolissima corte, nata secondo il mito di Urbino dal nulla e divenuta corte di splendore. RINASCIMENTO/UMANESIMO: Il Cortegiano rappresenta il tipo d’uomo e di società totale del rinascimento. Vi è una nuova periodizzazione: il rinascimento viene allungato dal 1300 al 1600, difatti già con San Francesco (1200) e Dante (1300) nascono aspetti tipici del Rinascimento. In questa visione ci sono due fratture: fra il 1300 e il 1400 quella metodologica- filologica, attraverso cui nasce la moderna coscienza storica e filologica, è il tempo di Petrarca; nei primi decenni del 1500 quella linguistica, si afferma il ruolo del volgare come lingua 6 di cultura e vengono create le grammatiche (esempio: Bembo), ma continuerà a convivere con il latino. A partire dal 1600 attraverso uno sperimentalismo si comincerà ad elaborare il classicismo in un modo diverso e nascerà l’arte barocca. Negli umanisti si sviluppa l’idea di non fare un’opera archeologica, non ricostruire i testi ma di ritrovare gli uomini antichi e ristabilire con essi un dialogo; l’umanista ha la coscienza che l’età antica è passata ed è da recuperare per la sua grandezza, mentre per il medioevo è una continuità con il nuovo avvenimento del cristianesimo. Per quanto riguarda la religione nel rinascimento la parola “ateo” è anacronistica, non esisteva. La religiosità umanistica poggia sull’incarnazione, rivalutazione dell’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio. Dal punto di vista culturale gli studi humanitas sono al primo posto: retorica, storia, poesia, filosofia morale o etica. Erano gli studi dove gli antichi avevano dato il meglio; ancora una volta si manifesta la volontà di tornare all’antico, di recuperarlo e imitarlo per giungere nuovamente alla sua grandezza. Biografia Castiglione: nasce a Mantova nel 1478 e viene educato a Milano. Da giovane è alla corte di Ludovico il Moro. Agli inizi del Cinquecento si reca ad Urbino, dove scrive molto. Prende gli ordini minori diventando nunzio papale a Madrid; in questi anni cura il Cortegiano, pubblicato in Italia nel 1528, poi muore nel 1529 a Toledo. Oltre al Cortegiano è autore di rime, un epistolario e varie opere per la corte di Urbino. I primi abbozzi del Cortegiano risalgono al 1508, quando muore Guidobaldo, assente nell’opera; nel 1513-1515 vi è la prima redazione del “princeps”; una prima edizione del Cortegiano risale al 1510, mentre la seconda è del 1516; tuttavia tali edizioni sono solo manoscritti. La forma scelta è quella del dialogo, l’elaborazione dell’opera avviene ad Urbino, luogo ideale per la cultura. Nel dialogo sono presenti personaggi reali quali Pietro Bembo, Giuliano de ‘Medici. A corte una sera si cercano dei giochi da fare e dopo varie proposte, si sceglie di parlare della figura del Cortegiano. LETTERA DEDICATORIA A MIGUEL DE SILVA: Nella lettera viene raccontata la genesi del testo, le motivazioni e la funzione. Miguel de Silva era un cardinale del Portogallo, letterato e diplomatico del 1527. In origine il libro era dedicato ad Alfonso Ariosto, cugino di Ludovico, che nel frattempo era morto. La lettera è una sorta di testamento e si suddivide in tre paragrafi: 1) le ragioni del libro: dice che la realtà di questo libro non esiste più; sono tutti morti e non c’è più la Urbino indipendente; vi è quindi la rievocazione di un passato splendido. Lo scrittore è paragonato ad un pittore che fa un ritratto di Urbino, ma un pittore non bravo che sa solo tirare le linee 7 principali e riportare la realtà non abbellita. È una testimonianza per il futuro e la dà in stampa per paura che circolassero copie manoscritte vecchie. 2) problema linguistico: dà le ragioni della sua scelta linguistica che è diversa da quella di Pietro Bembo, giustificando così la sua scelta previene le obiezioni: essere troppo lombardo e troppo vicino al milanese. 3) altre due obiezioni: alla critica di contenuto riguardo l’impossibilità che si realizzi nella storia un uomo così perfetto e compiuto, risponde che ciò vuole essere un modello. Si avverte una forte fiducia nella funzione educativa dell’uomo e un forte classicismo (“se io ho sbagliato nel creare un modello così hanno sbagliato Platone nella repubblica ideale, Senofonte nell’idea del perfetto re con Ciro, Cicerone con il perfetto oratore…”). Alla critica riguardo al voler dare l’esempio di sé presuntuosamente risponde di non poter negare di essere stato uomo di corte e di aver provato a praticare tutto quello che il Cortegiano pensa debba saper fare. PRIMO LIBRO: - Stile: forma di dialogo. Scelta classicistica (Platone e Cicerone), centrale nella cultura umanistica che mette al centro la comunicazione fra gli uomini. Il dialogo definisce la problematicità del libro: non vi è una sola persona che argomenta la propria visione ma le conclusioni sono frutto di confronto. Il libro non è un libro di norme, non è precettistico, nonostante le dia; il profilo che emerge è Ludovico di Canossa, il portavoce dell’autore, è lui che introduce le caratteristiche del Cortegiano. Il tono del dialogo e degli argomenti non deve mai arrivare al livello del discorso filosofico troppo sottile, perché ha in mente la distanza che corre fra un discorso accademico e un discorso sempre di spessore alto ma più affabile e comunicativo per tutti. - Viene presentata Urbino e la sua Corte: la città è sempre stata dominata da ottimi signori → viene introdotta la figura di Federico da Montefeltro, personaggio di prudenza, giustizia, umanità, addestrato alla disciplina militare, come mostrano le numerose battaglie in cui non venne mai sconfitto. Ha costruito dal nulla questa città intorno ad un palazzo, descritto da molti come il più bello che si fosse mai visto in Italia, dotato non solo di vasi d’argento, camere ornate da drappi d’oro, ma anche statue antiche di marmo e di bronzo, strumenti musicali di ogni sorta, non vi era alcuna cosa che non fosse rarissima ed eccellente. In seguito, radunò un gran numero di libri greci, latini ed ebraici, tutti ornati d’oro e d’argento, stimando la sua biblioteca coma la suprema eccellenza del suo palazzo. Federico rappresenta il prototipo dell’uomo rinascimentale di corte che mette in primo piano il valore della cultura; morì all’età di sessantacinque anni ed ebbe un figlio: Guidobaldo. Questo sembrò essere investito di tutte le virtù paterne, ma la fortuna, invidiosa 10 difetto e pieno di buone qualità è necessario farlo nobile per diverse ragioni, tra cui il generale riconoscimento secondo la pubblica opinione. - Continua dicendo che la principale professione del Cortegiano debbano essere le armi. Deve essere dunque prima di tutto un condottiero, un cavaliere. Un vero nobile non solo è legittimato dall’ereditarietà dei natali, dalla tradizione e dalla fama della famiglia, ma anche da un tratto distintivo: non si dedica ad attività vili né alla mercatura. Ludovico si rifà dunque al mito della cavalleria e illustra i requisiti della sua condizione privilegiata, esercitando il mestiere delle armi. Il Cortegiano deve essere pronto a combattere ma deve usare le armi come si usano in tempo di pace. - Bernardo Bibbiena chiede a Ludovico di spiegare meglio come debba essere la forma del corpo, si presta al gioco e dichiara la sua inadeguatezza fisica rispetto al tipo ideale di Cortegiano che si viene delineando: vanta la bellezza dei lineamenti del viso e scherza sulle sue gambe corte. Allora Ludovico risponde che l’aspetto del Cortegiano non deve essere molle e femminile ma virile e grazioso, il corpo deve essere armonico senza estremi (né troppo basso né troppo alto), ma nel caso meglio più basso che alto, in quanto gli uomini troppo alti sono spesso inabili ad ogni esercizio di agilità, cosa che deve essere presente nel Cortegiano. Deve mostrare scioltezza e disinvoltura, deve conoscere tutti gli esercizi che appartengono ad un uomo di guerra, maneggiare ogni sorta di arma a piedi e a cavallo e conoscere le mosse vantaggiose. Di necessaria importanza è il saper lottare, inteso come complesso di esercizi fisici che vanno dalla lotta corpo a corpo, alla scherma, ai giochi che esaltano i riflessi e il tono muscolare. Deve essere esperto di equitazione, un cavaliere non poteva derogare da quest’obbligo naturale. Questo amore per il cavallo è tipicamente italiano e il Castiglione condivideva questa passione, coltivata alla corte di Mantova, famosa per un allevamento da cui provenivano campioni spesso vittoriosi nelle corse più impegnative. Fondamentale è che il Cortegiano accompagni ogni suo movimento con buon giudizio e grazia. Vi sono molti altri esercizi che mostrano un’affinità con le armi e comportano una gagliardia virile, tra questi vi è la caccia, svago aristocratico dai tempi antichi fino ai primi del XX secolo. Importante è poi saper nuotare, saltare, correre, giocare a palla (in cui si vede la disposizione del corpo, la scioltezza di ogni membro), volteggiare a cavallo fare cioè esercizi che dimostrino la propria abilità. Essendo il Cortegiano più che mediocremente esperto in questi esercizi deve abbandonare quelli che si adattano più ad un giocoliere ad un saltimbanco, come volteggiare in terra, saltare con la corda, che sono poco convenienti ad un gentiluomo. Il Cortegiano per intrattenersi piacevolmente con ognuno può fare quello che gli altri fanno, ridere, scherzare, ballare e danzare, l’importante è che si dimostri sempre 11 intelligente e modesto, misurato e garbato e sia aggraziato in ogni cosa. - A questo punto Cesare Gonzaga si domanda, essendoci uomini fortunati che ebbero dalla natura il dono della grazia, con quale disciplina e in che modo si può acquistare questa grazia così negli esercizi del corpo come in ogni altra cosa che si fa o si dica. Poiché lodando questa qualità Ludovico ha generato in molti l’ardente sede di conseguirla, per l’incarico impostogli da Emilia si è impegnato ad insegnare quali siano i requisiti di questa grazie e a spegnere la bramosia di possederla indicando la via per arrivarvi. Il Conte risponde di non essere obbligato ad insegnare come diventare aggraziati, ma solamente di dimostrare come debba essere un perfetto cortigiano e che tutti loro sanno che non potrebbe insegnare ciò che non sa, non sapendo lottare e volteggiare e fare tante altre cose proprie di un cortigiano. Aggiunge che chi deve essere aggraziato negli esercizi corporali, presupponendo che da natura non sia inabile, deve cominciare per tempo ed imparare i principi da ottimi maestri (cosa che comprese Filippo re di Macedonia che affidò ad Aristotele il figlio Alessandro). Giunge ad una regola universalissima, generale, che vale in tutte le cose umane che si dicono e fanno, bisogna fuggire l’affettazione, ossia un comportamento costruito, impostato, senza naturalezza, ed utilizzare invece la sprezzatura, una disinvolta noncuranza, non è naturalezza e spontaneità ma il modo controllato e affinato che suggerisce naturalezza e spontaneità, che dissimula lo studio la prova e la correzione dell’errore, il modo concreto in cui si manifesta la grazia, il segno di una raggiunta armonia. La fatica non deve apparire, ma solo il risultato. La grazia nasce dall’apparire spontanei. Ars est celare artem: la vera arte è quella che non sembra essere arte, non si vede l’artificio, era un principio classico (Ovidio). La sprezzatura, la grazia, quell’apparente naturalezza dei modi, mette in buona luce ogni gesto e lo fa sembrare anche migliore di quel che in realtà non sia. La sprezzatura è una qualità in sé, ma genera ulteriore qualità, accresce meriti di chi ne fa mostra e rafforza la stima di chi osserva, in tal modo il Cortegiano sarà stimato eccellente ed in ogni cosa avrà la grazia, soprattutto nel parlare. Castiglione sta per trattare la questione della lingua e prima di addentrarsi in un dibattito di stringente attualità culturale pone la prima condizione: che si debba in ogni caso fuggire l’affettazione. Cosa che non fecero i Lombardi, per esempio, che tornati da viaggi parlavano romano, francese per dimostrare di sapere tanto. E lo stesso risulterebbe esagerato e faticoso per il Conte parlare in toscano antico. Per ora Castiglione critica l’uso di arcaismi toscani, e non estende la sua critica all’uso, pure comune, di parlare toscanamente, cioè con vocaboli toscani moderni allo scopo di impreziosire artificialmente la lingua. - Messer Federico controbatte dicendo che gli arcaismi non andrebbero usati nella 12 lingua parlata ma siano necessari invece per la scrittura che deve servirsi di autorità e maestà. Il Conte risponde che quelle parole non dovrebbero essere utilizzate con nessuno, in quanto ci si renderebbe ridicoli, e dunque sarebbero inopportune anche nella scrittura. Quella che avanza Castiglione non è una posizione comune: l’aderenza tra lingua parlata e lingua scritta non era generalmente accettata in quei territori a lui cari, distanti da Firenze e dalla Toscana, dove vigeva una sostanziale disparità d’uso delle parole; dove la scrittura era considerata necessariamente magniloquente e non già, come suggerisce con sprezzatura Castiglione, una forma duratura del discorso. Semmai si potrebbe tollerare che nel parlato vi sia un maggiore libertà terminologica, una sorveglianza meno rigorosa. Questo perché la scrittura conserva le parole e le sottopone al giudizio di chi legge, per cui deve essere più curata e ben pensata, è bene evitare gli arcaismi e viceversa ricercare in Toscana quella parola che sono d’uso corrente, significative della vita del tempo. Fregoso sostiene invece la tesi purista che era stata propugnata da Bembo nel primo libro delle sue “Prose della volgar lingua”. Continua dicendo sia necessario scegliere un modello da imitare a cui ispirarsi e uniformarsi, in particolare Petrarca e Boccaccio (tesi sempre del Bembo). Il discorso viene poi ricondotto al tema principale dal Magnifico, la definizione della figura ideale dell’uomo di corte, non senza attenzione ai problemi concreti: ad esempio il fatto che la funzione oratoria non si esaurisca in una prova estetica, egli deve saper scrivere, spesso è un diplomatico che deve saper trasmettere pensieri precisi con strumenti linguistici adeguati. (La situazione in Italia per la lingua era anarchica, ognuno scriveva come si parlava in quella zona. Bembo era contrario e voleva stabilire una lingua italiana che fosse bella e diventasse nazionale, proposta che si definisce come classicistica, arcaica, perché propone qualcosa di secoli prima. Bisignava trovare un modello per la lingua frammentata e costruire una grammatica di base e di stabilizzazione della lingua) - Il Conte decide di rispondere a Federico. Il Castiglione si oppone al classicismo bembiano: è per la lingua popolare, perché la lingua italiana è giovane, nata dalla corruzione e dalla decadenza del latino, anche il volgare si è evoluto nel tempo, grazie alla classe dominante. La lingua coltivata in toscana ha il primato fonetico e grammaticale: ha avuto tre nobili scrittori in Dante, Petrarca e Boccaccio. Il primato della lingua è l’uso, quindi niente arcaismi, e della modernità, sulla base dell’eleganza e della qualità culturale. La prima cosa per parlare e scrivere bene è il sapere, la seconda è saper disporre nell’ordine quello che si ha da dire, e infine esprimerlo bene con parole (inventio, dispositio, elocutio). Bisogna fuggire gli arcaismi, ma non i forestierismi francesi e spagnoli, i neologismi (non bisogna temere di formare 15 pittura. Inoltre, la scultura risulta più difficile in quanto non concede margini di errore all’artista, per cui una volta sbagliato è necessario ricominciare, cosa non necessaria in pittura. Il Canossa risponde che la scultura non può mostrare i colori e il chiaro-scuro delle cose che rappresenta, a differenza della pittura, che per questo gli sembra tecnicamente più complessa e artisticamente più dotata di possibilità espressive. - A questo punto, la signora Emilia affida a Federico Fregoso, che aveva scelto l’argomento, di rispondere alle richieste del magnifico Giuliano, trattando del modo e della maniera in cui il Cortegiano debba usare le sue buone condizioni e il suo ben operare. I nuclei tematici del primo libro sono: nobiltà e grazia; la lingua della comunicazione; il corpo e l’animo; le armi e le lettere; la musica e le arti. SECONDO LIBRO: Il secondo libro è più sviluppato e lungo, in strettissima continuità con il primo libro. Se quest’ultimo era dedicato al ritratto psicologico del Cortegiano e all’iter formativo, il secondo si concentra sul piano delle relazioni intersoggettive, e si vede il Cortegiano all’opera nei rapporti con i superiori, pari ed inferiori. - Nella parte introduttiva l’autore se la prende con i vecchi che lodano sempre i tempi passati, denigrando il presente: questo attacco riporta il vero senso del libro, ossia l’affermazione del valore della modernità, pur all’interno di un’esaltazione del passato, ma non nostalgico. Castiglione dopo aver mostrato scetticismo per la tesi di un inevitabile peggioramento dei tempi, e dopo aver considerato il bene e il male nel loro diuturno rapporto di reciprocità, sembra tuttavia incline a credere in una sorta di progresso storico: sicuramente influenzato dal recente rifiorire di lettere e arti che è stato il vanto di molte corti italiane, e in particolare dei luoghi della sua formazione. I vecchi rimproverano ai giovani molte cose, solamente perché essi non le facevano; dicevano che non conveniva ai giovani passeggiare per le città cavallo, portare fodere di pelliccia, portare cappello prima dei diciotto anni e altre simili cose. Bisogna essere liberi di seguire gli usi e i costumi e la moda del tempo senza essere da questi rimproverati e biasimati. Tale digressione sulla memoria distorta dei vecchi e l’attenta rivalutazione del presente operata dal Castiglione fungono da quinte per la scena su cui torna protagonista la corte di Urbino. - Venuto, dunque, il seguente giorno ci furono diversi ragionamenti tra i cavalieri e le donne della corte circa la discussione della sera precedente. Si riuniscono di nuovo in circolo. L’Aretino banalizza la prospettiva del discorso che si va profilando, dichiarando in sostanza che chi ha dei talenti saprà bene mostrarli al momento opportuno. Comincia poi a parlare Federico Fregoso: il Cortegiano deve fare in modo che ogni suo gesto sia armonico con gli altri, 16 come un insieme coerente ed unitario. Come i pittori deve mostrare “il lume dei rilievi con l’ombra”. Qui Castiglione utilizza in modo esemplare le tecniche pittoriche del chiaroscuro per illustrare come si debba comportare il suo cortigiano: mettendo, cioè, studiatamente a contrasto, secondo un gioco di luci e di ombre, di accentuazioni o attenuazioni di colore, gesti, comportamenti affinché risaltino al momento opportuno le buone qualità che si vogliono e si devono mostrare. Deve utilizzare alcune norme di comportamento, dei canoni a cui attenersi sempre, e per primo innanzitutto, così come aveva detto il Conte la sera precedente, deve fuggire l’affettazione. - Se il Cortegiano si ritrova in uno scontro limitato o in una vera battaglia deve sottrarsi alla mischia e con discernimento e discrezione preparare l’azione individuale, da cui risalti il proprio valore, il coraggio e l’eleganza del gesto cavalleresco. Bisogna sapere sfruttare nel modo migliore le proprie qualità nelle circostanze più adeguate. Inoltre, il Cortegiano deve essere attento alla professione di coloro con cui parla, donne e uomini, e se verrà lodato dovrà comportarsi con discrezione e avvertenza, secondo i dettami della sprezzatura. - Federico, rispondendo a Gaspare Pallavicino il quale sostiene che la presenza e l’incitamento del gruppo siano una cornice necessaria durante i giochi, sostiene che vi siano alcuni esercizi che possono essere svolti sia in pubblico sia in privato, come il danzare. Ed è qui che il Cortegiano deve aver rispetto, servando una certa dignità quando danza in presenza di molti, muovendosi con dolcezza e disinvoltura di movimenti, e non indulga a scandire i tempi della musica con una eccessiva fioritura di passi accelerando e moltiplicando i movimenti. Mentre privatamente in camera gli è concesso anche ballare moresche e brandi, cosa che in pubblico non può fare, se non travestito. In sostanza ci si può travestire in modo da sottolineare meglio le proprie doti e lasciare in ombra altri aspetti, suscitando la sorpresa degli astanti con giochi di contrasto fra il sembiante e i gesti; come sarebbe un giovane vestendosi da vecchio con abito disciolto, per poter mostrare la gagliardia. Però un principe non può travestirsi da principe, altrimenti manca il gusto per la sorpresa e il principe stesso viene meno allo spirito del mascheramento, che sottintende l’accettazione di un gioco in cui i ruoli si invertono, le gerarchie si rovesciano, le identità si disperdono. E rischia di perdere la dignità che deriva dall’intelligenza sottesa alla finzione. Non accettando la finzione fino in fondo perderebbe prestigio e finirebbe paradossalmente per ingenerare un equivoco; per non volersi spogliare della sua grandezza, finirebbe per apparire piccolo. Viceversa, un uso accorto della modestia e l’accettazione del gioco lo farà 17 riconoscere per grande e illustrerà i suoi veri connotati morali proprio a misura della sua disponibilità a sminuirsi con una maschera. – Deve aver riguardo al modo in cui mette in gioco il proprio rango. Deve saper dosare modestia e disponibilità insieme con il prestigio della sua posizione sociale. In ogni caso un aristocratico non dovrebbe confondersi con il popolo più basso, che non sarebbe neppure in grado di apprezzare i gesti di un aristocratico e tantomeno quell’universo di intenzioni educate e dissimulate che vi sono sottese. I giovani e i vecchi, agli antipodi, devono saper temperare le opposte ruvidità del carattere: i vecchi dovranno guardarsi dal lodar troppo se stessi ed essere saggi dispensatori di consigli per chiunque chiede loro aiuto, avendo grazia a dire quelle cose che sanno senza divagare; in questo modo saranno buoni cortigiani e quando occorrerà il bisogno, mostreranno il loro valore nelle cose di importanza. Il medesimo rispetto e giudizio abbiano i giovani, non già adottando il comportamento rilassato e grave dei vecchi, infatti troppa saggezza in un giovane non è buon segno. Un giovane deve sapersi controllare e darsi un contegno, senza modi inquieti, suggerendo così rispetto e incutendo soggezione, in quanto è mosso non dall’ira ma dal giudizio, è governato dalla ragione e non dagli istinti. - Il Cortegiano per acquistare grazia universale dei signori, cavalieri e donne dovrà avere una gentile e amabile maniera nel conversare quotidiano. Deve essere guidato dal giudizio e conoscere le differenze delle persone con cui parla, mutando di stile, a seconda della natura di quelli con cui conversa. La conversazione, alla quale il Cortegiano deve principalmente attendere con ogni suo studio per renderla grata, è quella che avrà col principe: Castiglione restringe subito gli ambiti di questo dialogo all’interno della corte. Il conversare, entrare in relazione con gli altri, forse per il principe non è il termine più adatto perché richiede una parità tra il signore e il servitore. Il Cortegiano deve amare, adorare, compiacere il principe; gli viene detto che sembra un adulatore, ma Federico lo nega perché gli adulatori non amano chi adulano e perché compiacere si può fare senza adulare. Userà il buon giudizio per capire cosa piace al principe e sarà sempre disponibile; se vuole dei favori deve meritarli e non ricercarli. Deve ubbidire solo a ciò che ritiene giusto e che fa bene al principe e non agli ordini sbagliati. Deve però stare attento ad affidarsi al proprio giudizio quando rifiuta un ordine. Non dovrà essere pettegolo, soprattutto nei confronti dei suoi signori; non userà una sciocca presunzione né sarà portatore di notizie scomode; non sarà imprudente nel dire parole che offendono invece di compiacere; non sarà ostinato e litigioso, vano o bugiardo, ma modesto e ritenuto, usando sempre, soprattutto in pubblico, quella 20 portamento austero e posato spagnolo è più conveniente del comportamento irruente e nervoso dei cavalieri francesi. - Per il Cortegiano, che ha a che fare con gli altri, è importante conoscere diverse lingue, in particolare lo spagnolo e il francese, in quanto il commercio con le due nazioni è molto frequente in Italia. - Nel modo di vivere e nel conversare è necessario governarsi sempre con una certa onesta mediocrità, evitare la superbia, la bugia, l’invidia: non devono mai mancargli discorsi adeguati a quelli con cui parla, deve intrattenere con dolcezza gli animi degli uditori ed indurli al riso con motti piacevoli e facezie. - A questo punto il signor Prefetto invita Federico a soffermarsi maggiormente sull’arte che riguarda il parlar piacevole per indurre riso e festa: Federico risponde che le facezie e i motti sono più dono e grazia della natura che dell’arte. Tuttavia, si trovano alcune nazioni più inclini come per esempio i Toscani, pronti alla battuta spiritosa, arguti, sembra che il motteggiare sia inoltre proprio degli spagnoli. Vi sono poi molti altri che per troppa loquacità esagerano, diventando insulsi ed inetti, non avendo rispetto per il rango delle persone con cui parlano, per il luogo dove si trovano. Il prefetto risponde allora dicendo che alla facezia occorre essere predisposti, ma vi è una misura anche in questo che si può imparare, ed invita Federico ad esporla. Federico comincia dicendo che vi sono due tipi di facezie: il racconto articolato e disteso e la battuta breve, istantanea, fulminante. Per quanto riguarda il primo tipo non c’è bisogno di alcuna arte perché la natura stessa crea e forma gli uomini atti a narrare piacevolmente, dando loro il volto, i gesti, la voce e le parole appropriate ad imitare ciò che vogliono. Interviene allora Bembo, il quale chiede a Federico di illustrare in che cosa consista l’arte, cioè le facezie e i motti che inducono a ridere, quali sono convenienti al Cortegiano e quali no, in che tempo e modo debba usarli. Vedendo Federico renitente Emilia affida il compito di trattare delle facezie a Bernardo Bibbiena, in quanto ha più volte detto di voler trattare questo argomento, per cui già molto deve avervi pensato. - Il luogo dove nasce il riso consiste in una certa deformità: infatti si ride solamente di quelle cose che hanno in sé disconvenienza e sembra che stiano male senza tuttavia stare male: quali siano i modi che il Cortegiano deve usare per sollecitare il riso è ciò che si propone di illustrare Bibbiena. Il far ridere non sempre si conviene al Cortegiano, è necessario che tenga sempre presenta la misura, che non può mai essere elusa. Per quanto riguarda il far ridere attraverso parole pungenti che prendono in giro l’interlocutore, non può essere rivolto a tutti, infatti non si può canzonare un disgraziato, un infelice, né un 21 uomo notoriamente malvagio, in quanto questi meritano maggiore castigo che essere burlati e gli animi umani non sono inclini a beffare i miseri, eccetto che questi non si vantino o si considerino superbi e presuntuosi. È conveniente quindi beffare e ridere dei vizi di persone né misere, tanto da muovere compassione, né tanto scelerate, tanto da meritare pensa capitale, né tanto grandi che un piccolo sdegno possa far danno. - Dalle occasioni, fatti o persone che siano per cui si ricavano motti da ridere, si possono anche ricavare sentenze gravi per lodare e biasimare, talvolta con le stesse parole. Come per lodare un uomo liberale, che mette la sua roba in comune con gli amici, si è soliti dire che ciò che egli ha non è suo; lo stesso si può dire per biasimo di uno che ha rubato. - Nonostante Federico abbia fatto menzione solo di due tipi di facezie, Bibbiena sostiene ve ne siano di tre tipi: quella urbana e piacevole narrazione continuata, che consiste nel raccontare compiutamente una vicenda, con le sue premesse e il suo epilogo; quella che consiste in un solo detto, dall’istantanea e arguta prontezza; le burle, nelle quali sono comprese narrazioni lunghe e detti brevi e qualche altra azione. Vi sono infatti burle che si dicono e burle che si fanno. Le prime due sono di maniera tale che sembra che l’uomo racconti una novella. È ammesso che la verità possa essere corrotta con qualche piccola bugia quando questa serva alla perfetta tornitura del discorso. L’obiettivo rimane quello di rappresentare una scena animata e viva ai propri interlocutori: il discorso deve essere fortemente suggestivo, evocativo di immagini; a questo scopo ogni strumento retorico deve essere piegato e la verità stessa deve cedere il passo alla verisimiglianza. Oltre alla maniera di accomodare i gesti e le parole, ed evocare agli auditori l’immagine di colui di cui si parla, bisogna essere prudente ed avere molto rispetto del luogo, del tempo e delle persone con le quali si parla, e non sfociare nella buffoneria. Ancora una volta, dunque, Castiglione stabilisce un confine invalicabile, oltre il quale non c’è più eleganza. L’ironia di un gentiluomo, infatti, è molto diversa dallo sberleffo del buffone di corte; ad un gentiluomo non si addice fare le smorfie per caricaturare le espressioni del viso, piangere e ridere, alterare la voce per imitare qualcuno o per suscitare l’ilarità dei presenti, come fanno invece i buffoni di corte. Quindi bisogna sempre conservare la dignità del gentiluomo, senza dire parole volgari, senza distorcersi il viso, ma deve compiere movimenti di un certo modo. La vera abilità del gentiluomo consiste nella potenza evocativa delle sue allusioni, nella doppia capacità mimetica di dar vita ad una rappresentazione e al tempo stesso di occultare le tecniche del suo gioco illusionistico. 22 - Per quanto riguarda la pronta acutezza posta brevemente nella sentenza o nella parola, il Cortegiano deve evitare di sembrare maligno e velenoso e dire motti e arguzie solo per far dispetto, delle facezie pronte in un breve detto sono acutissime quelle che nascono dall’ambiguità, si reggono cioè sul doppio senso, anche se non sempre inducono a ridere. Vi sono molte specie di motti ambigui; è necessario scegliere scrupolosamente le parole, ed evitare quelle fredde o offensive: hanno buonissima grazia quei motti che nascono quando dal ragionar mordace del compagno, l’uomo piglia le medesime parole nel medesimo senso e le rivolge contro di lui, pungendolo con la sua stessa arma. Un’altra specie ancora è quella che chiamiamo bischizzi, ossia bisticci, giochi di parole ma bisogna poi evitare che il motteggiare sia empio. È necessario evitare coloro che sono osceni e sporchi nel parlare, e che in presenza di donne non hanno alcun rispetto, e sembra che abbiano piacere nel farle arrossire di vergogna, e vanno cercando su ciò motti ed arguzie. Un’altra maniera di facezie è quella che consiste in una certa dissimulazione, quando si dice una cosa e tacitamente se ne intende un’altra. Sono altresì arguti quei motti che hanno in sé una certa nascosta vena comica, ironia sottintesa. In ogni caso è necessario considerare la disposizione degli animi degli uditori, in quanto agli afflitti spesso i giochi danno maggiore afflizione, se il Cortegiano, dunque, nel motteggiare e nel dire piacevolezze avrà rispetto per il tempo, le persone, per il grado e non sarà troppo petulante, potrà essere chiamato faceto. Conclusosi il discorso, Federico Fregoso invita Bibbiena a trattare ancora delle burle, che aveva escluso dal suo discorso, per cui ricomincia. - La burla non è altro che un inganno amichevole di cose che non offendono, o almeno poco. Si afferma la distinzione tra facezie e burle, assegnando le prime al dominio della parola e le altre alle fattualità, una facezia si dice e uno scherzo si fa. Le burle tanto più piacciono quanto più hanno dell’ingegnoso e dell’innocuo. I luoghi dove si ricavano sono i medesimi delle facezie e ve ne sono infiniti esempi, che vediamo ogni giorno; e tra gli altri molti piacevoli ne sono nelle novelle del Boccaccio come quelle che facevano Bruno e Buffalmacco al suo Calandrino e al maestro Simone. - Emilia rimanda il discorso al giorno seguente, assegnando a Giuliano dei Medici il compito di delineare una figura femminile che accompagni e completi quella del Cortegiano, definendo i tratti ideali della donna di palazzo, così come era stato fatto per il Cortegiano da Ludovico e da Federico. Sceglie Giuliano sperando che sarà in grado di immaginare quella perfezione nella donna ed esprimerla con le parole; avendo in questo modo qualcosa da controbattere 25 letteratura che giunge fino ai tempi del Castiglione è ricchissima di esempi di misoginia, qui importa rilevare la cultura aristocratica di quegli anni cruciali, nella sua rilettura degli antichi, è fedele nel riprendere anche questo argomento. Castiglione ne aggiorna la portata affidando la sua visione del problema, che integra la donna in una dimensione politica e morale oltre che in quella più evidentemente estetica, alla voce di Giuliano dei Medici, e lasciando a Gaspare Pallavicino il compito di farsi interprete di opinioni grettamente conservatrici. Gli uomini sapientissimi a cui fa riferimento sono Platone e Aristotele. Emilia richiamerà poi Giuliano a dedicarsi nuovamente alla donna di palazzo. - Segue una raccolta di aneddoti, racconti, con esempi di donne virtuose antiche ma tratti anche dal mondo cristiano e attuale. Un esempio è la storia di Alessandra, moglie di Alessandro re dei giudei, la quale dopo la morte del marito, vedendo i combattenti pronti a uccidere i suoi due figli, gettò il corpo del padre in mezzo alla piazza; chiamò i cittadini dicendo loro di essere giustamente sdegnati per il comportamento del marito e si dimostrò pronta a darne testimonianza, aiutandoli a punirlo da morto. Lasciò che il corpo fosse preda di cani e venisse straziato in qualunque modo, ma pregò di avere compassione per i suoi figli, che non avevano alcuna colpa. Le sue parole furono di tanta efficacia che lo sdegno concepito negli animi fu subito mitigato in pietoso affetto che elessero come signori i due figli e concessero una degna sepoltura al padre. Riporta poi altri esempi, come quello di Camma, moglie di Sinatto, signore di Galata: capitò che un altro uomo, di più elevata condizione sociale, si innamorò di lei; il suo desiderio era sempre più forte e di fronte ai numerosi rifiuti di lei, giunse ad uccidere il marito. La costrinse a divenire sua sposa, ma quando giunse il momento Camma si fece portare una bevanda dolce, un veleno, e dopo averlo bevuto ne lasciò un po’ per Sinorige. La donna, dunque, non potendo sopportare l’amore di quest’uomo e profondamente legata a Sinatto si uccise, per poter ricongiungere la sua anima con quella dell’amato. Giuliano riporta gli esempi per dimostrare a Gaspare e al Frigio che le donne amavano e amano i mariti, e che possono essere causa di bene per loro, e degne di lode, e che non sono di virtù inferiori agli uomini. Vi furono donne che governarono come Amalasunta, reggente in nome del figlio Teodorico governò con prudenza i longobardi; Teodolinda, regina dei longobardi, di grande virtù, ricordata per la conversione del suo popolo dall’arianesimo al cattolicesimo; la contessa Matilde di Canossa, donna celebrata per la sua virtù e per la sua cultura, parteggiò per il papa nella lotta per le investiture, nel suo castello ebbe luogo l’umiliazione di Enrico IV di fronte 26 al pontefice Gregorio VII; e ancora Anna di Bretagna, Margherita d’Austria… - Gaspare sostiene che le donne non abbiano alcuna utilità al mondo, se non quella di generare figli. Ma questo non vale anche per gli uomini, i quali governano le città, gli eserciti e fanno tante altre cose di importanza; sostiene poi che gli uomini abbiano superato le donne nella virtù della continenza, e che le donne siano più inclini ai desideri rispetto agli uomini; riporta dunque gli esempi di Alessandro Magno, Scipione, Senocrate, che non cedettero alle lusinghe femminili. Interviene allora Cesare Gonzaga, che a lungo aveva taciuto: innanzitutto dice che l’utilità delle donne va ben oltre il generare figli, perché esse sono necessarie al bene degli uomini; inoltre se sono più inclini ai desideri a maggior ragione devono essere lodate, in quanto se ne astengono di più rispetto agli uomini; e se esse lo fanno più per la vergogna che per l’appetito, questa vergogna, che non è altro timore di infamia, è una rarissima virtù che si trova in pochissimi uomini. Le donne, dunque, si astengono più dalla vita impudica rispetto agli uomini. Generalmente un grande freno è posto dalle donne dall’amore della vera virtù e dal desiderio dell’onore, del quale molte hanno più stima che della vita propria. Cesare disse poi che tutti questi grandi esempi virtuosi ricorrono in poche donne; sono ammirevoli tutte quelle che resistono alle battaglie d’amore, e quelle che restano vinte sono degne di molta compassione. Vi sono uomini che fanno di tutto per raggiungere i loro scopi, alcuni denunciano le donne per quello che non sono ai mariti, altri si accordano con i padri o con i mariti, i quali per denaro o per avere favori danno le proprie figlie e mogli contro la loro voglia, altri tolgono loro quella libertà che Dio ha concesso, altri le minacciano. In una situazione di adescamento le donne non devono sperare il valore del pudore perché otterrebbero disprezzo e non stima. E gli uomini che presumono di entrare in questo tipo di rapporto che oltrepassa il valore del pudore sono detti presuntuosi. Cesare difende la donna dicendo che l’uomo sarebbe perso senza, e che è l’amore a dare più virtù all’uomo. La donna è strumento di elevazione morale, secondo un motivo di derivazione stilnovista; altro snodo della tradizione cavalleresca: la dama infonde coraggio, per lei il cavaliere affronta le prove più ardimentose. Dunque, attraverso l’amore delle donne gli uomini diventano coraggiosi in guerra; di esempio sono la guerra di Troia, spesso i combattenti si armavano in presenza delle loro donne, che li aiutavano e dicevano loro qualche parola, infiammando gli animi degli uomini; molti uomini mostravano il loro ardore, la loro forza, sapendo di essere visti dalle torri e dalle mura dalle donne amate; un altro esempio è la regina Isabella di Castiglia, che scendeva nel campo di battaglia, era risaputo in tutte le corti europee il carattere determinato e forte di Isabella, così come il suo ruolo a difesa dei valori cattolici, a fianco di Ferdinando, nella 27 guerra contro i Mori e nella presa di Granada. Inoltre, per amore delle donne gli uomini si dedicano alla danza, alla musica, alla poesia. Le arti sono frutto dell’amore per la donna, hanno come fine quello di compiacerla. - Riporta l’esempio di Petrarca che scrisse dei suoi amori, Castiglione sostiene che Petrarca non avrebbe mai avuto la fama meritata e guadagnata se fra le sue opere non vi fosse stato il Canzoniere, indiscutibilmente uno dei più grandi monumenti della lirica amorosa. A questo punto messer Federico chiede a Giuliano di spiegare meglio come la donna di palazzo debba intrattenere con discrezione, come rispondere a chi la ama veramente, e come rispondere a chi ne fa una falsa dimostrazione, se deve dissimulare di intendere, o deve corrisponde, rifiutare, e quindi come comportarsi. Il Magnifico disse che innanzitutto è necessario insegnarle a riconoscere quelli che simulano di amare e quelli che lo fanno veramente; per quanto riguarda il corrispondere o meno, non deve essere governato da nessun altro se non dalla volontà della donna stessa. Dunque, prosegue dicendo che la donna deve essere prima di tutto vigile e prudente, non credendo subito di essere amata. Se un gentiluomo sarà come molti presuntuoso e le parlerà con poco rispetto, ella dovrà rispondergli; se sarà discreto e userà termini modesti, nel modo in cui si addice ad un Cortegiano, la donna non dovrà mostrare l’intendere, cercando con ingegno e prudenza di cambiare argomento. Se il ragionamento sarà tale che non può far finta di non intendere, dovrà prendere il tutto come una burla, sminuendo i suoi meriti e attribuendo alla cortesia dell’uomo le lodi che le darà. In questo modo sarà discreta e più sicura dagli inganni. Più di questo non si potrebbe dire per la diversità dei costumi degli uomini, se non che la donna sia ben cauta. Messer Roberto sostiene che la donna fino ad ora delineata non è perfettissima; effettivamente come perfetta donna di corte non sembra concedere alcuna speranza al suo eventuale interlocutore galante, fino a spegnere ogni desiderio. Se la donna leva in tutto la speranza con le parole con i modi, il Cortegiano, se sarà saggio, non la amerà mai e così essa avrà l’imperfezione di trovarsi senza amante. La responsabilità torna nel campo del perfetto uomo di corte, onesto tanto da non desiderare la disonestà della donna a cui va il suo trasporto amoroso. La signora Duchessa conferma la ragione del Magnifico, sostenendo che la donna di palazzo da lui formata possa stare al paragone del Cortegiano e anche con qualche vantaggio: infatti le ha insegnato ad amare, cosa che non hanno fatto gli altri signori per il Cortegiano. Parla poi la signora Emilia, sostiene che chi è troppo amabile è amato da numerose donne, e l’amore diviso in più di un obiettivo ha poca forza. Riprende poi Giuliano: se il Cortegiano vuole scrivere o parlare alla donna amata, deve 30 - Il principe ha due vite: quella attiva e quella contemplativa; sollecitato da Gaspare su quale vita dovesse seguire il principe, Ottaviano risponde che il principe deve attendere ad entrambe, ma più a quella contemplativa, perché questa è divisa in essi in due parti: l’una consiste nel conoscere bene e giudicare, l’altra nel comandare correttamente cose ragionevoli a chi deve obbedire secondo gli ordini costituiti nelle forme e nei tempi dovuti. Il fine della vita attiva deve essere la contemplativa, come della guerra la pace, il riposo delle fatiche. L’uomo di governo non può mancare di riflessione teoretica, di studi, di conoscenze storiche, filosofiche, letterarie; ma è altrettanto necessario che sappia essere uomo di decisione pratica, preparato all’azione. Inoltre, è sbagliato stare sempre in guerra per comandare, bisogna essere in guerra solo per difendere. In guerra è necessario avere sempre tutte le virtù che tendono all’onesto, come la giustizia, la continenza, temperanza; ma molto più nella pace e nell’ozio, perché spesso gli uomini in queste condizioni, quando la fortuna propizia diventano ingiusti, intemperati e si lasciano corrompere dai piaceri. Secondo Ottaviano il principe dovrà scegliersi un numero di gentiluomini fra i più nobili e saggi, con i quali consultarsi per ogni cosa, e un gruppo scelto tra il popolo, che comunichi con quello dei nobili per le necessità della città pubbliche e private. Il buon governo ipotizzato dal Castiglione è una gerarchia equilibrata di poteri, che attorno alla figura del principe, regola funzioni politiche e media gli interessi sociali: l’equilibrio è forma necessaria e motivo ispiratore. Il principe dovrà essere poi religioso, per fronteggiare il gusto per la magia, l’interessa per l’astrologia e un diffuso scetticismo; dovrà amare la patria e i suoi popoli, tenendoli non troppo in servitù per non rendersi odioso, evitando l’insorgere di congiure e altri mali. Quindi si dovrà guadagnare l’amore e l’autorità dei popoli, beneficando e onorando i buoni e ponendo rimedio, talvolta con severità, per evitare che i cattivi diventino potenti. Se dunque i suoi sudditi saranno buoni e valorosi e ben indirizzati al fine della felicità il principe sarà un grandissimo signore, in quanto il suo può essere considerato un vero e grande dominio, sotto il quale i sudditi sono buoni e ben governati. - Parla allora il Magnifico, il quale sostiene che Ottaviano sia incorso in due errori: il primo è che per superare la donna, il Cortegiano ha superato con le sue virtù persino il principe; il secondo è che ha dato al Cortegiano un fine impossibile da raggiungere e non ha senso perché se il Cortegiano è giovane e il principe è vecchio, quest’ultimo saprà di più, al contrario se il Cortegiano è vecchio non potrebbe esercitare le armi, che si addicono al giovane. Inoltre, chi istruisce il principe non può essere nominato solo cortigiano. Ottaviano risponde: l’istruzione del Cortegiano non è l’unica causa che rende il principe 31 tale, ma deve essere per natura dotato delle qualità che sono necessarie ad un principe. Quest’ultimo grazie alle virtù del Cortegiano può divenire ancora più virtuoso del Cortegiano stesso; e se il cortigiano è così giovane da non possedere le virtù che gli si addicono, allora non è un cortigiano. L’uomo di corte, culturalmente dotato, deve essere in primo luogo un buon consigliere del principe, un supporto politico e diplomatico, un antidoto contro gli adulatori, i ciarlatani, i mistificatori, i corruttori. Tutto ciò non implica che il Cortegiano abbia maggiore dignità del principe. E se il Cortegiano fosse vecchio per praticare le armi e altri esercizi, questo non gli impedirebbe di entrare nelle grazie del principe, avendo gusto e competenza, avendo praticato in gioventù quelle attività che non poteva più fare. - Pietro Bembo viene chiamato ora in causa per argomentare la natura più spirituale dell’amore, quello che più si avvicina all’ideale platonico. Inizia dicendo che l’amore non è altro che un certo desiderio di fruire la bellezza, ed è necessario che la conoscenza dell’oggetto preceda necessariamente il desiderio di possederlo. Il desiderio è una pulsione emotiva, appartiene alla sfera delle passioni, non è guidato dalla ragione. Nella nostra anima vi sono tre modi di conoscere: per il senso, per la ragione e per l’intelletto; dal primo nasce l’appetito, che è comune agli animali; dalla seconda la facoltà di discernere, che è propria dell’uomo; dal terzo, per il quale l’uomo ha un punto di contatto con gli angeli (in quanto le facoltà intellettuali attengono alla sfera della spiritualità), nasce la volontà; quest’ultima si nutre di beni spirituali. L’uomo, di natura razionale, può inclinarsi al senso o all’intelletto, accostandosi ai desideri dell’una e dell’altra parte. Per quanto riguarda la bellezza, che muove l’amore, è un riflesso della bontà divina. Essendo l’anima presa dal desiderio di fruire di questa bellezza, se si lascia guidare dal giudizio del senso incorre in gravissimi errori, giudicando che il corpo nel quale si vede la bellezza sia la principale causa di questa, e quindi pensa che per fruirla debba unirsi quanto può più intimamente con quel corpo. (Contrasto tra amore sensuale e amore spirituale). Questo è falso e chi si comporta così viene mosso dall’inganno e dall’appetito per il senso, per cui il piacere che ne segue è ingannevole e imperfetto. Questi innamorati amano infelici in quanto non conseguono mai il loro desiderio, e ciò è motivo di grande infelicità. L’amore sensuale è fonte di inquietudini e di dolore: la principale causa di queste calamità negli animi umani è il senso, che è potentissimo giovanile, dove l’anima è portata a seguire l’appetito, perché essa ritrovandosi nel corpo e avendo la funzione di governare il corpo, priva della contemplazione spirituale, non può intendere la verità da sola ma deve fare affidamento sui sensi. E dunque si lascia guidare da questi, 32 che essendo fallaci la riempiono di errori e false opinioni. Quindi i giovani avvolti in questo amore sensuale del tutto contrario alla ragione, non sentono piaceri diversi da quelli degli animali irrazionali, e non godono dei piaceri e delle grazie che amore dona ai suoi seguaci. Mentre gli uomini più maturi si accendono dalla bellezza e rivolgono a questa il desiderio guidato da una scelta motivata razionalmente, e non rimangono ingannati. Quindi i vecchi amano senza biasimo e più felicemente rispetto ai giovani. Quando si tratta di un giovane questo può abbandonarsi al senso, è lecito: molti per guadagnar la grazia delle donne amate fanno cose virtuose che benché non siano indirizzate ad un buon fine, in sé sono buone; e nei numerosi affanni che subiscono riconoscono l’errore. Mentre l’anziano non deve mai abbandonarsi al desiderio, non è biasimabile, e merita di essere annoverato tra gli animali irrazionali, perché i modi e i pensieri dell’amore sensuale sono troppo sconvenienti alla sua età. Quando la bellezza si assenta, l’anima soffre, perciò l’immaginazione deve ricrearla per averla sempre vicino, anche quando non lo è. L’amore per la donna conduce all’amore per la bellezza universale e per Dio. Sopra il fine politico vi è la tensione verso l’amore come forza che muove gli uomini. Quando finisce di parlare è quasi in estasi. - Dopo Cesare Gonzaga, continuando a screditare le donne e ad attaccarle con calunnie, dice che ciò che sostiene Bembo è impossibile, soprattutto per le donne. Il Cortegiano non può essere definito solo con un genere letterario. La formula che Castiglione sceglie è generalmente quella del dialogo, quindi possiamo dire che sia un dialogo, ma non specifichiamo così il genere letterario. Non si può dire, però, che sia un trattato poiché l'argomento del Cortegiano non è prettamente monografico, ma oltre al nucleo strutturale che analizza la figura del cortigiano/della donna di corte, è presente la narrativa, dibattiti filosofici e parentesi storiche. Perciò, si può dire che il Cortegiano è in certo senso un trattato anche se non ha la forma tipica di un trattato, ma vi convergono altri generi letterari in cui non emerge la trattazione univoca, bensì il dialogo. Il dialogo, infatti, è una delle modalità di scrittura più importante tra 1400/500 (umanesimo/ rinascimento): esso riprende, infatti, il dialogo platonico in cui avviene un confronto tra opinioni differenti. Proprio in questo periodo, già con i dialoghi di Leon Battista Alberti, il dialogo comincia a riavere la natura problematica che avrà pieno sviluppo nel 1500 e che caratterizzerà il Cortegiano. Il dialogo del Cortegiano è molto ampio, composto da circa 20 interlocutori ed è proprio questo a renderlo problematico. Il dialogo è una forma mimetica che applica la mimesi: chi parla agisce come se fosse davvero
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