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Riassunto e commento personale "La Vicarianza", Sintesi del corso di Filosofia

Riassunto del testo La Vicarianza, con aggiunta di commento personale finale utile per esame di Filosofia dell'educazione

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Caricato il 15/05/2021

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maria-sole-cavalletti 🇮🇹

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Scarica Riassunto e commento personale "La Vicarianza" e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia solo su Docsity! RIASSUNTO “LA VICARIANZA. IL NOSTRO CERVELLO CREATORE DI MONDI” di Alain Berthoz CAPITOLO. 1 Il cervello inventore di soluzioni Una delle interpretazioni del termine vicarianza riguarda la sostituzione di un termine o un processo con un altro che ne dia lo stesso significato. Questo termine è antico: possiamo ritrovarlo nella psicofisiologia del diciannovesimo secolo con Mounier, poi con Galton che tentò per primo di evidenziare l’importanza delle variazioni individuali in riferimento all’intelligenza e infine con Binet e Henri che, con la creazione del primo vero test d’intelligenza, misero ben in risalto come le differenze fossero fondamentali. Anche all’interno della psicologia differenziale viene data importanza al concetto di vicarianza, utilizzato per evidenziare come si possa arrivare alla risoluzione di uno stesso problema con strategia differenti. Con Reuchlin il concetto entra nel funzionalismo: tutti i comportamenti che hanno la stessa funzione sono uguali e interscambiabili e possono essere utilizzati in modo vicariante in base alla situazione e alla struttura personale di ogni singolo individuo: ecco qui la vicarianza funzionale. L’impostazione differenziale è oggi applicabile anche alla ricerca di leggi generali sul cervello: le neuroimmagini hanno infatti rilevato come reti neurali diverse siano usate da persone diverse per risolvere uno stesso problema, a seconda del contesto e dell’intenzione del singolo. Non si intende negare l’importanza del pensiero astratto ma semplicemente provare a spiegare come possa esserci una molteplicità di soluzioni possibili, superando il dualismo. Abbiamo una “vicarianza d’uso" che consiste nella capacità degli organismi viventi di utilizzare il mondo sulla base dei propri obiettivi e limiti. La variabilità sta non nell’oggetto in sé ma nella modalità d’utilizzo che si fa di quell’oggetto, in quanto può essere utilizzato in un certo numero di processi diversi. In quest’ottica è l’azione che da significato alle cose e non viceversa e questo semplifica la nostra percezione e organizza il mondo. Ci sono due processi percettivi: uno innato e uno che origina dall’esperienza sensibile che facciamo con l’uso dei sensi: questi due processi si incastrano creando una serie di comportamenti che, per alcune specie, sono limitati e possono essere predittivi mentre per altre permettono una libertà di azione nell’utilizzo degli oggetti per funzioni differenti, creando veri e propri mondi. Abbiamo poi la vicarianza biogeografica che consiste nell’adattamento e quindi la variazione nel tempo di alcuni elementi propri degli esseri viventi, causata dallo spostamento fisico delle zolle terrestri che hanno spostato fisicamente alcune specie da una zona all’altra, creando diversità. Infine parliamo di vicarianza ecologica: il termine fa riferimento a quelle specie animali che ne sostituiscono altre occupando la stessa nicchia ecologica ma trovandosi in ambienti vegetali diversi ma comparabili. Tutto ciò racchiude un potente effetto creativo che è proprio della vicarianza stessa e consiste nella capacità di attribuire diversi sensi ad un singolo oggetto. CAPITOLO 2. Percepire e agire La vicarianza percettiva consiste in quell’insieme di immagini sensoriali che vengono a mano a mano sostituite fisiologicamente con l’esperienza e la memoria in una combinazione di sensazioni che ci permettono di elaborare una percezione, attraverso la codifica delle diverse variabili. In caso di deficit una parte sensoriale può compensarne un’altra, arrivando comunque alla percezione: si parla di ridondanza di codificazione e la vicarianza diventa un mezzo che permette di scegliere la combinazione migliore per quello specifico caso, generando combinazioni che portano alla diversità tra gli individui e che consentono l’adattamento. I gesti invece, permettono la vicarianza motoria che consiste nell'accrescimento progressivo delle funzioni del movimento, ben evidente nello sviluppo motorio del bambino. Si arriva poi all’uso delle mani, governate trasversalmente dai due emisferi del cervello dove è possibile sostituire la mano destra con al sinistra attraverso la cosiddetta vicarianza del gesto per cui ogni mano è vicariante dell’altra: assistiamo ad una vera e propria sostituzione. Ma il gesto è azione ed ha anche una funzione simbolica: per questo la mano può servire per prendere ma anche per rappresentare una molteplicità di significati, diventando strumento di percezione e di interpretazione di emozioni. Sta proprio qui la vicarianza del gesto, come fonte di creatività nel suo simbolismo. Una forma moderna di vicarianza consiste nella sostituzione per impianto sul corpo di recettori e protesi in un organismo che diventa così cibernetico, dotato di artefatti artificiali che ne migliorano le capacità. Qualsiasi tipo di apparecchio esterno che l’uomo utilizza sul suo corpo può renderlo un cyborg, a partire da un semplice paio di occhiali, agli impianti cocleari per gli ipoacustici, a quelli vestibolari. Qui la vicarianza fa riferimento ad una raffinata elaborazione cognitiva. Negli anni sessanta il fisiologo Paul Bach-Rita ha creato un dispositivo che permettesse ai non vedenti di vedere tramite sostituzione sensoriale: scoprì che stimolando la pelle del dorso il cervello percepisce, senza vederli, oggetti che si trovano davanti alla persona. Con lo stesso meccanismo un non vedente può leggere tramite stimolazione dei polpastrelli effettuando una vera e propria sostituzione della funzione visiva con quella tattile. Questo meccanismo di sostituzione sensoriale può essere applicato anche all’equilibrio, alla percezione delle forme, al movimento permettendo di sopperire alcuni deficit sensoriali aprendo a nuove possibilità come quella della realtà aumentata. Sono state elaborate anche interfacce che prevedono l’impianto di elettrodi direttamente nel cervello di persone che non posseggono la vista o le capacità motorie, inviando informazioni ad un robot che provengono dal cervello stesso: il robot diventa così un prolungamento del paziente e in futuro potrebbe raggiungere una sua autonomia diventando un vero e proprio “partner vicariante” e la vicarianza assume un nuovo significato di deviazione. Attraverso l’evoluzione nel nostro cervello si sono originati degli schemi interni del mondo e del nostro corpo fisico fatti da reti neurali che ripropongono una serie di meccanismi e comportamenti, utili non soltanto ad anticipare i gesti ma per permettere la simulazione dell’atto di un nuovo movimento capace di svolgere lo stesso compito. Si parla di “vicarianza per costituzione di modelli”, con un sostituto virtuale neuronale. I nostri modelli interni si modificano con l’apprendimento permettendo al cervello di scollegarsi da una realtà troppo rigida, creando veri e propri nuovi mondi, come accade nei sogni. Nel cervello c’è uno schema dunque corporeo di noi stessi che ci permette di interagire in modo vicariante con gli altri e che rappresenta un vero e proprio “corpo virtuale” capace di modificarsi in base alle successive esperienze, adattandosi alle esigenze del compito. Con le neuroimmagini vediamo come nel nostro cervello possono attivarsi delle zone specifiche anche se la parte del corpo ad esse associata non è stata realmente stimolata: una specie di illusione che può verificarsi in determinate circostanze e che dimostra appunto come lo schema corporeo sia modificabile e possa modificare la percezione e l’azione. La vicarianza è creatrice di scenari in mondi possibili e il cervello contiene moduli di elaborazione di informazione simili a quelli utilizzati nella robotica dove viene emulata una realtà percepita attivando le reti visuomotorie. Le moderne neuroscienze parlano del cervello come di un organo autonomo racchiuso in mondi che esso stesso si crea, in un sistema autoattivato di emulazione personale della realtà anche in assenza di segnali sensoriali. In sintesi la vicarianza funzionale e d’uso permette la creazione di mondi virtuali attraverso l’emulazione attuata dal cervello, proiettando scenari, inventando soluzioni e creando possibilità. Questa capacità di immaginare un atto senza un creatore, semplicemente con il doppio di noi stessi del nostro schema mentale che permette la scoperta di nuove soluzioni per una stessa azione, è una forma di vicarianza e il vicario interiore è un creatore vero e proprio e non soltanto un simulatore. Nell'evoluzione gli organismi viventi si sono dotati di vicarianza per spostarsi, orientarsi e deambulare e l’uomo ha poi individuato altre modalità di spostamento più cognitive e complesse con una combinazione di varianti che permettono un grande repertorio di comportamenti per raggiungere uno differenza anatomica del cervello e da fattori ormonali e dimostrano una vera e propria vicarianza di strategie in funzione al sesso, al contesto, all’obiettivo, all’età e alla professione. Sappiamo che il nostro cervello è lateralizzato: la parte sinistra si occupa dei dettagli ed è sede del linguaggio, mentre la destra degli aspetti più globali e della rappresentazione dello spazio. Lo spazio diventa spazio di azione, dipendente dall’esperienza del nostro corpo in azione e non un concetto puramente astratto. Possiamo ritrovare quindi la vicarianza anche nella geometria e nella matematica in quanto possono esserci diverse soluzioni per risolvere un problema matematico che generano altri problemi e altre possibili soluzioni e così via. Tutti questi meccanismi ci permettono di cambiare punto di vista e per fare ciò intervengono precise reti neurali che hanno sede principalmente nell’ippocampo e nella corteccia retrospinale sede della prospettiva. Il concetto di vicarianza presuppone però che queste zone cerebrali possono essere sostituite da altri circuiti che forniscono la stessa informazione, anche se nessun esperimento è stato ancora effettuato al riguardo. La scelta di percorsi vicarianti presuppone anche una presa di decisione, basata su informazioni incomplete e dall’esito incerto che portano alla considerazione che il cervello umano non può manipolare più di tre o quattro strategie differenti, e che quando adotta una strategia la prende come riferimento per i comportamenti futuri, come guida, a meno che non si trovi davanti un ostacolo che lo porti ad identificarne di nuove più funzionali. Da qui il passaggio dalla vicarianza funzionale a quella creativa. PARTE 2 ONTOGENESI E PLASTICITA’ CAPITOLO 5. Le tappe della vicarianza La vicarianza si è perfezionata attraverso l’evoluzione con sostituzioni funzionali adattative sempre migliori. È importante sapere che lo sviluppo delle funzioni cognitive avviene fin dall’infanzia: il bambino crea reti neurali locali che poi si ampliano col contatto esterno con gli altri generando anelli dinamici che collegano regioni diverse del cervello che crescono a mano a mano con l’apprendimento. La maturazione cognitiva permette via via di cambiare strategia supplendo quella precedente con un’altra più funzionale e adatta ai crescenti compiti di sviluppo crescenti, in una vicarianza funzionale che redistribuisce le reti neurali coinvolte in un determinato compito, attraverso un processo che non è però continuo. Esistono infatti dei periodi critici nello sviluppo che sono privilegiati per poter stabilire in momenti precisi capacità particolari relative ad un determinato contesto. Questi periodi, che sono di natura rigidi, attraverso l’adattamento ad un contesto flessibile, diventano vicarianti. Ma per sostituire una strategia con un’altra al bambino occorre cambiare il proprio punto di vista e la propria opinione, attraverso un’acquisizione sempre maggiore di coscienza di sé che, in base ai diversi modelli psicologici, si suddividono in diverse tappe che vanno generalmente dai cinque anni ai dieci. A livello neuronale il periodo fondamentale va dai sette agli otto anni ed è correlato allo sviluppo della corteccia prefrontale, retrospinale, con l’ippocampo e con le aree deputate alle funzioni esecutive ossia quelle necessarie per determinare la presa di decisione, la pianificazione, la valutazione e l’attuazione di una specifica strategia rispetto ad un’altra. Questa maturazione cerebrale continua fino alla pubertà e poi tende piano piano a deteriorarsi. La vicarianza risulta quindi fondamentale per avere opinioni proprie su di sé, sugli altri e sul mondo: è facile, e ci sono tanti esempi storici a confermalo, manipolare un bambino indottrinandolo ad un rigido schema ideologico, sociale o comportamentale. È proprio per lottare in favore della tolleranza e dell’uscita da questi schemi che risulta fondamentale uscire dal proprio punto di vista e creare un legame vicariante empatico. CAPITOLO 6. Vicarianza e plasticità cerebrale Anche nell’adulto possiamo trovare periodi critici che portano allo sviluppo di alcune funzioni cerebrali oltre alla plasticità neuronale che permette una varietà di processi di recupero, ossia una vicarianza funzionale. Ma anche l’esperienza può modificare l’anatomia del cervello, indipendentemente dai periodi critici: il nostro cervello può subire modificazioni anatomiche derivate dall’adozione di una nuova strategia più efficiente adottata come risolutrice in sostituzione ad un’altra, mettendo in atto una vera e propria riorganizzazione neurale molto specifica e puramente vicariante. Le molteplici strategie di cui dispone il cervello fanno sì che, in presenza di una lesione, il cervello destro possa ad esempio prendersi carico delle funzioni danneggiate del sinistro e viceversa, compensando le aree cerebrali lesionate e creando nuove reti: è stato dimostrato come tutto questo derivi non solo dall’immaginazione mentale e motoria ma anche e soprattutto dall’esperienza. Il cuore del concetto di vicarianza sta quindi nella capacità del cervello di creare un sostituto che non sia una semplice copia, ma che sappia svolgere il compito richiesto senza infrangere le leggi del sistema nervoso e il suo contesto privato, sociale e culturale: trovare soluzioni nuove per compensare i deficit cerebrali. Detto questo, anche nell’anziano abbiamo forme di vicarianza cerebrale: il nostro cervello infatti, nonostante l’invecchiamento, presenta un livello di prestazione elevato e questo è dato proprio dalla capacità del cervello di adattarsi all’utilizzo di nuove strategie cognitive, destreggiandosi con la bilateralità del cervello (a differenza dei giovani). PARTE 3 VICARIANZA E CONDIVISIONE DELLE EMOZIONI CAPITOLO 7. Simpatia ed empatia Oltre a tutti gli ambiti di cui abbiamo già parlato, il termine vicarianza viene utilizzato anche in psicologia in riferimento alle emozioni in quanto tenta di identificarne le diverse reti neurale coinvolte. In ambito emotivo la vicarianza assume un’accezione intersoggettiva in cui spesso ci basiamo sull’altro per predire le nostre azioni. Quando ci relazioniamo con gli altri consideriamo: la duplicazione della nostra persona che ci fa rimanere in una posizione egocentrica, la supplenza di noi nell’altro che ci fa mettere al suo posto con l’immaginazione (eterocentrica) e la relazione indipendente dal nostro punto di vista (allocentrica): lo spostarsi in questi tre punti di vista è un processo vicariante. I comportamenti vicarianti più significativi nelle relazioni personali sono la simpatia e l’empatia: entrambi presuppongono una risonanza con l’altro ma la differenza sta nel fatto che la simpatia si limita al campo delle emozioni mentre l’empatia si basa sulla comprensione e la condivisione degli stati emotivi dell’altro. La simpatia parte dalla nostra soggettività mentre l’empatia dalla soggettività dell’altro. Nella simpatia si sviluppa un contagio emozionale originato dalla risonanza di un aspetto dell’altro che attribuiamo poi a noi stessi, identificandoci con lui e questo dipende, a livello neurale, dal funzionamento del cervello emotivo (amigdala) e dei neuroni specchio. Qui la vicarianza è particolare infatti non è l’altro che supplisce noi ma noi che vediamo l’altro come noi stessi, sperimentando insieme azione, emozione e intenzione dell’altro con i nostri processi interni che ci portano a comprendere l’azione di un altro individuo. Infine la simpatia spesso produce imitazione e può portare, anche inconsapevolmente, ad imitare i comportamenti dell’altro facendoli nostri senza accorgercene. L’empatia consiste proprio nell’adottare il punto di vista dell’altro, sentire come lui, proiettarsi nell’altro: essa dipende da meccanismi molto più complessi rispetto alla simpatia perché ci fa separare mentalmente dal nostro corpo viaggiando nell’altro con il nostro doppio mentale. A livello neurale agisce a livello della corteccia temporo-parietale e perisilviana deputata alla coscienza del corpo e delle relazioni spaziali. Per essere empatici dobbiamo possedere innanzitutto una consapevolezza del nostro corpo e del rapporto con l’ambiente e poi saper “risuonare” con le emozioni e le sensazioni dell’altro mettendoci proprio nel suo corpo. Infine è necessario riuscire ad inibire l’emozione provata al posto dell’altro, reprimendo il contagio emotivo in un lavoro complesso che richiede di essere allo stesso tempo noi stessi e qualcun altro attraverso cooperazione e interazione dinamica tra diverse reti del nostro cervello. Per riuscire a non soffrire del tutto con il paziente l’empatia mette in gioco meccanismi spesso antagonisti che ci permettono di cambiare prospettiva spaziale e incarnarci nell’altro oppure di tenerci più distanti e prosociali. Tutto ciò rende l’empatia fondamentale per la vicarianza sociale. CAPITOLO 8. Alcuni esempi di vicarianza emozionale Osservare la sofferenza fisica dell’altro induce nel cervello una reale impressione di dolore: si parla di dolore vicariante. Prendersi cura nel quotidiano di chi soffre sia fisicamente che psicologicamente può provocare invece un vero e proprio trauma vicariante che consiste nel soffrire degli stessi sintomi del paziente che si ha in cura tra i quali troviamo: senso di ingiustizia, di debolezza, ansia, sonno agitato etc. A volte il trauma empatizzato agisce così in profondità che queste persone non riescono a ritrovare la serenità: in questo caso il processo empatico non ha usufruito della necessaria collaborazione tra i processi interni e non ha attivato la capacità di inibire il dolore altrui, fondamentale per mantenere la propria indipendenza. Sentire l’altro implica uno scambio continuo di relazioni e quindi una vicarianza flessibile: se questa non è presente può verificarsi l’esclusione da parte del gruppo in cui si è inseriti che di conseguenza provoca o maggiore necessità di imitazione di chi vorremmo ci considerasse o, all’opposto, aggressività. È interessante osservare infatti come le reti neurali che si attivano in questo genere di risposta siano le stesse del dolore fisico in quanto essere esclusi è qualcosa che fa male emotivamente proprio come lo farebbe fisicamente e può portare addirittura ad una perdita di identità. All’opposto i sentimenti di altruismo e compassione, sono vicarianti in quanto mettono al posto dell’altro mentre la vergogna è vicariante perché all’interno del gruppo chi esclude può vergognarsi di ciò che ha fatto oppure empatizzare con l’escluso e provare vergogna insieme a lui. CAPITOLO 9. L’apprendimento vicariante La flessibilità del nostro cervello ci permette di cambiare strategia e la vicarianza diventa così utile strumento di apprendimento perché ci permette di funzionare in modo diverso in base agli ambiti di riferimento. La vicarianza produce quindi cambiamenti, oltre che sul versante individuale, anche su quello collettivo, in quanto la variazione dell’uno crea le ricchezze del gruppo. Tra le varie forme di apprendimento abbiamo quella per rinforzo che si basa su processi del tipo stimolo/risposta, quello per imitazione proposto da Vygotskij che osserva come i bambini prendano a modello gli altri apprendendo da essi, e quello sull’osservazione derivata dall’esperienza diretta come afferma Bandura. Egli pone l’accento anche sull’importanza della percezione, della fiducia in sé stessi di chi osserva, e quindi sulle capacità personali di ognuno. Fondamentalmente ognuno ha un suo metodo di apprendimento e la sfida dell’educazione sta proprio nel riconoscere questo aspetto e potenziare la singolarità di ognuno per ottimizzare ciò che si apprende. Oggi esistono nuove modalità digitali che aprono nuove prospettive all’uso della vicarianza, permettendo a ciascuno di utilizzare la strategia di apprendimento più idonea. Vygotskij nelle sue teorie di apprendimento parla di una zona di sviluppo prossimale nel quale la vicarianza consiste in uno spazio anticipatorio per lo sviluppo successivo nel quale il bambino apprende processi cognitivi con l’esperienza proveniente dal mondo esterno. Lo psicologo La Garanderie ipotizza che il cervello dei bambini utilizzi immagini mentali che privilegiano una modalità uditiva o una visiva, evocandosi il problema nella testa nella modalità preferenziale e apprendendo di conseguenza con quella modalità. Fin ora abbiamo parlato generalmente di apprendimento ma, nel corso della nostra vita, l’esperienza ci mette di fronte a situazioni in cui la modalità che avevamo appreso per risolvere un dato problema non è quella giusta al momento: questo non significa che sia una soluzione vecchia e da sostituire con una nuova eliminandola, ma semplicemente non adatta in quello specifico contesto: abbiamo così un duplice adattamento vicariante in cui il cervello acquisisce due modalità differenti di agire e le memorizza entrambe. Il duplice adattamento dipende dal contesto e la variazione di comportamenti sensomotori è influenzata dalle informazioni cognitive che ci vengono dall’esterno.
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