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Riassunto e contesto libri letteratura generale, Appunti di Letteratura

IL MARCHESE DI ROCCAVERDINA, L.Capuana LE AVVENTURE DI PINOCCHIO, C.Collodi LA VITA INTENSA, M.Bontempelli SORELLE MATERASSI, A.Palazzeschi ITACA PER SEMPRE, L.Malerba

Tipologia: Appunti

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Scarica Riassunto e contesto libri letteratura generale e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! 1) LE AVVENTURE DI PINOCCHIO – COLLODI - AUTORE E INFO GENERALI: Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini, nasce a Firenze nel 1826 e diviene celebre grazie a ‘Le avventure di Pinocchio – storia di un burattino’; è un libro di avventure per ragazzi di cui la prima metà apparve originariamente come romanzo a puntate tra il 1881 e il 1882, pubblicata come ‘La storia di un burattino’, la stesura finale fu completata con alcune modifiche, arrivando all’epilogo finale che oggi si conosce, e pubblicata a Firenze nel febbraio 1883. Racconta le esperienze accidentali - dannose e crudeli, ma attraenti e ricche di colpi di scena - di una marionetta animata, Pinocchio, costruito da suo padre, Mastro Geppetto, un povero falegname. Molto più di un burattino che vuole diventare bambino, più di un volto tondo nasuto di legno, più del protagonista di un libro "morale", Pinocchio è un'icona universale e una metafora della condizione umana. Il libro - che si presta a una pluralità di interpretazioni - è un capolavoro mondiale, che ha reso comuni idee come quella del naso lungo del bugiardo. Il successo dell’opera fu immediato, tanto che non sono calcolabili le copie vendute del libro in Italia e nel resto del mondo. Si tratta comunque di una delle opere più tradotte e vendute nella storia della letteratura italiana. La chiave del successo dell’opera è racchiusa nell’idea di inserire le nozioni e gli insegnamenti morali in una cornice narrativa affidata al medesimo personaggio (Pinocchio), un ragazzino vivace e scapestrato in cui tutti gli studenti non faticano a conoscersi ed immedesimarsi, il tutto rappresentato con uno stile rapido e vivace; in altre parole, Collodi insegna divertendo. L’obiettivo, tra i tanti, è anche quello di preparare i bambini a diventare bravi e operosi ragazzi. E’ il racconto di un viaggio verso la vita reale. - CONTESTO: Benché sia stato scritto nel 1881, il romanzo è ambientato nel passato, presumibilmente all'epoca del Granducato di Toscana, come si può notare anche dai riferimenti ai quattrini, soldi e zecchini d'oro che vengono citati nella storia. Alcune fonti ambienterebbero le avventure di Pinocchio nella zona a nord di Firenze., poiché Collodi vi soggiornò a più riprese durante la II metà dell’800. La parte del racconto in cui Pinocchio viene impiccato dagli assassini alla Grande Quercia è ambientata invece in provincia di Lucca, e l'albero descritto da Collodi esiste ancora in quella zona. Il tipo di società che emerge dal contesto è quello borghese e industriale di fine Ottocento. Pinocchio nasce in un’ambientazione che, per quanto priva di precisi riferimenti cronologici e geografici, non è difficile identificare con la Toscana contadina e popolare di fine ottocento vissuta da Collodi. Quello di Pinocchio è un ambiente contadino che rappresenta la società italiana dell’epoca che è l’Italia risorgimentale: un contesto repressivo e chiuso. Conformarsi ad una cultura vuol dire anche entrare in contatto con il passare del tempo e il male. Siamo a cavallo tra la nostalgia per il Granducato e il nuovo spirito unitario. - TRAMA: La trama è lunga. Complessa e si intrecciano in essa numerose vicende. Possiamo individuare le seguenti suddivisioni: - Costruzione di Pinocchio e prime monellerie: Mastro Antonio, detto mastro Ciliegia per via del suo naso grande, è un falegname che tiene nella sua bottega un pezzo di legno da cui, ritenendolo di scarso valore, intende ricavare una gamba di tavolino. Al momento di essere lavorato, il pezzo di legno comincia incredibilmente a parlare (implora il falegname di non martellarlo forte) e mastro Ciliegia, spaventato, lo regala all'amico Geppetto, anche lui falegname, chiamato Polendina da chi vuol farlo arrabbiare, a causa del colore della sua parrucca gialla, capitato nella sua bottega per chiedergli appunto un pezzo di legno con il quale costruirsi un burattino che gli consenta di guadagnarsi da vivere tenendo spettacoli. Geppetto, nella sua poverissima casa (il fuoco nel camino e altri oggetti sono dipinti), comincia a scolpire il burattino, già da lui ribattezzato Pinocchio, il quale, ancor prima di essere finito, inizia a parlare e dimostra di essere un bricconcello, deridendo il falegname. Una volta completato, Geppetto, che lo considera come un vero e proprio figlio, gli insegna a camminare ma Pinocchio, da birbante qual è, scappa subito in strada, inseguito dal padre; un carabiniere lo ferma, ma finisce col portare in prigione Geppetto, temendo che quest'ultimo possa punire troppo severamente il burattino per la sua marachella. - L’incontro con il grillo-parlante: Pinocchio torna dentro casa, dove incontra un Grillo-parlante ‘filosofo’, che lo ammonisce per il suo comportamento disubbidiente: Pinocchio, indispettito, gli lancia contro un martello e lo uccide all'istante, andando oltre le sue stesse intenzioni. Affamato, rovista la casa in cerca di qualcosa da mangiare: trova un uovo, ma quando lo rompe ne esce un pulcino. Prova allora a chiedere un po' di pane in una casa del paese, ma rimedia soltanto una secchiata d'acqua in testa. Tornato a casa affamato e inzuppato d'acqua, si addormenta appoggiando incautamente i piedi sul braciere. Quando l'indomani Geppetto viene rilasciato dalla prigione, trova Pinocchio affamato, piangente e con i piedi bruciati: gli dà da mangiare e gli ricostruisce i piedi. Il burattino, in segno di gratitudine, promette di andare a scuola: Geppetto gli prepara un vestito di carta e, nonostante il gelo invernale, vende la sua giacca per comprargli un abbecedario. - Pinocchio al teatro dei burattini: Pinocchio s'incammina verso la scuola, ma durante il tragitto viene attratto da una musica, proveniente dal Gran Teatro dei Burattini: incuriosito, decide di non andare a scuola e di vendere l'abbecedario per procurarsi i soldi del biglietto per lo spettacolo. I burattini sul palcoscenico scorgono Pinocchio nel pubblico e interrompono la recita per festeggiarlo. Il burattinaio Mangiafuoco, arrabbiato per lo scompiglio, decide in un primo momento di gettare Pinocchio nel fuoco, ma poi si commuove cominciando a starnutire davanti alle invocazioni di pietà del burattino, lo libera e gli regala cinque zecchini d'oro da portare a Geppetto. - Il Gatto e la Volpe: Mentre fa ritorno a casa, Pinocchio s'imbatte in due loschi individui, il Gatto e la Volpe, ai quali racconta incautamente delle monete d'oro ricevute. I due lo convincono a sotterrarle nel vicino Campo dei miracoli, dicendogli che una volta seminate si sarebbero trasformate in un albero carico di zecchini d'oro. I tre s'incamminano e lungo la strada si fermano all'osteria del Gambero Rosso, dove il Gatto e la Volpe mangiano a crepapelle a spese di Pinocchio e dove decidono di rimanere a dormire. Durante la notte i due imbroglioni abbandonano Pinocchio lasciando che sia lui a pagare il conto con una delle sue cinque monete d'oro e chiedendo all'oste di avvisarlo che lo aspettano l'indomani al Campo dei miracoli. Quando lascia l'osteria, malgrado l'avvertimento ricevuto dallo spettro del Grillo-parlante che lo invita a diffidare di chi promette facili ricchezze, il burattino viene inseguito dal Gatto e la Volpe che, travestiti da briganti per non farsi riconoscere, vogliono rapinarlo delle monete. Nel tentativo di cercare riparo, bussa alla porta di una casa bianca: alla finestra si affaccia una bambina dai capelli turchini che dice a Pinocchio che in quella casa sono tutti morti, compresa lei stessa. Intanto i due raggiungono il burattino, che per sicurezza tiene le monete sotto la lingua, e, non riuscendo a farlo parlare, lo impiccano a una quercia. Stanchi di attenderne la morte per soffocamento, se ne vanno dicendo che torneranno l'indomani, certi di trovarlo morto con la bocca spalancata. Qui, al capitolo XV, finiva la prima stesura dell'opera di Collodi. - La fata dai capelli turchini e le bugie dal naso lungo: La bambina dai capelli turchini, che è in realtà una Fata, ordina a un falco di spezzare con il suo potente becco la corda che tiene sospeso Pinocchio e di posarlo delicatamente a terra e poi ordina al suo Can-barbone, Medoro, di andarlo a prendere e di portarlo nella sua casa. Qui chiama a consulto tre illustri medici, un corvo, una civetta e il Grillo-parlante (che non era realmen te morto) per sapere da loro se il burattino sia vivo o morto. Mentre gli altri due medici sono incerti, il Grillo-parlante spiega tutto con certezza, dicendo che il burattino è un monellaccio disubbidiente che farà morire di crepacuore il padre. A quelle parole Pinocchio apre gli occhi e comincia a piangere. La Fata, notando che ha la febbre alta, cerca di fargli prendere una medicina: il burattino dapprima la rifiuta perché la ritiene troppo amara, ma poi accetta quando vede arrivare quattro conigli-becchini neri venuti a prenderlo con una bara. Racconta poi alla Fata dell'incontro con i briganti ma, quando lei gli chiede che fine abbiano fatto le monete d'oro, Pinocchio mente dicendo che le ha perse quando in realtà le ha in tasca, poi mente ancora aggiungendo che le ha perse nel bosco e infine mente una terza volta affermando che in verità le ha inghiottite insieme alla medicina. A ogni bugia che dice, però, il suo naso si allunga ogni volta sempre di più. La Fata, dopo avergli spiegato che esistono due tipi di bugie, quelle con le gambe corte e quelle (come nel suo caso) con il naso lungo, riporta il naso di Pinocchio alla lunghezza originaria. Poi il burattino esce di casa per andare incontro a Geppetto, che si sta dirigendo verso di loro, dopo che gli è stato chiesto dalla Fata di andare anche lui a vivere nella casetta nel bosco. - Pinocchio, derubato dal Gatto e la Volpe, finisce in prigione: Lungo la strada il burattino incontra ancora una volta il Gatto e la Volpe, che lo convincono nuovamente a sotterrare i quattro zecchini nel Campo dei miracoli. Pinocchio sotterra le monete d'oro: il Gatto e la Volpe fanno finta di andarsene e invitano il burattino a tornare lì dopo venti minuti, il tempo necessario perché gli zecchini si trasformino in alberi carichi di monete. Pinocchio si reca allora nella vicina città degli Acchiappa-citrulli in attesa che trascorrano i venti minuti, ma quando torna sul posto viene a sapere da un vecchio pappagallo che durante la sua assenza il Gatto e la Volpe hanno scavato, hanno preso le monete e sono scappati via. Disperato, si rivolge a un giudice, un vecchio gorilla, per denunciare il furto, ma questi paradossalmente lo condanna alla prigione. Quattro mesi dopo l'Imperatore del paese, per festeggiare una grande vittoria militare, concede un'amnistia a tutti i condannati. Pinocchio, essendo innocente, rischia di rimanere in galera, ma riesce a cavarsela dichiarandosi un malandrino. - Pinocchio costretto a fare da cane da guardia: Il burattino si incammina verso la casa della Fata, che considera ormai come una sorellina, ma prima viene ostacolato da un grosso serpente che gli sbarra la strada. Poi Pinocchio finisce in una tagliola mentre, affamato, sta rubando dell'uva in un campo. Il padrone del campo, dopo averlo scoperto, lo costringe per punizione a fargli da cane da guardia, con tanto di collare e catena al collo, in sostituzione del suo cane Melampo, morto quella mattina. Durante la notte viene svegliato da quattro faine: queste ogni notte erano solite rubare alcune galline che poi si spartivano con Melampo in cambio del suo silenzio con il padrone, e propongono a Pinocchio lo stesso accordo. Il burattino finge di accettare, ma poi rinchiude le faine nel pollaio e avverte il proprietario del campo che, per ricompensa, lo libera. - Geppetto parte per il nuovo mondo ma scompare tra le onde: Il burattino arriva finalmente dove dovrebbe essere la casa della Fata, ma vi trova soltanto una pietra di marmo con incisa una frase che gli fa capire che la Fata turchina era morta di dolore per essere stata abbandonata da Pinocchio. Mentre Pinocchio piange disperato, gli si avvicina un grosso colombo che lo avverte che Geppetto, non sapendo più dove cercarlo, ha intenzione di continuare le ricerche nel nuovo mondo e sta partendo su una barchetta che si è costruito da sé. Si offre di portarlo in groppa fino alla spiaggia, ma quando arriva sul posto vede che il padre, appena partito, sta per annegare ed è in balia delle onde. Pinocchio si butta in acqua nel tentativo di raggiungerlo, ma viene a sua volta trascinato al largo. - Nel Paese delle Api industriose: Rimasto alla deriva in mezzo al mare per tutta la notte, il mattino dopo un'enorme ondata lo scaraventa su un'isola. Un delfino gli indica la strada verso il paese più vicino e lo informa che probabilmente il padre è stato inghiottito dal Terribile Pesce-cane, un mostro arrivato da qualche giorno a portare morte e disperazione nelle acque dell'isola. Giunto nel Paese delle Api industriose, cerca di elemosinare qualcosa per poter mangiare ma gli abitanti del paese, grandi e instancabili lavoratori, lo rimproverano invitandolo a guadagnarsi il pane lavorando come fanno tutti. Alla fine accetta di portare una brocca d'acqua in casa a una donna, che lo ricompensa: una volta sazio si accorge che la benefattrice non è altro che la Fata, fintasi morta, che da bambina è diventata donna. - Pinocchio promette alla Fata di fare il bravo ma fa a botte con i compagni: La Fata, che l'ha perdonato dopo averlo visto piangere sulla sua finta tomba, dice che gli farà da madre e che lo trasformerà in un ragazzo in carne e ossa se andrà a scuola e farà il bravo per un anno intero. Pinocchio accetta e comincia ad andare a scuola, dove si trova bene, si impegna e riesce a diventare il primo della classe. Un giorno alcuni compagni lo invitano a marinare la scuola per andare in spiaggia a vedere il Terribile Pesce-cane. Sulle prime il burattino non vuole andarci ma poi si lascia convincere pensando che si tratti dello stesso Pesce-cane di cui gli ha parlato il delfino (quello che ha ingoiato geppetto). Ben presto però si accorge che è tutta una bugia e finisce col fare a botte con i compagni. Durante la lotta Eugenio, uno del branco, viene colpito dal libro di scuola di Pinocchio scagliato da un altro di loro e sviene. Tutti scappano tranne Pinocchio che cerca di soccorrerlo. Due carabinieri, capitati lì per caso, lo arrestano credendo che sia lui il colpevole, ma il burattino riesce a fuggire. gli occhi, come fanno i sarti quando infilano l’ago”, metafora utilizzata anche da Dante (Inferno). La trasformazione di Pinocchio in ciuchino, invece, fa un chiaro riferimento alle Metamorfosi di Apuleio, in particolar modo quando l’asinello esprime scoraggiamento e desolazione per la metamorfosi appena avvenuta. L’uso dell’ironia è accompagnato anche da altri strumenti retorici, come il non-sense o il grottesco, che ne amplificano gli effetti e pervadono il testo per intero, salvo per quelle parti più pedagogiche tese a criticare il comportamento del burattino, quindi quello umano compreso di vizi, tentazioni ed errori. Vi sono frequenti riferimenti al colore e l’attitudine alla caricatura. Il linguaggio popolare e l’ampio uso di discorsi diretti, sono formule tipiche del racconto orale, che trova nei discorsi del burattino, in particolar modo quando racconta cosa gli è avvenuto e confessa le proprie colpe, la sua massima espressione. A rendere la spontaneità e l’immediatezza del racconto orale è l’abbondante uso di fiorentinismi. E’ a metà tra fiaba e racconto orale, e la narrazione di Pinocchio si contraddistingue anche per la forte componente teatrale. Se da una parte abbiamo molteplici aspetti esteriori e fisici che rimandano al mondo del teatro, dall’altra abbiamo una forma di teatralità nella narrazione: caricature ed eccessi, grandi colpi di scena, fughe ed inseguimenti ed, infine, l’uscita di scena del burattino, prova di grande teatralità. Se è preponderante la componente teatrale, che usa l’ironia per dissacrare la contemporaneità, non si può dimenticare l’altro versante stilistico, quello melanconico e tenebroso, più discreto forse, ma non di secondaria importanza. Paura e divertimento permeano insieme le avventure di Pinocchio e il lettore vi può riconoscere i propri desideri e le proprie angosce. Scrittura semplice, chiara, colloquiale ed immediata. - DESCRIZIONE DEI PERSONAGGI PRINCIPALI: - Pinocchio: protagonista della fiaba, il burattino di legno che non impara mai dai suoi errori, che promette in continuazione e non mantiene, e che solo con molta fatica riesce a superare la sua voglia di distrazioni, è conosciuto da tutti come un personaggio che racconta bugie e a cui cresce il naso, ingenuo e credulone ma di buon cuore. Alla fine riesce a maturare e a capire tutti i suoi errori, questa volta non rifacendoli più, e può finalmente diventare un bambino. Se Pinocchio scopre la vita, non può sapere cosa sia il male; il suo peccato è proprio la buonafede, l’ingenuità. Egli diventerà un bravo ragazzo solo dopo aver scoperto che il mondo è pieno di truffatori. La trasformazione avviene solo quando prende coscienza della realtà. Aspetto molto importante che è presente dall’inizio alla fine dell’opera è la riflessione che Pinocchio fa tra sé e sé, in cui giudica e rimprovera i suoi stesi comportamenti, riconosce gli errori e si ripromette continuamente di cambiare e migliorare (anche se poi fallisce continuamente, ad eccezione della fine). - Geppetto: un artigiano che vuole costruire un burattino per guadagnare qualche soldo facendo degli spettacoli nelle piazze e che si ritrova a fare da papà ad un bimbo (burattino) birbante che non impara mai la lezione. Rappresenta il papà che ama suo figlio più di ogni altra cosa al mondo e che riesce sempre a perdonargli qualsiasi cosa; forse è troppo buono e non punisce Pinocchio come dovrebbe. Alla fine della fiaba è in ottima forma (vecchietto arzillo come all’inizio del racconto) e può godersi una bella casa e il frutto dei guadagni di Pinocchio che finalmente ha imparato ad essere un ubbidiente lavoratore. - Il Grillo Parlante: il piccolo animaletto saggio e filosofo che rimprovera Pinocchio e cerca di istruirlo con delle prediche, è considerato la voce della coscienza, spesso infatti si usa dire, a chi cerca di istruirci e di farci ragionare, che somiglia al Grillo Parlante. - La Fata Turchina: l’aiutante presente in ogni fiaba che cerca di aiutare i protagonisti della storia. Anche lei, come il Grillo, cerca di portare Pinocchio sulla giusta via; lei, al contrario di Geppetto, punisce Pinocchio, gli fa capire gli errori commessi e svolge quindi la funzione educativa, insieme, in parte, al grillo parlante, che gli dà dei consigli per far sì che Pinocchio non commetta errori. E’ però sempre pronta a premiare Pinocchio quando si dimostra ubbidiente. Lo aiuta a riflettere e a prendere decisioni giuste, gli sta accanto per tutto il racconto. - Lucignolo: lo svogliato compagno di scuola di Pinocchio che convince il burattino a seguirlo nel Paese dei Balocchi, un posto noto a tutti per essere un luogo in cui all’apparenza tutto è meraviglioso e giocondo ma che in realtà nasconde un destino ben più crudele (ricordiamo che i bambini vengono trasformati in asinelli!). Lucignolo, nell’immaginario collettivo, è il simbolo del bambino che non cresce, che vuol solo fare baldoria scappando ai suoi compiti, che disubbidisce continuamente e porta sulla “cattiva strada” i compagni buoni che invece vogliono comportarsi bene, Ha una forte influenza su Pinocchio. - Il gatto e la volpe: due cattivi elementi che imbrogliano Pinocchio e che campano solo di elemosina e raggiri fingendo di essere zoppi (la Volpe), e ciechi (il Gatto). Avendo incontrato Pinocchio che mostra loro incautamente le monete d'oro regalategli da Mangiafoco, decidono di rubargliele. Lo convincono a sotterrarle nel Campo dei miracoli, dove sarebbero secondo loro cresciuti alberi colmi di zecchini d'oro seminando monete. Si suppone che anche i personaggi non umani, ‘animaleschi’, siano caricature di varie tipologie umane (il gatto e la volpe). - INSEGNAMENTO / MORALE: Leggere la storia di Pinocchio fa credere al lettore di essere davanti alle pagine di un racconto per bambini e certamente l’idea originaria di Collodi è stata quella di scrivere una fiaba, ma l’autore sapeva bene che dentro le fiabe possono essere contenuti insegnamenti profondi validi per ogni età della vita, e certo utili per la crescita dei più piccoli. Quanto vuole dire Collodi è in linea con la morale della società borghese e industriale di fine Ottocento e per certi versi alcuni degli insegnamenti (ad esempio la realizzazione dell’individuo esclusivamente come elemento utile alla società) sono ormai lontani da noi. Ogni favola ha una sua morale. Anche Pinocchio ha la sua, anche se in realtà Pinocchio non è una favola tradizionale: è più che altro il viaggio del singolo alla conquista della sua umanità. Il percorso di un individuo - burattino degli eventi e del destino - che cerca la dignità di uomo. Ma poi c’è quell’elemento fantastico, quel pezzo di legno che urla quando viene levigato, quel naso che si allunga al suono di ogni bugia.. Elementi che fanno pensare che queste siano pagine per bambini, che la realtà sia decisamente più in là.. L’elemento fantastico rende sempre tutto più leggero e surreale, permette di non spaventarsi. Bisogna seguire quello che dice il genitore per essere degni di diventare uomini, o per sempre saremo a metà, burattini senza fili, ma pur sempre burattini. Ma se tra tutte queste tentazioni non ci fosse il desiderio di far contento quel nostro babbo che ci ha forgiati con tanta cura e con tanta cura ci ha vestiti, se non ci fosse l’aiuto materno di una fata sempre disponibile ad aiutare ma non a farsi prendere in giro, cosa ne sarebbe dell’uomo? Per quante notti rimarrebbe impiccato al ramo di un albero? E da quanti pescicani dovrebbe venir divorato per farsi togliere di dosso quella pellaccia d’asino? La storia di Pinocchio rappresenta il percorso di formazione, crescita e maturazione dell’individuo. Le vicende sono semplicissime, apparentemente adatte alla sola ingenuità infantile, ma non è esattamente così, perché Collodi sa coinvolgere grazie a sincera passione per ciò che narra e soprattutto per ciò che sottintende. L’ambientazione di Pinocchio è quella di prima dell’unificazione italiana: la fame domina le pagine del libro. Non è una fame drammatica, ovvero lo scrittore non la rende tale, ma fa intuire quanto sia difficile l’esistenza della gente benché vi siano i fuochi artificiali della rivoluzione industriale. Paradossalmente la ricchezza creata dall’industria provoca la povertà di chi la alimenta. Collodi fa passare a Pinocchio ogni genere di guai, gonfiando le cose per porre attenzione sui problemi e dall’altra parte per renderli meno drammatici attraverso personaggi ed immagini fantasiose. E’ come se affermasse che le cose, sotto le cose, stanno così, ma potrebbero essere altrimenti se, ad esempio, ci si impegna a fare bene. Ma l’idea splendida di Collodi è la trasformazione del burattino in un essere in carne ed ossa. Mentre il ragazzo, immedesimandosi in Pinocchio, trova un premio (da cosa a persona) per la buona condotta, e intanto impara a comportarsi bene, l’adulto può reperirvi una sorta di processo umano da essere istintivo e brutale ad essere cosciente e consapevole della validità di certi atti al fine di un vivere più dignitoso, più da uomo vero e proprio. Le vicende sono tutte sottolineature di un mondo sbilanciato fra male e bene, con il male sempre in agguato. Il male sta nel sistema che affama la gente e la tiene nell’ignoranza, nella superstizione. Per fortuna l’uomo ha molte risorse cui attingere nei momenti disperati: egli non è mai abbandonato da se stesso. La famosa trasformazione adombra un cammino ideale verso la valorizzazione della personalità umana. Collodi trasmette con passione contagiosa la liberazione di Pinocchio dalla prigionia della propria condizione. Quello di legno era un burattino nelle mani del mondo, nella mani di un sistema oppressivo, ancorato alla paralisi della conservazione, alla assurdità delle consuetudini. Pinocchio in carne ed ossa è un uomo che ha trovato le proprie peculiarità. Ha gettato alle spalle il passato e affronta a viso aperto il futuro. Ora è indipendente, può scegliere il buono che ha ereditato e cercare di vivificarlo. Non ha più bisogno di tutori. Non ha timori e speranze trascendentali. Ha tanta voglia di vivere una vita in presa diretta, ha voglia di mettere alla prova le sue energie, le sue capacità intellettuali e le sue virtù sentimentali. La favola di Pinocchio rappresenta un’allegoria della società moderna, caratterizzata da forti contrasti, che si svolge in un periodo, quello di fine Ottocento, di grande severità nell’attenzione al formale. La storia del burattino viene vista come la storia di un’iniziazione: ovvero di una marionetta di legno, simbolo della meccanicità della persona, che cerca in ogni modo di assumere le sembianze umane e di ritrovare la sua anima. La morale è riportata dai personaggi animali (grillo parlante, pappagallo), da un personaggio ‘fantastico’, la Fata Turchina, ma soprattutto da Pinocchio stesso, che continuamente, dopo essersi accorto degli errori commessi, se ne pente e ripromette a se stesso di non commetterli più (esempio: “Se solo fossi stato un ragazzino per bene, se solo avessi studiato, avessi reso felice il mio babbo, che non si merita d soffrire”... ecc.). Per Collodi diventare uomini è obbligatorio e giusto, e la vita sregolata ed anarchica di Pinocchio è impossibile. Dopo la trasformazione, Pinocchio è contento di essere diventato un ragazzo perbene. Ciò che vuole farci capire Collodi è che o si diventa uomini o si soccombe (vedi Lucignolo). C’è però anche un altro insegnamento: per non essere uomini infelici, sarebbe bene che i ragazzi si abituassero presto a quel modello di vita già scritto, per il quale bisogna andare a scuola e lavorare -> storia di Pinocchio = metafora della vita umana: da una parte rappresenta lo sviluppo umano ed il cambiamento, dall’altra, la condizione storica negativa 2) IL MARCHESE DI ROCCAVERDINA - CAPUANA - AUTORE E INFO GENERALI: ‘Il marchese di Roccaverdina’, pubblicato nel 1901, è il capolavoro (nell’ambito del Verismo) di Luigi Capuana e sancisce un "ritorno" alle origini veriste del suo autore, dopo tentativi narrativi sperimentali a sfondo psicologico, anche se questo di fatto è ancora un romanzo anche psicologico è considerato il romanzo più ben riuscito dello scrittore. Luigi Capuana, nato a Catania da una famiglia borghese agiata, fu uno dei massimi esponenti del Verismo italiano, ne è considerato anche il teorico (maestro per Pirandello e consigliere per Verga). Egli rappresenta il benestante siciliano che vuole essere anche intellettuale europeo. L’autore racconta una vicenda tragica, poiché il protagonista, il marchese appunto, a seguito delle azioni immorali che commette, giungerà alla pazzia; sono il desiderio e la passione per Agrippina Solmo, che lo portano a macchiarsi di un delitto che lo perseguiterà a vita, e da lì scaturirà una serie di altri eventi. Nel romanzo, il marchese convive da anni con una serva-amante (di nascosto) di origini contadine, Agrippina Solmo; per scongiurare definitivamente una possibile unione matrimoniale, poiché non poteva permetterselo, erano troppo diversi, il Roccaverdina comanda al suo fidato sottoposto - Rocco Criscione - di sposarla a patto di non avere rapporti sessuali con lei. In seguito, accecato dalla gelosia, il marchese uccide Rocco Criscione ma la colpa dell'omicidio ricade su un certo Neli Casaccio. Quest'ultimo, ingiustamente condannato, morirà in prigione. Il Roccaverdina decide quindi di sposare Zosima Mugnos, donna di nobili origini in disagiate condizioni economiche, e intraprende la realizzazione di una Società Agricola, destinata a un futuro fallimento. Agrippina Solmo nel frattempo si risposa in seconde nozze con un pastore di Modica. Il protagonista alla fine della narrazione sprofonderà nella follia, sotto il duplice peso di aver ucciso un uomo (Rocco Criscione) e di averne lasciato morire altri due (Neli Casaccio e, secondariamente, Santi Dimauro). “Il marchese di Roccaverdina” fonde ambientazioni veriste con una storia di dannazione e di analisi delle passioni estreme, è molto introspettivo e vi sono molte riflessioni fatte dal protagonista stesso. Sfondo della vicenda, un'ottima rappresentazione della Sicilia contadina e feudale. Capuana riesce ad equilibrare le tecniche narrative veriste con un'attenta ricerca psicologica, senza dimenticare l'apertura al soprannaturale e all'esperienza spiritica: quest'ultima è direttamente rappresentata da don Aquilante, avvocato personale del marchese. Anche se giustamente considerato l'ultimo romanzo verista, il debito verso la narrativa di tipo psicologico rimane enorme. Il marchese di Roccaverdina è un'ottima sintesi dei diversi - e a volte contraddittori - interessi culturali del suo autore, fedele non solo al verismo ma anche aperto alle nuove correnti letterarie europee. L’impegno costante di Capuana, spinto dalla curiosità e dall’inquietudine, era quello di voler capire dall’interno i problemi, e nel volerli trattare sia nella loro specificità, sia nella loro generalità. In questo romanzo vediamo uno sforzo di elaborazione che ricerca ed intreccia più generi letterari. Ciò che Verga e Capuana hanno in comune, oltre alle affinità culturali e di genere, è l’atteggiamento politico pratico verso i mali del mondo e della loro infelicissima isola (Sicilia). - CONTESTO: Le vicende hanno come sfondo storico la Sicilia rurale del periodo post-unitario, con i suoi fallimentari tentativi di progresso economico, impraticabili in una società ancora semifeudale. Paesaggio dominato da povertà e siccità. I borghi presi in questione sono Margitello e Ràbbato (zone in cui il protagonista è marchese), luoghi reali e descritti in diverse occasioni dall’autore, soprattutto per sottolineare la siccità che li tormentava da mesi. L’ambiente sociale del protagonista è quello aristocratico, ma emerge come una “macchia” all’interno di tutt’altro tipo di situazione, il popolo, la realtà contadina, che riveste un ruolo importante nell’opera ed in cui domina la povertà. Il marchese di Roccaverdina (Antonio Schirardi) è un nobile della Sicilia della seconda metà dell’800. La maggior parte del racconto è ambientato in spazi chiusi, tranne alcune eccezioni, come le riflessioni del marchese sulle colline. In alcune occasioni i luoghi si caricano di ricordi e significato affettivo, come ad esempio la stanza dove si trovava il crocifisso e che gli procurava angoscia per un avvenimento avvenuto da bambino. Capuana lascia intendere che l’ambientazione risale all’800 da alcuni fatti storici: accenna ai moti rivoluzionari del ‘48 (il padre del marchese vi partecipò) e ad alcuni re che avevano governato in quel periodo, come Ferdinando II; il tempo è quindi reale. L’arco temporale del romanzo potrebbe essere di 2 o più anni, ma non sono forniti abbastanza dati. Il modo di scrivere di Capuana e la sua ideologia fanno emergere il condizionamento del positivismo e la paura della ‘questione sociale’, del nascente socialismo anticlericale. Il Verismo è una corrente letteraria italiana sviluppatasi nei primi anni del ’900. Secondo gli autori veristi, l’autore ha il diritto di rappresentare la realtà così com’è, senza giudizi o commenti, oggettivamente. Affonda le sue radici nel Positivismo (indirizzo dominante di Capuana) e nel Naturalismo francese. Nelle opere veriste traspare pessimismo e sconforto (si crede che l’unità nazionale non abbia per nulla migliorato/cambiato le sorti dell’Italia, soprattutto del sud), e l’impersonalità dell’autore. - TRAMA: Il marchese di Roccaverdina vive nelle sue terre di Sicilia con la prepotenza, la cocciutaggine, gli arbìtri degni dei suoi bisavoli, soprannominati i Maluomini. Nel palazzo dove abita solo con la vecchia balia, mamma Grazia, egli è cresciuto con Agrippina Solmo, una contadina che gli dedicò gioventù, bellezza, purezza, con animo di innamorata e di schiava. Per non correre il rischio di disonorare il nobile casato sposandola, il marchese la dà in moglie al suo devoto fattore Rocco Criscione, esigendo però che entrambi giurino davanti al crocifisso di vivere come fratello e sorella, e non come amanti. Quando però dopo un po’ gli nasce il dubbio che Rocco ed Agrippina abbiano violato il giuramento, il marchese uccide Rocco con una fucilata. Del delitto viene accusato Neli Casaccio, che già aveva minacciato Rocco perché a suo parere ci provava con sua moglie (ma innocentemente, non l’avrebbe mai ucciso). Il romanzo inizia a questo punto: storia della lotta segreta e feroce fra il marchese e il suo rimorso. L’antefatto è vivo e presente in tutta la vicenda, riflesso come in uno specchio stregato nella coscienza del marchese che cerca di liberarsene prima nella confessione e, quando l’assoluzione gli viene rifiutata (poiché non si pente), allontanandosi da qualsiasi fede religiosa (per poi tornarci, in teoria). Dopo il delitto, l’amore per Agrippina, che gli è rimasto nel sangue, ha qualche volta il sapore dell’odio, un tormento in più; per vincerlo, il marchese decide di sposare Zosima Mugnos che ha amato nell’adolescenza e che ora, a 32 anni, vive con la madre e la sorella nella miseria in cui le ha ridotte il padre. Poi, mentre Agrippina passa a seconde nozze con un pastore dei monti, il marchese si dà ad una vita piena di attività, in contrasto con l’isolamento caro alla sua indole. Ma il ricordo del suo delitto ritorna a lui di continuo - AUTORE ED INFO GENERALI: “La vita intensa” è un romanzo autobiografico (forse futurista) di Massimo Bontempelli (nato a Como) pubblicato in forma di volume nel 1920. Il volume è composto da da 10 ‘romanzi’. Questi 10 romanzi, che erano già apparsi a cadenza mensile (a puntate) nelle pagine della rivista «Ardita» nel 1919, ebbero al tempo un successo inatteso che sorprese lo stesso autore. L’intera opera è quindi un ciclo (un insieme) di piccoli romanzi (storie), un grande romanzo che ne contiene altri 10 al suo interno. Un grande scrittore del nostro Novecento in un libro, “La vita intensa”, il romanzo dei romanzi, purtroppo dimenticato e ignorato. Massimo Bontempelli era ironico, sorprendentemente libero, vicino alle idee e al movimento culturale dell’avanguardia nonostante non rinnegasse del tutto la tradizione. Geniale nello smantellare le linee letterarie del romanzo dell’Ottocento, quelle romantiche, naturalistiche, sentimentali, per sorprendere il lettore con la letteratura dell’assurdo, la suspense, dando vita a un realismo magico e delineando una sua poetica ideale. La trama conquista e seduce da subito per gli argomenti personali, spesso surreali, narrati in prima persona con una satira sottile, graffiante, e con continui riferimenti letterari, da Balzac a Dostoevskij. Bontempelli, mentre narra, in prima persona, vicende particolari della sua vita, ragiona davvero moltissimo e porta il lettore stesso a ragionare a sua volta. Bontempelli fu teorico del ‘realismo tragico’. ‘La vita intensa’ è una delle prove più sperimentali della letteratura novecentesca. Quelle raccontate sono vicende ordinarie, in giornate normali, in cui non accade nulla di stratosferico, sono sprazzi di vita quotidiana curiosi ed importanti per l’autore per qualche aspetto, in cui l’autore incontra persone curiose degne della sua attenzione per qualche dettaglio, come ad esempio la donnina imbacuccata, modesta negli abiti che indossava, con lo sguardo basso, che usciva dallo studio del dottore del piano di sotto, camminava trafelata senza mai voltarsi, ristretta nel suo vestito e piena di rossore in volto; e l’uomo con una grande valigia, affannato e sudato in cerca di un facchino che non c’era; o la signora Marta con la sua terribile gelosia nei riguardi del marito. Umorismo, intelligenza, modernità, piccoli capolavori: una lettura colta e straordinariamente raffinata. Bontempelli è uno scrittore autobiografico, e lui stesso diceva che ogni racconto valeva a ricordargli un preciso momento della sua vita; egli ha riempito tutto il suo “romanzo dei romanzi” una serie di tasselli che ben composti ci offrono un autoritratto. La Prima Guerra Mondiale fa da spartiacque sia nella vita sia nella produzione letteraria di Bontempelli: la produzione dopo la guerra (come ‘La vita intensa’) vede gettarsi lui come anche altri autori reduci del fronte, a capofitto in una modernità milanese dominata dal Futurismo, rifiutare ciò che era stato scritto precedentemente ed affrontare una vita nuova, la vita intensa, appunto. Si dice che se Bontempelli avesse continuato sulla strada anteguerra non sarebbe ricordato se non per scrivere il suo nome come scrittore ma nulla di più, ma la produzione del dopoguerra è dominata da una trasformazione spirituale, rinnovamento, liberato dalla retorica, alleggerito da tutti gli artefici retorici ha potuto rivelare il suo vero talento. Egli tratteggia scene di vita quotidiana deformandole un poco, ma dietro questa leggerezza, possiamo avvertire drammaticità di situazioni, passioni, sentimenti ed umanità. - CONTESTO: Nel 1919 la vita a Milano è già intensa. Nella ‘capitale morale d’Italia’ si muovono frenetiche sagome di personaggi, colte nell’affannoso - e forse un po’ ridicolo - dedicasi alle proprie attività, concrete, o divagazioni dell’io: la tabaccaia, il signore con la valigia, la donna gelosa, il correttore di bozze. Durante le frenetiche vicende l’autore ripercorre tutta la città di Milano, passando dalla Galleria, dal Duomo, dalla Stazione. I fatti raccontati risalgono o all’anno della scrittura (primo anno del dopoguerra, 1919) o agli anni precedenti, essendo vicende accadute nel corso della sua vita. All’epoca Massimo Bontempelli aveva 41 anni, era reduce dal fronte (Prima Guerra Mondiale 1914-1918), indossava la divisa militare con la quale aveva visto morire tanti giovanissimi compagni d’armi: diciottenni, ventenni, una grande ingiustizia, scriverà. Quell’età, 41 anni, come dice lui stesso, gli provoca un po’ di rammarico, poiché - dice- vorrebbe avere un’altra età, come quella che avevano i suoi compagni al fronte. Sono storie vere, come ad esempio gli incontri accorsi in una normale mattinata del 1919, primo anno del dopoguerra, andando da via S. Paolo alla Galleria, in una Milano elegante e frenetica durante la passeggiata mattutina con il suo amico Piero. La narrazione si sposta da Milano, a Napoli, dove l’autore parla della sua esperienza lavorativa, e a Roma, dove lavorò presso lo studio di un imbalsamatore di uccelli e dove diete ripetizioni di pianoforte: anni di miseria, fame, freddo e delusioni ma con il pensiero al suo lontano avvenire. Il romanzo risente dell’influenza del Futurismo milanese, principalmente da due elementi: da tale slancio programmatico nel voler rinnovare il romanzo europeo e svuotarlo di artificialità e pesantezza, e dall’attitudine alla beffa del protagonista nei 10 micro-romanzi. - TRAMA: Ognuno dei 10 romanzi è a sua volta diviso in capitoli, e ognuno è scritto in un mese diverso (da Marzo a Dicembre). I titoli sono: 1-La vita intensa: nella Prefazione l’autore ci fa subito intendere il suo obiettivo (la sua sfida): scrivere questo romanzo per i posteri e soprattutto rinnovare il romanzo europeo. Inoltre spiega di raccontare fatti veri, accaduti a lui, nella sua città, Milano. Sostiene poi che le sue storie, vere, potranno sembrare troppo complicate per gli uomini troppo semplici (infatti lui non le scrive per loro, per chi, ad esempio, è capace di andare dalla casa alla trattoria senza incontrare nulla che sia degno di essere raccontato), e sembreranno troppo semplici per i lettori dei romanzi di Dumas (scrittore francese) ad esempio, che esigeranno che in quel tragitto ci siano due o tre duelli, come avvenne per D’Artagnan, o per i lettori dei seccanti romanzi di Bourget, che si aspettano analisi psicologiche dei personaggi. Sostiene però che la sua storia sia vera così, nella sua semplicità, e che non la scrive nemmeno per gli uomini troppo complicati. In poche parole fa tabula rasa di un secolo di tradizione letteraria. 2- Il caso di forza maggiore 3- La donna dai capelli tinti con l'"henné" 4- Il dramma del 31 aprile ovvero Delitto e castigo 5- Morte e trasfigurazione parte prima: qui e nel decimo romanzo viene citato l’amico musicista Savinio. 6- Morte e trasfigurazione parte seconda 7-Mio zio non era futurista: in questo romanzo Bontempelli si fa beffa (autoironia) del suo alter ego e del suo passato passatista, infatti lo zio letterato e il nipote che inizia a sentire le influenze del Futurismo non sono che le proiezioni dello stesso autore, che, con una faccia volge lo sguardo al passato e con l’altra scruta il futuro. A Bontempelli non dispiace per niente gettarsi alle spalle settenari, terze rime, sonetti, per sperimentare un nuovo futuro. 8- Florestano e le chiavi 9- Il dèmone del giuoco 10-Romanzo dei romanzi: il romanzo più caratteristico del volume, è un unico colpo di scena; romanzo in cui viene ripercorso tutto l’intero il volume, in cui l’autore si trova faccia a faccia con ogni singolo personaggio (compresi gli animali) incontrato (descritto) nei romanzi precedenti, per dare vita ad una vera e propria sarabanda. In questo romanzo Bontempelli addirittura si trova faccia a faccia con se stesso: l’autore vede l’autore stesso e vi conversa: il personaggio del romanzo spiega all’autore in carne ed ossa che c’è una distinzione tra i due: colui che ascolta è l’uomo vivo, lo scrittore di romanzi, lui che parla è il personaggio dei romanzi stessi. Tutto ciò è surreale, si entra nell’inverosimile, avviene uno sdoppiamento della persona dell’autore. Verso la fine del romanzo, dopo aver criticato (implicitamente) i vizi comuni a tutti gli uomini per tutto il volume, l’autore si autocritica attraverso il sé personaggio che critica il sé scrittore (l’altro ‘io’ dell’autore gli fa la morale, sostenendo che ha il diritto di faro perché all’interno del romanzo, essendone il personaggio, è più importante dell’autore stesso). A detta del personaggio, il vizio dei romanzieri è quello di creare continuamente personaggi, e poi pretendere di fargli sempre fare qualcosa come vogliono loro, li creano e li obbligano a fare ciò che vogliono loro, gli dà dei falsi demiurghi (poiché quelli veri crea tanta “gente” e poi la “butta là” e le lascia fare ciò che vuole); sostiene che i romanzieri non dovrebbero sempre pretendere che i personaggi concludano qualcosa, ma possono stare lì senza fare per forza qualcosa di importante da raccontare. L’autore svela anche al lettore di essere riuscito ad imbrogliarlo: l’autore vede la tabaccaia, ma non crede ai suoi occhi, poiché è sicuro che fosse morta, nel quarto romanzo (‘Il dramma del 31 aprile’); ma il personaggio dell’autore gli dà dello scemo e lo incolpa di non essersi accorto che il 31 Aprile non esiste (ed effettivamente neanche il lettore se ne accorge). La chiusura del romanzo è a ring, con un andamento circolare: nell’ultimo capitolo dell’ultimo romanzo, riappare ‘la Zolfanelli’, la protagonista che troviamo all’inizio del primo romanzo. Finisce quindi in modo molto strano e stravagante, a colpo di scena. - TEMATICHE E CARATTERISTICHE PRINCIPALI: Da una parte, bersaglio di tutto il romanzo sono i vizi comuni, le debolezze della gente, che nasconde dietro leggerezza ed ironia. Dall’altra, inoltre, tutto il libro è, romanzo dopo romanzo, un bersaglio unico a tutta la letteratura antecedenze e contemporanea all’autore. La voce narrante monta, smonta e rimonta le loro azioni in una sorta di metaromanzo (infatti l’autore inserisce osservazioni e considerazioni, quindi si instaura un rapporto con il lettore, inoltre dà informazioni sulla stesura del romanzo stesso); va in scena un ‘quadro vivente’ di caratteri e tecniche narrative, di cui Bontempelli fa una parodia lucida e affilata per disgregare il tessuto ideologico (credenze, valori, ideologie) di un’epoca e mettere in risalto quei vizi che ancora oggi affliggono l’uomo (molto attuale). Ad eccezione dell’ultimo romanzo, il volume assume un realismo davvero sorprendente. Bontempelli riesce a prendersi abilmente gioco del lettore, riesce a riempire tutto il romanzo di colpi di scena e scene ad effetto, ha l’abilità di sorprendere continuamente il lettore. L’abilità dell’autore è anche quella di aver saputo costruire perfettamente tutto il romanzo, bilanciando le varie parti (struttura costruita). Nel volume troviamo ‘romanzo di avventure’: sì, ma si intende avventure quotidiane, non fantastiche. Il suo romanzo è divertente e costituisce una formula letteraria mai tentata prima in Italia. Per lui l’arte deve essere "realistica", ovvero legata al mondo, ma anche "magica", cioè deve rappresentare "l'irruzione dell'assurdo nella realtà quotidiana". - STILE E MODALITA’ DI SCRITTURA: Narrato in prima persona, intrinseco di ironia graffiante ma anche di assoluto realismo, con continui riferimenti letterari dotti come versi di poesie (si capisce che era coltissimo) ed un ritmo prima incalzante poi lento, atto a creare suspense. Molto preciso in riferimento a spazi (riferimenti precisi a luoghi) e tempi (giorno ed ora) della narrazione. Grazie al modo di scrivere e all’abilità dell’autore, sembra impossibile pensare che il lettore possa annoiarsi durante la lettura o trovare il romanzo banale, ma anzi, è una sperimentazione uscita perfettamente. Egli definisce il suo stile, dicendo “rapidità del mio stil novo romanzesco”. - DESCRIZIONE DEI PERSONAGGI: I personaggi che si incontrano durante la descrizione di vicende della vita dell’autore, sono persone semplici, ordinarie, che non fanno nulla degno di particolare nota, ma sono prese nella loro quotidianità, e per qualche particolare curioso hanno attirato l’attenzione dell’autore. I personaggi sono: - Massimo Bontempelli (autore e protagonista in prima persona) - presente dall’inizio alla fine: egli sostiene che molti si meravigliano della sua pazienza di fronte alle difficoltà comuni della vita, e quasi gliela rimproverano, e c’è pure chi gliene chiede la ricetta, ma lui non sa darla, soltanto forse il suo animo ha preso l’abitudine di astenersi perché tra tutte le difficoltà che si incontrano nella vita, la difficoltà è proprio capire contro quale abbattersi. - Piero (caro amico dell’autore) - primo romanzo - Signora Marta (gelosa) - terzo romanzo, Studente di pianoforte - sesto romanzo, Signorina bionda nel palazzo a cui dava lezioni - sesto romanzo, Passante che gli fece cadere la sigaretta - sesto romanzo, Sindaco - settimo romanzo, Bionda del tranvai, Signor Bartoletti, Florestano - Massimo Bontempelli (personaggio del romanzo, trasfigurazione) - Iovelli, Marinetti (futurista), Portinaio, Donna che andava dallo specialista, Dattilografa, Signora dai capelli color salmone, Bazzi (illustratore del libro), Cani e gatto, Zio, Tabaccaia, La Zolfanelli -primo romanzo - INSEGNAMENTO / MORALE: L’obiettivo dell’autore è, da una parte, mettere in risalto, fare ironia, scherzare su vizi e debolezze, dall’altra disgregare il tessuto ideologico dell’epoca, prendendo come bersaglio anche i generi letterari del tempo e precedenti. Le varie avventure de ‘La vita intensa’ ruotano tutte intorno ad un nucleo ideologico centrale: la rappresentazione ironica della società borghese del primo dopoguerra, dipinta nella sua quotidianità, con i suoi ritmi, con la sua nuova modernità, con i suoi vizi e le sue ideologie. La leggerezza e la facilità con cui lo fa sono rafforzate dagli esiti comici delle peripezie stravaganti. I bersagli dello scrittore sono: il romanzo psicologico, il romanzo ciclico, il romanzo ad intreccio drammatico (dannunzianesimo), il romanzo sentimentale, il romanzo filosofico, le ritualità del futurismo, la letteratura dell’assurdo. Inoltre Bontempelli stesso si diverte a prendersi gioco dei luoghi comuni, come la dipendenza dal fumo, la gelosia estrema, la vergogna davanti a certi tipi di malattie, la frenesia di mille persone che fanno tutte cose diverse, la seduzione femminile, e dei meccanismi narrativi usurati. 4) SORELLE MATERASSI - ALDO PALAZZESCHI - AUTORE E INFO GENERALI: “Sorelle Materassi” è un romanzo scritto da Aldo Palazzeschi e pubblicato nel 1934. L'autore sottopose il testo originario del '34 a una lunga revisione stilistica che giunse a conclusione solo nel 1960 con l'edizione della stesura definitiva. Fa parte dell’esperienza pacata della narrativa matura di Palazzeschi. Il romanzo narra la vicenda malinconica di 2 anziane sorelle zitelle, avviate verso una decadenza fisica ed economica a causa di un nipote, il bellissimo Remo. La loro rovina (soprattutto decadenza economica) è paradossalmente allietata e ripagata, però, dall’illusione che egli gli dà, di aver partecipato per riflesso alla sua gioia vitale, e dalla gioia stessa del ragazzo. Le 2 sorelle si lasciano spogliare dei risparmi accumulati in lunghi anni di lavoro come ricamatrici, dal nipote Remo. Aldo Palazzeschi nasce a Firenze, ed è uno degli spiriti più libero del ‘900. Egli ebbe un periodo Futurista ma poi si dissociò dalla corrente, dissentiva da ogni forma di interventismo ed era antifascista. E’ considerato uno dei padri delle avanguardie storiche. “Sorelle Materassi” è stato scritto in quel periodo che viene definito come una sorta di ‘ritorno all’ordine’, poiché dopo una produzione di ‘fantasticheria umoristica’, qui il tono cambia decisamente: vengono adottati moduli narrativi più tradizionali che richiamano, nella rappresentazione degli ambienti e dei personaggi, alla forma del bozzettismo toscano di fine Ottocento. - CONTESTO: Il romanzo è ambientato nel XX secolo a Coverciano (Santa Maria è la chiesa), piccolo sobborgo (quartiere / paesino) nella periferia di Firenze. Prima dell’inizio vero e proprio, vi è un incipit molto descrittivo e perfettamente riuscito, in cui l’autore fa un excursus di tutti i luoghi che si incontrano nella sua zona, quindi parte da Firenze, per poi soffermarsi sule colline e le pianure che vi sono attorno, sui borghi, per arrivare poi a descrivere più nello specifico Santa Maria a Coverciano, le sue ville, le sue vie, e la gente che vi abita. Un altro fattore che emerge è la descrizione della vita all’interno del piccolo paesino: vita piatta, in cui non succede mai nulla di nuovo, isolato dalla città, ed in cui l’arrivo di Remo movimenta gli animi di tutti i compaesani come se fosse arrivata una personalità famosa e attesa da tempo, tutti lo ammirano e lo adulano. Emerge - AUTORE ED INFO GENERALI: “Itaca” per sempre è un romanzo di Luigi Malerba - esponente delle neoavanguardie - pubblicato nel 1997, è basato sul mito del ritorno di Ulisse ad Itaca, tratto dall’Odissea di Omero, ma ne presenta una rivisitazione e reinterpretazione dell’autore che per alcuni aspetti si discosta dalla versione originale. Nel post-scriptum del libro, Malerba spiega la nascita dell'idea che ha dato vita al romanzo, scaturita da una discussione con Pietro Pucci (pittore) e la moglie dell'autore stesso, e aggiunge l'ipotesi (da lui stesso definita una congettura romanzesca) che i due poemi epici di Omero, nascano da dei racconti dello stesso Ulisse, dettati da lui e messi per iscritto dal figlio Telemaco. In questo romanzo Malerba rilegge in chiave introspettiva e psicologica il l’arrivo di Ulisse in patria. Egli sostiene di non aver voluto ‘correggere’ l’Odissea, ma di raccontare ciò che Omero tace di proposito e con malizia su Ulisse e Penelope. Per esempio, il fatto che Ulisse si travestì da folle (si mise il cappello da contadino ed iniziò ad arare il campo, facendo in oltre finta di non riconoscere Agamennone e Menelao) per non andare in guerra e fu smascherato da Palamede (un saggio), di cui poi Ulisse si vendicò facendolo lapidare sotto le mura di Troia; oppure il povero Filottete - compagno di Ulisse in guerra - abbandonato su un’isola deserta con la gamba in cancrena. L’Ulisse di Omero, non dice tutto ciò che accadde davvero, il che avvalora la tesi - sostenuta dallo stesso Malerba - che sia proprio lui, Ulisse, il vero autore del poema epico che lo riguarda. La passività di Penelope, poi, non è credibile e inaugura la tradizione misogina (avversione verso le donne) dell’Antica Grecia. Infine, nell’Odissea, Ulisse viene riconosciuto dal vecchio cane Argo, non da Penelope. - CONTESTO: Il romanzo di Malerba, a differenza dell’Odissea, non tratta del viaggio di ritorno di Ulisse in patria, ma il romanzo inizia quando Ulisse arriva, per la prima volta dopo 20 anni, ad Itaca, disorientato e provato dal viaggio. L’ambientazione è Itaca, ed il luogo in cui si concentra la maggior parte della narrazione è la reggia di Ulisse. Ulisse resta lontano dalla patria, Itaca, di cui è il Re, per 19 anni: 9 anni è la durata della Guerra di Troia, 10 anni è quella del viaggio di ritorno da Troia ad Itaca, in cui si imbatte in mostri marini, sirene, nuove civiltà e nuovi territori; sono anni faticosi e pieni di difficoltà e sofferenza, ma sono anche anni in cui Ulisse riesce a soddisfare la sua curiosità e la sua passione per le avventure in mare e per la scoperta di nuovi orizzonti. A volte incolpa se stesso per essersi trattenuto così a lungo invece di tornare a casa. La Guerra di Troia fu combattuta a partire dal 1184 a.C. tra Achei (Greci uniti: Sparta, Micene, Itaca -> vinsero) e gli abitanti di Troia a causa del rapimento (o fuga volontaria) di Elena - moglie di Menelao, Re di Sparta - da parte di Paride - figlio di Priamo, Re di Troia. - TRAMA: Ulisse è tornato ad Itaca con la nave dei Feaci. All'inizio si guarda intorno spaesato, non riconosce la sua isola. Poi si accorge del degrado a cui è stata abbandonata. Travestito da mendicante prepara la tremenda vendetta contro i Proci, i pretendenti al trono che vogliono che Penelope scelga un nuovo sposo e quindi un nuovo re di Itaca, inoltre abusano delle ricchezze del re assente e si divertono con le ancelle regali nella reggia di Ulisse. Per mettere in atto il suo piano ed assicurarsi la sua buona riuscita, Odisseo si rivela solo al porcaio Eumeo e al figlio Telemaco, ma non a Penelope. In seguito ha un primo, lungo colloquio con Penelope, l’eroe appare come un vecchio vagabondo coperto di stracci che era in guerra con Ulisse, e, raccontando alla moglie una serie di menzogne, porta notizie verosimili dell'imminente ritorno di Ulisse. Pochi istanti più tardi, Penelope ancora presente, la nutrice Euriclea riconosce il padrone toccandogli, mentre lo lava, una vecchia cicatrice di caccia ma per volere del re lei cela la sua scoperta. Però Penelope riconosce Ulisse nei panni del mendico, e si indispettisce perché il marito, non rivelandosi, mostra di non avere alcuna fiducia in lei. Il libro narra di Ulisse e del suo ritorno dopo la Guerra di Troia alla lontana patria, Itaca. In questo romanzo l'autore opera una variazione a questa parte dell'Odissea (XXIII libro) e lascia più ampio spazio ai pensieri di Ulisse. Inoltre, il romanzo si articola nella narrazione diretta da parte di Ulisse e Penelope sotto forma di dialogo a battute alternate. L’autore dà un ampio spazio anche a Penelope e ai suoi sentimenti, oltre che a quelli di Ulisse. La grande differenza, nonché innovazione, rispetto al poema epico, però, è che nel romanzo di Malerba, Penelope riconosce subito Ulisse, e per molti capitoli è presente un'introspezione di Penelope, del tutto assente nell'Odissea. Tornato a Itaca sotto mentite spoglie, Ulisse si rivela al porcaio Eumeo e al figlio Telemaco (poi verrà riconosciuto dalla serva Euriclea per una cicatrice), organizza la vendetta contro i Proci - pretendenti di Penelope che da tempo occupavano la casa del Re bevendo e mangiando, e nell’attesa che Penelope scegliesse uno di loro, e poi la esegue. Dopo la palese vittoria alla gara dell’arco, la vendetta avviene poi con lo sterminio dei Proci, primo fra tutti Antinoo, giovane forte e arrogante. Penelope però - tra l’altro shockata dalla ferocia di Ulisse - continua a fingere di non riconoscere il marito pur dopo la sua rivelazione e risponde ai ricordi con i quali Ulisse cerca di provare la propria identità con implacabile ferocia logica, freddezza e distanza, dimostrandosi argomentatrice superiore a lui. Ulisse rimane così preda del dolore, avendo capito di aver sottovalutato questa dote di Penelope, dell'incomprensione, dell'incertezza e del dubbio. Anche Telemaco non è più così sicuro dell'identità di quell'uomo. Battuto e ferito nel suo orgoglio di eroe, Ulisse decide di ripartire. Questa sua decisione, però, provoca il disperato richiamo e l'abbraccio di Penelope, che ormai è disposta ad accettarlo e riprenderlo sapendo che è suo marito. Ulisse, tentato di adempiere alla profezia di Tiresia di un altro viaggio, compie invece il proprio destino restando in patria e mettendo a frutto la sua passione e la sua abilità nel narrare: affidato il governo a Telemaco, comincia a comporre, in collaborazione con il cantore Terpiade, quelle che saranno l'Iliade e l'Odissea. In breve -> differenze tra “Odissea” e “Itaca per sempre”: più spazio ai sentimenti e ai pensieri di Ulisse e Penelope, viene tolta tutta la parte del viaggio di ritorno e lasciata solo dall’approdo ad Itaca in poi, Penelope riconosce Ulisse (differenza più importante, cosa che nell’Odissea non accade), e non solo il cane Argo. Importante: favola della tela e gara dell’arco - TEMATICHE E CARATTERISTICHE PRINCIPALI: La domanda che si pone Malerba è: com’è possibile che nell’Odissea Penelope non riconosca mai, neppure nel bagliore di un sospetto, lo sposo? E’ questa l’idea che sta alla base del suo romanzo. E a questa domanda risponde quindi la Penelope di Malerba, che, pur avendo riconosciuto subito l’eroe, tace. E nel silenzio di macera, chiedendosi: perché Ulisse si svela a tutti e non a me? Non ha più fiducia in me? Non l’ha mai avuta? Il risentimento di Penelope - in Omero appena abbozzato nell’interrogatorio sul mistero del letto coniugale* - che è uno degli elementi fondamentali in questo romanzo, innesca un dramma intimo che attira nel suo vortice anche Ulisse, il quale giungerà a dubitare di se stesso, della propria celebrata astuzia, della propria incrollabile personalità. Il romanzo è costruito in maniera introspettiva, infatti emergono i pensieri dei personaggi, ed è narrato in prima persona dai personaggi stessi, Ulisse e Penelope; è la storia di Ulisse, delle vicende una volta approdato ad Itaca dopo la guerra, ripercorsa proprio attraverso i loro pensieri, le loro paure, i loro dubbi; e ai loro pensieri si intrecciano i loro dialoghi. La narrazione introspettiva in prima persona lascia spazio alla sincerità e a dettagli che Omero volutamente nasconde nell’Odissea, ed inoltre il lettore grazie a questa tecnica narrativa riesce a vedere e capire le cose sotto un altro punto di vista. Le tematiche principali sono: sofferenza,tentazione, avventura, malinconia, disperazione, solitudine, ira e vendetta, fedeltà, speranza, gelosia, forza, coraggio, astuzia, debolezza, fortuna, dubbio, strategia, imbroglio. All’interno del romanzo vi sono parti davvero toccanti, che fanno quasi immedesimare il lettore all’interno della vicenda stessa; questo effetto così toccante e realistico, è dato dal fatto che la narrazione sia proprio ‘nelle mani’ dei due protagonisti, e ciò fa in modo che emergano i più profondi sentimenti di paura, amore e dubbio. Interessante è quel gioco di finzioni, di provocazioni che nasce quando Ulisse sta mentendo fingendo di essere un mendicante esule di guerra, quindi fingendo di essere chi in realtà non è, e Penelope che, nonostante riconosca Ulisse fin dalla prima volta, dal primo sguardo, finge di non riconoscerlo perché si sente offesa dal momento che Ulisse non si svela a lei ma a Eumeo e Telemaco sì. Importante: alla fine del romanzo Penelope dice che Odisseo non ha dimenticato i ricordi, sotto suo consiglio, ma con il cantore Tiresia sta componendo 2 poemi: uno sulla Guerra di Troia ed uno sul suo ritorno in patria -> questo ci fa intendere che saranno l’Iliade e l’Odissea, come se fil romanzo di Malerba fosse stato scritto precedentemente ai due poemi omerici. Con questa finzione, Malerba instaura un legame con la tradizione e con la sua ispirazione. *Nell’Odissea, l’unico risentimento di Penelope è visibile quando, durante l’incontro con Ulisse, per vedere se quello che aveva davanti era il marito o un pretendente, chiede ad una serva di portare il letto lì nella stanza dov’erano, per far riposare ‘lo straniero’, e proprio in quel momento Ulisse, che aveva costruito con le sue mani quel letto coniugale ricavandolo da un albero di ulivo, esordisce dicendo che solo una divinità sarebbe stata in grado di spostarlo, e lì avvenne il riconoscimento. - STILE E MODALITA’ DI SCRITTURA: La narrazione è in prima persona e avviene attraverso pensieri, sensazioni ed emozioni dei protagonisti. Il linguaggio, ovviamente, essendo stato scritto il romanzo nel 1997, è attuale, e questo è anche un modo per far calare ancor meglio il lettore nelle vicende. Le parti dei dialoghi e quelle dei pensieri sono perfettamente bilanciate, l’equilibrio è perfetto; è scritto veramente bene. L’abilità di Malerba è quella di far appassionare fin dall’inizio il lettore al romanzo. - DESCRIZIONE DEI PERSONAGGI PRINCIPALI: - Ulisse: Il protagonista è l'eroe dell'esercito acheo che, dopo la caduta di Troia e durante il suo ritorno in patria, incontra ostacoli e affronta terribili avventure, restando in mare per dieci anni. Queste vicende non sono narrate nel romanzo; Infatti troviamo Ulisse già sulla spiaggia di Itaca, sulla quale è stato lasciato dai Feaci. In questo Romanzo vediamo un eroe totalmente diverso da come c appare nei poemi omerici, qui è umanizzato: l’eroe forte, possente, imbattibile, il più astuto, qui è presentato nella sua vera indole, nella condizione in cui, dopo 20 anni, rivede Itaca, rivede il figlio e la moglie, provato dalla guerra e dal viaggio, dalla mancanza, dalla sofferenza e dalla malinconia provata, preso da un misto di sentimenti tutti contrastanti tra loro, ma soprattutto debole. Sembra quasi impossibile vedere l’eroe conosciuto da tutti, forte ed abile, piangere continuamente in situazioni diverse e toccanti - infatti lui stesso non riesce a capire cosa gli stia accadendo -, come sembra strano vedere l’eroe così sicuro d sé,dall’incrollabile personalità, preso da mille dubbi, preso dalla paura, dalla preoccupazione, vicino all’arrendersi, quasi sul finale. Vediamo un Ulisse spaesato, che quando approva nella patria tanto aspirata e tanto desiderata, non la riconosce più; che fin da quando vi approda è preso da mille dubbi, dubbi che diventano sempre più forti dall’incontro con Penelope: egli è convinto che lei l’abbia tradito con uno dei Proci e mette in dubbio anche la sua fedeltà. Quando vede che Penelope non lo riconosce (poi verso la fine gli verrà il dubbio che faccia apposta), gli viene anche il dubbio che la sua astuzia, nel fingersi un mendicante, questa volta l’abbia tradito e abbia segnato la fine del suo matrimonio, e tutto questo solo a causa sua. Si chiede come mai Penelope non lo ami più, perché se lo amasse lo riconoscerebbe, o si chiede se è davvero invecchiato così tanto, e ancora, si chiede il perché Penelope sia così bella e in fiore e non mostri segni di sofferenza. Sul finale, quando torna alla spiaggia su cui era approdato, per prendere il tesoro lasciatogli dal Re dei Feaci, vede una nave e i marinai lo invitano a salire: ma sa cosa ha perso tutti quegli anni, quindi nonostante la tentazione di ripartire, riesce a farsi forza e a resistere. - Penelope: sola per 20 anni, nelle mani dell’arroganza dei Proci, ormai sempre meno speranzosa di rivedere finalmente un giorno Ulisse, ha sofferto molto e ha aspettato altrettanto, e quando finalmente si trova davanti Ulisse, non può abbracciarlo perché lui si finge un mendicante, ha realizzato che Ulisse non aveva nessuna fiducia nella sua sposa, e anni ed anni di matrimonio di sono consumati con il tempo. Lei fa il suo stesso gioco: finge, finge di non riconoscerlo, e questo la fa soffrire, e poi, più li finge più lei soffre. Lui decide di non rivelarsi subito a lei perché aveva bisogno di perlustrare la situazione e programmare al meglio la vendetta senza intromissioni o coinvolgimento delle emozioni. Quando esagera con il fingere di non riconoscerlo nonostante lui faccia di tutto per dimostrare di essere il vero Ulisse, e lui se ne va, disperata implora il figlio di farlo tornare: niente più diffidenza, si abbracciarono come non ebbero mai fatto. Il tempo aveva cambiato tante cose, ma ora, non più il loro amore, erano di nuovo insieme. Entrambi si sentono in colpa per i loro comportamenti. - Menelao: inizialmente è pieno di gioia dopo la rivelazione di Ulisse, e come Eumeo si mostra fedele al segreto e al piano - infatti lo aiutano a metterlo in atto e combattono al suo fianco contro i Proci -, inoltre lo difende davanti alle offese dei Proci; ma quando vede che Penelope non lo riconosce neanche sforzandosi e contraddice tutte le testimonianze che egli le dà (in realtà mente), inizia ad avere dubbi su suo padre: non lo dice ma si vede da come lo guarda e da come si comporta. Diventa il nuovo Re di Itaca con l’appoggio di Ulisse, che finalmente può e vuole godersi la vita matrimoniale in tranquillità e in patria. - INSEGNAMENTO / MORALE: Credo che l’obiettivo dell’autore sia quello di farci vedere la vicenda, ma soprattutto Ulisse e Penelope, sotto un altro punto di vista: Ulisse svuotato del suo eroismo, Penelope svuotata del suo ruolo di donna solo sofferente, per farci vedere quasi due ruoli invertiti: Ulisse debole e insicuro, e Penelope, sì sofferente e piena di dubbi, ma furba, perché riconosce subito Ulisse, che reagisce e realizza la sua piccola vendetta (fingere di non riconoscerlo) a causa della sua non rivelazione nei suoi confronti.
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