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Riassunto ECONOMIA AZIENDALE, Dispense di Economia Aziendale

Riassunto libro "lezioni di economia aziendale" di Arnaldo Canziani integrato con appunti di lezione

Tipologia: Dispense

2020/2021

In vendita dal 01/03/2021

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Scarica Riassunto ECONOMIA AZIENDALE e più Dispense in PDF di Economia Aziendale solo su Docsity! lOMoARcPSD|4544507 L’ATTIVITA ECONOMICA DALL’ANTICHITA ALLA CINA CONTEMPORANEA : C’è distinzione tra Storia e Storiografia; la storia si articola in tre momenti, eretti uno sull’altro: - La cronologia, necessaria per stabilire l’esatta successione degli avvenimenti - La biografia. - La storiografia, ovvero la storia conforme alla sua idea. È un’interpretazione che attraversa epoche e nazioni per individuarne le leggi. Partendo dall’economia antica, questa potrebbe essere articolata secondo quattro principali stilizzazioni connotate: - Dalla rudimentalità - Dallo statalismo - Dall’affarismo - Dell’espansione marittima  La civiltà etrusca Sviluppata la coltura dei cereali, della vite e dell’allevamento, nel V secolo a.C. le attività economiche erano soprattutto di tipo artigianale e di laboratori. Inoltre, gli Etruschi avevano ferventi contatti con la vicina Roma (prima dei conflitti) e contatti lungo l’asse Ovest-Est (presenza di via etrusca). Anche il grado di civiltà dimostra una discreta accumulazione di ricchezza e di cultura già avvenute.  La civiltà romana Tra i IX e VI secoli a.C., l’economia romana è dedita all’agricoltura e alla pastorizia. Con la fecondazione reciproca tra Etruschi e Romani dopo le guerre che li videro contrapposti, predominava ancora la pastorizia nell’agro romano, oltre ad attività agricole e allevamento. Iniziavano già a svilupparsi le prime attività artigianali e commerciali. Dal V al I secolo a.C., i patrizi conducevano direttamente le proprie grandi proprietà fondiarie: ciò indirizzò a un’agricoltura e bovinicoltura estensive, e successivamente alle coltivazioni; questi prodotti venivano poi collocati nei mercati settoriali, ma anche nei mercati generali. Successivamente, con la tarda Repubblica, essendo proibite alle classi nobiliari attività di tipo economico, vennero in campo gli equites. Con la prima età imperiale, si svilupparono commerci interni e commerci esteri. Si arrivò poi al secolo d’oro dell’Impero, il II secolo d.C., con lo sviluppo delle grandi Opere Pubbliche e dello sviluppo di tutti i settori coinvolti. Si affermò così la grande stagione dell’edilizia di Stato con finalità funzionali, di ritrovo, ricreative e celebrative. Contemporaneamente, la spesa pubblica aumentava anche in altri settori, aumentando così anche i campi d’azione per gli appaltatori. L’insieme di queste attività economiche, diede origine ad una struttura statale complessa. I quattro ceti più importanti erano: patrizi, equites, liberti e plebei. Un rilevante apporto a questi sviluppi venne dato dal sistema monetario. La monetazione standard iniziò nel 335 a.C. con l’aes grave; il sistema stesso: - Era costituito da monete d’oro, argento, bronzo e rame-ottone. - Fu governato con grande attenzione, mantenendo sorvegliata la circolazione totale rispetto ai volumi di scambio dell’intera economia. - Mantenendo un sistema di cambi fissi lOMoARcPSD|4544507 Si arriva poi ai decenni della decadenza, verso il 116 d.C., imputabile a fattori economici ed extraeconomici. Tra i fattori economici è importante rammentare: il lento mutare delle tecniche di coltivazione, la decadenza dell’agricoltura, la difficoltà di sviluppare produzioni su ampia scala, l’oziosità delle classi urbane, la corruzione degli uffici pubblici, l’inflazione dei prezzi ecc. IL BARATTO:  Il principio del baratto è lo scambio di merce contro merce. I caratteri principali del baratto sono: a. Individuazione di controparti con cui risultasse possibile uno scambio di mutuo interesse. b. Soggettività di determinazione dei valori, in funzione di bisogni e preferenze. c. Complesse procedure per trovare l’accordo. Con il passare del tempo, si arriva al baratto multiplo; questo risolveva alcuni aspetti, ma ne complicava altri: rendeva infatti più complesso l’intero sistema degli scambi a causa dell’infittirsi delle negoziazioni e l’aumento di intermediari. I problemi del baratto, quindi, sono due: - La variabilità dei valori. - Il numero infinito dei rapporti di scambio che ne deriva; ogni bene, infatti, possiede un valore in termini di ciascuno degli altri beni esistenti. Per questo motivo, si arrivò ad una ulteriore fase del baratto, quella del baratto standard, dove una delle merci era un oggetto standard utilizzato come forma di regolamento diffuso (anticipa la moneta). Si trattava di beni di valore stabile, sufficientemente noti a tutte le controparti e di facile reperibilità. Il regolamento degli scambi venne progressivamente accentrandosi con l’uso di metalli preziosi; questi avevano però due inconvenienti: - La misura del peso. - La misura della purezza. Per evitare tali inconvenienti si arrivò alla standardizzazione, cioè alle monete coniate dalla zecca dalle Città-Stato. Per arrivare poi all’introduzione della moneta cartacea (banconota), emessa da prima dai banchieri e poi (per scongiurare ogni tipo di problematica), emessa esclusivamente dallo stato. L’avvento della moneta metallica, di monetazioni con metalli sempre meno preziosi e infine l’affermazione della moneta cartacea, consentirono i tre fondamentali vantaggi della moneta, i quali sono al contempo le tre funzioni della moneta: - Unità di misura del valore: Il valore di ogni bene, in questo modo, è definibile in termini di un unico altro bene, cioè la moneta. - Strumento di pagamento - Riserva di valore: rappresenta una capacità di spesa generale, un mezzo tramite il quale è possibile ottenere qualsivoglia bene. A riguardo di questo ultimo aspetto è rilevante citare la LEGGE DI GRESHAM; essa sostiene che “la moneta cattiva scaccia la moneta buona”. È una legge fondamentale, valida dall’antichità fino ai giorni nostri (e fino a quando esisterà la moneta). Questa legge sostiene che a partire dall’antichità, quando i governanti difettavano l’oro, e il pubblico se ne accorse, iniziò a tesaurizzare (tenere da conto) le monete più preziose. Le monete meno preziose venivano utilizzate, fino a ritornare talvolta al baratto. lOMoARcPSD|4544507 Rispetto alle grandi ere di produzioni manifatturiere, gli ultimi decenni del 900’ hanno fatto riscontrare un profondo mutamento proprio nei modi di svolgere l’attività industriale. Quelle grandi epoche erano caratterizzate da produzioni di massa concentrate in poche mani, e dalla presenza di grandi metropoli industriali. Ciò aveva dato vita al fenomeno del gigantismo industriale con diversi problemi tra cui quello sociale e urbanistico, oltre a quello organizzativo-gestionale (difficoltà nel controllare strutture produttive di dimensioni sempre maggiori). A quei problemi se ne aggiunsero altri, in particolare in Europa tra il 1968- 1980, tra cui: - pansindacalismo (movimenti libertari fino al terrorismo politico). - Le crisi energetiche del 1973 e del 1980. - L’incremento dei costi di lavoro ed energia. Dal punto di vista produttivo si passò nei decenni: - A strutture produttive distribuite. - Al trasferimento internazionale delle produzioni (transplanting) verso Stati dove minore risultasse il costo del lavoro. Si è sviluppata così una vera Rivoluzione Informatico-digitale; ciò ha significato almeno tre conseguenze: - Sviluppo di tecnologie ad alta intensità di capitale, specialmente in campo informatico e telematico. - Spese in Ricerca e Sviluppo, rinnovo frequente delle strutture produttive. - Generale diffusione dell’informatica e della telematica in tutte le applicazioni produttive e della vita quotidiana, rivoluzionando settori ad elevata intensità tecnologica (High Research and Development Industries) tra cui quelli: aero-spaziale, chimico, elettronico, informatico, militare, nucleare e telematico. Dal punto di vista delle imprese, la ICT (Information and Communication Technology) ha influenzato tutti i settori, ma in particolare quelli elettronico, telematico e informatico. Dal punto di vista economico-sociale, la ICT ha dato vita alla globalizzazione, cioè alla mutazione dei flussi informativi e commerciali mondiali. Oggi infatti siamo in grado di connetterci in tempo reale con l’universo mondo. Ma siamo in grado soprattutto di accedere in tempo reale ad altrettante informazioni di tipo economiche generali, finanziarie e monetarie e di settore. Ciò ha ampliato a dismisura le capacità informative e quindi la possibilità di effettuare decisioni di impresa appoggiandole su informazioni non solo qualitative ma anche quantitative. Ha inoltre migliorato il fondamento informativo-oggettivo delle loro scelte di gestione, ha inoltre aumentato la concorrenza da parte di imprese nazionali ed estere, oltre ad aver abbreviato tutti i tempi di azione-reazione. NB → L’insieme ha dunque offerto maggiori chances alle imprese, ma nel contempo ha accresciuto il livello di sfide cui ciascuna di essa viene oggi sottoposta, dunque ha generalmente incrementato la complessità gestionale. PROCESSI DI CRESCITA ECONOMIA: Nei processi di sviluppo descritti, risulta palese la transizione delle attività agricole e pastorali all’artigianato e ai commerci. Con l’epoca moderna le attività si estendono divenendo gradualmente proto-industriali, i commerci si espandono, si iniziano i nuovi processi di inurbamento, infine le rotte marittime, da costiere o mediterranee diventano transatlantiche. Tali transizioni coinvolgono l’una o l’altra nazione a seconda della localizzazione e del grado di civiltà raggiunto. Ma di mano in mano che il progresso economico si espande, la transizione sulla quale Colin Clark attrasse la nostra attenzione sin dagli anni ’40, cioè lo spostamento del baricentro, internamente allo Stato e alla sua economia: dall’agricoltura → all’industria → ai servizi lOMoARcPSD|4544507 Per le esigenze della produzione industriale e a causa dei processi di inurbamento, la porzione di addetti impegnati nei settori primari transita al settore detto secondario. Ciò avviene in qualsiasi Stato, con tempi di transizione connessi alle caratteristiche delle rivoluzioni stesse. La riduzione degli addetti del settore primario è comunque una costante per qualsiasi nazione progredita. Con l’ulteriore sviluppo dell’economa crescono poi le esigenze di beni non solo materiali ma anche immateriali: ciò consente/impone l’ulteriore, parziale traslazione dal settore secondario al settore terziario. La citata transizione di C.C. è dunque destinata a confermarsi (oltre che a riprodursi) nello sviluppo di ogni nazione. Originariamente, tale transizione era largamente dovuta anche alla maggiore efficienza dei capitali e del lavoro impiegati nel settore secondario rispetto al primario. Negli Stati Uniti d’America viceversa, soprattutto nelle grandi pianure del Mid-West si perseguiva già all’epoca una agricoltura intensiva; lì pure si verificò la “transizione di C.C.”, peraltro nell’ambito di un sistema ove il progresso del settore secondario era anche stimolo per il progresso del settore primario. Tale modernizzazione si è poi manifestata pure in Europa negli ultimi decenni, con la modificazione sostanziale delle modalità di gestione delle imprese agricole grazie ad ingenti investimenti anche elettronici ed informatici: - Meccanizzazione e automatizzazione delle coltivazioni. - Selezione dei cultivar. - Meccanizzazione e automazione delle operazioni di raccolta. - Selezione delle razze. In tal modo anche i rendimenti dei capitali investiti nel settore primario si sono pareggiati rispetto al secondario grazie alle maggiori efficacie raggiunte KULTUR E ZIVILISATION: Il passaggio dai settori primari al secondario, e poi al terziario, comporta vantaggi indiscutibili per l’intera economia, ma implica soprattutto un generale sistema di mutamenti: - Per le classi lavoratrici. - Per l’intera società. - Per la società in generale. Dunque anche la mentalità, i comportamenti, i gusti, i Valori (tra cui quelli etici) e valori comportamentali, che orientano la vita singola e associata di ogni giorno e ne determinano i mutamenti. Di mano in mano che si sviluppino le aggregazioni tende così a prevalere il momento economico. In merito a questo nasce il contrasto tra zilivisation e kultur: Zilivisation = (incivilimento) rappresenta le forme della vita associata di un popolo, il suo modo di vivere, le modalità via via più avanzate del progresso tecnico. Kultur = (civiltà) rappresenta la cultura, le forme espressive di un popolo nel campo delle scienze e delle arti e anche i valori metafisici. Sin dalla I Guerra Mondiale, una quantità di pensatori, si espressero in toni pessimistici sulle dinamiche assunte dalla zilivisation la quale, a loro giudizio, invece di tendere al vero incivilimento andava degradandosi negli effetti che esprimeva, produceva e diffondeva. I principali pensatori che sostengono questa visione sono: Oswald Spengler, José Ortega y Gasset, Johan Huizinga e Thomas Mann Muovendo da altri presupposti, Benedetto Croce ricordava che il progresso non è miglioramento senza fine, bensì la storia sempiterna delle altezze e delle bassezze dell’umanità in contesti materiali sempre più facilitati. lOMoARcPSD|4544507 L’Alto Medioevo fa registrare, dal punto di vista economico: - Il collasso del sistema di scambi: è un disastro che si può verificare nell’economia: non si trovano merci, non si hanno soldi per comprare, aumenta l’inflazione, e quando succede spesso si torna al baratto. - Il rattrapparsi dell’attività economica in una economia di prossimità. - Ridotti/ridottissimi livelli di produttività economica. Con varia estensione spaziale e geografica e rapidità l’economia di scambi riprende nei secoli XII-XIV. L’estensione e lo sviluppo dell’economia si possono distinguere nelle seguenti fasi: - Economia Mediterranea a dominio veneziano e delle repubbliche marinare. - Nel contempo, economia Nord europea franco-tedesca. - Età delle navigazioni oceaniche e delle scoperte (Spagna e Portogallo). - Sostituzione di potenze marittime e predominio dell’Inghilterra. - Spartizione colonialista dell’Africa. - Predominio statunitense. Analizziamo nel dettaglio le singole fasi: Economia Mediterranea e Nord europea – l’economia dell’Italia del ‘300 è già ben sviluppata, fondata sull’agricoltura, sul commercio, sulla banca. Si svilupperanno poi competizioni commerciali sia tra i vari comuni sia internamente al comune, ma all’epoca i veri concorrenti risultano numericamente litati. Con il ‘400 sia affacciano sui mercati le produzioni vinicole francesi, i lanaioli inglesi, le attività minerarie e metallurgiche tedesche, ma nel Mediterraneo domina largamente l’Italia. Venezia chiude l’Adriatico ed è snodo di commerci con l’Oriente vicino e lontano, grazie al perno di Bisanzio-Costantinopoli. Con la caduta di Costantinopoli nel 1453 da un lato e con l’età delle scoperte transoceaniche dall’altro, il Mediterraneo diviene un mare chiuso, ancora con una rilevanza sua propria, ma escluso dai prorompenti sviluppi che proverranno dalle Americhe. Tra il 1450-1500 ci furono due grandi eventi quali la Caduta di Costantinopoli (1453) e la scoperta dell'America (1492), inoltre il Mediterraneo che era il cuore pulsante della vita economica diventa un mare chiuso e l'economia si sposta verso l'Atlantico NB: il Mediterraneo ha comunque anche al giorno d’oggi un’importante ricchezza ed importanza economica. Questi cambiamenti portarono ad una ROTAZIONE DEGLI ASSI ECONOMICO-POLITICI DEL MONDO Dal 1500 scendono in campo le potenze più vicine alle Americhe (Spagna, Portogallo e potenze atlantiche). Vi fu una colonizzazione ispano-lusitana dell'America del sud e delle coste occidentali dell’Africa (in particolare i portoghesi scendono fino al Capo di Buona Speranza per arrivare a conquistare la via marittima per le Indie) In questi anni entrò in campo anche l’Inghilterra con Elisabetta I. la Regina permette la nascita dei corsari: in Inghilterra vi erano molti pirati che assaltavano i galeoni pieni d’oro e la regina diede loro un documento ufficiale (brevetto di corsa) che gli permetteva di assalire qualsiasi nave spagnola diretta verso il Sud America, dando il via così a una Guerra di corsa. NB: Le più grandi potenze diventarono quindi Inghilterra e Olanda (in particolare Inghilterra per le sue maggiori dimensioni) L'Inghilterra a fine '800 ha un impero che occupa 1/3 delle terre emerse (la Rivoluzione industriale nasce qui grazie alle ricchezze accumulate) che vede il suo declino dopo il primo conflitto mondiale, si salva nel lOMoARcPSD|4544507 Occorre allora parlare di economia di mercato, cioè della libertà di produrre, innovare, commerciare, scambiare in spazi sempre più ampi e per sempre maggiori quantità-qualità di beni, così: - Producendo nuova ricchezza. - Distribuire tale ricchezza in forma di salari, stipendi, interessi, dividendi, imposte, così trasfondendola nell’intero sistema economico in modo diretto e poi indiretto. Poste tali premesse, le definizioni correnti di “capitalismo” possono venire ridotte alle seguenti quattro, le quali si ridurranno poi a due; il capitalismo è: - Riconoscimento giuridico della proprietà privata del capitale. - Possibilità di negoziare. - Concorso ampio e predominante del fattore produttivo capitale nell’economia moderna. - Accumulazione continua di capitali e utili. A ben vedere, le prime due definizioni risultano coincidenti: se posso chiedere a un soggetto di compartecipare alla mia impresa come socio o come finanziatore, ciò significa che è garantita la possibilità per i singoli di risparmiare e di detenere capitali. Quando poi si parla di “concorso ampio del fattore produttivo capitale”, è illusorio immaginare che ciò abbia cominciato ad accadere con le rivoluzioni industriali: è solo un modo spregiativo del socialismo tedesco dell’ ‘800 per suggerire lo slittamento semantico: capitalismo → gran capitale → capitalisti → monopolisti-sfruttatori-speculatori Il concorso ampio del capitale quale fattore produttivo si era iniziato già nell’antichità con il riferimento alla dotazione di capitali dell’epoca. Rimangono dunque sostanzialmente due definizioni di “capitalismo”: - Proprietà privata del capitale, possibilità di negoziare sui mercati anche gli altri fattori, il lavoro e i servizi. - Accumulazione continua di capitali da parte di capitalisti sfruttatori e monopolisti. La prima definizione ci consente quindi di definire capitalistici tutti i sistemi economici non appena essi raggiungono un grado medio di sviluppo. Occorrerà allora parlare di capitalismo antico, medievale, moderno e contemporaneo. Il capitalismo è dunque sempre esistito da quando l’attività economica ha potuto organizzarsi in imprese, scambi, mercati, investimenti, importazioni ed esportazioni. In questo senso si potrebbe parlare di “capitalismo perenne”. MAX WEBER (lo spirito del capitalismo) Naturalmente, il capitalismo non è solo: ricerca del massimo utile anche a danno degli altri. Sul punto, MAX WEBER è autore di un'opera fondamentale: L'etica protestante e lo spirito del capitalismo. Egli riteneva che la sete di lucro non avesse nulla in comune con il capitalismo. Il capitalismo derivante esclusivamente dall'avidità di guadagno è solamente capitalismo avventuriero. Egli annota che: - Dopo il Medioevo si è affermata una nuova mentalità economica. - Questa ha reso possibile il “capitalismo” quale fenomeno storico. - Questo può allora venire caratterizzato dalla ricerca razionale del guadagno, intesa proprio come auto-disciplina dell’avidità smodata di guadagno. Il capitalismo può essere quindi dato da: lOMoARcPSD|4544507 - Ricerca razionale del guadagno - Intesa come auto-disciplina dell'avidità smodata di guadagno. M. Weber sostenne inoltre che: - La riforma protestante ebbe grande diffusione e modificò il modo di pensare degli individui. - Essa introdusse il concetto di predestinazione - Vale il concetto di "salvezza per sola gratia" Poiché l'individuo desidera conoscere quale sia il suo destino, con una traslazione dal piano metafisico al piano terreno. Il mutamento della cultura da cattolica a protestante tese a trasformare il successo mondano. Il successo economico e l'arricchimento sono un indizio su quale sarà la vita ultraterrena, andando a delineare una connessione tra successo economico e aldilà. SUCCESSO, RICCHEZZA=PARADISO INSUCCESSO, POVERTA'=INFERNO L'accumulo di ricchezza, dunque diviene fondamentale nella vita di un individuo, quasi un Compito. La sua argomentazione permette di forzare strutturalmente le critiche al marxismo perché la sua teoria, tra l'altro: - Sottintende il sistema di imprese collegate in economie di mercato - Vede il lavoro come missione - Neppur menziona il tema dello sfruttamento - Funzionalizza l'uso del denaro e della ricchezza a fini sociali Il pensiero di Weber diede origine a grandi quantità di critiche. Si citano soltanto, i contributi di Troeltsch e Sombart. ERNST TROELTSCH (1865-1923): Autore di Kapitalismus and Calvinismus pone accento sulla corrente protestanti del calvinismo, sostenendo quindi che: - solo una visione religiosa come quella medievale può orientare tutta l'attività umana alla svalutazione delle realtà terrene alla ricerca dell'aldilà. - una volta spentasi quella visione , nella ricerca di certezze ha dominato la scienza - il tutto ha condotto all'individualismo moderno, materialista, laico, che nulla ha a che vedere con la vita ultraterrena E osserva che il mondo moderno si fonda sull'economia globale, il commercio internazionale, sulla dominazione della scienza, sull'individualismo frutto anche del protestantesimo, in particolare calvinista. WERNER SOMBART (1863-1941) a cui dobbiamo, a lui dobbiamo la diffusione del termine capitalismo (con l’opera capitalismo moderno) - L'indagine sull'eccezionalismo statunitense, dove non esiste alcun socialismo - L'annotazione del rilievo della partita doppia (tecnica contabile) nello sviluppo del capitalismo moderno - L'invenzione del concetto di distruzione creatrice che verrà poi ripreso da Schumpeter Egli annoterà anche il ruolo degli ebrei nello sviluppo del capitalismo (Gli ebrei e la vita economica). Infatti erano solo gli Ebrei che potevano liberamente prestare a interesse. Quest’ultimo fatto spiega il contributo degli Ebrei al primo “capitalismo”; successivamente il loro seguire grandi correnti di traffico ne spiegano il ruolo fondamentale nelle attività bancarie, e più in generale finanziarie, fino al capitalismo maturo. lOMoARcPSD|4544507 IL CAPITALISMO CATTOLICO: Molti studiosi criticarono l’opera di M.W.: oltre i marxisti, anche altri critici parlarono di capitalismo antico, altri invece annotarono il rilievo dell’imprenditore e del “capitalismo” anche negli Stati cattolici o da parte di minoranze ebraiche. FANFANI: Tra gli studiosi cattolici è opportuno ricordare Amintore Fanfani, il quale si pose l’obiettivo di criticare la tesi di M.W. con quanto segue: - Il “capitalismo” si è originato nei Comuni italiani nel 1200 circa. - Tra la fine del Medioevo e gli inizi del Rinascimento tende a mutare lo spirito. - Mutando, la Fede orienta sempre meno gli sviluppi: si ha così un controllo etico sempre minore delle attività economiche. - Risulta minore il contributo del Protestantesimo. - Il “capitalismo” nelle sue forme concrete è incompatibile con una concezione cristiana dell’attività economica perché non assicurerebbe una equa distribuzione delle ricchezze. Questa è una posizione diffusa di chi ignori sia gli svolgimenti storici dell’economia e dei sistemi economici, sia le leggi dell’economia aziendale, arrivando così a profetare in campo economicistico con toni di predicatore e riformatore sociale. Il tema può essere così risolto: - In ogni fase del capitalismo storico le imprese nuove, vincenti nei settori innovativi, ottengono tassi di redditività superiori alla media, e sono quindi in grado di autofinanziarsi. - Nel tempo i settori industriali originari perdono di importanza relativa. - Gli stessi settori vengono svolti in modo più redditizio in altre nazioni e continenti. - Per questi motivi, le stesse imprese che erano state rilevanti un tempo e che avevano diffuso ricchezza, e soprattutto locupletato (arricchito) i propri soci, o si riducono, o chiudono o falliscono. - Mentre altri soci di altre imprese nuove in settori innovativi si stanno arricchendo. Infine, nel caso ciò non accadesse, raramente le imprese che pur sopravvivono rimangono infeudate dalla stessa famiglia. I processi appena menzionati portano dei nomi specifici. L’ultimo citato è noto come circolazione delle élites, mentre il primo può essere chiamato circolazione delle imprese oppure circolazione dei settori. Il concetto di circolazione delle élites è dovuto a Vilfred Pareto con il suo aforisma “La storia è il cimitero delle élites”. I NEMICI DEL CAPITALISMO: Crescita e diffusione di ricchezza omnibus hanno i propri sostenitori, ma anche i propri oppositori. Essi si immaginano, e desiderano, una società pre-industriale serena, armonica e felice. Risulta chiaro però che si tratta di mancanza di senso della realtà, e soprattutto di illusioni ignoranti, perché da sempre la storia del mondo ha significato sofferenze, paci, guerre, rivoluzioni, sfruttamenti, schiavitù e carestie. Il tema è rilevante perché coinvolge l’intera nostra interpretazione della società moderna, l’atteggiamento di chiunque, nei confronti dell’economia di mercato e delle sue caratteristiche. Come accennato, l’economia di mercato si è dimostrata l’unico sistema in grado di produrre ricchezza, ma anche di riversarla nel sistema, distribuendola in modo diffuso e crescente a tutti i partecipanti nella forma di redditi categorici: allo Stato dei tributi, al capitale gli interessi o i dividendi, al lavoro i salari, gli stipendi ecc. È l’economia di mercato che ha consentito alla popolazione mondiale di crescere, e non solo di sfamarli tutti, ma di permettere loro costumi, scolarità, sanità, divertimenti, viaggi e informazioni con accesso a sempre maggiori volumi di beni, durata sempre minore della settimana lavorativa e durata sempre maggiore della vita terrena. lOMoARcPSD|4544507 All’epoca sembrava non plausibile, anzi un abominio: - Che uno Stato come quello italiano, incardinato nelle economie libere e di mercato diffuse in tutto il mondo, intendesse seguire l’Unione Sovietica nel controllo pubblico dell’economia. - Che il tutto riuscisse a coesistere con la proprietà privata, i mercati e gli imprenditori. - Sembrava anche difficile conciliare l’iniziativa privata con quella pubblica. - Appariva, inoltre, dubitabile l’avvenire dell’economia italiana, che pareva avviata ad una logica di equilibrio pubblico-privato, dando così vita ad una economia mista, ovvero in direzioni sempre più pubblicistiche e dirigistiche. Fu per questa serie di motivi che si parlò non solo di “economia mista”, ma di terza via, quasi che qualunque sistema economico potesse essere organizzato non in modo liberale e nemmeno in modo collettivista e pianificato, ma bensì in modo intermedio secondo i principi dell’economia programmatica fondata sulla contrattazione e sull’accordo pubblico-privato, ove i grandi campi di azione venissero concordemente ripartiti tra imprenditoria privata e imprese pubbliche. LE STRUTTURE DI ORDINE: Sigmund Freud, tra i suoi studi, ha trattato anche del principio di realtà che può essere così sintetizzato: - Non tutti i desideri soggettivi possono essere soddisfatti. - Il disciplinamento di essi da parte del singolo e il contemperamento collettivo degli stessi, costituiscono il fondamento della vita associata. Occorrono pertanto strutture di ordine della società civile. Il funzionamento ordinato della società come comunità dipende da tali strutture di ordine, le quali la organizzano, la conformano, la disciplinano. Molto dipende poi ogni volta dalla qualità di tali strutture alle quali è ammesso ribellarsi solo se disordinate, disoneste, rovinose, dunque auto-trasformatesi in “strutture di disordine”. Tali strutture sono rispettivamente: - Il Diritto. - La Politica. - L’Etica. Diritto = il diritto, ricordava è l’armatura che sostiene la società e il suo svolgersi; ne consente sviluppi organici e disciplinati. È compito quindi del diritto animare le leggi, e il sistema organico di leggi che prende il nome di ordinamento, inoltre, è compito del Sovrano nelle monarchie assolute, dei parlamenti nelle democrazie, di rendere davvero fondato, organico e funzionale il sistema in parola. È appunto dalla fondatezza, correttezza e completezza di questo che discendono una vita sociale ordinata nonché indirizzi comportamentali chiaramente definiti e orientativi dei comportamenti singoli, di gruppo e collettivi, in modo: - rafforzare i deboli. - Evitare le frodi e proteggendo la salute. - Tutelare l’ordine pubblico in tutte le sue forme e incamminando lo Stato su sentieri di sviluppo progredenti. Per quanto riguarda il diritto ci sono due tipi di stati: stati codicistici (fondati su un codice) derivanti dal diritto romano, e stati consuetudinari (basati su un diritto consuetudinario) fondati su un principio latino “stare decisis” che significa conformarsi a quanto già deciso in casi simili. Gli stati codicistici sono più rigidi, quindi il giudice ha un limitato potere (deve attenersi al codice). Quelli consuetudinari invece sono più flessibili e danno molto più potere al giudice. (es. Gran Bretagna e USA). lOMoARcPSD|4544507 Per quanto riguarda il sistema consuetudinario emergono due problematiche: - Vi è in primo luogo un problema di tecnica legislativa; occorre cioè che i testi siano scritti in un linguaggio tecnico, ma anche internamente coerente e che non diano adito a dubbi interpretativi, e inoltre che si innestino nell’intera storia legislativa nazionale. - Vi è poi il momento strettamente politico, cioè di quale “visione del mondo” tale legge sia espressione: se sia il portato di una visione progressista o reazionaria, permissiva o regolatrice; soprattutto se sia tesa a favorire il corpo sociale nella sua interezza o viceversa a favorire/sfavorire solo alcuni ceti. E ancora se sia orientata a grandi scelte di politica economica alternative tra pubblico e privato. Occorre infine vagliare se tutte le scelte che precedono, e che si convertono in leggi, siano il risultato di un’unica volontà politica più o meno altruista, o equilibrata, o faziosa, o se siano viceversa frutto di un compromesso politico teso alla continuità di governo. Il diritto, o meglio l’ordinamento, può quindi risultare organico o pasticciato, funzionale o disfunzionale, limpido o confuso, strutturato o male articolato, equilibrato o partigiano e così via. Politica = secondo Aristotele e il pensiero greco antecedente e successivo, le forme di reggimento di uno Stato possono essere la monarchia, l’oligarchia, l’aristocrazia, la timocrazia (il dominio di un ceto ristretto) o la democrazia. Obiettivo di fondo della politica dovrebbe risultare lo sviluppo della nazione in tutti i suoi aspetti, dunque dell’incivilimento di uno Stato. Questo poteva realizzarsi sotto grandi sovrani illuminati che hanno segnato intere epoche storiche, ovvero sotto regimi repubblicani i quali, godendo di vasto e motivato consenso, lo orientino appunto verso l’incivilimento dell’intera nazione e di tutti i ceti. Ciò peraltro avviene più difficilmente oggi, sotto governanti ai quali usualmente difettano la durata e i poteri. Le strutture politiche sono composte come segue: - Capo dello Stato. - Potere legislativo. - Potere esecutivo nel quale comprendiamo anche il potere tributario. - Potere giudiziario. Dal punto di vista effettivo e strutturale, la politica (attività collettiva svolta originariamente nella polis), può dare vita sinteticamente: - A regimi assolutistici. - A regimi parlamentari di democrazia plebiscitaria. - A regimi parlamentari di tipo partitico (monarchici o repubblicani). Con la Rivoluzione Francese e quella del 1848, tutte le monarchie sono state parlamentarizzate, ovviamente rimanendo sospesi nei decenni: - I poteri del sovrano rispetto al parlamento e viceversa. - La natura, la struttura, la composizione del parlamento. Infine, soprattutto dopo la I e la II G.M. si sono diffusi ovunque nel mondo i regimi repubblicani. Anche in questi comunque rimane tra gli altri il problema dei poteri del Capo di Stato, figura talora solo rappresentativa, talaltra invece anche esecutiva. Quale sia poi la dinamica parlamentare, occorre in via previa vagliare se si tratti di strutture monocamerali o bicamerali, ove solitamente la seconda Camera è intesa quale tutela della democrazia. Anche in quest’ultimo caso, peraltro, molto dipende dai poteri assegnati all’una e all’altra. lOMoARcPSD|4544507 Infine, è necessario trattare del tema della separazione dei poteri; dalla separazione dei poteri infatti dipende: - La qualità di ciascuno di essi. - L’interazione funzionale tra gli uni e gli altri. Le democrazie si possono infatti distinguere in sistemi parlamentari funzionanti e sistemi parlamentari disfunzionali. Sul punto occorre ricordare che l’uno e l’altro tipo possono risultare tipici e semi-costanti di un singolo Stato, ma anche che un medesimo Stato può transitare da un tipo all’altro. In particolare poi, nelle partitocrazie degradate, tendono a crescere di numero e di dimensione gli organi di governo, esecuzione e controllo, non tanto con finalità di maggiore efficienza ma bensì per dare sfogo alle pretese e agli appetiti dei partiti e dei politicanti che li costituiscono. (testimoniato anche da Thomas Jefferson e Piero calamandre in alcuni loro discorsi) Etica – tutti, almeno indirettamente, conoscono il tema o ne intuiscono i precetti per via del senso di bene e di male che è un innatismo. L’etica è talvolta distinta in giudizi di valore e obbligazioni che ne conseguono in tema di comportamenti. Confucio è ricordato come esponente dell’etica cinese espressa in forme di massime, le quali esprimono la morale dell’Impero Fiorito nel Mezzo; tra questi ricordiamo i seguenti: “Abbi sincerità e fedeltà come primi principi”; “in una nazione ben governata la povertà è qualcosa di cui vergognarsi; in una nazione malgovernata la ricchezza è qualcosa di cui vergognarsi”. C’è poi Aristotele per l’influsso che il suo pensiero ebbe sui pensatori di tutti i secoli seguenti. Aristotele parla di etica nei dieci libri introduttivi alla “Politica”. Etica è dunque una disciplina filosofica, teorica e pratica per orientare l’agire dell’uomo, in primo luogo nella sua vita privata, indirizzandola alla Felicità. Per fare questo occorre: - Distinguere la felicità dai piaceri. - Fare ricorso alle virtù. - Perfezionare i comportamenti per orientarli al bene. - Il raggiungimento del bene consiste nel trovare appunto la felicità. Questo orientamento al bene nella vita privata sarà poi condizione di comportamenti specchiati anche nella vita aggregata, nella vita sociale. Per l’etica cristiana invece si può far riferimento a San Tommaso d’Aquino, il quale si ritiene abbia dato sul tema il contributo massimo al pensiero occidentale dopo Aristotele, egli sostenne che: la felicità non può consistere nei beni creati, ma nell’unico Fine ultimo delle creature, cioè Dio, Bene perfetto. È dunque l’etica che deve orientare le abitudini e i comportamenti dell’uomo. Immanuel Kant tratta il tema dell’etica soprattutto in “Fondamenti di metafisica della morale” e in “Critica della Ragion Pratica”. Egli fonda l’etica sull’uomo, sulla sua dignità di essere personale e razionale, autonomo, autoregolato, nel quale è dunque la ragione che detta liberamente i comportamenti. La ragione deve orientare la volontà a rispettare le leggi morali e conformarvisi perché esse sono leggi necessarie. Si tratta infatti di norme che dipendono dal nostro appartenere alla comunità degli esseri razionali, e soprattutto che risultano infinitamente superiori alle nostre inclinazioni e desideri soggettivi. Esistono per tutti noi degli obblighi, denominabili imperativi categorici, i quali vanno obbediti a prescindere delle conseguenze personali anche negative che ce ne possano derivare. Gli imperativi morali possono essere sintetizzati così: - Trattare l’umanità sempre quale fine e mai come mezzo. - Agire in modo tale il principio che regola le nostre azioni si possa trattare quale regola universale. lOMoARcPSD|4544507 - Stato (e tutte le sue suddivisioni: regioni, province, comuni ecc.): è un’aggregazione territoriale indipendente, definita da un ordinamento, con tutte le sue varie partizioni amministrative. Da allora, dunque, l’economia costituì quindi un corpus, cioè un insieme unitario più o meno vasto. Tale insieme rappresentò in sostanza un oggetto sistematico: - Che si trattasse di indirizzare l’attività pratica tramite le tecniche. - Che si volesse assurgere al livello scientifico per dare vita a scienze economiche sia di tipo “puro”, sia orientato al fare. Passiamo allora a vedere come tali discipline (tecniche, scienze ed economiche) studiassero sin dall’inizio l’attività economica. Per molti secoli l’economia empirica fu studiata dalle sole tecniche, trattazioni che volevano istruire e condurre gli operatori economici dal punto di vista pratico, tramite soprattutto: - Ragioneria, contabilità e bilancio - Tecniche commerciali e assicurative(marketing): emissione di fatture, analisi dei termini di pagamento, prezzi, tempi di pagamento e sconti (calcoli economici) - Matematica finanziaria e attuariale: è una matematica applicata alle operazioni finanziarie, essa trasferisce in avanti (finanziaria) o indietro (attuariale) nel tempo dei valori monetari. A riguardo si hanno delle trattazioni: Le principali del periodo compreso tra il 400 a.C. e il 1804, ebbero un contenuto di verità rilevante, anzi noi ancora oggi utilizziamo alcuni dei concetti proposti: Senofonte – nel 380 a.C. scisse un trattato di scienza dell’amministrazione, in cui si parla dell’attività imprenditoriale, dello svolgimento delle attività produttive, della qualità della produzione ottenuta anche attraverso l’organizzazione del lavoro. Aristotele – nel 350 a.C. tratta di orientamento al risultato economico e di suddivisione del rischio. Columella – nel “De re rustica” giunge persino a proporre quale debba essere la redditività tipo di un investimento. Dopo il collasso dell’Impero Romano e la frammentazione localistica, i saggi di tecnica riprendono intorno al 1200 d.C.: Abu l’Fadi Gafar – sceicco siriano; nel 1174 descrive le origini della moneta, tratta la merceologia dei beni, motiva la formazione dei prezzi nell’incontro della domanda e dell’offerta e suggerisce infine come calcolare il valore dei beni. Leonardo Fibonacci – nel 1202 circa pubblicò il “Liber Abaci”; egli importò dalle Indie il sistema decimale e lo svolge con esempi. L’importanza dei “numeri indiani” risultò subito assoluta, soprattutto nel campo del commercio ai fini del calcolo. La teologia ritorna, negli anni di nascente attività commerciale, a occuparsi di economia, in particolare di etica economica: San Tommaso d’Aquino – vendere solo “al prezzo moralmente giusto”. San Bernardino da Siena – l’attività commerciale è il risultato congiunto di prestazioni di lavoro e di assunzione del rischio. lOMoARcPSD|4544507 Sant’Antonio Vescovo di Firenze – diede il suggerimento al mercante di non preoccuparsi se i suoi prodotti siano acquisti per necessità o per “insano desiderio di lussi”, ma di lavorare onestamente e di vendere al giusto prezzo. Vi è poi una serie di rilevanti opere italiane di tecnica successive alla fine del ‘200; in esse si descrivono le vie di trasporto e marittime, le piazze commerciali con le usanze tipiche, le tecniche di trasporto, le tariffe doganali, etc. Luca Pacioli – scrisse “Summa de Arithmetica etc.”; in questa opera espose il metodo della “contabilità in partita doppia”, metodo ancora oggi usato in tutto il mondo, anzi così importante che anche altre nazioni ne rivendicano la paternità. Ulteriori rilevanti opere di tecnica si hanno poi con Lorenzo Meder, a Norimberga, e Giovanni Domenico Peri, a Genova. Chiudiamo infine con le trattazioni del ‘600-‘700, con le quali sia il sistema dei commerci, delle attività e delle piazze commerciali è organicamente definito, sia viene completata l’istruzione relativa alla gestione delle imprese agricole, delle imprese commerciali (con Jacques Savary), con i suoi seguaci tedeschi Paul Jacob Marperger, Karl Gunter Ludovici e Johann Karl May, infine Johann Heirich Stilling e Johann Michael Leuchs, con i quali si giunge sostanzialmente alla Rivoluzione Francese e all’Impero Napoleonico. Così, verso la metà e la fine dell’ ‘800, si trovano formate le tecniche contabili e amministrativo-gestionali, soprattutto in Italia e Germania. Tralasciando importanti autori stranieri, ci limitiamo ai seguenti per i traguardi speculativi raggiunti: - Per l’Italia, Giuseppe Cerboni e Fabio Besta. - Per la Germania, Eugen Schmalenbach. Questi tre autori sono fondamentali perché colgono aspetti fondamentali dell’economia empirica, propongono soluzioni parziali ancora valide e utilizzate e, infine, costituiscono l’humus su cui Gino Zappa, fonderà per l’Italia l’Economia aziendale. Essi fanno evolvere la Ragioneria come tale, perfezionandola per adattarla ai compiti sempre più vasti e complessi che la contabilità e i bilanci dovevano assumere nel complicarsi della vita economica-sociale. Ma essi sono importanti anche per l’evoluzione di pensiero a cui danno vita con le proprie opere: - Giuseppe cerboni: fonda la Ragioneria sul patrimonio e su un metodo giuridico-contabile proprio. - Fabio besta riformando la Ragioneria fondandola sulla sola sistematica contabile delle “partita doppia”, rendendola attenta al patrimonio e alle sue variazioni. - Schmalenbach: riservando la Ragioneria alle sole imprese, fondandola non più sul patrimonio ma sul reddito. G.C. sviluppa un nuovo e interessante sistema integrale di Ragioneria patrimoniale denominato logismografia. G.C. è importante soprattutto per la proposta che la Ragioneria divenga scienza amministrativa di tutti gli operatori economici. F.B. è il suo grande oppositore: egli fonda la Ragioneria italiana ponendo soprattutto attenzione al patrimonio e alla sua dinamica. Egli rimane però scettico sull’ampiamento della stessa: la ragioneria come scienza dei conti può essere applicata in modo differenziato, ma rimane poi sempre disciplina eminentemente contabile, seppur poi con risvolti organizzativi e gestionali. E.S. scrive prima e dopo gli sconvolgimenti della I G.M.; egli rappresenta l’approccio empirico e realistico all’azienda, anzi così realistico da restringere lo studio alle sole imprese private. Con la sua “Dottrina dell’economia privata” interpreta la realtà come un insieme di interessi individualistici che si confrontano lOMoARcPSD|4544507 tra loro nei mercati. Questa dottrina ha quindi il dovere di essere applicata, oltre a essere normativa; il suo compito principale è: - Utilizzare i processi contabili per misurare la produzione/distruzione di valore economico. - Definire comportamenti aziendali ottimali e individuarne le regole. A questo riguardo, in particolare, egli nota come il valore di un patrimonio tenda a variare profondamente in funzione dei redditi futuri. Così egli avvertì che non conta un patrimonio come tale, ma che: - Di un patrimonio conta la capacità di reddito prospettica. - Allora esso vale in tanto in quanto è in grado di produrre reddito in futuro, e va appunto valutato soprattutto anticipando quella capacità. DA ECONOMIA EMPIRICA E SCIENZE ECONOMICHE: l’economia politica. La realtà economica suscitò tuttavia nei secoli anche l’attenzione di un’altra categoria di studiosi, i quali intesero esaminare quel tipo di realtà non con occhio pratico, quanto piuttosto scientifico. Sottoposero dunque quella realtà a un’osservazione sistematica. Tra i tanti nomi che può assumere, quello più conosciuto è Economia politica. Essa, nella versione moderna, si forma tra la metà del ‘700 (in Germania, invece, nel secondo ‘800). I principali autori dell’epoca sono Quesnay, Turgot, Necker e Adam Smith. In Francia, le trattazioni economiche avevano interessato l’economia dello Stato a partire da Massimiliano Duca di Sully, ministro di Enrico IV e risanatore del debito pubblico francese. Questi trattati ripresero poi con Quesnay, Mercier de la Rivière, oltre ad altri fisiocrati, fino a Turgot, ministro delle finanze di Luigi XVI, e infine Jacques Necker. In Gran Bretagna sorge l’Economia politica moderna con Adam Smith; essa discende poi fino ai giorni nostri con un’enorme quantità di scrittori; tra tutti, i principali sono: a. Adam Smith, opposito di Karl Marx. A.S. formulò concetti esatti e tuttora fondativi per le scienze economiche; K.M. è importante invece per l’influsso economico-politico che ha avuto. b. Economisti “neoclassici” o “puri”, ovvero i matematici, con W.S. Jevons. Parte dell’economia politica odierna tuttora si fonda sulle loro determinazioni riferite a un mondo inesistente. - Joseph Alois Schumpeter, provvide in molti campi a risolvere alcuni problemi nodali dell’economia. ADAM SMITH fu un filosofo ed economista scozzese del 1700 (muore nel 1790) e le sue teorie più importanti furono: - Teoria della mano invisibile : Smith vede la dinamica economica quale scontro di interessi personali, talvolta egoistici, i quali tuttavia portano all’equilibrio del sistema. Così gli interessi degli uni di acquistare, si incontrano con gli interessi degli altri di vendere, si realizza così un equilibrio fra domanda e offerta, per questo sostiene la presenza di una mano invisibile che regola i mercati, portandoli verso la “perfezione”. Questa teoria ovviamente reggeva solo in alcuni periodi storici, ma in altri come nei primi decenni dell’800’ no, al giorno d’oggi invece il mercato sta tornando a perfezionarsi - Divisione del lavoro : al tempo di Smith iniziarono a nascere diversi ateliers e cantieri con, centinaia di addetti. Si era così iniziata a diffondere e a perfezionare la tecnica di divisione del lavoro, e della specializzazione di esso. (teoria degli spilli) derivano 2 conseguenze: o Aumento della produttività del lavoro o Diminuzione dei prezzi dei beni o Aumento dell’abilità manuale di ogni lavoratore (specializzazione) lOMoARcPSD|4544507 L’ECONOMIA AZIENDALE: Verso la fine dell’ ‘800, la “rivoluzione industriale” inglese durava da ormai cento anni; sulla medesima strada si erano avviate nei decenni il Belgio, gli USA, la Francia e poi la svizzera. Più tardi nel tempo si aggiunsero poi la Germania e l’Italia con rivoluzioni industriali successive ad altre nazioni, anche a causa dell’unità nazionale solo posteriormente raggiunta. In quel centinaio di anni, dunque, le tecniche (in particolare quelle ragionieristiche e gestionali) avevano registrato grandi e significativi sviluppi. Molti pensatori erano quindi molto soddisfatti e provvedevano a studiarle e migliorarle continuamente. Tuttavia, altri rari pensatori aziendali ritenevano che mancasse ancora qualcosa. Si studiava, pubblicava e applicava in tema di Ragioneria, ma tuttavia ancora mancavano trattazioni che prendessero a proprio oggetto l’impresa come tale, l’impresa come unità organica. → Ci si sarebbe potuti rivolgere a tal fine all’Economia politica? In realtà, l’Economia politica era all’epoca soprattutto divisa tra i due gradi campi: - Dell’economia marxista, derivante dal pensiero marxiano. - Dall’economia pura, matematica, originalista. Ora, sia l’uno sia l’altro approccio erano mal visti dai pensatori di derivazione tecnico-aziendale. Essi infatti si rendevano conto che, al di sopra delle tecniche amministrative, c’era qualcosa in più: ci dovevano essere l’unità sistematica dell’Impresa quale attore economico, ma anche l’unità organica degli altri due operatori economici, i quali con l’Impresa costituivano il sistema economico (lo Stato e le Famiglie). Ma gli stessi studiosi che conoscevano la realtà del mondo non potevano credere, con i marxisti, che esistessero solo capitalisti-proprietari e operai sfruttati, che le imprese fossero associazioni a delinquere e infine che il sistema dell’economia di mercato fosse destinato a crollare. Non potevano nemmeno credere che si potesse fondare una teoria economica su premesse come le seguenti: - Le istituzioni non esistono. - Le imprese di ogni settore producono beni identici. - La concorrenza è perfetta. - Gli agenti del sistema sono onniscenti. - Gli agenti stessi operano istantaneamente per massimizzare la propria “utilità”. - Le altre variabili sono costanti. I pensatori di origine tecnico-aziendale definirono quindi le une e le altre teorie non tanto astratte, ma bensì irrealistiche, e decisero di operare diversamente. Decisero cioè di dar vita a una nuova branca delle Scienze economiche fondata sugli operatori-base del sistema: fu denominata così Economia aziendale. Questa era in larga misura di derivazione tecnica, ma si erigeva nondimeno su tutti gli studiosi antecedenti di Economia politica, i quali avessero avuto appunto un approccio realistico, cioè rispettoso della realtà: dagli Antichi fino agli Italiani del Rinascimento, ad A.S. e J.A.S. e tutti gli altri. Sintetizziamo che l’Economia aziendale nacque: - Per derivazione dalla Ragioneria e dalle tecniche. - Quale scisma rispetto all’Economia politica dell’ ‘800. I due fondatori dell’Economia aziendale sono Heinrich Nicklish (Germania) e Gino Zappa (Italia). lOMoARcPSD|4544507 HEINRICH NICKLISH – giunge a dare forma compiuta alla sua teoria con il trattato che si intitola “Dottrina economica dell’azienda” che si accompagna e integra con il lavoro “Organizzazione”. H.N. iniziò nel 1912 proponendo la differenziazione dell’economia globale di una nazione e lo studio dell’economia delle singole aziende. Lo studio dell’economia globale studia le relazioni tra famiglie, imprese ed enti pubblici intese come totalità; lo studio dell’economia delle singole nazioni studia invece la vita economica delle famiglie (la domanda), ma soprattutto delle imprese intese quali sistemi organici orientati dall’interesse individuale in seno a economie collettive, quali combinazioni interattive di capitale e di lavoro tradotte in forme economico-giuridiche e infine la cui economicità deve essere misurata nel tempo dei sistemi contabili. Egli propose poi più ampiamente una teoria organica dell’Economia aziendale che comprendesse e analizzasse in modo sistematico tutti gli operatori economici e venisse a riguardare le Famiglie, le Imprese e lo Stato nei loro processi e nelle loro interrelazioni. La sua teoria, inoltre, non è solamente analitico- descrittiva, ma anche normativa perché essa, conoscendo l’economia delle aziende è in grado di stabilire in quale modo queste debbano venire condotte al fine di raggiungere il proprio scopo economico. In particolare, momenti strutturali risultano i seguenti: a. Rilievo della Ragioneria. - Concorso delle persone. - Processi concorrenziali tra le imprese. - Estensibilità delle teoresi aziendali a tutte le categorie di imprese. In particolare, H.N. dice: “Le imprese sono costituite da persone, ciascuna con motivazioni proprie. (…) Le persone esercitano la propria libertà. (…) Essi insieme determinano i risultati e gli eventuali processi correttivi. (…) L’insieme costituisce la ‘comunità aziendale’. Questa va guidata e coordinata dall’imprenditore”. Inoltre, importante e pioneristico è lo schema di circolazione dei valori, il quale inquadra le connessioni tra aziende familiari e aziende di produzione dal punto di vista di prestazioni e compensi reciproci, forze economiche che le une e le altre immettono nel sistema e risultati economici che vengono distribuiti e che le une e le altre continuamente rigenerano. In merito alle teorie di Nicklish è rilevante ricordare che: - Le prime aziende in cui si è formata l’attività economica sono le familiari, per questo dette originarie. - Contemporaneamente (quasi) nacquero le aziende di produzione, per questo dette derivate. - Agli acquisti delle famiglie corrispondono le vendite delle imprese, alla spesa di quelle i proventi di queste. - Nel contempo le famiglie offrono lavoro alle imprese e eventualmente vi investono: le imprese coordinano i capitali e il lavoro tramite la gestione e svolgono così la propria opera economica di produrre non solo beni economici materiali e immateriali, ma propriamente ricchezza. - Tale nuova ricchezza, le imprese la re-distribuiscono poi nel sistema sotto forma di salari, stipendi, interessi e utili. GINO ZAPPA – il suo primo e fondamentale lavoro è “Il Reddito d’impresa” in cui sostiene e propone l’Economia aziendale si focalizzi sul reddito quale grandezza fondamentale dei sistemi economici. È questa l’innovazione dovuta a Schmalenbach, innovazione che tuttavia G.Z. perfeziona e porta a compimento. Essi sostengono che non può esserci capitale se in precedenza non ci sia stato reddito, secondo il flusso seguente: attività economica → redditi → risparmi → capitale → attività economiche. In secondo luogo essi aggiungono che, nelle attività economiche, il capitale non ha un valore in sé, ma vale in funzione dei redditi che esso può originare. lOMoARcPSD|4544507 G.Z. propone inoltre che una nuova disciplina, l’Economia aziendale, venga a trattare organicamente e compiutamente le aziende, cominciando dalle imprese. Per inquadrare e risolvere i problemi aziendali tale disciplina dovrà risultare dalla sintesi organica della Ragioneria, della Gestione e dell’Organizzazione. Tale sintesi organica si sarebbe peraltro applicata anche alle Famiglie e allo Stato. Alle Famiglie più semplicemente, per quanto pure queste debbano organizzare proventi e spese, e darsi una struttura interna di funzionamento al fine di poter provvedere ai propri fini e obiettivi. L’applicazione di quella sintesi organica allo Stato sarebbe risultata di maggiore complessità, ma identicamente proficua. La teoresi di G.Z. si perfezionò e migliorò poi negli anni; alcuni capisaldi di quella teoresi sono: - L’azienda è una coordinazione economica in atto che negozia costi per conseguire ricavi ottenuti vendendo sui mercati beni economici che soddisfino i bisogni degli acquirenti. Questo vale per tutte le imprese. Similmente avviene per la Famiglia come per lo Stato. - Le attività di Famiglie, Imprese e Stato nel loro svolgersi in quanto aziende, possono venire analizzate e descritte tramite le due seguenti categorie: o Combinazioni produttive o Coordinazioni lucrative Le aziende si svolgono per operazioni; tali operazioni risultano simili a tutte le altre della stessa specie dei giorni, mesi e anni precedenti e seguenti: ecco i processi; l’insieme di tutti i processi nello spazio-tempo viene infine racchiuso nelle combinazioni produttive, cioè i modi con i quali esse trasformano: redditi in costi; fattori produttivi in beni economici destinati alla vendita; proventi in prestazioni. Nel fare questo, la Famiglia, l’Impresa e lo Stato intrecciano ogni giorno costi di varie categorie con i proventi o i ricavi che riescono a ottenere, cercando di ottimizzare i costi e migliorare i ricavi. Le modalità, i livelli, i tempi, le condizioni e le quantità di tale intreccio determinano le coordinazioni lucrative, cioè le modalità con cui l’azienda ottiene equilibrio o disequilibrio economico nel tempo, cioè utili o perdite, avanzo o disavanzo. Tutti gli operatori economici sono istituzioni storico-giuridico-sociali, ma dal punto di vista economico- aziendale tutti risultano unità organiche del sistema economico. Esse quindi possono venire interpretate tramite le combinazioni produttive e le coordinazioni lucrative. L’Economia aziendale perennemente in formazione (come tutte le scienze) è nata per derivazione delle tecniche e come scisma rispetto all’Economia politica. Essa si è poi sviluppata, dopo gli anni ’20 del XX secolo, sulla base dei contributi di H.N. e G.Z. e successivamente dei loro allievi. Tuttavia, occorre ricordare per completezza che tale impostazione non fu da tutti condivisa. Altri studiosi tedeschi e italiani si ritennero invece paghi della Ragioneria, continuarono a svilupparla, e rimasero scettici a riguardo dell’Economia Aziendale, se non oppositori della stessa. Ricordiamo tra loro in particolare due maestri delle Università Italiane: Domenico Amodeo – se da un lato contemplava il campo autonomo e completo della Ragioneria, temeva forse troppo ampio il campo assegnato all’Economia aziendale. Ubaldo de Dominicis – riteneva che quella avesse il compito proprio di studiare i fatti patrimoniali delle famiglie, delle imprese e dello Stato; riteneva quindi che fosse soltanto una tecnica, anzi la tecnica di misura propria delle imprese ma anche dell’economia in generale, compresa l’Economia politica. Questi studiosi si trovarono inoltre storicamente in sintonia con il mondo anglosassone il quale deve ancor pervenire alla “rivoluzione del reddito” e non è ancora approdato all’Economia aziendale. lOMoARcPSD|4544507 - Sono tutte caratterizzate da costi e ricavi, uscite ed entrate, patrimonio, debiti e investimenti, variazioni finanziarie. Tutte sono quindi caratterizzate dalla similarità delle funzioni amministrative, nonché dai processi giuridici ed economico-tecnici in cui si svolgono quali operatori-tipo del sistema, operatori la cui valenza economica viene appunto generalizzata dall’Economia aziendale che ne fa il proprio oggetto di studio. A ben pensarci, quindi, tutte le aziende possono dirsi di produzione, dal momento che erogare ricchezza da parte delle famiglie e degli Stati non è un fatto neutrale. A seconda di come spendono, infatti, sia le famiglie, sia gli Stati, possono “produrre” ricchezza, o consumarla per sopravvivere, o distruggerla. In altre parole, tutte le aziende producono in qualche modo ricchezza. Le imprese operano quindi nel seguente modo: - Prescelgono fattori produttivi. - Li combinano originariamente. - Li fondono nell’ottenimento di beni economici. - Scambiano tali beni nei mercati. - Ottengono così non solo il reintegro dei costi impiegati, ma anche un valore ulteriore (quid pluris): l’utile. NB → Tale utile è il premio che il mercato (cioè gli acquirenti) riconosce all’impresa per aver offerto in vendita un bene economico che il singolo non può con le proprie forze ottenere e per essersi addossata ex ante il rischio di pensarlo, progettarlo, realizzarlo e collocarlo, nell’incertezza sulle scelte del mercato. STUDIO DELL’ECONOMIA NEI SUOI OGGETTI OPERANTI: Per concludere si può affermare che: prima di tutto è chiaro che l’Economia aziendale si occupi di economia delle imprese. Altri autori che vi si ispirano sostengono che vi siano anche nella Famiglia e nello Stato elementi di aziendalità, ma che essa non rientri nel perimetro dell’Economia aziendale. Essi studiano dunque il sistema delle imprese: - Nelle loro caratteristiche-tipo significa il profilo sistematico espressivo della natura specifica del singolo tipo di impresa (es. azienda agricola, industriale, bancaria ecc.) - Nelle loro funzioni e strutture caratteristiche: sono i profili tipici che ne derivano, i compiti che le connotano in modo peculiare, speciale, inconfondibile. Le strutture sono infine gli insiemi di operazioni, processi e combinazioni che ne derivano necessariamente. - Nelle loro forme di equilibrio, di sviluppo e di crescita: esse rappresentano: o Equilibrio: I modi di raggiungimento e mantenimento dell’economicità. o Sviluppo: I modi di adeguamento continuo alla mutevole realtà dei mercati, della domanda, della tecnologia, dei prezzi-costo e dei prezzi-ricavo, della concorrenza o Crescita: I modi di aumento delle dimensioni, queste intese come “capacità produttiva” Le imprese, inoltre, vengono anche dette aziende di produzione, intesa come produzione economica, e di conseguenza esse producono redditi e riproducono capitali. NB → In accezione ristretta, quindi, l’Economia aziendale è la scienza che studia l’economia (caratteristiche, funzioni, processi e comportamenti) delle aziende di produzione di qualsiasi tipo. Avviene peraltro che l’attività economica non venga svolta soltanto dalle aziende di produzione. Altrettanto rilevanti sono le funzioni svolte dalle Famiglie e dallo Stato. Tutte le aziende possono dunque venire definite coordinazioni economiche in atto. lOMoARcPSD|4544507 Alcuni autori si domandarono allora se anche le aziende famigliari e le aziende territoriali, viste dal punto di vista del loro comportamento economico, dovessero rientrare nell’Economia aziendale. Risposero affermativamente dando così vita ad un “campo scientifico omogeneo” più ampio, il sistema globale secondo il quale l’Economia aziendale concerne l’economia delle Imprese, ma anche delle Famiglie e dello Stato. In conclusione si può affermare che l’Economia aziendale studi le aziende intese in via generale quali “coordinazioni economiche in atto” tese a combinare risorse per soddisfare bisogni. Essa studia pertanto le Famiglie, le Imprese e lo Stato nelle loro caratteristiche tipo, nelle loro funzioni, nei loro processi caratteristici e infine nelle loro forme di equilibrio, di sviluppo e di crescita. Si impone, infine, una precisazione: - In tutti gli Stati, sin dall’antichità, ci sono ripartizioni amministrative, talora con potestà tributaria. Tali ripartizioni assumono varie denominazioni; significa in sostanza studiare l’economia delle aziende territoriali. - Negli Stati moderni, in particolare, una quantità di funzioni di interesse pubblico vengono di norma esercitate dallo Stato, anche tramite Società per Azioni, enti di diritto privato, di proprietà diretta dello Stato, della Regione, della Provincia, del Comune; studiare lo Stato significa pertanto studiare più ampiamente l’economia di tutte le funzioni pubbliche esercitate direttamente e indirettamente. IL METODO SCIENTIFICO DELLE SCIENZE SOCIALI: Il metodo risulta fondamentale e ammaestrativo anche per le individuali faccende quotidiane che riguardano il ragionare, il distinguere, il formare e criticare concetti. Inoltre, se noi impariamo a condurre rigorosamente tali attività, saremo anche in grado di: forgiare visioni del mondo fondate, consequenziali, non contradditorie e prossime alla verità; attuare scelte razionali, opportune, concludenti ed efficaci. Occorre cioè convincersi del fatto “non vi è miglior pratica di una buona teoria”. Per raggiungere questo obiettivo, le capacità dell’intelletto umano e delle scienze sono fondamentali. Nasce così, a partire dall’antichità, il dibattito sul significato di metodo: questo termine significa più che “via diritta”, aiuto nella vita. È quindi fondamentale che il metodo: - Prescegliere quello proprio della scienza che si studia. - Possederlo anche nelle sue particolarità. - Applicarlo con rigore e, contemporaneamente, con lucidità adatta alla situazione. Ma il metodo, da solo, non basta: è fondamentale e necessario, ma non sufficiente; è un tecnicismo da conoscere e applicare sotto la guida dell’intelligenza speculativa del ricercatore o del pratico. Premesso ciò, occorre distinguere il tipo di scienza di cui ci si sta occupando; a riguardo, è opportuno riprendere l’antica distinzione tra Scienze della Natura (botanica, chimica, fisica classica e zoologia) e Scienze Sociali (diritto, economia, sociologia e storiografia). Proprio per il rilievo dell’azione umana, con i suoi caratteri di varietà, variabilità e imprevedibilità, le leggi formulate risultano meno meccaniche, rispetto alle leggi delle scienze della natura. L’osservazione comune ci insegna che le leggi economico-sociali sono meno ferree e stringenti rispetto alla chimica o alla fisica classica: tale fatto dipende dalla diversa natura della materia trattata, ma non deve farci cadere nell’immaginare ingenuamente una gerarchia tra le scienze. Anche le scienze sociali, infatti procedono secondo protocolli scientifici che consentono la formulazione di leggi; soltanto, risultano metodologicamente differenti. Si tratta allora di distinguere nel loro metodo le scienze sociali rispetto alle scienze della natura, e altre. Infatti: lOMoARcPSD|4544507 - Nelle scienze della natura sperimentali tende a predominare l’esperimento. - Nelle scienze della natura non-sperimentali contano la sagacia e la coerenza osservativa di fatti materiali. - Nelle matematiche rilevano la coerenza deduttiva. - Nelle scienze sociali contano qui pure la sagacia e la coerenza osservativa, ma è il problema a porsi diversamente. Queste infatti hanno alcune caratteristiche che le rendono metodologicamente più ardue e complesse. Nelle scienze sociali, un ruolo fondante è l’azione umana, in quanto essa essere imperfetta, contraddittoria, irrazionale ecc. Inoltre, nelle scienze sociali: - Maggiore è il numero delle variabili. - Le variabili hanno un campo di variabilità non solo quasi illimitato, ma soprattutto possono far registrare inversioni di segno, di direzione e di connessione causale. - Infine vi assumono rilievo talora fondamentale le “premesse di valore”, cioè le opzioni metafisiche e morali. Ad esempio, in Economia aziendale le leggi sul comportamento delle imprese devono tenere sempre presente l’azione ottima degli imprenditori e dei dirigenti; inoltre, sull’economia degli enti territoriali devono tenere in conto la storia, le risorse e le caratteristiche nazionali. Si può concludere con la distinzione seguente: - Le scienze matematiche si connotano per il metodo deduttivo; procede da certe premesse generali per derivarne teorizzazioni conseguenti e particolari. - Le scienze naturali sperimentali integrano i fatti conosciuti e i nuovi che possano venire scoperti, in un metodo induttivo, con esiti auto-correttivi e sostitutivi. - Le scienze naturali osservative, ma non sperimentali, si fondano su osservazioni sempre nuove in un metodo inferenziale. - Le scienze sociali si fondano sull’osservazione dell’intera collezione di fatti antichi e insieme agli altri sempre nuovi, in modo da reinterpretarli ogni volta alla luce delle teorie antecedenti e di altre originali, attraverso un metodo deduttivo-induttivo. I fatti di cui si parla devono essere fatti propriamente scientifici nel senso di Mach e di Henri Poincaré, cioè significativi in sé, significativi per la disciplina ed il tema di ricerca, ripetuti, raccoglibili in gruppi e ordinabili in seri articolate. Le scienze sociali si connotano cioè per il metodo sintetico e recursivo deduttivo-induttivo, il quale prende il nome di sintetico (o misto). L’INVIDIA DELLA FISICA: Dopo la II G.M., si sono largamente diffusi il neo-positivismo e lo scientismo di marca anglosassone, secondo i quali: - Importa la coerenza deduttiva. - Le scienze devono fondarsi sull’esperimento. Per le scienze sociali si tratta di insensatezze per i seguenti motivi: - La coerenza deduttiva deve valere omnibus, quindi è data per sottintesa. - Trattandosi di scelte di applicazione, l’esattezza delle premesse risulta fondamentale. - Infine, l’esperimento non è indispensabile o possibile in tutte le scienze naturali, e ciò a maggior ragione in quelle sociali. lOMoARcPSD|4544507 - Alcune scienze sociali, orientano poi scelte pratiche e risulta fondamentale che il momento astratto sia ben fondato, affinché anche le scelte pratiche risultino producenti. Il tema può essere esposto facendo una prima distinzione tra scienze astratte e scienze di applicazione; le scienze di applicazione sono quelle nelle quali il momento teorico e il momento pratico si intrecciano e le “formule vuote” non solo danno vita a teorie errate in sé, ma rovinano la prassi in cui si applicano. Per quanto riguarda le scienze di applicazione si tratta di “trattazioni di carattere tecnico” vediamo infatti che l’economia è radicata nella Ragioneria e nelle Tecniche, fin dalle sue origini. L’Economia aziendale si è trovata, con i propri raggiungimenti e traguardi, a risolvere quasi automaticamente il problema nodale delle scienze di applicazione, evitando così il pericolo delle teoresi anti-realistiche o propriamente errate. IL METODO STORICO (BENEDETTO CROCE) E LA E LA STORIOGRAFIA AZIENDALE. L’Economia aziendale costruisce le proprie teoresi e le prassi che essa suggerisce su gruppi, serie, classi e sistemi di fatti scientifici. Tali fatti possono riguardare gli operatori-tipo che danno vita alla Società (Famiglia, Impresa e Stato). Peraltro, proprio perché il mondo è un “sistema di senso e di significato” e perché il metodo è sintetico, per l’Economia aziendale risultano rilevanti i “fatti scientifici” accaduti in qualunque epoca e riferibili agli oggetti delle proprie indagini. Ciò la caratterizza come scienza sociale. L’economia aziendale può studiare, ad esempio la crisi del bilancio dello stato, le “guerre dei prezzi”, la strategia e l’organizzazione delle imprese, ecc. L’Economia aziendale si deve comunque avvalere di alcune cautele metodologiche proprie della Storiografia; e anche qui è d’aiuto definitivo B.C. quando distingue cronologia, biografia e storiografia: - Cronologia – fondamento esatto degli accadimenti avvenuti. - Biografia – costruzione organica, documentata e complessa di problemi storiografici singolarmente intesi. - Storiografia – interpretazione sintetica e unitaria di intere dinamiche e problemi illuminate da categorie sempiterne, e d’altra parte in grado di confermare e migliorare le categorie stesse. In campo aziendale ciò significa ricostruire i comportamenti e le dinamiche per chiarirli e illuminare l’oggi con il passato, e viceversa. Così la storiografia aziendale può offrire alla stessa Economia aziendale una notevole quantità di informazioni: quali siano state le “combinazioni produttive” e le “coordinazioni lucrative”, come e perché alcune imprese siano declinate e altre si siano affermate, come si siano comportati dal punto di vista economico gli stati nelle varie epoche. Proprio per questo, in tema di Storiografia aziendale, E.G. ci ha insegnato che “lo studio storico viene concepito in senso strumentale, vale a dire come un mezzo per l’ampliamento e l’approfondimento delle conoscenze”. L’indagine storica risulta quindi profondamente integrata con quella scientifica: essa trova il suo spazio vitale nell’economia aziendale. LE SCELTE ECONOMICHE DEGLI OPERATORI AZIENDE (famiglie, imprese, pubblica amministrazione ) AZIONI ECONOMICHE E NON ECONOMICHE NELLA VITA SOCIALE Quando si parla di economia materiale, è necessario fare una prima osservazione (spesso trascurata): non tutte le azioni compiute dagli operatori sono economiche. lOMoARcPSD|4544507 Ad esempio, quelle azioni che non comportano scambio monetario e che vengono compiute come passatempo, per passione estetica o per amore verso il prossimo; queste, sono tutte azioni non economiche. Esse, quindi, risultano esterne al perimetro husserliano dell’economia. Spesso, anche le aziende di produzione attuano scelte non direttamente economiche, come ad esempio nei casi di filantropia (contributi di beneficenza), oppure quando provvedono ai dipendenti con la costruzione di abitazioni, impianti sportivi, finanziamento a fondo perduto di attività culturali, ricreative e sportive. Anche nelle aziende territoriali possono esserci azioni non economiche, solitamente nella forma di cessione gratuita dei beni, di donazioni ai terzi nazionali per fini di contributo alla sussistenza o di contributo ai terzi esteri ai fini dello sviluppo, della sicurezza e dell’elevazione culturale e sociale. Anche in questi casi non c’è uno scambio in senso propriamente economico, ma c’è soltanto costo. Infine, c’è un caso particolare rappresentato dal raggruppamento delle aziende senza fine di lucro (no profit), cioè quelle aziende istituite e rette per uno scambio di mercato sugellato anche dal semplice pareggio. In questi casi, lo “scambio di mercato” in senso proprio non esiste: le prestazioni sono gratuite, oppure a un prezzo convenzionale, o a prezzo politico. Il fatto che non vi sia scambio di mercato, fa sì che in esse non sempre si presti attenzione alla economicità, cioè all’attento equilibrio tra costi e ricavi. Infatti, anche se non vi è uno scambio di mercato vero e proprio, occorre evitare di fondarsi solamente sul proprio patrimonio o sui contributi pubblici, senza controllare i livelli di costo ai quali si producono i beni. Occorre pertanto, anche in queste aziende, dare vita: - A una gestione efficiente dei costi. - A una definizione dei prezzi-ricavo che possano risultare convenienti per il pubblico. Un tempo, lo spazio per le azioni non economiche era diffuso nelle collettività (in particolare nell’antichità): vigeva una generale mutualità secondo la quale ci si aiutava scambievolmente. Erano in fondo “civiltà contadine”, civiltà nelle quali “tutto si produceva e tutto si consumava”: erano quindi molto importanti lo scambio interno alla comunità e la mutualità. L’aiuto reciproco si misurava nello scambio gratuito e nella compensazione. Tuttavia, queste forme non sono del tutto scomparse: anche in questo secolo sono presenti processi di scambio “non di mercato”. Si sovviene in modo reciproco alle necessità contingenti sulla base della mutualità, commisurata ogni volta ai bisogni altrui. Le scienze economiche si occupano invece direttamente (e principalmente) delle azioni economiche, cioè quelle tradotte in scambi di mercato e misurate dal valore degli stessi. Per tali scienze nasce il problema di comprendere la natura e le cause di queste azioni, soprattutto al fine di poterle descrivere e interpretare in forma scientifica. LA NATURA DELLE SCIENZE ECONOMICHE: Il tema delle scienze economiche riconduce a tornare all’economia marginalista o “pura” perché dall’influsso dello scientismo e del matematismo derivano molti dei problemi scientifici e pratici degli ultimi 150 anni, oltre a molti falsi convincimenti diffusi, e, infine, il rifiuto del marginalismo da parte dell’Economia aziendale. Le “formule vuote” vennero trasformate in suggerimenti pratici per il comportamento economico della Famiglia, dell’Impresa e delle Stato. È utile “mettersi nei panni” di pensatori che conoscono soltanto le matematiche e che vogliano tramite esse affrontare i problemi complessi, indeterminati e sfuggenti delle scienze sociali. Questi autori considerano ogni volta esclusivamente: - Un individuo che compia un unico tipo di azione. - Che compia una sola azione per volta, indipendente e separata. lOMoARcPSD|4544507 - Che la compia sempre e solo adesso, in quell’istante preciso. - In mercati perfetti, definiti come mercati dove tutti i beni sono uguali, le imprese non si fanno concorrenza e i prezzi sono uguali. Così descritta appare come una impostazione paradossale, ma occorre immaginare pensatori dell’ ‘800 che desideravano ridurre la complessità del mondo in una semplice equazione. A quel punto era facile calcolare il minimo e il massimo e trovare la risposta ai propri problemi. Purtroppo, la realtà è molto diversa: su queste basi nacque l’Economia aziendale. Sappiamo infatti, a partire dall’antichità classica: - Che l’individuo è contemporaneamente consumatore, investitore, e molto altro. - Che tutte le sue azioni sono compiute nel continuo. - Egli non decide da solo, ma in seno ad aziende, dalla famiglia all’impresa, fino alle territoriali. - Non riesce a ottenere tutte le informazioni necessarie a decidere in modo ottimo. - Che i beni sono infiniti e tutti diversi. - Che i prezzi sono differenziati anche per il medesimo bene. - Che le imprese si fanno concorrenza da sempre. Infine, sempre a partire dall’antichità, sappiamo che tante volte decidiamo in certi modi, pur sapendo, a priori, che non sono ottimali (per compiacenza, compromesso, disattenzione, dispetto, egoismo e vanità). Ad esempio, ciò vale per l’individuo quando consuma per la gola, o per fare sfoggio di abbigliamento, o per il desiderio di un oggetto elettronico o di un’automobile sportiva. Ciò vale anche per le imprese quando scelgono un impianto sub ottimale per ragioni di costo o spazio. Infine, ciò vale anche per lo Stato e le sue partizioni amministrative quando effettua spese eccedenti per favorire l’occupazione (anche se si riflette poi sul bilancio). I contributi di F. Machlup, W.J. Baumol, H. Simon Al marginalismo e a quanto precede, si opponevano nelle scienze economiche varie teorie, in particolare gli storicisti, i marxisti e l’Economia aziendale. Peraltro, anche nella stessa Economia politica si iniziò un movimento di opposizione. Infatti, mentre tutti i sostenitori di Walras e Pareto continuavano a dire e scrivere che l’operatore individuale massimizza, alcuni importanti studiosi impostavano correttamente e cominciavano a risolvere il problema. Un contributo fondamentale è dovuto a: Fritz Machlup: un autore austro-statunitense. Egli sostiene che: “Il marginalismo è chiaramente implicito nel cosiddetto principio economico: cercare di raggiungere con i mezzi dati il massimo dei risultati”. Prosegue poi ricordando che, quando si parla di analisi marginale, è necessario comprenderla bene perché: In realtà desidera spiegare gli effetti che certi mutamenti di situazione possono avere sulle azioni dell’impresa. Egli ricorda inoltre che, sempre nell’ambito dell’analisi marginale: - I campi di esistenza delle funzioni sono assai ristretti. - I costi marginali e i ricavi marginali sono funzione sia del passato sia delle aspettative. - I medesimi valori marginali non vengono comunque utilizzati perché l’impresa nelle sue scelte ragiona su valori medi assolutamente soggettivi, e stabili “a fiuto”. - Le “massimizzazioni” vanno intese nel senso di comprendervi anche scelte non massimizzanti dal punto di vista economico. - Ulteriori limiti derivano poi dalla tecnologia, dall’appartenenza a un determinato settore, dalle varie tecniche contabili della Ragioneria. lOMoARcPSD|4544507 Anche queste azioni seguono una legge economica generale: l’avidità illecita. Queste azioni sono caratterizzate dall’assenza di vincoli morali, disinteresse nei confronti di quelli giuridici DISTRIBUZIONE DELLE VARIABILI ECONOMICHE: Nonostante questa infinita presenza di variabili e l’apparente disordine, se si analizza attentemente è possibile distinguere - La struttura latente del mondo ovvero una struttura di ordine, o di ricerca dell’ordine. - La natura sistematica del mondo. In questo modo è possibile percepire il mondo come unità di senso e significato, consentendoci di creare teorie realisticamente fondate (cosa non possibile con la teoria dell’economia pure piuttosto che con le aspettative razionali). La base per queste teorie ci viene data da Gauss tramite la funzione di distribuzione delle probabilità. Essa, estesa al campo economico diventa una legge che ci offre la legge di distribuzione di quasi ogni struttura oggettiva e comportamento soggettivo. In essa infatti si evidenzia che: - la maggior parte dei valori si addensa intorno al valore medio. - quanto più ci si allontana dal valore medio, tanto i valori diventano meno probabili NB: Per questo la gaussiana è definita anche distribuzione normale dei fenomeni. Dal punto di vista grafico: - i valori si distribuiscono secondo la probabilità che hanno di manifestarsi, in una scala da 0 a 1 - il valore massimo si concentra nella media dei valori misurati - la maggiore o minore dispersione dei valori attorno alla media rende la curva più o meno larga. Nel grafico sono rappresentati: - Sull’asse delle ascisse, i valori della variabile in argomento. - Sull’asse delle ordinate, la probabilità associata a ogni valore della variabile. Estesa al campo economico, essa diventa una legge che ci offre la legge di distribuzione di quasi qualsiasi: struttura oggettiva e comportamento soggettivo. In essa infatti i valori si distribuiscono secondo la probabilità che hanno di sussistere o manifestarsi, il massimo si concentra nella media, la maggiore o minore dispersione dei valori attorno alla media rende la curva più larga e stretta. Il tutto, non solo consentendo di descrivere in modo semi esatto l’apparente dispersione di molti fenomeni naturali, ma anche confermando l’ampia regolarità dei medesimi. Si tratta infatti di strutture, come pure di scelte di comportamento. Traslata al campo economico, la distribuzione gaussiana ci dice che la maggior parte dei valori si addensa attorno al valore medio (dove la probabilità è massima), e quanto più ci si allontana dal valore medio, i valori diventano sempre meno probabili. Per questo, la distribuzione gaussiana è anche definita distribuzione normale dei fenomeni . L’utilizzazione della gaussiana ci permette di risolvere il problema dell’aggregazione nelle scienze economiche in modo diverso rispetto a Marx e Keynes. Il “problema dell’aggregazione” significa sostanzialmente come passare dalla singola famiglia o dalla singola impresa, all’insieme di esse. Marx cercò di provvedere al problema riducendo la società a due sole classi inesistenti, le variabili economiche solo a due, anche esse inesistenti, etc. J.M. Keynes tramite grandi categorie, quali aspettative, domanda effettiva, efficienza marginale del capitale, moltiplicatore, fino ai grandi aggregati. Il problema è assai rilevante dal momento che per dettare leggi, soprattutto di politica economica, occorre: - Aver costruito l’immagine economica della società in modi aderenti al vero, come consentito dalle distribuzioni gaussiane. - Dar vita a teorie poi applicabili le quali divengano cioè plastiche e generalizzabili. lOMoARcPSD|4544507 L’AZIONE ECONOMICA DELLE AZIENDE: In molti testi di Economia politica si parla di scelte individuali; L’Economia aziendale ragiona diversamente e ritiene obbligatorio considerare che: - L’individuo è contemporaneamente lavoratore, consumatore e risparmiatore e, inoltre, compie le proprie scelte nel tempo continuo. - Tale individuo non è isolato nel mondo; egli è in un rapporto di relazione economica, spaziale e organizzativa. - Tali relazioni si svolgono nell’ambito di aziende. Ogni scambio, se lo si guarda in maniera isolata sembra compiuto in un istante specifico e dal singolo acquirente, ma guardare con questa opinione la realtà non è corretto; infatti, esso è incardinato: - In tutta la serie di scambi precedenti, contemporanei e successivi che egli compie. - Nell’economia aziendale cui egli appartiene Le “ottimizzazioni vincolate” vanno riferite a vincoli e ottimizzazioni relative a tutte le interazioni sociali in cui egli è immerso. Risultano vincolate le azioni che l’individuo compie in quanto immerso in una realtà organizzativa d’impresa o di azienda territoriale: anche in questi casi le scelte che egli compie sono vincolate, cioè espressione di tutti i vincoli e le interazioni sociali e organizzative in cui gli individui sono immersi. Le caratteristiche dell’azione economica nelle aziende delle varie categorie: - Nelle aziende familiari: le scelte sono il naturale risultato dell’accordo affettivo e razionale, del compromesso e della prepotenza. In questo contesto, contano molto i fattori storico, religiosi e culturali, lo “Spirito del tempo”, la maturità delle persone e l’interpretazione familiare, professionale e sociale dei ruoli individuali. A tali fattori socio-psicologici si congiungono poi i più strettamente economici che tanto concorrono a determinare le scelte dell’azienda familiare, le quali risultano poi radicalmente diverse a seconda della presenza (o assenza) di prole e dei modelli di risparmio e consumo. - Nelle aziende di produzione: vi è uno scenario simile a quello delle aziende familiari, basilarmente non si tratta di ripartire redditi tra consumi e risparmi, ma bensì di attuare scelte di gestione le quali consentano la produzione di ricchezza, avendo quale condizione di esistenza l’equilibrio economico. Tale produzione di ricchezza va a pari passo con lo sviluppo dell’impresa nel quadro dell’evoluzione tecnologica, della concorrenza e dell’economia generale. Dal punto di vista delle scelte vengono allora a rilevare le decisioni di comitato, le quali a volte sono prese aderendo al volere del leader, altre volte invece realizzano il “volere migliore” che guida verso l’ottimalità. - Nelle aziende territoriali, alle complessità precedenti, si aggiunge poi la naturale vastità e complessità dei compiti, intrecciata con due processi-tipo, quali, la mediazione politica e la mediazione partitocratica. Molto dipende poi dal il ceto politico, se esso pensi all’incivilimento, oppure abbia fini egoistici, o infine se si avvolga in un confuso mixtum. Pertanto, l’Economia aziendale ritiene veramente che: esistano leggi economiche generali e, inoltre, che quest’ultime siano applicabili a tutte le aziende sulla base della comunanza di funzioni amministrative. lOMoARcPSD|4544507 LA MISURAZIONE ECONOMICA DEI FENOMI AZIENDALI – LA RAGIONERIA La caratteristica rilevante di molte scienze empiriche (scienze della terra e del cielo, scienze della natura, scienze sociali) è la misurazione dei fenomeni indagati, per effettuare queste misurazioni essa utilizza tecniche e misure specifiche (ragioneria, statistica metodologica, matematica finanziaria e attuariale). NB: la statistica metodologica studia la variabilità, la matematica finanziaria proietta i valori nel tempo futuro, mentre la matematica attuariale attualizza ad oggi valori futuri. La ragioneria misura la dinamica delle variabili economiche, in particolare dei redditi e dei capitali Le scienze empiriche si distinguono in: - Le scienze della natura: misurano i fenomeni osservati al fine di trarne leggi, tramite esperimenti di laboratorio. - Le scienze sociali: svolgono questa misurazione per intento proprio e volontà sociale. (es. il diritto) Nelle scienze sociali, la misurazione dei fenomeni, consiste quindi nella ricostruzione interpretativa dei fatti accaduti, che va ad individuare delle leggi di struttura. NB: fatti si manifestano sempre in modo diverso, per le diverse caratteristiche degli uomini e delle situazioni. L’unica scienza sociale che si avvicina alla misurazione delle scienze naturali è l’economia aziendale. Si tratti infatti di prezzi, salari, commerci e imposte In campo economico, sin dall’antichità, vige sia nella prassi sia nella teoria una misura classica: la misura in moneta, quindi i prezzi. NB: Il binomio moneta-prezzo è espressione effettiva del fatto economico nel tempo e nello spazio. Talora il prezzo è studiato direttamente (studio di una dinamica e di prezzi per comprendere meglio determinati processi); o in modo composto, in unione a variabili quantitative: di molte variabili interessano i volumi globali, cioè le quantità moltiplicate per i singoli prezzi. Delle imprese interessa oggi il fatturato, cioè il binomio: unità x prezzo unitario = fatturato Ciò che conta è che l’indagine si rivolga a quantità-valori veri in quanto fattuali: prezzi e altre variabili economiche espresse tutte in moneta. Si tratta di adesione realistica ai fatti della realtà che la scienza economica deve poter osservare e misurare al fine di indagare, provare, ripetere in differenti contesti e comprovare. Grazie a tali caratteristiche, le indagini assumono una validità che spazia dall’antichità classica fino a oggi, grazie all’aver costruito e confermato le proprie ipotesi proprio sui concreti fenomeni economici, valori e prezzi misurati in moneta. Nonostante sia chiara la valenza dell’unità di misura dell’economia aziendale ci sono due grandi dispute: - Per decenni l’economia politica ha cercato unità di misura convenzionali e irrealistiche, unità di misura in senso astratto come per esempio l’utilità; - Molti studiosi cercano di rinchiudere l’economia in un luogo astratto di formule matematiche di tipo equazionale con una sola variabile e massimo di secondo grado. LA MISURAZIONE DEI FENOMENI ECONOMICI La scienza economica, in quanto scienza sociale, è disciplina empirica: essa studia il comportamento economico dei singoli e delle loro aggregazioni fino agli Stati, e lo studia inoltre anche nelle organizzazioni per il cui tramite quel comportamento economico si declina: imprese e mercati. lOMoARcPSD|4544507 Tramite i finanziamenti si dà vita ad investimenti: le fonti di capitale si trasformano, per via delle scelte di gestione, in impieghi di capitale. I finanziamenti (che sono le fonti di capitale) possono provenire: - Dai soci in generale: si tratta del capitale apportato o conferito dai soci, dunque capitale sociale; esso è capitale di rischio perché sopporta integralmente il “rischio di gestione”. È allogato tra le passività non solo perché è una fonte di risorse, ma anche perché è un debito effettivo. - Dal sistema bancario in forma di crediti concessi - Dai fornitori, i quali abbiano venduto con regolamento differito. Gli investimenti (che sono gli impieghi di capitale) sono costituiti: - Da investimenti aventi fecondità semplice (es. materie prime) - Da investimenti aventi fecondità ripetuta, cioè utilizzabili per n atti produttivi (es. impianti, brevetti) Per concludere: - L’impresa ogni giorno intreccia costi e ricavi, valori-flusso, intessuti in “coordinazioni lucrative”. - L’impresa contemporaneamente rinnova e modifica sempre il proprio capitale di funzionamento. - L’esito del tutto è il risultato economico: utili, pareggio o perdita (a seconda dei casi). - Tale risultato compare identicamente nei due prospetti: nel rendiconto reddituale come differenza tra quantità flusso, cioè tra ricavi e costi; nello stato patrimoniale quale effetto sulle attività e sulle passività del flusso aggiuntivo, o nullo, o diminutivo. DAL BILANCIO SI DEDUCE CHE: NB: Le imprese si svolgono tramite operazioni/processi e combinazioni produttive DI REDDITO : per esempio operazioni di acquisto o vendita (se si tratta di acquisti/vendite di più unità si definiscono “processi”), l’insieme di queste operazioni/processi da origine alle combinazioni produttive. “Di reddito” in quanto non sono solamente fisico- tecniche, ma anche economiche. COORDINAZIONI LUCRATIVE: esse derivano dalle combinazioni produttive, dalla loro quantità/qualità/tempificazione, e si esprimono in costi e ricavi/fatturato. I costi e i ricavi si manifestano in entrate e in uscite, che prendono il nome di coordinazioni monetarie. OPERAZIONI IN CORSO : dal punto di vista giuridico-contabile, immaginando di chiudere l’esercizio il 31/12, occorre rappresentare le operazioni in corso, esse vengono denominate rimanenze finali, distinte in materie prime, semi lavorati e prodotti finiti. Le rimanenze finali possono venire interpretate quali costi in attesa di completamento, nonché, destinazione temporanea degli stessi. Abbiamo esaminato fin ora, variazioni di esercizio (qualcosa che accade sempre ripetutamente in tutti gli esercizi), cui corrispondono uscite (variazioni negative) (costi monetari, es. costo materie prime, energie, riscaldamento, semilavorati ecc.) o entrate (variazioni positive). Alle produzioni economiche d’impresa concorrono anche valori pluriennali (stabilimenti, impianti, macchinari che le producono) che danno origine a costi, ma costi cui non corrispondono uscite. (costi non monetari) Il contributo economico dei valori pluriennali va rappresentato in bilancio: si tratta di costi non monetari, che vengono denominati quote di ammortamento. Il canone di fondo cui ispirare il calcolo delle quote di ammortamento è la obsolescenza, cioè, il progressivo invecchiamento tecnologico. NB: Attuando le combinazioni produttive e ottenendo le connesse coordinazioni lucrative, si ottengono da un lato componenti positive di reddito (fatturato), dall’altro, l’insieme di costi monetari e non monetari, se lOMoARcPSD|4544507 la gestione è in equilibro, il fatturato (quindi le entrate) compensa i costi monetari e non monetari. I costi non monetari generano disponibilità liberamente gestibili dall’impresa. Essa può deciderne l’utilizzo più vario, in linea di massima le due scelte che può seguire sono: - Rinnovo parziale ma continuo degli impianti - Ampliamento del volume delle combinazioni produttive, al fine di avere maggiore fatturato, e di conseguenza maggiori entrate future da reinvestire nuovamente nella gestione. NB: I valori che si sommano nel bilancio prendono il nome di valori: - Veri - Assimilati: rimanenze finali, in quanto assimilabili ai valori veri, per quanto riguarda le rimanenze infatti (denominate merci o magazzino, nello stato patrimoniale), esistono infatti precisi punti di riferimento: i costi sostenuti, i ricavi presunti futuri, entrambi alla luce dell’ulteriore periodo di gestione, intercorrente tra la chiusura dell’esercizio e il deposito del bilancio. Nei settori HRD (high research and development) l’obsolescienza continua ad abbreviarsi (es. il settore dell’elettronica, informatica, meccatronica, il settore militare, nucleare). - Presunti: in quanto la certezza della precisione dei calcoli di ammortamento, si avrà solamente a fine vita dell’impianto L’ECONOMIA DELLE FAMIGLIE ECONOMIA DELLE FAMIGLIE LA FAMIGLIA: Possiamo definire la famiglia come la cellula della società che presuppone legami di parentela o affettivi tra i componenti. Le aggregazioni tra famiglie formano la società. L’economia aziendale studia i comportamenti economici interni alla famiglia (redditi, tributi, consumi, investimenti) ed esterni, ovvero tutte le connessioni con le altre aziende: - con gli enti territoriali per i beni di cui usufruiscono e i tributi che pagano, - con le aziende di produzione per i beni che acquistano, - con le une e le altre per i rapporti di lavoro e di investimento. NB: L’economia aziendale non giudica la moralità delle famiglie, anche se ne tiene conto per le conseguenze che questa porta in ambito economico. L’azione economica sovra individuale Sin dall’antichità sistemi sociali significa sistemi economici, di produzione, scambio, consumo di beni economici. Le famiglie risultano quindi cellula base di entrambi i sistemi (sistema sociale e sistema economico). Dal punto di vista economico-sociale, l’azione fatta da una famiglia è sempre collettiva perché la sua azione si combina e si fonde con quella degli altri componenti del nucleo famigliare, e a loro volta le famiglie si intrecciano con la struttura sociale. AZIENDA FAMIGLIARE: In economia aziendale la famiglia, quale centro di interessi economici, viene definita azienda famigliare, essa viene studiata dal punto di vista dei suoi redditi, tributi, consumi, investimenti. (vengono comunque considerati anche i fattori morali, culturali, sociali, giuridici ecc.) L’economia aziendale prende in analisi qualsiasi tipo di famiglia (famiglia tradizionale, allargata ecc.). queste famiglie hanno caratteristiche e componenti diverse, ma dei punti in comune: - il lavoro delle persone che costituiscono il nucleo - i redditi del lavoro (con il quale si pagano i tributi, si sostengono le spese ecc.) - il comune contemperamento degli interessi individuali: le diverse scelte di consumo e di investimento Nelle aziende famigliari prendono luogo anche altri tipi di azioni come: - Il perfezionamento individuale, dal punto di vista morale, culturale e sportivo - L’educazione dei figli lOMoARcPSD|4544507 - L’assistenza ai componenti malati o anziani, - La filantropia. Apparentemente non sembrano azioni economiche (in quanto non basate sullo scambio di mercato), invece analizzate con cura possono essere definite azioni economiche indirette, in quanto: - si traducono in costi effettivi (quindi in uscite) - si traducono, in altri casi, in risparmio di costi - vengono fatte per avere un miglioramento organico e di redditi futuri. LE AZIENDE FAMIGLIARI E LO STATO: Il profilo economico delle aziende famigliari, le sue azioni, le sue reazioni, le sue attività, contribuiscono a caratterizzare l’economia di uno stato. Tra aziende famigliari e stato intercorrono vari rapporti come quello dell’ordinamento, in particolare: - le leggi sulla scolarità e l’educazione nazionale, - la normativa pensionistica, - la normativa sanitaria, - le leggi sul lavoro, - le leggi tributarie e di tutela del risparmio. EVOLUZIONE DELLE AZIENDE FAMIGLIARI: Secondo il modello di Colin Clark dell’evoluzione economica che porta ad un avanzare nei settori (primario, secondario e terziario) possiamo concludere che con quest’evoluzione cambino pure i settori di occupazione delle famiglie. Tale dinamica comporta effetti fondamentali sulle famiglie e sulle loro attività, dunque sulla struttura e la dinamica dell’intero sistema economico. Si può dire che le famiglie transitano: - dalle campagne alle città secondo processi di inurbamento, - da attività addensate nel tempo ad attività continue ed ininterrotte (proletariato di fabbrica), - da redditi aleatori nel tempo e nelle dimensioni a redditi periodici sicuri. Si sviluppano quindi dei consumi costruttivi. Alla fine del 1800 era presente una società povera basata sull’economia del contadino. Inizia poi una borghesizzazione delle masse (l’ampliarsi delle attività) con la nascita di sistemi di diritto. Alle radici di questa borghesizzazione vi era soprattutto il desiderio di crescita economica e sociale, seguito da un desiderio d’indipendenza e di riconoscimento politico. SOMBART: fu un sociologo che espresse le proprie opinioni volte a descrivere il “borghese” quale tipo ideale (la sua mentalità, i suoi desideri …) Esso ci ricorda che con l’avvento della borghesia i rapporti contrattuali si sostituiscono ai precedenti vincoli di signoria-gerarchia e di comunità. Inoltre esso sostiene che i fattori principali del passaggio al “capitalismo” sono sostanzialmente 2: - il razionalismo economico: (cioè l’orientamento di tutte le azioni al miglior fine ottenibile), esso è realizzato anche grazie alla gestione in conformità a un piano e alla tenuta razionale dei conti (tramite partita doppia e la ragioneria) - l’utile: (cioè vantaggio/profitto), esso rappresenta il passaggio dal semplice soddisfacimento del bisogno all’accrescimento del capitale iniziale. Con il progresso economico migliorano anche le condizioni sociali (alimentari e abitative, di abbigliamento, di sanità ecc.). Le famiglie iniziano a consumare quei beni “costruttivi” i quali, oltre a migliorare la condizione del singolo, portano ad un incivilimento personale. Ovviamente nascono anche i consumi de-costruttivi, che fanno nascere comportamenti patologici (quali alcolismo, droghe, stupefacenti …) essi risultano tuttavia importanti dal punto di vista economico e della struttura sociale, in particolar modo ad esempio per nazioni che si basano sulle coltivazioni di piante stupefacenti, e per tutte quelle che si occupano della trasformazione, trasporto e commercio delle sostanze derivate. REDDITI, CONSUMI, TRIBUTI, INVESTIMENTI lOMoARcPSD|4544507 o Di consumo durevole (arredamento, autoveicoli …) o Artistici (opere d’arte), caratterizzati da un aumento di valore nel tempo o Da tesaurizzazione (metalli e oggetti preziosi) IL CICLO DI VITA RISPARMI-INVESTIMENTI (Modigliani, Keynes, Dell’Amore) Il ciclo di risparmio-investimento dipende fortemente dall’età lavorativa: esso è quasi nullo negli anni prima dell’ingresso nel mondo del lavoro, e aumenta con gli anni, fino a diminuire o ad essere negativo in età avanzata. Inoltre esso può essere interrotto in caso di malattia, decesso, particolare crisi economica ecc. Il ciclo risparmi-investimenti deriva soprattutto dal reddito e dal patrimonio Il risparmio delle famiglie è stato studiato molto approfonditamente dall’economia aziendale in quanto questo determina: - il livello dei consumi aggregati, - il volume totale del risparmio aggregato e le sue direzioni, - dato che risparmi=investimenti, anche il volume degli investimenti totali. Il primo a studiare i consumi fu KEYNES sostenendo che la propensione al risparmio si connette a fattori quali: - motivi precauzionali (spese impreviste), possono talvolta spingere fino all’avarizia - desiderio di migliorare le proprie condizioni future Negli anni ’50, poi, alcuni studiosi americani tra cui MODIGLIANI, sostennero che: Il risparmio dipende soprattutto dalle età delle persone ed è necessario per poter consumare anche in età avanzata quando non si percepiscono più redditi. Il tutto seguendo il principio che gli individui preferiscono massimizzare i consumi lungo tutto l’arco della vita. Le teorie del risparmio furono poi raffinate e concretizzate da DELL’AMORE, allievo di Zappa, il quale sostenne che: - il risparmio si origina all’interno delle famiglie a causa di fattori culturali - il risparmio è condizione di miglioramento morale e materiale della famiglia (ove ben impiegato) - il risparmio è necessario per poter affrontare problemi economici futuri e rappresenta un fattore di sicurezza - il risparmio porta determinate conseguenze monetarie, creditizie e finanziarie che fanno crescere in modo equilibrato l’intera economia dello stato. I MODERNI PROCESSI DI CONSUMO: L’economia aziendale si concentra sull’insieme di consumi di un’azienda famigliare (e non di singole scelte, come fa l’economia politica) I processi di consumo tendono ad ottimizzare nel tempo e nello spazio le necessità della famiglia sulla base: - di premesse valoriali - dei vincoli del bilancio (es. reddito netto disponibile) - dall’orizzonte temporale (quanto lontano si guardi nell’effettuare le scelte) - dall’ignoranza del presente e del futuro L’equilibrio che le famiglie cercano di raggiungere verte sul bilanciamento tra risparmi e consumi, e sul livello di priorità che l’azienda famigliare attribuisce ai consumi. Si tratta quindi di comporre un’equazione mezzi-fini altamente vincolata. (dove sia mezzi che fini vanno conciliati) Nell’aspetto pratico i processi di consumo sono determinati: - Dall’ammontare dei redditi: dalla loro stabilità o variabilità nel tempo. NB: esiste quindi un vincolo materiale, su questo concetto si basa la teoria di Friedman del reddito permanente, ovvero quel reddito ormai sicuro per coprire i consumi e l’incertezza del futuro, sulla base di questo reddito c’è il consolidamento dei consumi. lOMoARcPSD|4544507 - Dalle priorità e preferenze interne alla famiglia, questo costituisce la propensione al consumo, determinata soprattutto dalla distribuzione dei membri della famiglia e dalla loro età, dal carattere, dalla cultura e dall’educazione I consumi dei beni sono poi stati suddivisi per classi: - Primari o secondari: la divisione di queste due tipologie dipende dal ceto, dalla cultura, dal reddito ecc. - Necessari o voluttuari: come i primari/secondari NB: grazie all’evolversi della società molti beni secondari/voluttuari si sono evoluti in primari/necessari. - Funzionali o ostentativi (principio di emulazione, farsi vedere) - Costruttivi o decostruttivi (di cui si è già parlato in precedenza. BENI DI LUSSO (Veblen, Sombart e Mendeville) Il crescente livello di redditi e ricchezza fa sorgere il problema dei consumi di lusso. Al fondo della questione ci sono degli elementi che valgono da sempre quali il desiderio di migliorare la condizione economica, l’ambizione a distinguersi ecc. Il consumo di beni di lusso esiste da sempre, basti pensare agli splendori persiani a Persepoli, allo sfarzo di Re Sole …. Occorre però considerare che questi casi erano rappresentativi di economie chiuse, sistemi primitivi dalla scarsa produttività, dove i beni di lusso delle categorie più alte, pesavano sulle spalle di altre categorie di cittadini. Il noto apologo di MENDEVILLE sottolinea che il lusso e lo sfarzo sono necessari per l’economia in quanto generano possibilità di lavoro e di conseguenza anche l’avanzamento della società. Così possiamo pensare che il lusso, da benessere privato, inizi a diventare anche un vantaggio sociale in quanto trasferisce ricchezza dai ricchi ai produttori dei beni di lusso, sviluppa le arti e costruisce un patrimonio storico. I beni di lusso rappresentano sicuramente delle comodità che solo i più abbienti si possono permettere. Ma con un aumento generale della ricchezza, la ricerca della comodità si amplia verso molteplici ceti sociali facendo diventare i beni di lusso dei beni necessari. L’evoluzione è stata quindi la seguente: Beni di lusso>comodità>beni necessari. Uno studioso della materia, VEBLEN, sottolineò quanto ci fosse riprovazione del lusso nell’antichità, anche perché spesso era a danno dei ceti sociali più deboli. Al giorno d’oggi invece è necessaria la distinzione tra lusso e sfarzo (spreco sfarzoso di beni). Infatti per sfarzo intendiamo tutti quei comportamenti volti alla dimostrazione della propria ricchezza. Mentre con i beni di lusso, come ha sottolineato Sombart, portano dei vantaggi sociali quali - Sviluppo del commercio, dei settori di lusso - Stimolazione della creatività estetica e artistica - Generazione di domanda RISPARMI- CONSUMI NEL TEMPO (Simmel) Negli ultimi anni c’è stata una grande diffusione dei processi di consumo dovuta ad un: - grado di sviluppo che la società è riuscita a raggiungere - stadio evolutivo di una nazione - cultura nazionale - struttura demografica - incidenza dei tributi Occorre riflettere alle modalità secondo le quali il progresso economico si intreccia con il mutamento e l’evoluzione sociale e della psicologia collettiva, facendo così sviluppare la società. Dividiamo quindi due aspetti: - visione del mondo dei governati e dei governanti, - spirito del tempo, cioè l’insieme dei valori in una certa epoca in una certa nazione. Una volta individuati questi aspetti occorre definire quali siano gli atteggiamenti singoli e collettivi rispetto al lavoro, risparmio e consumo. Questo significa capire: - se la preferenza sia verso l’operosità (e lo sviluppo delle capacità tecniche) oppure verso l’oziosità - se la tendenza sia verso l’armonia tra consumi e risparmi oppure sia incentrata solo sui consumi vistosi. A questo proposito espose le sue teorie SIMMEL affermando che il problema principale è che la ricchezza ha teso a divenire fondamento nella stima sociale, nell’autostima, anche a prescindere dalle modalità (lecite o illecite) del suo ottenimento, e così, il denaro, per molti, da mezzo è diventato un fine. lOMoARcPSD|4544507 I MUTAMENTI SOCIO-CULTURALI DELLA SOCIETÀ I mutamenti socio-culturali della società sono stati influenzati dal passaggio progressivo dalle città contadine ad un processo di inurbamento della società. I processi di inurbamento risultano lenti e accidentali, diversi per ogni nazione (In alcune c’è un addensamento multipolare, in altre c’è un addensamento in poche grandi città) In aggiunta bisogna concentrarsi anche sulla continuità (può considerarsi graduale e quindi regolare) e sull’intensità (viene misurata con la proporzione tra i residenti delle grandi città e la popolazione totale) del processo. Con i processi di inurbamento c’è anche una graduale borghesizzazione delle masse, le quali iniziano ad attuare anche un consumismo generalizzato grazie all’aumento generale di ricchezza. RIASSUNTO CAPITOLO 8: L’ECONOMIA DEGLI ENTI PUBBLICI TERRITORIALI Se riflettessimo in modo panoramico sugli ultimi 2000 anni della storia occidentale, vedremmo grandi e tormentati periodi di formazione di Stati e Imperi. Si formarono gli Stati Nazionali, fino ad arrivare alla costruzione dei grandi imperi coloniali che spiegano la natura eurocentrica del mondo fino alla II G.M.. Con la I G.M. si arrivò ad una stabilità tra il 1918-1939; con la II G.M., poi, si arrivò a porre le premesse per il ruolo egemone degli Stati Uniti, per la decolonizzazione, per l’odierno pullulare di Stati nazionali e per la transizione verso l’Oriente e il Pacifico. Nonostante i numerosi eventi che mutarono gli Stati, ci sono delle funzioni ritenute proprie ed esclusive dello Stato: - Difesa esterna e ordine pubblico. - Giustizia. - Amministrazione pubblica. Il tema di quali siano le funzioni proprie dello Stato deriva dalla concezione stessa di Stato quale entità giuridico-politica. Questo aspetto origina il perimetro dei compiti dello Stato: è una concezione che limita (o amplia) i compiti dello Stato. Occorre quindi ricordare prima le concezioni classiche di Stato e poi sintetizzare brevemente quelle inglesi. A riguardo delle prime si può fare riferimento alla concezione organicista dello Stato hegeliano, il quale: - È un organismo vivente. - È un’entità suprema. - Possiede una generale sovranità. Si tratta sostanzialmente di concezioni istituzionali e organiche, dove lo Stato è qualcosa di più di una semplice associazione o di una nazione: è un’unione storica, giuridica, culturale e sociale sovra-ordinata e auto-esistente rispetto alle parti che lo compongono. A partire dall’antichità, comunque, gli Stati ed i loro reggitori posero comportamenti politici; questi comportamenti incisero sempre sulla realtà sociale traducendosi poi, lungo il corso dei secoli, in aristocrazia o demagogia, armonia o crisi sociale, guerra o pace. Negli ultimi mille e più anni poi, da quando si è avviato il processo di formazione degli Stati nazionali, sempre nuovi e diversi sono i compiti assunti dallo Stato o ad esso assegnati, come pure il modo di esercitarli. Lo stato deve inoltre imporsi l’obbiettivo dell’incivilimento: provvedere a civilizzare i cittadini, a rendersi produttivo dal punto di vista, sociale, morale ed economico. Grado di incivilimento consideriamo il livello di spesa sostenuto dallo stato per la giustizia, la difesa, le infrastrutture, la sanità, la scuola. L’azione dello stato è rappresentata da: - i proventi (imposte) lOMoARcPSD|4544507 - stato-produttore, il quale si assume il compito di produrre-vendere beni, - stato-consumatore, come acquirente di beni, - stato-imprenditore, il quale avviasse imprese di produzione, - stato sempre più soggetto di politica economica, inteso quale operatore pubblico. Così, nell’arco di 150-200 anni l’equivalenza servizi pubblici minimi = imposte minime scomparve definitivamente. In parallelo, peraltro: - Crebbero senza soste i servizi pubblici e le imposte. - Nel contempo, i cittadini si abituarono al fatto che ad alcuni bisogni dovesse provvedere lo Stato. Negli Stati moderni le imposte si avviano in molti casi a rappresentare il 25-45% del Reddito Nazionale: ciò significa che talora quasi metà e più di tutta la produzione di ricchezza è ingoiata dalle imposte e destinata politicamente. Queste dinamiche manifestano una quantità quasi infinita di effetti cui il cittadino, ormai assuefatto, non riflette più. Tra queste: - Il carico sempre maggiore di imposte. - La qualità non eccellente nei servizi. - La minore tensione all’autonomia individuale per adagiarsi nel Welfare State. - Eventuali approfittamenti o processi corruttivi. Si tratta di un’impostazione derivata sovente o da premesse ideologiche o da vantaggi privati, e ancora frutto della tendenza generale dei sistemi ad espandersi. Si tratta, inoltre, di un’impostazione che non solo trascura, ma propriamente ignora gli effetti che la riduzione della pressione tributaria potrebbe produrre: - Minori sprechi pubblici. - Maggiori consumi e risparmi-investimenti privati. - Allocazione non burocratica delle risorse, ma secondo processi di mercato. - Rafforzamento dell’autonomia personale, dell’indipendenza professionale, della crescita morale e civile dei cittadini. Sul tema esiste poi una seconda impostazione, opposta alla precedente, che esalta all’estremo i processi di mercato e di snellimento delle Amministrazioni Pubbliche e tende ad accentuarli fino a parlare di “Stato minimo”, “rivolta fiscale”, “licenziamento dei dipendenti pubblici”, etc. l’interpretazione aprioristicamente positiva del contenimento e snellimento della pubblica amministrazione, e delle privatizzazioni, accentua i vantaggi del “mercato” e del “privato”; ma trascura l’eventualità che: - Gli operatori privati diano attuazione a politiche egoistiche. - Gli operatori economici si accordino nei mercati a danno dei consumatori. I cittadini potrebbero così divenire preda di monopoli e oligopoli privati, di cartelli, di tariffe convenienti ma con scarsa qualità dei beni, di ridotte possibilità di scelta alternativa. Le Pubbliche Amministrazioni si giudicano per la quantità, la qualità e il costo dei servizi prestati, dunque soprattutto per le due caratteristiche economico-aziendali e gestionali ricordate: l’efficacia e l’efficienza. Il problema è di evitare l’ipertrofia delle Pubbliche Amministrazioni, ma soprattutto di prestare servizi pubblici utili e rilevanti, efficienti rispetto a come essi verrebbero realizzati con processi di mercato. Dove ciò non è possibile, la soluzione è la privatizzazione. Il problema sembra di grande complessità perché occorre pensare, sul punto, anche a tutti i beni pubblici non delegabili a processi di mercato. Occorre riflettere, quindi, a come tali servizi siano attuati nella realtà, oppure a come potrebbero essere: ecco allora che non si può parlare astrattamente da un lato di “produttività” della spesa pubblica, dall’altro di “superiorità dei processi di mercato”; anche la spesa pubblica e le imposte su essa si fonda, può risultare propulsiva (non solo in assoluto, ma anche lOMoARcPSD|4544507 relativamente) purché fondata sull’efficacia e sull’efficienza citate. È solo su queste basi, e non sul mero confronto tra pressioni maggiori o minori, che si può quindi giudicare se le imposte risultino categoria produttiva o anti-produttiva. SISTEMA TRIBUTARIO E IMPOSTE: Schumpeter ricorda che il tema generale delle imposte si situa all’incrocio tra economia e politica. Il tema generale delle imposte non è quindi passibile di approccio astrattamente “scientifico”, il quale cerchi di misurare matematicamente e poi di “confrontare”, lo svantaggio che deriva dal pagare imposte con il vantaggio derivante dai servizi di cui fruisce. Peraltro, il tema delle imposte è rilevante anche in senso macro-economico ed economico-aziendale. Le imposte si inquadrano sistematicamente nella logica della finanzia pubblica. I tributi derivano dalle imposte, determinate per legge. A riguardo delle imposte, è rilevante l’interpretazione di Luigi Einaudi: - Alcune funzioni dell’ente pubblico vengono prestate senza riscossione di prezzi-ricavo. - Alcune delle funzioni esercitate dall’ente pubblico riscuotono prezzi-ricavo ma tuttavia insufficienti all’integrale copertura dei costi anche perché si trattava sovente di prezzi “pubblici” o “politici”. Le imposte esistono ovviamente dall’antichità. I proventi pubblici prendono poi forma gradualmente organica in forma di diritti, dazi, anche se essi erano sovente intesi come straordinari, e comprendevano il finanziamento delle guerre e alcuni tributi liturgici. La storia delle imposte è peraltro ravvisabile nella loro natura che da reale e indiretta (sui commerci e altro) tende nel tempo (grazie all’aumentata produzione di ricchezza, alla crescita demografica, alle esigenze crescenti delle popolazioni ecc.) a divenire diretta e riferita alla produzione di redditi (imposte dirette), sui redditi e patrimoni. Secondo Adam Smith: - I sudditi di ogni Stato dovrebbero contribuire al sostentamento del governo proporzionalmente al reddito personale ottenuto sotto la protezione dello Stato (rule of taxation). - L’imposta che ogni individuo è tenuto a pagare dovrebbe risultare certa e non arbitraria, così come il modo e la forma del pagamento. Ogni imposta dovrebbe venire prelevata nel momento più opportuno e in modo da comportare effetti per quanto possibile positivi. Secondo Bastable: le imposte dovrebbero risultare produttive, economiche (non costose), distribuite equamente, elastiche, certe e convenienti. Poiché l’equità e la saggia e produttiva amministrazione dello Stato sono anche tra gli obiettivi della tassazione, questa non deve perdere di vista la produttività delle imposte. Luigi Einaudi ci ricorda invece che: - Le imposte vengono pagate per fare fronte alla parte indivisibile del costo della prestazione. - Si tratta di spese necessarie a fronte di benefici collettivi: il carico tributario, così, assume caratteri di coattività. Sul punto occorre effettuare una serie di considerazioni: - L’estensione delle funzioni delle Amministrazioni Pubbliche: le funzioni all’ente pubblico sono cresciute nel corso dei decenni, specialmente dagli Stati individualistico-liberali dell‘800. Il perimetro dei servizi pubblici si è largamente ampliato: si è passati dai servizi indivisibili, ai servizi lOMoARcPSD|4544507 prestati in via generale e infine ai servizi consolidati. Questo non vale però per tutti gli Stati e tutte le epoche. Provvedere estensivamente e largamente ai bisogni collettivi significa provvedere con spesa ingente e, quindi, affrontare larghe uscite; pe poter sostenere uscite occorrono ampie entrate, oppure accettare bilanci in deficit e nel contempo provvedere al disavanzo stesso tramite maggiori imposte o mezzi straordinari. - Fissazione della tipologia e del livello delle imposte: la scelta dei criteri per definire la tipologia delle imposte ed il livello delle stesse, prende il nome di “politica delle imposte”. Parlare di imposte significa rispondere ad alcuni quesiti di politica economica e di gestione economico-aziendale. LA TIPOLOGIA DELLE IMPOSTE E I LORO EFFETTI: In generale, occorre dire che le imposte hanno teso a distribuirsi nei seguenti tipi: - Generali e speciali sui consumi. - Sulle proprietà. - Sui redditi delle persone giuridiche e fisiche. - Speciali a titolo di previdenza sociale. Imposte sui consumi: a partire dall’antichità, è stata una delle imposte più facilmente riscuotibili, soprattutto dove essa colpisse beni di consumo primario o necessari. Nei decenni, l’imposta in parola tese di solito a convertirsi in un’“imposta generale sull’entrata” che colpiva ogni passaggio o compravendita dall’inizio della filiera produttiva al consumatore finale. L’imposta generale sull’entrata venne convertita in “imposta sul valore aggiunto”, la quale colpiva soltanto l’incremento netto di valore realizzato in ciascuno stadio della filiera produttiva; essa era più “equa”. Ci sono poi casi speciali dei beni di lusso e dei beni educativi: - I beni di lusso: rimandano alle leggi suntuarie che li colpivano particolarmente pagando imposte speciali (l’obiettivo di tali leggi era anche raffrenare l’ostentazione e diminuire l’invidia sociale). - I beni educativi: al contrario, sono quelli di cui il consumo è socialmente giovevole per sé, in quanto tendono al miglioramento umano, sociale e morale degli individui e delle collettività: si tratta di investimenti in Belle Arti, di spese per educazione e cultura, attività sportive e iniziative filantropiche (si sostiene che tali spese andrebbero detassate proprio per la loro costruttività sociale). NB → imposta sui consumi - imposta generale sull’entrata - imposta sul valore aggiunto. Imposte sui redditi – il primo problema da risolvere è la definizione di reddito; tra queste: - La definizione di reddito di Hicks: il reddito è quindi la somma delle variazioni di valore da un anno all’altro. - La definizione di reddito di Schanz-Haig-Simons: reddito globale, il reddito comprende quindi anche tutte le variazioni positive di valore, anche non realizzate. Sgombrando il campo da quest’ultima definizione astratta, rimane la prima, sostenuta anche dalla Ragioneria Italiana fino a F.B.. Fino a quando Gino Zappa teorizzò che: - Per le aziende di produzione, il reddito è l’insieme dei costi e dei ricavi relativi a un periodo e inoltre la loro differenza. - Per le aziende di erogazione, reddito è l’insieme delle variazioni positive relative a un periodo. Questa è una definizione presente nella stessa letteratura anglosassone. La teoria di G.Z. inoltre permette di comprendere che l’imposta sulle società, tassa il reddito annuo, cioè il saldo dei costi e dei ricavi relativi a un periodo. La stessa definizione risolve anche il dubbio a riguardo della “doppia tassazione del risparmio”; quest’ultimo problema può essere espresso attraverso la formula: lOMoARcPSD|4544507 Entrate < uscite = disavanzo Occorre ricordare inoltre che: le entrate possono essere incrementate o ridotte a seconda dei processi di tassazione, le uscite altrettanto a seconda dei livelli di prestazione dei servizi (es.: importanti stati odierni hanno il bilancio in pareggio se non in avanzo). L’avanzo va attentamente valutato: se esso significhi eccesso di imposta, o carenza di servizi pubblici. Il disavanzo deve essere valutato ancora più attentamente, per vagliare se esso esprima eccesso di investimenti e di spesa corrente, o se sia viceversa il frutto dell’irresponsabilità continuata ed accentuata. Interessante risulta poi il problema della copertura del disavanzo. NB → Gli stati sono le uniche aziende a poter provvedere non solo ai disavanzi ma anche ai “mezzi di copertura” dei disavanzi medesimi. A fronte di spese inferiori ai proventi, sorge infatti un “disavanzo da finanziare”. Di mano in mano che l’esercizio futuro sia avvicina, le spese diventano uscite, i proventi diventano entrate: il disavanzo da finanziare diviene una effettiva insufficienza di cassa, cioè un fabbisogno di cassa. Per rispondere a tale fabbisogno e reperire entrate aggiuntive, lo stato può: - Cedere beni demaniali . - Inasprire le imposte . - Aumentare la circolazione monetaria : è il mezzo più semplice e immediato: si stampano direttamente (o indirettamente) biglietti per gli importi corrispondenti al fabbisogno di cassa. Ciò porta però all’inflazione dei prezzi. Lo stato risolverà facilmente il problema del proprio fabbisogno di cassa, ma i detentori di questi richiederanno maggiori unità di moneta per cederli, cioè aumenteranno i prezzi. Tale dinamica si può anche esprimere con la formula: MV = pQ (M= quantità di moneta; V= velocità di circolazione della moneta; p= livello generale dei prezzi; Q= quantità di beni) - Indebitamento : questa via è apparentemente meno drammatica. Consiste nel prendere in prestito le somme che costituiscono il fabbisogno di cassa e spenderle. La dottrina classica non era a favore dell’indebitamento se non per casi straordinari. L’indebitamento origina infatti: o Il carico degli interessi passivi che ne risulta. o Il problema del rimborso. o La fiducia che lo stato deve continuare a riscuotere. Infine, l’equilibrio entrate-uscite può essere espresso così: E(trib) + E(dis) + E(cre) = U(corr) + U(inv) + U(cre) (E(trib)= entrate tributarie; E(dis)= entrate per disivenstimenti; E(cre)= entrate per incasso di crediti; U(corr)= uscite correnti; U(inv)= uscite per investimenti; U(cre)= uscite per concessione di crediti) A seconda poi che risultino prevalenti le entrate o le uscite si avrà: E(tot) > U(tot) = avanzo E(tot) = U(tot) = pareggio E(tot) < U(tot) = disavanzo Il disavanzo esprime il deficit di risorse mancanti all’azienda territoriale, la quale si riprometta di spendere importi maggiori delle disponibilità. Come per tutte le aziende si tratta in questo caso di scegliere nell’ambito dell’alternativa: diminuire le spese o incrementare i proventi. Nelle aziende territoriali raramente si pensa di ridurre le spese. Si parla quindi più direttamente di aumentare le entrate, tipicamente aumentando la pressione tributaria e facendo ricorso all’indebitamento e alla circolazione. lOMoARcPSD|4544507 Dove si considerano anche la variabile debito, e la variabile circolazione monetaria aggiuntiva, la formula precedente si tramuta in: E(trib) + E(dis) + E(cre) + E(deb) + E(circ) = U(corr) + U(inv) + U(cre) + U(rimb) + U(int) (E(deb)= entrate derivanti da accensione di debiti; E(circ)= entrate derivanti da circolazione monetaria aggiuntiva; U(rimb)= uscite per rimborso debiti; U(int)= uscite per pagamento interessi) IL PROCESSO DI BILANCIO Nel tema del “processo di bilancio”, anche nel caso dello stato, si tratta di combinare proventi e spese: - I proventi di natura tributaria. - Le spese per fare fronte alle funzioni assegnate alle istituzioni pubbliche. Il principio è quindi simile a tutte le altre aziende: combinare spese e proventi in modo, per quanto possibile, efficace ed efficiente. Per quanto riguarda lo stato il problema è la massima complessità sia dal punto di vista economico, ma anche politico e morale. Ci sono poi procedure politico-parlamentari che realizzano diverse modalità di progettazione e modifica del bilancio pubblico. Il processo di bilancio si articola in fasi identiche ad altri bilanci di azienda ben gestita, ma nel bilancio pubblico tali fasi sono disciplinate normativamente. La preparazione inizia l’anno precedente a quello di previsione; le fasi principali sono 3: Preparazione: si muove dalla situazione esistente per formulare previsioni iniziali e obiettivi al fine di decidere quali scelte di amministrazione pubblica porre in atto, quindi per prefigurare quale si prevede debba essere il bilancio di previsione da portare in approvazione. Tale bilancio di previsione è contemporaneamente di competenza e di cassa. Tale processo occupa l’ultimo trimestre dell’anno, al fine di potersi presentare agli inizi del successivo: - Potendo riscuotere entrate ed effettuare spese. - Avendo definito per legge quali tipi di entrate esigere e per quali importi. Avendo cioè definito contemporaneamente e congiuntamente l’unione di obiettivi e le azioni amministrative Dal punto di vista procedurale, in Italia l’iter è definito con precisione nelle sue tappe, successioni e condizioni. Tale cammino è in realtà un cammino strettamente politico. In epoca moderna si sono poi registrati due fattori giuridico-economici assai rilevanti: - La proliferazione di centri di governo e di spesa. - Il crescere inesausto della spesa pubblica. È così cresciuto a dismisura il numero e l’insieme di “animali politici” i quali si possono dividere in due categorie: - I politici disinteressati che vivono di passione politica. - I politicanti privi di attività propria, i quali “campano di politica” Lecite e illecite nel tempo risultano pertanto anche le norme di legge e quindi l’amministrazione dello stato, le quali possono risultare producenti e costruttive. La politica inoltre deve trovare maggioranze parlamentari che tali leggi approvino: essa percorre quindi sovente le linee di minor resistenza, accetta cioè riformulazioni pur di arrivare in quale modo a ottenere i propri fini. Gestione nell’esercizio: anche le tappe obbligate dell’iter gestionale durante l’esercizio risultano precisamente definite: lOMoARcPSD|4544507 - Apertura dell’esercizio. - Operazioni di assestamento. - Variazioni di bilancio. - Chiusura dell’esercizio: prepara e anticipa la redazione finale, che verrà successivamente sottoposta alla rendicontazione. I momenti iniziativi e conclusivi si sostanziano nella “apertura dei conti” e nella “chiusura dei conti”. La Ragioneria pubblica non attende il trascorrere di un intero anno solare per interrogarsi sulle risultanze dell’esercizio. Essa redige situazioni inter-temporali dei conti. Ecco allora le operazioni di assestamento, le quali, a sei mesi dall’inizio dell’anno verificano: - L’appropriatezza delle previsioni effettuate. - La effettività delle riscossioni. - La capienza delle spese pubbliche. Esse verificano la sensatezza delle previsioni di incasso e di spesa e la conformità degli effetti delle scelte di amministrazione. Dove le risultanze siano in linea con gli obiettivi non ci sono problemi, e ancora minori problemi economici derivano da situazioni dei conti migliori del previsto; possono però, da quest’ultima situazione, derivare problemi politici. Se si riscontra pareggio o avanzo, i cittadini si domandano se non si sarebbero potute diminuire le imposte. Il problema risulta peraltro di facile soluzione tecnica perché le azioni citate risultano facili se non immediate. Le operazioni di assestamento verificano soprattutto: - Se le previsioni di incasso non si siano rivelate ottimistiche. - Se gli incassi effettivi non siano risultati minori del dovuto. - Se le previsioni di spesa non siano risultate insufficienti. In altre parole, se a carico delle casse pubbliche non si siano manifestati carichi maggiori del preventivato a causa di maggiori uscite o di minori entrate. Ci si accorge così a metà anno (esercizio) che i conti sono fuori linea; dal punto di vista economico-giuridico occorrerebbe appunto provvedere tramite variazioni di bilancio o a contenere le spese. Tale modus procedendi è classico e corretto, ma non suscita il compiacimento dei cittadini; quindi, i governi: a. Provvedono alle variazioni di bilancio solamente dove esse risultino drammaticamente indispensabili. b. Rinviano le variazioni di bilancio anche necessarie; e in caso di sbilancio di cassa, essi provvedono ai fabbisogni di liquidità o cercando di accelerare le entrate o richiedendo prestiti. Rendicontazione: costituisce il momento finale. Raccolti, redatti e consolidati tutti i conti nei mesi successivi, il bilancio viene trasmesso agli organi di controllo per i giudizi di approvazione. In generale, compete loro la verifica del bilancio consuntivo dello stato. In Italia, l’organo di controllo è la Corte dei Conti (1862): è un organo del potere giudiziario con funzioni amministrative e di controllo e giurisdizionali. Spettano quindi alla Corte dei Conti: - Il controllo del rispetto delle leggi e regole contabili. - Il controllo dei conti resi dagli amministratori di risorse pubbliche. - L’accertamento di eventuali danni. - Il controllo preventivo e consuntivo sull’efficacia di azione amministrativa all’insegna delle regole della legalità, efficienza ed economicità. LA POLITICA ECONOMICA NEI BILANCI PUBBLICI: la causazione tributaria del declino economico, i deficit continuati e gli errori di R.J. Barro. lOMoARcPSD|4544507 - Diminuzione dei flussi di risparmio, funzioni pubbliche meno efficienti, perturbamenti nel mercato, maggiori flussi di domanda, difficoltà finanziarie. - Minore propensione al lavoro, minore propensione agli impieghi privati, maggiore propensione ai consumi, mutamento sistematico delle psicologie singole e collettive. RIASSUNTO CAPITOLO 9: L’ECONOMIA DELLE IMPRESE, AZIENDE DI PRODUZIONE. Si afferma comunemente che le imprese soddisfano bisogni, nel senso che esse producono per offrire ai mercati i beni che questi domandando. Se prescindiamo infatti dalle economie di autoconsumo o autosussistenza, vita economia significa scambi di mercato. Nacquero così i mercati e i traffici commerciali. Se ripensiamo allo svolgersi dei sistemi economici dall’antichità fino ai giorni nostri, dobbiamo riconoscere che le produzioni e gli scambi di mercato si sono sempre svolti tramite l’operare di imprese; in altre parole, tutti i beni economici sono stati da sempre prodotti e offerti al mercato dalle organizzazioni che denominiamo imprese. Le imprese sono quindi operatori economici precisamente individuabili e altamente finalizzati. Si tratta di unità speciali ben caratterizzate, che da sempre uniscono il capitale e il lavoro, li combinano e organizzano tramite la gestione, trasformando così fattori produttivi. Le imprese trasformano i fattori produttivi in beni economici, cioè in beni che possano venire venduti sui mercati. Questi beni economici possono essere: - Beni materiali, connotati da un’esistenza fisica. - Beni immateriali, privi di esistenza fisica. - Beni misti, per i quali il contratto d’acquisto unisce all’elemento materiale altri immateriali. Le imprese, quindi conoscono o cercano di comprendere i bisogni e i desideri del pubblico, o magari di suscitarli, e si inventano beni da proporre successivamente al mercato a prezzi-ricavo tali da compensare i costi sostenuti. Non importano quindi né le dimensioni delle imprese, né la proprietà, quanto piuttosto il ruolo di esse quali combinazioni originali di fattori produttivi. Ognuna di esse combina cioè materie prime, processi produttivi, gestione in modo ogni volta diverso per quantità, prezzi, durate, qualità e indirizzi. Le imprese, quindi combinano sempre ogni volta in modo nuovo fattori produttivi per porgere ai mercati beni economici sempre ulteriori, nuovi, o diversi dai concorrenti, o simili ad altri ma a costi inferiori, o diversamente pubblicizzati e distribuiti. Anzi, esse sono da tempo vere istituzioni. La funzione innovativa in senso tecnico, economico e sociale svolta da queste istituzioni è la grande lezione di J.A.S. che definiva l’imprenditore appunto come alfiere del nuovo, dei nuovi prodotti, delle innovazioni tecnico-produttive, dei nuovi processi e delle nuove combinazioni. Delle aziende importa, anche, la funzione innovativa. Le aziende trasformano fattori produttivi in beni economici. Peraltro, mentre svolgono tale funzione, esse esercitano congiuntamente anche la funzione economica fondamentale e unica nel sistema: trasformare costi in ricavi. Il processo avviene quindi di norma nel modo seguente: - Si acquisiscono fattori produttivi. - Si trasformano i medesimi fattori. - Si ottengono beni economici i quali, venduti sul mercato, originano ricavi. - Questi ricavi hanno il compito e l’obiettivo di reintegrare i costi sostenuti. L’impresa per realizzare nel contempo la propria duplice funzione di trasformazione tecnica e trasformazione economica, deve: lOMoARcPSD|4544507 - Individuare o progettare ex ante beni economici, i quali possano venire venduti per poter ottenere ricavi. - Individuare beni economici che soddisfino qualche bisogno. - Provvedere a realizzare in armonia economica con i ricavi che si spera di ottenere, in modo tale che risulti: ricavi > costi. Una volta reintegrati i costi, avrà poi una residua quantità denominata utile, che può venire interpretato in vari modi: - Maggiore valore dell’insieme rispetto alle parti. - Premio ottenuto dalla gestione lungimirante, saggia ed efficiente. - Premio per il rischio sostenuto. - Maggiore ricchezza prodotta nel sistema e per il sistema. LA SPECIALIZZAZIONE DEL LAVORO: Alcune delle prime innovazioni delle imprese fu l’intuizione di: - Dividere i processi tecnici nelle loro fasi, - Assegnare ad ognuno di essi un operatore specializzato, - Coordinare il tutto tramite la gestione. Questo processo prende il nome di specializzazione e coordinamento (Teoria della divisione del lavoro di Smith). Con la rivoluzione industriale la forza muscolare fu via via sostituita da macchine a vapore, poi da motori termici, aumentando così i ritmi e la velocità di produzione. Le produzioni divennero poi di stabilimento e attuate per mezzo di impianti e macchinari. Le produzioni attraversarono quindi diverse fasi di evoluzione, da prima diventarono automatizzate, in seguito elettroniche e poi ancora informatiche, queste trasformazioni richiesero nel corso del tempo (e ancora oggi) una continua specializzazione degli addetti e un loro continuo aggiornamento. Grazie ai continui miglioramenti cresce sempre di più quindi l’efficienza della produzione: produzioni più precise ed in tempi più rapidi. Questi processi portano a delle fondamentali conseguenze economiche, già anticipate da Smith: - Aumento delle produzioni - Aumento dei salari - Riduzione dei prezzi di vendita. Con queste migliorava via via il livello di reddito pro-capite, lo stile di vita e la possibilità di consumo e di risparmio, dando il via al progresso economico. Con il processo economico crescevano le dimensioni dell’impresa, la specializzazione e le quantità prodotte, si arrivò quindi ad un processo che consentiva: - Lo svolgimento sempre più perfezionato dei compiti - Il miglioramento progressivo delle tecniche di produzione e di gestione. Questi processi di innovazione fanno sorgere anche imprese di produzioni prima inesistenti, oltre ad altre tipologie di imprese quali quelle bancarie e assicuratrici (necessarie alle imprese industriali), imprese di trasporti e montaggi, di pubblicità e informazione OBBIETTIVI E CONDIZIONI DI ESISTENZA DELLE IMPRESE: Esistono, fin dall’800, diverse teorie su quali siano gli obbietti delle imprese e di chi le guida: - I marxisti : sostenevano che esse erano tese a sfruttare gli operai per consentire ai capitalisti di accumulare capitali in misura sempre maggiore. lOMoARcPSD|4544507 - Le scuole marginaliste : sostenevano che, gli imprenditori, essendo individui perfettamente razionali, potevano solamente massimizzare il profitto. Progressi scientifici si realizzarono poi negli anni ’60 ad opera di studiosi come Baumol e Simon, i quali sostenevano che le imprese tendessero invece a: - Massimizzare non il profitto, bensì il fatturato o il potere di mercato. - Avere comportamenti adattivi a seconda delle condizioni del mercato, della concorrenza e del progresso tecnico. Il problema sugli obiettivi dell’impresa, per , va posto diversamente: - le imprese sono elementi oggettivi possono solo raggiungere o meno l’equilibrio. - gli obiettivi sono viceversa un elemento soggettivo, che dipendono da chi guida l’impresa. Le imprese in quanto tali non possono avere obiettivi (gli obbiettivi sono di chi le guida), ma soltanto condizioni di esistenza, un’impresa può realizzare: R>C o R=C (ricavi maggiori o uguali ai costi): un utile o un pareggio, R<C (ricavi minori dei costi): una perdita Nel primo caso integrerà i costi e avrà quindi una condizione di esistenza equilibrata (in caso di pareggio) o fruttuosa (in caso di utile), nel secondo, non riuscendo a integrare tutti i costi avrà un’esistenza squilibrata e negativa. Da questo si deduce che - L’utile realizza la condizione d’esistenza standard dell’impresa - Il pareggio la condizione minima - La perdita viola le condizioni di esistenza dell’impresa. Una perdita è tuttavia normale all’interno di un’impresa, quindi essa deve assicurarsi di realizzare le condizioni di esistenza, se non anno per anno, almeno come tendenza sistematica. Gli obiettivi, invece, sono legati alle persone che guidano l’impresa, le teorie sugli obbiettivi si possono dividere in 3 pensieri: - Il comportamento degli individui razionali : secondo Machlup, un luminare statunitense, sostiene che anche l’imprenditore più razionale, quando sceglie: o Prende le decisioni nell’ambito di limiti informativi (non ha tutte le informazioni) o Sceglie sulla base del proprio carattere e delle proprie abilità, quindi in modo condizionato. o Dando vita ad una massimizzazione soggettiva. - La teoria delle decisioni di comitato : secondo Duncan Black spesso all’interno di un’impresa le decisioni non vengono prese dal singolo, ma da un comitato. In tali organi si incontrano visioni del mondo, capacità, obbiettivi e caratteri diversi. In tal modo possono derivare decisioni ottimali e armoniche oppure inadeguate, così come rinvii o litigi. - L’esistenza di operatori con obiettivi egoistici , patologici e illeciti: Vi possono essere operatori che abbiano obiettivi di arricchimento egoistico, talvolta illecito, interessati a trarre vantaggi dal loro potere gestionale Gli obiettivi, dunque: - Sono frutto di valutazioni personali, dovute a massimizzazioni soggettive, in funzione alla maggiore o minore propensione al rischio. - Derivano dal principio della risultante, essi sono infatti frutto di interessi e valutazioni differenziate. - Essi non sono mai riferiti né ad un solo anno né ad un solo parametro, sono dunque funzioni multi periodali. L’IMPRESA QUALE SISTEMA SPAZIO-TEMPORALE . lOMoARcPSD|4544507 - L’intreccio spazio- temporale: è l’intreccio tra il sottoinsieme di prezzi costo e prezzi ricavi in un determinato periodo. L’impresa opera, infatti nella simultaneità e nella successione, cioè nel medesimo istante acquista fattori, produce beni e negozia ricavi. Svolge, quindi, contemporaneamente tutte le fasi delle combinazioni produttive. L’IMPRESA SISTEMA DI INVESTIMENTI-FINANZIAMENTI Per realizzare le proprie attività l’impresa effettua investimenti negli elementi del capitale di funzionamento. Tali investimenti vengono registrati nello stato patrimoniale nelle attività, come impieghi di capitale. Per poter fare degli investimenti è necessario che ci sia un capitale (esso può derivare dal capitale proprio o da debiti, attraverso il finanziamento, o ancora da crediti, questi vengono iscritti nella passività dello stato patrimoniale, come fonti di capitale) Gli investimenti possono essere fecondità semplice o a fecondità ripetuta. Tutti gli investimenti sono in attesa di realizzo, essi infatti aspettano di essere remunerati dalla vendita del bene economico. Con i prezzi ricavo ottenuti l’impresa può scegliere la destinazione, potendo così attuare tutti i processi di continua circolarità dei finanziamenti-investimenti L’IMPRESA SISTEMA DI DECISIONI L’attività d’impresa si svolge quotidianamente per il tramite di scelte tra alternative, scelte che traslano in decisioni. Il sistema di decisioni riguarda i fattori produttivi da aggregare, i prezzi costo e i prezzi ricavo, gli investimenti, il sistema di rischi. Igor Ansoff divise le decisioni in tre tipologie: - le decisioni strategiche: intese quali scelte che costituiscono o variano la capacità produttiva in senso economico, come il campo d’azione prescelta, la localizzazione, la tecnologia e la capacità produttiva. Esse sono irreversibili, difficilmente reversibili, o reversibili a patto di sostenere i relativi costi. - Le decisioni gestionali: relative alle grandi linee di utilizzazione delle capacità produttive, scelte commerciali o produttive. - Decisioni operative: sono le scelte fatte giornalmente. Il modello di impresa come insieme di decisioni sottolinea il fatto che l’impresa è anche un sistema di durata lunga ed indefinita. Le scelte possono variare nel tempo in base alle circostanze. L’IMPRESA COME SISTEMA DI RISCHI Bisogna distinguere i rischi assicurabili e i rischi non assicurabili. I primi possono derivare da eventi dannosi e trovano copertura nel mercato assicurativo, cioè esistono operatori che decidono di addossarsi il rischio in compenso ad un premio assicurativo. Proprio perché si parla di rischi assicurabili non è questo il senso di impresa quale sistema di rischi, infatti l’impresa è definibile quale sistema di rischi per i rischi non assicurabili, come il rischio di gestione. L’azienda di produzione prende scelte che avranno un riscontro nel futuro con il dubbio che questo sia positivo o negativo, per questo rischio. EQUILIBRIO ECONOMICO DELL’IMPRESA: Si parla usualmente di “equilibrio economico-finanziario” dell’impresa; l’equilibrio dell’impresa è equilibrio economico unitario, il quale si declina nelle tre dimensioni che lo compongono: - Equilibrio reddituale (è relativo al reddito, cioè all’equilibrio costi-ricavo). - Equilibrio finanziario-monetario (è relativo ai flussi finanziari, cioè all’equilibrio di crediti e debiti). - Equilibrio patrimoniale (è relativo al patrimonio, cioè all’equilibrio tra capitale sociale e debiti). lOMoARcPSD|4544507 L’EQUILIBRIO REDDITUALE Nella ricerca incessante dell’equilibrio, l’ottenimento della diseguaglianza R > C, o anche soltanto l’eguaglianza R = 0 è meno ovvia di quanto non appaia. L’impresa, infatti, con le scelte strategiche, e tramite le fonti di capitale, costituisce una capacità produttiva ex ante, poi la utilizza con le scelte amministrativo-gestionali, realizza i beni economici da collocare sui mercati e, a quel punto, conclude il ciclo ottenendo i prezzi ricavo. È quindi chiaro che non si può conoscere fino alla fine del ciclo la relazione tra R e C. Possiamo distinguere due tipologie di imprese: - le imprese rialziste, le quali conoscono in precedenza i prezzi costo, ma non conoscono i prezzi ricavo, per cui non conoscono la relazione tra C e R fino alla fine del ciclo, e tendono quindi a rialzare i prezzi-ricavo per reintegrare al meglio i costi. - le imprese ribassiste: esse infatti conoscono prima i prezzi-ricavo e poi i prezzi-costo, come le imprese di assicurazione (assicurano ai clienti sulla base di certe tavole di mortalità o di rischio e debbono poi sperare che le tavole risultino sensate, che l’insieme dei clienti assicurati incorra in rischi conformemente alla distribuzione statistica delle tavole utilizzate) o gli appalti pubblici (si aggiudicano appalti o contratti per consegna futura a certi prezzi, e debbono poi produrre con un sistema di prezzi-costo inferiori ai ricavi già concordati). Esse tendono invece a ribassare i prezzi. Occorre inoltre considerare un insieme di fattori i quali possono manifestare effetti negativi sull’equilibrio reddituale dell’impresa: - Eventi shock di tipo esogeno. - Tendenze avverse sui mercati delle materie prime, o sui mercati di sbocco - Tendenze avverse competitive. Il raggiungimento e mantenimento dell’equilibrio reddituale dell’impresa non risulta quindi né automatico, né ovvio. Può infatti accadere che l’impresa perda equilibrio reddituale: ciò che conta è che tale perdita sia temporanea e che il recupero avvenga effettivamente. Sintetizzando sul punto, si può ribadire che l’impresa in equilibrio è quella che remunera tutti i fattori produttivi corrispondendo ad essi il reddito che gli appsartiene: - Ai fattori produttivi -> i relativi prezzi costo. - Al lavoro -> il salario. - Al capitale sociale -> gli utili. - Allo Stato -> i tributi. L’EQUILIBRIO FINANZIARIO-MONETARIO L’impresa acquista e vende con pagamenti differiti, questo fa sorgere crediti e debiti. Occorre che i crediti all’incasso si trasformino in entrate in tempi brevi in modo tale da poter coprire i debiti che si trasformano in uscite. Occorre quindi un equilibrio finanziario che si trasforma in equilibrio monetario. Risulta simile a questa dinamica anche quella che concerne nei debiti bancari creati in seguito a finanziamenti. Concludendo è necessario che ci sia un equilibrio finanziario tra i flussi di credito e di debito, e un equilibrio monetario tra le entrate e le uscite. L’EQUILIBRIO PATRIMONIALE lOMoARcPSD|4544507 L’impresa ricerca fonti di capitale nella duplice forma di capitale sociale e debiti. L’equilibrio patrimoniale si limita a fare riferimento all’equilibrio tra capitale proprio e debiti. Una sproporzione di debiti rispetto ai mezzi propri può infatti risultare rischiosa per due motivi: - Per il carico di interessi passivi che si aggiunge alle altre componenti negative di reddito. - Può comportare la difficoltà/impossibilità di rimborsare i debiti stessi se tramite gli stessi si è data origine a investimenti immobilizzati. Meno problematica è la sproporzione inversa, l’eccesso di capitale proprio rispetto ai debiti, “sproporzione” che potrebbe derivare dalla consapevole decisione di limitare il rischio patrimoniale. Ma in taluni casi, come ricorda Onida, ci si ridurrebbe a “rinunciare al frutto differenziale tra redditività e onerosità per le somme non mutuate”. Se la redditività degli investimenti r risultasse molto elevata rispetto al costo dei finanziamenti o, potrebbe convenire indebitarsi ulteriormente, con l’obiettivo di effettuare investimenti ulteriori, perché essi rendono r e costano o, con r > o. Ecco in quale senso si rinuncerebbe al frutto differenziale: si rinuncerebbe cioè al maggior utile che si potrebbe ottenere indebitandosi al saggio o, investendo, producendo e ottenendo r. Si rinuncerebbe cioè al differenziale (r-o) per tutto l’ammontare di debiti (cioè di investimento) cui si rinuncia. L’ECONOMIA DELLE IMPRESE, AZIENDE DI PRODUZIONE. L’IMPRESA INDUSTRIALE, BANCARIA, ASSICURATRICE E DI SERVIZI Comunemente parlando ci si fa un’idea abbastanza precisa udendo il termine “impresa” (fabbrica, stabilimento, etc.). Questo concetto comune in realtà presenta due difetti: - È un’immagine intuitiva. - Tende a far trascurare il fatto che sono imprese anche supermercati, banche, compagnie di trasporto aerei o navali, imprese assicuratrici, etc. Qui è importante dare una definizione scientifica, di impresa, questa definizione deve essere in grado di descrivere l’impresa con proprietà e precisione, interpretare con esattezza gli accadimenti e le scelte e su queste basi applicare leggi di comportamento, ovvero leggi di equilibrio. Per questa serie di motivi occorre sgombrare il campo dalle definizioni di impresa derivanti da altre discipline, tra cui le seguenti: - L’impresa è un’istituzione: lo è senz’altro, a ciò è di rilievo per la storiografia sociale, il diritto pubblico, l’etica economica e la scienza politica, le quali studiano la natura delle istituzioni, i loro rapporti ed equilibri. - L’impresa è un insieme di contratti: l’economia aziendale è conscia del momento contrattuale, che costituisce però profilo speciale e non natura essenziale. - L’impresa è una struttura di diritti di proprietà: senz’altro convergono nell’impresa differenziati diritti di proprietà, ma questo riguarda il diritto commerciale, che regola l’attività economica e in particolare l’attività dell’impresa. - L’impresa è un aggregato di competenze e routines: è senz’altro un insieme di operatori, addetti, funzionari e dirigenti, ciascuno con le sue varie competenze tecniche, ma questo riguarda in particolare l’organizzazione aziendale. Dove si voglia studiare l’impresa con intendimento scientifico, occorre selezionarne i caratteri connotativi dal punto di vista economico; questo inoltre, svolgendosi nel tempo, dovrà inglobare in quelli la variabile tempo. lOMoARcPSD|4544507 - Acquistare da altre imprese fa dipendere l’impresa dal fatto che possa esistere una molteplicità di fornitori anche in concorrenza tra di loro, dai quali si possano spuntare cioè prezzi competitivi. Dipende tutto, cioè, dalla struttura competitiva del mercato con cui si interagisce, dunque dal vario potere contrattuale dei fornitori. Specializzazione e diversificazione, i processi produttivi continui o a lotti, la politica delle scorte: nelle scelte di produzione, l’impresa deve domandarsi se specializzarsi in una sola famiglia di prodotti, o viceversa produrre un raggio più vasto di beni. La specializzazione, se ben gestita, consente il perfezionamento ulteriore delle tecniche produttive, commerciali, gestionali e inoltre consente la sempre più precisa conoscenza del mercato e delle sue variazioni. Essa tende a isolare l’azienda in un solo comparto, dove essa riesce a difendersi bene dal punto di vista concorrenziale, ma dove cambiamenti di tecnologia o rarefazione delle materie prime o concorrenza devastante potrebbero risultare fatali. Viceversa, la diversificazione consente all’impresa di operare in un maggiore numero di comparti, tra loro più o meno collegati. Sulla carta consente all’impresa di ridurre rischi di mercato; tuttavia, la politica di diversificazione comporta non solo investimenti aggiunti, ma soprattutto il trovarsi a competere in molteplici comparti, con differenti gruppi di concorrenti e di fornitori, nonché di clienti. Questi fatti accrescono la complessità gestionale, la complessità produttiva e la complessità organizzativa. Queste problematiche si ricollegano alla tipologia dei processi produttivi nei quali si può produrre, tecnologia permettendo, “in continuo”, cioè senza interruzione di continuità. Ma se si produce “su commessa” occorrerà ogni volta provvedere al riattrezzaggio degli impianti, cioè ad organizzare la produzione in funzione dello specifico lotto di produzione x per il cliente y. Ciò può portare maggiori margini perché si produce per soddisfare ben definite specifiche, ma comporta nondimeno costi particolari appunto di riattrezzaggio. Le scorte di materie prime e materiali ausiliari esprimono e incorporano un costo, che più lentamente viene recuperato quanto più a lungo esse giacciono nei magazzini. Anche le aziende possono avere due tendenze antitetiche: - Tenere scorte anche ampie in magazzino per avere la certezza di averle già disponibili, per essere pronti a immetterle nei processi produttivi e per essere contenti se i loro prezzi aumentano. - Tenere scorte ridotte di magazzino, proprio per ridurre i capitali investiti in esse e più in generale i “costi di giacenza”, contando sul fatto che, le si possa ordinare e ottenere rapidamente (concetto del “just in time” nipponico). Politiche generali di prezzo: vi sono unità che propongono al mercato elevati prezzi-ricavo. Vi sono poi unità che praticano “prezzi medi”, con l’intento di non scostarsi dalla media dei concorrenti e di non allontanarsi dalle porzioni più abbondanti della domanda, che di solito si rivolge infatti ai segmenti medi. Vi sono infine unità che praticano prezzi contenuti. Normalmente, il processo di trasformazione dei fattori, di accumulo dei costi, di ottenimento dei ricavi, è quello già ricordato: - Gestione esterna (acquisti): costi di acquisto. - Gestione interna (trasformazione): costi di trasformazione. - Gestione esterna (vendita): ricavi di vendita. È pertanto chiaro che l’impresa attui politiche rialziste, cerchi cioè di ottenere gli utili massimi possibili. Si comporta diversamente solamente nei casi particolari in cui: - Voglia stimolare nuova domanda. - Tema di invogliare nuovi produttori. lOMoARcPSD|4544507 Vi sono tuttavia imprese che dal punto di vista economico e temporale negoziano prima i prezzi-ricavo e successivamente i prezzi-costo, secondo lo schema seguente: - Gestione esterna (vendita): ricavi di vendita. - Gestione esterna (acquisti): costi di acquisto. - Gestione interna (trasformazione): costi di trasformazione. Reintegrazione verticale, a monte o a valle: se un’impresa opera in un certo stadio trasformativo di settore, può immaginare di verticalizzarsi, cioè integrarsi a monte o a valle, cioè passare a svolgere la propria attività anche in ulteriori stadi trasformativi di settore, antecedenti e susseguenti. In tempi di mercato stabile, regolare, in crescita, grandi sono di fortune dei grandi gruppi verticalizzati; l’inverso accade in tempi di crisi, perché il gruppo verticale è un tutt’uno altamente rigido. Se le imprese fossero autonome, ciò si rifletterebbe su imprese altre, ma siccome, viceversa, appartengono al gruppo verticalizzato, le loro difficoltà si ribaltano a ritroso, su tutte le unità antecedenti del gruppo, che in questi casi tendono ad entrare un po’ tutte in crisi. Politiche distributive: per l’impresa è importante produrre, ma soprattutto vendere; se essa si situa negli stadi iniziali della catena trasformativa di settore, fatalmente venderà ad altre imprese. Se invece si trova prossima ai mercati di sbocco, deve decidere se realizzare le proprie vendite in forma diretta o per il tramite di altri operatori della distribuzione. L’impresa infatti può vendere: - Tramite concessionari o grossisti, rappresentanti anche con deposito; questo tipo di distribuzione è indiretta. Questa forma evita il costoso apparato di vendita, ma costringe a riconoscere ai concessionari-agenzie quote di margini, inoltre costringe l’impresa alla conoscenza indiretta del mercato. - Tramite una propria rete di vendite; questo tipo di distribuzione è diretta. Questa forma comporta più elevati costi immediati, ma consente all’impresa la conoscenza diretta e immediata di cosa, quanto e dove sia stato venduto. L’ECONOMIA DELL’IMPRESA BANCARIA: La banca nasce sin dall’antichità con funzioni di custodia di patrimonio regio; poi, gradatamente, per custodire patrimoni altrui e infine disponibilità temporaneamente liquide di persone o enti che avessero desiderato quel tipo di protezione. Nacquero così via via i ruoli professionali dei depositari e dei cambisti. In sostanza, e in forma variegata, le funzioni svolte delle banche dall’antichità erano le seguenti: - Custodia di valori. - Cambio di valore. - Intermediazione dei pagamenti. - Concessione di credito. Nell’Europa continentale, l’attività bancaria riprese tra il XII-XVI secolo per seguire e facilitare i commerci terrestri e marittimi. Si affermano così i banchi dei Bardi e dei Peruzzi; sorge poi il Banco de’ Medici a Firenze e prendono forma definitiva i banchi pubblici. Altrettanto all’estero, ad esempio in Inghilterra, vi era la Bank of England (istituzione privata cui lo Stato aveva concordato privilegi specifici) seguita dalla Bank of Scotland e la Bank of Ireland. Nei periodi successivi vennero poi costituite molte banche private locali. Per quanto riguarda l’Italia, ciascuno stato pre-unitario aveva sviluppato importanti realtà bancarie di tipo statuale; così, all’indomani dell’unificazione 1861-1870, la struttura del sistema bancario italiano si reggeva sulle realtà bancarie preesistenti negli Antichi Stati: al vertice del sistema la Banca Nazionale Sarda; la lOMoARcPSD|4544507 Banca di Torino diventò Tesoriera Pubblica e assunse sempre maggior rilievo per la guida piemontese dell’unificazione, aprendo poi altre filiali. Successivamente fu elevata a Banca Nazionale del Regno d’Italia. È importante inoltre ricordare le banche storiche (importanti istituti connessi agli Antichi Stati), i Monti di Pietà (largamente diffusi in tutta la nazione, con finalità originariamente creditizie e filantropiche) e le Casse di Risparmio (enti morali fondati per consentire sicurezza ai depositanti e infine orientate ai mutui e all’investimento in titoli di Stato e pubblici). Successivamente all’Unità, con lo sviluppo economico nazionale e la rivoluzione industriale italiana, vennero a costituirsi ulteriori tipi di banca: - Le banche popolari, sulla base di principi cooperativi. - Le Casse rurali e artigiane. - Le banche private ad opera di investitori e banchieri. Tutti i tipi ricordati provvedevano al finanziamento delle imprese, peraltro secondo un rigido rapporto creditore-debitore. Si deve quindi alle banche grande parte delle evoluzioni e progressi economico- industriali moderni. Verso la fine del XIX secolo, si affermò tuttavia anche in Italia la banca mista di tipo tedesco, tanto che alla vigilia della I G.M., dopo la Banca d’Italia, Banco di Napoli, Banco di Sicilia, le quattro banche miste private erano: - Banco di Roma. - Banca Commerciale Italiana. - Credito Italiano. - Banca Italiana di Sconto. LE FUNZIONI ECONOMICHE DELLA BANCA: Si può dire che la funzione di concessione del credito diviene sempre più rilevante di mano in mano che si sviluppano le rivoluzioni industriali. Tale concessione di credito si attua soprattutto agevolando l’equilibrio monetario dell’impresa. L’impresa poteva, ad esempio, ottenere anticipazioni nella forma tecnica del pegno su merci e nel frattempo era garantita dal pegno sulle merci; altrettanto, un cliente pagava a “respiro”, cioè non in contanti ma a scadenza. La carta commerciale con cui paga poteva essere ceduta dall’impresa alla banca, e questa la scontava in modo tale che l’impresa avesse subito a disposizione la liquidità, al netto degli oneri di sconto. E via via, con una varietà di forme tecniche le quali, sostanzialmente, concedevano credito all’impresa in forma di anticipazioni di liquidità che l’impresa però fosse in grado di rimborsare in tempi brevi, alla chiusura del circuito acquisti-produzioni-vendite. È importante ricordare il concetto di credito a breve: - L’impresa ottiene credito → lo impiega nel ciclo trasformativo → appena questo si conclude → con gli incassi rimborsa la banca. - L’impresa ha già acquistato e trasformato → vende a credito → cede il credito commerciale alla banca → ottiene subito liquidità → alla scadenza la banca incassa il credito → ed essa così ri-ottiene la liquidità anticipata all’impresa. Il credito bancario quindi, a seconda dei casi: - Apportava liquidità all’impresa. - Si inseriva nel ciclo produttivo dell’impresa. lOMoARcPSD|4544507 alimentano così rami-danni. Le aziende familiari sopportano poi altri rischi, come ad esempio quelli connessi alla morte. Le aziende di produzione e territoriali hanno un tratto in comune dal punto di vista assicurativo: anch’esse possono/debbono assicurarsi contro gli incendi, i danni, i furti, gli allagamenti, etc. e inoltre per i comportamenti eventualmente dannosi propri e dei propri dipendenti. In particolare poi, le imprese industriali possono/debbono ampliare tali assicurazioni soprattutto per quanto concerne danni potenziali speciali che esse possano causare a terzi e rischi catastrofali in cui esse possano incorrere. Inoltre, una differenza fondamentale distingue le imprese di produzione: devono sopportare i rischi di gestione connessi. Nel tempo e nello spazio nuove azioni vengono poste in essere dagli attori economici: in sostanza, nuove azioni economiche. La produzione di redditi è rischiosa: questo è un rischio dell’impresa che non può essere assicurato perché rappresenta la natura propria dell’operatore economico impresa, perché verrebbe a proteggere i fortunati (e gli incapaci) e infine non è riconducibile a distribuzioni statistiche trattabili con il metodo attuariale. La vita è intessuta di rischi. A parte le assicurazioni obbligatorie, per le volontarie tutto dipende dal grado di avversione al rischio dei singoli. Si tratta in realtà di un insieme di fattori composti tra cui la percezione del rischio, la valutazione del rischio, la propensione alla copertura, l’individuazione e il riesame periodico. Le coperture assicurative risultano certamente tutorie, ma comportano comunque un costo, la cui utilità non si può mai stimare ex ante: si tratta di forme di risparmio assicurativo, le quali possono compensare il “danno emergente” o il “lucro cessante”, oppure convertirsi nel pagamento continuo e quasi senza fine di “costi di copertura” senza ritrarne vantaggio alcuno, se non la tranquillità. RISCHI ASSICURABILI E NON ASSICURABILI: È necessario riflettere su due parti della popolazione: - Pubblico generale, che sopporta potenzialmente rischi e la loro effettiva manifestazione, i sinistri. - Assicuratori, che accettano di risarcirli dal punto di vista economico. Per quanto riguarda il pubblico generale, cioè la collettività, esistono in essa individui dal carattere e dall’atteggiamento differenziato. Gli uni e gli altri valutano quindi ciascuno a modo suo il premio; poi viene ponderato per la probabilità secondo cui pensano che il rischio possa manifestarsi e infine confrontano tale insieme con il grande importo (risarcimento) che essi sperano di ottenere nel caso il sinistro si manifesti. NB → Il plesso economico per l’assicurato è versamento attuale ↔ risarcimento eventuale futuro dalla compagnia. Per quanto riguarda gli assicuratori, essi si trovano di fronte a due diversa categorie di rischi: - Assicurabili (esprimono una gradazione di rischio minore). - Non assicurabili (sono rischi imprevedibili). Gli assicuratori si limitano ai rischi assicurabili e raccolgono premi dichiarandosi contrattualmente disponibili a eventuali risarcimenti futuri. Essi naturalmente selezionano i rischi, stimano i risarcimenti che dovrebbero rispondere nel caso di sinistro, calcolano i premi che desiderano incassare. NB → Il plesso economico per gli assicuratori è raccolta di versamenti attuali ↔ risarcimenti eventuali futuri agli assicurati. lOMoARcPSD|4544507 La ricordata esistenza di due distinti atteggiamenti economici consente la nascita dei mercati assicurativi. Assicurare una sola persona contro il rischio-morte può risultare altamente rischioso; assicurarne due, duecento o duecentomila risulta progressivamente meno rischioso. Altrettanto per l’assicurazione di un danno singolo. Vi è quindi: - La diminuzione del rischio totale al crescere del numero dei rischi accettati, cioè della popolazione assicurata (legge del rischio totale decrescente). - La diminuzione del medesimo rischio quanto più i rischi accettati risultino inversamente correlati. Queste due leggi danno luogo alla assicurabilità dei rischi. Questa assicurabilità unita al desiderio del pubblico di assicurarsi, consente la nascita economica delle imprese e dei mercati assicurativi. Vi è da un lato un insieme di soggetti disposto ad effettuare pagamenti limitati per proteggersi dal manifestarsi futuro di rischi ottenendo, nel caso di sinistro, un qualche ampio indennizzo o rimborso: premio = pP + qCGEN (P= perdita assicurativa; qCGEN= quota dei costi generali dell’impresa) Vi è d’altro lato un insieme di soggetti-imprenditori che accettano di assicurare tali rischi. Una condizione di equilibrio di impone a tali imprese che l’insieme dei beni raccolti consente di coprire l’insieme dei risarcimenti e i costi generali dell’impresa: raccolta-premi = ∑ (risarcimenti + CGEN) In termini immediati per l’assicuratore si propongono due problemi: - La funzione-tempo (per quanto riguarda l’assicurato singolo, l’impresa dovrebbe poter avere il tempo di accumulare una serie sufficientemente ampia di premi annuali prima di dovergli corrispondere l’eventuale risarcimento). - La ripartizione dei rischi (occorre che l’impresa assicuratrice raccolga rischi in modo che essi ci compensino il più possibile tra loro in quanto appartenenti a “classi di rischio”, ma soprattutto siano in numero più ampio possibile, cioè potendo applicare i principi della legge dei grandi numeri). Ecco perché risulta fondamentale in campo assicurativo, prima di altre, proprio la legge dei grandi numeri; essa è anche chiamata nei trattati legge empirica del caso, intendendo un fatto così regolare nella pratica da esprimere una legge. Le imprese di assicurazione possono a propria volta essere più o meno propense al rischio. A seconda di tale propensione, dunque: - Alcune saranno disposte a tenere presso di sé tutti i rischi che hanno assicurato (“tengono tutto in casa”; in questo caso si dice che abbiano un largo pieno di conservazione, cioè di conservazione dei rischi accettati). - Altre assicureranno sé stesse, trasferendo in vario modo e misura una parte dei rischi che hanno assicurato (hanno un minore pieno di conservazione, la cui proporzione è una scelta strategica. Queste risultano meno propense a “tenere tutto in casa”: evitano parte dei rimborsi, ma debbono retrocedere la parte corrispondente dei premi incassati). Le compagnie assicurative assicurano sé stesse in proporzione e per eccedente. Esse, dunque, cedono la parte corrispondente dei premi incassati (retrocessione), ma sanno, nel contempo che verranno a propria volta in parte risarcite dei pagamenti che dovranno effettuare per i sinistri verificatisi, risarcite in modo simmetrico, oppure solo per i grandi risarcimenti eccedenti una certa soglia. A propria volta, le compagni di assicurazione che assicurano compagnie di assicurazione sono ovviamente denominate imprese di riassicurazione. Infine, è necessario rammentare che le grandi imprese lOMoARcPSD|4544507 assicuratrici, sempre con l’obiettivo di smussare-diversificare i rischi assunti, eserciscono, nel contempo tutte le funzioni assicurative attive e passive. Esse cioè raccolgono premi assicurando clienti, cedono in riassicurazione una parte dei rischi sottoscritti attuando una riassicurazione passiva, ma, nel contempo assumono altri rischi in riassicurazione (attiva). L’ORGANIZZAZIONE INTERNA DELLE IMPRESE E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Come più volte ricordato, le aziende sono sistemi, cioè insieme di elementi connessi, interagenti e finalizzati. Poiché gli elementi sono connessi e interagenti, molto contano l’efficienza e l’efficiente collegamento di ciascuno di essi, perché un elemento malfunzionante, o malamente connesso, riflette le proprie manchevolezze su tutti gli altri, dunque sull’intero sistema. Oltre alla connessione e all’interazione, conta infine la teologia, cioè il grado di finalizzazione agli obiettivi propri dell’azienda. Così, a parità di efficienza, esiti ben differenti possono derivare da una maggiore o minore tensione a un fine e ai suoi obiettivi particolari. La finalizzazione dipende dall’aggregato, ma poi soprattutto dalle persone alla guida dello stesso. Se cioè importante risulta l’efficienza quale pre-requisito, altrettanto e ancor più risultano le direzioni verso le quali l’efficienza in parola viene indirizzata. Vale a questo riguardo ciò che si diceva poco fa in tema di finalizzazione, in assenza della quale le aziende-sistemi facilmente decadono. L’adeguato raggiungimento degli obiettivi prefissati viene denominato efficacia. Il tema facilmente richiama alla mente il concetto di sfida di Toynbee, maggiore o minore, alla quale la famiglia, l’impresa e lo stato sono sottoposti ogni giorno. Le sfide sono ovvie e fatali nello svolgimento dell’esogeneità dinamica: occorre pertanto alle famiglie, imprese e stati e di predisporvisi anticipatamente, anche perché solo affrontare le sfide e superarle, rafforza le capacità e, inoltre, sopravvivono solamente gli enti che le sfide sono riusciti a superarle. Se quanto precede è vero, noi stiamo parlando anche di come gli elementi del sistema vi vengono avvinti e racchiusi, cioè del principio di organizzazione. Ecco perché G.Z. insisteva sul fatto che l’economia aziendale fosse composta da tre branche (Ragioneria, Gestione e Organizzazione) fuse tra loro. Organizzazione significa disposizione e coordinamento di elementi in modo da raggiungere un fine. Le aziende vanno organizzate internamente. Ciò vale in senso strutturale soprattutto: - Per le aziende territoriali, le quale debbono organizzarsi internamente per poter raggiungere in modo ottimo i fini pubblici loro assegnati. - Per le imprese di ogni tipo, le quali debbono organizzarsi internamente per poter raggiungere in modo ottimo i fini economici. Per organizzazione interna si intende quindi soprattutto l’azienda territoriale o di produzione: - L’intera configurazione organizzativa: organi, struttura, persone, connessione funzionali e gerarchiche, stili di direzione, ordinamenti di organico e di carriera, processi, Valori e cultura. - L’architettura definita dai suoi organi e dalla connessione degli stessi. - Le modalità organizzative tramite le quali si svolge la sua gestione. Organizzazione in senso assoluto da quindi riferimento agli elementi e organi dell’azienda per conformarli in un dato assetto organizzativo e per definire, degli stessi, le modalità di collegamento funzionale tramite il coordinamento direzionale, gerarchico, informativo e amministrativo. La complessità organizzativa non è necessariamente data dalla grande dimensione, ma significa compresenza di una molteplicità di attività e funzioni, da gestirsi tutte nel medesimo insieme. L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO DIRETTIVO, IMPIEGATIZIO E OPERAIO: Besta, Taylor, Barnard lOMoARcPSD|4544507 Henri Fayol: è il più importate rappresentate della Scuola francese dell’administration; fu un ingegnere minerario. Si pose l’obiettivo di dare vita all’”impresa organizzativa”, cioè al miglioramento sistematico della “macchia organizzativa” pubblica e privata. Questo perché risultano cardine le seguenti funzioni: - Prevedere: non significa elaborare profezie, ma “scrutare l’avvenire e prepararlo, riducendo l’imprevedibile grazie alle capacità professionali dell’organizzazione, di amministrazione e gestione dell’imprenditore”. Il tutto anche grazie ai principi di autorità e unità di direzione e di comando, divisione del lavoro, catena di comanda gerarchica con rispetto alla disciplina, subordinazione dell’interesse individuale all’interesse generale. - Organizzare. - Dirigere. - Coordinare. - Controllare. Chester Bernard: le sue riflessioni consentono di abbandonare il meccanicismo tendenzialmente rigido di F.W.T. e H.F., annotando in particolare che: - Le organizzazioni formali sono fatalmente indotte al continuo riadeguamento dei fini. - Rilevano dunque in primo luogo le informazioni, e in secondo luogo anche il momento tecnicamente intuitivo. - Le organizzazioni in risultano distoniche, perché non sempre vi prendono corpo la cooperazione progettuale e finalizzata che dovrebbe risultarne l’anima, animare la gestione e condurre il sistema- azienda al raggiungimento dei propri fini. - Rileva dunque il sistema di incentivi per mezzo dei quali motivare il personale, ma non di meno il ruolo dell’autorità. Herbert A. Simon: una volta radicato nell’intero processo decisionale il fondamento della gestione, ricorda a tutti noi, e in particolare agli economisti marginalisti, che nelle organizzazioni: - Gli individui non operano con razionalità olimpica, ma con razionalità limitata. - Gli individui compiono quindi non scelte ottime o perfette, ma soddisfacenti. Gli studi aziendali si affiancavano per tali vie a quelli che da secoli avevano trattato i compiti e le funzioni regali, ministeriali, diplomatici e militari, cioè le attività direzionali tipiche dei periodi anteriori alle rivoluzioni industriali. Poi, con queste, e in parallelo, l’organizzazione del lavoro direzionale diviene via via più complessa, e registra il moltiplicarsi e diversificarsi delle operazioni. In queste nasceva così il momento organizzativo dell’intera attività di trasformazione fisico-tecnica, cioè il parallelo cartaceo-decisionale che esprime e accompagna le funzioni acquisti, trasformazione e vendite. In alcuni settori poi, la crescita della dimensione media delle imprese e del volume di affari comportava la crescita quasi automatica del momento impiegatizio. Aumentano così la dimensione degli organi, aumenta il numero e la specializzazione degli stessi. Si tratta di ruoli direttivi-direzionali sempre maggiori, dunque delle figure professionali sempre più necessarie per trasmettere-attuare scelte e decisioni d’impresa, e talora per formularle. Imprese sempre più vaste, gestioni sempre più complesse, campi d’azione sempre nuovi o sempre più specializzati: ecco la necessità di rivestire tali ruoli con responsabili in grado di ricoprirli dal punto di vista sia tecnico, sia gestionale amministrativo; nasce così la direzione aziendale quale professione specializzata. LE FUNZIONI MANAGERIALI: Nascerà negli USA lo studio delle figure direzionali intermedie tra imprenditore-proprietario e classe impiegatizia, gli executives responsabili di servizi e funzioni. lOMoARcPSD|4544507 Chester Bernard non si lascia illudere dall’iper-logicismo taylorista e ci ricorda che possono esservi zone di indifferenza, cioè margini per l’esecuzione degli ordini in modo assolutamente tempestivo e preciso o meno. Su tutti questi temi, e in general per non dimenticare mai che anche il lavoro e l’organizzazione dello stesso, sono poi tutti avvinti in combinazioni produttive che hanno per obiettivo la produzione di ricchezza, cioè coordinazioni lucrative di equilibrio, ancora ci ammaestra Zappa: “Nell’economia dell’impresa tutti i fattori della produzione e tutti i suoi organi operano per un fine comune. La produzione d’impresa è tipicamente produzione di redditi. Nell’impresa il lavoro e il capitale, sono indissolubilmente associati per la produzione, e solo dall’efficienza di questa traggono motivo di nuova e più valida operosità”. Il problema era tuttavia non solo funzionale, ma anche strutturale, anzi sistematico. C’era certo questa compresenza di capitale e lavoro. Ormai da decenni inoltre c’era anche altro: i processi di crescita dimensionale delle imprese avevano portato con sé il crescere della complessità e il moltiplicarsi delle funzioni e dei ruoli. Era dunque in corso un rilevante mutamento strutturale, il ridursi e quasi lo scomparire della proprietà e dell’imprenditore-proprietario rispetto: da un lato, a intere classi di dirigenti e direttori, e dall’altro all’azionariato diffuso. Con varia intensità da nazione a nazione, si stavano manifestando due fenomeni contemporanei e strutturali, dall’effetto combinato: - La differenziazione delle funzioni direttive data la nuova dimensione e complessità delle organizzazioni economiche, dunque i nuovi e più ampi fabbisogni di gestione e coordinamento. - La polverizzazione della proprietà azionaria. Il punto era già stato anticipato da Marx e da Schumpeter. Il tema era stato poi trattato in modi opposti da autori ancora fondamentali: Walter Rathenau, Adolf Berle e Gardiner Means. Walter Rathenau: paradossalmente ma con chiara allusione tecnica, sosteneva questo concetto: “Le imprese hanno tre nemici: i creditori, i dipendenti e gli azionisti”. Lo sviluppo di queste grandi imprese semi-indipendenti quasi da tutto, solleva il problema del conflitto tra Società e Società civile nella sua interezza, che deve rintuzzare l’autonomia della prima, e talora difendersi dalla sua invadenza. Adolf Berle e Gardiner Means: paiono invece tendenzialmente scettici sul punto. Essi annotano infatti che: - La proprietà azionaria si è polverizzata. - Il controllo effettivo è quindi transitato dagli azionisti ai dirigenti e direttori e ai consiglieri di amministrazione. - Si determinano così gli interessi divergenti tra gli azionisti e il management. - Questa contrapposizione diviene un conflitto sia strutturale sia pratico-giuridico relativo alle principali scelte strategiche dell’impresa. Si arriva così al generale ri-orientamento dell’impresa quale istituzione, al mutamento sistematico dei suoi obiettivi rispetto a quando l’imprenditore-proprietario accentrava in sé utili e perdite, crediti e debiti e alla concentrazione del “potere economico” in un numero ristretto di individui, o in pochi del tutto. Il tema è di rilievo costitutivo sia per quanto concerne l’Economia aziendale, sia più ampiamente in relazione alla struttura e alla dinamica della società, alle civiltà industriali e in fondo all’avvenire del mondo “civilizzato”. Il processo è stato descritto come l’avvento di una “mano visibile”, a sostituire la “mano invisibile” di Smith. La soluzione degli scetticismi di K.M, J.A.S., A.B. e G.M. ci viene proprio da Schumpeter: in particolare dai suoi studi di trent’anni prima, in tema proprio di imprenditore nonché di distruzione creatrice. Al riguardo occorre infatti considerare alcuni fattori oggettivi: - Il progresso tecnico continuamente innova: rinnova i settori e altri nuovi ne inventa. lOMoARcPSD|4544507 - Per restare ai settori industriali si rifletta all’evoluzione via via verificatasi negli ultimi duecento anni: tale processo prende il nome di successione tra settori nella loro importanza relativa, o sinteticamente circolazione dei settori. - Altrettanto vale in campo bancario, assicurativo, finanziario, dei trasporti e dei servizi. - Sempre nuove nazioni si avviano alle “rivoluzioni industriali”. - Si rifletta ad esempio al tipico ciclo nazionale di ogni Stato, al suo crescere, svilupparsi e declinare. - Si rifletta a questa traslazione di assi dello sviluppo economico politico, con il generarsi e l’ascendere di sempre nuove borghesi e il declinare di altre, il tutto connesso all’ascesa e discesa ciclica degli stati di appartenenza. Per ambedue questi motivi vi è un continuo processo di ascesa sociali, di passaggio da occupazioni pastorili o contadine ad attività d’impresa, di formazione di burgenses, di borghesia piccola o media, e infine abbiente, nel generale processo già definito da Mosca, Pareto e altri di circolazione delle élites. Questi sono i risultati della libertà di mercato e della libera impresa le quali, se sta al diritto disciplinare, tuttavia consentono i progressi materiali ricordati grazie all’imprenditorialità che vi si esplica, grazie alle innovazioni e riduzioni di costi unitari che ogni giorno vi prendono corpo. Si è fatto cenno alla differenza-complementarità tra “società di lucro” e “società-comunità”: la distinzione non solo si pone nel sistema in generale, ma anche internamente alle organizzazioni e alle imprese. In tale caso, principio-guida è il rispetto degli interessi dei portatori di interessi istituzionali. IL LAVORO NELLE ORGANIZZAZIONI: L’attività lavorativa è una delle forme di realizzazione della persona nella sua compiutezza: si tratta anche di un’attività di crescita personale di tipo professionale, psicologico e interpersonale. A parte infatti i rentriers e i campi illeciti, la gran parte delle persone vive la propria vita lavorando: risulta quindi rilevante che il lavoro sia socialmente produttivo, equamente retribuito, consenta la specializzazione dei compiti e, nei limiti del possibile, lo sviluppo integrale della persona. Così inteso, il lavoro può consentire la costruzione e il miglioramento progressivi dell’individuo. Il lavoro si sviluppa nell’ambito di organizzazioni, siano esse imprese o le pubbliche amministrazioni. CONDIZIONI DI LAVORO EFFETTIVE: sono i contenuti e le modalità del lavoro nel suo concreto svolgersi, esse sono determinate da 3 fattori quali: Elementi soggettivi – occorre ricordare che, in particolare nelle strutture organizzate, lo svolgimento dell’attività lavorativa consente: - L’ottenimento di remunerazioni periodiche. - Lo sviluppo delle capacità professionali, di relazioni e del senso di appartenenza. - L’eventuale crescita nel sentiero di carriera. Elementi oggettivi: occorre ricordare che l’individuo è normalmente prenditore di condizioni, con limitata possibilità, soprattutto agli inizi, di negoziazione. Vengono definiti dall’azienda quando essa progetta la struttura organizzativa; tali condizioni sono destinate a mutamenti lenti al proprio interno. Essi riguardano: - Il contenuto dell’attività lavorativa. - Le condizioni generali e particolari di lavoro. - L’ordinamento retributivo di carriera. - I processi organizzativi. lOMoARcPSD|4544507 - Vi è nell’amministrazione pubblica, in primo luogo il problema del mancato confronto con il mercato; la pubblica amministrazione inefficiente o malgovernata non realizza i propri obiettivi o li maltratta, proroga senza fine i tempi di esecuzione, irrita il cittadino, ma non deve confrontarsi con alcuna forma di concorrenza. - Minore efficacia-efficienza può inoltre derivare dalla pubblica amministrazione dalle promozioni e gli avanzamenti per anzianità o automatismo invece che per vittoria di concorso; ancora dall’eventuale prassi di concorsi manipolati o influenzati, oltre all’eventuale degenerazione partitica e correntizia, dove promozioni e carriere risultano funzioni di tessere, “amicizie”, cordate, etc. - Occorre inoltre non trascurare che le amministrazioni pubbliche costituiscono un sistema, e che tutti i sistemi tendono a proliferare: più addetti, più importanza e più potere d’influenza. A questi rischi si può ovviare tramite gli strumenti classici: - Della responsabilizzazione personale, la quale porta gli addetti a cercare da sé l’efficacia o l’efficienza. - Degli uffici pubblici di controllo (controllo sulla spesa e sulla qualità delle procedure burocratiche e amministrative pubbliche). In alcune nazioni l’auto-responsabilizzazione va diminuendo. Il tema è poi sempre la politica, la burocrazia, la qualità dei reggitori e quindi la qualità del ceto politico. Si tratta infatti di avviare un’organizzazione amministrativa che abbia il compito di eseguire le direttive che definiscono l’assetto statuale interno ed esterno, economico e sociale. Anche questo punto è trattato sin dall’antichità classica e illustrato poi dalle arti pittoriche. A proposito del tema due autori scrissero delle opere: Andrès Mendo della Compagnia di Gesù trattò delle doti che occorrono ai capi degli Stati, mentre Nicolò Donato delle doti necessarie ai Ministri, perché dalle une e dalle altre dipendono poi il discendere della volontà politica per i rami dell’amministrazione burocratica della nazione, la struttura e la funzionalità della stessa e infine l’organizzazione del lavoro tipica. Entrambi rischiano di suonare sempre relativamente utopistici. D’altra parte da un lato proprio questa è la loro natura, dall’altro gli stessi sono più o meno obbediti, di epoca in epoca e nelle varie nazioni. La qualità dell’amministrazione pubblica, infatti non è un dato caso, una sorte o dovuta alle congiunzioni astrali: essa dipende dalla qualità del lavoro in senso sia funzionale sia strutturale, e l’una e l’altra dipendono dalla volontà politica, dalle leggi e dagli ordinamenti posti in essere e dai criteri di scelta, selezione, remunerazione, motivazione, promozione e punizione. Avviene pertanto che anche i risultati organizzativi dell’amministrazione pubblica non siano casuali. Si possono riscontrare in diversi periodi ed epoche gradi differenziati di efficacia e di efficienza, dunque realizzativi di solerzia, onestà o all’opposto di dispersione, burocratizzazione e corruttela. La disfunzionalità si riflette sulle condizioni comuni della vita associata, con vantaggi privati per i partecipanti al sistema, peraltro nel generale scontento e scoraggiamento collettivi. L’ORGANIZZAZIONE ESTERNA DELLE IMPRESE IL RUOLO E L’AZIONE DELLO STATO: - l’articolazione dello stato: che può essere più o meno suddiviso al proprio interno, più o meno accentrato o decentrato. Quanto più è articolato lo stato, quanto più aumentano le fonti normative. Se lo stato è minimo vi sono imposte minime. - Efficacia quale tensione a un fine - Efficienza quale qualità di uso delle risorse - L’estensione dei compiti pubblici: nell’800’ i compiti pubblici erano molto ridotti, questa situazione cambia con la Prima guerra mondiale, che comporta una spesa pubblica enorme (con l’aumento lOMoARcPSD|4544507 delle imposte), lo stato si è quindi inserito nell’economia. La situazione opposta è, invece, l’impero di Stalin, dove era tutto pubblico e gestito dallo stato. es. in Italia, nel periodo fascista, per salvare le principali banche italiane che stavano fallendo, si scorporarono da esse le imprese industriali, inserendole nell‘I.R.I (istituto per la ricostruzione delle imprese), in questo modo l’Italia divenne la seconda potenza (dopo l’URSS) per il controllo pubblico dell’economia. In conclusione, il problema di fondo è la qualità dell’azione pubblica (efficacia ed efficienza), che si esprime nell’ordinamento. Da qui deriva la frase di Platone: la città ideale pare sapiente, poiché attua buone scelte, il saper attuare buone scelte è una scienza, una scienza che decide non solo su un settore dello stato, ma sulla sua interezza. Le imprese devono organizzarsi nei confronti dell’ambiente esterno: - Dal punto di vista giuridico. - Dal punto di vista dei rapporti con le loro controparti esterne. Per organizzazione esterna dell’impresa si intende quindi: - La struttura delle connessioni - La forma giuridica: l’impresa è materia economica in forma giuridica. Fino alla metà del 1600 vigeva, in campo economico la “confusione patrimoniale”, cioè, per l’imprenditore, l’impossibilità di distinguere fra patrimonio suo proprio e patrimonio dell’impresa. Fairness: to be fair, essere corretti. La materia economica in forma giuridica viene a svolgersi per mezzo della S.P.A. (società per azioni), nata per la prima volta in Inghilterra e in Olanda, per risolvere i problemi emersi con le navigazioni transoceaniche del 1500 (le due compagnie delle Indie). NB → Per organizzazione esterna si intende cioè l’architettura e il funzionamento dell’azienda relativamente alle sue controparti istituzionali, di settore, di mercato. Si tratta cioè di relazioni economiche attuate tramite il disposto normativo: come già è stato detto, materia economica in forme giuridiche. Le imprese si svolgono nei contesti economici spazio-temporali. L’impresa dal punto di vista economico- giuridico prende esistenza e sviluppo incardinandosi in un dato sistema economico nazionale (quindi in un dato ordinamento), facendo naturalmente parte di un certo settore merceologico e ponendosi in relazione bi-univoca con mercati di incetta e di sbocco e con le imprese che vi operano. Si può dire quindi che le imprese svolgono poi la propria attività in specifici contesti: Contesti spaziali – significa entrare in contatto e relazione con una o altra comunità, cultura locale, azienda pubblica territoriale e infrastrutture. Le imprese si associano spesso su base territoriale, al fine di coalizzare i propri interessi di operatrici nel medesimo contesto spaziale, dunque nei confronti del Comune e della Provincia, delle banche locali, etc.. Da stato a stato poi variano a maggior ragione la cultura, il contesto finanziario e sindacale, l’ordinamento e varia sovente il sistema tributario (in particolare la struttura delle imposte). Per questo motivo le imprese ricorrono spesso al transplanting. Contesti settoriali – significa che le imprese risultano prossime a tutte le imprese che attuano processi produttivi simili e ottengono famiglie di beni simili; per questo i contesti settoriali vengono anche denominati settori merceologici. Le imprese di un medesimo settore affrontano quindi problemi gestionali simili. È proprio dei settori che le imprese pongono in essere alleanze e consorzi. Contesti concorrenziali – significa che le imprese entrano in concorrenza con altre imprese del medesimo settore o comparto o nicchia, o con imprese che soddisfano i medesimi bisogni della clientela. Così diviene molto rilevante la somiglianza dei prodotti o la possibilità di innovarli e differenziarli. Nel caso di prodotti lOMoARcPSD|4544507 molto simili, non resta che concorrere sul prezzo; quanto più invece l’impresa riesca a differenziare, migliorare e innovare i propri prodotti, essa tanto più si isola dalla concorrenza. In altre parole, quanto più i prodotti sono simili ci si avvicina alla “concorrenza perfetta”, dove la singola impresa è ben poco in grado di attrarre la domanda a sé stessa; di mano in ano che i prodotti si diversificano, invece, si va verso la “concorrenza differenziata” (o limitata) in cui ogni impresa agisce con un proprio “potere di mercato” autonomo. La struttura concorrenziale oggi più diffusa è l’oligopolio. Essere incardinata in uno o in altro sistema spaziale, cioè economico, in uno o in altro ordinamento, significa per l’impresa avere maggiori o minori gradi di libertà, vie predefinite di comportamento e sviluppo. Appartenere ad uno o altro settore merceologico poi può comportare di essere soggetti a discipline giuridiche speciali. Ma soprattutto, appartenere ad uno o ad altro settore significa non tanto attuare certe o altre produzioni, quanto piuttosto: - Soddisfare domanda intermedia o finale. - Appartenere a settori ciclici. - Acquistare materia prima in Borsa-merci. - Essere connotati da specifici tassi di capitalizzazione, nonché tempi medi di produzione. Infine, appartenere ad uno o altro contesto concorrenziale significa essere un’impresa tra mille, con poche possibilità di influenzare la concorrenza, ma anche di esserne offesa; invece, appartenere a un oligopolio significa poter agire sulla domanda, ma anche avere a che fare con pochi concorrenti diretti, con i quali il confronto può risultare anche molto acceso. L’impresa, infine si costituisce e prende esistenza in una o in altra forma giuridica, e in dipendenza di questa diviene soggetto di diritti. L’impresa, inoltre, può connettersi stabilmente ad altre imprese aderendo a consorzi o cartelli, oppure costituendo gruppi aziendali. LE FORME GIURIDICHE: Rilevanza fondamentale riveste inoltre la veste giuridica per il cui tramite vengono esercitate le attività d’impresa. Con il sorgere dell’attività d’impresa si estese, si diffuse e venne infine a sublimazione il problema dei rapporti economici tra persone. Nacque così il problema della regolamentazione normativa consuetudinaria, poi progressivamente formalizzata. Il problema rimonta all’antichità classica già pre-romana, ma se ne presceglie qui un suolo aspetto: la responsabilità personale. La responsabilità economica era ricondotta in capo all’imprenditore, il quale appunto rispondeva delle proprie obbligazioni con tutti i propri beni. Vigeva la cosiddetta confusione patrimoniale, l’indistinguibile natura comune di tutti i beni dell’imprenditore quale presidio a fronte delle obbligazioni. Occorre riflettere da un lato a quanto ciò potesse significare in tema di correttezza e scrupolo professionali dell’imprenditore, ma dall’altro lato anche a quanto potesse comportare di impedimento nell’assunzione di iniziative rischiose, per il comprensibile timore di conseguenze. Il punto di addensamento si verificò con le navigazioni transoceaniche dopo il ‘500. Nacque così la Compagnia delle Indie e insieme la Società per Azioni, un nuovo strumento giuridico per il cui tramite potevano venire gestite le attività economiche. Semplificando, si può esporre la struttura operativa economico-giuridica così: - L’attività economica era come prima esercitata dall’imprenditore. - Questi, tuttavia, la esercitava non in nome proprio, ma per il tramite di un soggetto interposto, appunto la S.p.A.. - Titolare di diritti e di obblighi non era più l’imprenditore, ma questo soggetto interposto. lOMoARcPSD|4544507 - Fissano prezzi satisfattivi per tutti, determinando i “prezzi di cartello” in funzione dei costi di queste ultime. (Ciò consente anche la sopravvivenza dei mediocri. Il “reddito di equilibrio”) - Impongono al mercato beni o prezzi meno convenienti per i consumatori. Occorre infine ricordare che i cartelli risultano non di rado instabili. Tra le imprese cartellizzate diviene più efficiente della media ha anche la tendenza a “scartellarsi”, cioè ribellarsi agli accordi stabiliti: - Nel convincimento di poter piegare in via definitiva le altre imprese. - Con l’obiettivo di riformulare gli accordi di cartello in forme a lei più favorevoli. Al di fuori del mondo produttivo, e prima di esso, esistono comunque forme di alleanza le quali rivestono natura di cartello, che siano definite come tali o no. Si tratta di alleanze tese a conformare le estrazioni alla dinamica della domanda finale in modo che: - Non via eccessivo accumulo di scorte. - I vantaggi possano risultare equiparati tra produttori. I GRUPPI DI SOCIETÀ Le attività economiche d’impresa vengono gestite per il tramite di due o più società tra loro collegate, di solito S.p.A.. i fattori causali di tale forma di organizzazione esterna d’impresa sono molteplici; appartengono a poche grandi categorie, tra le quali si possono ricordare le seguenti: - Costituzione di singole S.p.A. per ciascuna delle attività economiche esercitate, al fine di imputare ogni specifica attività a un soggetto giuridico distinto. Tale specializzazione si traduce anche nella differenziazione dei prodotti e dei marchi, dunque dell’offerta, e inoltre nell’ottimizzazione dei processi produttivi. - Costituzione di imprese all’estero. - Costituzione di unità speciali. - Processi di crescita per acquisizione di altre imprese già esistenti. In tal modo si da vita ad un insieme di S.p.A. riunite in sistema: il gruppo aziendale, che è dal punto di vista produttivo un gruppo di imprese, dal punto di vista giuridico un gruppo di società. Al vertice del gruppo si situa la società capogruppo (o holding), la quale detiene partecipazioni di controllo nella/nelle S.p.A. successive. Il “gruppo aziendale” è ciò che la scienza tedesca dell’ ‘800 denominava Kozern, e che la giuridicità italiana degli anni ’30 definiva società a catena, il mondo statunitense pyramiding e la prassi italiana attuale la inquadra come “scatole cinesi”. Sul punto occorre distinguere: - Grandi gruppi multinazionali che necessitano di articolarsi in una holding capogruppo, in molteplici sub-holding cui facciano capo gli investimenti in un continente dato, oppure gli investimenti in definiti settori merceologici. Questo caso è tipico delle imprese industriali, ma soprattutto delle multinazionali bancarie e assicurative. Il secondo caso, invece, risulta più frequente nelle imprese industriali diversificate, per meglio organizzare la propria molteplicità di prodotti e complessità organizzativa suddividendole in aree omogenee. lOMoARcPSD|4544507 - Gruppi aziendali” in cui una holding controlla verticalmente una società A, la quale controlla identicamente una società B, la quale controlla una C, etc., al solo fine di diluire i capitali necessari al controllo. I gruppi sono rappresentati da un insieme di imprese, attive ogni volta in capi speciali dal punto di vista merceologico o spaziale, ma poi tutte riunite dall’appartenenza a un unico dominus, dalle connessioni che si possono instaurare internamente al gruppo dal punto di vista produttivo, finanziario, patrimoniale e reddituale. Tali insiemi possiedono caratteristiche strutturali o funzionali speciali: - L’insieme costituisce un’unità dal punto di vista delle strutture, del coordinamento, dell’esercizio dei poteri di governo. - L’economicità, cioè l’equilibrio economico per l’intero gruppo costituisce un tutt’uno. - La capogruppo o holding, in particolare: o Decide il grado di accentramento o decentramento organizzativo. Decide quale sia il grado di coordinamento che essa desidera. o Decide i settori e i comparti nei quali sviluppare le attività. o Presceglie le “logiche di gruppo”; in questo e altri casi ritorna prepotente il problema della tutela delle minoranze, giacché nei gruppi si ripete sovente l’antitesi tra minoranza coesa e maggioranza disgregata. Tale catena di società di gruppo comporta conseguenze speciali, tanto speciali da costituire un fattore ulteriore e speciale di costituzione di gruppi aziendali: tale fattore viene denominato diluizione del rischio. Tale ulteriore fattore di costituzione dei gruppi aziendali consiste nella possibilità di controllare estesi complessi industrial-finanziari con esborsi anche assai limitati di capitali. Esso si riconduce al controllo della S.p.A. e ai concetti di “gruppo di controllo” e di “maggioranza disgregata”. Infatti, per controllare una S.p.A. quotata in Borsa risulta di norma sufficiente detenere una percentuale del 10-30% del capitale della stessa. Ma se questo è vero, e se: un soggetto controlla una prima S.p.A. chiamata A, questa ne controlla allo stesso modo una seconda chiamata B, la B domina allo stesso modo una terza detta C, etc., si può estendere progressivamente il dominio economico del gruppo. Avviene così che il gruppo possa accrescersi ed estendersi grazie ai capitali delle maggioranze disgregate delle controllate di ciascuno dei livelli inferiori, mentre il gruppo di controllo si limita appunto a controllare la holding, magari pure per mezzo di una semplice minoranza coesa. Il tema è rilevante dal punto di vista sia giuridico sia della convivenza civile, mentre dal punto di vista puramente economico occorre vagliare se le persone ricordate gestiscono il gruppo così coordinato nell’interesse delle collettività di riferimento, o ai fini personalistici del potere personale e dell’arricchimento lecito e illecito. Nel caso Pirelli-Telecom, mentre la proprietà estendeva il proprio controllo, tutto avveniva tramite il controllo del 53% di GPI, cioè della sola holding capogruppo. All’estendersi del gruppo aziendale e dell’influsso del “gruppo di controllo”, concorrevano con i propri capitali (volenti o nolenti, sovente vere “maggioranza disgregate e sempre privi di poteri decisori) gli azionisti terzi, estranei al gruppo di controllo. La struttura di tali sistemi, e gli effetti di essa, possono essere concettualizzati ricorrendo alla distinzione tra: - Percentuale di controllo : si tratta della percentuale di azioni ogni volta detenuta da una S.p.A. nella successiva, percentuale cui corrisponde di norma una eguale percentuale di voti in seno all’assemblea degli azionisti lOMoARcPSD|4544507 - Percentuale di interessenza : evidenziarla significa calcolare il grado di coinvolgimento patrimoniale di ciascuna S.p.A. in tutta la filiera a lei subordinata, dunque il capitale effettivamente investito nel controllo dei livelli sottostanti. Il grado di interessenza è ottenuto moltiplicando tra loro le percentuali di controllo È questo il grande vantaggio di tali architetture: controllare vasti compendi industrial-finanziari con ridotti esborsi di capitali, e poter continuare a farlo. Un ulteriore vantaggio si produce nel caso di perdite, o addirittura di fallimento. Questo processo è chiamato diluizione delle perdite: si controlla, ma siccome il “grado di interessenza” è via via minore quanto più si sale, anche le perdite risalendo nella filiera sono diminuite e diluite sulle “minoranze” dei vari livelli. Questo processo, inoltre, vale anche relativamente agli utili: di mano in mano che gli utili affluiscono ai livelli superiori, essi risultano diminuiti, sempre secondo il grado di interessenza. NB → I gruppi di controllo allungano le catene per aumentare la diluizione delle perdite, e viceversa le abbreviano per ridurre la diluizione degli utili. IL LIVELLO DELL’ATTIVITA’ ECONOMICA In qualunque epoca e nazione il livello dell’attività economica è dato dai livelli di impresa. Tale affermazione va però qualificata; diremo quindi meglio che, in qualunque epoca e nazione, il livello dell’attività economica è dato dal livello della “domanda effettiva”, cioè dall’insieme delle domande di beni economici espressa dalle aziende territoriali, dalle imprese e dalle aziende familiari. Le aziende territoriali possono: - Sviluppare infrastrutture. - Acquisire beni di consumo durevole. - Acquistare beni di consumo materiali. Le imprese, le aziende di produzione, possono: - Effettuare investimenti fondiari, di immobili civili, di impianti e macchinari. - Acquisire beni di consumo durevole, o materiali Le aziende familiari possono acquistare: - La casa di abitazione. - Beni di consumo durevole. - Beni di consumo materiali. Traggono le tre categorie di aziende le risorse, in generale, dai propri capitali o dalle proprie entrate e dal credito bancario. Le aziende territoriali derivano le proprie disponibilità tipicamente dalle entrate tributarie e dall’indebitamento. Le imprese derivano le proprie disponibilità dai propri capitali, dall’indebitamento, dalla vendita sul mercato dei beni economici che esse producono. Le aziende familiari derivano le proprie disponibilità dal proprio capitale di risparmio, dai propri redditi e dal credito bancario. I concetti relativi al livello dell’attività economica (LAE) possono essere espressi tramite la seguente identità (scritta in forma breve o analitica): LAE = D(azt) + D(imp) + D(azf) (D(azt)= domande delle aziende territoriali; D(imp)= domande delle imprese); D(azf)= domande delle aziende familiari)
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