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RIASSUNTO ECONOMIA AZIENDALE Prove d’esame ECONOMIA AZIENDALE Pegaso, Appunti di Economia Aziendale

RIASSUNTO ECONOMIA AZIENDALE UNIVERSITA' TELEMATICA PEGASO AGGIORNATO E COMPLETO AL 2021

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 11/02/2021

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dema_lucy98 🇮🇹

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Scarica RIASSUNTO ECONOMIA AZIENDALE Prove d’esame ECONOMIA AZIENDALE Pegaso e più Appunti in PDF di Economia Aziendale solo su Docsity! UNIVERSITA’ TELEMATICA PEGASO RIASSUNTO ECONOMIA AZIENDALE 2020/2021 CAPITOLO 1 PARTE 1 “INTRODUZIONE ALLE DISCIPLINE ECONOMICO- AZIENDALI” 1 L’economia politica e l’economia aziendale nei loro interrelati rapporti Lo studio dell’economia aziendale è collegato allo studio dell’economia generale (o politica): lo studio di entrambe è basato sui loro interrelati rapporti, in quanto rami della scienza economica che hanno in comune la qualità dei problemi di rispettiva trattazione e che si differenziano per la diversità del fine a cui vanno riferite le scelte economiche. L’economia politica (macroeconomia) si occupa del comportamento del produttore (teoria della produzione) e del comportamento del consumatore (teoria del consumo) per i fini sociali. Essa imposta la teoria della produzione e la teoria del consumo, riferendo la prima al comportamento del produttore, la seconda a quello del consumatore. Il produttore viene studiato nel comportamento di un soggetto che decide ed opera in rapporto a possibili scelte, ipotizzate nella dinamica dei costi di produzione e dei prezzi di mercato; del consumatore vengono studiati i risultati utilitaristici che emergono dal rapporto tra gradi di soddisfazione connessi al consumo dei beni a disposizione e spese da sostenere per raggiungere tali livelli. In definitiva, in economia politica il problema economico viene in prevalenza trattato con la metodologia della logica pura, riferendolo ai comportamenti di due soggetti individuali: il produttore ed il consumatore. L’economia aziendale (microeconomia) ha gli stessi problemi di produzione e di consumo, visti però in ottica aziendalistica. L’aziendalista non si occupa soltanto di studiare e valutare gli aspetti produttivi di consumo ma si occupa anche di altre categorie di natura economica, finanziaria, monetaria, ecc. In economia aziendale i problemi vanno affrontati e portati a soluzione in relazione al fine che l’azienda si propone di perseguire. L’economia aziendale detta, pertanto, i principi unitari dell’amministrazione, mirando all’attività economica dell’azienda rispetto al suo fine; l’economia politica, pura od applicata, studia, viceversa, l’attività economica nel suo complesso sociale, per i fini, astratti o concreti, della collettività. Lo studio dell’economia aziendale con quello dell’economia politica, quali rami della scienza economica, hanno in comune la qualità dei problemi da impostare e portare a soluzione, invece, si differenziano per la diversità del fine a cui riferire le scelte economiche. Scienza economica Economia aziendale Economia politica (microeconomia) (macroeconomia) IN COMUNE la qualità dei problemi IN DIVERSITA' il fine da perseguire Rispetto al fine, è stata già effettuata la distinzione tra: -aziende di produzione (o imprese): -aziende di erogazione (o di consumo), oltre alle aziende composte a fini erogativi. Riguardo al luogo ove le aziende si istituiscono e funzionano, si usa distinguere le: -aziende divise, operanti in luoghi diversi attraverso sezioni -aziende indivise che si costituiscono e funzionano in un unico luogo. Alla differenziazione delle aziende per luoghi, si può aggiungere quella per rami di attività svolta, differenziabili per natura economico-tecnica e per importanza operativa. In relazione alla condizione giuridica del soggetto, le aziende si distinguono i: -private, hanno il soggetto aziendale privato; -pubbliche, hanno rispettivamente il soggetto aziendale pubblico; Altra classificazione è quella ricorrente che pone a confronto le aziende private: -individuali, sono imprese di una persona fisica. -collettive, sono imprese di una società o di una unione privata di persone. PARTE 2 “DAL SISTEMA IN GENERALE AL SISTEMA AZIENDA’’ 1 Dal sistema in generale al sistema-azienda Il sistema in generale è un insieme di elementi legati da un reciproco vincolo relazionale, unitariamente coordinati e integrati per il perseguimento di un obiettivo comune. Il sistema viene, pertanto, a essere caratterizzato da: • un insieme di elementi che lo definiscono nella sua globalità e nelle possibili scomposizioni; • una serie di relazioni instaurabili tra gli elementi, in coordinazione teleologica; • un obiettivo perseguibile dall’unitario sistema e subobiettivi perseguibili dalle parti di supposta scomponibilità. La composizione graduale del sistema, e dei suoi subsistemi, dipende dalle relazioni instaurabili tra gli elementi definitori in correlazione tra di loro. L’esame di tali elementi e delle possibili relazioni consente di effettuare alcune classificazioni, in numero variabile rispetto alla natura e alla dimensione del sistema unitario. Il sistema in base alle relazioni tra gli elementi definitori in correlazione tra loro si classificano in sistemi: - Aperti o chiusi se sono influenzati dall’ambiente esterno o completamente estranei a tali condizionamenti. - Fisici o socio-economici e deterministici o stocastici, in base alla natura delle relazioni instaurabili tra gli elementi del sistema; - Semplici o complessi in base al grado di complessità; - Controllabili o incontrollabile; - Statici e dinamici in relazione alle variazioni delle condizioni interne e quest’ultimi distinguibili in stabili o instabili a seconda della tendenza a ripristinare lo stato di equilibrio iniziale continuamente perturbato dall’azione di fattori esterni; - Cibernetico è quel sistema istituito e retto dall’uomo per il perseguimento di un determinato fine. Lo studio approfondito del sistema, nei suoi elementi costitutivi e nelle interrelazioni instaurabili, consente, da ultimo, di definire una teoria e di costruire un modello. La teoria del sistema è definibile come un insieme di proposizioni evidenzianti i reciproci nessi di causa ed effetto e di interdipendenza instaurabili tra gli elementi, con ricorso a vari “linguaggi”, quale quello verbale, quello contabile, quello matematico-statistico ecc. Il modello del sistema può essere invece individuato come una particolare teoria esprimibile con ricorso al linguaggio matematico. Il sistema-azienda appartiene alla classe dei sistemi socioeconomici e si presenta come un sistema: • aperto • deterministico • complesso e, in parte, incontrollabile • dinamico e instabile • cibernetico Quale “sistema di forze economiche”, l’azienda è caratterizzata da un processo continuo di produzione, scambio e consumo, il cui espletamento presuppone una condotta pianificata, data la natura previsiva delle operazioni che lo compongono. Il sistema-azienda è anche fattore di produzione per la collettività: le forze che concorrono a definirlo sono denominate fattori di vita e di sviluppo. Tali fattori, interni ed esterni al sistema-azienda, agiscono sulle sue instabili condizioni di equilibrio, determinando situazioni di difficoltà per il loro miglioramento e, in misura maggiore, per l’eventuale ripristino. PARTE 3 “LA SCOMPOSIZIONE DEL SISTEMA AZIENDA E DEL SISTEMA AMBIENTE’’ 1 I subsistemi originabili dalla scomposizione del sistema-azienda E' possibile supporre la scomponibilità del sistema aziendale in subsistemi di vario ordine e grado, riferibili ai vari momenti e aspetti della conduzione aziendale. Il primo livello di scomposizione è quello che considera quali subsistemi i tradizionali momenti dell’amministrazione aziendale, vale a dire l’organizzazione, la gestione e la rilevazione; altri sottosistemi (di secondo livello) possono essere considerati con riferimento agli aspetti economici, finanziari e patrimoniali della gestione aziendale. I subsistemi di primo livello, idonei ad affrontare lo studio di ogni problema economico-aziendale, sono pertanto individuabili nei seguenti: • subsistema dell’organizzazione (o organizzativo); • subsistema della gestione (o decisionale); • subsistema della rilevazione (o, più in generale, informativo o del controllo). I subsistemi appartenenti al primo livello di scomposizione si pongono in un certo rapporto con l’unitario sistema aziendale. Il subsistema dell’organizzazione, nell’investire l’intera area aziendale, ha per contenuto l’individuazione dei centri di attività, lo studio delle più convenienti coordinazioni tra le risorse umane e i mezzi a disposizione. Il subsistema della gestione si occupa di impostare l’insieme coordinato di operazioni finalizzato al perseguimento di obiettivi e subobiettivi in un ambito di possibili soluzioni. Il subsistema della rilevazione è preposto al controllo del processo operativo aziendale e ha per oggetto l’analisi quantitativa degli accadimenti aziendali. Il secondo livello di subsistemi deriva dalla considerazione dei diversi e collegati aspetti della conduzione aziendale; ne discende la seguente distinzione: • subsistema dell’aspetto economico; • subsistema dell’aspetto finanziario; • subsistema dell’aspetto patrimoniale. Il subsistema operativo, è il risultato dell’integrazione del subsistema organizzativo e di quello gestionale. Di seguito, la rilevazione tradizionale può più concretamente essere qualificata come subsistema informativo o del controllo. Nell’articolo citato, Aldo Amaduzzi considerava i tre subsistemi di primo livello come “particolari” del sistema generale, in quanto i gruppi di problemi afferenti a ciascuno di essi investono l’intera sfera aziendale, anche se a tale interezza si giunge attraverso l’integrazione di “parti” del sistema. In sintesi, l’unitario sistema aziendale si scompone in due livelli di subsistemi (il secondo dei quali ulteriormente scomponibile): • quello (il primo) che concerne particolari del sistema aziendale; • quello (il secondo) che riguarda parti del sistema aziendale. Una prima classificazione degli elementi che definiscono il subsistema organizzativo può operarsi distinguendo quelli che riguardano l’intera sfera aziendale da quelli che, viceversa, afferiscono a determinati, specifici settori della vita aziendale. Appartengono alla prima classe gli elementi riguardanti l’istituzione e la localizzazione dell’azienda, la struttura legale più conveniente da assumere, la dimensione aziendale ritenuta ideale, l’ordinamento delle relazioni azienda-ambiente. La seconda classe comprende elementi relativi alla: -componente personale, riflettenti la scelta e l’ordinamento del personale e ogni altro problema a esso collegato; -componente reale, comprendente la scelta e la disposizione dei mezzi occorrenti per lo svolgimento dei processi di produzione o di consumo, nonché la ricerca delle varie fonti da cui acquisirli. Un’altra classificazione da farsi è quella che distingue l’organizzazione interna, comprendente gli elementi e le relazioni che operano nell’ambito del sistema aziendale, e l’organizzazione esterna, che include gli elementi riguardanti i rapporti azienda-ambiente. L’istituzione del sistema-azienda richiama tutti i problemi organizzativi aventi carattere strutturale che vanno dalla convenienza economica alla possibilità finanziaria, di attuazione di quella convenienza. La convenienza economica va considerata sulla base di previsioni di un adeguato numero di periodi amministrativi, in modo tale da disporre di elementi necessari e utili per ipotizzare un andamento economico medio dell’azienda da istituire. Si tratta, in buona sostanza, di costruire un piano economico afferente a un esercizio medio-tipico e accertare se i costi e i ricavi da mettere a confronto conducano a un risultato economico positivo che rappresenti l’adeguata remunerazione del capitale proprio investito, dell’apporto d’opera e del rischio dell’imprenditore. Strettamente connesso al problema della convenienza economica è quello della determinazione del fabbisogno finanziario, che segna la possibilità di realizzare la convenienza, variabile in relazione alla diversa fecondità dei fattori da acquisire e riguardo alla durata del processo produttivo. Contestuale al problema della determinazione del fabbisogno finanziario è poi quello della ricerca delle fonti, interne ed esterne, da cui attingere i mezzi necessari per la totale copertura. Il piano economico viene, pertanto, a essere collegato con il piano degli investimenti, a breve e lungo termine, che segna il fabbisogno finanziario necessario per l’impianto d’azienda, e a quello dei finanziamenti occorrenti per dare copertura a tale fabbisogno e per garantire il suo normale andamento. La convenienza a costituire l’azienda dipende anche da cause di natura extraeconomica, assai spesso influenzanti le decisioni di scelta, quali le difficoltà di penetrazione in certi mercati, la legislazione vigente, la concorrenza, le comunicazioni e i trasporti, le risorse naturali, la situazione ecologica ecc. Il primo elemento differenziatore della convenienza economica a istituire l’azienda è rappresentato dalla localizzazione, dal luogo, cioè, dove essa dovrà svolgere la propria attività. I fattori aziendali, in relazione ai quali va posto il problema della scelta ubicazionale più idonea, possono essere, perciò, riassunti nei seguenti: • le varie classi di elementi reddituali (costi e ricavi) che tengano conto anche delle possibili variazioni future di valore degli investimenti, durante il periodo di formazione del reddito; • l’entità dei finanziamenti occorrenti, in sede di impianto e durante il funzionamento, e le circostanze finanziarie che consentano il sostenimento dei costi e il conseguimento dei ricavi d’esercizio. Accanto al problema della scelta del luogo ove far sorgere (ed eventualmente trasferire) l’azienda, vi è quello della disposizione più opportuna dei magazzini, degli impianti, dei macchinari, delle attrezzature ecc., vale a dire della localizzazione interna o del layout. Procedendo verso la scelta della veste giuridica da assegnare al sistema-azienda, occorre conoscere i promotori, sapere quali partecipazioni intendono assumere e quale grado di rischio e di responsabilità giuridica sono disposti ad accollarsi. Occorrerà, inoltre, avere contezza delle loro capacità tecniche e amministrative, del grado di concordia esistente, dell’entità dei capitali di proprietà di cui possono disporre, della loro capacità di ricorso al prestito. Sulla base di tali elementi viene operata la scelta del tipo d’impresa ritenuto più conveniente. In sede di istituzione dell’impresa, la scelta della sua struttura legale può essere operata tra la soluzione individualistica e quella societaria. -Il carattere individuale del sistema-azienda può accogliersi quando il suo soggetto possiede i capitali propri occorrenti per l’espletamento dell’attività e riesce a procurarsi quelli ottenibili dalla fonte esterna; è in possesso delle capacità tecniche richieste dall’amministrazione economica del-l’azienda; è disposto ad assumere i rischi insiti nella conduzione aziendale; non intende far partecipare altri soggetti alle vicende gestionali. -L’impresa di società in nome collettivo si addice quando i soci sono in grado di procurarsi i mezzi e i capitali necessari, assumendosi i rischi della conduzione in modo illimitato e solidale. -L’impresa di società in accomandita semplice ricorre, invece, quando alcuni soci, disposti ad assumere la responsabilità illimitata per la loro ingerenza negli affari dell’impresa, non possiedono i capitali necessari, per cui si uniscono ad altri soci che conferiscono i mezzi occorrenti acquisendo la responsabilità limitata. -L’impresa di società per azioni è adatta a unità di elevate dimensioni quando i soci promotori non sono in possesso dell’intero capitale sociale e non intendono assumere una responsabilità illimitata, ricorrendo pertanto al capitale dei risparmiatori disposti a effettuare sottoscrizioni. Alle imprese di dimensioni non rilevanti, che non richiedono ingenti mezzi esterni di finanziamento, i cui promotori si rivolgono a una ristretta cerchia di soggetti per integrare il proprio capitale di apporto. Sono individuabili cause generiche e specifiche, di natura economica ed extraeconomica, che possono indurre il soggetto a modificare la propria forma giuridica. Le cause generiche di mutamento di veste societaria possono essere di natura fisiologica, legate alla volontà di migliorare le condizioni prospettiche di equilibrio, e di natura patologica, connesse al ripristino di tali condizioni a seguito di disfunzioni nei settori economico, finanziario (e monetario) e patrimoniale. Il subsistema organizzativo si occupa, da ultimo, di comporre e coordinare, unitariamente nel sistema aziendale, le varie forze personali e reali (materiali e immateriali) che in esso operano. Dal punto di vista della componente umana, il sistema-azienda può essere considerato un “gruppo di soggetti” nell’ambito del quale viene a stabilirsi un complesso schema di relazioni e di comunicazioni. Le forze personali che danno il primo impulso all’azienda risiedono in coloro che la concepiscono conferendo i mezzi necessari alla sua attuazione, predisponendo la struttura iniziale e dando avvio al suo funzionamento: tali forze costituiscono il “soggetto” aziendale rappresentato da una persona fisica (azienda individuale) o una pluralità di persone legate da un vincolo associativo di varia natura (azienda collettiva o societaria). Il sistema-azienda svolge un processo di produzione e/o consumo nel rispetto delle finalità dirette del soggetto economico, che è rappresentato da quella persona, o da quel gruppo di persone, che di fatto domina o controlla l’amministrazione aziendale ritraendone i vantaggi finali. Il soggetto giuridico è, invece, quella persona, fisica o giuridica, titolare di diritti e obblighi insorgibili dal funzionamento del sistema. In ogni azienda possono, tradizionalmente, distinguersi i seguenti gruppi di funzioni: • volitive, che interessano ogni ramo di attività e rappresentano il supremo governo amministrativo; • direttive, sia amministrative che tecniche, che svolgono anch’esse un’azione di coordinamento e di accentramento, ma in linea subordinata alle precedenti; • esecutive, sia intellettuali che manuali, che possono avere carattere più o meno qualificato o specializzato e richiedere personale più o meno specificamente preparato. Tutte le risorse umane impiegate appaiono raggruppate in centri di lavoro (uffici, reparti, servizi) tra i quali si stabiliscono legami di varia natura che dipendono dai rapporti che legano le varie funzioni aziendali. L’individuazione della forma di predisposizione delle risorse umane nella rete di relazioni che unisce le parti del sistema aziendale trova la sua espressione grafica nell’organigramma. La sua struttura varia sia in relazione alla natura specifica dell’azienda che al tipo di organizzazione adottato, mentre il suo grado di complessità dipende dalle dimensioni aziendali. PARTE 5 “IL SUBSISTEMA GESTIONALE’’ 1 Il subsistema gestionale nei suoi collegati aspetti Il processo economico, per qualsiasi tipo di azienda (produttiva di beni o erogatrice di servizi), si materializza nell’acquisizione di risorse, nel loro impiego, nell’ottenimento e collocamento di prodotti e/ o servizi, da cui si genera un processo di ritorno, in misura maggiore o minore, delle risorse inizialmente investite. Il processo produttivo si configura, in senso economico, come un insieme ordinato di operazioni omogenee, nella specie e nell’oggetto, che, classificabile in relazione alle aree funzionali, dà origine, all’unitaria gestione aziendale, scomponibile, per rendere più agevole l’analisi, in cicli distinti, includenti operazioni omogenee. È possibile così preliminarmente individuare la gestione economica, caratterizzata da: – attività tipiche, legate allo svolgimento del processo tecnico-produttivo, – accessorie, necessarie a garantire un impiego remunerativo delle risorse finanziarie eccedenti rispetto alle esigenze della gestione tipica e di quella finanziaria – straordinarie, estranee al normale funzionamento aziendale. Seguono la gestione finanziaria, volta a dare copertura al fabbisogno finanziario originato da quella economica, e la gestione monetaria, volta a sincronizzare le entrate e le uscite monetarie generate dalle altre gestioni. 2 Lo svolgimento della gestione economica Lo svolgimento della gestione economica tipica conduce al collegamento interattivo tra i due sistemi, aziendale e ambientale, che ha origine dall’acquisizione dei fattori specifici della produzione, materiali e immateriali, sui mercati di approvvigionamento, che consente di avviare il processo di trasformazione tecnica con cui si realizza il trasferimento graduale dell’utilità delle risorse originarie nei prodotti (o servizi) ottenuti; La gestione economica accessoria riguarda l’impiego di risorse finanziarie, provenienti dalla gestione tipica e da quella finanziaria, momentaneamente eccedenti rispetto alle esigenze del normale funzionamento del sistema, alle condizioni di facile realizzo e di soddisfacente economicità. La gestione economica straordinaria comprende tutte le operazioni estranee ai normali accadimenti aziendali. 3 Il fabbisogno ftnanziario Il circuito della produzione segue normalmente un andamento che, partendo dal flusso degli investimenti (sostenimento dei costi di acquisto dei fattori produttivi), si esaurisce con il flusso dei disinvestimenti (conseguimento dei ricavi di vendita dei prodotti). presuppone, a prescindere dal contenuto dei flussi informativi, il raggiungimento della massima efficacia dei processi comunicativi, elaborativi e di trattamento automatico dei dati e il cui contenuto va esteso a tutti i settori e livelli di decisioni aziendali, nell’osservazione dinamica dei relativi accadimenti. Per realizzare un sistema informativo integrato, occorre considerare i seguenti elementi: • individuazione dei flussi informativi di ogni subsistema; • definizione dei processi di elaborazione, miranti a rendere minimi i costi di trattamento dei dati; • scelta, con l’adozione di soluzioni flessibili, della dinamica di realizzazione dei processi, facendo affidamento sulle risorse disponibili; • disponibilità di un’adeguata rete di comunicazioni. Il subsistema informativo aziendale può, inoltre, dare origine a ulteriori scomposizioni in sottosistemi di grado immediatamente inferiore che presentano le stesse caratteristiche del sistema di appartenenza e che risultano fra loro integrati sia in termini di contenuti che di modalità di elaborazione. Il primo sottosistema individuabile dalla scomposizione del subsistema informativo è quello rivolto all’esterno del sistema-azienda e caratterizzato da flussi informativi provenienti dalle unità dalle quali si acquisiscono i fattori della produzione e verso le quali si collocano i prodotti finiti. Il secondo sottosistema riguarda le decisioni connesse alle operazioni e ai processi produttivi d’azienda che compongono il sistema logistico caratterizzato dai sottosistemi di produzione, di approvvigionamento, di vendita, di distribuzione e delle relazioni fra di essi. Il terzo sottosistema è definito dai flussi informativi orientati verso le decisioni direzionali attinenti al conseguimento di risultati economici e finanziari della totale combinazione produttiva e di quelle particolari impostate dalle strategie aziendali. L’ultimo sottosistema, quello per le decisioni strategiche, è rivolto a modificare le caratteristiche della generale combinazione produttiva, realizzabile in periodi lunghi. PARTE 7 “L’ECONOMIA AZIENDALE E I SUOI PRINCIPI PARAMETRICI” 1 La teoria generale e le specializzazioni per tipi di operatività Dalla concezione sistemica dell’azienda traggono origine i “principi”, applicabili sia alle aziende produttrici che a quelle erogatrici, private e pubbliche, discutibili sul piano scientifico e variabili in relazione alle mutevoli condizioni ambientali. L’economia aziendale teoretica ha raggiunto la cognizione dei seguenti principi, indicati nella sequenza temporale in cui sono stati ideati e diffusi, riconosciuti validi e rispondenti alla realtà imprenditoriale e politico-sociale: 1. il principio delle condizioni dell’equilibrio prospettico aziendale; L’equilibrio prospettico detta le condizioni economiche, finanziarie e patrimoniali da verificarsi nella loro integrazione e da studiare per istituire l’azienda, farla convenientemente funzionare e opportunamente cessare, se vengono meno dette condizioni. 2. il principio dei profili d’impresa; Tendono a rappresentare i fattori (vantaggiosi) di vita e di sviluppo o quelli (critici) di crisi.Essi esprimono gli elementi identificativi dell’azienda, dalle sue origini e nelle sue manifestazioni di vita, rappresentando le linee di forza o di debolezza che tendono ad avvicinare l’ipotetica unità aziendale a quella reale. 3. il principio dell’autorigenerazione dei processi produttivi; Esprime la possibilità che investimenti produttivi possano essere rigenerati in nuove risorse da reinvestire. 4. il principio della conoscenza profonda e della capacità di apprendimento; Sono connessi a un lento e graduale processo cognitivo di accumulazione delle potenzialità che conduce alla “competenza”. 5. il principio dell’intelligenza emotiva, valorizzativa e manageriale; Per intelligenza emotiva s’intende la capacità di capire il soggetto con cui si entra in contatto (la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui si manifesta, la capacità di concentrazione dell'attenzione e di ricerca delle motivazioni, la capacità di controllare le emozioni per il perseguimento dei prefissati obiettivi); per intelligenza valorizzativa s’intende la capacità di valorizzare una persona e capire gli aspetti positivi e negativi del soggetto con cui entra in contatto, enfatizzando quelli positivi; per intelligenza sociale s’intende la capacità di coinvolgere l’intero gruppo e creare una socialità; l’intelligenza manageriale è quella tipica del manager e che ingloba tutte le intelligenze citate; 6. il principio della comunicazione aziendale. Il nostro linguaggio permette alla persona con la quale comunichiamo di recepire il messaggio che si vuole trasmettere, quindi la comunicazione deve necessariamente essere chiara, trasparente, comprensibile e diffusa. I sei ordini di principi, che segnano il contenuto dell’economia aziendale pura, vanno considerati nella loro congiunta affermazione, condivisione e verificazione (sistema dei principi) e vanno altresì coordinati con altri principi, anch’essi riuniti a sistema, riguardanti l’elaborazione, la rilevazione e il controllo dei dati emergenti dalle attività aziendali, segnanti il contenuto della ragioneria. 8 Il processo di cambiamento per il successo aziendale Uno dei driver emotivi principali nei processi di cambiamento è rappresentato dal grado di fiducia, che presuppone un coinvolgimento emotivo, in mancanza del quale il cambiamento può fallire a causa della scarsa convinzione dei soggetti interessati. Il cambiamento è un processo di apprendimento che consente di acquisire un nuovo approccio, una nuova cultura del pensiero e dell’azione. Nel modello Change Map il successo del cambiamento è perseguibile attraverso tre fasi cicliche continue: motivazione, attivazione, riflessione, trasformando così il processo da lineare a ciclico, con tempi di rotazione a spirale più rapidi e con possibilità di calibrare il tiro quando si incontrano le difficoltà. - Attraverso la motivazione, i soggetti vengono indirizzati verso il cambiamento, lavorando sulla dimensione emotiva e creando un clima di fiducia. - L’attivazione presuppone lo sviluppo e il sostenimento del cambiamento ottenibile attraverso l’acquisizione della conoscenza, la sperimentazione di nuovi comportamenti e la definizione delle modalità di implementazione del cambiamento. - Con la riflessione si utilizzano i risultati per continuare ciclicamente il percorso, alimentando, con nuova energia, i successivi passaggi all’interno del circuito ed eliminando i difetti e le storture dei precedenti andamenti ciclici. CAPITOLO 2 PARTE 1 “IL CONCETTO DI AZIENDA E LE SUE PRINCIPALI CARATTERISTICHE” 1 Attività economiche, unità economiche e aziende Nella sua esistenza, l'uomo manifesta di continuo bisogni o desideri di varia natura, per soddisfare i quali si attiva nella ricerca di beni e servizi, ossia risorse e mezzi, atti ad appagarli. Alcuni di tali bisogni sono: - essenziali o indifferibili, poiché connaturati alla stessa sopravvivenza; altri, invece, si definiscono: - voluttuari o differibili; questi ultimi possono facilmente mutare nel tempo o subire condizionamenti esterni. Appartengono alla prima categoria bisogni quali il nutrimento, il riposo, e così via. Rientrano nella seconda i bisogni del divertimento, della cultura, e così via. «Bisogno, in significato economico, non vi è ove non vi sia carenza dei mezzi che potrebbero soddisfarlo; e non vi è nemmeno quando quei mezzi siano assolutamente inesistenti. Il bisogno presuppone il mezzo di soddisfazione e ne postula la carenza presso il soggetto che il bisogno avverte». I beni o risorse sono distinguibili in due classi: non economici ed economici. I beni non economici sono quei beni disponibili in natura in quantità illimitata, liberamente e agevolmente acquisibili, e possono pertanto soddisfare senza limitazioni i bisogni di chiunque li ricerchi. I beni economici sono invece scarsi rispetto alle esigenze degli individui, i quali non possono facilmente acquisirli e sono pertanto indotti di continuo a compiere scelte e a ingegnarsi e adoperarsi per riuscire ad appagare i bisogni avvertiti. L'attività umana è dunque diretta alla soddisfazione di bisogni o desideri, attraverso la ricerca di beni o risorse di ogni tipo. Essa viene definita attività economica, allorché diventa indispensabile l'uso di beni, risorse ovvero mezzi che sono scarsi. L'attività umana è sempre fatta di scelte; quando è di natura economica le scelte sono scelte economiche. Prima di proseguire, si rendono a questo punto opportune due puntualizzazioni: a. come si è visto, al termine beni si sono talvolta accostati altri termini quali risorse e mezzi. Ciò per rendere palese che quando si parla di beni, in particolare di quelli economici, non si fa riferimento soltanto a qualcosa provvisto di materialit, ma vi si comprendono, in primo luogo, tutti i servizi possibili (da quelli commerciali, a quelli professionali e artigianali di ogni specie, da quelli sanitari a quelli connessi alla formazione e all'istruzione, e così via); e, poi, i beni immateriali o, più in generale, ogni tipo di risorsa intangibile: si pensi alle conoscenze, alle informazioni, ma anche alle rappresentazioni artistiche e così via. b. è stato chiarito che le scelte economiche sono scelte umane, ma particolari. Ne discende che esse, in quanto tali (umane), sempre e necessariamente, risentono dell'influenza di molteplici fattori extraeconomici, di natura culturale, etica, religiosa, sociale, ideologica. Nel sistema economico odierno svolgono attività economica diversi soggetti: singoli individui, gruppi di persone, entità diversamente organizzate e complesse. Essi sono tutti unità economiche, dalle più semplici a quelle di più vaste dimensioni e di più varia composizione. In esse si consumano risorse, o si producono risorse, o, ancora, si trasferiscono risorse ad altre unità, essendo forti e frequenti le relazioni e i legami tra loro intercorrenti. Consumi, produzioni e trasferimenti sono, appunto, momenti tipici dell'attività economica.  Associazioni e fondazioni (dette talvolta, in senso ampio, organizzazioni non profit);  Amministrazioni pubbliche. Si definiscono imprese quelle aziende che acquisiscono con liberi scambi di mercato (alle condizioni per loro più convenienti possibile) le risorse produttive necessarie e cedono al mercato, sempre con liberi scambi e alle migliori condizioni possibili, il risultato delle loro produzioni. Il fine delle imprese è la massimizzazione del profitto; L'obiettivo dell'impresa deve essere quello di «dominare in certi ambiti concorrenziali grazie ad un vantaggio competitivo difendibile, scaturente da competenze distintive soggette a un continuo rinnovarsi», svolgendo un ruolo «fondato non già su posizioni di privilegio o di rendita di varia natura, ma su una superiore capacità di soddisfare il cliente, che si costruisce avanzando su di un sentiero di apprendimento imprenditoriale fecondo». All'interno della categoria delle imprese si possono, poi, individuare svariate tipologie. Per esempio, secondo l'attività produttiva svolta si può distinguere tra: – imprese manifatturiere (che trasformano con la propria attività materie prime in prodotto finito); – imprese commerciali (all'ingrosso o al dettaglio), che rendono disponibili in tempi e luoghi diversi un determinato bene senza lo svolgimento di una trasformazione tecnica; – imprese di servizi (trasporti, credito, assicurazione, informazione, pubblicità, e così via). Da un altro punto di vista, può distinguersi tra l'impresa padronale e l'impresa ad azionariato diffuso (public company). L'impresa padronale, o a proprietà concentrata (modello assai diffuso nel nostro paese), si caratterizza per l'appartenere a un numero ristretto di persone, spesso legate da rapporti familiari, se non addirittura a una sola persona. Si deve anche notare che le possibilità di crescita restano spesso limitate da due fattori: 1. la dimensione del patrimonio personale degli stessi proprietari 2. il possesso di idonee competenze e capacità atte a gestire lo sviluppo All'estremo opposto si colloca la public company, caratterizzata da una proprietà frazionata e diffusa tra una moltitudine di soci, che conduce a creare una netta separazione tra chi detiene il capitale dell'impresa e chi ne ha il governo. Al management è delegato tutto il potere di guida, ed esso peraltro deve dimostrare di saper contemperare i molteplici e variegati interessi che un'impresa di questo tipo ha intorno a sé. Le cooperative sono aziende che si contraddistinguono per operare, dal lato della domanda o dell'offerta (secondo il tipo), su mercati particolari e limitati, caratterizzati dal fatto che i fornitori di alcuni importanti fattori della produzione o i clienti destinatari dei prodotti ottenuti coincidono con gli stessi proprietari. I soci della cooperativa, difatti, mentre sono titolari di una quota del capitale, assumono, al contempo, la veste di: - conferenti fattori specifici della produzione (materie e prestazioni di lavoro), nelle cooperative cosiddette di trasformazione e in quelle di lavoro; -destinatari dei beni o servizi prodotti, nelle cooperative cosiddette di consumo. Le associazioni e le fondazioni, invece, acquisiscono gratuitamente la disponibilità di alcuni fattori della produzione e/o cedono gratuitamente beni e servizi a talune categorie di utilizzatori. In generale, in questa categoria si possono comprendere tutte quelle aziende, spesso dette organizzazioni non profit (ONP) o del «terzo settore», che pur però producendo beni e servizi di rilevanza pubblica (quali la gestione di un museo pubblico, di un impianto sportivo o l'assistenza ai disabili di una certa comunità territoriale) non appartengono alla pubblica amministrazione. Esse sono unità economiche private che beneficiano del volontariato, di apporti gratuiti (e comunque non derivanti da scambi di mercato) dei fattori della produzione, oppure dell'esistenza di un patrimonio gratuitamente conferito. Il fatto che tali aziende non possono distribuire gli eventuali utili ai conferenti il patrimonio sociale ha spinto a definirle, come si è detto, non profit; Infine, si ricordano le aziende facenti parte dell’amministrazione pubblica in generale. In tale ambito si comprendono unità economiche che cedono gratuitamente o a prezzi «politici» e quindi per nulla remuneratoli i propri servizi alla collettività organizzata su un territorio. Può trattarsi di aziende appartenenti ad amministrazioni pubbliche centrali (per es., Ministeri, Agenzia delle Entrate, ANAS), ad amministrazioni territoriali (per es., Regioni, Province, Comuni, Università, Organismi sanitari), a enti di previdenza e assistenza (per es., INPS, INAIL). PARTE 2 “L’AMBIENTE, IL RISCHIO ED IL CONCETTO DI ECONOMIA AZIENDALE” 1 Ambiente e azienda «responsabile» L'ambiente è definito, pressoché unanimemente, come l'insieme delle condizioni e delle circostanze, di varia natura, nelle quali le aziende operano, e dei fenomeni e degli aspetti del mondo circostante, che trovano riflesso nei loro comportamenti. Il successo di un'azienda si misura solitamente in termini di sintonia con il contesto ambientale di cui fa parte. Contesto che, come si è già ricordato, è fortemente dinamico. Nel suo stato normale, l'azienda è orientata ad adeguarsi alle evoluzioni e ai continui mutamenti dell'ambiente circostante, ed è pronta a recepirne le innovazioni e a coglierne le opportunità. Nell'ambiente sono anzitutto individuabili una serie di sistemi (in realtà meglio definibili sottosistemi del macrosistema ambiente) con i quali più direttamente il sistema aziendale entra in relazione e dialoga. I sottosistemi ambientali a più diretto contatto con l'azienda sono rappresentati dai vari mercato presenti al suo esterno: – mercato del lavoro – mercato dei capitali – mercato delle materie prime e dei servizi – mercato della tecnologia – mercati di sbocco. Il sistema azienda e tali sottosistemi si trovano poi tutti inseriti nel macrosistema rappresentato dall'ambiente fisico, politico, sociale, culturale, legislativo, ed economico generale. I fattori ambientali possono avere un impatto positivo o negativo sull'azienda e tradursi, quindi, in opportunità o minacce, che vanno valutate parallelamente ai suoi punti di forza e di debolezza. È quanto si richiede allo strumento della SWOT analysis (strength-weakness- opportunity-threat cioè: forza-debolezza-opportunità- minaccia) attraverso il quale si delineano quelle decisioni strategiche che consentono di massimizzare i punti di forza, di eliminare i punti di debolezza, sfruttare le opportunità e neutralizzare le minacce. I fattori ambientali potrebbero, ad esempio, per un'impresa operante nel settore del turismo, essere distinti in quattro categorie: condotte di ispirazione etica e sociale che si dichiara di perseguire. 2Il rischio e l'ambiente: definizioni e tipologie di rischio L'analisi del rischio, inteso, almeno in prima approssimazione, soltanto come probabilità di evoluzione sfavorevole delle condizioni ambientali, appare, a questo punto, premessa indispensabile di un comportamento aziendale di tipo «attivo». Il rischio ritrova le sue origini, peraltro, non solo nella variabilità dell'ambiente, ma anche nella imperfetta conoscenza che di esso hanno gli uomini che governano le aziende. Il rischio, che si può definire quindi come il potenziale verificarsi di eventi che siano in contrasto con gli obiettivi che l'azienda si pone, ha due principali cause, secondo il più comune pensiero: - la complessità del futuro - la limitata capacità previsionale dell'uomo. Esso è da considerare condizione esistenziale ineliminabile di ogni azienda. Le parziali manifestazioni del rischio economico generale definiscono i cosiddetti rischi «particolari», che concorrono congiuntamente a disegnare quello che è comunemente definito il «sistema dei rischi» che, come tale, riflette il carattere sistemico dell'azienda stessa. Esempi di rischi particolari sono: – rischi operativi (legati all'espletamento delle attività caratteristiche) – rischi di mercato – rischi strategici – rischi di credito – rischi reputazionali – rischi connessi a violazioni normative e a irregolarità comportamentali. Ciascun rischio particolare presenta diversi caratteri che concorrono a configurare la cosiddetta entità del rischio. Questa dipende dall'entità del danno, dalla probabilità di manifestazione dell'evento rischioso, dalla durata del rischio e dalla durata delle manifestazioni del rischio. L'entità del danno consiste nella massima perdita che potrà derivare dall'effettivo verificarsi dell'evento sfavorevole. La probabilità di manifestazione è data dal grado di certezza che è possibile assegnare al verificarsi dell'evento dannoso. La durata del rischio misura l'intervallo temporale che intercorre tra la genesi del rischio e la sua cessazione, per il manifestarsi o il venir meno dell'evento rischioso. Infine, la durata delle manifestazioni del rischio separa la prima manifestazione dell'evento rischioso dalla cessazione completa degli effetti dannosi connessi a tale evento. L'evoluzione dell'entità dei rischi è influenzata dalle politiche aziendali, che, per gli effetti che provocano sulle condizioni di rischiosità aziendali, si possono classificare in due distinte tipologie: le azioni volte ad attenuare l'entità del rischio, agendo sulle cause che lo determinano; e le azioni volte a controllare gli effetti dannosi del rischio. Si potrebbe ipotizzare una possibile contrapposizione tra due comportamenti alternativi: uno tendente a una continua e progressiva crescita dell'azienda, in modo tale da assorbire e controllare zone sempre nuove di ambiente e l'altro, volto, invece, a concentrare sempre di più la struttura su un «nucleo» circoscritto, meglio governabile. Nessuna delle due alternative strategiche comporta l'eliminazione totale dei rischi. Le origini della scienza dell' Economia Aziendale sono convenzionalmente collocate a inizio '900, e vengono poste in relazione ad alcuni fenomeni evolutivi, tra cui inanzitutto: – il pensiero filosofico, politico, economico, sociale e scientifico manifestava segni di insoddisfazione e voglia di rinnovamento – le aziende viventavano più complesse, dal punto di vista dimensionale, tecnologico, mercelogico e finanziario. L'azienda è definita come: Istituto ecnomico atto a perdurare che, per il soddisfacimento die bisogni umani, compone e svolge in continua coordinazione, la produzione o l'acquisizione e il consumo della ricchezza. Gino Zappa (1879-1960) viene considerato padre fondatore dell’Economia Aziendale. Egli indicò nel reddito il fondamentale indicatore del risultato economico dell'attività d'impresa. Il principio fondante della visione zappiana riguarda i due connotati fondamentali dell’azienda, ossia la visione sistemica e il perdurare nel tempo. L’economia aziendale enuncia leggi e teorie che derivano dall’osservazione dei fatti e dei fenomeni aziendali. Tale disciplina ha rapporti anche con altre scienze economiche differenti quali: La macroeconomia, che studia i comportamenti collettivi e i loro effetti aggregati a livello nazionale o sovranazionale (cicli economici, prezzi, inflazione, ecc.); La microeconomia, che studia scelte e comportamenti di singole unità economiche guardate dall’esterno, nei riflessi sul sistema economico generale; L’economia industriale, che studia l’organizzazione produttiva dei settori, le politiche delle imprese che ne fanno parte e la struttura ed il funzionamento dei relativi mercati. PARTE 3 “LA GESTIONE AZIENDALE ED I SUOI MOMENTI TIPICI” 1 Le operazioni tipiche di gestione La gestione, in prima approssimazione è rappresentata dall'insieme di operazioni compiute dal fattore umano sul capitale, attraverso le quali si esplica la funzione di creazione di utilità propria di ogni azienda. L'operazione, nella sua essenza tecnico-giuridica, è l'unità elementare della com-plessa attività di gestione. Infatti, la gestione di ogni azienda si può concepire come un grande processo, articolato in tre fasi fondamentali: - approvvigionamento dei fattori della produzione (compreso il denaro); - trasformazione/produzione (da intendersi, come si vedrà, come creazione di utilità economica); - scambio del risultato (output) della combinazione produttiva. Nel circoscrivere il discorso seguente alle aziende-imprese, si evidenzia che la fase dell'approvvigionamento comprende le azioni mediante le quali si acquisiscono i diversi fattori produttivi necessari per lo svolgimento dell'attività. I fattori produttivi possono essere sia materiali (ad esempio, materie prime, macchinari, immobili, etc.) che immateriali (si pensi ai brevetti, alle licenze, etc.). Anche i servizi (le consulenze professionali, ad esempio) sono fattori della produzione. Tra i fattori produttivi, un ruolo di spicco spetta al denaro; esso rappresenta il fattore produttivo generico, la cui disponibilità costituisce precondizione per l'acquisizione di tutti gli altri. La fase della trasformazione (o produzione) comprende le operazioni attraverso le quali vengono impiegati i fattori produttivi specifici per ottenere prodotti o servizi che saranno, poi, oggetto di scambio sul mercato di sbocco. La produzione non va necessariamente intesa come lavorazione fisico-tecnica della materia prima ma, più ampiamente, come creazione di utilità economica. L'attività aziendale si giustifica se il valore dei risultati conseguiti (output) è superiore al valore dei fattori impiegati e consumati per ottenere tali risultati (input). La fase dello scambio, infine, comprende tutte le operazioni attraverso le quali l'impresa colloca sui mercati di sbocco i risultati della sua attività di trasformazione; senza la fase dello scambio, la maggiore utilità creata con la trasformazione dei fattori produttivi in prodotti/servizi resta solo potenziale. Le fasi dell’approvvigionamento e dello scambio mettono in contatto l'impresa con l'ambiente esterno mentre la fase di trasformazione è quasi sempre interna all'impresa. Le operazioni di gestione sono strettamente collegate nel tempo e nello spazio: -nel tempo, in quanto la gestione ha un andamento ciclico. -nello spazio, in quanto nello stesso momento vengono attivate simultaneamente diverse operazioni di gestione che tra loro sono legate da qualche interdipendenza. 2 I fattori della produzione ed il fenomeno dell’obsolescenza Ogni azienda necessita, per l'ottenimento del prodotto/servizio offerto, di fattori produttivi individuabili, in prima istanza, nel capitale e nel lavoro. 1) Il capitale non deve intendersi costituito solamente da mezzi monetari, perchè i mezzi monetari vengono investiti per l'acquisto di beni e servizi utili allo svolgimento dell'attività aziendale (immobili, macchinari, automezzi, computer, brevetti, materie prime, servizi di assicurazione, etc.). Una prima classificazione, nell'ambito dei fattori produttivi, viene posta tra fattori materiali e immateriali, a seconda che si tratti di beni tangibili (merce, materie prime, macchinari, impianti, immobili) oppure intangibili (diritti di brevetto, diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno, marchi). Una seconda importante distinzione viene, invece, posta in funzione della durata di utilizzazione dei fattori produttivi. A tal proposito, si individuano fattori della produzione che cedono gradualmente nel tempo la propria utilità, nel senso che partecipano ripetutamente all'attività produttiva aziendale che si attua in un arco temporale più o meno esteso e prendono il nome di fattori a fecondità ripetuta (FFR). Esempi di fattori a fecondità ripetuta, anche detti fattori pluriennali, sono i macchinari, gli automezzi, le attrezzature, i diritti di brevetto e di concessione. Vi sono, d'altra parte, fattori produttivi che nel momento in cui sono utilizzati cedono interamente i propri servizi a vantaggio dell'attività produttiva cui hanno partecipato; questi, pertanto, vengono detti fattori a fecondità semplice (FFS). Esempi di fattori a fecondità semplice, anche detti fattori a breve ciclo di utilizzo, sono le materie prime e le merci, le quali una volta utilizzate (o cedute) non possono apportare alcun ulteriore contributo utile all'attività futura. Una volta iniziato l'impiego dei FFR, il valore delle utilità residue che gli stessi possono rendere al processo produttivo tende a ridursi gradualmente. Se in un dato istante, successivo al momento dell'iniziale impiego, si vuole assegnare un valore ai fattori a fecondità ripetuta, quali elementi positivi del capitale (patrimonio) a disposizione dell’azienda, esso prende il nome di valore residuo ed è temporaneamente a terzi mezzi monetari disponibili e che non si ritiene opportuno impiegare nell'acquisto di fattori produttivi. Le operazioni rientranti nel circuito della produzione sono quelle relative a:  l'acquisizione sui mercati di approvvigionamento dei fattori produttivi, ossia dei beni e servizi che sono necessari per attivare la combinazione produttiva e per l'ottenimento del prodotto/servizio;  l'utilizzazione dei fattori produttivi per dar vita alla combinazione produttiva e trasformare i fattori medesimi in prodotti/servizi;  la vendita sui mercati di sbocco dell'output ottenuto dalla combinazione produttiva. Il circuito della produzione, pur essendo di fondamentale importanza, non è, tuttavia, l'unico che si svolge all'interno dell'impresa. Infatti, vi sono anche le operazioni relative ai circuiti dei finanziamenti attinti che servono a dotare l'impresa dei mezzi monetari indispensabili per l'avvio e lo svolgimento della sua attività produttiva. L'approvvigionamento di mezzi monetari, come anticipato, può venire da due fonti:  dai proprietari dell'impresa sotto forma di capitale di rischio;  da terzi finanziatori sotto forma di capitale di credito. Le risorse monetarie che pervengono attraverso conferimenti di denaro da parte dell'unico proprietario, nell'impresa individuale, o dei soci, nell'impresa societaria, costituiscono il capitale di proprietà conferito (circuito del capitale di proprietà); tali risorse vengono sottratte alla disponibilità personale dei promotori dell'impresa e vincolate all'andamento dell'attività aziendale. Il capitale di proprietà viene conferito senza obblighi temporali di restituzione; solitamente si ritiene vincolato in modo permanente all'impresa, nel senso che, salvo situazioni particolari (ad esempio, il recesso del socio, quando ammesso), non verrà restituito ai proprietari fino a quando non diventi esuberante per le esigenze della gestione o fino a quando non si voglia cessare l'attività aziendale. Il capitale di proprietà apportato dai promotori dell'impresa cui si aggiunge la nuova ricchezza prodotta per effetto della gestione e mantenuta nell'economia dell'impresa, viene anche denominato «capitale di rischio», a sottolineare l'incertezza della sua remunerazione e la possibilità che sia in tutto o in parte perso per effetto di risultati economici negativi. Per quanto riguarda, invece, il circuito del capitale di credito, va evidenziato che i mezzi monetari attinti da terzi finanziatori a prestito prevedono una data di rimborso predeterminata e una remunerazione (interessi passivi), fissata dalle condizioni contrattuali, che di solito prescinde del tutto dalle circostanze in cui si svolge l'attività produttiva e dai risultati che da essa derivano; Detto del circuito della produzione e dei finanziamenti attinti, va ricordato che l'azienda potrebbe attivare anche il circuito dei finanziamenti concessi. Infatti, può accadere che in un dato istante l'azienda si ritrovi a disporre di mezzi monetari eccedenti il proprio fabbisogno indotto dal circuito della produzione e, dunque, decida di effettuare degli investimenti accessori per rendere fruttifere le proprie disponibilità monetarie; La creazione di ricchezza per un'impresa è legata principalmente alle operazioni relative al circuito della produzione, ossia a quello che costituisce il core business aziendale. L'investimento dei mezzi monetari al momento esuberanti rispetto alle necessità del circuito della produzione potrebbe avvenire anche in forme tecniche diverse dalla concessione di prestiti a terzi; per tale motivo, sarebbe opportuno parlare di circuito degli «investimenti accessori» (e non dei «finanziamenti concessi» che resta, però, la denominazione più diffusa). Infine, si osserva che, tanto il circuito della produzione quanto quello dei finanziamenti concessi, comportano, in fase di avvio, un esborso di mezzi monetari e, in fase di chiusura, un recupero di mezzi monetari; pertanto, da questo punto di vista, essi possono essere riuniti in un unico circuito denominato degli investimenti. Allo stesso modo, poiché sia il circuito dei finanziamenti attinti a prestito che quello dei finanziamenti a titolo di capitale di proprietà comportano, in fase di avvio, un incremento di mezzi monetari e, in fase di chiusura, un esborso di mezzi monetari, essi possono essere riuniti in un unico circuito denominato dei finanziamenti. 2 La gestione come sistema di valori Le operazioni aziendali possono essere classificate secondo numerosi criteri. Se si fa riferimento all'attivazione o meno di una relazione di scambio con i mercati (di approvvigionamento, di collocamento dei prodotti finiti, dei capitali, etc.) le operazioni possono essere distinte in:  operazioni di gestione esterna. Pongono l'azienda in relazione di scambio con un soggetto a essa esterno (lavoratore, cliente, fornitore, etc.);  operazioni di gestione interna. Non pongono l'azienda in una relazione di scambio con l'ambiente esterno (ad esempio, l'attività di trasformazione delle materie prime in prodotti finiti). In campo economico-aziendale, l'operazione di scambio presenta i seguenti requisiti:  l'intervento di due o più soggetti (l'azienda e un altro soggetto);  la cessione di un bene, di un servizio da un soggetto a un altro;  una contropartita in denaro (o in natura, in alcuni casi) in direzione opposta;  l'esistenza di una correlazione tra due prestazioni;  la possibilità di misurare il valore delle prestazioni che vengono scambiate. Le fasi di gestione esterna, ossia la fase di approvvigionamento (del fattore produttivo generico «danaro» e dei fattori produttivi specifici) e quella di scambio sul mercato di sbocco, vengono esaminate considerando i loro effetti da due punti di vista: quello finanziario e quello economico. Osservare la gestione sotto il profilo finanziario significa considerare i movimenti di moneta che le operazioni di approvvigionamento, vendita, finanziamento etc. determinano. A prima vista, i movimenti di denaro possono essere rappresentati da uscite o da entrate. Le uscite corrispondono a diminuzioni dei mezzi monetari a disposizione dell'impresa; si parla al proposito di variazioni finanziarie negative. Le entrate corrispondono a incrementi dei mezzi monetari a disposizione dell'impresa; si parla in questo caso di variazioni finanziarie positive. Le variazioni finanziarie e i valori che ne derivano possono presentare un diverso grado di «immediatezza» monetaria. Infatti, le variazioni finanziarie positive indotte dalla cessione dell'output della combinazione produttiva possono essere rappresentate da:  incremento del denaro contante e delle disponibilità sui conti correnti bancari e postali;  incremento dei crediti di funzionamento. Le variazioni finanziarie negative conseguenti all'acquisto dei fattori della produzione, d'altra parte, possono essere rappresentate da:  diminuzioni del denaro contante e delle disponibilità sui conti correnti bancari e postali;  incremento dei debiti di funzionamento. Osservare le operazioni sotto l'aspetto economico, invece, significa considerare il contributo delle stesse alla creazione/distruzione della ricchezza conferita dai proprietari. Da questo punto di vista, l'acquisto di fattori della produzione determina un consumo di ricchezza; l'entità dei mezzi monetari che fuoriescono dall'impresa all'atto dell'operazione di approvvigionamento viene utilizzata per misurare il consumo di ricchezza o, in altri termini, il costo di acquisizione del fattore della produzione. Quindi in sintesi l'operazione di approvvigionamento di un fattore della produzione determina, dal punto di vista finanziario, un'uscita di mezzi monetari (immediata o posticipata in caso di debito di regolamento) e, dal punto di vista economico, un costo di acquisizione di pari importo. La cessione del prodotto/servizio sul mercato di sbocco determina la creazione di nuova ricchezza o, in altri termini, un valore di ricavo misurato dalla quantità di mezzi monetari che affluiscono all'impresa. Oltre alle operazioni rientranti nel circuito della produzione, vi sono quelle relative al circuito dei finanziamenti attinti. L'approvvigionamento di mezzi monetari può venire da due fonti:  dai promotori dell'impresa sotto forma di capitale di rischio;  da terzi finanziatori sotto forma di capitale di credito. E' opportuno precisare la distinzione tra debiti e crediti di funzionamento e di finanziamento. I primi sorgono nelle operazioni di approvvigionamento e di scambio per sostituire provvisoriamente pagamenti e incassi monetari e hanno come contropartita variazioni economiche negative (costi) e positive (ricavi); i debiti e i crediti di finanziamento, invece, sorgono per effetto di autonome negoziazioni di denaro e hanno come contropartita rispettivamente variazioni finanziarie positive (incremento di mezzi monetari) e negative (deflusso di mezzi monetari). 3 L'analisi delle variazioni nelle imprese La capacità dell'azienda di creare ricchezza dipende dal complesso delle operazioni aziendali, non soltanto dalle operazioni esterne. Al fine della determinazione del risultato della gestione, ha un ruolo centrale l'analisi delle variazioni indotte dalle operazioni di gestione esterna. Ognuna di queste operazioni che, come si ricorderà, sono state raggruppate in quattro circuiti (della produzione, dei finanziamenti attinti a titolo di capitale di proprietà e a titolo di capitale di prestito e dei finanziamenti concessi), determina (almeno) una variazione finanziaria; contemporaneamente, può esservi una variazione economica. per la maggior parte delle categorie di interessati la sua conoscenza è funzionale all’assunzione di corrette decisioni economiche. La direzione aziendale (o management), per esempio, se ne serve per decidere quali azioni intraprendere per garantire la sopravvivenza e l’evoluzione del sistema aziendale. La proprietà, invece, lo impiega per valutare i manager e per conoscere la misura massima di ricchezza che può prelevare senza per questo compromettere gli andamenti futuri della gestione. Le banche e le altre società finanziarie usano il dato del reddito di periodo, insieme ad altre informazioni (monetarie e non), per valutare le imprese che chiedono finanziamenti. Si mostrano, infine, interessati al reddito di periodo anche i seguenti soggetti: fornitori, clienti, personale, comunità sociale, ecc; e, non da ultimo, anche il fisco, a ragione del fatto che esso costituisce la «base» per la determinazione delle imposte. Per il calcolo del reddito di periodo si fa uso della competenza economica, la cui funzione è quella di fornire le indicazioni per individuare i costi e i ricavi di pertinenza di circoscritti archi temporali. Le sue logiche danno forma a due modelli di determinazione del reddito: dei cicli conclusi e dei cicli in corso di svolgimento. PARTE 6 “IL MODELLO DEI CICLI CONCLUSI” 1 Il reddito di periodo secondo il modello dei cicli conclusi. la realizzazione dei ricavi e l’inerenza dei costi Il modello dei cicli conclusi è, tra i due che si analizzeranno, certamente quello che gode dei maggiori favori della dottrina e a cui le prassi aziendali dei diversi Paesi fanno prevalente riferimento. Il reddito, secondo il modello in esame, si ottiene dalla differenza tra i ricavi e i costi dei cicli che hanno trovato conclusione nel periodo preso a riferimento. La ricchezza oggetto di valorizzazione è, pertanto, soltanto quella alla cui formazione/distruzione hanno contribuito i processi terminati e non i processi ancora in corso di svolgimento. Prima di proseguire nel discorso, occorre quindi chiarire quando un ciclo produttivo può ritenersi concluso. Esso trova conclusione con le cessioni degli output, che rappresentano i momenti in cui l’impresa consegue i ricavi, cioè recupera i valori dei fattori consumati e, eventualmente, crea nuova ricchezza. Individuando la conclusione di un ciclo nello scambio e considerando ai fini del calcolo del reddito di periodo i soli valori delle utilità consumate e create dai cicli conclusi in quel medesimo periodo, si raggiunge l’effetto di conferire al differenziale di ricchezza una tendenziale oggettività, ciò in quanto, i costi e i ricavi che concorrono alla sua formazione coincidono con i prezzi delle negoziazioni già intervenute nei mercati. Lo scambio rappresenta il momento conclusivo attraverso cui si palesano differenziali positivi o negativi di ricchezza già maturata. Nel modello dei cicli conclusi un processo concorre alla creazione/distruzione della ricchezza soltanto quando i suoi output sono scambiati nei mercati. Più approfonditamente, nel modello dei cicli conclusi la determinazione del reddito di periodo richiede lo svolgimento di due distinte fasi tra loro strettamente legate da un rapporto di dipendenza. Vanno innanzitutto identificati i ricavi di competenza, che sono i ricavi conseguiti dalle cessioni di beni o dalle prestazioni di servizi. Per rimarcare la loro derivazione dagli scambi e per distinguerli dagli altri ricavi comunque conseguiti in assenza di cessioni, tali ricavi sono noti come realizzati. In una fase successiva, vanno individuati i costi di competenza, che sono i costi sostenuti per la produzione/erogazione dei beni/servizi scambiati. Anche in questo caso, per rimarcare il loro stretto collegamento con i ricavi realizzati, e per distinguerli dagli altri costi comunque sostenuti per le produzioni non ancora scambiate, tali costi sono noti come inerenti. Tra i molteplici ricavi e costi misurati finanziariamente nel corso del periodo, soltanto i ricavi realizzati e i costi inerenti concorrono alla formazione del reddito di quello stesso periodo. Nel modello dei cicli conclusi la competenza economica viene così coniugata mediante i principi di realizzazione dei ricavi e di inerenza dei costi. Un utile contributo in tal senso può derivare dal considerare i ricavi e i costi come valori relativi a ideali serbatoi di servizi: i ricavi rappresentano i valori dei servizi contenuti nei beni prodotti da cedere; i costi, i valori dei servizi contenuti nei fattori/beni da impiegare nella produzione. 2 I costi e i ricavi «da sottrarre» e quelli da «da integrare» Adottando la logica del modello dei cicli conclusi, alla formazione del reddito di periodo partecipano soltanto i ricavi conseguiti a fronte di beni (servizi) ceduti e i costi sostenuti per i fattori (servizi) impiegati nella produzione di quei beni. I costi/ricavi da rinviare (o sospesi) rappresentano, pertanto, costi/ricavi anticipati, cioè sostenuti/conseguiti in un esercizio precedente a quello di propria competenza. Osservati sotto un altro aspetto, essi riflettono valori di parti incompiute di gestione, ovvero serbatoi di servizi da impiegare/cedere nei successivi periodi; per tale motivo, sono anche conosciuti con il termine di rimanenze. Le rimanenze si distinguono in attive e passive. Le rimanenze attive rappresentano costi già sostenuti (e, quindi, anticipati o sospesi) per servizi che l’impresa ha già impiegato o impiegherà nelle lavorazioni dei successivi esercizi in vista della realizzazione di ricavi. Le rimanenze passive rappresentano ricavi già conseguiti (e, quindi, anticipati o sospesi) per servizi che l’impresa rilascerà nei successivi periodi al cliente, dopo aver sostenuto i costi necessari per la produzione degli output. Nell’ambito delle rimanenze attive o passive, una categoria speciale è rappresentata dai risconti. Anche i risconti, difatti, sono costi o ricavi anticipati, di competenza di esercizi successivi a quello in cui hanno ricevuto la misurazione finanziaria. Più approfonditamente, i risconti sono porzioni di costi/ricavi, relativi a servizi da prestare in un prefissato arco temporale compreso tra due o più esercizi, per i quali le parti hanno concordato che il pagamento debba avvenire, per intero, in via anticipata rispetto ai momenti del loro utilizzo/cessione. Nell’ambito dei costi/ricavi integrati, una categoria speciale è rappresentata dai costi/ricavi misurati dai ratei. Anche i costi/ricavi integrati dai ratei, come visto per quelli rettificati dai risconti, trovano la loro origine in servizi da prestare in un prefissato arco temporale compreso tra due o più esercizi, per i quali però questa volta le parti hanno concordato che il pagamento abbia luogo, per l’intero importo, in via posticipata rispetto ai momenti del loro utilizzo/cessione. In chiusura di periodo, allo scopo di integrare le quote di costo o ricavo dei servizi già utilizzati o ceduti che attendono ancora di ricevere la misurazione finanziaria, si rende necessaria la rilevazione di un valore, di natura comunque finanziaria, denominato per l’appunto rateo, che rappresenta il debito/credito che l’azienda ha maturato fino al 31.12 nei confronti del fornitore/cliente. Un’ulteriore particolare categoria di costi da integrare è rappresentata dagli accantonamenti, solitamente distinti in accantonamenti per rischi futuri e accantonamenti per spese future. Gli accantonamenti per rischi futuri trovano, a ben vedere, la loro genesi nel sistema dei rischi che connota lo svolgimento dell’attività d’impresa. Oltre al rischio cosiddetto generico, che riguarda l’eventualità che la misura complessiva dei ricavi possa rivelarsi inferiore a quella dei costi, l’economia di un’impresa soggiace a molteplici rischi specifici, che si riferiscono alle singole operazioni attuate volta per volta. Nei riguardi di tali operazioni, i rischi specifici sono potenzialmente in grado di determinare maggiori costi o minori ricavi. Qualora, in chiusura d’esercizio, il rischio del «pagamento o della minore entrata futura» si presenti altamente probabile, occorre procedere a un accantonamento, aggiungendovi un costo. L’inclusione dei costi stimati (degli accantonamenti) nel reddito di un esercizio precedente a quello in cui dovrebbe, con tutta probabilità, manifestarsi l’uscita finanziaria è dovuta al legame che essi presentano con gli eventi (o i fenomeni) intervenuti (o di cui si è avuta conoscenza) in quel periodo. Tali eventi possono riguardare tanto processi conclusi, quanto processi ancora in corso di svolgimento. Gli accantonamenti per spese future riflettono oneri di competenza dell’esercizio i cui pagamenti avranno sicuramente luogo in periodi successivi, anche se per importi o in momenti che potrebbero risultare diversi da quelli ipotizzati. L’integrazione dei suddetti costi consente il rispetto del principio di competenza economica e garantisce la salvaguardia dell’integrità del capitale d'impresa. Gli accantonamenti per rischi futuri accolgono invece oneri incerti, oltre che nell'ammontare e nella data di verificazione, anche nello stesso evento da cui traggono origine. 3 La composizione e la rappresentazione del reddito del primo periodo di vita dell'impresa In chiusura d’esercizio, i costi e i ricavi finanziariamente sostenuti e conseguiti dall’impresa, opportunamente integrati e rettificati mediante il principio di realizzazione e quello di inerenza, sono classificati nell’ambito di un prospetto - noto con la denominazione di prospetto del reddito - formato da due opposte sezioni, una intitolata ai componenti negativi, l’altra ai componenti positivi del reddito. Tale prospetto, la cui funzione è quella di mostrare il risultato economico dell’arco temporale considerato e le sue determinanti qualitative, assume, a ben vedere, una diversa composizione a seconda che si riferisca al primo periodo o a un periodo intermedio di vita dell’impresa. Si comincia con l’osservare che il prospetto del reddito del primo periodo di vita dell’impresa si presenta idealmente composto, sia dal lato dei componenti negativi che dal lato dei componenti positivi, da specifiche categorie di valori. La sezione dei componenti negativi accoglie, secondo un ordine discendente, le categorie dei: a) costi sostenuti nel corso dell’esercizio; b) ricavi da rinviare ai futuri esercizi; c) costi integrati Categoria a) Comprende i costi che hanno avuto misurazione finanziaria nel corso del primo anno di vita dell’impresa. Vi appartengono, soltanto per fare qualche esempio, i costi sostenuti per l’acquisto dei fattori produttivi (a fecondità semplice e ripetuta) e dei servizi necessari allo svolgimento della combinazione aziendale, nonché gli oneri corrisposti a titolo di interessi sui finanziamenti attinti con vincolo di capitale di credito. Categoria b) Accoglie i valori delle rettifiche di ricavi. Ci si riferisce ai ricavi anticipati o non realizzati e, per tale motivo, da rinviare al futuro, cioè alle cosiddette rimanenze passive. Per i componenti finanziari positivi e negativi del capitale, i valori attribuiti si presentano ragionevoli se esprimono le entrate e uscite monetarie che si avranno in futuro. La dottrina ha individuato già da tempo nei valori di presumibile realizzo diretto o indiretto, per le attività, e nei valori di presumibile estinzione, per le passività, delle fondamentali misure di «collaudo» da impiegare nei loro processi di valutazione. 2 Valori di presumibile realizzo (diretto e indiretto) e valori di presumibile estinzione  Valori di presumibile realizzo diretto e indiretto La determinazione del valore di presumibile realizzo (diretto e indiretto) richiede la preliminare stima dei ricavi che la rimanenza attiva genererà, una volta completata, all’atto dello scambio dell’output. Di questi va poi considerata soltanto una «porzione», che è quella che remunererà il costo di acquisto o di produzione già finanziariamente misurato e da rinviare al futuro. Così, ai fini della ricerca del valore da attribuire in chiusura di periodo alle rimanenze di prodotti finiti, dopo aver stimato i ricavi che si otterranno dalla loro vendita, si dovrà individuare la porzione di essi che si riferisce soltanto ai costi sostenuti per la produzione delle medesime rimanenze. Il valore che consegue dal calcolo prende la denominazione di valore di presumibile realizzo diretto. Analogo è il ragionamento da seguire per la valutazione delle rimanenze di materie prime; vanno stimati i ricavi che si otterranno dalla vendita dei beni/prodotti finiti al cui approntamento contribuiscono, insieme ad altri fattori, le medesime materie prime; Il valore così calcolato assume la denominazione di valore di presumibile realizzo indiretto. Il valore di presumibile realizzo diretto può essere impiegato per la valutazione delle rimanenze di fattori e prodotti destinati alla vendita. Il valore di presumibile realizzo indiretto può essere impiegato per la valutazione delle rimanenze di fattori e prodotti destinati all’utilizzo nei processi produttivi e, quindi, all’approntamento dei beni o prodotti finiti.  Valori di presumibile estinzione Si passa adesso a considerare il comportamento da assumere nella valutazione delle passività. Queste ultime coincidono con i ricavi conseguiti in via anticipata rispetto agli scambi (rimanenze passive) e con i valori finanziari negativi dei debiti di funzionamento/finanziamento e dei debiti presunti (che hanno misurato gli accantonamenti per rischi futuri e per spese future). In tutte queste circostanze, la valutazione deve essere effettuata al valore di presumibile estinzione, vale a dire all’importo che occorre versare alla scadenza per adempiere all’obbligo assunto. Il valore di presumibile estinzione di norma coincide con il valore originario (nominale) o accertato. Può tuttavia verificarsi che l’operatore, in chiusura di periodo, confidando in specifici eventi occorsi durante la gestione, abbia stimato il pagamento di importi inferiori rispetto a quelli di cui aveva iniziale conoscenza. Ciò porta a configurare, per ogni passività, uno spazio di valori ragionevoli compreso tra il valore originario (limite superiore) e il valore di presumibile estinzione (limite inferiore). Alla luce di quanto prima osservato, ogni altro valore che si posizionasse al di sotto del valore di presumibile estinzione si presenterebbe irragionevole. Qualora invece alle passività si attribuissero i valori compresi nella fascia di valori ragionevoli, di fatto, si anticiperebbero all’esercizio utili non ancora conseguiti ma soltanto «sperati». Nel modello dei cicli conclusi, i valori da attribuire in chiusura d’esercizio alle attività e alle passività del capitale aziendale, oltre a essere ragionevoli, devono possedere la massima probabilità di verificazione. Ciò comporta per l’operatore l’impossibilità di attingerli liberamente nell’ambito delle fasce di valori ragionevoli. Il reddito di periodo che consegue dall’applicazione del modello dei cicli conclusi è noto come realizzato, proprio poiché alla sua formazione partecipano soltanto i ricavi realizzati a seguito degli scambi, e non quelli stimati delle attività e passività del capitale aziendale. Ai valori di costo e originari si devono preferire i più bassi valori di presumibile realizzo diretto o indiretto, per le attività, i più alti valori di presumibile estinzione, per le passività. Le valutazioni delle attività e passività sono pertanto ispirate dal principio della prudenza, secondo il quale:  le attività si devono valutare al costo di acquisto o di produzione, a eccezione dei casi in cui il valore di presumibile realizzo diretto o indiretto si presentasse inferiore al costo ( convenzione del minor valore per le attività);  le passività si devono valutare al valore originario, a eccezione di casi in cui il valore di presumibile estinzione si presentasse superiore a quello originario (convenzione del maggior valore per le passività). Un trattamento conseguente a tale nozione di prudenza viene efficacemente detto asimmetrico, in quanto vieta l’anticipazione di utili sperati ma richiede la considerazione delle perdite anche se solo temute. 3 Il reddito di periodo secondo il modello dei cicli in corso di svolgimento Al fine di garantire un’attendibilità al risultato ottenuto attraverso l’utilizzo del modello dei cicli in corso di svolgimento, nell’ambito dei valori ragionevoli, s’individua il fair value come valore di riferimento, essendo agganciati ai prezzi di mercato. Il modello dei cicli in corso di svolgimento è anche denominato modello di riferimento dell'International Accounting Standards Board, la logica fatta propria da tale modello non è quella del reddito realizzato ma di quello maturato. Tale modello giunge alla definizione del reddito di periodo osservando il capitale. Di conseguenza, l'attenzione non è più incentrata sui costi e sui ricavi ma sulle attività e sulle passività del capitale. PARTE 8 “L’EQUILIBRIO ECONOMICO” 1 Le condizioni di equilibrio economico della gestione Un'impresa opera in condizioni di equilibrio economico quando riesce mediante i ricavi a coprire i costi (offrendo il giusto riconoscimento alle aspettative di tutti quanti hanno dato un contributo allo svolgimento dell'attività) e a garantire anche una remunerazione adeguata al capitale di rischio. Non è, quindi, sufficiente che un'impresa consegua un utile perché possa concludersi che sia stato raggiunto l'equilibrio economico ovvero sia stato creato valore; L’utile si origina dalla differenza fra i ricavi conseguiti dalla vendita di beni e servizi e i costi connessi all'impiego dei fattori produttivi; quando, Rf = 2% Rm = 7% Rp = (Rm - Rf) = 5% beta = 1,25 Si ha che: Ke = 2% + (7% - 2%) * 1,25 = 8,25% Ciò vuol dire che solo se il rendimento del capitale proprio (ROE) è superiore all'8,25%, l'azienda opera in condizioni di equilibrio economico. Quindi, ritornando all'esempio precedente, un'impresa con un capitale proprio di € 10.000, con rendimento del capitale proprio del 10% e un costo del capitale proprio appunto dell'8,25%, ha creato nuovo valore per gli azionisti nella misura di (0,10 - 0,0825) x 10.000 = € 175. In formula (ROE - Ke) x CN = reddito residuale. 2 L'analisi della redditività e la riclassificazione del prospetto del reddito Le gestioni parziali in cui viene solitamente scomposta la globale e unitaria gestione aziendale sono le seguenti:  la gestione caratteristica o tipica, che comprende le operazioni in cui l'impresa è tipicamente impegnata (il core business) o, in altri termini, quelle relative all'oggetto dell'impresa. Si tratta, in definitiva, dell'area che genera i rapporti di scambio con clienti e fornitori;  la gestione accessoria che raccoglie, invece, le operazioni di natura «complementare» rispetto all'attività caratteristica, che producono flussi di reddito aggiuntivi  la gestione finanziaria la quale comprende gli effetti reddituali riconducibili ai finanziamenti attinti, cui si ricorre allorquando l'impresa si trova in condizioni di deficit di liquidità. In quest'area rientrano gli oneri finanziari;  la «gestione straordinaria»: raggruppa componenti positivi e negativi di reddito che presentano la caratteristica di non ripetitività (svalutazioni), di eccezionalità (plusvalenze e minusvalenze sulla vendita di FFR, sopravvenienze) e di non controllabilità (furti, incendi, etc.).  la «gestione tributaria»: comprende i componenti di reddito che non sono connessi all'acquisto di fattori della produzione ma che rappresentano quella quota del risultato che viene «devoluta» all'Amministrazione Finanziaria in cambio dei servizi resi dalla Pubblica Amministrazione. Dei risultati delle varie gestioni, il più importante è quello della gestione caratteristica, che prende il nome di risultato operativo. L'analisi del risultato della gestione caratteristica si può fondare su due differenti schemi di analisi: il primo è quello che individua il valore della produzione ottenuta e il valore aggiunto e il secondo è quello a ricavi e costi del venduto. Il valore della produzione ottenuta è un dato ottenuto sommando ai ricavi netti di vendita, il valore delle produzioni interne di FFR. Come denota la stessa espressione, esso non tiene conto dei soli ricavi di vendita ma anche di quella produzione che si è ottenuta nel periodo (rimanenze di prodotti finiti, semilavorati, etc.) ma che è in attesa di essere venduta, nonché dei fattori a fecondità ripetuta autoprodotti. Ricavi netti di vendita +/- Variazione rimanenze prodotti finiti +/- Variazione rimanenze semilavorati e prodotti in corso di lavorazione +/- Variazione rimanenze lavori in corso su ordinazione + Costi rinviati al futuro (capitalizzati) per FFR costruiti in economia = VALORE DELLA PRODUZIONE OTTENUTA Nello schema in analisi, i costi della gestione caratteristica sono divisi in esterni e interni. Quelli esterni rappresentano il valore dei fattori produttivi acquistati dall'esterno e consumati per la produzione ottenuta nel periodo; ne sono esempi i consumi di materie prime, l'utilizzo di servizi, i fitti passivi etc. Il valore aggiunto si ottiene proprio dalla differenza tra il valore della produzione ottenuta e il consumo dei beni e dei servizi acquistati da terzi (costi esterni). Il valore aggiunto mette in evidenza il valore che l'impresa riesce ad aggiungere, con la propria attività, a quello delle risorse periodicamente ottenute dall'esterno; Dal valore aggiunto, per arrivare al reddito netto, occorre dedurre ulteriori costi; in particolare, quelli interni (ossia relativi alle risorse stabilmente facenti parte della struttura aziendale, quali la retribuzione dei lavoratori e i consumi di FFR), il costo del capitale preso a prestito e il costo per le imposte. Molto significativo ai fini dell'analisi di redditività è, senza dubbio, il Margine Operativo Lordo (MOL o EBITDA in inglese), così detto in quanto è al lordo di ammortamenti e accantonamenti operativi. Esso costituisce il margine disponibile per rinnovare il capitale fisico consumato nella produzione (rappresentato dagli ammortamenti), per remunerare il capitale finanziario (attraverso gli oneri finanziari) e per pagare le imposte. Da un altro punto di vista, il margine operativo lordo è la differenza tra i ricavi e i costi caratteristici di natura finanziaria pertanto, il MOL può essere utilizzato come indicatore dell'autofinanziamento prodotto dall'impresa nello svolgere la propria attività tipica. Altro schema di riclassificazione di ricavi e costi del periodo, molto utilizzato, è quello a ricavi e costi della produzione venduta; in questo modello non si considera come aggregato di partenza il valore della produzione ottenuta, ma i soli ricavi di vendita, a cui si sottrae appunto il costo del venduto. Quest'ultimo tiene conto della variazione del magazzino di materie prime e merci e (differentemente dal costo della produzione ottenuta) anche della variazione delle rimanenze di prodotti finiti, semilavorati, in corso di lavorazione e dei lavori in corso su ordinazione. Il costo del venduto è determinato in questo modo: + Acquisti di materie prime, sussidiarie, merci + costo del personale + ammortamenti FFR + accantonamenti +/- Costi rinviati al futuro (capitalizzati) per FFR costruiti in economia +/- variazione rimanenze di materie prime, merci, prodotti finiti, etc.16. = COSTO DEL VENDUTO 3 I principali indici di redditività Il ROE esprime la redditività del capitale di rischio immesso nella gestione dai proprietari; esso considera il rapporto tra il reddito ottenuto dall'intera gestione e il capitale netto. In formula: ROE = Rn / Cn Una determinante fondamentale del ROE è il cosiddetto ROI (Return On Investment) che esprime quanto rende, in percentuale, il capitale investito da tutti i finanziatori, di rischio e di credito, nella gestione caratteristica (Reddito operativo/Capitale investito). Il calcolo di questo indice prescinde delle fonti di finanziamento cui l'impresa è ricorsa (essendo il reddito operativo al lordo degli oneri finanziari) e si limita a considerare il «ritorno» che la gestione caratteristica dà al capitale immesso in essa. In conseguenza di quanto detto la formula del ROI risulta la seguente: ROI = Ro / (Ci-K) dove: Ro = Risultato operativo della gestione caratteristica; Ci = Capitale investito (capitale proprio e capitale di terzi); K = Investimenti accessori. Per un'analisi conoscitiva più approfondita, il ROI può essere scomposto in due indici, il primo dei quali rappresenta l'indice di redditività delle vendite, cioè il reddito operativo rapportato alle vendite effettuate nell'esercizio considerato (ROS); il secondo è, invece, l'indice di produttività del capitale investito, cioè la capacità del capitale investito di produrre ricavi. In formula: ROI = ROS [= Ro / Ci] * Tasso rigiro Ci [= V / (Ci – K)] Il ROS segnala quanto redditizie sono le vendite, ossia quanto guadagna (in termini di risultato operativo) l'impresa sul proprio fatturato, mentre il tasso di rotazione del capitale investito segnala quanti ricavi l'impresa ottiene in proporzione al capitale investito nell'attività caratteristica. A questo punto, possono compiersi alcune osservazioni sulle relazioni tra il ROI e il ROE. Il ROI risente soprattutto delle scelte di gestione caratteristica e quindi dipende dalla politica della produzione, dalla politica del personale, dalla politica delle vendite, etc. e non tiene conto della selezione delle fonti di finanziamento; il ROE, invece, risente della politica industriale e della politica finanziaria attuata dall'impresa, in quanto la sua formazione è influenzata anche dalla struttura delle fonti di finanziamento. È, dunque, opportuno esplicitare la relazione sussistente tra il ROI e il ROE. Il ROE, come detto, si trova a dipendere: dalla redditività dell'area caratteristica; dall'onerosità del capitale di credito; dalla composizione delle fonti di finanziamento e dalla gestione fiscale. In altre parole, il ROE dipende dalle seguenti variabili: - ROI; - tasso di interesse medio sul capitale preso a prestito «i»; - rapporto di indebitamento «D/Cn» (debiti finanziari/capitale netto); - aliquota d'imposta sul reddito «t». La formula generale espressiva della relazione esistente tra il ROI e il ROE è la seguente: ROE = [ROI + (ROI – i) * (D / Cn)] * (1 - t) In base a questa relazione si nota che: – Innanzitutto, mentre il capitale economico guarda a tutti i flussi reddituali attesi, il capitale di funzionamento restringe volutamente l'attenzione ai soli processi in corso al momento della sua stima. Si è visto anche che, secondo che si opti per la teoria dei cicli conclusi o quella dei cicli in corso di svolgimento si perviene a quantificazioni di valori che, rispettivamente, escludono o includono i contributi reddituali positivi dei processi in corso di svolgimento al momento della determinazione del capitale di funzionamento. – In secondo luogo, esplica una rilevanza sul calcolo del capitale di funzionamento il suo legame con la misura del reddito di periodo e le convenzioni che sono conseguentemente alla base della sua determinazione quantitativa. – In terzo luogo, sempre in stretta correlazione con la strumentalità delle determinazioni del capitale di funzionamento rispetto a quelle del reddito di esercizio, convenzionalmente si riconoscono come elementi attivi del capitale di funzionamento quelle sole potenzialità di contributi positivi per i quali sia riconoscibile un costo esplicito, lasciando fuori tutte quelle che, pur indubbiamente esistenti e spesso anche significative, sono costituite da risorse immateriali (o intangibili) accumulate in maniera graduale e spontanea nel tempo. L'insieme di tali risorse è dai più considerato come capitale intellettuale, a sua volta scomponibile in tre elementi costitutivi:  capitale umano, risultante dall'insieme di competenze, conoscenze e valori insiti nell’elemento umano, da questo impiegati nello svolgimento delle proprie funzioni;  capitale organizzativo ovvero l'insieme delle «competenze aziendali strutturate e si-stematizzate»;  capitale relazionale, espresso dal valore delle relazioni e dei rapporti di fiducia con i le diverse categorie di soggetti collocati all'esterno dell'azienda e, in particolare, con i clienti. Si può infine affermare che il capitale di funzionamento rappresenta una misura convenzionalmente ridotta rispetto a quella del capitale economico, per esigenze di prudenza legate sia al rischio di distribuire utili non definitivamente acquisiti (con conseguente impoverimento della dotazione di capitale di proprietà), sia all'esigenza di non dare informazioni su consistenze patrimoniali evanescenti (e quindi potenzialmente inesistenti) a tutti coloro che, dall'esterno, guardano al capitale come fonte di garanzia patrimoniale a tutela dei loro diritti. 4 Il capitale di liquidazione Un'ultima configurazione di capitale tipica elaborata dalla dottrina economico-aziendale è quella del capitale di liquidazione. Essa si caratterizza per il fatto di ipotizzare una condizione di disgregazione dell'azienda, la quale si pone come obiettivo solo di realizzare al meglio le attività, estinguere le passività e, infine, cessare come soggetto giuridico. A rigore, un'azienda in liquidazione non è neanche un'azienda in senso stretto, dal momento che viene a mancare il carattere della coordinazione sistematica tra le parti che la compongono. PARTE 10 ''I RAPPORTI TRA LE DIVERSE CONFIGURAZIONI DI CAPITALE“ 1Le relazioni tra le diverse configurazioni di capitale La differenza tra capitale economico e il capitale di funzionamento viene definita potenzialità inespresse o riserve potenziali. La riserva potenziale esprime il valore attuale dei redditi attesi, prudenzialmente esclusi dal calcolo del capitale di funzionamento. Si parla di riserva potenziale in quanto il valore dipende da dinamiche future aleatorie ma si sa che risulta esistente ma si sceglie di tenere accantonato sottraendolo a ogni possibile distribuzione. 2 Le relazioni tra capitale di funzionamento e capitale di bilancio Il capitale di bilancio è la rappresentazione del capitale che viene espressa in quel documento ufficiale che è il bilancio d'esercizio. Il capitale di bilancio condivide con il capitale di funzionamento finalità e logiche di base, tuttavia presenta delle differenze in quanto è disciplinato dalla legge. Il capitale di bilancio può essere rappresentato diversamente dal capitale di funzionamento per i seguenti motivi: Il bilancio d'esercizio è disciplinato dalla legislazione civilistica; Tutti gli elementi che compongono il capitale di funzionamento – eccetto il denaro - implicano un'attività di valutazione che racchiude una necessaria dose di discrezionalità tecnica e soggettività; La discrepanza tra capitale di funzionamento e capitale di bilancio può trovare poi la propria ragion d'essere in una precisa volontà dell'estensore del bilancio. Secondo il segno della differenza tra capitale di funzionamento e capitale di bilancio, diverso è il suo significato economico. A.Se il capitale di bilancio è inferiore a quello di funzionamento, significa che al bilancio si è data insufficiente rappresentazione delle attività e/o valutazione eccessiva alle passività patrimoniali. La differenza tra capitale di funzionamento e di bilancio è detta riserva utile occulta. Le conseguenze prodotte dalla sottostima in bilancio del capitale di funzionamento sono:  Danneggiamento dei soci temporaneia vantaggio di quelli stabili;  Si posticipatemporalmente un prelievo fiscale (danno per l'Erario);  Si posticipa la distribuzione di dividendi ai portatori del capitale di proprietà, rafforzando la capacità dell'azienda di sopportare le conseguenze negative di eventuali future avversità. La riserva occulta costituisce una sorta di cuscinetto. B.Se il capitale di bilancio è superiore a quello di funzionamento si hanno due ipotesi: 1. Si è superato anche il livello del capitale economico: in questo caso il capitale di bilancio è vuoto di significato. La distanza tra capitale economico e di funzionamento viene definito disvelamento dell’intera riserva potenziale; la differenza tra capitale di bilancio e capitale economico, invece, si realizza un effetto di annacquamento del capitale. 2. Non si è superato il livello del capitale economico: vuol dire che si è applicato il principio della prudenza, dunque il capitale rappresentato in bilancio va comunque considerato esistente, ma il reddito che a esso si associa include anche contributi reddituali di processi produttivi in corso di svolgimento e/o quelli attesi da processi futuri. La distanza che separa il capitale di funzionamento con quello economico rappresenta potenzialità esistenti inespresse. La distanza tra il capitale conferito e di funzionamento corrisponde alle riserve di utili palesi. Le conseguenze prodotte dalla sovrastima del capitale del bilancio sono:  Danneggiamento dei soci futuri a vantaggio di quelli attuali;  Si anticipa temporalmente un prelievo fiscale;  Si anticipa la distribuzione di dividendi ai portatori del capitale di proprietà, indebolendo la capacità dell'azienda di sopportare le conseguenze negative di eventuali future avversità. 3 L'avviamento L'avviamento è la maggiore capacità di produrre utile di un'azienda già funzionante rispetto ad una di nuova costituzione. Azienda avviata può fare affidamento su una clientela fidelizzata e stabile, che ha consolidato rapporti con i propri fornitori, con i finanziatori, ha accumulato: esperienze, conoscenze del proprio personale e risorse immateriali. È possibile misurare il livello di avviamento di un’azienda attraverso il riferimento ai redditi che essa produrrà in prospettiva. Si può misurare il valore dell’avviamento di un'azienda come distanza quantitativa che separa il valore economico del capitale dalla somma algebrica dei valori degli elementi espliciti del suo capitale isolatamente considerati. PARTE 11 ''L'EQUILIBRIO FINANZIARIO E L'AUTOFINANZIAMENTO'' 1 Il concetto di equilibrio ftnanziario ed i rapporti con la struttura del capitale Il concetto di equilibrio ftnanziario si riferisce alla sua capacità di disporre del denaro occorrente per le operazioni di scambio che consentono l'attivazione dei processi di creazione di valore posti alla base dell'equilibrio economico. L’equilibrio finanziario è una condizione dinamica di armonica composizione nel tempo tra afflussi e deflussi di risorse finanziarie. La dottrina ha individuato due criteri di riclassificazione in chiave finanziaria del capitale di funzionamento: 1. La riclassiftcazione per classi di valori, distinguendo:  Per l’attivo patrimoniale in: – Immobilizzazioni. Risorse finanziarie assorbite per tempi ampi o indefiniti che generano un fabbisogno finanziario durevole (es: FFR; scorta minima di materie prime o di liquidità); – Disponibilità. Risorse finanziarie assorbite per tempi brevi che generano un fabbisogno finanziario temporaneo (es: la parte del magazzino che una volta consumata non va ricostituita; liquidità immediate).  Per il passivo patrimoniale in: – Capitale permanente che ha lo scopo di copertura del fabbisogno finanziario per tempi indefiniti (capitale di proprietà); – Passivo consolidato che ha lo scopo di copertura del fabbisogno finanziario per tempi di durata media (debiti di finanziamento scadenti oltre l’anno); – Passivo temporaneo che ha lo scopo di copertura del fabbisogno Immaginando di raffigurare graficamente le due dimensioni di sviluppo della divisione del lavoro ora descritte, potremmo, per mera comodità espositiva, qualificarle, rispettivamente, orizzontale e verticale. In senso orizzontale, rispetto alla sequenza attuativa dei circuiti gestionali, chi lavora in azienda svolge attività tendenzialmente coerenti con le proprie competenze tecniche. In senso verticale, chi lavora in azienda può prevalentemente svolgere compiti decisori o di controllo oppure di esecuzione, con vincolo di subordinazione più o meno accentuato e più o meno estesa autorità di comando. 2Dalle funzioni agli organi: criteri di specializzazione e meccanismi di coordinamento e integrazione Una eccessiva specializzazione del lavoro comporta maggiore esigenza di coordinamento. Le relazioni tra le varie competenze possono studiarsi come "interdipendenze". Esse possono essere: – Reciproche – Sequenziali – Generiche Tra alcuni operatori sussistono relazioni di interdipendenza così intense da rendere praticamente impossibile concepire come realizzabile un positivo risultato dell’attività senza il contestuale apporto di ognuno di essi: si pensi a un gruppo di medici specialisti impegnato in un intervento chirurgico. Quando il legame di interdipendenza è così forte, può usarsi la definizione di interdipendenza reciproca e l’efficace funzionamento dell’unità organizzativa presuppone la contemporanea disponibilità di differenziate competenze «tecniche». Altrettanto critica, anche se relativamente meno intensa della prima, risulta la relazione di interdipendenza tra attività ordinate in sequenza, nel senso che l'una presuppone il corretto svolgimento dell’altra e, a sua volta, costituisce la necessaria pre-condizione per l’appropriato espletamento dell’attività successiva, come avviene per il preventivo imballaggio del prodotto destinato a essere immagazzinato in vista della successiva vendita, o per il progressivo assemblaggio dei componenti di un’autovettura o per il trasferimento di un paziente dalla sala operatoria al reparto di terapia intensiva. Quindi si verifica quando l'efficace funzionamento dell'unità organizzativa si fonda su attività specializzate ordinate in sequenza. Infine si usa il termine di interdipendenze generiche, per indicare, legami dipendenti esclusivamente dall’appartenenza alla medesima azienda e, quindi, al medesimo sistema di equilibri economico- fìnanziari. Tutte queste interdipendenze comportano l'esigenza di meccanismi di coordinamento. Esistono tre diverse tipologie di meccanismi di coordinamento: – Coordinamento reciproco: si basa sull'inclinazione spontanea del lavoratore a dialogare con i colleghi di lavoro, attraverso riunioni organizzate con periodicità rigida o flessibile. – Supervisione diretta: si basa su una precisa individuazione dei ruoli dei comportamenti della struttura organizzativa e delle relative mansioni. Si identifica un soggetto che ne controlla l'esplemento. – Standardizzazione: si basa sulle capacità di anticipare e prescrivere tutti i comportamenti da adottare nei vari casi possibili. Si possono standardizzare attività, risultati attesi competenze e conoscenze. 3 I <<modelli>> nell’analisi delle strutture organizzative Le strutture organizzative si suddividono in: Struttura funzionale: La struttura funzionale è la forma organizzativa tipica della produzione industriale, fondata sulla standardizzazione delle attività lavorative: tale configurazione si accompagna, quindi, alla crescita dimensionale ed è, inoltre, adatta a una produzione di massa, in ambienti stabili, con processi razionalizzati e relativamente facili da programmare e controllare. Un evidente punto di forza della struttura funzionale è che essa favorisce il raggiungimento di economie di scala all’interno delle diverse funzioni (o, meglio, all'interno delle varie unità organizzative funzionali); lo sfruttamento di economie di scala è accresciuto anche dalla circostanza che tutti i dipendenti si trovano nello stesso luogo e possono condividere le stesse strutture. In sintesi la struttura si lascia preferire in presenza di un numero limitato di prodotti, e quindi si addice a un’impresa che ha scelto di focalizzarsi, per esempio, sulla produzione di un solo prodotto di qualità. Il principale punto di debolezza della struttura funzionale è la lentezza della risposta a cambiamenti ambientali che richiedano un coordinamento tra le diverse unità organizzative. L'innovazione, infatti, si sviluppa con processi abbastanza lenti, per diverse ragioni: la gerarchia viene sovraccaricata di decisioni da prendere; i problemi si accumulano e i top manager non reagiscono in maniera sufficientemente rapida; gli stessi dipendenti hanno una limitata visione degli obiettivi generali, e ciò non favorisce il coordinamento. Struttura divisionale: In questa struttura, le unità possono essere organizzate in base ai singoli prodotti, servizi, gruppi di prodotti o, in genere, agli output dell’azienda. La stessa struttura funzionale può essere riprogettata per gestire gruppi di prodotti, quando ogni divisione contiene unità funzionali di ricerca e sviluppo, produzione, contabilità e marketing. Il coordinamento funzionale nell’ambito dello stesso gruppo di prodotti è, così, massimizzato. La struttura divisionale ha molti punti di forza: si tratta di una struttura che può rispondere efficacemente al rapido cambiamento e a un ambiente instabile, compatibile con una accentuata versatilità dell'offerta di prodotto, che può essere adattato alle esigenze di singoli clienti o di specifiche aree geografiche. Uno svantaggio, per contro, è la perdita di gran parte delle opportunità di sfruttamento delle economie di scala: la massa critica necessaria per una consistente attività non viene quasi mai raggiunta e le strutture fìsiche devono essere duplicate per ciascuna linea di prodotto; le varie linee di prodotto, inoltre, vengono separate e il coordinamento può risultare difficile. Struttura a matrice: Talvolta ci si orienta verso la progettazione di una struttura multifocolizzata, in modo tale che sia i prodotti (o le aree geografiche di attività) che le funzioni concorrano a determinare la specializzazione delle diverse unità organizzative. La struttura a matrice può essere usata quando sia l’esperienza tecnica, sia l’innovazione di prodotto sono importanti per raggiungere gli obiettivi strategici; rappresenta, spesso, la soluzione preferita quando, in sede di progettazione, si ritiene che tutte le soluzioni precedentemente esaminate (inclusi i collegamenti orizzontali) non sono più adeguate ai problemi attuali e, ancor più, a quelli futuri. Le condizioni che devono presentarsi per rendere conveniente tale struttura sono essenzialmente tre: – La prima è la necessità di un utilizzo condiviso e flessibile di risorse scarse, sia umane sia fìsiche, tra le diverse linee di prodotto (che quindi non devono essere numerose): per esempio, l’azienda non è abbastanza grande da poter impiegare ingegneri a tempo pieno su ogni linea di prodotto, così questi vengono assegnati part-time ai diversi prodotti o progetti. – La seconda condizione è l’esistenza di una pressione ambientale verso due o più output critici, per esempio verso una conoscenza tecnica approfondita e verso l’innovazione di prodotto. Questa duplice pressione implica il bisogno di un bilanciamento di potere tra il versante funzionale e quello divisionale del management e la struttura a duplice autorità si rende necessaria proprio per assicurare tale bilanciamento. – La terza condizione riguarda l'ambiente: esso deve risultare sia complesso sia incerto; frequenti cambiamenti esterni e alta interdipendenza tra le unità richiedono un grande coordinamento e una consistente elaborazione di informazioni in direzione sia verticale sia orizzontale. Struttura per processi: Rappresenta un'evoluzione della struttura delle matrici, e rappresenta le modalità in cui operano le aziende. I vantaggi sono quelli di individuare i responsabili dei processi chiave che determinano il valore per il cliente e promuovono il lavoro di gruppo e collaborazione. Gli svantaggi sono gli elevati costi di individuazione e revisione periodica dei processi chiave e ci sono maggiori costi di formazione del personale. PARTE 13 "LA GESTIONE PER PROCESSI COME NUOVO PARADIGMA AZIENDALE" 1 Concetto di processo e la sua applicazione al nuovo scenario in cui si muovono le aziende Nelle aziende, tradizionalmente, le attività di produzione/erogazione sono state analizzate, gestite, ma anche organizzate avendo come riferimento soprattutto la logica funzionale, che raggruppa le risorse umane e materiali in base, appunto, alle funzioni omogenee a cui esse fanno capo dal punto di vista aziendale. Saldo Corrente: fa riferimento alla differenza tra Entrate Correnti – Uscite Correnti Saldo in c/capitale: fa riferimento alla differenza tra Entrate in c/capitale – Uscite in c/capitale Saldo Primario: fa riferimento a quelle che sono le Entrate totali – Uscite totali al netto degli interessi Indebitamento Netto: fa riferimento alla differenza tra Entrate totali – Uscite totali Un ulteriore classificazione importante è quella che viene fatta con il sistema definito COFOG (Classification of the Functions of Government), che ci da l'indicazione di come la spesa si articoli a livello di amministrazioni pubbliche. Questa classificazione tiene conto di tre livelli: Divisioni, Gruppi e Classi. Per quanto riguarda l'incidenza delle amministrazioni pubbliche quest'ultime di distinguono dal settore pubblico allargato (SPA). Il SPA (Settore Pubblico Allargato) è dato dalla sommatoria delle Amministrazioni Pubbliche e delle Extra Amministrazioni Pubbliche. SPA = AP + EAP. AP (Amministrazioni Pubbliche): Sono organismi pubblici nazionali e locali che producono beni e servizi di pubblica utilità non destinati alla vendita. Il settore delle EAP a sua volta si divide in due tipologie di entità: IPN (Imprese Pubbliche Nazionali): Sono organismi pubblici nazionali che producono beni e servizi di pubblica utilità destinati alla vendita. IPL (Imprese Pubbliche Locali): Sono organismi pubblici locali che producono beni e servizi di pubblica utilità destinati alla vendita. 3 Le Amministrazioni Pubbliche nell'ottica aziendale La funzionalità duratura dell'organismo aziendale è condizionata dalla sua capacità di operare nel rispetto del vincolo dell'economicità complessiva della gestione, ovvero nel rispetto del principio economico ed etico della generazione, diffusione e riconoscimento del valore, inteso come il contemporaneo raggiungimento di livelli adeguati di efficienza e di efficacia nel dare risposta a bisogni individuali e collettivi. L'azienda muore se non genera valore riconosciuto almeno nel medio andare. Una classificazione che dobbiamo necessariamente prendere in considerazione è quella che distingue l’azienda pubblica da quella privata. La distinzione in questo caso si fonda: - su un criterio economico che analizza la natura privata o pubblica del soggetto economico - su un criterio giuridico che prende invece in considerazione la natura privata o pubblica del soggetto giuridico. Si ricorda che il soggetto giuridico è la persona fisica o giuridica titolare degli obblighi e dei diritti derivanti dall’attività d’azienda. Ci si può valere di tale criterio per procedere alla distinzione fra aziende pubbliche e private per concludere nel modo seguente: "Se il soggetto giuridico è persona fisica o persona giuridica privata, l'azienda relativa è privata. Se il soggetto giuridico è persona giuridica pubblica, l'azienda relativa è pubblica". Mentre il soggetto economico , che dunque, non necessariamente coincide con il soggetto giuridico, è la persona o il gruppo di persone che di fatto detiene il potere volitivo e che esercita il potere decisionale da cui nasce la strategia aziendale. PARTE 2 "Il management pubblico" 1 Genesi ed evoluzione del management pubblico Gli studi di Managment Pubblico sono sorti in America alla fine del XIX secolo. Un primo studio di ha ad opera di W.Wilson nel 1887. In questo studio si individuano due concetti importanti: 1 Netta separazione tra politica e amministrazione 2 Ripensamento dell'organizzazione amministrativa che ha dato luogo allo sviluppo di quello che è stato un modello burocratico dei sistemi amministrativi europei. Questo orientamento beneficiò anche di quelli che erano tutta una serie di principi che si stavano sviluppando nello studio delle organizzazioni aziendali che sono da collegare alla filosofia sviluppata da F.W. Taylor riguardante i principi del Manegment Scientifico, cioè l'adozione dei principi dell'orientamento scientifico nella gestione delle organizzazioni aziendali. Per cui abbiamo un vero e proprio filone di studi che porta a quello che è stato il managment scientifico pubblico. L'utilizzo di questi principi del Taylorismo comportavano che l'analisi delle organizzazioni veniva analizzata sotto la sfera delle produzioni, quindi veniva privilegiata la parte produttiva. Altro elemento era quello di uno sviluppo generico di adozione di quelli che erano i principi propri del Taylorismo, che davano luogo al concetto per cui i medesimi problemi si avevano in ogni tipologia di azienda. Altro elemento era che l'analisi di queste attività veniva sviluppata attraverso un processo di scomposizione in operazioni semplici a cui applicare il metodo scientifico. Esso dava luogo ad individuazioni di soluzioni univoche, traducibili in principi scientifici di managment di generale applicazione, sia per organizzazioni pubbliche che private. Questo tipo di orientamento fu portato oltre per cui si diede luogo ad un vero e proprio principio di Managment scientifico pubblico. Il Managment scientifico pubblico di poggiava su due punti salienti: – Dicotomia tra politica e amministrazione – Efficienza (meno efficacia e qualità) quale valore-guida e obiettivo fondamentale dell'attività amministrativa. Questo a lungo andare portò ad una serie di critiche e insoddisfazioni che portarono ad un ripensamento della gestione, che negli anni 70/80 prese il nome di New Public Managment (NPM). 2 Il processo manageriale Il New Public Management partiva dal presupposto che per un corretto processo manageriale nell'ambito dell'amministrazione pubblica fosse necessario adoperare quelli che crano i principi sviluppati nel contesto manageriale privato. Questo comportava dar luogo ad un nuovo tipo di orientamento nell'ambito delle AP, volto a: – realizzare la sussidarietà verticale e orizzontale – introdurre meccanismi competitivi – avere una spinta alla specializzazione Questo nuovo orientamento ben presto evidenziò aspetti negativi, allora si diede luogo ad un nuovo orientamento (Post – New Public Management) che è stata un'evoluzione del NPM. Quello che è stato tutto l'orientamento alla base del PNPM, è mosso dalle esigenze di rendere le APT effettivamente responsabili per i risultati conseguiti, tramite un processo di riforme che hanno dato luogo a: – progressivo decentramento delle funzioni pubbliche (sussidarietà verticale) – sviluppo del management pubblico come processo interorganizzativo 3 La misurazione della performance L'analisi del managment pubblico va collegata a quella che è la misurazione della performance. Questo perchè se parliamo di principi del managment pubblico non possiamo non considerare tutte le modalità idonee per poter responsabilizzare il managment. Questo ci porta a considerare che il processo manageriale è un processo di tipo unitario con cui bisogna definire gli obiettivi, quindi fare in modo che ci sia un processo di guida e di orientamento al raggiungimento degli obiettivi, mediante la definizione di un sistema di obiettivi esplicito. Questo da luogo a quello che è il ruolo della performance, ovvero andare a misurare se le attività realizzate hanno dato luogo al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Gli indicatori di performance sono misure relative capaci di fornire informazioni sintetiche e segnaletiche sui singoli aspetti dei fenomeni gestionali. Si tratta di strumenti di misurazione con moltecipli finalità: – guidare i comportamenti organizzativi; – catturare le variabili critiche; – effettuare l'analisi degli scostamenti; – permettere i confronti spazio-temporali; – esprimere i risultati economici complessivi e non solo contabili; – svolgere, in modo consapevole ed efficace, attività di comunicazione, esterna ed interna; Tutto il sistema delle performance si articola in tre diverse ma complementari dimensioni: – quella dell'economicità – quella dell'efficienza – quella dell'efficacia che si abbina a quella della qualità Tutte queste dimensioni ci consentono di monitorare e responsabilizzare la dirigenza con riferimento agli obiettivi, elaborando un sistema informativo. Le dimensioni di performance vanno misurate e valutate in relazione a distinti momenti del processo di produzione/erogazione del servizio pubblico. PARTE 3 "Il finanziamento delle imprese pubbliche: la teoria dei flussi e degli stocks ed il nucleo produttivo per il consumo" 1 Le amministrazioni pubbliche Territoriali (APT) nell’ottica della produzione L'analisi delle amministrazioni pubbliche-territoriali e quella che è la loro ottica di produzione ci deve portare ad analizzare quelle che sono le modalità con cui si sviluppano i processi di produzione. Nell'economia delle ATP si svolgono processi di produzione che, didatticamente, possiamo ricondurre a tre distinti nuclei produttivi: – Nucleo produttivo per i consumo – Nucleo produttivo patrimoniale – Nucleo produttivo d'impresa Negli ultimi due nuclei si svolgono processi produttivi finalizzati allo scambio di mercato. Questo tipo di analisi viene realizzata perchè il nostro obiettivo e andare a considerare la generazione di valore pubblico. Disarticolare la gestione delle ATP in tre nuclei produttivi permette di ricondurvi le singole operazioni di La riscossione dei tributi, o anche il semplice sorgere del diritto dell'APT a riscuoterli, genera una variazione patrimoniale attiva che, comporta un incremento dello stock netto. Tale aumento individua un componente econmico positivo che prende il nome di provento e si distingue dal ricavo in quanto: – i ricavi si realizzano da un'operazione di vendita; – i proventi sono dei quantum dei mezzi finanziari trasferiti dal singolo contribuente; Trasferimenti. L'acquisizione dei trasferimenti genera un flusso unilaterale di natura finanziaria in entrata che provoca un aumento dello stock attivo e dello stock netto. I trasferimenti possono essere: – Correnti: destinati a finanziare le spese per il normale funzionamento dell'APT che li riceve. – In conto capitale: destinati al finanziamento di investimenti durevoli dell'APT che li riceve. Per quanto riguarda l'acquisizione delle risorse da fonte interna: Si fa riferimento ad eventuali utili derivanti da processi produttivi per lo scambio (patrimoniale e/o d'impresa) che si svolgono nell'ambito dell'economia dell'APT. Costituiscono fonte aggiuntiva di mezzi finanziari rispetto a quelli provenienti, in via diretta o indiretta (trasferimenti), sotto forma di tributi. Le possibilità d'impiego delle risorse acquisite da fonte interna ed esterna sono: – Trasferimenti passivi (ad altre aziende): generano un outflow unilaterale di natura finanziaria, con effetti economici, fiņanziari e patrimoniali dell ' operazione di trasferimento di mezzi monetari in conto capitale da considerare in via speculare a quanto già osservato per i trasferimenti attivi. Per quanto riguarda l'impiego delle risorse acquisite possiamo considerare: L'acquisto di beni e servizi: fatti di gestione esterna che individuano veri e propri scambi di mercato e generano due flussi di direzione opposta e di natura diversa e cioè un inflow di natura economica e un outflow di natura finanziaria, l 'intensità dei quali si compensa al termine dell'operazione. PARTE 4 "Il nucleo produttivo patrimoniale ed il nucleo produttivo d'impresa" 1 Il nucleo produttivo patrimoniale Diversamente dalla produzione per il consumo, la produzione patrimoniale è informata alle logiche dello scambio di mercato. Ad ogni modo, i processi che si svolgono nel NPP si trovano in posizione subordinata e strumentale rispetto a quelli svolti nel NPC. La formazione del NPP ha origine, di solito, dal risparmio generato nell'ambito del NPC e opportunamente investito nell'acquisizione dei beni fruttiferi più idonei a procurare ricavi, che dati la loro origine si denominano propriamente rendite. Per quanto riguarda le attività del nucleo produttivo patrimoniale possono essere ricondotte ad una serie di classi di operazioni: - investimenti redditizi, inclusa la concessione di prestiti onerosi; - conduzione degli investimenti realizzati; - disinvestimenti, inclusi i rimborsi dei prestiti onerosi concessi. Per quanto riguarda la gestione patrimoniale ordinaria quella che è la: La conduzione del patrimonio redditizio comporta il conseguimento di rendite e il sostenimento di costi, propriamente detti patrimoniali che, nel loro insieme, individuano la cosiddetta gestione patrimoniale ordinaria. Le operazioni ordinarie di cui alla percezione di rendite e al sostenimento di costi danno luogo a veri e propri scambi di mercato onde restano valide tutte le considerazioni già svolte in precedenza. Esempi di rendite e costi patrimoniali ordinari sono: – Rendite patrimoniali ordinarie: interessi su titoli obbligazionari, dividendi azionari, fitti attivi, interessi mutui attivi, canoni per enfiteusi, etc. – Costi patrimoniali ordinari: premi assicurativi, manutenzione e riparazione ordinaria, pulizia, retribuzione del personale addetto alla sorveglianza o all'amministrazione, consumi di beni a fecondità semplice, quote di ammortamento. 2 Il nucleo produttivo d’impresa L’NPI include i processi di produzione di beni e servizi destinati alla vendita svolti nell’APT (produzione in economia). Si tratta di prodotto che presentano il carattere della completa divisibilità dei benefici e per i quali, se la produzione non è esercitata in regime di monopolio, esiste la possibilità per il consumatore di rivolgersi anche ad aziende private, con o senza scopo di lucro. (monopolio naturale: trasporto urbano, acqua, gas, mense, musei, parcheggi, ecc.) Lo svolgimento dei processi produttivi in questione può essere realizzato:  in modo diretto, assegnando una porzione delle risorse già disponibili nell’ambito delle APT alla produzione di specifici beni e servizi da destinare alla vendita svolti nell’APT (produzione in economia);  in modo indiretto con controllo finanziario, cioè tramite la costituzione di un’azienda giuridicamente distinta dall’APT ma finanziariamente controllata o almeno partecipata della stessa APT;  in modo indiretto senza controllo finanziario, attribuendo, con apposito contratto, ad un’azienda, giuridicamente distinta dall’APT, la produzione di determinati beni e servizi per lo scambio di mercato. Va evidenziato che, se l’azienda che produce o distribuisce il servizio pubblico è finanziariamente controllata o partecipata all’APT, i fatti amministrativi rilevanti per l’economia dell’APT rientrano nell’ambito del NPP o non del NPI. È anche opportuno considerare che alcuni importanti servizi possono essere prodotti per lo scambio di mercato, ma non in una situazione di concorrenza, in quanto esistono condizioni tecniche e naturali che favoriscono la presenza di un unico produttore (monopolio naturale), 3 Il valore pubblico nella prospettiva economico-aziendale A questo punto è utile effettuare una distinzione tra valore proposto e valore riconosciuto. Il valore proposto è la somma delle utilità incorporate nei beni e nei servizi realizzati, ed è quindi sintesi delle quantità e delle qualità degli output prodotti per essere ceduti. La misura del valore proposto si determina computando i costi di produzione di competenza di un dato periodo, i quali possono essere riferiti ad una o più produzioni svolte da un’azienda. Il valore riconosciuto è legato alla soddisfazione dei bisogni (domanda). Il valore riconosciuto è legato alla soddisfazione dei bisogni (domanda): un bene o un servizio vale non solo in quanto è stato prodotto e quindi incorpora delle utilità, ma perchè qualcuno lo richiede e utilizzandolo soddisfa un proprio bisogno. Il valore proposto diventa riconosciuto se viene accettato attraverso il consenso dei consumatori finali. Le somme che i clienti di un’azienda sono stati disposti a pagare per acquistare i suoi prodotti sono una misura attendibile del valore riconosciuto alla sua produzione. PARTE 5 "Il federalismo fiscale: analisi nell'ottica delle imprese pubbliche e nell'ottica del settore sanitario" 1 Il concetto di federalismo fiscale e sue implicazioni Per federalismo fiscale si intende l’attribuzione della “titolarità delle entrate fiscali alle collettività territoriali”, le quali devono poter gestire autonomamente comparti pubblici, quali previdenza, sanità e scuola, molto importanti nel contesto locale. Il concetto di federalismo fiscale è strettamenteconnesso alla necessità dei cittadini di essere messi in condizione di valutare l’operato della pubblica amministrazione. Il concetto di base attorno al quale si sviluppa l’idea di partenza del federalismo fiscale nonché l’obiettivo al quale esso mira è quello di riconnettere la responsabilità della spesa alla responsabilità del prelievo. Rendere cioè chiaro chi tassa chi, per cosa e come utilizza le risorse. Il processo di federalismo in Italia si è avviato a partire dagli anni ’90 con una serie di riforme che hanno portato ad un sempre maggiore decentramento. Il principale ispiratore della riforma è il principio di sussidiarietà, secondo il quale le decisioni devono essere prese dagli enti più vicini al cittadino e, pertanto, più vicini ai bisogni del territorio. Le decisioni in prima istanza fanno capo ai comuni e solo laddove queste esulino dalle loro competenze entrano in gioco in prima istanza le regioni e poi lo Stato centrale. Il principio su cui si basa questa scelta è che certe funzioni pubbliche, in particolare l’istruzione, la sanità, la previdenza, possano essere svolte in modo più efficace ad un livello più vicino al cittadino (principio di sussidiarietà). PARTE 6 "La discrezionalità strategica delle AP: il caso delle Aziende Sanitarie" 1 Analisi dei concetti di pianificazione e programmazione strategica L'azienda deve adottare una strategia. La strategia è un’attività di scelta e comporta l’assunzione di decisioni, queste vengono “tradotte” mediante l’attività di pianificazione in linee di azione di medio/lungo periodo. Si tratta di decisioni politiche. Le decisioni operative sono invece una diretta conseguenza di quelle strategiche e sono finalizzate all’attuazione concreta di quanto definito dall’attività di pianificazione nel breve periodo. Nell'ambito della strategia due concetti importanti sono quelli della pianificazione e quello della programmazione. Pianificazione e programmazione non sono sinonimi: – La pianificazione è il processo mediante il quale vengono definiti gli obiettivi, le politiche e gli assetti dlle combinazioni economiche aziendali. – Le economie da integrazione (tipiche dei settori nei quali integrazione verticale consente di conseguire economie nei cosiddetti costi di transazione). – Le economie di scopo (collegate alla produzione congiunta di più beni o servizi e che conseguire economie attraverso i vantaggie le sinergie reciproche di linee di produzione e di attività diverse). – Le economie di densità (collegate al fattore esterno della variabile ambientale e della densità dell'utenza, si tratta di economie che si conseguono nella fase della distribuzione dei servizi e sono collegate alla dimensione territoriale e spaziale del mercato ed alla densità dell'utenza) . – Economie di esperienza (collegate all'accumulo di esperienza maturata col tempo e che risparmi di risorse e / o riduzione di sprechi). PARTE 8 "Le politiche tariffarie nelle imprese pubbliche" 1 La regolamentazione tariffaria prima della deregolamentazione Fino all’avvio del processo di deregolamentazione, di liberalizzazione dell’accesso e della concorrenza, la questione delle tariffe e dei prezzi dei servizi pubblici era posta totalmente sotto il controllo della pubblica amministrazione che dettava le politiche per le imprese del settore. Nel vecchio regime il controllo esercitato dalla pubblica amministrazione sulle tariffe intendeva perseguire le seguenti finalità:  controllare il potere del monopolista, gestore di pubblici servizi (anche se azienda pubblica);  definire le modalità di copertura dei costi totali sostenuti (prezzi, entrate tributarie);  assicurare il raggiungimento di obiettivi sociali e di diffusione di beni pubblici ritenuti essenziali per la collettività (gestire ed assicurarsi il consenso sociale, la redistribuzione del reddito);  assicurare la più efficiente allocazione delle risorse;  assicurare il raggiungimento di altre finalità generali (contenimento dell’inflazione, risparmio di risorse e beni pubblici, ecc.); Ai fini del problema dell’autorizzazione del controllo delle tariffe si possono trascurare il costo di produzione che è legato alle decisioni dell’impresa produttrice dei servizi, nonché il costo sociale complessivo ed i costi sociali (di accesso) sostenuti dall’utente a causa della loro mancata rilevanza di tipo contabile. Considerato il costo di produzione come un dato esterno e non modificabile, il problema dell’autorizzazione e del controllo da parte della pubblica amministrazione consiste nella determinazione:  di quale parte del costo di produzione debba cadere a carico dell’utente, ovvero in quale misura l’utente debba contribuire a formare i profitti aziendali;  in quale misura le differenti classi di utenti debbono partecipare alla copertura dell’aliquota di costo di produzione, ovvero alla formazione dei ricavi complessivi dell’impresa (fenomeno dei sussidi dei incrociati);  della misura e le modalità di copertura dell’aliquota del costo di produzione non coperto dai prezzi, ovvero della contribuzione dell’impresa alle entrate fiscali (imposte, canoni di concessione, ecc.). L’intervento degli organismi di controllo sui prezzi è stato particolarmente arduo ed è stato anche fonte di squilibri e di scompensi favorendo determinati servizi rispetto ad altri sulla base di sole scelte di carattere politico. L’azione di questi organismi pertanto appare sempre meno collegata alle finalità istitutive a causa, prevalentemente, di:  complessità dei mercati e dei processi produttivi;  molteplicità degli operatori e delle strutture dei costi;  incertezze sulle condizioni di evoluzione della domanda, nonché dalle informazioni fornite dalle imprese che gli Enti delegati al controllo non avevano facilità a controllare. Il sistema pertanto, nonostante il forte e pesante condizionamento della pubblica amministrazione finiva per ratificare la gestione del management (generalmente pubblico) delle imprese di servizi pubblici approvando ex-post le scelte ed i costi assunti dalle imprese. In tali circostanze il sistema ratificava i costi a piè di lista e rinunciava al ruolo di salvaguardia degli interessi dell’utenza. 2Finalità delle politiche tariffarie Le principali finalità delle politiche tariffarie sono:  l’espansione dell’utenza e dei consumi;  l’orientamento ed il controllo della domanda;  la discriminazione tariffaria. Politiche di prezzo per l’espansione delle utenze e dei consumi. Tale orientamento si configura con scelte di prezzo sostanzialmente basse tendenti ad allinearsi ai costi marginali di medio e lungo periodo, e pertanto ad avvicinare i riflessi che l’aumento della domanda ed il conseguente aumento della capacità e della produzione genera sui costi di produzione, abbassandoli. Poliiche di prezzo per l’orientamento ed il controllo della domanda. In questo caso le politiche di prezzo adottano una pluralità di prezzo, detti prezzi multipli o discriminanti. I prezzi multipli o discriminanti, come è noto, non stanno a rappresentare situazioni di costi differenti sostenuti dall’impresa, quanto circostanze differenti di pressione della domanda e di elasticità della richiesta rispetto ai prezzi. Con tali politiche di prezzi le imprese di pubblici servizi mirano soprattutto a:  modificare i modelli di consumo degli utenti;  spostare la domanda dai periodi di punta a quelli pieni o vuoti;  a sviluppare la domanda latente nei periodi vuoti. Le azioni di discriminazione dei prezzi dei servizi pubblici si basano principalmente sulle categorie di utenti o sull’entità dei consumi. Le discriminazioni per categoria di utenza. Sottintende, e sovente attua, un trattamento differenziato collegato all’impiego o destinazione del servizio e alle caratteristiche del servizio stesso. 3 Il controllo delle tariffe nei casi di monopolio naturale o di posizione dominante Nonostante l’avvio dei processi di deregolamentazione e di sviluppo della concorrenza nel settore dei servizi pubblici permangono situazioni di monopolio naturale (nei servizi di rete e nei servizi locali per i quali in prospettiva si prefigura una condizione di concorrenza per il mercato) e di “rilevante posizione dominante” da parte degli ex monopolisti, ora nei mercati dei servizi aperti da poco alla concorrenza. Il price cap è un metodo di regolamentazione tariffaria che definisce i prezzi massimi nell’ambito delle politiche tariffarie, assicurando al consumatore un beneficio, seppure parziale, del recupero di efficienza goduto dalle aziende. In tal modo si stimola le imprese ad un aumento dell’efficienza allocativa ed alla riduzione dei costi anche nei casi in cui le aziende sono sottratte alla concorrenza. Il price cap è un meccanismo di regolazione delle tariffe che prendendo a base i costi passati viene adeguato tenendo presente l’indice di inflazione ed un fattore di correzione (x) sui recuperi di produttività globali che l’impresa può conseguire nel periodo di riferimento. L’aumento tariffario autorizzato deve pertanto rimanere entro un tetto (cap) prestabilito: RPI–X (dove RPI è Retail Price Index e X un recupero di produttività prestabilito in un certo arco di tempo). In sostanza la costruzione di un RPI indicizza la dinamica tariffaria ancorandola alla dinamica annuale dei prezzi, mentre il fattore X è teso ad attenuare gli eventuali incrementi di tariffe concessi sulla base della dinamica RPI dei prezzi, garantendo il trasferimento a favore della collettività dell’incremento di produttività del settore. La yoralstick regulation è un meccanismo di adeguamento delle tariffe ad una struttura efficiente di costi attuata in quei settori in cui, non essendovi situazioni di libera concorrenza, si può misurare l’efficienza del produttore effettuando situazioni in forma indiretta, con un confronto tra esercizi omogenei gestiti da imprese diverse, sotto il profilo dei prezzi, dei costi e della qualità. Il monitoraggio dei costi, delle tecnologie impiegate, dei livelli qualitativi dei servizi, e così via, è effettuato non tanto attraverso indagini mirate all’interno di ciascun soggetto regolato quanto, piuttosto, potenziando i meccanismi che consentono un confronto tra le esperienze dei soggetti operanti nello stesso settore, seppure in ambiti geografici diversi, purché paragonabili. 4Gli strumenti delle politiche tariffarie Le tariffe possono essere basate sui costi. Questo principio presuppone l'applicazione del criterio secondo il quale l'impresa scarica sul consumatore interamente i costi che essa ha sostenuto per servirlo, eventualmente differenziando i prezzi là dove i consumatori generano volumi di costo diversi. Le differenti figure di costo alle quali si può fare riferimento riguardano: - il contenuto (costi pieni, diretti, medi, marginali); - il tempo (costi storici, attuali e futuri); - la consuntività (costi consuntivi, costi standard). Le tariffe possono essere anche basate sul valore utilità. L'impresa cerca di valutare il comportamento del consumatore in funzione delle variazioni di prezzo, o in altri termini, il valore d'uso che l'utente attribuisce al servizio. L'impresa così tende ad incamerare il differenziale esistente tra valore d'uso ed il costo (rendita del consumatore), se il primo è superiore al secondo. Tuttavia non è stato nel passato infrequente, ed anche adesso, proprio nel settore dei servizi pubblici l'adozione di prezzi / valore inferiori al costo; perseguendo in tal modo finalità sociali o di sviluppo economico. Le diverse politiche tariffarie individuabili nella realtà concreta sono: – Tariffe a forfait; – Tariffe a contatore, a viaggio o a tempo; – Tariffe a più parti (binomio o trinomio); La tariffa a forfait Comporta per il fruitore il pagamento di un importo predeterminato indipendentemente dalla quantità di servizi che, nell'unità di tempo, saranno effettivamente prelevati ed utilizzati. Tale tipo di tariffa è stata utilizzata da quelle imprese caratterizzate da elevatissimi costi costanti e quindi da costi variabili, in funzione delle quantità prodotte, inesistenti o comunque molto modesti. La tariffa a contatore Il prezzo pagato del fruitore cambia al variare del consumo e dovrebbe corrispondere al caso di una attività di produzione caratterizzata da una assoluta o larga prevalenza di costi variabili. Il periodo dal 1900 al 1945 Il periodo della regolamentazione è caratterizzato dallo sviluppo del settore e della contestuale domanda. Si assiste, inoltre, ai rpimi tentativi di definire una normativa finalizzata all'esercizio del controllo pubblico su scala nazionale e locale. Il periodo dal 1945 al 1985/90 Sviluppo del modello del Welfare State (Stato del benessere), caratterizzato da un progressivo aumento dell'intervento dello Stato nel settore economico e da un corrispondente aumento della domanda di servizi pubblici. Lo Stato veniva ad assumere il ruolo di imprenditore sempre più impegnato nella produzione di servizi ritenuti di pubblico interesse ed utilità. Il periodo dal1985 / 90 ad oggi Avvio di processi di deregolamentazione, privatizzazione e concorrenza nel settore dei servizi pubblici, finalizzati allo sviluppo dell'efficienza, produttività ed efficacia nelle aziende di servizi pubblici ed all'adeguamento alla logica dell'Unione Europea di introduzione della libera concorrenza nelle attività economiche. Si sviluppa il modello di Stato definibile della qualità della vita o dei servizi. Lo Stato della qualità della vita Le finalità perseguite dallo Stato della qualità della vita sono scindibili in due distinte sottofasi: – quella dello <Stato dei servizi>, nel quale diventa centrale gestito dall'amministrazione pubblica nel produrre servizi in quantità e qualità corrispondente alle attese dei cittadini, delle famiglie, delle imprese (orientamento al servizio al cliente); – quella dello <Stato regolatore>, nel quale è, invece, centrale aspetto di ridimensionamento dell'intervento pubblico, per cui l'amministrazione è sempre meno coinvolta nei processi di produzione tecnica, dovendo concentrare la propria attenzione sul governo dei comportamenti economici di altri soggetti. 2 Gli aspetti definitori dei servizi pubblici Una definizione di servizio pubblico Beni, materiali o immateriali, che la pubblica amministrazione riconosce di pubblica utilità ed in quanto tali ne assicura la produzione, distribuzione ed erogazione in modo tale da garantire a tutti i cittadini ed alle utenze interessate un uso libero e privo di qualsiasi restrizione i discriminazione economica, spaziale e temporale. I servizi pubblici costituiscono una categoria aperta, poiché è soggetta, nel tempo, ad ampliarsi o a restringersi in conformità della diversa interpretazione che gli organi preposti alla guida dello Stato possono dare agli interessi ed alle esigenze della collettività. La configurazione delle attività e delle imprese di servizio pubblico è precisabile solo con riferimenti spaziali e temporali; la sua composizione non è pertanto identificabile in termini assoluti. 3 Le spinte al cambiamento Le spinte al cambiamento sviluppate dal decennio 1980/1990 Le due principali spinte sono: Innovazioni tecnologiche e organizzative Miglioramento delle condizioni culturali, economiche e di ricchezza dei consumatori Le modalità di fruizione del servizio Servizi uti singoli, detti anche servizi individuali o speciali, le attività di pubblica utilità che comportano l'erogazione di beni tecnicamente divisibili e sono caratterizzati da una domanda ed un godimento singolarmente individuabile. Servizi uti universi, detti anche servizi collettivi o generali, nome le prestazioni indivisibili offerte alla collettività e non danno luogo ad un rapporto di scambio. PARTE 2 “I NUOVI PARADIGMI TEORICI NELLE PUBLIC UTILITIES” 1 Le ragioni dell'intervento pubblico nell'economia Le ragioni che hanno determinato la scelta del monopolio nell'offerta di servizi pubblici sono essenzialmente: Ragioni di natura economico-tecnica Ragioni politico-sociali Quando si parla di riserva di monopolio si deve far riferimento all'offerta del servizio e non alla soddisfazione del bisogno. Per quanto riguarda le ragioni di natura Economico-Tecnica si deve parlare di proprietà di subadditività della funzione di costo, conseguente alla presenza di economie di scala ed economie di scopo nella produzione di servizi pubblici, che comporta l'esistenza del monopolio naturale quando un'unica impresa è in grado di produrre a condizioni economiche più favorevoli rispetto a qualsiasi combinazione di due o più imprese. Per quanto riguarda le ragioni di natura politico-sociale occorre far riferimento a quella che è stata l'esigenza che per molti anni ha connotato l'erogazione di servizi di pubblica utilità e che faceva riferimento all'esigenza di tutelare classi sociali deboli. Queste cose hanno dato luogo a vantaggi in termini di controllo: - dell'estensione dei servizi; - della qualità dei servizi; - delle condizioni tariffarie; - redistribuzione del reddito; - efficacia allocativa; 2 I nuovi paradigmi teorici Dallo Stato imprenditore allo Stato controllore Negli ultimi anni l'evoluzione nella regolazione dei settori di pubblica utilità sta conducendo sempre più al passaggio del ruolo dello Stato da una regolamentazione della struttura del mercato a una regolamentazione dei processi degli operatori presenti nel mercato o dell'azione impresa monopolistica. Il nuovo ruolo della regolamentazione La regolazione si orienta sempre più dal controllo degli accessi al controllo del comportamento degli operatori economici, assumendo in alcuni casi l'obiettivo di tutela della concorrenza o, nei casi in cui quest'ultima non è realizzabile, quello di regolamentazione delle condizioni di erogazione dei servizi. Le spinte alla base dei nuovi orientamenti fanno capo a: - Fallimento del non-mercato - Sviluppo di nuove teorie e paradigmi economici I nuovi paradigmi teorici Le nuove teorie economiche fondano le loro critiche all'intervento dello Stato nei settori di pubblica utilità soprattutto su tre punti: - l'adeguatezza dei sistemi d'incentivo / sanzione dei manager; - la lentezza tempi nei di reazione ai mutamenti; - i fenomeni di burocratizzazione e di politicizzazione. La concorrenza virtuale La concorrenza virtuale consiste nell'azione di stimolo che una forma di concorrenza virtuale, fondata sul confronto delle prestazioni delle imprese, esercita sulle medesime incentivandole al miglioramento dei propri risultati. Essa comporta la comparazione delle prestazioni di una singola impresa con quelle di altre imprese analoghe o con valori medi di settore. 3 Gli sviluppi nei mercati dei servizi pubblici locali Evoluzione delle categorie concettuali Legge 142/90 distingueva tra i servizi gestiti in forma di impresa (a contenuto economico- imprenditor.) in quanto servizi commerciabili e servizi non commerciabili (a contenuto sociale) in quanto offerti o indistintamente a tutta la collettività o erogati per finalità redistributiva o di assistenza sociale. L'art. 35 della legge 448/2001 distingue tra servizi a rilevanza industriale e servizi privi di ri levanza industriale. PARTE 3 “LA TRASFORMAZIONE DEI MERCATI DELLE PUBLIC UTILITIES” 1 I caratteri salienti del settore dei servizi pubblici Volendo analizzare i caratteri salienti del settore dei servizi pubblici dobbiamo far riferimento a cinque specifici assetti: – Mercati e competenze territoriali delle imprese – Settori di attività e processi di diversificazione – Processi e fenomeni di integrazione e disintegrazione verticale – Numero e dimensioni delle imprese – Aspetti giuridici e organizzativi delle imprese Per quanto rigurda i mercati e competenze territoriali delle imprese di pubblici servizi occorre dire che la competenza territoriale è stata per molto tempo un aspetto tipico delle imprese di servizi pubblici, rispetto ad altri settori. Per le imprese di servizi pubblici, infatti, spesso la scelta del mercato su cui operare non era il frutto di una decisione autonoma basata su considerazioni di natura strategica e politica, ma nasceva dal vincolo stesso dell'impresa e dal suo collegamento economico o di concessione con l'ente pubblico di riferimento. Per quanto riguarda le imprese operanti a livello locale, spesso la rigida definizione di un ambito territoriale ha determinato un grande ostacolo alla crescita ed allo sviluppo di tali imprese. 2 I cambiamenti in atto I servizi nazionali e locali stanno vivendo un profondo processo di cambiamento dovuto principalmente alle seguenti cause: – Deregolamentazione e privatizzazione dei servizi nazionali e locali; – Apertura alla concorrenza del settore dei servizi pubblici; – Sviluppi tecnologici e le modificazione dei livelli dimensionali per il conseguimento delle economie di scala; – Riesame del bilanciamento tra vantaggi conseguenti alle economie di scala e vantaggi connessi alla concorrenza; modalità di regolamentazione del settore hanno infatti determinato una serie di inconvenienti, dovuti principalmente a: – Al carattere burocratico-verticistico dei meccansimi decisionali ed organizzativi tipici della P.A – Alla mancanza di meccanismi di incentivazione e di valutazione efficaci del mangment pubblico – Alla ricerca di stimoli competitivi in grado di sollecitare miglioramenti gestionali ed innovazione tecnologiche. L'impulso legislativo, che si è manifestato a partire dagli inizi degli anni '90 ha prodotto l'avvio del processo di deregolamentazione attraverso il quale la P.A ha iniziato ad esternalizzare i servizi, mantenendo il controllo di quelle attività strategiche che garantiscono un'equa ripartizione delle risorse a livello nazionale. 3 Il processo di deregolamentazione Gli interventi previsti dal processo di deregolamentazioni furono: – La cessazione e la liquidazione delle attività produttive pubbliche – La cessazione delle partecipazioni ovvero il passaggio del controllo azionario del soggetto economico pubblico a quella di un soggetto o di una pluralità di soggetti privati – La riconversione istituzionale, organizzativa e gestionale delle imprese pubbliche da realizzarsi soprattutto attraverso il recupero dei valori di aziendalità – La libertà di accesso nel settore, ove possibile, e la presenza di una pluralità di operatori I vincoli al processo di deregolamentazione Affinché le imprese di pubblici servizi possono entrare nell'ottica della deregulation, occorre valutare se la natura della loro attività sia assoggettabile a regole di mercato oppure no, com'è nel caso: – dei beni tecnicamente indivisibili; – nella gestione delle reti di distribuzione di taluni servizi (energia elettrica, trasporti ferroviari); – nella erogazione dei servizi universali PARTE 6 "I processi di privatizzazione" 1 Le peculiarità della privatizzazione in Italia La privatizzazione di imprese e attività pubbliche costituisce una tra le questioni più dibattute nel corso degli anni '90. Essa attiene alle modalità, agli strumenti e alle forme giuridico-istituzionali attraverso le quali procedere ad una razionalizzazione dell'intervento dello Stato nell'economia. Si tratta di un fenomeno complesso e non facilmente inquadrabile in uno schema teorico generale di riferimento, essendo composto da una molteplicità di aspetti economici, politici, finanziari osservabili da diversi punti di vista. La varietà e l'ampiezza del settore pubblico e dei campi di attività economica nei quali lo Stato interviene a vario titolo e in differenziate forme, impone di specificare l'analisi dei processi di privatizzazione a seconda che si tratti di: – imprese pubbliche manufatturiere che operano in settori concorrenziali: alimentare, chimici, meccanico, strumentale, ecc... – imprese pubbliche che operano in settori caratterizzati da prevalente domanda pubblica: produttrici di materiale ferroviario, beni e servizi per le telecomunicazioni ecc... – imprese pubbliche che operano nel settore delle public utilities: servizi telefonici, postali, erogazione di energia elettrica e acqua, distribuzione di gas, servizi di trasporto, televisivi, ecc... – monopolio di Stato 2 Le diverse tipologie di privatizzazione Abbiamo diverse tipologie di privatizzazione che possono essere implementate in un settore di P.U – Privatizzazione formale – Privatizzazione sostanziale – Privatizzazione funzionale – Privatizzazione indiretta Privatizzazione formale Consiste nella trasformazione della natura e caratteristiche giuridiche dell'ente pubblico ed in particolare nel passaggio da un ente soggetto alla disciplina di diritto pubblico ad un organismo soggetto a quella tipica di diritto privato. E 'una forma di privatizzazione definita da taluni autori privatizzazione in senso lato e contrapposta a quella in senso stretto consistente nel trasferimento della proprietà dal pubblico al privato (privatizzazione sostanziale). Comporta: – La maggiore responsabilizzazione del management sulla gestione aziendale. – La maggiore autonomia del management. – La maggiore flessibilità organizzativa e procedurale. Privatizzazione sostanziale Per privatizzazione in senso stretto si intende il trasferimento della proprietà di enti o aziende pubbliche, già privatizzate dal punto di vista formale in società per azioni, dallo Stato ai soggetti privati. Ad essa si ricorre allorquando si ritiene esservi una supremazia dell'impresa privata, rispetto a quella pubblica, nel conseguimento dell'efficienza sia produttiva che allocativa, oppure allorquando determinati settori di attività non siano più ritenuti strategici per le finalità di politica economica. Privatizzazione funzionale Consiste nel trasferimento al privato di una determinata funzione svolta in precedenza dall'operatore pubblico, restando in seno a quest'ultimo la titolarità delle scelte strategiche ed i relativi controlli. Tale forma di privatizzazione si fonda sull'idea della distinzione, teorica e pratica, di due funzioni: quella della scelta di fornitura e quella della produzione. La prima riguarda le decisioni relative alle tipologie, caratteristiche qualitative, costo e prezzo dei beni e servizi che devono essere prodotti; la seconda riguarda le modalità mediante le quali tali beni e servizi devono essere prodotti e distribuiti. Privatizzazione funzionale: le tre tipologie di politiche di decentralizzazione – Contracting out, nella quale l'interlocutore dell'istituto pubblico è un organismo di tipo imprenditoriale pubblico o privato. – Partnership, nella quale si realizza una joint-venture o comunque un processo di cooperazione tra pubblico e privato. – Contracting in, che prevede l'affidamento della progettazione e gestione dei servizi ad altri istituti pubblici, con modalità di compensazione anche non economiche, o di scambio istituzionale. Privatizzazione indiretta Per privatizzazione indiretta si intende l'introduzione di obiettivi e criteri di tipo privatistico nella gestione dell'impresa pubblica. Tale forma di privatizzazione, che in letteratura è anche definita fredda o ibridazione ha la sua manifestazione concreta nelle seguenti condizioni: – allargamento dell'autonomia decisionale dell'impresa rispetto all'autorità dell'ente proprietario; – deburocratizzazione del processo decisionale, con una connessa maggiore responsabilizzazione dei soggetti agenti, una maggiore flessibilità strategica ed operativa; – allineamento delle politiche occupazionali, salariali e degli investimenti alla condotta delle imprese private. CAPITOLO 5 "Il controllo di gestione e la break even analysis " PARTE 1 "Il Controllo di Gestione" 1 Finalità del Controllo di Gestione Il controllo di gestione ci fornisce una serie di informazioni nel momento in cui dobbiamo prendere decisioni aziendali. Tali informazioni ci vengono fornite prima, durante e dopo i processi decisionali, consentendoci di agire in modo migliore ai fini dell'azienda. Il controllo di gestione ci consente di: – Stabilire obiettivi coerenti con le risorse a disposizione e con il contesto di riferimento – Confrontare modalità e piai di azione differenti per raggiungere gli obiettivi – Verificare se gli obiettivi sono stati raggiunti e se le modalità di raggiungimento sono risultate efficaci e efficienti Il controllo di gestione è fondamentale anche perchè ci consente di governare in una serie di fattori di complessità in cui noi operiamo, gli elementi di complessità possono essere collegati a: – Le dimensioni dell'azienda e la conseguente articolazione organizzativa e delle responsabilità – La forte eterogeneità e la numerosità degli output prodotti – La necessità di garantire l'unitarietà dell'azione aziendale Un ruolo che non viene molto considerato nel controllo di gestione è quello come strumento di autoregolazione, nel senso che ci consente nel momento in cui abbiamo definito gli obiettivi, di capire nel corso della nostra gestione se siamo in grado di poterli realizzare, ovvero se la nostra performance è coerente con quello che ci eravamo proposti, in modo da consentire l'attivazione di azioni correttive. – Valori passati – Valori attuali – Valori futuri I metodi di valorizzazione dei costi agli oggetti prescelti possono essere: – Metodo diretto, procedimenti basati sulla misurazione e valorizzazione dei volumi dei fattori consumati nelle attività produttive oggetto di misurazione – Metodo indiretto, procedimenti basati su ipotesi di calcolo, più o meno reali, rispettose del principio di causalità che lega il costo in questione all'oggetto di calcolo. 3 Le configurazioni di costo Le tipologie delle configurazione di costo più importanti sono: – Costo primo: valore delle materie prime impiegate per la realizzazione della produzione. – Costo diretto di trasformazione: valori dei vari fattori diretti utilizzati per il processo di trasformazione, come la manodopera diretta. – Costo diretto di produzione: comprende gli elementi del costo primo e del costo diretto di trasformazione. – Costo variabile di produzione: comprende gli elementi del costo diretto di produzione e gli elementi di costo variabile di produzione (es. Energia elettrica). – Costo variabile aziendale: comprende gli elementi del costo variabile di produzione con altri costi variabili aziendali (es. provvigioni agenti di vendita). – Costo pieno di produzione: comprende gli elementi del costo diretto di produzione e quote di costi indiretti fissi di produzione (es. ammortamenti produttivi). – Costo pieno aziendale: comprende la valorizzazione di tutti i fattori produttivi, sia diretti che indiretti, siano essi fissi o variabili, sia correlati alla trasformazione fisica, che commercializzazione, amministrativi o generali. – Costo economico-tecnico: comprende gli elementi del costo pieno aziendale e gli elementi di costo figurativi. Altri tipi di costi che abbiamo sono: I costi diretti: costi relativi ai fattori produttivi utilizzati in via esclusiva per l'ottenimento di un dato prodotto / servizio. Esempio: I costi dei materiali diretti, la manodopera diretta, ecc. I costi indiretti: costi connessi a fattori produttivi utilizzati, alternativamente o contemporaneamente, per la produzione di più prodotti. Esempio: I costi relativi ad impianti o manodopera utilizzati per la produzione di più prodotti, come nel caso dei costi per la vigilanza, spese amministrative. I costi variabili: costi il cui ammontare totale cambia se cambia il volume di produzione dell'impresa. Esempio: Materie Prime e Materiali ausiliari diretti, Lavorazioni fatte effettuare esternamente, Energia, Trasporti, Imballi; Provvigioni, ecc. I costi fissi: i costi il cui ammontare totale non è influenzato dalle variazioni del volume di produzione (entro certi limiti di variazione del volume, cioè fino al massimo della capacità produttiva praticamente disponibile). Esempio: Stipendi (tecnici, commerciali e amministrativi), Quote di ammortamento, Affitti, Quote di Leasing, Interessi Passivi da debiti vincolati (Es: interessi passivi su mutui), Spese per il mantenimento degli edifici. I costi fissi possono essere specifici o comuni: i primi sono tutti i costi generati da fattori produttivi utilizzati in via esclusiva per lo svolgimento di un dato processo produttivo (costi di macchinari per una specifica produzione). I secondi sono costi connessi all'uso non esclusivo dei singoli fattori. (costi di pulizie, manuntenzione). Abbaimo poi costi distinguibili, i primi sono la distinzione tra costi di prodotto e di periodo: Costi di prodotto: sono i costi associabili in modo diretto o indiretto alla realizzazione di un prodotto/servizio. (costo del lavoro diretto, costo materiali diretti). Costi di periodo: comprendono i costi non associati direttamente alla realizzazione del prodotto. (costi amministrativi, costi generali, costi di vendita). La seconda distinzione è quella tra costi evitabili e non evitabili: Costi evitabili: sono quelli influenzati dalla decisione (materiali diretti o manodopera diretta) Costi non evitabili: sono quelli che si devono sostenere comunque a prescindere dalla decisione presa (costi di ammortamento apparecchiature) Costi figurativi: sono costi che l'impresa non sostiene effettivamente in quanto derivano da fattori non acquisiti presso terzi ma apportati dal proprietario o dai soci. Costi consecutivi: costi che misurano il valore delle risorse utilizzate ex-post, cioè dopo lo svolgimento dei processi. Costi normalizzati o stimati: costi frutto di analisi preventive determinati in maniera non accurata, senza un'analisi rigorosa dei processi aziendali e dei trend storici. Costi standard: costi che appartengono alla categoria dei costi preventivi, ma sono riferiti a condizioni operative non attuali ma ipotetiche. Standard di base: sono mantenuti fissi per lunghi periodi di tempo. Standard ideali: determinate sulla base di ipotesi di rendimento ottimale dei fattori produttivi. Standard correntemente ottenibili: connessi all'incentivazione dei comportamenti del personale (raggiungibili da una gestione efficiente). PARTE 3 "La misurazione del costo pieno unitario" 1 Le finalità ed i procedimenti Il problema relativo al calcolo del costo di prodotto nasce dall'esigenza di andare a determinare il costo di un prodotto o di un servizio che realizziamo. L’obiettivo fondamentale di un sistema di misurazione dei costi consiste nella corretta rappresentazione dell’impiego dei fattori produttivi da parte dell’oggetto di imputazione dei costi (costo unitario di prodotto). Questo determina un collegamento tra le voci di costo aggregate per natura e l'unità di prodotto. Questo collegamento può essere di tipo diretto o indiretto. E' diretto quando si tratta di una misurazione oggettiva, in quanto la relazione che lega il consumo del fattore produttivo da parte dell’unità di prodotto è osservabile e misurabile. |Prezzo di acquisto del fattore produttivo| x |Quantità consumata del fattore produttivo| = costo diretto attribuito all'unità di prodotto E' indiretto quando la relazione che si instaura tra costo dei fattori produttivi ed unità di prodotto è di natura indiretta poiché non è possibile misurare direttamente la quantità di fattore produttivo consumato dall’unità di prodotto. Occorre identificare una base di ripartizione in grado di esprimere il nesso di causalità che lega il costo indiretto al prodotto. 2 Il Direct Cost Direct cost: il costo di prodotto è costituito da soli costi diretti, la cui imputazione non necessita di alcuna base di ripartizione. I costi indiretti sono considerati costi di periodo (che si formano con il decorrere del tempo) e come tali considerati interamente costi di competenza dell’esercizio in cui sono sostenuti. 3 Il Full Cost Full cost: Il costo di prodotto è composto dai costi diretti e da quote di costi indiretti attribuiti utilizzando delle basi di ripartizione. Tutti i costi di produzione sono considerati costi di prodotto e come tali sono attribuiti all’ unità di prodotto in quanto concorrono al valore della produzione. Il full cost si divide in due metodologie diverse: – Il metodo orientato alle risorse: A. Full costing a base unica di riparazione B. Full costing a base multipla di riparazione – Il metodo basato sui centri di costo Il metodo orientato alle risorse L’impostazione tradizionale di attribuzione dei costi indiretti al prodotto si basa sulla ricerca di un legame di consumo tra i fattori produttivi e l’unità di prodotto. Tale legame può essere espresso in due modi diversi: Secondo una prima modalità, tuttii costi indiretti sono attribuiti all’unità di prodotto utilizzando un’unica base di ripartizione. La seconda modalità di attribuzione dei costi indiretti all’unità di prodotto prevede l’utilizzo di diverse basi di ripartizioni: i costi indiretti sono raggruppati in classi omogenee di costi e per ciascuna classe si definisce un criterio di ripartizione appropriato. Modello basato sui centri di costo Nell’orientamento ai centri di costo si pone la rilevanza alla localizzazione dei costi ancor prima che all’imputazione degli stessi all’unità di prodotto. Con tale sistema il processo di ripartizione dei costi indiretti si articola in due distinte basi: i costi sono anzitutto localizzatinelle unità operative in cui gli stessi sono generati (centri di costo) e solo successivamente sono imputati all’unità di prodotto. Si ha un centro di costo in presenza di un’unità organizzativa caratterizzata da: Un certo ammontare di risorse assegnate; – sono i processi e non i prodotti che creano valore; – l'elemento costitutivo dei processi sono le attività; – la gestione dei processi passa attraverso la gestione delle attività per il raggiungimento dell'eccellenza; – la gestione delle attività comporta: l'analisi del costo e dell'efficenza delle attività, l'analisi del valore generato dalle attività, il miglioramento continuo delle qualità. L’Activity Based Costing (ABC) ed il Buisness Process Reengineering (BPR) Un sistema di gestione per attività può essere rappresentato da un modello bidimensionale dove la dimensione verticale evidenzia l’aspetto della determinazione dei costi sulla base delle attività mentre la dimensione orizzontale mostra l’esigenza di articolare l’azienda per processi al fine di poter individuare le determinanti di costo (cost driver) e le cause che li generano, gli indicatori sulle modalità di gestione dei processi: tali informazioni sono rilevanti per una gestione del miglioramento continuo attraverso un’analisi costante delle attività, dei costi e delle performance chiave. 2 Il modello di costing ABC Le principali tecniche utilizzate per una gestione aziendale in ottica di ABM sono: – L'Activity Based Costing (ABC) – Business Process Reengineering (BPR) in quanto: L’ABC è una tecnica contabile per l’analisi e valutazione dei costi in un’ottica di miglioramento della struttura dei costi associati a specifici oggetti. L’ABC segue il percorso risorse-attività-oggetti di costo secondo il quale le attività per poter essere eseguite devono consumare le risorse, dove si originano i costi, e a loro volta gli oggetti di costo consumano attività per poter essere realizzate. Il BPR è un approccio per il ridisegno dei processi aziendali al fine di migliorare le prestazioni chiave dell’azienda. Il percorso del BPR, partendo da un’analisi delle determinanti di costo (cost driver) e delle attività, individua le misure di performance e, in un ottica di miglioramento continuo, effettua un’analisi delle attività, delle determinanti di costo e delle performance per una riprogettazione dei processi aziendali. Le componenti dell'ABC sono: – Le categorie di risorse: rappresentano le origini dei costi che sostengono le attività. – Driver di risorse: Sono misure che stabiliscono mediante una relazione causa-effetto il grado di utilizzo delle risorse da parte delle attività. – Attività e aggregati di costi delle attività (activity cost pool): le attività sono l'insieme delle azioni di trasformazione di input in output. Gli aggregati di costo delle attività sono il risultato delle assegnazioni di costo delle risorse alle attività. – Driver delle attività: sono misure del consumo fatto dagli oggetti di costo dei costi raccolti negli aggregati delle attività. – Oggetti di costo: qualsiasi elemento a cui vengono assegnati i costi delle attività. – Input dei costi diretti: costi direttamente assegnati agli oggetti di costo. I cost driver I cost driver possono essere basati su: Transazioni Tempo Valore monetario Percentuali di utilizzo In genere il cost driver più appropriato è quello che rappresenta l’output principale dell’attività. La progettazione di un modello di costing ABC si articola in due fasi: 1.Ricostruzione del processo: osservazioni sul campo ed interviste agli attori chiave per individuare le attività connesse allo specifico processo e le unità organizzative coinvolte. 2.Rilevazione del costo: L’individuazione delle risorse utilizzate per l’esecuzione di ciascuna attività, attraverso interviste ad attori chiave. In particolare, alcune risorse sono allocabili alle attività, mentre altre sono attribuite direttamente all’oggetto di costo; Individuazione del costo delle risorse attraverso la consultazione di libri contabili e di report prodotti dai sistemi informativi. 3 Il Time Driven ABC L'ABC come metodologia è sicuramente molto accurata, ma ha evidenziato nelle sue applicazioni alcune problematiche nella misurazione e gestione dei costi, oltre a comportare costi elevati e operazioni complesse per il suo monitoraggio. Negli ultimi anni è stata ideata ed implementata una nuova metodologia chiamata Time-Driven Activity-Based Costing (TDABC) che oltre a rilevarsi più efficace dell’approccio ABC tradizionale, risulta essere più semplice ed economica. Si sviluppa in due fasi: 1.Nella prima fase il TDABC individua il costo totale delle risorse (personale, attrezzatura, tecnologia, etc..) assegnate a uno specifico processo. 2.Nella seconda fase sono oggetto di costo sulla base delle attività richieste dall’oggetto di costo e della loro durata. PARTE 8 "La Balanced Scorecard ed il suo ruolo nelle Aziende Sanitarie" 1 La definizione ed analisi della Balanced Scorecard La Balanced Scorecard è uno strumento di grossa importanza che viene utilizzato nell'analisi delle performance delle grandi aziende. La Balanced Scorecard (Bsc) è stata sviluppata per la prima volta nel 1992 dagli studiosi Robert Kaplan e David Norton. Con la Bsc si introduce un approccio olistico per la misurazione delle performance aziendali superando così i limita dell’approccio basato sulla contabilità economico finanziaria tradizionale. Il modello sviluppato della Bsc parte dal presupposto che affidarsi unicamente a misure di tipo economico-finanziario può indurre le organizzazioni in errore, in quanto si tratta di indicatori ex post che forniscono informazioni relative ad azioni che sono state già realizzate, per affermare che è necessario affiancare agli indicatori ex post gli indicatori di performance futura. Nel 1996 la Bsc subisce un'evoluzione, si passa dalla Bsc intesa come scheda di misurazione delle performance aziendali alla Bsc intesa come processo di management strategico (Kaplan, Norton, 1996). La Balanced Scorecard rappresenta, quindi, una metodologia di controllo strategico utilizzato per descrivere, attuare e gestire la strategia di tutta l'organizzazione allo scopo di tradurre missioni e strategie in una serie completa di misure della performance. La Balanced Scorecard ha il merito di collegare gli obiettivi a breve termine con gli obiettivi strategici a lungo termine, ponendo a confronto misure finanziarie e non, indicatori ex post ed indicatori di performance futura, prospettive di performance interne ed esterne. CAPITOLO 6 "LA CONTABILITA' ECONOMICO-PATRIMONIALE. PRIMI CENNI" PARTE 1 "Il concetto di ricchezza aziendale" 1 Introduzione L'economia aziendale è "La scienza che studia le condizioni di esistenza e le manifestazioni di vita delle aziende, la scienza dell’amministrazione economica delle aziende”. –Gino Zappa In questa prospettiva, l’amministrazione di un’aziendasi indirizza lungo tre fondamentali direttrici o momenti, tra loro strettamente connessi: L’organizzazione La gestione La rilevazione Finalità di un sistema contabile Oggetto: valutare come si modifica la ricchezza di una qualsiasi entità da un periodo all’altro. Finalità: conoscere le determinanti della variazione della ricchezza per: Prendere decisioni circa l’allocazione di risorse scarse. Valutare l’operato delle persone cui è stata affidata la gestione della ricchezza. Metodo di studio per analizzare la rilevazione degli accadimenti aziendali: Osservazione contro autorità Sempre riferimento alla finalità generale 2 La ricchezza La ricchezza è espressa in rapporto alla soddisfazione dei propri desideri. La ricchezza è espressa come differenza tra Attività e Passività: Attività (A) – Passività (P) = Netto (N) Solo le Attività e le Passività sono cose del mondo reale che si possono definire e individuare. Il Netto è una grandezza residuale ed ideale. La variazione della ricchezza generata dallo svolgimento delle attività in un dato intervallo di tempo viene definita reddito. Il reddito è la “ la somma che si può spendere in modo da essere alla fine del periodo così “ricco” come lo si era all’inizio”.(E.Hicks) Per misurare il reddito occorre rilevare e misurare le attività e le passività nei due momenti di inizio e di fine dell’intervallo temporale considerato. Non è sempre facile stabilire se esiste o meno un attività (asset) o una passività (liability). ATTIVITA' (asset): è una risorsa da cui io ritengo di ottenere futuri benefici economici a disposizione dell'azienda derivante da eventi passati. Un’attività è tale se genera flussi di cassa in entrata. PASSIVITA' (liability): un obbligo il cui adempimento determinerà futuri sacrifici economici che Le variazioni finanziarie sono dunque le “variazioni originarie” che il contabile deve interpretare e ricondurre nell’ “equazione fondamentale”. È possibile raccogliere tutte le variazioni delle Attività Finanziarie e delle Passività Finanziarie in due classi: • Variazioni Finanziarie Positive: • + cassa/banca • + crediti (di funzionamento e di finanziamento) • – debiti (di funzionamento e di finanziamento) • Variazioni Finanziarie Negative: • – cassa/banca • – crediti (di funzionamento e di finanziamento) • + debiti (di funzionamento e di finanziamento) PARTE 2 "La competenza economica" 1 La competenza economica: concetto e funzione La teoria della competenza economica serve a stabilire se, con riferimento ad un determinato intervallo temporale, a seguito delle variazioni finanziarie che non si sono compensate tra loro, l’entità abbia, alternativamente:  Acquisito nuove Anf o Pnf (e quindi abbia generato solo una modifica qualitativa del Netto) - I costi sostenuti per gli acquisti di Anf ed i ricavi incassati in occasione dell’insorgenza di Pnf si definiscono costi e ricavi non di competenza, ovvero costi e ricavi sospesi. Questi costi e questi ricavi infatti non spariscono, ma saranno di competenza degli esercizi in cui quei servizi si utilizzeranno o si cederanno.  Sostenuto costi o conseguito ricavi che abbiano comportato una modifica quantitativa del netto, sinteticamente espressa dalla loro somma algebrica (R - C). - Questi sono i costi ed i ricavi di competenza. La competenza non crea e non elimina costi e ricavi, ma li distribuisce lungo i diversi esercizi di vita di un’azienda, in funzione del momento in cui i servizi sottostanti sono esauriti (consumati o svaniti) o ceduti. 2 Il sistema delle presunzioni Quando una variazione finanziaria non misura un’altra variazione finanziaria, il contabile deve compiere una decisione e stabilire se, con riferimento ad un dato intervallo temporale,ci si trova dinanzi alla insorgenza di un Costo/Ricavo di competenza di quell’intervallo o alla variazione di una Attività/Passività non finanziaria. Tuttavia quando questo accade le situazioni che si affrontano sono sostanzialmente quattro: - Acquisizione di beni/servizi:  Acquisizione di Fattori a Fecondità Semplice (FFS) o di servizi;  Acquisizione di Fattori a Fecondità Ripetuta (FFR) [c.d. Investimenti]; - Cessione di beni/servizi:  Cessione di prodotti (FFS) o di servizi;  Cessione di FFR [c.d. Disinvestimenti]; Piuttosto che decidere tempo per tempo se l’entrata o l’uscita abbiano generato PnF o AnF oppure R o C, si stabiliscono quattro presunzionie poi si rinvia tutto al 31.12. Presunzione 1: si ipotizza in prima battuta una riduzione della ricchezza complessiva, e quindi del Netto, a seguito di una riduzione della ricchezza finanziaria. Presunzione 2: si ipotizza in prima battuta un incremento della ricchezza complessiva, e quindi del Netto, a seguito di un incremento della ricchezza finanziaria. Presunzione 3: si ipotizza in prima battuta la invarianza quantitativa della ricchezza complessiva, e quindi del Netto, in quanto la riduzione della ricchezza finanziaria è interamente compensata dall’incremento della ricchezza non finanziaria. Presunzione 4: si rileva un incremento o un decremento della ricchezza complessiva, e quindi del Netto, pari alla differenza tra l’incremento della ricchezza finanziaria ed il decremento della ricchezza non finanziaria. PARTE 3 "La fase di assestamento: i ratei e i risconti" 1 Teoria funzionale della competenza economica Al termine di ogni periodo oggetto di analisi nell’ambito della fase di assestamento il contabile deve verificare se le presunzioni che sono state poste in essere nella fase consuntiva si siano effettivamente compiute, in caso contrario deve rettificarle. Al 31.12, si valutano le rimanenze finali, ovvero i servizi ed i FFS acquisiti e ancora non utilizzati ed i servizi da cedere per cui si è già percepito il compenso. In altri termini, si quantificano AnF e PnF createsi nell’anno. Rimanenze di FFS acquisiti e ancora a disposizione = Magazzino Rimanenze di servizi acquisiti e ancora a disposizione = Risconti attivi Rimanenze di servizi ancora da cedere = Risconti passivi Al 31.12, tutte le Attività e le Passività aziendali, e quindi anche le Anf acquisite nell’anno o negli anni precedenti devono essere valutate: Per le Anf (costituite da FFR) è possibile che il loro valore sia differente da quello caricato in bilancio all’atto dell’acquisizione perché:  I servizi vengono utilizzati o non sono più disponibili [variazione di quantità]  I servizi vedono il loro valore modificarsi per motivi interni o esterni [variazione di valore unitario] Alcuni FFR, per loro natura vedono il loro valore diminuire con il passare del tempo a mano a mano che i servizi in essi contenuti vengono consumati. In questi casi, che sono i più numerosi, per evitare di compiere nuove valutazioni alla fine di ogni anno si stabilisce una vita utile e si immagina una sistematica riduzione della stessa. Il valore assegnato alla AnF viene poi ridotto in modo sistematico. La riduzione di valore è un costo chiamato ammortamento. Attività (A) Passività (P) Attività finanziarie Cassa/Banca Crediti di funzionamento Crediti di finanziamento Passività finanziarie Banca passiva Debiti di funzionamento Debiti di finanziamento Attività non finanziarie MAGAZZINO (Rimanenza finali FFS compresi in beni) RISCONTI ATTIVI (Rimanenze di FFS compresi in servizi) IMMOBILIZZAZIONI (Rimanenze di FFR) - Materiali - Immateriali Passività non finanziarie RISCONTI PASSIVI NETTO Netto iniziale Variazione di netto generate nei periodi precedenti Variazione di netto generata nel periodo corrente (risultato dell'esercizio) - Finanziarie Totale a pareggio Totale a pareggio 2 L'ammortamento Le presunzioni tenute in fase continuativa devono necessariamente essere verificate. Il valore delle Attività e delle Passività effettivamente esistenti alla fine dell’anno viene calcolato in sede di assestamento e questo comporta:  La correzione di alcune presunzioni, quando oggetto della misurazione sono Attività e Passività acquisite nell’anno.  La valutazione di Attività o Passività già acquisite nel passato e presenti in bilancio.  La integrazione per rilevare attività e passività che erano sfuggite nella fase continuativa perché non misurate finanziariamente. In questa fase quindi si cerca di individuare e misurare tutte le Attività e tutte le Passività che costituiscono la ricchezza aziendale, indipendentemente dal fatto che esse siano o meno già presenti in bilancio. La variazione finanziaria positiva consistente nell’incremento del credito in corso di formazione prende nome di rateo attivo (esempio la fattura da emettere) e misura un ricavo di competenza economica dell’esercizio oggetto d’analisi. Un rateo attivo rappresenta un’attività finanziaria presunta. La variazione finanziaria negativa consistente nell’incremento del debito in corso di formazione prende nome di rateo passivo (esempio la fattura da ricevere) e misura un costo di competenza economica dell’esercizio oggetto d’analisi. Un rateo passivo rappresenta una passività finanziaria presunta. Sempre nella fase di assestamento il contabile deve valutare le passività presunte, vale a dire se esistano potenziali debiti verso soggetti cui l’azienda deve erogare risorse senza però avere nulla in cambio (risarcimento danni, tasse non pagate, cause dei lavoratori). Queste passività prendono il nome di fondi di rischi ed oneri ed il costo di competenza economica dell’esercizio che misurano viene chiamato accantonamento. I ratei attivi sono: variazioni finanziarie positive presunte e misurano un ricavo di competenza. I ratei passivi sono: variazioni finanziarie negatine presunte e misurano un costo di competenza. I fondi rischi ed oneri sono: passività presunte, di natura finanziaria. PARTE 5 "Il conto: lo strumento della contabilità economica" 1 Il conto: concetto e funzionamento Il conto è uno strumento utilizzato per rappresentare le variazioni di una grandezza mutevole. Ha la stessa identica funzione di una somma algebrica con la sola differenza che invece dei segni + e – abbiamo le sezioni sinistra e destra. Ed infatti, la nostra somma algebrica fondamentale era A – P = N           A = P + N, che abbiamo imparato a rappresentare in forma di conto. La somma algebrica delle due sezioni si chiama saldo e, come nelle equazioni, iscrivere un valore a destra equivale ad iscriverlo a sinistra con il segno cambiato e viceversa.
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