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Riassunto "Economia" Begg D., Vernasca G., Fischer S., Dornbusch R. - esame Prof.ssa Besana, Sintesi del corso di Economia E Organizzazione Dei Servizi

Riassunto dei capitoli 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 15, 17, 18, 31 per l'esame di Fondamenti di Economia della Prof.ssa Besana, IULM

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 29/05/2019

francesca_bassani
francesca_bassani 🇮🇹

4.3

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Scarica Riassunto "Economia" Begg D., Vernasca G., Fischer S., Dornbusch R. - esame Prof.ssa Besana e più Sintesi del corso in PDF di Economia E Organizzazione Dei Servizi solo su Docsity! Capitolo 1 La scienza economica e l'economia L'economia studia i processi attraverso i quali le società contemporanee decidono che cosa, come e per chi produrre beni e servizi. Affrontando i problemi relativi a cosa, come e per chi produrre, la scienza economica spiega in quale modo le risorse scarse di una società umana vengano allocate tra usi alternativi. Una risorsa è scarsa quando, a un prezzo pari a zero, la sua domanda eccede l'offerta. L'economia studia come le società contemporanee amministrano e allocano le risorse scarse. 1.1 L'interpretazione di cosa è economia attraverso tre esempi - La crisi dal 2007 - Ha avuto avvio negli Stati Uniti. Molti sistemi economici sono andati in recessione: quando la produzione di beni e servizi di un sistema economico diminuisce F 0 E 0 i sistemi economici affrontano ciclicamente la recessione e poi la crescita. Dalla fine della seconda guerra mondiale il Governo ha promosso il grande sogno americano della proprietà immobiliare (cosa produrre). L'economia americana doveva produrre per coloro che volevano una casa (per chi produrre). Anche concedendo prestiti ai sub-prime: cioè mutui concessi a persone che non hanno un elevato standard di affidabilità nel mercato di credito; alta probabilità che le somme non vengano restituite (come produrre). Prima del 2007 il costo degli immobili stava costantemente crescendo F 0 E 0 quindi il rischio di perdita sul credito concesso ai sub-prime era limitato F 0 E 0 il prestatore di denaro poteva rivendere l'immobile a un prezzo più elevato. Per rendere i sub-prime più redditizi, il sistema finanziario cominciò ad aggregare queste formule di prestito in pacchetti obbligazionari da rivendere ad altre imprese finanziarie, creando un ulteriore mercato. Dopo il 2002 il mercato obbligazionario legato ai mutui immobiliari è cresciuto considerevolmente, MA è del tutto evaporato nel 2008. F 0 E 0 Quando i sub-primer non riuscirono a pagare, le vendite all'asta degli immobili aumentarono. Sempre più case erano sul mercato e il boom dei prezzi si arrestò per poi calare drasticamente F 0 E 0 Questi mutui cominciarono a perdere valore e gli investitori che obbligazioni garantite da tali mutui incominciarono a registrare perdite. La crisi si diffuse rapidamente in altri Paesi F 0 E 0 I Governi hanno approvato piani di salvataggio delle banche e degli operatori finanziari. F 0 E 0 Le perdite si trasformarono nel credit crunch, riduzione del credito: le banche non prestavano più denaro F 0 E 0 il credito divenne una risorsa scarsa. → Molte imprese chiusero, aumentò la disoccupazione, aumentò il risparmio dei consumatori → contrazione drastica dei consumi. 2 Gli Stati che hanno salvato il sistema creditizio hanno visto il debito pubblico esplodere F 0 E 0 La recessione si trasformò nel collasso del sistema pubblico. La recessione ha causato un rallentamento della produzione in diversi settori F 0 E 0 con conseguente crollo dei consumi. 1.2 La scarsità e gli usi alternativi delle risorse ESEMPIO: un'economia dispone di 4 lavoratori in grado di produrre cibo o spettacoli teatrali. La Tabella 1.1 mostra le quantità massime producibili dei prodotti con l'impiego totale dei lavoratori disponibili F 0 E 0 Al crescere del numero di lavoratori impiegati aumenta la quantità totale di prodotto ottenibile. La produzione in ciascuna delle due attività è condizionata dalla legge dei rendimenti decrescenti: ogni lavoratore addizionale fa aumentare la produzione totale di un ammontare minore di quello prodotto dai precedenti lavoratori addizionali F 0 E 0 Quindi la produzione per lavoratore diminuisce al crescere del numero totale dei lavoratori occupati. Trasferendo lavoratori da un'attività produttiva all'altra, l'economia può accrescere la produzione di un bene ma sacrificando la produzione dell'altro. La Figura 1.5 mostra le massime combinazioni di cibo e spettacoli che il sistema economico è in grado di produrre. Il punto A corrisponde alla prima riga della tabella, dove si ipotizza che la produzione di cibo sia di 25 unità e quella di spettacoli 0. Gli altri punti corrispondono alle altre righe della tabella F 0 E 0 La curva che unisce questi punti è la frontiera delle possibilità produttive dell'economia. La frontiera delle possibilità produttive è una curva che rappresenta, per ogni livello di produzione di un bene, la massima quantità di un altro bene che un sistema economico è in grado di produrre. La concavità verso l'origine degli assi, ditale curva è dovuta all'operare della legge dei rendimenti decrescenti. Il costo opportunità marginale di un bene o servizio è la quantità di altri beni o servizi a cui si deve rinunciare per produrre un'unità addizionale del primo. Ad esempio passando da A a B, si producono 9 unità di spettacoli ma si sacrifica la produzione di 3 unità di cibo. Nel punto G vengono occupati solo 3 lavoratoti, quindi la società non usa tutte le risorse perché il 4° lavoratore non è occupato F 0 E 0 G non è un punto della frontiera delle possibilità produttive della società perché è possibile produrre una maggior quantità di un bene senza sacrificare la produzione dell'altro. La frontiera delle possibilità produttive rappresenta le combinazioni produttive efficienti che un sistema economico può realizzare. L'efficienza produttiva implica che l'aumento della produzione di un bene può essere realizzato solo con il sacrificio della produzione di altri beni. Punti come G, al di sotto della frontiera, sono inefficienti perché la società sta sprecando risorse. Punti come H, al di sopra della frontiera, sono combinazioni produttive non realizzabili, perché non ci sono abbastanza risorse disponibili. La società deve accettare il fatto che le sue risorse sono scarse e decidere come allocarle tra usi produttivi alternativi. 35 La macroeconomia pone l'accento sulle interazioni di eventi particolari con il sistema economico nel suo complesso. Esso semplifica gli aspetti dell'analisi che riguardano i comportamenti individuali al fine di consentire un'analisi gestibile delle interazioni a livello di intero sistema economico. I macroeconomisti non si occupano della scomposizione dei beni di consumo in categorie come le automobili, le biciclette, i televisori, MA li considerano come un aggregato unico. Il Prodotto Interno Lordo (PIL) è il valore di tutti i beni e servizi finali prodotti in un sistema economico in un dato periodo di tempo, per esempio in un anno. Il PNL, Prodotto Nazionale Lordo, calcola la produzione di uno Stato tenendo conto della nazionalità delle risorse. Esso misura la produzione di tutti i fattori produttivi nazionali ovunque essi siano, entro i confini o fuori dai confini dello Stato. Il livello generale dei prezzi è un indicatore del livello medio dei prezzi dei beni e dei servizi in un sistema economico. Il livello generale dei prezzi esprime il cambiamento medio dei prezzi. Quando questo indice aumenta, il sistema economico a cui si riferisce è soggetto all'inflazione. Il tasso di disoccupazione è la percentuale di forza lavoro senza occupazione. Capitolo 3 La domanda, l'offerta e il mercato 3.1 Il mercato Un mercato è un sistema di strumenti istituzionali e di infrastrutture che consentono ad acquirenti e venditori di entrare in contatto al fine di realizzare scambi regolari e ricorrenti di beni o servizi. Alcuni mercati sono organizzati per consentire l'incontro fisico di acquirenti e venditori; altri operano attraverso intermediari che realizzano transazioni per mandato dei clienti. Tutti questi mercati svolgono la stessa funzione economica: determinano i prezzi in corrispondenza dei quali la disponibilità all'acquisto dei compratori uguaglia la disponibilità alla vendita degli offerenti. Prezzo e volume degli scambi non possono essere considerati separatamente. 3.2 La domanda, l'offerta e l'equilibrio del mercato La domanda è la relazione inversa tra la quantità di un bene o servizio che gli acquirenti sono disposti ad acquistare e il prezzo del bene o servizio. La domanda indica una relazione che definisce la quantità di un bene che gli acquirenti sono disposti a comprare a ogni possibile prezzo. Le colonne (1) e (2) della Tabella 3.1 rappresentano la relazione tra quantità domandata e prezzo delle barrette di cioccolato, quindi la domanda di cioccolato in funzione del suo prezzo. 2 L'offerta è la relazione diretta tra la quantità di un bene o servizio che i venditori sono disposti a vendere e il prezzo del bene o servizio . L'offerta indica una relazione che definisce la quantità di un bene o servizio che i suoi venditori sono disposti a vendere. Osservando la Tabella 3.1, solo a partire dal prezzo di 0,20 euro i venditori trovano conveniente vendere il prodotto. A partire da esso, ogni aumento del prezzo è collegato a un aumento della quantità offerta. È importante la distinzione tra domanda e quantità domandata. La domanda descrive il comportamento intenzionale o effettivo degli acquirenti a ogni valore del prezzo. A un dato prezzo corrisponde un definito valore della quantità domandata. L'espressione quantità domandata ha significato solo in riferimento a un particolare prezzo. Bisogna distinguere anche tra offerta e quantità offerta. Al prezzo fissato per i biglietti, la quantità domandata eccede la quantità offerta. Un aumento del prezzo dei biglietti ridurrebbe la quantità domandata. Osservando la Tabella 3.1, a parità di altre condizioni, la quantità domandata è tanto maggiore quanto più il prezzo è basso, mentre la quantità offerta è tanto maggiore quanto più il prezzo è elevato. - Il prezzo di equilibrio del mercato - Il prezzo di equilibrio del mercato è quel prezzo in corrispondenza del quale la quantità domandata dagli acquirenti eguaglia la quantità offerta dai venditori. La Tabella 3.1 indica che il prezzo di equilibrio del mercato è 0,30 euro, in corrispondenza del quale quantità domanda e quantità offerta sono pari a 80.000 barrette F 0 E 0 questa quantità è detta quantità di equilibrio di mercato. A prezzi inferiori la quantità domandata eccede la quantità offerta F 0 E 0 eccesso di domanda A prezzi superiori la quantità offerta eccede la quantità domandata F 0 E 0 eccesso di offerta (rimangono scorte non vendute). Si ha un eccesso di offerta quando la quantità offerta eccede la quantità domandata al prezzo corrente di mercato. Si ha un eccesso di domanda quando la quantità domandata eccede la quantità offerta al prezzo corrente di mercato. È anche possibile che il prezzo corrente sul mercato sia diverso dal prezzo di equilibrio → vi è un eccesso di domanda o di offerta a seconda che il prezzo sia inferiore o superiore al prezzo di equilibrio. 3.3 La rappresentazione dell'equilibrio, la spesa totale dei consumatori, il ricavo totale di produttori e i surplus La curva di domanda rappresenta graficamente la relazione tra prezzo e quantità domandata di un bene o servizio a parità di altre condizioni. Nella Figura 3.1, la curva di domanda è una retta inclinata negativamente: al diminuire del prezzo, la quantità domandata aumenta e viceversa. Ciò conferma che la domanda è una relazione inversa. 35 La curva di offerta rappresenta graficamente la relazione tra prezzo e quantità offerta di un bene o servizio, a parità di altre condizioni. Nella Figura 3.2, la curva di offerta è una retta inclinata positivamente. Ciò conferma che l'offerta è una relazione diretta. Nella Figura 3.3 sono rappresentate sia la curva di domanda (DD), sia la curva di offerta (SS). A un prezzo di mercato inferiore al prezzo di equilibrio, la distanza orizzontale tra la curva di offerta e la curva di domanda rappresenta l'eccesso di domanda corrispondente al prezzo corrente considerato. Al contrario, a un prezzo inferiore al prezzo di equilibrio abbiamo un eccesso di offerta: al prezzo di 0,40 euro, la quantità domandata è di 40.000unità, la quantità offerta è di 120.000 unità e la distanza orizzontale DM rappresenta l'eccesso di offerta di 80.000 unità. Quando un mercato non è in equilibrio, la quantità domandata scambiata è determinata dalla minore delle due disponibilità all'acquisto e alla vendita. Graficamente, l'equilibrio di mercato è determinato dall'intersezione della curva di domanda DD e della curva di offerta SS. A ogni altro prezzo, la quantità scambiata è pari alla minore tra la quantità domandata e la quantità offerta. L'equilibrio di mercato è rappresentato dal punto E. F 0 E 0 Quando vi è eccesso di offerta, i venditori reagiscono riducendo il prezzo. F 0 E 0 Quando vi è eccesso di domanda, provoca un progressivo aumento di prezzo, con conseguente riduzione dell'eccesso di domanda fino al raggiungimento dell'equilibrio. Quando il mercato è in equilibrio, acquirenti e venditori sono in grado di realizzare le proprie intenzioni di acquisto e di vendita e non vi è alcun bisogno di cambiamento del prezzo e quindi della quantità scambiata. Nel punto di equilibrio di mercato la spesa totale dei consumatori è pari a 0,30x80.000= 24.000 euro: che rappresenta anche il ricavo dei produttori. Nel punto di equilibrio la spesa totale dei consumatori e il ricavo totale dei produttori coincidono e sono pari al prodotto del prezzo di equilibrio per la quantità di equilibrio. Nella Figura 3.4 è evidenziata in arancione l'area corrispondente alla spesa e al ricavo. L'area compresa tra la curva di domanda e il livello del prezzo di equilibrio P E=0,30 euro, rappresenta una mancata spesa, ovvero il surplus dei consumatori. Nella Figura 3.5 il perimetro del surplus dei consumatori è evidenziato in arancione, AP EE. L'area compresa tra il livello del prezzo di equilibrio e la curva di offerta rappresenta un guadagno aggiuntivo rispetto ai prezzi minimi di offerta, ovvero il surplus dei produttori, cioè eccesso di ricavo rispetto al ricavo ottenibile dalla vendita di ciascuna unità ai prezzi misurabili sulla curva di offerta. Nella Figura 3.6 è evidenziato in arancione il perimetro del surplus dei produttori, PEEB. Nell'equilibrio E, il surplus del mercato è la somma del surplus dei consumatori e di quello dei produttori APE + PEEB. 2 - La tecnologia - La disponibilità di una tecnologia più efficiente sposta verso destra e verso il basso la curva di offerta di un bene, ossia consente ai produttori di offrire una quantità maggiore a ogni possibile livello del prezzo. Il progresso tecnologico consente alle imprese di offrire una maggiore quantità di prodotto a ogni livello del prezzo corrente sul mercato. Con progresso tecnologico si intende ogni conoscenza che permette di ottenere più o migliore prodotto dalle risorse disponibili. Il progresso tecnologico può essere indicato come l'insieme delle cause che determinano uno spostamento verso l'alto della frontiera delle possibilità produttive. - I prezzi dei fattori produttivi - Una riduzione dei prezzi dei fattori produttivi, come salari o il prezzo dell'energia, incentiva le imprese a offrire una maggiore quantità di prodotto a ogni livello di prezzo corrente sul mercato; quindi sposta la curva di offerta verso destra. Al contrario, un aumento dei prezzi dei fattori produttivi sposta la curva di offerta verso sinistra. - La regolamentazione pubblica - La regolamentazione pubblica dell'attività produttiva può esser causa dell'abbandono di una tecnologia efficiente e quindi di contrazione, cioè di uno spostamento verso sinistra della curva di offerta di un prodotto. Ogni volta che la regolamentazione pubblica impedisce ai produttori l'uso di metodi di produzione più efficienti e meno costosi, avviene una contrazione dell'offerta di tali prodotti. 3.7 Gli spostamenti della curva di offerta Se per esempio, il Governo aumenta la rigidità delle norme di sicurezza relative all'attività produttiva, i costi di produzione delle imprese aumentano e quindi la curva del prodotto si sposta verso sinistra: nella Figura 3.8, la curva di offerta si sposta da SS a S'S'. Di conseguenza cambia anche l'equilibrio di mercato da E a E'. F 0 E 0 Una contrazione dell'offerta provoca un aumento del prezzo e una riduzione della quantità di equilibrio del mercato . Al contrario, un aumento dell'offerta può avvenire se consideriamo S'S' come curva di partenza. Un cambiamento in una o più delle variabili, che provochi un aumento dell'offerta, sposta la curva di offerta da S'S' a SS e l'equilibrio di mercato in E. F 0 E 0 Un aumento dell'offerta provoca una riduzione del prezzo di equilibrio e un aumento della quantità scambiata nel mercato. 3.8 I mercati liberi e i controlli sui prezzi 35 In un mercato libero e concorrenziale, il prezzo è determinato esclusivamente dalla domanda e dall'offerta. Se vi è un controllo del prezzo da parte di un'autorità, il mercato non è libero. I controlli sui prezzi sono regolamenti o leggi imposti dalla pubblica amministrazione o da altre autorità che impediscono l'aggiustamento dei prezzi che spinge i mercati verso l'equilibrio. Essi possono essere ricondotti a due categorie: la fissazione dei prezzi minimi e la fissazione dei prezzi massimi. - La fissazione di un prezzo massimo - La fissazione di un prezzo massimo rende illegale la vendita a un prezzo superiore. Solitamente viene usato per impedire che la scarsità di un bene ne provochi l'aumento del prezzo. Nonostante l'alto prezzo costituisca una soluzione del problema allocativo di una risorsa scarsa, esso può rappresentare solamente una soluzione non equa secondo i giudizi di valore prevalenti nella società. Nella Figura 3.9, è rappresentato il mercato di un bene alimentare. A causa di una guerra, l'offerta del bene è scarsa rispetto al fabbisogno; di conseguenza il prezzo in condizioni di libero mercato diventa particolarmente alto, P0. Il Governo interviene imponendo un prezzo massimo legale, P1, inferiore a quello di equilibrio di mercato, P0 F 0 E 0 La fissazione del prezzo massimo provoca una scarsità dell'offerta rispetto alla domanda, impedendo al prezzo di salire fino al livello di equilibrio. F 0 E 0 La regolamentazione riduce la quantità offerta da Q0 a Q1s e crea un eccesso di domanda pari ad AB: la scarsità del prodotto richiede l'adozione di un razionamento. Esso può avvenire tramite i venditori, che scelgono a chi dare il prodotto. In questo caso vengono favoriti gli amici o coloro che sono disposti a pagare di più F 0 E 0 nasce il mercato nero o illegale. F 0 E 0 per questo è necessario un sistema di razionamento basato su criteri amministrativi, in modo da avere equità. F 0 E 0 MA, quando questo controllo viene mantenuto a lungo, può avere effetti negativi: La Figura 3.10 mostra la situazione iniziale del mercato degli alloggi in locazione. La curva di offerta SS è poco reattiva al prezzo in quanto i proprietari di alloggi non possono, in breve tempo, cambiare la destinazione d'uso degli immobili. Per questo, l'imposizione di un canone massimo, R1, molto più basso di quello di equilibrio di mercato, R0, riduce di poco la quantità di alloggi offerti in locazione, da Q0 a Q1. MA A lungo termine, i proprietari sono in grado di modificare la destinazione d'uso, offrendoli ad altri affittuari. La curva di offerta diviene quindi più reattiva al canone di locazione e assume la configurazione S'S'. In questo caso, il canone massimo R1, provoca una rilevante contrazione degli alloggi offerti in locazione, la cui quantità si riduce a Q2. La scarsità di alloggi aumenta da AB ad A'B', rendendo più difficile il reperimento di abitazioni per i poveri e più probabile la nascita di un mercato illegale. 2 - La fissazione di un prezzo minimo - La fissazione di un prezzo minimo ha come scopo l'aumento del prezzo a favore dei venditori. La Figura 3.11 rappresenta la domanda e l'offerta di lavoro in un libero mercato dei servizi lavorativi. L'equilibrio di mercato è rappresentato dal punto E, a cui corrisponde un salario W 0 e una quantità di ore di lavoro, Q0. Se invece il Governo impone un salario minimo W1, maggiore di W0, le imprese riducono la quantità domandata di ore di lavoro da Q0 a Q1 e nel mercato si verifica un eccesso di offerta di lavoro pari ad AB. I lavoratori che conservano l'occupazione avranno un salario maggiore, ma altri perderanno il lavoro o non riusciranno a lavorare le ore che vorrebbero. La Figura 3.12 descrive le conseguenze della fissazione di un prezzo minimo P 1 per un prodotto come il latte. L'impostazione di un prezzo minimo P1 maggiore di quello di equilibrio del libero mercato P0 provoca un eccesso di offerta pari ad AB. F 0 E 0 La quantità di latte venduta sarebbe quella minore tra le due disponibilità all'acquisto e alla vendita degli agenti economici, ovvero Q1. F 0 E 0 Il Governo, se vuole rendere efficace il suo intervento a favore dei produttori, dovrà acquistare l'eccesso di offerta che ha provocato, così da consentire sia a consumatori, sia a produttori di realizzare i propri progetti di acquisto e di vendita. 3.9 Come il mercato risolve il problema di “che cosa, come e per chi produrre” Il libero mercato è uno dei metodi di coordinamento economico ai quali una società umana può ricorrere per risolvere i fondamentali problemi relativi a “che cosa, come e per chi produrre”. Lo strumento attraverso il quale il mercato determina la decisione inerente alla quantità da produrre è il prezzo di equilibrio. F 0 E 0 Quanto maggiore è la domanda di un bene, tanto maggiore è il suo prezzo di mercato e quindi la convenienza a produrlo. Attraverso il prezzo, il mercato risolve il problema del per chi produrre. Il mercato stabilisce che i soggetti che scelgono di offrire il proprio bene siano tutti coloro che trovano conveniente vendere il prodotto al prezzo di equilibrio corrente. Il mercato decide anche quali beni o servizi non debbano essere prodotti. La curva di offerta indica il prezzo minimo che occorre pagare ai produttori di un bene per indurli a produrre e vendere. La Figura 3.13 mostra un esempio di un bene che il mercato non incentiva a produrre. Il prezzo massimo che gli acquirenti sono disposti a pagare o prezzo di riserva degli acquirenti (P1) è insufficiente a incentivare i produttori a produrre e vendere: infatti, il prezzo minimo di vendita, o prezzo di riserva dei venditori è P2, superiore a P1. 35 La Tabella 4.2 presenta alcune stime empiriche dell'elasticità della domanda al prezzo di beni e servizi diversi. Sembra confermare la regola generale secondo la quale la domanda di ampie categorie di beni, come combustibili o alimentari, tende ad essere inelastica. Mentre servizi con molti sostituti stretti, come gli spettacoli teatrali, hanno una domanda significativamente elastica al prezzo. - Gli effetti dell'elasticità della domanda al prezzo - Data l'inelasticità della domanda di molti prodotti agricoli, come il latte o il caffè, che non hanno sostituti stetti, un cattivo raccolto o un calo improvviso di produzione provoca rilevanti aumenti del prezzo. Al contrario, raccolti abbondanti, provocano rilevanti riduzioni del prezzo. F 0 E 0 Quando la domanda è inelastica al prezzo, fluttuazioni dell'offerta causano ampie oscillazioni del prezzo e modeste variazioni della quantità scambiata. F 0 E 0 Gli effetti delle variazioni dell'offerta dipendono dall'elasticità della domanda al prezzo. La Figura 4.4 illustra questo aspetto. In un mercato agricolo, la curva di offerta oscilla tra SS, in caso di cattivo raccolto, e S'S', in caso di raccolto abbondante. - Se la domanda è inelastica, DD, il prezzo di equilibrio del mercato subisce ampie oscillazioni, da P0 a P1 e viceversa, mentre la quantità scambiata viaria di poco, da Q0 a Q1 e viceversa. - Se la domanda è elastica al prezzo D'D', le variazioni di prezzo provocate dalla stessa fluttuazione dell'offerta sono minori, da P0 a P' e viceversa, mentre le oscillazioni delle quantità scambiate sono ben più rilevanti, da Q0 a Q' e viceversa. 4.2 L'elasticità della domanda al prezzo, le variazioni del prezzo e le variazioni della spesa totale dei consumatori La Figura 4.5 mostra come cambia la spesa totale degli acquirenti al cambiare del prezzo di un bene in diverse situazioni di elasticità della domanda al prezzo. • Nella situazione (a): la riduzione del prezzo da PA a PB fa variare la spesa totale degli acquirenti da OPAAQA a OPBBQB: la superficie del 1° rettangolo è maggiore di quella del 2° F 0 E 0 La spesa degli acquirenti diminuisce dell'area contrassegnata dal segno -, ma aumenta dell'area contrassegnata dal segno + F 0 E 0 La riduzione del prezzo si verifica nel tratto elastico della domanda, vicino al prezzo di riserva degli acquirenti: in questa situazione, una piccola riduzione del prezzo provoca un aumento molto più ampio della quantità domandata e la spesa degli acquirenti aumenta. • Nella situazione (b): l'identica riduzione del prezzo da PA a PB si realizza nel tratto inelastico della curva di domanda. Sebbene la riduzione di prezzo faccia aumentare la quantità domandata, questo incremento è troppo piccolo per provocare un 2 aumento della spesa degli acquirenti: infatti il risparmio di spesa, contrassegnato dal segno – è molto maggiore dell'incremento di spesa contrassegnato dal segno +. • Nel caso in cui la riduzione del prezzo avvenga in corrispondenza dell'elasticità unitaria, come nel punto medio M, la spesa totale degli acquirenti rimane la stessa. Tutto è riassunto nella Tabella 4.3 Tabella 4.4 Partendo dal prezzo di riserva degli spettatori, 12,50 euro, successive riduzioni del prezzo, fino a 6,25 euro, fanno aumentare la spesa degli spettatori da 0 a 312,5 migliaia di euro. Ulteriori riduzioni del prezzo, a 5 e a 2,5 euro, fanno invece diminuire la spesa complessiva degli spettatori. Quando il prezzo è pari a 6,25 euro, la domanda di biglietti ha un'elasticità al prezzo pari a 1. F 0 E 0 La spesa degli acquirenti = il ricavo totale dei venditori hanno il massimo valore in corrispondenza del prezzo e della quantità domandata che identificano il punto della curva di domanda con elasticità unitaria al prezzo: il punto medio della retta di domanda. Approfondimento 4.2 Il prezzo dell'iPhone e l'elasticità della domanda L'iPhone da 8 GB è stato lanciato nel giugno del 2007 al prezzo di 599 dollari. Ai primi di settembre hanno abbassato il prezzo a 399. La spiegazione di ciò sta nell'elasticità della domanda. L'iPhone è un bene di lusso che ha pochi diretti sostituti. Secondo alcuni studi la domanda dell'i-Phone presenta un'elasticità compresa tra 3 e 5. Una riduzione del prezzo, quando la domanda è ancora elastica, determina quindi un aumento dei ricavi totali. Apple aveva venduto 270.000 iPhone a 599 dollari. Da ottobre a dicembre ne aveva venduti 1.119.000 a un prezzo di 399 dollari. → L'elasticità della domanda è stata stimata pari a -3,6. Una riduzione dell'1% del prezzo determinerebbe un aumento della quantità domandata del 3%. 4.3 Alcuni esempi di applicazione dell'elasticità della domanda al prezzo - La gelata del caffè - Nel 1994, una terribile gelata distrusse o danneggiò le piantagioni di caffè del Brasile, provocando un disastroso raccolto nel 1995. La rivista The Economist anticipò la previsione che il raccolto nel 1995 non sarebbe stato pari a 26,5 milioni di sacchi previsti, bensì solo 15,7 milioni. Prevedendo questa scarsità di offerta nel 1995, gli speculatori si accaparrarono caffè già nel 1994, provocando un ulteriore aumento della scarsità nell'anno successivo. 35 La Tabella 4.5 mostra l'effetto di questo evento sul prezzo del caffè e sulle esportazioni di caffè del Brasile nel periodo 1993-1995. Confrontando il 1993 con il 1995: il ricavo derivante dalle esportazioni brasiliane di caffè aumentò malgrado il disastroso raccolto. Benché si possa ritenere che il caffè abbia dei sostituti come il tè o la cioccolata, la domanda di caffè è di fatto inelastica al prezzo F 0 E 0 questo esempio sottolinea l'importanza dei gusti dei consumatori, che non rinuncerebbero mai al caffè a favore del tè. - Gli agricoltori e i cattivi raccolti - Quando la domanda di un prodotto agricolo è inelastica, i produttori ottengono ricavi maggiori da un cattivo raccolto piuttosto che da un raccolto abbondante. In presenza di una domanda inelastica, i venditori, nel loro insieme, traggono vantaggio da una riduzione dell'offerta. MA, se un solo agricoltore fosse colpito da un cattivo raccolto mentre tutti gli altri realizzano raccolti abbondanti, si avrebbe un effetto irrilevante sull'offerta complessiva del prodotto sul mercato. L'errore di composizione consiste nel pensare che ciò che vale per un individuo valga per tutti gli individui considerati come insieme e viceversa . La domanda di grano per un singolo produttore è molto elastica al prezzo perché i consumatori possono acquistare da molti altri produttori dello stesso prodotto: la domanda di grano per l'insieme dei produttori è invece inelastica. 4.4 L'elasticità della domanda al prezzo nel breve e nel lungo periodo L'aumento del petrolio del 1973-74 colse di sorpresa molte famiglie che nel breve periodo, furono in grado di reagire solo modificando il loro stile di vita, usando meno l'auto o il riscaldamento → La domanda di petrolio è inelastica nel breve periodo . Nel lungo periodo, le famiglie furono in grado di cambiare le abitudini di consumo e le dotazioni di beni complementari come auto o impianti di riscaldamento F 0 E 0 La domanda di petrolio è più elastica nel lungo periodo. F 0 E 0 L'elasticità della domanda al prezzo è normalmente minore nel breve periodo rispetto al lungo periodo. Nel lungo periodo gli acquirenti sono in grado di reagire all'aumento di un bene sostituendolo con altri. Lungo periodo: tempo necessario per consentire agli agenti economici il completo aggiustamento a un cambiamento dei prezzi. La sua lunghezza dipende dal tipo di aggiustamento che gli acquirenti desiderano realizzare. 4.5 L'elasticità incrociata della domanda al prezzo 2 Mostra gli effetti di una variazione del reddito degli acquirenti sulla quantità domandata e sulle quote di bilancio dei beni. - L'importanza dell'elasticità domanda-reddito - La conoscenza dell'elasticità domanda-reddito dei beni o servizi è un'informazione essenziale per prevedere i cambiamenti nella domanda dei consumatori quando l'economia è in crescita e le famiglie vedono aumentare il reddito disponibile. Se il vino sfuso di bassa qualità è il pane comune sono considerati beni inferiori, mentre gli smartphone e la lana di cachemire sono considerati beni di lusso, l'aumento del PIL e del reddito nazionale provocherà una riduzione della domanda di vino sfuso e pane e un aumento di smartphone e di cachemere. Queste previsioni influenzano le decisioni delle imprese dei settori interessati in merito agli investimenti in nuovi impianti e le previsioni del Governo circa il gettito delle imposte derivanti dalla produzione o vendita dei singoli beni o servizi. Applicazione 4. La domanda di festival Tutte le maggiori indagini empiriche riconoscono che la domanda di festiva è elastica al reddito e inelastica al prezzo complessivo di una destinazione turistica. I turisti tendono a percepire il prezzo del biglietto di ingresso alle manifestazioni culturali come una delle tante spese relative alla visita di una destinazione turistica. Un aumento del prezzo del biglietto non ha impatto sulla domanda della destinazione festivaliera, Ciò induce i manager dei festival ad applicare periodicamente piccole variazioni di prezzo in aumento che sono recepite come sopportabili da parte dei consumatori. Capitolo 5 La teoria della scelta del consumatore e della domanda 5.1 Un modello di scelta del consumatore La struttura del modello è basata su 4 aspetti che caratterizzano il consumatore e il mercato in cui compie le sue scelte: 1. Il reddito disponibile del consumatore; 2. I prezzi ai quali i beni possono essere acquistati; 3. Le preferenze del consumatore in merito a panieri diversi di beni consumabili; 4. L'obiettivo del consumatore, identificato nell'ottenimento della massima soddisfazione o utilità; 35 - Il vincolo di bilancio - Considerato congiuntamente, il reddito disponibile e i prezzi di mercato dei beni definiscono il vincolo di bilancio del consumatore. Il vincolo di bilancio di un consumatore è l'insieme dei panieri di beni e servizi che quest'ultimo è in grado di acquistare. Uno studente con un reddito settimanale di 50 euro per acquistare pasti (5€) e andare al cinema (10€). Se spende tutto in pasti ne può acquistare 10; se invece in cinema può acquistare 5 biglietti. Tra questi due panieri estremi o d'angolo, vi sono numerosi panieri intermedi F 0 E 0 L'insieme di essi è in vincolo di bilancio del consumatore. La Tabella 5.1 rappresenta il vincolo di bilancio dello studente nell'ipotesi di spesa di tutto il reddito disponibile di 50€. I dati sono dedotti dalla relazione: ST(QP, QF) = PP . QP + PF . QF = 5QP + 10QF < 50 dove, ST(QP, QF) è la spesa totale dello studente per acquistare un paniere di QP pasti e QF film, mentre PF e PP sono rispettivamente il prezzo dei film e quello dei pasti. La Tabella 5.1 indica la quantità massima acquistabile di un bene compatibilmente con una data quantità acquista dell'altro bene. Consente anche di ricavare il tasso di scambio tra pasti e film: un aumento del numero di spettacoli cinematografici implica necessariamente una rinuncia a una certa quantità di pasti e viceversa. Il tasso di scambio tra pasti e film è di 2 a 1, perché i pasti costano 5€ e i film 10€. - La linea di bilancio - Il vincolo di bilancio di un consumatore può essere rappresentato graficamente con una retta detta linea di bilancio, rappresentata nella Figura 5.1. I panieri A e F sono i panieri d'angolo. I punti intermedi lungo la linea di bilancio rappresentano panieri composti da pasti e film. La pendenza della linea di bilancio rappresenta il tasso di scambio o prezzo relativo tra i due beni, ovvero 2 pasti per 1 film: il tasso di scambio tra pasti e film è analiticamente rappresentato dal coefficiente angolare (-2) dell'equazione da cui si ricava la linea di bilancio. Il segno negativo indica che lo studente deve rinunciare a due pasti per consumare un film in più. La pendenza della linea di bilancio dipende dal prezzo relativo dei due beni. In generale se PX è il prezzo del bene sull'asse orizzontale e PY quello sull'asse verticale, la pendenza della linea di bilancio i è data da: -PX/PY Ogni punto al di sopra della linea di bilancio rappresenta un paniere non acquistabile. Punti al di sotto della linea di bilancio sono panieri acquistabili con una spesa inferiore al reddito disponibile F 0 E 0 SOLO spostamenti da un paniere all'altro lungo la linea di bilancio implicano un tasso di scambio tra i beni. 2 - Le preferenze del consumatore secondo la teoria dell'indifferenza - È necessario analizzare le preferenze del consumatore. Si possono avanzare 3 ipotesi: 1. TEORIA DELL'UTILITÀ ORDINALE: è che il consumatore sia capace di ordinare qualunque paniere di beni in base all'utilità che gli attribuisce. Deve essere in grado di dire se un paniere è per lui migliore, peggiore o indifferente al confronto con un altro; 2. COERENZA O TRANSITIVITÀ DELLE PREFERENZE: è che l'ordine di preferibilità dichiarato dal consumatore sia coerente. Se il consumatore dichiara di preferire il paniere A al B e quest'ultimo al C; l'ordine di preferibilità è coerente se preferisce A a C e non viceversa; 3. CARATTERISTICA DELLA NON SAZIETÀ: è che il consumatore sia insaziabile, cioè abbia bisogni non soggetti a saturazione e quindi preferisca il più al meno. Se un paniere contiene una maggiore quantità di un altro, il consumatore preferisce il primo. La Figura 5.2 esamina le implicazioni di queste 3 ipotesi circa le preferenze del consumatore. Ogni punto rappresenta un paniere composto da definite quantità di film e di pasti. Prendendo come parametro di riferimento H, dicendo che il consumatore è insaziabile, ogni paniere che si trova nell'area nord-est di H è sicuramente preferito ad H, perché ha un consumo di una maggiore quantità di entrambi i beni F 0 E 0 L'area nord-est di H è detta preferita o dominante H. Al contrario, panieri collocati a sud-ovest di Ha sono sicuramente non preferiti ad H F 0 E 0 L'area sud-ovest di H è detta area non preferita o dominata da H. Per panieri come L o M si può stabilire un ordine di preferenza solo in base alle dichiarazioni del consumatore. F 0 E 0 Se ha gusti orientati al cinema, preferisce M a H; se ha gusti orientati al cibo, preferisce L a H. Un altro consumatore di potrà dichiarare indifferente tra L, M e H. Il tasso marginale di sostituzione tra due beni è il rapporto nel quale un consumatore è disposto a rinunciare a una certa quantità di un bene in cambio di un'unità addizionale dell'altro, senza che questa sostituzione modifichi la sua utilità . Il tasso marginale di sostituzione tra pasti e film è il numero di pasti che il consumatore è disposto a sacrificare in cambio di un film in più, senza che questo incida sul suo benessere complessivo. Le preferenze di un consumatore mostrano un tasso marginale di sostituzione decrescente se il consumatore è disposto a sacrificare quantità via via minori di un bene in cambio di un'unità addizionale di un altro bene. Lo studente potrebbe trarre la stessa utilità da un paniere A (6 pasti e 1 film), un paniere B (3 pasti e 2 film) e un paniere C (2 pasti e 3 film). Nella Figura 5.3 i panieri B e C non si trovano né nella regione dominante A, né nella regione dominata da A. 35 La Figura 5.8 rappresenta la reazione di un consumatore-studente a un cambiamento del suo reddito monetario o nominale, a parità di preferenze a prezzi e beni che consuma. Inizialmente lo studente dispone di un reddito settimanale di 50 euro, la sua linea di bilancio è AF e O è il paniere che gli garantisce la massima utilità compatibilmente con il suo vincolo di bilancio. Un aumento da 50 a 80 € del suo reddito fa spostare parallelamente verso l'alto la sua linea di bilancio da AF a A'F' F 0 E 0 il potere di acquisto dello studente è aumentato. Il nuovo paniere ottimo per lo studente è O', il punto in cui la nuova linea di bilancio è tangente alla più alta curva d'indifferenza raggiungibile. L'aumento del reddito induce lo studente a cambiare il paniere ottimo passando da O (2 film e 6 pasti) a O' (4 film e 8 pasti). Un aumento del 60% del reddito dello studente induce quest'ultimo ad aumentare del 100% la quantità domandata di film. F 0 E 0 I film rappresentano quindi un bene di lusso, con un'elasticità domanda-reddito superiore a 1. Lo stesso aumento del 60% del reddito induce un aumento solo del 33% nella quantità domandata di pasti. F 0 E 0 I pasti sono un bene normale ma necessario con un'elasticità domanda-reddito pari a 0,33/0,6=0,55, minore di 1. La Figura 5.9 presenta la situazione in cui le preferenze dello studente sono diverse in quanto i pasti sono considerati un bene inferiore. Il nuovo paniere O' è composto da una minore quantità domandata di pasti (4 invece di 6), pur essendo aumentato il reddito nominale e reale dello studente. INVECE: Le conseguenze di una riduzione del reddito reale di un consumatore sono esattamente opposte F 0 E 0 La linea di bilancio si sposta parallelamente verso il basso. F 0 E 0 Se il consumatore considera normali entrambi i beni, la riduzione del suo reddito reale induce una riduzione della quantità domandata di entrambi. F 0 E 0 Se uno dei due beni è considerato inferiore, la sua quantità domanda aumenta al diminuire del reddito del consumatore. - Il sentiero di espansione reddito-domanda - Il sentiero di espansione reddito-domanda è anche detto sentiero reddito- consumo. Il sentiero di espansione reddito-domanda è una curva i cui punti rappresentano i panieri ottimi per il consumatore a ogni possibile livello di reddito. Nelle figure 5.8 e 5.9, le linee di bilancio AF e A'F' si riferiscono a due livelli di reddito disponibili dello studente. Ipotizzando altri livelli di reddito, nelle figure verrebbero identificati altri panieri ottimi per il consumatore, ognuno corrispondente a un reddito. Interpolando una curva per questi panieri ottimi, si otterrebbe il sentiero di espansione reddito-domanda del consumatore. L'andamento del sentiero risulta crescente solo se il consumatore considera normali i due beni (Figura 5.8). Se invece uno dei due beni è inferiore, il sentiero ha un'inclinazione negativa (Figura 5.9). 2 5.5 I trasferimenti di reddito e i trasferimenti di beni e servizi Un trasferimento di reddito è un pagamento in moneta che integra il reddito monetario del beneficiario senza che quest'ultimo fornisca una contropartita. Lo sono ad esempio l'indennità di disoccupazione o la pensione d'invalidità. Non lo è invece il salario percepito da un dipendente pubblico, in quanto il salario è il corrispettivo della prestazione di servizi lavorativi. Un trasferimento di beni o servizi è invece l'erogazione gratuita a un beneficiario di beni o servizi reali o di titoli spendibili esclusivamente per l'acquisto di specifici beni o servizi. Lo sono i buoni pasto che un ente pubblico eroga gratuitamente alle famiglie povere. La Figura 5.15 rappresenta i trasferimenti di reddito e i trasferimenti di beni e servizi. Rappresenta il vincolo di bilancio AF di un consumatore che disponga di un reddito di 100€ da spendere per alimenti e film il cui prezzo è identico e pari a 10€ (retta rossa). Si supponga che il Governo benefici il consumatore con buoni pasto spendibili per l'acquisto di 4 unità di alimenti. Il consumatore dispone ora di una nuova linea di bilancio ABF', perché, per ogni possibilità acquistabile di film, la quantità massima acquistabile di beni alimentari è aumentata di 4 unità. Se il Governo avesse invece optato per un trasferimento di reddito di pari valore, la linea di bilancio sarebbe diventata A'F'. F 0 E 0 Il confronto fra le linee di bilancio ABF' e A'F' indica che i due tipi di trasferimento hanno effetti diversi sul potere di acquisto del consumatore-beneficiario F 0 E 0 il trasferimento di beni e servizi vincola maggiormente il consumatore. Si ipotizzi ora che il consumatore, prima del trasferimento, abbia scelto il paniere O1 sulla linea di bilancio AF. Se i due beni sono considerati normali, lo spostamento parallelo verso l'alto della sua linea di bilancio indurrà il consumatore a scegliere un nuovo paniere, come O1' che si trova su A'F' o ABF' nell'area dei panieri dominanti O1 F 0 E 0 In questo caso il tipo di trasferimento è irrilevante rispetto all'utilità del consumatore: in entrambi i casi, sceglierà O 1'. F 0 E 0 Il trasferimento di reddito monetario consente ai beneficiari di spendere come meglio credono il maggior potere d'acquisto. F 0 E 0 Il trasferimento di beni può limitare in modo rilevante le possibilità di scelta dei consumatori: l'utilità che ne traggono può essere minore di quella che ne trarrebbero in caso di trasferimento di reddito di pari valore. Capitolo 6 Introduzione alla teoria dell'offerta Per ogni livello di produzione o output, un'impresa deve essere in grado di valutare il costo e il ricavo ottenibile dalle vendite. Il costo di produzione di un definito volume di output dipende dalla tecnologia e dai prezzi ai quali i fattori produttivi possono essere acquistati. Il ricavo derivante dalla vendita di un definito volume di produzione dipende dalla domanda che l'impresa può soddisfare. La domanda determina il prezzo al quale è possibile vendere un dato volume di prodotto e quindi il ricavo ottenibile dall'impresa. Il profitto è la differenza tra ricavo e costo totale. L'impresa ha come obiettivo l'ottenimento del massimo profitto, cioè la differenza massima tra ricavo totale e costo totale. 35 6.1 Il settore e le strutture di mercato Un settore è l'insieme delle imprese che producono uno stesso prodotto e che quindi operano come offerenti in uno stesso mercato. La produzione di un settore è la somma delle produzioni delle imprese che lo compongono. La struttura di un mercato è l'insieme dei caratteri della domanda e dell'offerta del mercato. Caratteri che influenzano il comportamento dei consumatori e le performance dei venditori. La moderna teoria dei mercati e dei settori propone una classificazione delle strutture del mercato basata sui caratteri strutturali della domanda e dell'offerta, caratteri che non sono il solo numero e alla sola dimensione di acquirenti e venditori. La Tabella 6.1 classifica i caratteri tipici delle strutture di mercato analizzate nel volume. In base a questa classificazione, le strutture di mercato sono riconducibili a tipologie comprese tra la concorrenza perfetta e il monopolio perfetto, che rappresentano le due forme estreme. Le tipologie intermedie sono definite di concorrenza imperfetta. Il mercato di concorrenza perfetta è caratterizzato da assoluta libertà di entrata e uscita, frammentazione della domanda e dell'offerta tra molti piccoli acquirenti e venditori, omogeneità del bene o servizio scambiato e perfetta trasparenza. Il mercato di monopolio perfetto è invece caratterizzato da insormontabili barriere all'entrata di nuovi concorrenti e assoluta libertà all'uscita, concentrazione dell'offerta in un'unica impresa e frammentazione della domanda, assenza di sostituti del bene o servizio offerto e perfetta trasparenza. Ogni agente economico operante in un mercato di concorrenza perfetta è consapevole dell'irrilevanza delle sue decisioni rispetto al prezzo e alla quantità scambiata e considera il prezzo di equilibrio del mercato come un dato indipendente dalle sue scelte. In un mercato di perfetta concorrenza le imprese non competono attraverso il prezzo, ma subiscono il prezzo che si forma sul mercato attraverso l'interazione fra domanda e offerta e competono attraverso la quantità. Il monopolio perfetto non presuppone solo che l'offerta sia concentrata in un'unica impresa, MA che sia protetta da barriere insormontabili per nuovi e potenziali concorrenti e che il suo prodotto non abbia alcun sostituto. In ogni caso una situazione del genere è altamente improbabile da riscontrare. Anche i più citati esempi di monopolio rappresentano situazioni lontane dal monopolio perfetto, soprattutto per la presenza di prodotti sostituti spesso differenziati. In tali situazioni il monopolista può essere leader di mercato, ma la sua leadership può essere minacciata da nuovi concorrenti. - Il costo opportunità e il costo contabile - Gli economisti definiscono il costo d'uso di una risorsa non come il pagamento effettivamente sostenuto per la sua acquisizione, MA attraverso il suo costo opportunità. Il costo opportunità dell'uso di una risorsa è la stima o il valore del migliore impiego alternativo. Ogni individuo impegnato a lavorare in un'impresa di sua proprietà dovrebbe valutare il costo delle prestazioni lavorative svolte nella sua impresa. L'imprenditore proprietario di una società 2 Si può ipotizzare che l'impresa decida unità per unità la convenienza a produrre e vendere. Questo approccio, che analizza l'effetto della produzione di ogni unità addizionale sul profitto dell'impresa, è incentrato sul calcolo del costo marginale e del ricavo marginale. Il costo marginale è la variazione del costo totale conseguente alla produzione di una unità addizionale di prodotto. Il ricavo marginale è la variazione del ricavo totale conseguente alla produzione e alla vendita di una unità addizionale di prodotto. Nella Tabella 6.6 vi sono i valori del costo marginale, MC, e del ricavo marginale, MR, di ogni unità eventualmente prodotta e venduta dall'impresa, sulla base dei costi e ricavi totali ipotizzati nella precedente Tabella 6.5. - Il costo marginale - Il costo marginale della prima unità prodotta è di 15€. Infatti se l'impresa aumenta la produzione da 0 a 1 unità di prodotto, il suo costo totale aumenta da 10 a 25€. Con una seconda unità prodotta il costo totale aumenta da 25 a 36€, quindi il suo costo marginale è di 11€. L'andamento del costo marginale al variare della quantità prodotta è rappresentato nella Figura 6.3 (b) ed è collegato all'andamento del costo totale rappresentato nella Figura (a). Il costo marginale di produzione è elevato per le prime unità prodotte, diminuisce fino a 7€ in corrispondenza della 4° unità prodotta e aumenta per quelle successive. La curva del costo marginale di produzione ha un andamento a U che dipende da quello del costo totale e quindi dalle condizioni tecniche in cui si realizza la produzione e dai prezzi bassi delle risorse necessarie per la produzione. - Il ricavo marginale - Le colonne (4) e (5) della Tabella 6.6 mostrano i valori del ricavo totale e del ricavo marginale in corrispondenza di ogni unità addizionale prodotta e venduta dall'impresa. Se l'impresa aumenta la produzione e la vendita da 0 a 1 unità, il suo ricavo totale passa da 0 a 21€ → quindi 21€ è il ricavo marginale della prima unità di prodotto. Un incremento della produzione e delle vendite da 7 a 8 unità fa aumentare il ricavo totale da 105 a 112€: quindi il ricavo marginale dell'ottava unità è di 7€. Il ricavo totale e quello marginale dipendono dalla funzione di domanda del prodotto che l'impresa cerca di soddisfare nella sua interezza. La Figura 6.4 rappresenta l'andamento del ricavo totale e del ricavo marginale dell'impresa, secondo l'ipotesi della Tabella 6.6. Il ricavo marginale è continuamente decrescente e può persino diventare negativo in corrispondenza di elevati livelli di vendite. Per comprendere come e perché il ricavo marginale vari al variare della quantità venduta e possa persino essere negativo, è necessario distinguere due effetti esercitati sul ricavo totale della vendita di una unità addizionale. 35 Se la curva di domanda dell'impresa è rappresentativa di tutto il mercato ed è inclinata negativamente, per venderne un'unità in più occorre ridurre il prezzo sulle altre unità inframarginali. Questa perdita di ricavo sulle altre unità fa si che il ricavo addizionale ottenibile sulla vendita di un'unità in più sia minore del prezzo al quale quest'ultima viene venduta. L'impresa può vendere 5 unità di prodotto a un prezzo di 17€. Per aumentare le vendite a 6 unità, l'impresa deve vendere a un prezzo di 16€ sia la 6°, sia le cinque che poteva vendere a 17€. Quando la curva di domanda dell'impresa è inclinata negativamente, il ricavo marginale ottenibile da ogni unità addizionale venduta ha due caratteristiche: 1. tende a diminuire al crescere della quantità venduta; 2. è inferiore al prezzo di vendita dell'ultima unità a causa della perdita di ricavo sulle altre unità; L'andamento del ricavo marginale dipende dalla domanda dell'impresa. Può succedere che una piccola impresa, che vende il suo prodotto in un grande mercato, possa essere in grado di aumentare la quantità venduta senza ridurre il prezzo, ma vendendo al prezzo di equilibrio corrente sul mercato → In questa situazione, la perdita di ricavo sulle unità inframarginali è nulla e il ricavo marginale coincide con il prezzo. - La determinazione del volume di produzione che massimizza il profitto dell'impresa attraverso il confronto tra il costo e il ricavo marginale - Nella Tabella 6.7, il confronto tra costo e ricavo marginale consente di determinare il volume di produzione e di vendite che massimizza il profitto totale dell'impresa. Se il ricavo marginale è maggiore del costo, la produzione e la vendita di un'unità addizionale accresce il profitto F 0 E 0 l'impresa ha convenienza a decidere di produrla e venderla. L'ultima colonna mostra che l'impresa ha motivo di espandere la produzione e la vendita fino alla 6° unità. Il ricavo marginale della 7° unità è di 12€ F 0 E 0 la sua produzione e vendita farebbero diminuire il profitto di 3€ e l'impresa non ha convenienza a realizzarla. • Se il costo marginale supera il ricavo marginale, l'impresa ha convenienza a ridurre la produzione perché così facendo incrementa il suo profitto complessivo. • La quantità ottima da produrre è determinata dall'uguaglianza tra costo e ricavo marginale. 6.8 L'uguaglianza tra il costo e il ricavo marginale attraverso il confronto delle rispettive curve 2 Ipotizzando che la quantità prodotta e venduta possa variare in modo continuo, è possibile determinare il volume ottimo di produzione e vendita dell'impresa attraverso il confronto delle curve che rappresentano l'andamento del costo e del ricavo marginale. La Figura 6.5 presenta l'andamento del costo marginale, MC, e del ricavo marginale, MR, dell'impresa. Il volume di produzione e di vendita ottimale è Q*, in corrispondenza dell'uguaglianza tra costo e ricavo marginale, oltre che di ricavo marginale decrescente e di un costo marginale crescente. Volumi inferiori a Q*, come Q1, sono caratterizzati da un ricavo marginale maggiore del costo marginale F 0 E 0 l'impresa ha convenienza ad aumentare la produzione perché così accresce il profitto. Volumi superiori a Q*, come Q2, hanno il costo marginale che eccede il ricavo marginale F 0 E 0 l'impresa ha convenienza a ridurre la produzione In corrispondenza di Q* l'impresa deve verificare la convenienza a produrre F 0 E 0 il prezzo al quale vende deve essere maggiore del costo medio variabile di produzione, ovvero il costo per quantità di prodotto dei fattori variabili della produzione. Può accadere che producendo o vendendo Q* l'impresa abbia un profitto negativo a causa dei costi fissi. In questa situazione, occorre valutare la convenienza di una chiusura della produzione. La Tabella 6.8 riassume le condizioni che determinano la quantità di prodotto che l'impresa ha convenienza ad offrire sul mercato. - Gli effetti sull'offerta di un cambiamento nei costi di produzione - Se l'impresa si trova a dover fronteggiare un aumento del prezzo di una materia prima essenziale per il suo prodotto, il costo marginale subisce un aumento e quindi la curva del costo marginale si sposta verso l'alto. Nella Figura 6.6, questo evento sposta la curva del costo marginale di produzione dell'impresa da MC a M'C'. Ristabilendo l'uguaglianza tra costo e ricavo marginale, l'impresa decide quindi di produrre la quantità Q1*. Un aumento del costo marginale riduce la quantità offerta da un'impresa che abbia come obiettivo la massimizzazione del profitto. - Gli effetti sull'offerta di un cambiamento della domanda dell'impresa - Se si verifica un aumento della domanda dell'impresa, il ricavo marginale ottenibile dalla vendita del suo prodotto aumenta. A ogni livello di produzione e vendita, il prezzo e il ricavo marginale sono maggiori di prima. Nella Figura 6.7, l'aumento della domanda per il prodotto dell'impresa provoca uno spostamento verso l'alto della curva del ricavo marginale da MR a MR', incentivando l'impresa 35 prezzo di un fattore di produzione provochi uno spostamento verso l’alto, quindi un aumento, della curva di costo totale. Nella Tabella 7.3 l’aumento del prezzo relativo del lavoro induce l’impresa a passare alla tecnica A, che ha una più elevata intensità di capitale. 7.3 I costi totali, medi e marginali di lungo periodo Di fronte a un aumento della domanda e quindi del ricavo ottenibile dalla vendita del prodotto, l’impresa ha convenienza a espandere la produzione. Il lungo periodo è il tempo necessario per consentire all’impresa di modificare tutti gli input in relazione a cambiamenti esogeni. Nel breve periodo l’impresa può modificare solo alcuni fattori di produzione in reazione a cambiamenti esogeni. Nel lungo periodo l’impresa può modificare la dimensione degli immobili e degli impianti, assumere o licenziare lavoratori, cambiare la tecnica di produzione e rinegoziare le condizioni contrattuali con i fornitori. Nel breve periodo può essere possibile modificare l’orario giornaliero o settimanale di lavoro dei dipendenti. La variazione del numero degli addetti alla produzione ha invece tempi lunghi. - I costi totali e marginali di lungo periodo - Il costo totale di lungo periodo (LTC) è il costo minimo di produzione corrispondente a ogni ipotetica quantità di prodotto nell’ipotesi in cui l’impresa possa modificare tutti i fattori e scelga, per ogni volume di produzione, la tecnica e la combinazione di fattori economicamente efficienti. La Tabella 7.4 e la Figura 7.2 presentano un tipico andamento dei costi totali di lungo periodo di produzione di un bene. Il valore del costo totale di produzione rappresentato è il minimo costo totale a cui è possibile produrre ogni corrispondente volume di produzione scegliendo la tecnica e la combinazione di fattori più efficienti per quel volume. In corrispondenza di una produzione nulla il costo totale è pari a zero. La terza colonna della Tabella 7.4 rappresenta l’andamento del costo marginale di lungo periodo (LMC). Il costo marginale di lungo periodo (LMC) è una variazione del costo totale di lungo periodo (LTC) conseguente a un aumento della produzione di un’unità . Al crescere della quantità prodotta, cresce anche LTC F 0 E 0 L’aumento della capacità produttiva implica l’utilizzo di maggiori quantità di fattori produttivi e quindi l’aumento dei costi. Al crescere della produzione i costi totali possono aumentare in modo più o meno rilevante a seconda che la tecnologia favorisca la grande o la piccola dimensione dell’impresa. - I costi medi di lungo periodo - 2 Il costo medio di lungo periodo (LAC) di produzione di un bene o servizio è il rapporto tra costo totale e quantità prodotta in condizioni di lungo periodo. L’andamento dei costi marginali (LMC) e dei costi medi (LAC) di lungo periodo dipende da quello dei costi totali di lungo periodo (LTC). La Figura 7.3 mostra alcuni tipici collegamenti tra costi totali e costi medi e marginali di lungo periodo. L’ipotesi della Tabella 7.4 è rappresentata nella Figura 7.3 (a). Dato l’andamento cubico del costo totale di lungo periodo rappresentato nella figura, le conseguenti curve di costo medio (LAC) e marginale (LMC) hanno una tipica forma a U. Nelle due ipotesi rappresentate nelle Figure 7.3 (b) e (c), la forma di LTC determina due tipiche configurazioni, a forma di catino e orizzontale, delle curve di costo medio e marginale. 7.4 Le economie e le diseconomie di scala La produzione in condizioni di lungo periodo di un bene o servizio è caratterizzata da economie di scala quando, al crescere della quantità prodotta, il costo medio di lungo periodo diminuisce. Se invece, al crescere della quantità prodotta, il costo medio di lungo periodo aumenta, la produzione del bene o servizio è contraddistinta da diseconomie di scala. Se al variare della produzione il costo medio di lungo periodo rimane costante, la produzione si può definire caratterizzata da rendimenti costanti di scala. La parola scala è sinonimo di dimensione della capacità produttiva o dimensione del processo produttivo espressa in termini di quantità prodotta. Figura 7.4 A eccezione di casi particolari, le forme più tipiche della curva di costo medio di lungo periodo sono quelle a U e quelle a catino delle Figure 7.3 (a) e (b). L’andamento a forma di U è tipico di una produzione caratterizzata da economie di scala fino a Q2 e da diseconomie di scala una volta superata la dimensione Q2. La dimensione della capacità produttiva corrispondente al minimo costo medio di lungo periodo, Q 2 nella Figura 7.3 (a), è detta scala efficiente di produzione (ES) del bene o servizio. La forma a catino della Figura 7.3 (b) indica invece l’esistenza di rendimenti costanti di scala tra Q1 e Q2, che rappresentano rispettivamente la scala minima e la scala massima efficiente di produzione del bene o servizio. Cambiamenti del costo medio dovuti a variazioni della dimensione produttiva, ovvero spostamenti lungo la curva LAC, non possono essere attribuiti a cambiamenti dei prezzi dei fattori produttivi. Questi ultimi provocano spostamenti delle curve dei costi. La forma delle curve di costo dipende sostanzialmente dalla tecnologia produttiva. - Le economie di scala - Vi sono 3 possibili cause di economie di scala: 1. La prima è rappresentata dall’INDIVISIBILITÀ di alcuni fattori del processo produttivo. Per produrre, un’impresa deve disporre di una quantità minima di fattori indivisibili, indipendentemente dal suo volume di produzione e di offerta: per esempio deve disporre di un impianto, di un manager, di un abbonamento telefonico F 0 E 0 Il sostenimento di costi fissi che non variano al variare della produzione. Finché l’aumento della 35 produzione non richiede un secondo impianto, o manager o abbonamento telefonico, al crescere del volume di produzione i costi fissi dei fattori indivisibili si ripartiscono su un volume crescente di unità prodotte riducendo il costo medio e provocando il fenomeno delle economie di scala. MA quando l’impresa si espande oltre la capacità produttiva dei fattori indivisibili disponibili, ha la necessità di acquisire nuove risorse indivisibili, cosicché i costi medi aumentano e le economie di scala si esauriscono; 2. La seconda causa delle economie di scala è la SPECIALIZZAZIONE o la DIVISIONE DEL LAVORO all’interno dell’impresa. Quando l’impresa espande la sua dimensione, diventa tecnicamente possibile ed economicamente conveniente organizzare il processo produttivo assegnando a diversi lavoratori o gruppi di lavoratori un compito specialistico. Un artigiano che svolga tutte le fasi della produzione potrebbe forse arrivare a produrre 20 spilli al giorno. Basando l’organizzazione del lavoro sulla divisione e specializzazione dei compiti, la produzione giornaliera di spilli potrebbe arrivare a 4800 unità. Ad esempio si potrebbe usare l’organizzazione del lavoro per linee di assemblaggio o isole di lavorazione tipiche dell’industria automobilistica; 3. La terza causa delle economie di scala è collegata ai vantaggi derivanti dall’impiego di particolari impianti. L’ingegneria meccanica propone la REGOLA DEI DUE TERZI: il costo di costruzione di uno stabilimento o di un impianto aumenta solo di due terzi rispetto all’aumento della capacità produttiva. Spesso questa regola ha una base di natura fisica. Si pensi a un magazzino merci della forma di un parallelepipedo, è costituito da 6 facce. Raddoppiare il volume in altezza significa aumentare di soli due terzi le facce del parallelepipedo F 0 E 0 riutilizzando pavimento e tetto del magazzino, il volume raddoppia per la neo-costruzione di sole 4 facce. - Le diseconomie di scala - La specializzazione del lavoro e la regola dei due terzi riguardano prevalentemente la produzione manifatturiera. Non sembrano riguardare molti servizi, come la ristorazione e il turismo. La principale causa di diseconomie di scala è costituita dai crescenti costi di controllo e coordinamento che accompagnano la crescita della dimensione e della complessità organizzativa dell’impresa. La principale causa di aumento dei costi medi nelle grandi imprese è rappresentata dalle diseconomie manageriali di scala. Una seconda fonte di diseconomie di scala è rappresentata dalla dimensione territoriale o geografica dell’attività dell’impresa. F 0 E 0 Al crescere della dimensione dell’impresa, aumenta la dimensione geografica del suo mercato e quindi l’incidenza dei costi di trasporto dei prodotti verso mercati di sbocco. La forma della curva del costo medio di lungo periodo dipende dalla persistenza delle economie di scala al crescere della capacità produttiva e dall’operare delle diseconomie di scala quando la capacità produttiva supera la scala massima efficiente di produzione. L’operare di queste due forze varia grandemente da un settore produttivo a un altro. - L’evidenza empirica circa le economie e le diseconomie di scala - La Figura 7.5 sintetizza l’andamento dei costi medi di produzione per imprese di diverse dimensioni nel settore del cemento negli Stati Uniti e nel settore della birra e dell’energia 2 marginale maggiore di quella del ricavo marginale F 0 E 0 Nella Figura 7.7 queste condizioni sono soddisfatte in corrispondenza del volume di produzione Q1. F 0 E 0 In presenza di perdite e in una prospettiva di lungo periodo, l’impresa ha convenienza a uscire dal mercato. Il profitto totale dell’impresa è dato dal profitto per unità prodotta moltiplicato per il numero totale di unità prodotte F 0 E 0 Quindi il profitto economico totale dell’impresa è positivo solo se il profitto per unità prodotta è positivo. Il profitto per unità prodotta è dato dalla differenza tra il ricavo medio o prezzo unitario che l’impresa ottiene dalla vendita del prodotto e il costo medio. F 0 E 0 Quindi per valutare la convenienza a produrre la quantità Q1 nel lungo periodo, occorre verificare se, in corrispondenza di Q 1, il prezzo di vendita ecceda il costo medio. Nella situazione rappresentata nella Figura 7.7, la quantità Q1 può essere venduta al prezzo P1 superiore al costo medio LAC1: l’impresa può quindi realizzare un profitto unitario positivo pari a P1 - LAC1, equivalente alla distanza AB, e rimanere nel mercato. Il criterio di definizione della scelta ottimale dell’impresa nel lungo periodo è articolato in due stadi: 1. Occorre identificare il volume di produzione che soddisfa le condizioni marginalistiche di massimizzazione del profitto (LMC = MR e dLMC/dQ > dMR/dQ); 2. Successivamente occorre verificare se, in corrispondenza del volume di produzione identificato come ottimo, sia soddisfatta la condizione secondo la quale il prezzo o ricavo medio di vendita supera il costo medio (P > LAC) F 0 E 0 Se questa condizione non è soddisfatta, l’impresa ha convenienza ad uscire dal mercato, in una prospettiva di lungo periodo. 7.7 I costi di lungo periodo e i rendimenti decrescenti dei fattori variabili In condizioni di breve periodo un’impresa non è in grado di adattarsi completamente a cambiamenti esogeni (di domanda, di tecnologia). Nel breve periodo, l’impresa è vincolata da uno o più fattori fissi di produzione. Un fattore fisso di produzione è una risorsa tecnicamente necessaria per l’ottenimento di un prodotto e la cui quantità disponibile è data. Un fattore variabile di produzione è una risorsa disponibile in quantità adattabile al volume di produzione da realizzare. In condizioni di breve periodo un’impresa dispone di fattori produttivi variabili e di uno o più fattori produttivi fissi. Nell’industria elettrica il breve periodo ha la durata di alcuni anni; nella ristorazione anche di pochi mesi, il tempo per affittare, arredare e attrezzare i locali. Il vincolo dei fattori fissi di produzione che caratterizza il breve periodo ha due rilevanti implicazioni: 2.1. Comporta la necessità di sostenere dei costi fissi. I costi fissi sono costi che non dipendono dal volume di produzione che l’impresa decide di realizzare, ma dalla quantità di fattori fissi di cui l’impresa dispone. I costi variabili sono invece costi che dipendono dal volume di produzione. F 0 E 0 I costi fissi devono quindi essere sostenuti anche se l’impresa decide di sospendere la produzione. 35 2.2. A causa del vincolo dei fattori fissi, l’impresa che opera nel breve periodo non è in grado di riorganizzare flessibilmente la produzione in risposta a cambiamenti esogeni. In generale i costi di breve periodo sono maggiori dei costi di lungo periodo. - I costi fissi e i costi variabili - La Tabella 7.7 è un esempio di possibile configurazione dei costi di breve periodo di un’impresa. Le colonne (2) e (3), rappresentano rispettivamente i valori dei costi fissi (SFC) e dei costi variabili (SVC) totali dell’impresa nel breve periodo F 0 E 0 La loro somma dà i costi totali di breve periodo (STC) della colonna (4). STC ≡ SFC + SVC (costi totali di breve periodo) ≡ (costi fissi totali di breve periodo) + (costi variabili totali di breve periodo) SMC = (costo marginale di breve periodo) I costi fissi, variabili e totali di breve periodo di produzione di un bene o servizio sono tipicamente rappresentabili attraverso le curve tracciate nella Figura 7.8 (a). La curva dei costi fissi totali (SFC) indica che l’ammontare di questi costi non varia al variare del volume di produzione. L’andamento crescente della curva dei costi variabili totali (SVC) determina la forma e l’andamento sia della curva dei costi totali (STC) sia del costo marginale di breve periodo (SMC). Nella Figura 7.8 (b) la curva del costo marginale di breve periodo (SMC) ha la stessa tipica forma a U di quella del costo marginale di lungo periodo (LMC). MA, la forma della curva SMC dipende da cause del tutto diverse da quelle che determinano l’andamento dei costi di lungo periodo: • Nel lungo periodo l’impresa è in grado di variare tutti i fattori produttivi. Al crescere del volume di produzione, può diventare conveniente installare una sofisticata linea di assemblaggio che consenta di ridurre significativamente il costo medio di produzione. MA quando cominciano ad operare le diseconomie di scala, i costi marginali cominciano a crescere in modo significativo e fanno aumentare i costi medi; • Nel breve periodo l’esistenza di un fattore fisso, per esempio il capitale (gli impianti) fa sì che l’impresa, per aumentare la produzione, debba accrescere l’impiego dei fattori variabili, per esempio, i lavoratori addetti agli impianti. - La produttività marginale decrescente di un fattore variabile (il lavoro) - La Tabella 7.8 mostra la variazione di produzione realizzabile attraverso incrementi successivi di un fattore variabile (il lavoro) impiegato con una quantità fissa di un altro fattore tecnicamente necessario (il capitale). Il prodotto marginale (MP), ovvero la produttività marginale di un fattore variabile (es. il lavoro), è la variazione di prodotto totale ottenuta in seguito all’utilizzo di un’unità addizionale del fattore variabile, a parità di utilizzo di tutti gli altri fattori tecnicamente necessari (es. il capitale fisico). 2 F 0 E 0 La produttività marginale della prima unità addizionale di lavoro è pari a 0,8 unità di prodotto, mentre la produttività della terza unità addizionale di lavoro è pari a 1,3 unità di prodotto. Finché il livello di produzione e di impiego del fattore variabile (il lavoro) non esauriscono la capacità produttiva del fattore fisso (il capitale), la produttività marginale del fattore variabile aumenta. Una volta raggiunta la quantità di fattore variabile (i lavoratori) che consente di utilizzare pienamente ed efficientemente il fattore fisso (le macchine disponibili), la produttività marginale del fattore variabile cresce continuamente al crescere della quantità utilizzata di quest’ultimo F 0 E 0 In questa situazione gli economisti affermano che operi la legge dei rendimenti decrescenti dei fattori variabili. La legge dei rendimenti decrescenti afferma che la produttività marginale di un fattore variabile, utilizzato in quantità crescente in combinazione con uno o più fattori fissi, tende a diminuire continuamente quando si supera la piena ed efficiente utilizzazione dei fattori fissi disponibili. La legge dei rendimenti decrescenti dei fattori variabili è di natura tecnologica. L’aggiunta di lavoratori addetti a una quantità fissa di macchine consente di realizzare incrementi di produzione via via minori. La Figura 7.9 presenta graficamente i dati della Tabella 7.8 e quindi mostra l’operare della legge dei rendimenti decrescenti. F 0 E 0 Al crescere della quantità impiegata del fattore variabile lavoro, la produzione totale aumenta, m i suoi incrementi sono via via minori man mano che la quantità di lavoro si allontana da quella che consente un’efficiente utilizzazione del fattore fisso disponibile. F 0 E 0 Nella Figura 7.9 (b) la produttività marginale del lavoro (MPL) cresce fino a L1 per poi decrescere continuamente. La produttività del lavoro è intesa come rapporto tra produzione totale e quantità complessiva di lavoratori impiegati. È necessario distinguere tra significato e cause di uno spostamento lungo la curva e della curva della produttività marginale di un fattore produttivo: • Se aumenta la quantità di fattori fissi, la curva della produttività marginale di un fattore variabile si sposta verso l’alto F 0 E 0 Se i lavoratoti avessero a disposizione 6 macchine anziché 3, ogni lavoratore addizionale potrebbe essere in grado di realizzare maggiori incrementi di produzione e la legge dei rendimenti decrescenti comincerebbe a operare a partire da 6 lavoratori anziché 3. • Se la produttività marginale del lavoro è crescente, ogni lavoratore addizionale contribuisce a incrementare la produzione in misura più rilevante dei lavoratori precedentemente impiegati. Quindi il costo addizionale di un’unità in più di prodotto, ovvero il costo marginale di breve periodo (SMC), è decrescente fintantoché la produttività marginale del lavoro è crescente. Il costo marginale di breve periodo (SMC) è l’incremento di costo totale conseguente alla produzione di un’unità addizionale di un prodotto in condizioni tecniche di breve periodo, ovvero in presenza di uno o più fattori produttivi fissi. Quando nella produzione di un bene comincia a operare la legge dei rendimenti decrescenti dei fattori variabili, il costo marginale di breve periodo comincia a crescere. Occorrono quantità crescenti dei fattori variabili per produrre unità addizionali di prodotto. La forma delle curve del costo totale e marginale di breve periodo è determinata dall’andamento delle curve di prodotto totale e marginale dei fattori variabili rappresentati nella Figura 7.9 che, a loro volta, dipendono dalla tecnologia disponibile per l’impresa. 35 Prodotti informativi come libri, film, musica, programmi di notizie, hanno elevati costi fissi di produzione, ma la loro diffusione attraverso le reti digitali non ha sostanziali vincoli di capacità produttiva e può essere utilizzata a costi marginali pressoché nulli. Quindi la diffusione di informazioni e prodotti informativi attraverso le reti digitali beneficia di economie di scala pressoché illimitate e l’aumento del numero di clienti collegati alla rete non fa aumentare significativamente i costi variabili di diffusione. La tecnologia dell’informazione ha consentito di gestire grandi imprese riducendo le diseconomie manageriali di scala. Approfondimento 7.3 Morbi, croci e delizie Il settore dello spettacolo dal vivo è stato oggetto di numerose indagini sulla produttività del fattore lavoro, sia in Italia sia all’estero. Il modello di Baumol e Bowen consente di descrivere la tecnologia del settore teatrale rispetto a un altro settore della comunicazione da intrattenimento caratterizzato da rilevante innovazione tecnologica. • Per il settore non progressivo (es. teatrale): Y1t = aL1t Dove Y1t = output complessivo del settore non progressivo; a = coefficiente tecnico di produzione o output medio nel settore 1 al tempo t; L1t = quantità di lavoro impiegata nel settore 1 al tempo t. • Per il settore progressivo (es. televisivo): Y2t = L2t Dove Y2t = output complessivo del settore progressivo; b = coefficiente tecnico di produzione o output medio nel settore 2 al tempo t; = fattore di crescita esponenziale; r = tasso di crescita e t = intervalli di tempo; L2t = quantità di lavoro impiegata nel settore 2 al tempo t. La produttività del settore non progressivo cresce proporzionalmente, mentre quella del settore progressivo cresce più che proporzionalmente all’aumentare del fattore lavoro impiegato. Quindi il settore non progressivo, come quello teatrale, potrebbe soffrire di uno svantaggio di costo rispetto al settore della comunicazione d’intrattenimento progressivo. Il settore teatrale è caratterizzato da una continua lievitazione dei costi, aggravata da un evidente divario tra quantità domandata e offerta e da una perdita di peso rispetto ad altri settori della comunicazione da intrattenimento. Capitolo 8 La concorrenza perfetta e il monopolio 8.1 Il mercato di concorrenza perfetta Nel mercato di concorrenza perfetta c’è assoluta libertà di entrata e di uscita, la domanda e l’offerta sono frammentate, il bene o servizio scambiato è omogeneo e l’informazione è trasparente e perfetta. 2 In un mercato di concorrenza perfetta, il prezzo è determinato dall’interazione della domanda e dell’offerta di mercato, e acquirenti e venditori sono consapevoli dell’irrilevanza delle loro decisioni rispetto al prezzo corrente e al volume delle transizioni. Nel mercato mondiale del grano o nel mercato valutario, operano numerosi acquirenti e numerosi venditori, ognuno dei quali sa di non poter influire sul prezzo di mercato. In questo tipo di mercato acquirenti e venditori subiscono il prezzo determinato dalla domanda e dall’offerta. La singola impresa, in corrispondenza del prezzo corrente di mercato, ha una domanda orizzontale (Figura 8.1 a). Qualsiasi sia il volume di offerta scelto dall’impresa non influisce sul prezzo corrente P0. Da un lato se l’impresa tentasse di vendere a un prezzo superiore a P0, non venderebbe nulla perché gli acquirenti si rivolgerebbero ai concorrenti. Dall’altro lato, potendo vendere la quantità che ritiene più conveniente a P0, l’impresa non avrebbe motivo di praticare un prezzo inferiore a P0 F 0 E 0 la domanda dell’impresa individuale è quindi la retta dd. F 0 E 0 La particolare configurazione della domanda, orizzontale e infinitamente elastica al prezzo, è un aspetto fondamentale della teoria della concorrenza perfetta. Per avere questa configurazione si devono verificare quattro caratteristiche del mercato: • È necessario che il settore sia FRAMMENTATO in un numero di imprese così ampio che nessuna rappresenti una quota significativa dell’offerta; • Occorre che il prodotto offerto sia INDIFFERENZIATO (=OMOGENEO) o comunque che la sua differenziazione (qualitativa, distributiva, etc.) appaia irrilevante agli acquirenti, cosicché i venditori non possano praticare prezzi diversi; • Perché nessuna impresa in un mercato perfettamente concorrenziale possa praticare prezzi diversi da quello corrente occorre che GLI ACQUIRENTI DISPONGANO DI UNA PERFETTA INFORMAZIONE CIRCA I PRODOTTI OFFERTI; • L’ultima caratteristica che giustifica l’ipotesi di un dato prezzo per le singole imprese operanti in un mercato perfettamente concorrenziale è l’ASSOLUTA LIBERTÀ DI ENTRATA E USCITA. Anche se le imprese insediate nel mercato fossero in grado di accordarsi per restringere l’offerta e aumentare il prezzo, il conseguente aumento dei ricavi e dei profitti attirerebbe nuove imprese; l’offerta totale aumenterebbe di nuovo, riportando il prezzo al livello iniziale. Al contrario, se le imprese di un settore perfettamente concorrenziale registrassero perdite, alcune uscirebbero dal mercato e ridurrebbero così l’offerta del settore, rialzando il prezzo in misura sufficiente a consentire alle imprese rimaste di sopravvivere. IN SINTESI, al prezzo di equilibrio del mercato, la forma orizzontale della domanda individuale dell’impresa operante in un mercato di concorrenza perfetta è determinata da queste quattro caratteristiche del mercato: 1. Frammentazione dell’offerta tra molte imprese, ognuna ininfluente rispetto al settore nel complesso; 2. Omogeneità del prodotto, che appare agli acquirenti perfettamente sostituibile; 3. Perfetta informazione circa il prezzo e la qualità del prodotto; 4. Assenza di barriere all’entrata e all’uscita, cosicché non c’è incentivo alla collusione tra le imprese e gli acquirenti. 8.2 La scelta della quantità ottima di produzione e l’offerta da parte di un’impresa perfettamente concorrenziale La caratteristica peculiare della concorrenza perfetta è che le imprese vendono il prodotto a un prezzo dato dalle condizioni strutturali del mercato, che rappresenta al tempo stesso il ricavo marginale. 35 L’impresa perfettamente concorrenziale non può scegliere il prezzo a cui vendere, MA non è costretta a ridurre il prezzo per vendere una o più unità addizionali. QUINDI, per l’impresa perfettamente concorrenziale vale la seguente relazione: P ≡ MR ≡ AR (prezzo) (ricavo marginale) (ricavo medio) (Relazione1) - La curva di offerta di breve periodo dell’impresa concorrenziale - La Figura 8.2 ripropone le curve dei costi medi e marginali di breve periodo. La condizione marginalistica necessaria per l’ottenimento del massimo profitto si presenta nella versione particolare: SMC = MR ≡ P (Relazione2) Se l’impresa trova sul mercato un prezzo pari a P4, dato l’andamento dei costi rappresentato nella Figura 8.2, il livello di produzione che soddisfa la Relazione2 è q4, corrispondente al punto D della curva SMC. Dalla Figura 8.2 si deduce che, in corrispondenza di q4, P4 è maggiore sia di SAVC sia di SATC. Quindi, non solo l’impresa ha convenienza a produrre q4, ma ottiene altresì un profitto positivo pari a DG . q4. Nel breve periodo l’impresa perfettamente concorrenziale ha convenienza a produrre e offrire quantità positive purché il prezzo che trova sul mercato sia maggiore o almeno uguale a P 1, che corrisponde al costo medio variabile minimo di produzione. Il prezzo P1, corrispondente al valore minimo del costo medio variabile (SAVC), è detto prezzo di chiusura dell’impresa in quanto rappresenta il prezzo-soglia al di sotto del quale l’impresa ha convenienza a non produrre o a chiudere la produzione. Per ogni prezzo uguale o superiore al prezzo di chiusura che l’impresa trova sul mercato, la curva del costo marginale di breve periodo (SMC) determina la quantità di prodotto che l’impresa perfettamente concorrenziale ha convenienza a realizzare e a offrire sul mercato. La curva di offerta dell’impresa concorrenziale nel breve periodo è quindi il tratto di curva del costo marginale di breve periodo (SMC) che parte dal punto di chiusura (A), ovvero dal punto in cui la curva SMC interseca la curva SAVC. La Figura 8.2 consente di determinare per ogni livello di prezzo uguale o superiore al prezzo di chiusura P1 dell’impresa, la profittabilità dell’offerta. A un prezzo di mercato P 1, l’impresa produce e vende q1, così realizza una perdita pari ai costi fissi. Per prezzi di mercato compresi fra P1 e P3, l’impresa realizza perdite inferiori ai costi fissi. A un prezzo pari a P3, l’impresa offre e vende q3 e opera in pareggio. Per prezzi di mercato superiori a P3, come P4, l’impresa realizza profitti economici positivi o extra-profitti in quanto i ricavi superano i costi fissi e variabili. - La curva di offerta di lungo periodo dell’impresa concorrenziale - La Figura 8.3 rappresenta le curve di costo medio LAC e costo marginale LMC di lungo periodo dell’impresa. 2 Al prezzo P1 è solo l’impresa A ad offrire una quantità positiva nel mercato. Al prezzo P2, all’offerta dell’impresa A, , si somma l’offerta dell’impresa B che comincia a produrre per vendere. F 0 E 0 Al crescere del numero delle diverse imprese che compongono il settore, ognuna con un diverso prezzo di chiusura, i punti di discontinuità lungo la curva di offerta del settore tendono a moltiplicarsi, ma anche a divenire meno rilevanti. Poiché ogni impresa individuale è irrilevante rispetto all’intero settore concorrenziale, si può considerare la curva di offerta settoriale come crescente in modo continuo al crescere del prezzo di mercato. - Un confronto tra le curve di offerta di breve e di lungo periodo di un settore perfettamente concorrenziale - Nel LUNGO PERIODO le curve di offerta individuali sono i tratti crescenti delle curve di costo marginale di lungo periodo LMC, a partire dal punto di uscita e di entrata. MA, nel lungo periodo ci sono due sostanziali differenze: 1. le curve individuali di offerta LS tendono a essere tutte uguali e partono dallo stesso punto di uscita ed entrata U; 2. il numero delle imprese che compongono il settore non è dato F 0 E 0 alcune imprese insediate possono uscire dal mercato ma altre possono entrare. Nel lungo periodo se il prezzo di mercato AUMENTA, l’offerta totale del settore aumenta per due ragioni: ognuna delle imprese insediate nel mercato aumenta la sua offerta individuale risalendo lungo la curva LS e nel settore entrano nuove imprese che aggiungono la loro offerta a quella delle imprese già insediate. Al contrario, se il prezzo di mercato DIMINUISCE, le imprese insediate restringono la quantità offerta ridiscendendo lungo la loro curva individuale di offerta di lungo periodo LS e alcune di queste escono dal mercato. La Figura 8.6 presenta la relazione tra le curve di offerta di breve SS e di lungo periodo LS di un settore perfettamente concorrenziale. La curva di offerta di lungo periodo del settore è più reattiva al prezzo per due ragioni: 1. ogni impresa ha maggiore flessibilità nel lungo periodo rispetto al breve, quando è vincolata da fattori fissi; 2. al crescere del prezzo, le imprese operanti nel settore aumentano in seguito all’ingresso di nuovi venditori; Nel BREVE PERIODO se invece il prezzo di mercato si RIDUCE, inizialmente le imprese riducono relativamente di poco la quantità di offerta, a causa dell’offerta rigida che caratterizza il breve periodo. Finché il prezzo copre i costi medi variabili, le imprese continuano a produrre. Nel LUNGO PERIODO, la riduzione del prezzo provoca invece una sensibile riduzione della quantità offerta da parte delle imprese, perché queste possono variare tutti i fattori di produzione. QUINDI la curva di offerta del settore è più elastica al prezzo nel lungo periodo di quanto non lo sia nel breve. 35 - L’impresa marginale - Nella Figura 8.7 sono rappresentate le curve di costo medio e marginale di due imprese concorrenziali che operano nello stesso settore. L’impresa A rappresenta le imprese efficienti che producono ai costi medi e marginali minimi del settore. L’impresa B invece rappresenta le imprese che operano con costi medi e marginali leggermente superiori ai costi minimi. In equilibrio di lungo periodo, il settore è composto da un numero stabile di imprese la cui capacità produttiva è pari o vicina alla scala efficiente di produzione. Il mercato è in equilibrio al prezzo , che rappresenta l’unico possibile e conveniente prezzo di vendita per tutte le imprese del settore. Al prezzo , l’impresa A produce e vende realizzando un profitto economico positivo. L’impresa B produce e vende allo stesso prezzo e realizza un profitto economico nullo F 0 E 0 L’impresa B è rappresentativa delle imprese marginali del settore, cioè delle imprese inefficienti che possono sopravvivere nel settore F 0 E 0 Al limite, ovvero al margine LMC=LMR riesce a sopravvivere perché vendendo , copre i costi totali di produzione. L’impresa marginale di un settore perfettamente concorrenziale è quell’impresa che in equilibrio di lungo periodo realizza un profitto economico nullo . Le imprese insediate o potenzialmente entranti nel settore con costi medi e marginali superiori a quelli dell’impresa marginale non possono competere nel settore F 0 E 0 QUINDI escono o rinunciano ad entrare. - La curva di offerta orizzontale di un settore perfettamente concorrenziale nel lungo periodo - In situazioni particolari, la curva di offerta di lungo periodo di un settore perfettamente concorrenziale è orizzontale. Si verifica quando le imprese insediate e potenzialmente entranti sono molto numerose e hanno identiche curve di costo di lungo periodo. Questa situazione è rappresentata nella Figura 8.8. A un prezzo inferiore a , nessuna impresa, produce e offre alcunché. Al prezzo , il settore è in equilibrio di lungo periodo. A un prezzo come P 2, superiore a , le imprese esistenti producono q2 e realizzano extra-profitti o profitti economici positivi. Questi extra-profitti incentivano l’ingresso di nuove imprese. Questa entrata continua finché il prezzo non ritorna al livello . Ci sono due valide ragioni per ritenere che, normalmente, la curva di offerta di lungo periodo di un settore perfettamente concorrenziale sia crescente e non orizzontale rispetto al prezzo: 1. non è detto che tutte le imprese abbiano gli stessi costi; 2. anche se tutte le imprese hanno gli stessi costi, non è detto che l’espansione del settore influisca sui prezzi dei fattori di produzione. Nell’esempio della Figura 8.8, l’espansione dell’offerta del settore, in seguito all’ingresso di nuove imprese, da SS a S’S’ e della sua produzione totale da Q a Q’ non modifica i prezzi dei fattori produttivi. In generale si può ritenere che la curva di offerta di lungo periodo di un settore concorrenziale sia crescente rispetto al prezzo del prodotto. Occorre un prezzo più elevato per indurre un settore ad accrescere l’offerta totale. 2 8.4 Analisi di statica comparata di un settore perfettamente concorrenziale In equilibrio di breve periodo, il prezzo di un mercato perfettamente concorrenziale è determinato dalla domanda degli acquirenti e dall’offerta di un dato numero di imprese che costituiscono il settore, ognuna delle quali produce in corrispondenza dell’uguaglianza tra prezzo e costo marginale di breve periodo. In equilibrio di lungo periodo, il prezzo di un mercato perfettamente concorrenziale è determinato dalla domanda degli acquirenti e dall’offerta di un settore composto da un numero variabile di imprese. Poiché nel lungo periodo le imprese possono entrare e uscire dal settore, il mercato è in equilibrio se le imprese realizzano solo profitti normali, ovvero, profitti economici nulli, cosicché non vi è incentivo alla variazione del numero delle imprese. Queste due situazioni sono rappresentate nella Figura 8.9. - L’effetto di un incremento nei costi - Per semplicità analitica, si ipotizza che tutte le imprese abbiano gli stessi costi e che, di conseguenza, la curva di offerta di lungo periodo LS del settore sia orizzontale. La Figura 8.10 sintetizza le conseguenze dell’aumento dei costi sull’equilibrio del mercato. La domanda di mercato è DD. Inizialmente, i costi dell’impresa rappresentativa sono dati dalle curve LAC1 e SATC1 e le curve di offerta di breve e lungo periodo del settore sono LS1 e SS1. Il mercato e le imprese sono in equilibrio sia di breve sia di lungo periodo al prezzo . Ogni impresa produce , in corrispondenza del costo medio minimo di breve e di lungo periodo. Nel settore ci sono imprese, ognuna delle quali produce e offre . è quindi pari a . . Un aumento nei prezzi dei fattori produttivi sposta la curva dei costi medi di lungo periodo da LAC1 a LAC2. Nel BREVE PERIODO l’impresa ha fattori fissi corrispondenti alla produzione . Dati questi fattori fissi, le curve dei costi medi e marginali di breve periodo dell’impresa sono quindi SATC2 e SMC2. La somma orizzontale delle curve di offerta di breve periodo delle N 1 imprese insediate dà la curva di offerta del settore nel breve periodo SS’. Il nuovo prezzo di equilibrio di breve periodo del mercato è perciò P2, al quale prezzo ogni impresa produce q2 e l’intero settore produce Q2 = N1.q2 Le imprese, al prezzo P2, registrano perdite. Nel LUNGO PERIODO si verificano due cambiamenti: i fattori fissi possono essere variati e talune imprese che subiscono perdite escono dal settore. La curva di offerta di breve periodo del settore si restringe fino a SS2, l’equilibrio di lungo periodo si ricostituisce al prezzo e la nuova curva di offerta di lungo periodo del settore è LS2. Al nuovo prezzo di equilibrio , le imprese producono e coprono esattamente i costi medi, realizzando un profitto economico nullo F 0 E 0 il nuovo numero di imprese nel settore è = / La Figura 8.10 evidenzia due aspetti rilevanti in merito al nuovo equilibrio di lungo periodo: 1. l’aumento nei costi medi e marginali delle imprese viene trasferito sugli acquirenti sotto forma di aumento del prezzo. Per ricostituire condizioni di profitto normale, il prezzo aumenta fino a divenire uguale al più elevato costo medio minimo; 2. l’aumento dei costi, trasferendosi sul prezzo, riduce la quantità prodotta e la dimensione del settore. - L’effetto di un aumento della domanda - 35 La domanda di un’impresa monopolistica è la domanda del settore, quindi dell’intero mercato in cui il monopolista opera come unico venditore. Questo implica che il ricavo marginale del monopolista sia minore del prezzo al quale vende un’unità addizionale. L’impresa monopolistica sa che ogni unità addizionale venduta riduce il ricavo ottenuto dalle altre unità perché per vendere unità addizionali deve spostarsi lungo la curva di domanda inclinata negativamente. La Figura 8.12 ripropone la relazione tra prezzo P, ricavo marginale MR e ricavo totale RT in presenza di una curva di domanda negativamente inclinata rispetto al prezzo. Quanto più inelastica o rigida è la domanda rispetto al prezzo, tanto più la vendita di un’unità addizionale costringe il venditore ad abbassare il prezzo di vendita di tutte le unità e a rinunciare a ricavi sulle unità inframarginali. Il ricavo marginale è inferiore al prezzo e il divario è tanto maggiore quanto più inelastica è la domanda. Data la curva di domanda con pendenza negativa, la corrispondente curva del ricavo marginale è anch’essa inclinata negativamente e la distanza verticale tra le due tende ad aumentare al crescere della quantità venduta. Oltre una certa quantità venduta la perdita di ricavo sulle unità inframarginali già vendibili eccede il maggiore ricavo derivante dalla vendita dell’unità addizionale. Il ricavo marginale diventa quindi negativo e il ricavo totale diminuisce al crescere della quantità venduta. Occorre ricordare una caratteristica importante del monopolio perfetto: non solo vi è un unico produttore e venditore, ma quest’ultimo non teme l’ingresso di concorrenti potenziali in quanto protetto da barriere insormontabili o assolute. Un mercato con un unico venditore ma con la possibilità d’ingresso di nuovi venditori non è un monopolio perfetto. - La produzione che garantisce al monopolista il massimo profitto - I criteri marginalistici che garantiscono la massimizzazione del profitto, ossia l’uguaglianza tra ricavo e costo marginale e una pendenza della curva del costo marginale maggiore di quella del ricavo marginale, valgono anche per il monopolista. Dopo aver identificato il volume di produzione che soddisfa questi criteri, il monopolista deve verificare se, in corrispondenza di quel volume di produzione, il prezzo copra il costo medio variabile nel breve periodo e il costo medio nel lungo periodo. In caso contrario, il monopolista ha convenienza a sospendere o chiudere la produzione nel breve periodo e a uscire dal mercato nel lungo periodo. La Tabella 8.2 riassume i criteri che il monopolista deve adottare per scegliere il volume di produzione e di offerta in modo da ottenere il massimo profitto. La Figura 8.13 (a) rappresenta le curve di costo medio LAC e marginale LMC di lungo periodo del monopolista nell’ipotesi in cui abbiano la tipica forma ad U. La curva di domanda DD del monopolista è lineare e inclinata negativamente, cosicché la curva del ricavo marginale MR è anch’essa lineare, negativamente inclinata e con pendenza doppia rispetto a DD. Il volume di produzione e offerta che soddisfa le condizioni marginalistiche è Q 1. Il prezzo P1 al quale il monopolista può vendere la quantità Q1 è determinato dalla curva di domanda DD. Il profitto unitario è pari a P1 – LAC1 e il profitto totale ∏1 è pari all’aerea evidenziata (P1 – LAC1).Q1. 2 Nella Figura 8.13 (b), la quantità Q1 che garantisce il massimo profitto del monopolista è determinata attraverso il confronto tra il ricavo totale RT e costo totale di lungo periodo LTC. Il prezzo P1 di vendita di Q1 è rappresentato alla pendenza della semiretta 0A. Dai grafici è evidente che il monopolista rimane nel mercato solo se realizza un extra-profitto, ovvero un profitto monopolistico. L’extra-profitto è un profitto economico, ovvero la differenza tra i ricavi e tutti i costi, inclusi i costi opportunità delle risorse apportate dalla proprietà. A differenza di quanto accade in un mercato perfettamente concorrenziale, in un mercato di monopolio perfetto l’extra-profitto non tende ad annullarsi nel lungo periodo. - Il monopolista può fissare il prezzo- Mentre l’impresa perfettamente concorrenziale subisce il prezzo che si forma nel mercato, l’impresa monopolistica può fissare il prezzo al quale vendere il suo prodotto F 0 E 0 sceglie la combinazione prezzo-quantità. - L’elasticità della domanda e il ricavo marginale del monopolista - Nella Figura 8.13 appare evidente che i volumi di produzione e vendita superiori a Q2 corrispondono a una domanda inelastica e a un ricavo marginale negativo; QUINDI al crescere della quantità prodotta e venduta, il ricavo totale del monopolista diminuisce. Invece, in corrispondenza di quantità prodotte e vendute inferiori a Q2, il ricavo marginale è positivo. Per ottenere il massimo profitto, l’impresa monopolistica deve uguagliare MR a LMC. Poiché il costo marginale LMC è necessariamente positivo, anche il ricavo marginale è positivo F 0 E 0 Ne consegue che il monopolista, se tende al massimo profitto, produce e vende in corrispondenza del tratto elastico della domanda. - Il potere monopolistico - Uguagliando il ricavo marginale al costo marginale per ottenere il massimo profitto, l’impresa monopolistica fissa un prezzo superiore al costo marginale. Nella Figura 8.13 (a), il prezzo ottimale è P1, mentre il costo marginale corrispondente all’ultima unità prodotta è LMC1. Per contro, l’impresa perfettamente concorrenziale uguaglia il prezzo, che trova nel mercato, al costo marginale, perché il prezzo coincide con il ricavo marginale. Il divario tra il prezzo e il costo marginale di equilibrio di un’impresa monopolistica rappresenta il mark-up che quest’ultima è in grado di praticare che, rapportato al prezzo, costituisce una misura del grado di potere monopolistico dell’impresa. F 0 E 0 Il potere monopolistico di un’impresa è misurabile attraverso un indice IPM, detto anche indice di Lerner, che si calcola attraverso la relazione: IPM = Un’impresa perfettamente concorrenziale pratica necessariamente un P = MC e quindi ha un potere monopolistico pari a zero. 35 - Un’analisi di statica comparata dell’equilibrio di monopolio - La Figura 8.13 può essere anche usata per analizzare gli effetti di cambiamenti di costi e di domanda sul comportamento di un’impresa monopolistica. In caso di aumento nei costi dell’impresa monopolistica, in seguito a un aumento nei prezzi dei fattori di produzione, le curve di costo medio LAC e marginale LMC si spostano verso l’alto. La più elevata curva del costo marginale LMC interseca la curva del ricavo marginale MR in corrispondenza di un livello di produzione minore. Posto che il monopolista riesca comunque a coprire i costi e a ottenere un extra-profitto, l’aumento dei costi provoca una restrizione dell’output prodotto e venduto in condizioni di monopolio e un aumento del prezzo. Analogamente, la Figura 8.13 consente di arrivare facilmente alla conclusione che un aumento di comanda e di conseguenza di ricavo marginale provoca un aumento della quantità da parte dell’impresa monopolistica. 8.8 Un confronto tra il prezzo e la quantità di equilibrio in condizioni di monopolio perfetto e di concorrenza perfetta Per realizzare il confronto si può ipotizzare che le condizioni strutturali di domanda e di costo dei due settori e mercati siano identiche. - Il confronto tra un settore perfettamente concorrenziale e un’impresa monopolistica con impianti multipli - Si consideri un settore perfettamente concorrenziale nel quale tutte le imprese insediate e i potenziali entranti abbiano le stesse condizioni tecnico-produttive e quindi le stesse curve di costo. In questa situazione, la curva di offerta di lungo periodo LS è orizzontale in corrispondenza del costo medio minimo di produzione tecnicamente ed economicamente realizzabile F 0 E 0 Figura 8.14. Data la domanda di mercato DD, il settore concorrenziale si trova, nel lungo periodo, in equilibrio a un prezzo PC cui corrisponde una produzione totale pari a QC. La curva di offerta di lungo periodo LS del settore corrisponde al costo medio minimo LAC min di produzione altresì al costo marginale di lungo periodo LMC. L’aggregazione per somma orizzontale delle curve di costo marginale di breve periodo SMC delle imprese che compongono il settore determina la curva di offerta di breve periodo del settore SS. Poiché la curva di offerta di breve periodo del settore SS interseca la curva di domanda del mercato DD in corrispondenza del prezzo PC, il mercato e il settore concorrenziale sono in equilibrio sia di breve sia di lungo periodo. Ogni impresa produce al costo medio minimo LACmin e, poiché il prezzo di vendita PC è uguale a LACmin, tutte le imprese e l’intero settore sono in pareggio. Si ipotizzi ora che il settore perfettamente concorrenziale venga monopolizzato. Si costituisce quindi un’unica grande impresa monopolistica con un numero di impianti pari al numero delle imprese precedenti. Dopo questa riorganizzazione, impresa e settore coincidono, 2 Il surplus dei produttori è l’eccesso di ricavo rispetto ai costi variabili totali. I costi variabili totali sono pari all’area sottostante la curva dei costi marginali di lungo periodo LMC. Il surplus dei consumatori è l’eccesso di beneficio totale dei consumatori rispetto alla spesa totale effettivamente sostenuta. Nella Figura 15.1, per l’output QM, il surplus del monopolista è il rettangolo del profitto di monopolio e il surplus dei consumatori è il triangolo P’PMEM. In condizioni di equilibrio perfettamente concorrenziale, il surplus dei produttori è nullo e il surplus dei consumatori è pari all’area del triangolo P’PCEC. La produzione QM è inefficiente, poiché non viene massimizzata la somma dei surplus dei produttori e dei consumatori. Entrambi verrebbero massimizzati nell’equilibrio perfettamente concorrenziale. Il costo sociale del monopolio è la perdita netta di surplus sociale, ossia della somma di surplus dei produttori e dei consumatori, conseguente alla restrizione di produzione attuata dalle scelte orientate al massimo profitto di imprese con potere monopolistico. Il costo sociale del potere monopolistico si ottiene dalla somma dei triangoli di perdita netta di surplus sociale per tutti i settori nei quali il costo e il ricavo marginale sono inferiori al prezzo e al beneficio marginale sociale. Quando la quantità di equilibrio in un mercato è inferiore al livello socialmente efficiente, la perdita di surplus sociale è rappresentata dalla superficie del triangolo di perdita netta CEMEC. Nella Figura 15.2, LMC è il costo marginale di un’impresa che produce in maniera efficiente. Il monopolista trae vantaggio dalla sua leadership informativa e produce a un costo marginale superiore LMC’. Si supponga che l’impresa monopolistica possa essere scissa in numerose imprese concorrenziali. La concorrenza tra le imprese fa sì che il prezzo sia uguale al costo marginale, impedendo forme di inefficienza organizzativa, e, quindi stimolando le imprese a produrre a costi medi e marginali minimi, LMC. Il monopolista produce una quantità di equilibrio QM a un prezzo PM. Il mercato si sposterebbe dalla posizione di equilibrio E’ a E. Il guadagno in termini di surplus sarebbe ben superiore al triangolo E’FG. In equilibrio di monopolio, il surplus dei consumatori è pari all’area P MJE’. HFE’PM è il profitto del monopolista, KFHPC è il profitto nascosto di cui il monopolista beneficia grazie alla mancanza di pressione competitiva e 0QMKPC è l’area dei costi che anche un’impresa efficiente dovrebbe sostenere. Se l’equilibrio passa a E, il beneficio sociale addizionale pari all’intero triangolo E’KE. In un mercato perfettamente concorrenziale, con una curva di costo marginale LMC, il surplus totale dei consumatori è JEPC e il rettangolo 0QCEPC rappresenta la spesa totale dei consumatori. Si noti che il rettangolo HFKPC è stato ridistribuito dall’inefficiente monopolista ai consumatori una volta che il mercato è divenuto perfettamente concorrenziale e i costi si sono assestati al livello minimo LMC. - La discriminazione del prezzo nel monopolio - Il costo sociale del monopolio rappresentato nella Figura 15.1 si verifica soltanto se il monopolista non riesce a discriminare il prezzo. Nel caso della discriminazione perfetta dei prezzi, la curva di domanda e quella del ricavo marginale del monopolista coincidono. 35 Nel caso di discriminazione perfetta, il monopolista vende esattamente la quantità di equilibrio del mercato perfettamente concorrenziale, dunque l’output socialmente efficiente. La discriminazione del prezzo è possibile solo in determinate circostanze. Il monopolista deve essere in grado d’individuare i prezzi di riserva dei singoli consumatori e questi ultimi non devono essere in grado di costituire un mercato dei prodotti di seconda mano F 0 E 0 La discriminazione del prezzo dei beni è difficile. Nel comparto dei servizi, sebbene più facile, essa è spesso preclusa dall’obbligo legislativo di assicurare un servizio di tipo universalistico. - La distribuzione dei profitti di monopolio - Nella Figura 15.1, l’area PMPCCEM rappresenta l’extra-profitto del monopolista, che per i consumatori costituisce un’imposta privata. È possibile che una parte significativa di profitti monopolistici sia distribuita a persone e famiglie relativamente povere. MA la maggior parte non ha questa destinazione. - La liberalizzazione aiuta? - Si supponga che il Governo sostenga la causa di una maggiore concorrenza, permettendo a una seconda impresa di entrare nel mercato. Dividendo il mercato, non è detto che le due imprese riescano a beneficiare delle medesime economie di scala che caratterizzavano il settore prima dell’ingresso di una delle due. Una maggiore competizione abbassa i margini di profitto e il prezzo si avvicina al costo marginale. Se, tuttavia, le economie di scala sono sufficientemente ampie, le due imprese hanno costi maggiori del monopolista preesistente. La società dovrà, in ogni caso, impiegare più risorse per produrre: la situazione creata dalla liberalizzazione è peggiore di quella precedente. Il secondo esempio è quello della scrematura del mercato. Si verifica un fenomeno di scrematura del mercato quando si entra nella sola parte profittevole del mercato, deprimendo le economie di scala eventualmente esistenti altrove. Il monopolio postale deve garantire un servizio uniforme. Un potenziale entrante nel mercato dei servizi postali potrebbe limitarsi ai segmenti di domanda più profittevoli e lasciar perdere la consegna nelle più remote aree rurali. La possibilità di scremare la clientela riduce le economie di scala nelle altre aree e può compromettere l’efficienza dell’intero settore. 15.4 Il monopolio naturale La Figura 15.3 identifica i quattro possibili obiettivi di una politica per la concorrenza: 1. se la concorrenza è possibile e desiderabile, si ha l’ipotesi della normalità; 2. se la competizione è possibile ma non desiderabile, si ha l’ipotesi della scrematura del mercato F 0 E 0 le economie di scala potrebbero essere rilevanti, ma l’ingresso di più imprese nel settore indurrebbero un aumento dei costi; 2 3. se la concorrenza non è né possibile né desiderabile, si ha il monopolio naturale F 0 E 0 ampie economie di scala scoraggiano la concorrenza potenziale; 4. se la concorrenza è desiderabile ma impossibile, si ha l’ipotesi della prevenzione dell’ingresso F 0 E 0 le economie di scala non sono significative. La società guadagnerebbe da una maggiore competizione, ma non riesce a garantire l’ingresso. La Figura 15.4 rappresenta un settore produttivo caratterizzato da rilevanti economie di scala e da una scala minima efficiente di produzione così ampia che un’unica impresa efficiente è in grado di soddisfare l’intera richiesta di mercato, scoraggiando un qualsiasi concorrente potenziale. In un settore con queste caratteristiche strutturali, può sopravvivere economicamente una sola impresa. Se vi fossero più imprese, l’impresa che per prima realizza una scala produttiva efficiente può, riducendo i prezzi, espellere dal settore le rivali e acquisire una posizione sostenibile di monopolio F 0 E 0 La situazione nella Figura 15.4 è un monopolio naturale. Il monopolio naturale è una struttura settoriale e di mercato caratterizzata da rilevanti economie di scala e da una scala minima efficiente di produzione così ampia da consentire a un’unica impresa di far fronte all’intera domanda di mercato. Nella Figura 15.4 in assenza di regolamentazione, l’impresa monopolistica privata produce QM, vende al prezzo PM e realizza un profitto pari all’area del rettangolo PMEMBA. In corrispondenza di QM, il beneficio sociale QMEM dell’ultima unità venduta di prodotto eccede il costo sociale QMC dell’ultima unità prodotta. La produzione socialmente efficiente è QC, ove LMC = DD. Il monopolio privato provoca una perdita netta di benessere sociale pari all’area E MCEC. • La PRIMA praticabile SOLUZIONE al dilemma della regolamentazione di un monopolio naturale consiste nell’imporre un prezzo pari a P R che induce l’impresa monopolistica a produrre una quantità Q’ che è prossima a quella socialmente efficiente QC. In questo caso la perdita netta di benessere sociale si riduce a FGEC. • Una SECONDA SOLUZIONE ancora migliore è quella di consentire all’impresa monopolistica di praticare una tariffa a due scaglioni. Una tariffa a due scaglioni è un sistema di prezzi con i quali i consumatori o gli utenti pagano un prezzo fisso per accedere al servizio e, successivamente, un prezzo per unità consumata commisurato al costo marginale. La quota fissa del prezzo a due scaglioni consente all’impresa di recuperare i costi fissi, mentre la quota variabile, commisurata al costo marginale, consente di coprire i costi variabili. Nella Figura 15.4 l’autorità impone al monopolista di fissare un prezzo unitario pari a PC. In corrispondenza di questo prezzo l’impresa monopolistica ha convenienza a produrre, se decide di farlo, la quantità QC in corrispondenza della quale il costo marginale sociale uguaglia il beneficio marginale sociale. L’autorità consente quindi al monopolista di applicare ai consumatori un prezzo fisso pro capite in grado di coprire i restanti costi, nella figura pari a ECH . QC. La tariffa a due scaglioni non è sempre una soluzione praticabile e socialmente conveniente. Se la quota fissa del prezzo è molto alta, questo sistema di prezzi può indurre molti consumatori a rinunciare al servizio. • Una TERZA SOLUZIONE al problema della regolamentazione di un monopolio naturale consiste nell’importare all’impresa monopolistica un prezzo PC che la induce a produrre la quantità socialmente efficiente QC e nel garantire un sussidio pari alla perdita ECH . QC che questa imposizione comporta. In tal caso il Governo deve essere coinvolto nella gestione dell’impresa monopolistica per evitare che quest’ultima realizzi comportamenti opportunistici, dilatando i costi del servizio a carico dell’intera società. 35 La Tabella 17.2 mostra l’impatto della crisi finanziaria sui debiti pubblici. Si nota un aumento drammatico della percentuale del debito pubblico sul PIL nel 20013 rispetto al dato pre-crisi, cioè nel 2007. La Tabella mostra come gli Stati sono entrati nella crisi con diversi livelli di indebitamento. Italia, Grecia e Giappone erano già fortemente indebitati; Regno Unito, Spagna e Irlanda non lo erano così tanto ma hanno visto più che raddoppiare le percentuali di indebitamento. L’indebitamento degli Stati è cresciuto sia per i piani di salvataggio del sistema creditizio privato sia perché, in un’economia in crisi, le entrate tributarie sono diminuite ma gli Stati hanno dovuto comunque sostenere una crescente spesa sociale. Per quanto riguarda l’economia italiana, nella Figura 17.1 si può constatare che assieme alle performance preoccupanti di inflazione, disoccupazione e PIL reale, preoccupa il gap del PIL rispetto al PIL potenziale. Il PIL potenziale rappresenta il PIL quando tutte le risorse di un sistema economico sono occupate. 17.3 Introduzione Un sistema economico comprende molti milioni di unità di decisione economica: famiglie, imprese, enti pubblici. Insieme le singole decisioni individuali determinano la spesa complessiva del sistema economico, il reddito e il livello della produzione di beni e servizi. - Il flusso circolare del reddito - La Tabella 17.3 presenta una classificazione delle differenti transazioni tra famiglie e imprese. La prima riga mostra che le famiglie offrono i propri fattori della produzione alle imprese, che li usano per produrre beni e servizi. Nella seconda riga sono indicati i flussi monetari corrispondenti. Le famiglie ottengono una remunerazione come corrispettivo dei fattori offerti. Nella terza riga si può constatare che le famiglie utilizzano le proprie entrate per acquistare beni e servizi dalle imprese, restituendo così ciò che avevano ottenuto dall’offerta dei fattori della produzione. La Figura 17.2 mostra il flusso circolare del reddito tra famiglie e imprese. Il flusso circolare del reddito mostra i flussi reali e monetari di scambio tra famiglie e imprese. Il flusso interno rappresenta i trasferimenti reali tra famiglie e imprese, mentre il flusso esterno indica i corrispondenti flussi monetari. La Figura 17.2 suggerisce che esistono tre modi di misurare l’ammontare dell’attività produttiva di un sistema economico. Si possono utilizzare: a. Il valore dei beni e servizi prodotti; b. La remunerazione totale ottenuta dalle famiglie per la cessione dei servizi dei fattori; c. Il valore della spesa per beni e servizi. L’insieme dei pagamenti è il corrispettivo del trasferimento di risorse reali. Il reddito derivante dall’offerta dei fattori deve essere uguale alla spesa delle famiglie, poiché si ipotizza che tutto il reddito sia speso. Il valore della produzione deve essere uguale alla spesa per beni e servizi poiché si ipotizza che tutti i beni siano venduti. Il valore dell’output deve essere uguale al valore dei redditi delle famiglie: poiché i profitti sono la differenza tra il valore dell’output mano i pagamenti diretti per i servizi della terra, del lavoro 2 e del capitale; e poiché i profitti, alla fine, finiscono anch’essi alle famiglie che possiedono le imprese, ne consegue che la somma dei redditi delle famiglie debba essere esattamente uguale al valore della produzione, consentendo almeno profitti normali e contabili. Tuttavia, tale grafico si rivela troppo semplificato. Tralascia molte caratteristiche importanti del mondo reale: risparmio, investimenti, spesa pubblica, tasse e transazioni tra imprese e con mercati esteri. 17.3 La contabilità nazionale - Misurare il PIL - Il Prodotto Interno Lordo (PIL) misura il valore dei beni e servizi (output) prodotti dai fattori della produzione all’interno di un sistema economico, indipendentemente dalla nazionalità dei proprietari dei fattori. Nella realtà si verificano anche degli scambi tra imprese e imprese e non solo tra imprese e famiglie. Il valore aggiunto è l’incremento del valore ottenuto da una merce quando questa è uscita da un processo produttivo. Si ottiene sottraendo al valore del bene finito il costo dei beni intermedi che sono serviti a produrlo. Beni finali sono quelli acquistati dall’utilizzatore finale, come i beni di consumo acquistati dalle famiglie o i beni capitali (come i macchinari) acquistati dalle imprese. Beni intermedi sono i beni parzialmente finiti che costituiscono gli input per altre imprese che li utilizzano nei propri processi produttivi. Un gelato è un bene finale, mentre l’acciaio è un bene intermedio che alcune imprese usano come input nei propri processi produttivi. I beni capitali sono beni finali perché non vengono completamente inglobati all’interno dei prodotti che hanno fabbricato. Si supponga che un sistema economico sia costituito da solo quattro imprese: un produttore di acciaio, un produttore di macchinari per l’industria automobilistica, un produttore di pneumatici e un produttore di automobili che vende direttamente ai consumatori finali, le famiglie. La Tabella 17.4 mostra come possiamo calcolare il PIL di questo semplice sistema economico. Il produttore di acciaio ricava 4000 euro dalla vendita di acciaio. Ne ha venduto ¼ al produttore di macchinari e ¾ al fabbricante di automobili. Se il produttore di acciaio è anche il proprietario delle miniere dalle quali estrae i minerali, allora l valore aggiunto del suo processo produttivo è ugualmente di 4000 euro. I ricavi servono per pagare i salari, le eventuali rendite e la rimanente parte è costituita dai profitti che pure finiscono alle famiglie. QUINDI, la somma dei primi due valori dell’ultima colonna, i redditi, dovrà essere 4000. Non è un bene finale perché l’acciaio andrà usato in altri due processi produttivi F 0 E 0 L’acciaio è un bene intermedio. F 0 E 0 Il produttore di macchinari spende 1000 euro per comprare un input che usa nel proprio processo produttivo. Il macchinario viene venduto al produttore di automobili a 2000 euro. Il valore aggiunto creato dal produttore di macchinari è dunque pari a 2000 – 1000 = 1000 euro. Il macchinario non è un bene intermedio, perché non viene inglobato nell’automobile prodotta ma serve per produrre automobili in diversi cicli produttivi, cioè in diversi anni. 35 Il produttore di pneumatici fabbrica un bene intermedio che non comparirà nella colonna della spesa per i beni finali. Se possiede gli alberi della gomma, allora tutto il valore della produzione, 500 euro, costituirà anche valore aggiunto e contribuirà ai redditi delle famiglie. Se invece acquistasse la gomma, per ottenere il valore aggiunto, bisognerebbe sottrarre dal valore dei pneumatici il valore della gomma usata nel processo produttivo. Il produttore di automobili ha speso 3000 euro per l’acciaio e 500 euro per i pneumatici. Poiché allora solo l’acciaio e i pneumatici sono i due beni intermedi utilizzati nella produzione di automobili, per calcolare il valore aggiunto della produzione di automobili si dovrà sottrarre 3500 euro dal valore del bene finale di 5000 euro, che è quanto ricava il produttore di automobili. La differenza di 1500 euro è ciò che serve a pagare i servizi dei fattori acquistati dall’impresa oppure costituisce profitto per l’impresa stessa. Alla fine, il produttore di automobili vende le automobili alle famiglie, che rappresentano i consumatori finali. Solo a questo punto le automobili sono diventate un bene finale e il valore di 5000 euro appare anche nella colonna della spesa per beni finali. La Tabella 17.4 mostra che il valore complessivo di tutte le transazioni è di 11.500 euro, ma questa cifra sovrastima il valore effettivo del prodotto del sistema economico F 0 E 0 questo perché si conta due volte il valore della produzione di acciaio. La colonna 5 mostra il valore aggiunto in ogni processo produttivo. La misura corretta del valore dell’output del sistema economico è di 7000 euro. La Tabella 17.4 conferma che la stessa misura del PIL si ottiene sommando la spesa per beni e servizi finali. In questo caso, i consumatori finali sono le famiglie che acquistano automobili e il produttore di auto che acquista il macchinario impiegato per produrre le auto. - Gli investimenti e il risparmio - Il valore dei beni e servizi finali (PIL) e del reddito nazionale del precedente sistema era 7000 euro, ma le famiglie hanno speso solo 5000 euro per acquistare le automobili. L’investimento è la spesa per l’acquisto di beni capitali (beni strumentali), effettuata dalle imprese. Il risparmio è quella parte del reddito delle famiglie che non viene spesa per acquistare beni e servizi di consumo. Le famiglie stanno spendendo 5000 euro per acquistare beni di consumo: le automobili. Esse stanno allora risparmiando 2000 euro. Il produttore di auto ha speso 2000 euro per l’investimento che ha fatto acquistando il macchinario. La Figura 17.3 mostra come si deve modificare il grafico del flusso circolare del reddito della Figura 17.2. La metà inferiore della figura mostra che i redditi e il valore dei servizi dei fattori sono pari a 7000 euro ciascuno. Ma 2000 euro escono dal circuito quando le famiglie risparmiano. Solo 5000 euro infatti ritornano alle imprese dall’acquisto delle automobili. La metà superiore della figura rivela che il valore dell’output destinato alle famiglie è pari a 5000 euro. Poiché il PIL è di 7000 euro, da dove derivano i rimanenti 2000? Si tratta dell’investimento, pari a 2000 euro, effettuato dal produttore di automobili per acquistare il macchinario poi impiegato nella produzione di automobili. I numeri nella Tabella 17.4 si riferiscono ai flussi di output e di spesa in un determinato arco temporale che è di solito un anno. Durante questo periodo, l’economia percorre una volta sia il circuito interno sia quello esterno del flusso del reddito. Nel circuito interno, le imprese producono beni di consumo, destinati alle famiglie, per 5000 euro, e beni di investimento, destinati alle imprese, per 2000 euro. Nel circuito esterno, che si riferisce ai trasferimenti di 2 Il modello completo di contabilità nazionale è riassunto nella Figura 17.4. La colonna di sinistra mostra il PNL ai prezzi di mercato. La seconda colonna mostra la composizione della spesa per il PNL che comprende i consumi delle famiglie, gli investimenti delle imprese, la spesa pubblica per i beni e servizi, le esportazioni nette e i redditi netti dall’estero. Quest’ultima componente prende in considerazione i trasferimenti che derivano dai redditi relativi agli investimenti effettuati all’estero, meno i redditi relativi agli investimenti effettuati in Itali da soggetti stranieri. La terza colonna consente di arrivare dalla definizione di PNL a quella di PIL. I redditi netti dall’estero rientrano nel reddito complessivo ottenuto dai fattori nazionali, e quindi nel PNL. Sottraendo dal PNL i redditi netti dall’estero si ottiene il PIL ai prezzi di mercato. La quarta colonna introduce il concetto di Prodotto Nazionale Netto (PNN). Il Prodotto Nazionale Netto (PNN) si ottiene sottraendo al PNL il valore relativo all’ammortamento, ovvero al deprezzamento, che il capitale fisico, un immobile o un macchinario, subiscono nel corso di un anno, a causa della loro obsolescenza. Non è sempre chiaro che cosa debba rientrare nel conteggio relativo al deperimento dei fattori. Al momento, per esempio, non si prendono in considerazione i danni che la produzione industriale provoca ogni anno all’ambiente. L’ammortamento è una misura della perdita di valore dei beni capitali nel periodo di un anno, quando questi sono impiegati all’interno di un processo produttivo. La quinta colonna introduce il ruolo delle imposte indirette. Sottraendo al PNN ai prezzi di mercato le imposte indirette si ottiene il PNN al costo dei fattori o Reddito Nazionale. L’ultima colonna si riferisce al reddito derivante dall’impiego dei fattori produttivi quali i salari percepiti dai lavoratori dipendenti, i redditi dei lavoratori autonomi, le rendite derivanti dall’utilizzo dei terreni o i profitti derivanti dall’impiego di capitale. Al valore del PIL si può arrivare anche sommando i redditi dei fattori e aggiungendo a questo valore le imposte indirette. - Il flusso circolare del reddito completo - Utilizzando Y per misurare il PIL ai prezzi di mercato il valore aggiunto o a produzione netta dell’economia è data da: Y = GDP ai prezzi di mercato = C + I + G + XN XN sono le esportazioni nette, cioè al netto delle importazioni. I redditi delle famiglie beneficiano anche dei trasferimenti B, ma sono ridotti dalle imposte dirette Td. Questo consente di introdurre il concetto di reddito disponibile Y + B – Td. Il reddito disponibile è il reddito delle famiglie al netto delle imposte dirette e una volta aggiunti i trasferimenti. Esso mostra la disponibilità effettiva delle famiglie per la spesa in beni di consumo e per il risparmio. Assumendo che il risparmio provenga unicamente dalle famiglie, il reddito disponibile deve di conseguenza essere speso per il consumo o per il risparmio F 0 E 0 Y + B – Td = C + S 35 Nella Figura 17.5 la spesa per beni di consumo C ai prezzi di mercato è ora integrata dalle immissioni “investimento” I, “esportazioni nette” XN e “spesa pubblica” G. Lungo il cerchio esterno della figura, si sottraggono ora dal PIL (= C + I + G + XN) le imposte indirette T i e si ritorna dunque a Y, ossia al PIL al costo dei fattori. Dal momento che i prelievi totali eguagliano sempre le immissioni totali ne consegue che: S + Td + Ti – B + Z = I + G + X Gli investimenti, la spesa pubblica e le esportazioni costituiscono immissioni nel flusso circolare del reddito che non vengono create dalle famiglie. Per contro il risparmio, le imposte e le importazioni costituiscono delle uscite monetarie dal flusso circolare del reddito generate, direttamente e indirettamente dalle famiglie. Nel caso particolare in cui T d = Ti = G = B = 0, non vi è settore pubblico e l’equazione precedente sarebbe ridotta a S = I. Si noti anche che nel caso in cui le esportazioni nette siano pari a zero: T d + Ti – B – G = I – S Il lato sinistro indica il surplus finanziario dello Stato, cioè le entrate totali meno le uscite. Il lato destro indica il deficit del settore privato, cioè l’eccesso di investimenti rispetto al risparmio privato. Da queste definizioni si deduce che il settore privato può essere in deficit solo se quello pubblico ottiene un surplus e viceversa. In caso di sistema a tre settori, le famiglie, le imprese e il governo, se uno dei settori si trova ad avere un surplus, gli altri due settori devono trovarsi in deficit. 17.5 Che cosa misura il PNL Il PNL viene spesso riferito come una misura pressoché completa delle performance di un’economia nazionale; MA, il PNL non comprende l’ammortamento. - Il PNL nominale e reale - Il PNL nominale misura il PNL ai prezzi correnti in un determinato periodo di tempo. Poiché sono le quantità fisiche del prodotto che danno utilità o benessere alle persone, può essere fuorviante giudicare la performance di un sistema economico osservando il PNL nominale. Il PNL reale o PNL a prezzi costanti, considera anche l’inflazione misurando il PNL in differenti anni ai prezzi di uno stesso anno che verrà chiamato anno base . La Tabella 17.5 presenta un esempio di un’economia nazionale. Il PNL nominale aumenta da 600 euro a 1440 tra il 1980 e il 2010. Se si considera come anno base il 1980, si valuta il PNL nel 2010 considerando le quantità prodotte nel 2010 ai prezzi del 1980 F 0 E 0 ALLORA il PNL cresce solo da 600 a 860 euro. Questo aumento del 43% nel PNL reale mostra nel modo più appropriato il tasso di crescita della quantità complessiva dei beni prodotti all’interno del sistema economico. - Il deflatore del PNL - 2 La più comune misura del tasso di inflazione in Italia è l’aumento percentuale dell’IPC, l’Indice dei Prezzi al Consumo, rispetto al valore corrispondente nello stesso mese dell’anno precedente. Tuttavia, la spesa per beni di consumo è solo una componente del PNL, perché comprende anche l’investimento, la spesa pubblica e le esportazioni nette. Per convertire il PNL nominale in un PNL reale, bisogna usare un indice che mostri ciò che è successo al prezzo di tutte le merci: questo indice è chiamato il deflatore del PNL. La stessa cosa per il deflatore del PIL. Il deflatore del PNL è il rapporto tra il PNL nominale e il PNL reale e si esprime in forma di numero indice. Esprimere il deflatore in forma di numero indice significa moltiplicare per 100 il rapporto tra PNL nominale e PNL reale. La Tabella 17.6 presenta i valori del PIL italiano nel 1992, 2000 e 2008. In questo esempio, si utilizza il dato relativo al PIL, per il quale valgono le stesse considerazioni fatte per il PNL. Nell’anno base 2000, il PIL reale coincide con quello nominale. Il rapporto è perciò uguale a 1 e l’indice uguale a 100. Nel 2008, il rapporto PIL nominale/PIL reale è uguale a 1,2314, e il valore dell’indice è 123,14, il che corrisponde a un aumento medio dei prezzi del 23,14% tra il 2000 e il 2008. Il PIL nominale è cresciuto da 805,7 miliardi di euro nel 1992 a 1572,1 nel 2008. I prezzi nel 2008 sono 1,59 volte i prezzi del 1992. Di conseguenza, la variazione del PIL reale è stata meno forte rispetto alla variazione del PIL nominale nello stesso periodo di tempo. F 0 E 0 è quindi molto importante la distinzione tra PIL reale e nominale. - Il PIL pro capite - Il PIL pro capite è il PIL reale diviso per la popolazione. Esso mostra la quota di PIL per ogni individuo. A parità di PIL reale, tanto maggiore è la popolazione tanto minore è la quantità di beni e servizi disponibile per ogni individuo. Se si vuole misurare lo standard di vita goduto da una persona in un dato sistema economico, si deve guardare al PIL pro capite, perché tiene conto anche della crescita della popolazione. In ogni caso anche il PIL pro capite è un indicatore sommario F 0 E 0 È solo un calcolo della media F 0 E 0 Il reddito reale di alcuni individui può essere cresciuto molto di più del tasso medio di crescita all’anno. Tanto più cambia la distribuzione del reddito, all’interno di un sistema economico, quanto meno affidabile è la crescita del PNL o PIL pro capite. Nella Tabella 17.7 si può leggere la storia del PIL pro capite italiano. In Paesi caratterizzati da debiti pubblici superiori al 90% del PIL, come l’Italia (Tabella 17.2), il tasso di crescita dell’economia tende a essere inferiore dell’1% rispetto ai Paesi meno indebitati (Figura 17.1). Inoltre, un aumento del debito di 10 punti percentuali comporterebbe la riduzione della crescita annuale del PIL pro capite di 0,2 punti percentuali l’anno. Dal 2002 il PIL pro capite è in continuo calo. - Una misura omnicomprensiva del PNL - 35 In assenza del settore pubblico e del settore estero, le componenti della domanda aggregata o spesa aggregata per beni e servizi sono: la spesa per beni di consumo delle famiglie e la spesa per beni d’investimento (macchinari e immobili) delle imprese. Si userà AD per definire la domanda aggregata, misurata attraverso la spesa aggregata, C per definire la spesa per beni di consumo e I per definire la spesa per investimenti: AD = C + I - Il consumo - Le famiglie acquistano beni e servizi. Questa spesa ammonta a circa l’80% del reddito disponibile. Il reddito disponibile è il reddito che le famiglie ricevono dalle imprese. A questo bisogna sommare ciò che le famiglie ricevono dallo Stato sotto forma di trasferimenti e sottrarre le imposte dirette pagate allo Stato. In pratica, è il reddito netto che le famiglie hanno a disposizione per il consumo e per il risparmio. In assenza dell’intervento dello Stato, il reddito disponibile è semplicemente il reddito ricevuto dalle imprese, quale compenso per i fattori produttivi forniti alle imprese. Dato un certo reddito disponibile, ogni famiglia deve decidere come suddividere questo reddito tra consumo e risparmio. Molti fattori influenzano il consumo e il risparmio di ogni famiglia e dunque il livello complessivo dl consumo nazionale e del risparmio nazionale. Si ipotizza che la spesa aggregata per beni di consumo delle famiglie aumenti all’aumentare del reddito disponibile delle famiglie. La Figura 18.2 mostra la serie storica 2003-2012 della spesa per beni di consumo e il PIL italiano a prezzi correnti. Osservando la figura è possibile dedurre che l’ipotesi di partenza circa l’esistenza di una relazione diretta tra il reddito e i consumi delle famiglie risulta un’ipotesi forte. Questa ipotesi costituisce una buona approssimazione della realtà, tuttavia non risulta in grado di descriverla perfettamente. - La funzione del consumo - La Figura 18.3 mostra un ipotetico esempio della relazione tra spesa per beni di consumo programmata da un sistema economico e reddito disponibile. La funzione del consumo mostra il livello della spesa per beni di consumo a seconda del livello del reddito disponibile. La funzione del consumo dice come arrivare alla domanda o spesa per beni di consumo partendo dal reddito disponibile. A è una costante positiva e c è una frazione positiva compresa tra 0 e 1. C = A + cY Il modello non contempla il settore pubblico, i trasferimenti e le tasse. Quindi il reddito disponibile è uguale al reddito nazionale. La Figura 18.3 e l’Equazione mostrano la spesa per beni di consumo per ogni livello di reddito nazionale. Nella Figura 18.3, il valore dell’intercetta A è uguale a 8 e indica il consumo autonomo. Il consumo autonomo non dipende dal livello del reddito. Il consumo autonomo è il consumo minimo necessario per sopravvivere. La pendenza della funzione del consumo è la propensione marginale al consumo. La propensione marginale al consumo (PMgC) indica la frazione di 1 euro aggiuntivo di reddito disponibile che le famiglie spendono per acquistare beni di consumo. 2 Nella Figura 18.3 e nell’Equazione la propensione marginale al consumo (PMgC) è c. Per esempio, se la propensione marginale al consumo (PMgC) è 0,7 e se il reddito aumenta di 1 euro, la spesa per beni di consumo aumenta c, ovvero di 0,7 euro. Il risparmio costituisce quella parte del reddito che non viene spesa per beni di consumo. La Figura 18.3 e l’Equazione indicano che, quando il reddito è zero, il risparmio è -A. Le famiglie hanno un risparmio negativo oppure hanno venduto alcune loro proprietà. Inoltre, poiché per ogni euro aggiuntivo di reddito le famiglie desiderano spendere c euro per beni di consumo, ne consegue che 1 – c euro verranno risparmiati. La propensione marginale al risparmio (PMgS) è 1 – c. Poiché ogni euro aggiuntivo di reddito genera o un consumo aggiuntivo o un risparmio aggiuntivo, la somma di PMgC e PMgS deve essere sempre uguale a 1. La Figura 18.4 mostra la funzione del risparmio corrispondente alla funzione del consumo della Figura 18.3. La funzione del risparmio mostra il risparmio programmato per ogni livello di reddito. Usando l’Equazione e la definizione di risparmio per cui Y = C + S, S = Y – C, è possibile ricavare la funzione del risparmio corrispondente alla Figura 18.4. A reddito zero il consumo autonomo è pari ad A. Dal momento che la somma dei consumi e dei risparmi corrisponde al reddito, se il reddito Y è pari a zero i risparmi saranno pari a -A. Poiché ad ogni unità aggiuntiva di reddito corrisponde un incremento c dei consumi, data la definizione di risparmio dal momento che quanto non viene consumato sarà necessariamente risparmiato, vi sarà anche un incremento 1 – c del risparmio. La funzione del risparmio sarà quella mostrata nella Figura 18.4: S = -A + (1 – c)Y Se si somma l’equazione C = A + cY con l’equazione S = -A + (1 – c)Y, il lato sinistro è pari a C + S e quello destro è pari a Y. Il risparmio programmato è quella parte del reddito che non viene spesa per beni di consumi. - Gli investimenti - Gli investimenti sono costituiti dalle spese delle imprese per l’acquisto di beni capitali (stabilimenti e macchinari) e dall’incremento delle scorte. Le scorte sono costituite da quelle merci destinate a essere vendute o impiegate i futuri processi produttivi. Gli investimenti delle imprese dipendono dalle previsioni sul livello della domanda futura. Si ipotizzerà che la spesa per beni d’investimento I sia una costante, indipendente dal livello attuale del prodotto e del reddito. 18.2 La spesa aggregata La spesa aggregata indica l’ammontare complessivo della spesa che le imprese e le famiglie intendono sostenere per acquistare beni e servizi, a seconda del livello del reddito. 35 La spesa aggregata è uguale alla spesa per beni di consumo delle famiglie C sommata alla spesa per beni d’investimenti I delle imprese. La Figura 18.5 mostra la funzione della spesa aggregata AD. Rispetto alla funzione del consumo, quella della spesa è spostata verso l’alto esattamente di un ammontare pari all’investimento programmato. Ogni unità aggiuntiva di reddito genera c unità in più di consumo, ma nulla in più per quanto riguarda l’investimento, e dunque la spesa aggregata aumenterà solo di c. La funzione della spesa aggregata è parallela alla funzione del consumo e la pendenza di entrambe è data dalla propensione marginale al consumo. 18.3 Il prodotto di equilibrio Se la spesa aggregata risultasse inferiore rispetto al prodotto di piena occupazione, le imprese non riuscirebbero a vendere tutta la propria produzione. In questo caso, vi sarebbe una involontaria capacità in eccesso. I lavoratori non riuscirebbero a essere tutti occupati. Vi sarebbe una disoccupazione involontaria. Quando i prezzi e i salari sono fissi, in equilibrio di breve periodo, il livello della spesa aggregata eguaglia il livello della produzione corrente. In questo caso le imprese non stanno producendo di più rispetto a ciò che riescono effettivamente a vendere. In un equilibrio di breve periodo, i beni e servizi prodotti sono esattamente uguali ai beni e servizi domandati dalle famiglie per beni di consumo e dalle imprese per beni d’investimento. La Figura 18.6 mostra il reddito sull’asse orizzontale e la spesa sull’asse verticale. La retta a 45°, ovvero la bisettrice del quadrante cartesiano, mostra un insieme di combinazioni reddito- spesa che indicano tutti i potenziali equilibri, cioè punti per i quali i valori del reddito sono sempre uguali ai valori della spesa. Se si aggiunge la funzione della spesa aggregata questa incrocia la retta a 45° nel punto E. Poiché E si trova sulla retta a 45°, il valore del reddito sull’asse orizzontale eguaglia il valore della spesa corrispondente sull’asse verticale. Poiché E è il solo punto della funzione AD a essere anche sulla retta a 45°, esso è il solo punto per il quale il reddito del sistema economico analizzato è uguale alla spesa aggregata dello stesso sistema. Quindi, la Figura 18.6 mostra l’equilibrio nel punto E. Le imprese stanno producendo Y*, volume ottimo di produzione a livello macroeconomico. Questo livello di produzione è uguale al reddito. Per un reddito Y*, sulla funzione AD si legge che l’ammontare della spesa per beni e servizi è anch’essa pari a Y*. Nel punto E, la spesa che i consumatori e le imprese desiderano effettuare è esattamente uguale alla quantità prodotta. Per ogni altro livello di produzione, la produzione non è mai uguale alla spesa aggregata. Per tutti i livelli di reddito e produzione al di sopra del livello di equilibrio Y*, la spesa aggregata è sempre inferiore al reddito e al prodotto. - Gli aggiustamenti verso l’equilibrio - Si supponga che, nella Figura 18.6, il sistema economico si trovi con un livello di produzione e di reddito pari a Y1, quindi inferiore rispetto a quello di equilibrio Y*. La spesa aggregata è 2 La Figura 18.8 mostra che uno spostamento verso il basso della spesa aggregata riduce il reddito di equilibrio di una misura maggiore rispetto alla riduzione della spesa autonoma. Tuttavia, malgrado l’equilibrio si sposti da E a E’, il reddito non si è ridotto completamente a zero, bensì di un ammontare finito. Ciò è dovuto al fatto che la funzione AD ha una pendenza minore rispetto a quella della retta a 45°. La sua pendenza, che riflette la propensione marginale al consumo, è sempre minore dell’unità. Tabella 18.1 A = 10 per il consumo autonomo e una propensione marginale al consumo par a c = 0,9 La nostra funzione del consumo è dunque C = 10 + 0,9Y. Se gli investimenti sono pari a I = 10, la prima riga della Tabella 18.1 ci mostra che, con un reddito nazionale corrente pari a Y = 200, la spesa aggregata sarebbe 200 (190 di consumo + 10 di investimento) F 0 E 0 Il sistema economico è in equilibrio. Nella fase 2, l’investimento si è ridotto a 5. Si supponga che le imprese non si aspettassero questa riduzione nella domanda, e quindi abbiano continuato a produrre 200. La produzione eccede ora la spesa aggregata (195) per un ammontare pari a 5. Le imprese decidono di ridurre la produzione e le scorte aumentano. La fase 3 mostra che le imprese stanno producendo 195, il livello della spesa nella fase 2. Ma quando le imprese riducono la produzione, anche il reddito diminuisce. La fase 3 indica che la spesa per beni di consumo è ridotta da 190 a 185,5. Poiché PMgC (propensione marginale al consumo) è 0,9, una riduzione del reddito di 5 causa una riduzione della spesa per beni di consumo pari a 4,5 da 190 a 185,5. Questa riduzione indotta nella spesa per beni di consumo fa sì che la produzione di 195 sia ancora superiore rispetto alla spesa aggregata, che è ora paria 190,5. Di nuovo, le scorte aumenteranno e di nuovo le imprese risponderanno riducendo la produzione. Nella fase 4, le imprese stanno producendo abbastanza per soddisfare la domanda della fase 3. Il prodotto è 190,5, ma ancora ciò comporta un’ulteriore riduzione della spesa per beni di consumo e ancora la produzione eccede la spesa aggregata. Comparando le fasi 2, 3 e 4, si osserva che l’eccesso di produzione rispetto alla spesa aggregata si sta gradualmente riducendo. Questo processo andrà avanti fino a quando non si raggiungerà un nuovo equilibrio, per un livello di produzione pari a 150. Solo a questo livello la spesa aggregata eguaglia nuovamente la produzione. Ora i consumi si sono ridotti da 45 e, complessivamente, la spesa aggregata e il reddito nazionale si sono ridotti di 50. Il tempo che un sistema economico impiega a raggiungere il nuovo equilibrio dipende dalla velocità di reazione delle imprese. La riduzione nell’investimento induce una riduzione nel reddito che a sua volta genera un’ulteriore riduzione del consumo. La spesa aggregata si ridurrò dunque di un ammontare superiore rispetto alla riduzione iniziale dell’investimento, pur non innescando una spirale che porti il reddito e la produzione a zero. Il moltiplicatore è il rapporto tra la variazione del reddito (o del prodotto) e la variazione della componente autonoma della spesa che ha indotto il cambiamento nel reddito. Nell’esempio, la variazione iniziale dell’investimento è stata pari a 5. Questa variazione ha causato una riduzione complessiva del reddito e del prodotto pari a 50. Il moltiplicatore allora è 50/5=10. Ecco il motivo per ci, nella Figura 18.8, un piccolo spostamento parallelo della funzione della spesa aggregata ha determinato una variazione molto maggiore nel reddito di equilibrio. 35 18.6 Il moltiplicatore Il moltiplicatore dice quanto il livello del prodotto varierà a seguito di uno spostamento della spesa aggregata. Il moltiplicatore è maggiore di 1. La sua misura dovrà essere in qualche modo legata alla propensione marginale al consumo. Se la PMgC fosse grande, questo aumento del reddito porterebbe a un ulteriore incremento nel consumo e il moltiplicatore assumerebbe valori elevati. Se la PMgC fosse piccola, lo stesso cambiamento dell’investimento e del reddito di un’unità indurrebbe a un più piccolo incremento aggiuntivo nel consumo e quindi nella spesa aggregata. F 0 E 0 In questo caco, il moltiplicatore sarebbe più piccolo. La Tabella 18.2 mostra gli effetti di un aumento di 1 unità degli investimenti. Nella fase 2, le imprese reagiscono aumentando il reddito di 1 unità. Il consumo aumenta di 0,9, cioè la PMgC per la variazione di 1 unità nel reddito. Nella fase 3, le imprese aumentano la produzione di 0,9 per assecondare l’incremento nel consumo avvenuto nella fase 2. Di conseguenza, la spesa per beni di consumo aumenta ancora di 0,81. Questo comporta nella fase 4, un ulteriore aumento del reddito di 0,81. Il consumo aumenterà nuovamente e questo processo continuerà. Per trovare il valore del moltiplicatore, si sommano tutti questi aumenti del prodotto o del reddito. Il moltiplicatore è allora pari a: moltiplicatore = 1 + 0,9 + (0,9)² + (0,9)³ + (0,9)⁴ + (0,9)⁵ + … Il lato destro di questa equazione è chiamato serie geometrica. Ogni termine è 0,9 volte il temine precedente. I matematici hanno dimostrato che vi è una formula generale per mostrare la somma di tutti questi termini in una serie geometrica. Questa formula è data da: moltiplicatore = Questa formula si applica a qualunque valore della PMgC, e consente allora di definire il moltiplicatore in questo modo: moltiplicatore = Per il valore specifico di c = 0,9, l’equazione mostra un moltiplicatore pari a 1/0,1 = 10. Quindi, una riduzione iniziale dell’investimento pari a 5 condurrà a una riduzione finale del reddito di equilibrio pari a 5x10=50, come conferma la Tabella 18.1. La PMgC sarà sempre un numero compreso tra 0 e 1. Quanto maggiore è la PMgC tanto maggiore sarà il valore del moltiplicatore. - Il moltiplicatore e la PMgS - La parte rimanente di un’unità addizionale del reddito che non è spesa per l’acquisto di beni di consumo verrà risparmiata. Quindi 1-c sarà uguale a PMgS, la propensione marginale al risparmio. La propensione marginale al risparmio indica la frazione di unità addizionale di reddito che le famiglie decidono di risparmiare. Il moltiplicatore è anche uguale a 1/PMgS. Quanto maggiore è PMgS, tanto più le famiglie preleveranno dal flusso circolare del reddito e tanto meno rimetteranno in circolazione nello stesso flusso circolare del reddito e dunque minore sarà la spinta per ulteriori aumenti del reddito. 2 La Figura 18.8 conferma che il valore del moltiplicatore eccede l’unità. La curva con pendenza positiva è quella del risparmio. Tale pendenza rappresenta la propensione marginale al risparmio, il cui valore è inferiore a 1, poiché la maggior parte di un’unità aggiuntiva di reddito è spesa per beni di consumo e non risparmiata. La funzione dell’investimento programmata è rappresentata dalla funzione piatta parallela all’asse orizzontale. Partendo dall’equilibrio E si supponga che la funzione dell’investimento di sposti verso l’alto di un’unità. Ecco che il nuovo equilibrio si troverà in un punto più a destra del precedente e la variazione orizzontale eccederà la variazione verticale. Il rapporto tra la variazione del reddito e quella dell’investimento è il moltiplicatore che è maggiore di 1 ed è pari a 1/PMgS. 18.7 Il paradosso della parsimonia Oggi la propensione al risparmio è diminuita a livello italiano e internazionale. La letteratura economica insegna che il risparmio può non risultare una virtù. Il paradosso sta nel fatto che l’aumento della propensione marginale al risparmio non induce un aumento del reddito di equilibrio. A parità di componenti autonome della spesa aggregata A e I, un aumento della propensione a risparmiare induce una riduzione del reddito da Y* a Y’. Nella Figura 18.9 (a), dall’intersezione tra la funzione degli investimenti I e la funzione del risparmio S, il reddito è in equilibrio in E per un livello pari a Y*. Nella Figura 18.9 (b) la medesima condizione di equilibrio viene rappresentata tramite la funzione di spesa aggregata AD che interseca la retta a 45° in E. Un aumento della propensione marginale al risparmio induce uno spostamento da S a S’ e da AD ad AD’ per la riduzione della propensione marginale al consumo. Un aumento della propensione marginale al risparmio, complementare a 1 alla propensione marginale al consumo, determina una riduzione della propensione marginale al consumo. Il reddito di equilibrio si riduce da Y* a Y’. Il livello assoluto dell’investimento e del risparmio, sia nel primo sia nel secondo equilibrio, non sono cambiati poiché il livello degli investimenti è sempre lo stesso. Quando la spesa aggregata è bassa e l’economia ha risorse non utilizzate il paradosso mostra che una riduzione del desiderio di risparmiare aumenterà la spesa e aumenterà il livello del reddito di equilibrio, Tuttavia, oggi la criticità più urgente è l’indebitamento per il consumo minimo e necessario, quel +A della Figura 18.9. Capitolo 19 La politica fiscale e il commercio estero Le politiche fiscali sono costituite dalle decisioni del Governo in materia di spesa pubblica e tassazione. 35 Un aumento della spesa pubblica G avrebbe allora la capacità di aumentare il reddito nazionale di 10 volte. Nella Figura 19.3, l’equilibrio passa dal punto E al punto E’ quando la spesa aggregata si sposta da AD ad AD’. - L’effetto combinato della spesa pubblica e dell’imposizione fiscale - Si suppone che un’economia abbia un reddito nazionale di equilibrio di 1000, una spesa pubblica nulla e una spesa autonoma di beni di consumo delle famiglie e di beni di investimento delle imprese pari a 100. Con una propensione marginale al consumo rispetto al reddito disponibile di 0,9, un reddito disponibile di 1000 implica una domanda di beni di consumo pari a 900. La spesa aggregata è 900 + 100 = 1000, che è anche il reddito attuale. A questo punto, si introduce una spesa autonoma del Governo di 200, che porta la spesa autonoma totale a 300. Viene introdotta anche un’aliquota fiscale netta di 0,2. La propensione marginale al consumo rispetto al reddito nazionale diminuisce da 0,9 a 0,72, e il moltiplicatore diventa [1/(1 – 0,72)] = 1/0,28 = 3,57. Moltiplicando la spesa autonoma di 300 per 3,57, si ottiene un reddito di equilibrio di 1071, maggiore del reddito di equilibrio iniziale 1000, come nella Figura 19.4. - Il moltiplicatore del bilancio in pareggio - Un livello del reddito di equilibrio pari a 1000. Con un’aliquota fiscale del 20%, le entrate dello Stato saranno dunque pari a 200, esattamente l’ammontare della spesa pubblica. A seguito della manovra, il bilancio dello Stato è in pareggio poiché le entrate sono esattamente uguali alle uscite. La Figura 19.4 mostra come il reddito nazionale di equilibrio sia aumentato. L’aumento di 200 nella spesa pubblica ha determinato un aumento di 200 nella spesa aggregata. L’imposizione fiscale ha però ridotto il reddito disponibile di 200. Ma poiché la propensione marginale al consumo rispetto al reddito disponibile PMgC è pari a 0,9, la domanda di beni di consumo si riduce solo di 0,9 x 200 = 180. L’effetto iniziale dell’imposizione fiscale e della spesa pubblica è quello di aumentare la spesa aggregata di 200, ma anche di ridurla di 180. Quindi la spesa aggregata netta cresce di 20. Il prodotto nazionale cresce, causando un’ulteriore crescita della domanda di beni di consumo. Quando il nuovo equilibrio viene raggiunto, il prodotto è cresciuto di un ammontare pari a 71, da 1000 a 1071. Il moltiplicatore del bilancio in pareggio consente che un aumento nella spesa pubblica, compensato da un uguale aumento nell’imposizione fiscale, conduca a un maggiore livello di reddito. - Il nuovo moltiplicatore del reddito - La formula del moltiplicatore va corretta con l’introduzione della PMgC’, ossia della propensione marginale al consumo rispetto al reddito disponibile: 2 moltiplicatore = 1/(1 – PMgC’) Con l’introduzione di un’aliquota fiscale netta t, proporzionale al reddito, si sa che PMgC’ = PMgC(1-t). Data una qualsiasi PMgC, tanto maggiore è l’aliquota t, tanto maggiore sarà PMgC’ e, di conseguenza, si ridurrà anche il moltiplicatore. La Tabella 19.1 mostra proprio questo fenomeno. Adesso i prelievi sono dovuti sia al risparmio dia alle imposte. Quando la propensione marginale al risparmio e l’aliquota fiscale sono relativamente grandi, il moltiplicatore è piccolo. Le ultime righe della tabella mostrano un valore del moltiplicatore più piccolo delle prime. 19.3 Il bilancio dello Stato Un bilancio descrive le modalità di spesa e di finanziamento di un individuo, di un’impresa o di un ente pubblico. Il bilancio dello Stato illustra le tipologie della spesa per beni e servizi che il Governo intende acquistare durante un futuro periodo di tempo, l’ammontare dei trasferimenti e le modalità di finanziamento del bilancio stesso. Le imposte costituiscono solitamente la fonte principale delle entrate. Quando le spese eccedono le entrate, si verifica un deficit di bilancio. Al contrario, quando le entrate superano le uscite, vi è un surplus o avanzo di bilancio. Continuando a indicare con G la spesa pubblica e con NT le imposte nette, ossia le imposte meno i trasferimenti, il deficit di bilancio può allora essere definito come: deficit di bilancio = G – NT La Figura 19.5 mostra e spese dello Stato G e le imposte nette tY, mettendole in relazione con il reddito nazionale. Si ipotizza che la spesa G sia a 200. Con un’aliquota fiscale netta di 0,2, le imposte nette sono NT = 0,2Y. Se il reddito nazionale è pari a 0, le imposte incassate sono 0. Se il reddito fosse 500, le imposte sarebbero 100; se il reddito fosse 1000, le imposte sarebbero 200 e così via. Per redditi inferiori a Y = 1000, il Governo ha un deficit di bilancio. Con un reddito pari a Y=1000, il bilancio è in pareggio. Per redditi superiori, il bilancio è in avanzo. Dati G e t, l’avanzo o il disavanzo di bilancio dipendono unicamente dal livello del reddito. Sono dunque tre le determinanti di un avanzo o di un disavanzo di bilancio: la spesa pubblica G, l’aliquota fiscale netta t e il livello del reddito nazionale Y. - Gli investimenti, i risparmi e il bilancio dello Stato - Nel flusso circolare del reddito i prelievi correnti devono essere uguali alle immissioni correnti. I flussi monetari non possono svanire nel nulla. Il modello contempla ora due prelievi: il risparmio delle famiglie e la tassazione che è pagata al Governo. Vi sono anche due corrispondenti immissioni: la spesa per beni d’investimento delle imprese e la spesa pubblica per beni e servizi. Si è stabilito che il sistema economico si trova in equilibrio quando le quantità programmate o desiderate dai diversi soggetti sono uguali a quelle correnti. Allora si può affermare che, in equilibrio, la somma dei risparmi programmati S e delle imposte programmate NT sarà uguale alla somma della spesa pubblica G e dell’investimento programmato I. Le immissioni programmate devono uguagliare i prelievi programmati: S + NT = G + I 35 In assenza dello Stato, questa uguaglianza si riduce alla condizione di equilibrio tra risparmio e investimento. L’equazione implica che il deficit di bilancio programmato debba essere uguale alla differenza tra risparmio e investimento programmato: S – I = G – NT L’equazione ci mostra che qualsiasi aumento nella spesa pubblica G fa aumentare il deficit di bilancio. Data una certa aliquota fiscale netta, qualsiasi aumento di G provoca uno spostamento parallelo verso l’alto della funzione della spesa aggregata. Ciò fa aumentare il reddito di equilibrio. Poiché l’aliquota fiscale è meno del 100%, vi sarà anche un aumento del reddito disponibile. Le famiglie dunque aumenteranno sia il consumo programmato sia il risparmio programmato. Poiché l’investimento I è indipendente dal reddito, l’aumento del risparmio programmato accresce il lato sinistro dell’Equazione S – I. Quindi il lato destro dell’equazione G – NT deve crescere. Un aumento della spesa pubblica per beni e servizi fa crescere il reddito di equilibrio. Data una qualsiasi aliquota fiscale, il prelievo fiscale aumenterà ma anche il deficit pubblico aumenterà o il surplus si ridurrà . Dato un certo livello di spesa pubblica G, un aumento dell’aliquota fiscale riduce sia il reddito di equilibrio sia il deficit pubblico. 19.6 Il deficit e il debito pubblico La somma dei deficit contratti dallo Stato costituisce il debito pubblico. In Italia il rapporto debito/PIL è più che raddoppiato in soli 15 anni, passando dal 59% del 1980 al 123% del 1995. Tra le ragioni che devono spingere gli economisti a preoccuparsi, sene possono citare due. La prima è che, se il debito diventa rilevante in relazione al PIL, aumenta anche la spesa per interessi sul debito che devono essere pagati F 0 E 0 è stato il caso dell’Italia tra il 1975 e il 1990. La seconda ragione è che, aumentando l’onere per interessi dei debiti pubblici continuamente crescenti, i Governi necessitano di una maggiore liquidità per pagare le spese correnti. Per procurarsi questa maggior liquidità, possono agire in diversi modi: • Aumentare le imposte, il che potrebbe provocare effetti distorsivi, disincentivare la produzione e ridurre il reddito nazionale e dunque nuovamente le entrate; • Chiedere a prestito liquidità una mossa che tuttavia rinvierebbe semplicemente il problema; • Stampare moneta, e questo è il modo con il quale cominciano le iperinflazioni. In generale, in tutti i Paesi europei, il rapporto debito/PIL è aumentato nel corso degli ultimi tre decenni e la crisi globale sta determinando pericolose accelerazioni. 19.7 Il commercio estero nella determinazione del reddito Il valore delle esportazioni X come il valore monetario dei beni prodotti all’interno del Paese e venduti al resto del mondo. Il valore delle importazioni Z è invece associato al valore monetario dei beni prodotti dal resto del mondo e acquistati dai residenti di un Paese. Esportazioni e importazioni in un determinato periodo di crisi possono diminuire pesantemente. 2 Nella Figura 19.8, una riduzione della propensione marginale alle importazioni PMgZ determina una rotazione verso l’alto della funzione AD’ aumentandone la pendenza a parità di intercetta. Il prodotto e il reddito nazionale quindi aumenteranno a loro volta. Tuttavia, le importazioni possono ridursi anche direttamente, quando un Paese impone quote, o quantità massime di beni stranieri importabili, oppure indirettamente, tramite i dazi doganali sui beni importati. Peraltro, pensare che le restrizioni alle importazioni aiutino il reddito nazionale e l’occupazione è pericoloso, perché ignora la possibilità di ritorsioni da parte degli altri Paesi. Se un Paese riduce le importazioni, si riducono anche le esportazioni degli altri Paesi. Se questi decidono di vendicarsi facendo la stessa cosa, le esportazioni del primo Paese crollano. Capitolo 31 L’integrazione europea • la comunità Economica europea CEE fu fondata nel 1957 da 6 paesi. I suoi obiettivi principali erano: • la creazione di un'area di libero scambio e • la realizzazione di programmi finanziari comuni • Nel 1992 gli stati membri della Comunità Europea hanno ratificato l'atto unico europeo con gli obiettivi di • abolizione dei controlli sui flussi di capitale • rimozione delle barriere non tariffarie, cioè le differenze nelle normative dei singoli paesi che ostacolano la libera circolazione di beni servizi e fattori produttivi • eliminazione atteggiamenti protezionistici • rimozione dei controlli doganali • progressiva armonizzazione delle aliquote fiscali • L’ Unione monetaria è caratterizzata da • tassi di cambio fissati in modo permanente all'interno dell'Unione • da un mercato finanziario integrato e • da un'unica banca centrale che stabilisce il tasso di interesse • i criteri di convergenza Maastricht per poter aderire all'Unione monetaria europea ogni paese doveva raggiungere 35 • basso livello di inflazione al massimo 1,5 punti superiore alla media dei tre paesi più virtuosi • basso tasso di interesse al massimo 2 punti superiore alla media dei tre paesi più virtuosi • tasso di cambio mantenuto in una banda di oscillazione del ERM (meccanismo di cambio) nei due anni precedenti all'ammissione senza svalutare la propria moneta • debito pubblico inferiore al 3% del PIL • rapporto debito PIL non superiore al 60% • un’area monetaria ottimale identifica un insieme di paesi che trae vantaggio dall'adozione di una moneta comune • nel 1997 il Trattato di Amsterdam ha confermato la convergenza di politica fiscale di Maastricht • la politica monetaria è realizzata dalla Banca Centrale Europea BCE con sede a Francoforte • l'obiettivo primario della BCE e la stabilità dei prezzi • In un sistema fiscale federale un'autorità centrale stabilisce le tasse e le regole di spesa per gli Stati costituenti • le economie in transizione sono quelle che passano da una pianificazione centralizzata a un economia di mercato 2
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