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Riassunto "Economia degli intermediari finanziari" IV edizione, Dispense di Finanza

Riassunto del libro "Economia degli intermediari finanziari" IV edizione. Capitoli: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 10, 11, 12.

Tipologia: Dispense

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Scarica Riassunto "Economia degli intermediari finanziari" IV edizione e più Dispense in PDF di Finanza solo su Docsity! 1 IL SISTEMA FINANZIARIO E L’OFFERTA DI SERVIZI FINANZIARI Dopo le crisi, a cosa serve la finanza? Una domanda molto importante che bisogna porsi è la seguente: “Il mondo della finanza, rappresentato tra gli altri da banchieri, mercati, autorità, investitori professionali, è utile alla società oppure produce più costi che benefici?”. Questa domanda assume un rilevo molto più importante alla luce delle due grandi crisi globali che ha vissuto la società e l’economia negli ultimi anni: 1. la Grande Crisi Finanziaria (GCF) del 2007-2008, caratterizzata da frodi e scandali che hanno avuto per protagonisti non solo banche e operatori finanziari, ma anche imprese non finanziarie, società di auditing e di rating; 2. la più recente crisi portata dalla pandemia da COVID-19 nel 2020 che ha tuttora e avrà nel futuro prossimo numerose e profonde conseguenze sul funzionamento della società e dell’economia a livello globale. Essa mostra quanto sia necessaria, e quanto nei fatti sia curata dai vari attori del sistema socio-economico, la collaborazione tra governi, autorità di controllo e banche centrali, mercati e intermediari finanziari per far fronte all’impatto recessivo della crisi e per supportare con adeguate risorse finanziarie famiglie e imprese. Le crisi sono causate da molteplici fattori politici, sociali, tecnologici, economici, che a volte agiscono contemporaneamente, altre volte secondo mutevoli sequenze. Il denaro, che è il centro del mondo della finanza, se da un lato è il mezzo che ha trasformato l’economia reale da economia di baratto a economia monetaria, con evidenti benefici, dall’altro ha da sempre un rapporto molto difficile con altri valori su cui si basa la convivenza umana. Il mondo della finanza, come il denaro, dovrebbero essere sempre un mezzo per soddisfare e migliorare il bene comune. La crisi può essere interpretata da diversi punti di vista: economici, normativi, culturali. Adottando il punto di vista economico, la crisi si è manifestata inizialmente come finanziaria, legata in particolare all’eccessivo indebitamento privato e all’esposizione in strumenti derivati collegati al credito degli intermediari finanziari. Il disallineamento tra crescita reale e crescita finanziaria ha messo in dubbio i benefici apportati dalla crescita dimensionale del sistema finanziario: in estrema sintesi, la grande disponibilità di liquidità, in particolare nei quindici anni precedenti la crisi, e la crescita delle attività finanziarie e del credito ha finito per distribuire in modo sbilanciato costi e benefici. La narrazione prevalente ha puntato il dito da un lato sugli effetti perversi dell’utilizzo speculativo degli strumenti derivati, dall’altro sugli ingenti debiti sovrani di molti Stati e sulle risposte di politica economica. La Grande Crisi Finanziaria ha riconfermato la centralità del sistema finanziario per la società e l’economia nel suo interesse. La crisi pandemica ha reso ancor più necessaria la cooperazione, avviata per la GCF, sia tra Paesi sia tra i diversi portatori di interessi e ha rafforzato la comprensione diffusa dell’utilità del sistema finanziario, e della necessità di una sua guida verso obiettivi socialmente ed economicamente utili e sostenibili. Concetti introduttivi: il sistema reale e il sistema finanziario Il sistema economico è un insieme di soggetti, strumenti, attività e regole strettamente interrelati tra loro per la produzione, lo scambio e il consumo di beni e servizi nel tempo e nello spazio. Le principali categorie nelle quali tutti i soggetti vengono classificati sono: • famiglie: prestano un’attività lavorativa e gestiscono il proprio patrimonio al fine di ottenere salati e altri redditi da destinare all’acquisto di beni e servizi; • imprese: attuano investimenti e generano il profitto percepito dagli imprenditori; • autorità di governo: svolgono un duplice ruolo: quali produttrici di beni e servizi pubblici, stabiliscono imposte e tasse per finanziare la spesa pubblica corrente; quali regolatrici del mercato, emanano le norme di funzionamento dei mercati e degli intermediari finanziari e gestiscono la quantità di moneta in circolazione; 2 • pubblica amministrazione. All’interno del sistema economico, da un lato si scambiano beni , servizi e forza lavoro, dando luogo al sistema reale; dall’altro, in contropartita, si trasferisce la moneta o, in sua sostituzione, altri mezzi di pagamento o strumenti finanziari, la cui complessiva gestione dà luogo al sistema finanziario. La struttura finanziaria dell’economia individua l’insieme dei circuiti diretti (mercati) e indiretti (intermediazione finanziaria) attraverso i quali avviene il trasferimento delle risorse connesse al sistema dei pagamenti e al finanziamento degli investimenti, in funzione delle preferenze e del comportamento degli agenti economici. Il procedimento di trasferimento delle risorse è necessario in quanto nel sistema economico si registra la contemporanea presenza di soggetti in avanzo finanziario (surplus) e soggetti in disavanzo finanziario (deficit). Il sistema finanziario influenza, in termini sia quantitativi (valore assoluto) sia qualitativi (composizione e sue modifiche nel corso del tempo): • le decisioni di distribuzione del reddito fra consumo e risparmio, ossia il volume dell’accumulazione; • le decisioni di investimento delle unità con saldo finanziario positivo (in avanzo); • le decisioni di finanziamento delle unità con saldo finanziario negativo (in disavanzo). Per agevolare gli scambi finanziari occorre generare strumenti finanziari, ossia contratti che rappresentano per il detentore forme di investimento finanziario e per l’utilizzatore forme di raccolta di risorse finanziarie. Per realizzare in modo efficiente il trasferimento di risorse, il sistema finanziario deve: • consentire ai datori di fondi lo smobilizzo degli strumenti finanziari acquistati anche prima della loro naturale scadenza; • svolgere un’attività di diversificazione e riduzione del rischio a vantaggio dei datori di fondi; • elaborare e diffondere con continuità informazioni la cui disponibilità consenta una corretta gestione del rischio. I cicli economici Un particolare profilo di analisi dell’evoluzione strutturale e congiunturale del circuito reale riguarda l’interpretazione dei cicli economici. I cicli economici rappresentano fluttuazioni che caratterizzano l’intero sistema. Ciascuno di essi si articola in fasi generali di espansione seguite da fasi di recessione e contrazione ugualmente diffuse e, poi, da riprese che confluiscono nella fase di espansione del ciclo successivo. Poiché si tratta di una sequenza di mutamenti ricorrente ma non periodica, i cicli economici principali hanno durata variabile. Inoltre, l’andamento del ciclo incide in misura non omogenea su comparti e settori produttivi i quali, reagendo, per le loro caratteristiche, in tempi e modi diversi al trend generale dell’economia, sono definiti ciclici, anticiclici, prociclici. I comportamenti degli operatori, nei diversi settori produttivi, possono essere influenzati da misure di regolamentazione. All’interno di un ciclo è possibile individuare: • una tendenza di fondo (trend) che coglie l’andamento di lungo periodo generalmente con un andamento sinusoidale e frequenti inversioni; • una componente ciclica (congiuntura) caratterizzata da frequenti oscillazioni dovute al susseguirsi di periodi di crescita e di flessione il cui andamento è influenzato dal trend; • una componente stagionale che si sovrappone a quella ciclica e che deriva dall’applicazione sistematica di strumenti di misurazione non corretti per l’influenza di fattori esogeni (la stagionalità); • una componente accidentale che individua movimenti imprevedibili, non ciclici e puramente occasionali che influenzano fattori stagionali, ciclici e di trend. Sulla base di questa classificazione si delineano alcune fasi del ciclo: • recessione, tecnicamente individuata quando vi sono almeno due trimestri consecutivi di crescita negativa; • ripresa: breve fase durante la quale l’economia, dopo un rallentamento o una recessione, fa registrare un’inversione del segno anche se con risultati ancora negativi; 5 Famiglie Individui e nuclei famigliari che producono reddito e consumano Imprese non finanziarie Entità che producono beni e servizi non finanziari destinati alla vendita Pubblica Amministrazione Unità istituzionali che producono ed erogano servizi destinati alla collettività Estero Tutti gli operatori non residenti che effettuano transazioni economiche e finanziarie con quelli residenti Istituzioni finanziarie Unità economiche che raccolgono, trasformano e impiegano le disponibilità finanziarie degli altri operatori economici In linea generale gli operatori economici presentano le seguenti caratteristiche in termini di saldo finanziario aggregato: • le famiglie sono abitualmente e strutturalmente in una posizione di avanzo finanziario e quindi con risorse da investire; • le imprese sono sistematicamente in condizioni di disavanzo finanziario e quindi con propensione all’assunzione di debiti; • la Pubblica Amministrazione è in condizioni di disavanzo finanziario; • l’estero dipende dai flussi derivanti da importazioni-esportazioni e dai movimenti dei capitali. L’approccio macro ci consente di affermare che esistono stretti legami di interdipendenza tra sistema reale e sistema finanziario; infatti, in un determinato Paese o in un determinato momento storico, risparmio, investimenti reali, attività e passività finanziarie dipendono per livello e composizione da: • modello di distribuzione dei redditi (salari, rendite, profitti, interessi, modalità e composizione dei consumi); • politica di finanza pubblica e imposizione fiscale (trasferimenti a famiglie e imprese, classi sociali, tassazione diretta/indiretta sul reddito, sui consumi); debito pubblico, ecc.; • andamento del ciclo economico e suoi effetti sulla politica economica e monetaria; • struttura del sistema previdenziale pubblico e privato; tassi di interesse; propensione al rischio degli operatori; aspettative. Con riferimento al bisogno di trasferimento delle risorse finanziarie, esso può avvenire attraverso differenti modalità: • nello spazio, dando origine alla moneta quale mezzo di pagamento che determina la nascita del sistema dei pagamenti; • nel tempo, dando origine da un lato a operazioni di credito (esempio: finanziamento bancario), dall’altro a trasferimento di quote di proprietà (azioni) e dei relativi diritti a tempo indeterminato; • tra unità appartenenti al medesimo settore, tipicamente prestiti tra unità famigliari o tra imprese; • tra unità appartenenti a settori diversi, mediante l’emissione di titoli di debito/credito diretti o attraverso l’intervento di soggetti specializzati (cioè gli intermediari finanziari). Il trasferimento delle risorse nel tempo può avvenire: • direttamente, nel senso che lo scambio si realizza senza intermediazione tra unità utilizzatrici finali dei fondi; • indirettamente, attraverso l’intervento di un soggetto (l’intermediario) che raccoglie risorse stipulando un contratto con un’unità in avanzo e le impiega stipulando un altro contratto con un’unità in disavanzo. Il sistema finanziario italiano si è caratterizzato, con riferimento a un orizzonte temporale lungo, per i seguenti elementi: • Borsa con scarso spessore; • Capitalismo famigliare; • Assenza di Hausbank (banca di fiducia); • Specializzazione creditizia; • Scarso sviluppo di intermediari diversi da quelli bancari; 6 • Crescita del mercato dei titoli pubblici; • Nascita di altre forme di investimento, legata in parte alla riduzione dell’offerta dei titoli di Stato e soprattutto alla diminuzione dei tassi di interesse. Il ruolo dell’alfabetizzazione finanziaria e dell’educazione finanziaria Le conoscenze in campo finanziario assumono un’importanza crescente per garantire capacità di adattamento e di risposta alle mutevoli situazioni. In tutto il mondo si sono sviluppate politiche pubbliche volte a garantire un’adeguata alfabetizzazione finanziaria, attraverso lo svolgimento e il coordinamento di iniziative di educazione finanziaria. Tra le molte definizioni di alfabetizzazione finanziaria ricordiamo: • quella di OCSE, 2005: “insieme di conoscenze e cognizioni di concetti e rischi di carattere finanziario, unito alle abilità, alla motivazione e alla fiducia nei propri mezzi, che consentono di utilizzare quelle stesse conoscenze e cognizioni per prendere decisioni efficaci in molteplici e diversi contesti di carattere finanziario, per migliorare il benessere degli individui e della società e per consentire una partecipazione consapevole alla vita economica”; • quella di Lusardi e Mitchell, 2001: “l’abilità di elaborare le informazioni economiche e di prendere decisioni informate riguardo alla pianificazione finanziaria, l’accumulazione della ricchezza, il debito e le pensioni”. Funzioni, struttura, componenti e orientamento del sistema finanziario Tradizionalmente, lo studio del sistema finanziario si fonda su due profili: • l’approccio funzionale, ossia l’analisi delle funzioni assegnate al sistema e delle modalità (efficacia ed efficienza) attraverso le quali esse vengono svolte incidendo anche sul sistema reale; • l’approccio strutturale, ossia l’analisi dei suoi elementi costitutivi per valutarne, singolarmente e nel loro reciproco interagire, caratteristiche e logiche evolutive. Le tre funzioni svolte dal sistema finanziario sono: 1. funzione monetaria, legata alla creazione e circolazione dei mezzi di pagamento nonché alla gestione del sistema dei pagamenti; 2. funzione creditizia e di mobilizzazione del risparmio, legata al trasferimento delle risorse tra operatori economici, ovvero dalle unità in surplus alle unità in deficit; 3. funzione di trasmissione della politica monetaria, poiché il sistema finanziario è il veicolo attraverso il quale si perseguono gli obiettivi della politica monetaria. Con riferimento al soddisfacimento delle esigenze degli operatori, il sistema finanziario agevola, rendendo possibili a condizioni più vantaggiose: • il regolamento degli scambi mediante l’offerta di strumenti di pagamento; • il trasferimento di risorse connesse a forme di dissociazione tra risparmio accumulato e decisioni di investimento le quali necessitano di opportuni finanziamenti; • la gestione dei rischi e la loro copertura mediante l’operatività sui mercati a termine e lo svolgimento dell’attività assicurativa. Gli elementi costitutivi del sistema finanziario sono: • strumenti: insieme dei contratti aventi per oggetto diritti e prestazioni di natura finanziaria; • mercati: insieme degli scambi finanziari il cui corretto funzionamento presuppone strutture, organi di gestione, operatori, regole di comportamento, istituzioni di controllo; • intermediari: istituzioni specializzate nella produzione e negoziazione di strumenti finanziari e nell’offerta di servizi, che attuano una trasformazione delle caratteristiche degli strumenti; • ordinamento: insieme delle norme che, disciplinando strumenti, mercati e intermediari, deve assicurare lo svolgimento delle funzioni assegnate al sistema finanziario in modo efficace ed efficiente. 7 I mercati finanziari costituiscono l’insieme delle operazioni di creazione e di scambio dei contratti nei quali la presenza di strutture organizzative e di operatori specializzati agevola l’incontro tra domanda e offerta. La più importante e utilizzata classificazione distingue tra: • mercato creditizio, nel quale intermediari specializzati riescono a soddisfare, attraverso il proprio bilancio, le divergenti esigenze degli scambisti; • mercato mobiliare, nel quale trovano esecuzione tutte le operazioni aventi per oggetto titoli destinati a circolare tra gli operatori; • mercato assicurativo, nel quale gli operatori si coprono dai rischi puri mediante la stipula di polizze con le compagnie di assicurazione; • mercato dei servizi di pagamento. L’ordinamento delle attività finanziarie è l’insieme organico delle norme che disciplinano le attività e le istituzioni dell’intermediazione finanziaria in un dato contesto politico-amministrativo. L’intervento pubblico si manifesta a livello legislativo, esecutivo, amministrativo. A livello esecutivo sono definiti i poteri di intervento attribuiti al Governo, a comitati di ministri, a singoli ministri e che si traducono in politiche di indirizzo rivolte al livello istituzionale e tecnico. A livello amministrativo, le Autorità di controllo indipendenti sono competenti per specifiche materie e operano fondamentalmente sul terreno tecnico. Secondo Rybczynski, il sistema finanziario, nella sua evoluzione storica, si è configurato con tre diverse strutture: • orientamento alle banche (sistema bancocentrico). Nei sistemi orientati alle banche, le imprese finanziano i loro investimenti e la loro necessità a breve, oltre che con il capitale proprio e con il credito commerciale, facendo ampio e prevalente ricorso al credito bancario. Il controllo dell’impresa è saldamente nelle mani della proprietà, mentre il controllo su quest’ultima è assicurato dalle banche che, in quanto principali finanziatori esterni, ne monitorano la situazione economico-patrimoniale; • orientamento al mercato (sistema mercatocentrico). Nei sistemi orientati al mercato, le imprese finanziano i mezzi propri e il debito esterno ricorrendo al mercato dei capitali con emissione di titoli rispettivamente azionari e obbligazionari. Nelle imprese che fanno ricorso al mercato, il management tende a essere separato dalla proprietà e si sviluppa il modello della public company, caratterizzata da numerosissimi azionisti e dalla impossibilità pratica di garantire in assemblea maggioranze assolute. Ne consegue che il controllo sull’impresa è esercitato soprattutto dal mercato; • orientamento alla securitization. Nei sistemi orientati alla securitization, rispetto all’orientamento al mercato, si riscontrano due differenze: il ricorso, per finanziare le proprie attività, alla cessione di crediti anziché all’aumento dei debiti; la presenza di soggetti specializzati nell’investimento in attività e imprese particolarmente rischiose, in fase di avvio o in crisi. Il fenomeno FinTech La “delicatezza” dell’attività svolta dagli intermediari impone la necessità di una regolamentazione intensa e sempre aggiornata. Lo sviluppo delle tecnologie digitali e la diffusione della rete Internet hanno avuto un primo forte impatto nel mondo dei servizi finanziari alla fine del secolo scorso. Fu in quel periodo che si iniziò a diffondere l’uso dei termini e-banking e e-finance, dove il prefisso e- stava a sottolineare l’impatto della tecnologia sui processi operativi di mercati e intermediari. Per il Financial Stability Board (FSB), FinTech è qualsiasi “innovazione basata sulla tecnologia nei servizi finanziari, con collegati nuovi modelli di business, applicazioni, processi di produzione, i quali tutti hanno un effetto concreto sulla fornitura di servizi finanziari”. Il concetto di FinTech è assai ampio e qualsiasi analisi dell’impatto della tecnologia e delle connesse variabili socio-economiche mosse da tale impatto deve essere svolta con una prospettiva olistica, aperta e interdisciplinare. 10 ➢ compagnia di assicurazione: assume in proprio il rischio per effetto della legge dei grandi numeri e per l’applicazione del principio di mutualità. Alcuni limiti dell’impostazione basata sull’incertezza sono legati alla mancata esplicita considerazione di elementi quali: ➢ imperfezioni di natura strutturale che contraddistinguono l’operare dei sistemi finanziari; ➢ l’offerta di strumenti di pagamento; ➢ la prestazione di servizi di consulenza da parte di numerosi e variegati operatori; ➢ l’esistenza di intermediari con funzione monetaria, i quali consentono di minimizzare costi-tempi-rischi del trasferimento dei saldi monetari. Asimmetrie informative La teoria delle asimmetrie informative ci dice che gli intermediari esistono per colmare un gap informativo tra le parti. Essa è applicabile a qualsiasi tipo di mercato in cui è rilevante l’informazione. L’asimmetria informativa è una condizione in cui un’informazione non è condivisa in maniera uniforme tra individui che appartengono ad uno stesso processo economico. Dunque, si crea una situazione nella quale determinati soggetti godranno di una posizione di vantaggio rispetto ad altri poiché dispongono di maggiori informazioni e ciò gli permetterà di acquistare una posizione privilegiata. Un esempio di asimmetria informativa molto famoso si riscontra nel mercato delle automobili usate: siamo all’interno di un mercato di auto usate; 100 individui sono disposti a cedere la loro auto usata; 100 individui sono disposti ad acquistare un’auto usata; Entrambi gli agenti sono a conoscenza del fatto che ½ del totale delle auto sono di buona qualità e l’altra metà è di qualità scadente; Solo gli attuali proprietari delle auto conoscono le effettive qualità del singolo prodotto; di contro i probabili acquirenti si trovano in una posizione di svantaggio (informazione asimmetrica); Chi possiede un’auto di scarsa qualità è disposto a privarsene per € 1.000 e chi possiede un’auto di buona qualità se ne priva per € 2.000; Gli acquirenti sono disposti a pagare un massimo di €1.200 per le auto scadenti e di € 2.400 per le auto buone. Descritta questa situazione è palese che, se la qualità delle automobili fosse osservabile immediatamente, non sorgerebbe alcun problema ed il mercato funzionerebbe perfettamente in quanto le auto di bassa qualità verrebbero vendute ad un prezzo compreso tra € 1.000 ed €1.200 e le auto di buona qualità ad un prezzo che oscillerebbe tra €2.000 ed € 2.400. La realtà, però, ci pone difronte ad una situazione totalmente differente dove gli acquirenti, in partenza, non sono in grado di determinare la qualità delle stesse automobili in quanto hanno a disposizione un capitale di informazioni ridotto. La prima assunzione riguarda il caso di un acquirente tipico che sa perfettamente di avere il 50% di probabilità di acquistare una buona auto ed il 50% di ottenere un’auto cattiva, pertanto il prezzo che sarà disposto a corrispondere equivarrà al valore atteso dell’automobile che nel nostro esempio è di €1.800: [(€1.200*1/2) + (€2.400*1/2)]. Giunti a questo primo risultato è opportuno domandarci quale categoria di venditore sarebbe disposto a privarsi della propria auto ad un’offerta di €1.800, ma la risposta è ovvia: i proprietari delle auto di scadente qualità perché ben felici di realizzare un’ottima plusvalenza; di contro i proprietari delle auto di buona qualità non la cederebbero per meno di €2.000. Pertanto, ad un prezzo equivalente al valore atteso dell’auto ci sarebbero sul mercato solo macchine appartenenti alla peggiore categoria e ciò fa si che i possessori di auto di buona qualità escano dal mercato. Si può concludere affermando che in un mercato così strutturato, nonostante il prezzo al quale i compratori siano disposti ad acquistare auto di buona qualità sia superiore a quello rispetto al quale i venditori siano disposti a venderle, non ha luogo alcuno scambio di questo genere e, a causa della presenza di asimmetrie informative, il mercato delle auto usate diventa un mercato dei “bidoni”. Quando si parla di asimmetrie informative è opportuno scindere tra due differenti situazioni: • la selezione avversa (adverse selection): si realizza attraverso dei meccanismi di rialzo del prezzo e porta a selezionare soggetti “non buoni” (più rischiosi) che possono portare al fallimento del mercato. Esempio: siamo un’impresa con delle caratteristiche buone: abbiamo dei buoni progetti industriali, non abbiamo intenzione di frodare, non facciamo spreco di flussi di cassa, ecc. Tuttavia, abbiamo bisogno di 11 risorse per finanziare i nostri investimenti (nel caso di un hotel, ad esempio, abbiamo bisogno di risorse per rinnovare le camere), dunque andiamo in banca a chiedere un finanziamento. La banca, che sa che nella realtà esistono i bidoni, non sa se noi siamo un bidone o un affare; dunque, siccome la banca ha una certa probabilità che su 10 persone 2 siano bidoni, per coprirsi da quei 2 bidoni, alza il prezzo dei prestiti a tutti. Questo, però, genera che un individuo, che conosce sé stesso, ritiene quel prezzo troppo alto e non accetta la proposta della banca uscendo dal mercato. La stessa cosa la fa un altro individuo e così via. Questa è selezione avversa, cioè la banca, fissando un prezzo così alto, fa una selezione sbagliata in quanto i soggetti “buoni” (i cosiddetti “affari”) se ne vanno e restano i “bidoni”; • il rischio morale (moral hazard): ossia comportamenti opportunistici. In questo caso, i soggetti che detengono maggiore informazione possono sfruttarla a proprio vantaggio causando una manipolazione del mercato stesso (abuso di mercato). Uno degli esempi classici di comportamenti opportunistici (previsto come reato) nel mondo finanziario è l’insider trading, ossia sfruttare a proprio vantaggio delle informazioni che vengono da questa maggiore informazione che la persona stessa ha. Alcuni esempi in cui diversi tipi di intermediari colmano il gap informativo sono: • Centrale dei Rischi e altri Sistemi di Informazioni Creditizie; • giudizi emessi dalle agenzie di rating; • documento sui rischi da consegnare al cliente prima della conclusione del contratto per la valutazione del rischio dell’investimento; • prospetto informativo per il collocamento di nuovi strumenti; • la decisione di Borsa Italiana SpA di mettere a disposizione le analisi e le previsioni elaborate dal team di analisti dei diversi intermediari; • le analisi sui principali titoli quotati a opera dei principali operatori. Costi di agenzia La teoria del rapporto di agenzia comporta una delega da parte di un soggetto (mandante), proprietario di un’attività, nei confronti di un gestore (mandatario) nel presupposto che svolga la sua funzione in modo più efficiente (esempio: l’azionista che delega al manager la gestione dell’attività). In ambito finanziario il rapporto di agenzia si declina nella presenza di: • gap informativi che non consentono al mandante di osservare il comportamento del mandatario; • le divergenti funzioni obiettivo dei due soggetti perché ognuno ha interesse a massimizzare il proprio valore, ma mentre il mandatario è più propenso a rischiare di più, il mandante è meno propenso al rischio; dunque, si crea questa divergenza tra i due soggetti. Come si regolano questi rapporti? Attraverso delle forme contrattuali, per questo si chiama anche teoria dei contratti. Nel processo dell’intermediazione: • “a monte” l’intermediario, quale agente degli investitori, potrebbe sfruttare le informazioni riservate di cui dispone a suo esclusivo vantaggio contro gli interessi del mandante; • “a valle” il rapporto di finanziamento dell’impresa determina il rischio di un comportamento scorretto da parte di quest’ultima a danno del primo. FinTech e le teorie dell’intermediazione Le maggiori e più veloci opportunità di raccolta ed organizzazione delle informazioni consentono agli operatori FinTech di fondare e sfruttare il proprio vantaggio competitivo sulla capacità di elaborare enormi quantità di dati (hard information) anche provenienti da fonti non tradizionali. Tale elemento sta determinando una modifica radicale del paradigma informativo; finora, infatti, le informazioni raccolte presso la clientela sono state prevalentemente di tipo hard mentre oggi è crescente l’uso di dati di natura non finanziaria (soft information). La vera discontinuità è però rappresentata dalla crescente capacità di codifica delle soft information che possono 12 essere trasformate in dati (ranking, scoring, ecc.) utilizzabili da algoritmi in grado di dare un giudizio quantitativo utile alla presa di decisioni. Criteri di classificazione degli intermediari Vi sono diversi criteri di classificazione degli intermediari: 1. un primo criterio di distinzione attiene allo svolgimento della funzione monetaria e quindi alla ripartizione tra intermediari monetari (le banche) e intermediari non monetari (tutti gli altri); 2. un secondo criterio di distinzione attiene al tipo di attività svolta e quindi alla ripartizione tra investitori delegati (tra i quali le banche caratterizzate dall’emissione di passività a valore nominale) e imprese di investimento (con passività di mercato); 3. un terzo criterio di distinzione attiene al modello di intermediazione, quindi che tipo di intermediazione fanno: l’intermediazione creditizia si identifica con l’erogazione del credito e gli intermediari sono sia le banche sia tutti gli altri intermediari creditizi; l’intermediazione mobiliare si identifica con i servizi di investimento e gli intermediari sono principalmente le società di investimento; l’intermediazione assicurativa si identifica con la copertura di rischi su ramo danni e ramo vita e gli intermediari sono le compagnie di assicurazione. Principali tipologie di intermediari Banche. Svolgono un’attività di conferimento di risorse finanziarie a titolo di credito, utilizzando fondi ottenuti da terzi a titolo di debito e a titolo di capitale. Per l’ordinamento italiano, l’attività bancaria richiede lo svolgimento congiunto della raccolta presso il pubblico dei risparmiatori e della concessione di prestiti sotto qualsiasi forma. Intermediari creditizi. Sono soggetti, diversi dalle banche, autorizzati all’esercizio dell’attività di concessione di finanziamento sotto qualsiasi forma, incluso il rilascio di garanzie, e sono iscritti in un apposito albo (Testo Unico Bancario, art. 106). Gli intermediari creditizi diversi dalle banche sono accomunati da una caratteristica: la raccolta delle risorse, non potendo essere svolta nei confronti del pubblico, avviene prevalentemente presso banche o altri soggetti istituzionali. Con riferimento all’attività di intermediazione mobiliare, i principali ambiti di attività, presidiati da soggetti differenti, sono lo svolgimento dei servizi di investimento, la gestione collettiva del risparmio, la promozione e l’organizzazione dei mercati di negoziazione e la gestione delle fasi di scambio dei titoli da parte di soggetti specializzati. Società di Intermediazione Mobiliare (SIM). Sono autorizzate alla prestazione di servizi di investimento, come definiti dal Testo Unico della Finanza, consentendo agli investitori d’impiegare i propri risparmi in strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, titoli di Stato). Tali servizi possono essere svolti anche dalle banche e dagli altri intermediari finanziari. Società di Consulenza Finanziaria (SCF). Possono prestare esclusivamente il servizio di consulenza in materia di investimenti senza poter detenere disponibilità liquide e strumenti finanziari della clientela. Società di Gestione del Risparmio (SGR). Svolgono professionalmente attività di asset management, ossia gestione individuale e gestione collettiva del risparmio. Esse sono l’unico intermediario abilitato a promuovere, istituire e/o gestire fondi comuni di investimento e fondi pensione oltre a poter svolgere attività connesse (ricerca, analisi, ecc.). La gestione collettiva del risparmio viene svolta anche da Società di Investimento a Capitale Variabile (SICAV) e Società di Investimento a Capitale Fisso (SICAF), particolari tipologie di società per azioni il cui oggetto esclusivo è l’investimento collettivo del patrimonio raccolto presso il pubblico mediante emissione di proprie azioni. Società di gestione dei mercati regolamentati (SGMR). Nel quadro del processo di privatizzazione dei mercati mobiliari, il TUF ha poi disciplinato le Società di gestione dei mercati regolamentati cui è demandata l’organizzazione e la gestione del mercato definendo mediante apposito regolamento: condizioni e modalità di 15 La banca è un intermediario universale che ha la possibilità di svolgere tutte le attività. Il bilancio della banca è costituito da numerosi documenti redatti secondo gli schemi previsti dalla Banca d’Italia: Stato Patrimoniale, Conto Economico, Prospetto della redditività complessiva, Rendiconto finanziario, Nota integrativa. Nello Stato Patrimoniale troviamo: • Riserve di Liquidità (RL). Le scelte circa dimensione e composizione delle riserve di liquidità, costituite da base monetaria, depositi e altri strumenti di mercato monetario, sono legate alla necessità, per l’intermediario, di mantenere la capacità di far fronte a tutti gli impegni di pagamento in via immediata e a costi prossimi a zero. Poiché l’oscillazione dei tassi di mercato si riflette sugli interessi attivi percepiti, le riserve libere sono esposte al rischio di interesse; • Attività fruttifere di interessi (AFI). La principale posta dell’attivo è costituita dalle Attività finanziarie Fruttifere di Interessi a fronte delle quali l’intermediario percepisce una remunerazione sotto forma di interessi attivi o altri ricavi assimilati, contabilizzati nel conto economico. Tale macro-voce comprende depositi presso altre banche, portafoglio prestiti e portafoglio titoli. I rischi di mercato si ripercuotono sulle attività i cui valori esposti in bilancio subiscono variazioni per effetto delle oscillazioni dei prezzi, dei tassi d’interesse e dei tassi di cambio; • Attività Non Fruttifere (ANF). Tale macro voce è costituita da due voci che hanno finalità di detenzione, caratteristiche ed esposizione al rischio differenti tra loro: ➢ le Immobilizzazioni Tecniche (IT): rappresentano gli investimenti in capitale fisso di natura materiale e immateriale ed hanno un’incidenza limitata sul totale di bilancio. I rischi emergenti da questo aggregato sono soprattutto di natura operativa, dipendenti dagli effetti dell’obsolescenza indotti dai fenomeni di innovazione sia dei processi sia dei prodotti distribuiti; ➢ le Immobilizzazioni Finanziarie (IF): si tratta delle Partecipazioni detenute in società controllate o collegate non destinate alla negoziazione la cui dimensione è essenzialmente legata al modello organizzativo prescelto e al grado di diversificazione dell’attività. • Passività onerose (PO). Sono costituite dai debiti finanziari verso molteplici controparti che assumono differenti forme tecniche e comportano costi in termini di interessi passivi. Le categorie di rischi emergenti da questo aggregato dello stato patrimoniale sono: rischio di mercato nella forma del rischio di tasso di interesse e rischio di liquidità legato ai termini contrattuali di rimborso delle passività; • Passività non Onerose di interessi (PNO). Sono costituite prevalentemente dal Trattamento di fine rapporto del personale e dai Fondi per rischi e oneri e non sono considerate particolarmente rilevanti ai fini della rilevazione e gestione dei rischi; • Mezzi Propri (MP). Rappresentano l’apporto di risorse da parte degli azionisti/proprietari e, quindi, il presidio per la stabilità e la continuità dell’attività svolta poiché dalla dimensione del patrimonio dipende la capacità di assorbire le perdite derivanti dai rischi che non è stato possibile prevedere e gestire anticipatamente; • Impieghi e Rischi. Nello svolgimento dell’attività di intermediazione finanziaria assumono un rilievo particolare anche gli Impieghi e i Rischi che non trovano rappresentazione tra le voci contabili dello Stato Patrimoniale e del Conto Economico. Il Conto Economico evidenzia i margini intermedi: • il margine di interesse (MINTS), differenza tra gli interessi attivi e gli interessi passivi, rappresenta il risultato tipico dell’attività di intermediazione tradizionale intesa come investimento in prestiti ed altre attività finanziarie e raccolta del risparmio; • il margine commissionale (o Ricavi da servizi, RS) misura il contributo reddituale fornito dalle commissioni attive percepite per i servizi offerti alla clientela al netto delle commissioni passive per i servizi resi da terzi. Livello e variabilità del margine commissionale dipendono dall’effettiva domanda, 16 da parte della clientela, di servizi ma anche dal modello di offerta e dalle politiche tariffarie adottate dal singolo intermediario: si tratta, quindi, di un rischio di business; • i profitti/perdite da gestione Titoli (PPGT) rappresentano il contributo reddituale dell’attività di trading e di gestione del portafoglio titoli di proprietà. Livello e variabilità di questa voce dipendono dall’effetto dei rischi di mercato; • il margine di intermediazione (MINTM), pari alla somma algebrica dei precedenti margini, misura il risultato complessivo dell’attività esercitata dall’intermediario; • i costi operativi (CO) esprimono l’entità degli oneri sopportati per la realizzazione della produzione. Livello e variabilità di questa voce dipendono quasi esclusivamente dai rischi di tipo operativo; • l’aggregato REACC rappresenta la somma algebrica delle rettifiche su immobilizzazioni finanziarie, accantonamenti per rischi ed oneri e accantonamenti per fondi rischi su crediti; • il margine successivo è Utile/perdita della gestione corrente (UGC) al lordo delle imposte e da esso si giunge alla determinazione dell’utile netto. La classificazione dei rischi finanziari L’ampiezza della crisi del 2007 e il suo rapido propagarsi hanno reso evidente la dimensione dei rischi non più limitati a singoli intermediari ma estesi all’intero sistema finanziario. Il rischio sistemico è legato alla possibilità che le difficoltà di uno o pochi intermediari provochino insolvenze o fallimenti a catena di altri soggetti. Sebbene il tema sia molto dibattuto, non esiste una definizione univoca, esaustiva e condivisa di rischio sistemico. Esso è stato alternativamente definito come: • il rischio che il fallimento di un partecipante nell’adempiere ai suoi obblighi contrattuali possa a sua volta causare il fallimento di altri partecipanti; • un rischio di disordine del sistema finanziario che può avere gravi conseguenze negative per il sistema finanziario e l’economia reale; • il rischio che l’insolvenza o il fallimento di uno o più intermediari determini generalizzati fenomeni di ritiro dei depositi, provocando insolvenze o fallimenti a catena di altri intermediari. Le fonti principali dei rischi finanziari di natura micro possono essere esterne o interne. Le fonti esterne sono riconducibili al tipo e alla natura dei rapporti continui e sistematici che l’intermediario instaura con le diverse categorie di controparti, datori di fondi, mercati mobiliari. Le fonti interne, invece, sono prevalentemente riconducibili alle conseguenze delle scelte strategiche e gestionali adottate e delle modalità di svolgimento dell’attività. Tra i rischi interni troviamo: • rischio di provvista (o funding risk): è il rischio che l’intermediario non è in grado di raccogliere le risorse finanziarie necessarie sia per la raccolta effettiva sia per la raccolta potenziale. Il peggioramento della capacità di raccolta può essere legato a una situazione di crisi diffusa sui mercati finanziari o a fattori contingenti (esempio: dubbi sull’affidabilità), elementi che possono innescare, molto velocemente, reazioni negative nelle controparti con effetti immediati sulla solvibilità degli intermediari. Le banche sono le più esposte al rischio di provvista poiché il loro passivo è caratterizzato da una rilevante quota di depositi a vista. Il rischio di provvista riguarda anche il comportamento degli azionisti i quali, percependo un significativo aumento del rischio, potrebbero non essere più disposti a sottoscrivere nuovi aumenti di capitale; • rischi di controparte: attengono a tutte le operazioni attive che un intermediario pone in essere con la propria clientela e derivano dall’eventualità che alcuni soggetti possano risultare, entro un determinato intervallo temporale, inadempienti, cioè non più in grado di assolvere agli impegni contrattualmente assunti. Essi vengono usualmente distinti in: ➢ rischi di regolamento, per quanto riguarda il portafoglio titoli. Esso rappresenta il rischio di insolvenza della controparte contrattuale obbligata a consegnare una certa somma di denaro a 17 fronte di determinati strumenti finanziari o viceversa. Nel caso di compravendita a pronti, il danno dell’inadempienza è riconducibile alla necessità di trovare sul mercato, in brevissimo tempo, una controparte in grado di eseguire la transazione. Nel caso di compravendita a termine, invece, la rilevanza del danno è maggiore, in quanto il soggetto adempiente perde la posizione, trovandosi esposto al costo derivante dalla sostituzione della controparte insolvente. ➢ rischio di credito: è legato all’attività di finanziamento svolta attraverso la concessione di fidi o la sottoscrizione di titoli. Esso ha diverse sfaccettature: ❖ rischio di insolvenza della controparte, dato dal prodotto tra l’esposizione effettiva e il tasso di perdita; ❖ rischio di migrazione, ossia il rischio di cambiare il merito creditizio del debitore; ❖ rischio di spread, connesso con il premio per il rischio richiesto dal mercato; ❖ rischio di recupero, connesso ai tempi e/o al valore di realizzo delle garanzie in caso di insolvenza; ❖ rischio di pre-regolamento, connesso agli scambi derivati; ❖ rischio Paese, connesso a eventi di natura politica o legislativa. La quantificazione del rischio di credito richiede la misurazione della perdita che la banca potrebbe subire in caso di fallimento del debitore. A tal fine si distinguono due concetti: ❖ perdita attesa (Expected Loss), ossia il valore medio della distribuzione delle possibili perdite associate a ogni operazione di finanziamento; ❖ perdita inattesa (Unexpected Loss), ossia la probabilità che ex post la perdita conseguita sia superiore a quella stimata ex ante. Entrambe le componenti di perdita derivano da: ❖ probability of default, ossia la probabilità che effettivamente il soggetto fallisca; ❖ l’ammontare dell’esposizione al momento dell’insolvenza; ❖ il tasso di perdita, che rappresenta il complemento a 1 dell’ammontare dell’esposizione effettivamente recuperabile (sostanzialmente, 1 meno quello che recupero). Le componenti del rischio di credito sono: ❖ PD: la probabilità di default, cioè la probabilità che l’impresa sia inadempiente; ❖ M: la scadenza economica residua dell’esposizione; ❖ EAD: l’ammontare della linea creditizia accordata, destinato a essere utilizzato in caso di inadempienza; ❖ LGD: parte dell’esposizione che andrà perduta all’eventuale verificarsi dell’inadempienza. Dunque, andiamo a quantificare il rischio di credito come il concatenarsi di queste eventualità: esso è dato, infatti, dal prodotto di PD*EAD*LGD. • rischi di mercato: derivano dall’impatto dei mutamenti delle condizioni di mercato sul valore delle attività e delle passività dell’intermediario. Esso contiene tre tipi di rischio: ➢ rischio di interesse, legato alla volatilità dei tassi di mercato, influenza sia l’attività di intermediazione creditizia sia il prezzo degli strumenti finanziari detenuti; ➢ rischio di cambio, che esprime le conseguenze prodotte dalla variazione dei tassi di cambio sulle posizioni in valuta detenute; ➢ rischio di prezzo, che trae origine dall’attività di negoziazione in proprio di valori mobiliari. Tutto ciò contribuisce alla volatilità del mercato stesso. Le attività sensibili alle condizioni di mercato sono i prestiti, perché il prestito incorpora il tasso di interesse, i titoli e le valute. Le passività sensibili, invece, sono i depositi e i titoli. 20 ➢ il diritto di voto (pieno, limitato, subordinato, assente); ➢ i diritti agli utili e alla quota di liquidazione: sono, quindi, dei diritti patrimoniali contenuti in diversi tipi di azioni (ordinarie, postergate, correlate); ➢ regime e limiti di circolazione: si distinguono azioni nominative, azioni con trasferimento subordinato, azioni al portatore e azioni non fisicamente emesse; ➢ valore nominale che può essere definito oppure assente. 2. obbligazioni. I criteri di classificazione dei titoli obbligazionari sono: ➢ remunerazione del capitale che viene corrisposta sotto forma di interesse (interessi predeterminati, interessi correlati agli utili aziendali, interessi legati all’orientamento di altri prodotti finanziari); ➢ rimborso che è parzialmente o totalmente legato all’andamento economico della società. Riguardo alle modalità di rimborso del capitale, le obbligazioni possono essere: ordinarie (se è previsto che il capitale viene rimborsato a scadenza dell’obbligazione), postergate (cioè rimborsate dopo rispetto agli altri strumenti finanziari), correlate e strutturate; ➢ presenza di opzioni che consente di individuare obbligazioni senza opzioni, cum warrant e convertibili in azioni; ➢ origine e dinamica dei flussi. In base a questo criterio, può essere un flusso ordinario o un attivo segregato cioè circoscritto. 3. altri strumenti finanziari “speciali”. Considerando congiuntamente gli elementi di natura economica e giuridica, le caratteristiche essenziali degli strumenti finanziari sono: ➢ per gli strumenti di debito (obbligazioni): ❖ la connotazione giuridico-contrattuale di essere emessi a fronte dell’utilizzo temporaneo delle somme prestate; ❖ l’onerosità collegata a dimensione del prestito, livello del costo unitario, tempo di detenzione e alle condizioni del mercato; ❖ il grado di seniority per effetto del quale sono antergati rispetto agli strumenti di capitale. ➢ per gli strumenti di capitale (azioni): ❖ la connotazione giuridico-contrattuale di essere rappresentativi della proprietà dell’azienda cui si riferiscono e quindi legati alle sue sorti; ❖ la remunerazione periodica (e la non onerosità) non predeterminata né predeterminabile per contratto; ❖ il grado di seniority per effetto del quale sono postergati rispetto agli strumenti di debito; ❖ il diritto di voto. Gli strumenti di debito I titoli di debito (o titoli obbligazionari) sono strumenti finanziari emessi da soggetti in deficit finanziario per soddisfare il proprio fabbisogno di finanziamento e sottoscritti da soggetti in surplus finanziario che finanziano le esigenze di investimento dei soggetti in deficit, aspettandosi in cambio una remunerazione. Essi sono titoli di massa che costituiscono frazioni uguali di un prestito unitario, perfettamente fungibili tra loro ed emessi per reperire risorse finanziarie a medio-lungo termine. Il soggetto in surplus finanziario, acquistando un titolo di debito, diviene creditore dell’emittente per l’importo nominale indicato sul titolo, maggiorato degli interessi che matureranno nel lasso di tempo che intercorre fra il momento di acquisto del titolo e la sua scadenza. A tal proposito, è possibile distinguere: 21 • titoli con cedola (coupon bond): pagano un interesse (la cedola) che comincia a maturare in corrispondenza delle date di godimento e viene corrisposto a date di stacco periodiche; • titoli senza cedola (zero-coupon): non prevedono date di godimento degli interessi prima della scadenza. Nei coupon bond la cedola è calcolata in base a un predefinito tasso cedolare che è applicato al valore nominale dei titoli. Il valore nominale di un titolo di debito è l’importo del capitale che l’emittente si è obbligato a restituire a scadenza; è posto convenzionalmente pari a 100 e funge da valore di riferimento per le quotazioni del titolo. Il prezzo a cui l’investitore acquista il titolo all’atto dell’investimento può coincidere con 100 (e allora si dirà che la quotazione dell’obbligazione è alla pari), può essere superiore a 100 (e allora si dirà che il titolo quota sopra alla pari), oppure può essere inferiore a 100 (e allora l’investimento si dirà realizzato a una quotazione sotto la pari). Il rateo è la parte di interessi maturata dall’ultimo stacco di cedola al giorno di acquisto, ma non ancora incassata perché sarò corrisposta alla prossima data di godimento. A partire dal rateo è possibile definire: • il corso secco: coincide, in ogni istante temporale, con il valore capitale del titolo e ignora l’esistenza di un rateo; • il corso tel quel: è ottenuto dalla somma del corso setto più il rateo e definisce l’esborso finanziario effettivo per chi acquista l’obbligazione. È possibile distinguere gli strumenti di debito anche in base ai soggetti emittenti: • obbligazioni societarie (corporate bond): sono gli strumenti emessi dalle imprese o dalle banche; • titoli di Stato o governativi (government bond): sono gli strumenti emessi dallo Stato o dagli Enti pubblici. Misure di rischio e rendimento dei titoli di debito: TRES La valutazione di un investimento è necessaria per determinare il prezzo di equilibrio che risulti equo rispetto ai flussi di cassa che il titolo genererà in futuro. Pertanto, con specifico riferimento ai titolo a reddito fisso, è possibile calcolare, mediante il processo di attualizzazione, il TRES (Tasso di Rendimento Effettivo a Scadenza), cioè il tasso di rendimento che eguaglia il prezzo pagato per il titolo. 𝑃 = ∑ 𝐹𝑡 (1 − 𝑖)𝑡 𝑡 dove: P= prezzo; i= tasso di rendimento effettivo a scadenza (TRES); Ft= flussi di cassa generati dal titolo al tempo t. L’individuazione del TRES avviene attraverso una procedura cosiddetta “iterativa”, che procede cioè per tentativi successivi fino a individuare il valore di i che soddisfa l’uguaglianza. Le variabili che il TRES prende in considerazione sono: • il prezzo di acquisto; • il valore nominale di rimborso; • l’entità e la periodicità della cedola corrisposta, nonché la possibilità di reinvestimento della stessa; • la vita residua del titolo e la collocazione temporale di ogni suo flusso. Il TRES non è mai uguale al tasso cedolare, a meno che il titolo quoti alla pari. La duration La duration rappresenta la vita finanziaria del titolo ed è data dalla media ponderata delle scadenze, ciascuna delle quali assume un peso pari al valore attuale del flusso a quella data rispetto al prezzo. La formula per il calcolo della duration è: 22 𝑑𝑢𝑟𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 = ∑ 𝑠𝑐𝑎𝑑𝑒𝑛𝑧𝑎𝑡 𝑇 𝑡=1 × 𝑓𝑙𝑢𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑠𝑠𝑎𝑡 1 + 𝑇𝑅𝐸𝑆𝑡 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑡𝑒𝑙 𝑞𝑢𝑒𝑙 Gli elementi che influenzano la duration sono: • la durata (al suo ammontare, la volatilità del prezzo aumenta); • l’entità della cedola (minore è la cedola, maggiore è la volatilità del titolo); • la periodicità della cedola (minore è la periodicità, maggiore è la volatilità del titolo); • il tasso di rendimento (minore è il tasso, maggiore è la volatilità del prezzo). Titoli di Stato L’emissione da parte dello Stato di obbligazioni risponde all’esigenza di finanziare il debito pubblico e avviene mediante collocamento tramite aste alle quali possono partecipare solo intermediari autorizzati. Per quanto concerne la vendita sui mercati secondari, questi titoli sono negoziati sul MOT (Mercato Obbligazionario Telematico) e, per quantitativi all’ingrosso, sul MTS (Mercato Telematico dei titoli di Stato). Le tipologie di titoli emessi a oggi dallo Stato italiano sono: • BOT (Buoni Ordinari del Tesoro): sono titoli privi di cedola, con durate all’incirca di 3, 6 e 12 mesi. Sono emessi sotto la pari e il collocamento si effettua due volte al mese mediante il meccanismo dell’asta competitiva. Gli investitori possono acquistare i BOT, per un taglio minimo di 1000 euro; • CTZ (Certificati del Tesoro Zero-coupon): sono titoli privi di cedola con durata pari a 24 mesi. Il meccanismo d’asta per la loro emissione prevede la definizione del cosiddetto “prezzo marginale” che tutti i partecipanti all’asta, se aggiudicatari, saranno chiamati a pagare per i quantitativi assegnati. L’investitore che acquista un CTZ in media ha una bassa propensione al rischio, ma un orizzonte temporale di investimento di più ampio respiro rispetto all’acquirente di un BOT; • CCT (Certificati di Credito del Tesoro): sono titoli obbligazionari a medio-lungo termine (durata pari a 7 anni), con cedole variabili semestrali. Il meccanismo di indicizzazione prevede che il tasso cedolare sia determinato considerando il rendimento lordo semplice annuo registrato dai BOT a 6 mesi nell’ultima asta che precede l’inizio della maturazione della cedola del CCT; • CCTeu (Certificati di Credito del Tesoro indicizzati all’EUribor): sono titoli a tasso variabile ed hanno una durata di 5-7 anni. Gli interessi vengono corrisposti con cedole posticipate semestrali indicizzate al tasso Euribor 6 mesi. Sulla remunerazione incide anche lo scarto d’emissione, dato dalla differenza tra il valore nominale a rimborso ed il prezzo pagato all’emissione; • BTP (Buoni del Tesoro Poliennali): sono titoli di debito a lungo termine, con durate di 3, 5, 10, 15 e 30 anni che pagano cedole semestrali a un tasso cedolare fisso. Sono emessi mediante asta marginale quindicinale. Essi sono titoli che rispondono alle esigenze di investimento di risparmiatori con bassa propensione al rischio e un ampio orizzonte temporale di riferimento; • BTP Green (Buoni del Tesoro Poliennali Green): è un titolo obbligazionario di medio-lungo termine, che garantisce un reddito fisso, pagando una cedola semestrale e prevedendo il rimborso del valore nominale dello strumento alla scadenza. Il rimborso avviene alla pari e in una unica soluzione alla scadenza. L’emissione di questi titoli è diretta al sostegno delle spese pubbliche finalizzate alla transizione ecologica del Paese; • BTP€i (Buoni del Tesoro Poliennali indicizzati all’inflazione europea): è un titolo di Stato con scadenze di 5, 10, 15 e 30 anni, con cedole variabili posticipate. Esso fornisce all’investitore una protezione contro l’aumento del livello dei prezzi, essendo sia il capitale rimborsato a scadenza sia le cedole pagate semestralmente rivalutati sulla base dell’inflazione dell’area euro; • BTP Italia (Buoni del Tesoro Poliennali indicizzati all’inflazione Italiana): presenta scadenze su 3, 5, 7, 10, 15 e 30 anni. Si caratterizza per il fatto che sia le cedole, pagate semestralmente, sia il capitale, la cui rivalutazione viene corrisposta semestralmente, sono rivalutati in base all’inflazione italiana, misurata 25 Gli strumenti di partecipazione I titoli azionari (o titoli di capitale) sono strumenti finanziari che si chiamano strumenti di partecipazione perché si partecipa al capitale sociale; quindi, attribuiscono, a chi li possiede, il diritto alla condivisione degli utili e dei rischi di un’impresa. Lo strumento azione rappresenta un’eguale frazione del capitale sociale e tutte le azioni hanno un uguale valore nominale. È possibile distinguere tre valori delle azioni: • il valore nominale dell’azione è dato dalla porzione di capitale sociale corrispondente alla singola azione; • il valore contabile è dato dal rapporto fra il numero di azioni in circolazione e il patrimonio netto della società; • il valore di mercato (o prezzo) dell’azione è dato dall’incrocio tra domanda e offerta del titolo in quel determinato momento. Le azioni normalmente sono nominative e si distinguono in: • azioni di risparmio: possono essere emesse solo dalle società quotate in mercati regolamentati italiani o di altri Paesi dell’UE; presentano privilegi di natura patrimoniale e scontano un’assenza totale del diritto di voto; • azioni privilegiate: consentono un privilegio nella ripartizione degli utili e nella restituzione del capitale in caso di liquidazione della società. Misure di rischio e rendimento dei titoli di credito Il rendimento di un titolo azionario è rappresentato dalla corresponsione di un dividendo periodico e dall’eventuale capital gain, generato dalla differenza fra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto del titolo. Il tasso di rendimento annuo è dato da: 𝑖 = 〖[𝐷𝑖𝑣〗1 + (𝑃1 − 𝑃0)] 𝑃0 dove: Div1: dividendi all’anno 1; P0: prezzo di acquisto del titolo azionario all’inizio dell’anno; P1: prezzo di vendita alla fine dell’anno 1. Se si detiene il titolo per più di 1 anno e ci sono diversi dividendi in quest’anno, si considera il TRES: 𝑃0 = ∑ 𝐹𝐶𝑡 (1 + 𝑖)𝑡 𝑛 𝑡 La seguente formula può essere suddivisa in due parti, per evidenziare la componente di dividendo e quella di capitale: 𝑃0 = ∑ 𝐷𝑖𝑣𝑡 (1 + 𝑖)𝑡 𝑛−1 𝑡=1 + 𝑃𝑛 (1 + 𝑖)𝑛 Esistono diverse tecniche utilizzate per prevedere l’andamento futuro dei prezzi delle azioni; fra queste: • alcune si basano sull’analisi dei cosiddetti fondamentali dell’azienda (analisi fondamentale). Nell’ambito dell’analisi fondamentale, il presupposto è che la salute dell’azienda e la sua capacità di produrre reddito in futuro dipendano dai suoi fondamentali (il suo grado di indebitamento, il tasso di crescita, la solidità patrimoniale, la capacità di produrre flussi di cassa futuri). In questo senso, si persegue la teoria in virtù della quale il prezzo di un’azione riflette i flussi di cassa attesi. L’attuazione dei flussi di cassa attesi determina il cosiddetto valore intrinseco dell’azione: ➢ se il prezzo dell’azione sul mercato supera il suo valore intrinseco, significa che l’azione è sopravvalutata e quindi il suo valore è destinato a scendere; 26 ➢ in caso contrario, l’azione è sottovalutata rispetto al suo valore intrinseco e pertanto si formeranno aspettative di apprezzamento del suo valore di mercato. In alternativa, è possibile confrontare il valore dell’azione della singola azienda con quelle delle imprese simili, mediante il calcolo dei cosiddetti multipli, come: ➢ price to earning ratio (P/E): il prezzo dell’azione è rapportato all’utile unitario; ➢ price to book value ratio (P/BV): rapporta il prezzo dell’azione al suo valore contabile; ➢ price to sale ratio (P/S): il prezzo dell’azione è rapportato ai ricavi delle vendite. • altre studiano l’andamento dei prezzi azionari nel tempo al fine di individuare dei trend ricorrenti (analisi tecnica). Per quanto concerne l’analisi dei rischi, l’aleatorietà riguarda sia i dividendi sia il guadagno o la perdita in conto capitale; tuttavia, mentre per i dividendi il rischio massimo è rappresentato dalla possibilità che essi siano pari a zero, il risultato in conto capitale può essere anche negativo e produrre una perdita pari alla differenza fra il prezzo di acquisto al tempo 0 e il prezzo di vendita al periodo successivo. Da cosa dipende la volatilità dei prezzi?: • rischio specifico (o non sistematico): è eliminabile, nell’ambito di un portafoglio, mediante un’adeguata politica di diversificazione; • rischio sistematico: non è eliminabile attraverso la diversificazione perché interessa allo stesso modo tutti i titoli quotati nello stesso mercato o le imprese operanti nello stesso sistema di mercato e può dipendere da diversi fattori macroeconomici che non è possibile controllare. Limitandoci a valutare la rischiosità di un unico titolo azionario in portafoglio, l’indicatore che sintetizza la variabilità dei rendimenti è la deviazione standard (𝜎). Strumenti assicurativi e del risparmio gestito I contratti assicurativi sono strumenti utilizzati per la gestione dei cosiddetti rischi puri. Gli strumenti assicurativi consentono il trasferimento delle conseguenze economiche negative, derivanti dal verificarsi di un sinistro, a un soggetto esterno (la compagnia di assicurazione), che riceve un premio dall’assicurato, ma si impegna a fornire un indennizzo qualora si verifichi l’evento dannoso. Il concetto che ispira il meccanismo assicurativo è il principio mutualistico basato sulla legge dei grandi numeri. Nel contratto si assicurazione intervengono più soggetti: • compagnia di assicurazione: è il soggetto che si obbliga ad eseguire le prestazioni pattuite; • contraente: colui che stipula in nome proprio o in nome altrui; • assicurato: colui il cui interesse è protetto dall’assicurazione; • beneficiario: il soggetto che beneficia della prestazione assicurativa. L’assicurazione si distingue in: • assicurazione vita: risponde all’esigenza di coprire le conseguenze economiche derivanti da eventi legati alla vita umana, ovvero i rischi demografici. La classificazione dei prodotti vita è contenuta nel Codice delle Assicurazioni Private. Sulla base di tale disciplina è possibile distinguere i seguenti rami: ➢ Ramo I – assicurazioni sulla durata della vita umana; ➢ Ramo II – assicurazioni di nuzialità e di natalità; ➢ Ramo III – assicurazioni si cui ai Rami I e II connesse a fondi di investimento o altri valori di riferimento; ➢ Ramo IV – assicurazioni malattia; ➢ Ramo V – operazioni di capitalizzazione; ➢ Ramo VI – operazioni di gestione di fondi pensione. • assicurazione danni: ha avuto origine nei Paesi anglosassoni. La principale funzione è quella di trasformare i rischi puri in un costo certo, rappresentato dal premio corrisposto alla compagnia. È possibile distinguere due Rami: 27 ➢ Rami auto, che comprendono il Ramo della Responsabilità Civile Auto, per i danni causati a terzi con il proprio autoveicolo, e il Ramo dei Corpi di Veicoli Terrestri, che comprende le coperture per i danni a veicoli terrestri causati da incendio, furto, grandine, ecc.; ➢ Rami non auto, che comprendono una vasta gamma di prodotti (Rami Corpi di veicoli ferroviari, aerei e marittimi, Rami malattie e infortuni, Ramo credito, Ramo cauzioni, ecc.). Gli strumenti derivati Gli strumenti derivati sono degli strumenti finanziari definibili come contratti a termine, il cui valore deriva dall’andamento del prezzo di una o più attività sottostanti. L’attività sottostante può avere sia una natura reale, e in tal caso qualificare il derivato come commodity derivative, sia una natura finanziaria, qualificando il derivato come financial derivative. Il Testo Unico della Finanza propone una divisione in macro categorie degli strumenti derivati: • contratti a termine; • contratti future; • contratti di opzione; • contratti swap. Tutti gli strumenti derivati possono essere negoziati sia su mercati regolamentati sia fuori Borsa. In base alla natura dei vincoli contrattuali che coinvolgono le parti in causa, gli strumenti derivati vengono classificati in simmetrici e asimmetrici. Inoltre, questi strumenti vengono utilizzati nella gestione del rischio di un qualsiasi tipo di impresa che necessita di gestire un determinato rischio. Vengono utilizzati moltissimo dalle istituzioni finanziarie, ma anche dalle grandi imprese, per la gestione e la copertura dei rischi finanziari e puri (come i rischi catastrofali o meteorologici). I derivati utilizzano il meccanismo della leva (cioè, investo poco e posso ottenere un grandissimo guadagno o una grandissima perdita). Gli operatori nei mercati derivati sono: • hedger: ricorrono ai derivati per ridurre o eliminare i rischi che si trovano a dover fronteggiare; • speculatori: scommettono sui futuri movimenti del prezzo di un’attività sottostante al derivato; • arbitraggisti: cercano di trarre vantaggio dalle differenze nei prezzi in due diversi mercati. Ci sono diversi strumenti derivati: 1. il contratto forward, ossia un contratto a termine in cui le due controparti si accordano per scambiarsi una certa quantità di un bene a una data scadenza e a un prezzo stabilito a pronti (esempio: io e Bianca, adesso (quindi al tempo 0), stabiliamo che tra tre mesi ci scambieremo l’azione del titolo Fiat ad un certo prezzo). Chi acquista a scadenza è detto in posizione lunga, mentre chi vende si dice in posizione corta. Il regolamento può avvenire con la consegna materiale del bene sottostante o con la consegna della differenza fra prezzo di mercato a termine del bene e prezzo contrattuale. Il contratto forward è un contratto simmetrico, in cui le parti transano over the counter (OTC), cioè fuori dal mercato regolamentato. Un tipo di contratto forward molto diffuso e utilizzato è il Forward Rate Agreement (FRA), in cui le parti, ad una data futura prestabilita, si scambieranno dei flussi (quindi, denaro) calcolati sui tassi d’interesse. Gli elementi tipici del FRA sono: • data di stipula del contratto; • tasso contrattuale (tasso fisso, tasso FRA) che scaturisce dal calcolo che pone in relazione il tasso di interesse riferito al periodo che va dalla data di stipula del contratto alla data di scadenza e il tasso di interesse che va dalla data di rilevazione sul mercato del tasso variabile alla data di scadenza; • capitale nozionale, che non costituisce oggetto di scambio ma rappresenta un capitale teorico utile per la determinazione dei flussi di interesse da scambiarsi in via differenziale; 30 ➢ depositi semplici ➢ depositi a risparmio ➢ depositi in conto corrente ➢ depositi liberi ➢ depositi vincolati • secondo la durata del contratto, i depositi possono essere: ➢ depositi a vista (cioè il rimborso del deposito è a vista. Questo significa che il cliente va alla banca e chiede l’immediato, senza preavviso, rimborso del deposito) ➢ depositi con preavviso ➢ depositi a scadenza fissa • secondo la tipologia del contratto, i depositi possono essere: ➢ depositi a risparmio (libretti di risparmio): sono nominativi e possono essere liberi o vincolati ➢ certificati di deposito: sono dei titoli di credito trasferibili e si distinguono in base alla durata: ❖ quelli compresi fra i 3 e i 18 mesi possono essere emessi liberamente dalla banca ❖ quelli compresi fra i 18 e i 60 mesi trovano una limitazione nel volume quantitativo di prestito erogato dalla banca ➢ conto corrente: è un contratto che prevede il deposito di somme di denaro; tuttavia, con questo contratto, la banca si impegna a svolgere tutte le operazioni che le sono affidate dai clienti che consistono in movimenti di prelevamenti o versamenti. La differenza tra movimenti in dare e movimenti in avere è data dal saldo che può essere contabile (ossia, quello che registra il movimento ma non è disponibile in quanto la banca non ha ancora materialmente incassato la somma), liquido (ossia, quello che ad oggi effettivamente è presente sul conto) o disponibile. Tutti i movimenti vengono segnati nell’estratto conto, ossia quel documento di sintesi periodico che è produttivo di informazioni per l’intermediario. ➢ altre forme di risparmio La banca può effettuare operazioni di pronti contro termine, ossia operazioni con cui si cedono dei valori mobiliari con il patto di riacquistarli a termine. Questa operazione si chiama RIPO. Si realizza una duplice compravendita di segno opposto: c’è una parte spot, dove il regolamento è a pronti (cioè, immediato), e una parte forward, cioè a termine, che consiste nel patto di riacquisto. Gli strumenti di finanziamento del capitale circolante sono: • apertura di credito in conto corrente: è un contratto tipico, cioè disciplinato dal codice civile, con cui la banca si impegna a tenere a disposizione del cliente una data somma di denaro, per un certo periodo o a tempo indeterminato. Quindi, non c’è una prestazione monetaria perché non c’è un’erogazione di credito. L’apertura di credito in conto corrente può essere utilizzata in una o più soluzioni e in forma rotativa. Ovviamente, sulle somme utilizzate, si pagano degli interessi e delle commissioni; • operazioni di smobilizzo dei crediti commerciali: sono degli strumenti che consentono alle imprese di liquidare anticipatamente i crediti, vantati nei confronti della propria clientela. Esempi sono: anticipo su fatture e castelletti salvo buon fine. Anche qui si pagano gli interessi sulle somme utilizzate; • anticipazioni garantite: è un contratto tipico, disciplinato dal codice civile, in cui la banca eroga un finanziamento a breve termine contestualmente alla costituzione, da parte dell’affidato, di un pegno su beni mobili. L’importo del finanziamento concesso risulta pari al valore della garanzia, decurtato di uno scarto prudenziale che dipende anche dalla volatilità del prezzo dei beni in pegno. Strumenti di finanziamento del capitale fisso. In seguito all’entrata in vigore del Testo Unico Bancario, tutte le banche sono abilitate a concedere credito a medio-lunga scadenza, a copertura di fabbisogni di capitale fisso. Gli strumenti di finanziamento del capitale fisso sono: 31 • il mutuo (art. 1813 c.c.), ossia il contratto col quale una parte (mutuante) consegna all’altra (mutuatario) una determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e quantità. Si tratta di una forma di finanziamento dalla struttura piuttosto rigida, caratterizzata dall’erogazione del prestito in un’unica soluzione e dalla sua restituzione secondo un prestabilito piano di rimborso, detto piano di ammortamento. Il metodo più diffuso per la definizione di piano di rimborso è l’ammortamento alla francese, con rate costanti date dalla somma di una quota capitale crescente e una quota interessi decrescente. Oltre al tasso di interesse, il richiedente un mutuo deve sostenere altri oneri, quali le spese di istruttoria, la stipola di polizze assicurative che sono imposte dal creditore per la concessione del finanziamento, la mediazione di terzi intermediari del credito. • il leasing, ossia un contratto atipico con cui un soggetto (detto locatore o concedente) permette a un’altra parte (detta locatario o utilizzatore) di disporre dell’utilizzo di un bene per un periodo di tempo determinato a fronte del pagamento di un canone periodico. Esso si distingue in: ➢ leasing finanziario: il cliente sottoscrive un contratto di leasing finanziario definendolo in base alle sue esigenze di business. I rischi connessi all’utilizzo del bene sono a carico dell’utilizzatore. In questo caso, l’utilizzatore deve pagare al concedente un maxi canone (il primo canone da corrispondere alla stipula del contratto, normalmente superiore all’ammontare del canone periodico), dei canoni periodici di importo fisso e il prezzo di riscatto finale (solitamente inferiore al valore di mercato del bene). La principale caratteristica di questa tipologia di contratto è l’opzione di riscatto del bene alla scadenza. Infatti il cliente al termine del contratto può scegliere se restituire il bene o diventarne il proprietario pagando la differenza tra quanto già versato e il prezzo del bene; ➢ leasing operativo: in questo caso, i rischi derivanti dall’utilizzo del bene sono a carico del concedente. L’utilizzatore può richiedere la sostituzione del bene in qualunque momento. Inoltre, questa tipologia di contratto non prevede l’opzione di riscatto del bene; infatti, l’acquisto alla scadenza del contratto di leasing operativo non è previsto. • il factoring, ossia un contratto con cui un’impresa cede una parte significativa dei propri crediti commerciali a un soggetto specializzato (factor) che finanzia l’impresa anticipando una quota consistente del credito ceduto. Il factoring è un prodotto composito avente: ➢ una componente finanziaria, costituita dall’anticipo prima del pagamento; ➢ una componente gestionale, consistente nello svolgimento delle funzioni contabili, amministrative e finanziarie relative alla gestione del credito acquisito; ➢ una componente di garanzia, qualora venga previsto il trasferimento al factor del rischio di inadempimento del debitore. In questo caso, la cessione è detta pro soluto. Viceversa, in assenza della componente di garanzia, la cessione è detta pro solvendo. • il credito al consumo: nell’ambito dello scambio di risorse finanziarie, le famiglie sono tradizionalmente considerate tra i soggetti economici in surplus che trasferiscono i fondi (cioè, il risparmio) a unità economiche in deficit, stante il vincolo contrattuale del rimborso in un tempo futuro e della remunerazione. Le operazioni di credito al consumo sono in tal senso una novità nello schema classico dello scambio finanziario, perché vedono le famiglie come prenditori di fondi: si tratta, infatti, di operazioni volte a finanziare un livello di consumi al tempo corrente eccedente il reddito corrente e volte quindi ad anticipare una quota dei redditi futuri attesi. La normativa attuale definisce il credito al consumo come la concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta. L’elemento caratterizzante del credito al consumo è la 32 destinazione del finanziamento a favore di una persona fisica per l’acquisto di beni e/o di servizi caratterizzati dalla completa assenza di ogni finalità produttiva. I prodotti finanziari nell’ambito del credito al consumo sono numerosi. Una distinzione è quella tra: ➢ finanziamenti finalizzati: in questo caso, il finanziamento è erogato direttamente al fornitore del bene/servizio che procede a consegnarlo all’acquirente; ➢ prestiti personali (o non finalizzati): in questo caso, il finanziamento è erogato al consumatore senza alcun vincolo di destinazione; l’acquisto del bene/servizio è portato a termine autonomamente dal consumatore in un momento successivo all’erogazione del finanziamento e non vi è alcuna relazione tra il venditore del bene/servizio e la società finanziatrice. I servizi e le attività di intermediazione mobiliare L’intervento delle istituzioni finanziarie nell’intermediazione mobiliare è rigorosamente disciplinato dal TUF e dai suoi Regolamenti attuativi. In particolare, il TUF dispone che gli intermediari possano prestare, previa autorizzazione, un’ampia gamma di servizi a favore della propria clientela, suddivisi in: • servizi di investimento. Il TUF individua un catalogo tassativo per i servizi di investimento, i quali possono avere ad oggetto solo strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, titoli di stato, quote di fondi comuni, derivati): ➢ esecuzione di ordini per conto dei clienti; ➢ ricezione e trasmissione di ordini; ➢ mediazione; ➢ negoziazione per conto proprio; ➢ gestione di sistemi multilaterali di negoziazione; ➢ gestione di sistemi organizzati di negoziazione; ➢ collocamento e underwriting; ➢ gestione individuale di portafogli; ➢ consulenza in materia di investimenti. • servizi di gestione collettiva del risparmio. Servizi di collocamento e underwriting. Quando si desidera offrire sul mercato strumenti finanziari di nuova emissione o già esistenti è necessario: • definire le condizioni di vendita; • decidere se indirizzare la proposta a un pubblico indistinto o interpellare una ristretta cerchia di investitori; • scegliere il periodo durante il quale gli interessati possono trasmettere le richieste di adesione all’offerta. Progettazione dell’operazione. Gran parte delle imprese non offre titoli con regolarità e trova di conseguenza difficoltà a individuare il più appropriato profilo tecnico dello strumento finanziario da proporre, la quantità di titoli da distribuire, il prezzo da richiedere e gli investitori a cui rivolgersi. Gli intermediari, grazie alle competenze finanziarie, possono consigliare opportunamente le imprese in fase di progettazione dell’operazione. Il servizio è remunerato con una commissione. Organizzazione del sindacato di collocamento. Per raccogliere le adesioni degli investitori, emittenti e offerenti si avvalgono di solito della collaborazione di più intermediari finanziari, organizzati in sindacati di collocamento. Tali sindacati vengono coinvolti perché in grado di occuparsi molto più agevolmente della ricerca della controparte grazie a capillari reti di vendita (sportelli bancari, consulenti finanziari). Il lead manager(capofila) riceve il mandato direttamente dall’emittente per comporre il sindacato di collocamento, eventualmente assistito da uno o più intermediari. La richiesta formale di partecipazione al sindacato avviene trasmettendo una lettera di invito. Accettate le reazioni, il capofila concorda eventuali aggiustamenti, per poi formalizzare i rapporti con gli intermediari nel patto consortile. 35 I servizi di pagamento possono essere assimilati a servizi di trasporto in cui l’oggetto da trasferire è costituito dalla moneta. Esistono diversi generi monetari che si utilizzano per regolare gli scambi ed ognuno di questi possiede caratteristiche specifiche: • contante: è costituito dalle banconote e dalla moneta metallica. La moneta legale in Italia è l’Euro. Il denaro contante è utilizzato nelle transazioni peer to peer ed è accessibile a tutti; • moneta bancaria: è costituita dall’insieme delle disponibilità versate in depositi costituiti presso banche e Bancoposta, a vista o a breve scadenza, dei quali il depositante può disporre direttamente; • moneta elettronica: è un valore monetario che rappresenta un credito vantato nei confronti dell’emittente, incorporato in un dispositivo elettronico ed accettato come mezzo di pagamento da imprese diverse dall’emittente. In Italia, la forma di moneta elettronica più diffusa è quella memorizzata a distanza e gestita tramite un conto. Lo strumento attraverso cui viene utilizzata è la carta prepagata, la quale viene utilizzata per acquistare beni o servizi. Le Cripto-attività e le stable coin Le cripto-attività (esempio: bitcoin), dette anche “valute virtuali”, sono state definite dalla Direttiva 2018/843/UE come una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, ma è accettata da persone fisiche o giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente. Esse non costituiscono moneta legale: nessuno è obbligato ad accettarle in pagamento. Le valute virtuali funzionano grazie ad un protocollo elettronico gestito in modo decentrato tramite una tecnologia conosciuta come blockchain. Le stable coin digitali, a differenza del bitcoin, mirano a stabilizzare il loro valore nel tempo attraverso riserve che agiscono da garanzie. Il processo di innovazione e la nuova regolamentazione (PSD2) Successivamente all’introduzione dell’Euro come moneta unica, il sistema dei pagamenti elettronici retail è stato coinvolto nella creazione dell’area unica dei pagamenti in euro chiamata SEPA (Single euro payment area). La cornice normativa della Sepa è stata definita dalla Direttiva sui servizi di pagamento (Payment Services Directive – PSD), attuata in Italia nel 2010. La normativa ha inteso: • promuovere la tutela del consumatore, riducendo i tempi di esecuzione delle operazioni e favorendo una maggiore trasparenza; • stimolare l’utilizzo di strumenti elettronici e innovativi di pagamento; • rafforzare i diritti al rimborso e rendere più trasparente il regime di responsabilità tra fornitori di servizi di pagamento e utenti. Il 13 gennaio 2016 è entrata in vigore nell’Unione Europea la Direttiva Payment Services Directive 2 (PSD2). Al fine di favorire la concorrenza, la direttiva ha introdotto in Europa il modello open banking, basato sulla condivisione di dati bancari tra i diversi operatori del sistema finanziario che possono condividere i dati finanziari del cliente e accedere al suo conto per offrire nuovi servizi. I servizi e gli strumenti di pagamento I servizi di pagamento trasferiscono la disponibilità della moneta da un soggetto all’altro attraverso forme, strumenti e procedure diverse. Gli strumenti di pagamento possono essere classificati in funzione del processo che presiede alla loro produzione: • servizi di pagamento documentali, che prevedono la presenza necessaria di documenti cartacei per il completamento del loro processo produttivo. Essi sono: ➢ assegno bancario: è un titolo di credito che contiene l’ordine incondizionato da parte del traente rivolto alla banca di pagare a vista una somma determinata all’ordine proprio o di un terzo.. 36 L’assegno può circolare attraverso l’istituto della girata. L’utilizzo del servizio presuppone l’apertura di un rapporto di conto corrente e il rilascio della convenzione di assegno. Esistono dei limiti all’emissione degli assegni. Secondo la normativa attualmente in vigore, gli assegni bancari possono essere emessi sprovvisti della clausola “non trasferibile” soltanto per importi inferiori a 1000 euro. L’accettazione dell’assegno in pagamento espone il prenditore a rischi di mancata copertura; ➢ assegno circolare: è un titolo di credito all’ordine emesso da banche autorizzate, pagabile a vista presso tutti gli sportelli della banca emittente. Esso rappresenta una promessa di pagamento fatta dalla banca a favore di un terzo e, pertanto, è sempre nominativo. La richiesta di emissione di un assegno circolare può essere effettuata alla banca a nome proprio o di un terzo da persone fisiche o giuridiche. La richiesta può essere fatta a qualsiasi banca autorizzata a emetterli, contestualmente al versamento della somma in contanti o richiedendone l’addebito sul proprio conto corrente; ➢ vaglia cambiario: è un titolo di credito all’ordine, emesso dalla Banca d’Italia, che contiene la promessa incondizionata di pagare a vista una somma determinata presso qualsiasi sportello dell’istituto emittente. Viene utilizzato in genere dagli Enti pubblici per effettuare operazioni di pagamento. • servizi di pagamento completamente automatizzabili, poiché è possibile completare il loro processo produttivo interamente attraverso l’invio di informazioni su reti telematiche. Essi sono: ➢ bancogiro: consiste in un ordine, che il correntista (ordinante) conferisce alla propria banca, di addebitare l’importo relativo a una determinata disponibilità sul proprio conto corrente e di accreditarlo o farlo accreditare presso un altro conto corrente proprio o di terzi; ➢ bonifico: si differenzia dal bancogiro in quanto non richiede l’esistenza di un rapporto di conto corrente tra l’ordinante e la banca delegata a effettuare l’operazione; ➢ disposizioni di pagamento: sono strumenti con cui il cliente conferisce alla banca un mandato affinché questa, a scadenze stabilite, effettui pagamenti a un determinato beneficiario per importi specificati tramite bancogiro. L’ordine di eseguire i pagamenti viene dato una sola volta in via anticipata, attraverso un’autorizzazione permanente all’addebito diretto del proprio conto corrente. Questi servizi di pagamento vengono utilizzati da famiglie, imprese e pubblica amministrazione e possono essere richiesti ad una banca o a Poste Italiane S.p.A. I canali attraverso i quali i produttori offrono tali servizi sono principalmente gli sportelli bancari, i canali a distanza (telephone e internet banking) e gli ATM. • servizi di incasso, utilizzati prevalentemente dalle imprese per l’incasso dei propri crediti. Possono essere classificati in: ➢ servizi che rilasciano una ricevuta: ❖ RIBA: la ricevuta bancaria è un documento che attesta che il creditore ha ricevuto una somma di denaro versata a mezzo banca, a saldo di una determinata fattura. La ricevuta bancaria elettronica è una procedura d’incasso crediti in cui l’impresa creditrice fornisce alla propria banca gli estremi della ricevuta bancaria attraverso un collegamento; ➢ servizi che necessitano una preventiva autorizzazione da parte del debitore a eseguire il pagamento per suo conto: ❖ Addebiti diretti: gli addebiti diretti sono un servizio che consente al creditore di incassare una somma di denaro sul proprio conto, addebitando il conto del debitore. Quest’ultimo autorizza preventivamente l’addebito sul proprio conto firmando un 37 contratto presso l’impresa fornitrice o, in alcuni casi, presso la propria banca. Per effettuare un addebito diretto, il creditore deve avere il codice IBAN del pagatore, in modo da identificare con certezza il conto dove verranno addebitati i fondi; ➢ servizi che inviano al domicilio del soggetto pagatore l’avviso relativo al pagamento: ❖ MAV incassi mediante avviso: è un servizio di incasso crediti che prevede l’invio di un modulo direttamente al domicilio del debitore che provvederà ad effettuare il pagamento presso uno sportello bancario o presso uno sportello postale; ❖ RAV ruoli mediante avviso: è un servizio d’incasso utilizzato dai concessionari che trattano la riscossione di somme iscritte a ruolo. Il bollettino precompilato viene inviato al domicilio del debitore che provvederà ad effettuare il pagamento presso uno sportello bancario o presso uno sportello postale; ❖ Bollettino bancario: il bollettino di conto corrente bancario è un servizio d’incasso crediti che prevede l’invio da parte dell’impresa creditrice di un bollettino precompilato, con l’importo libero o predefinito, direttamente al domicilio del debitore, che provvederà ad effettuare il pagamento presso un qualsiasi sportello bancario, in contanti o con addebito in conto corrente. I servizi d’incasso vengono utilizzati da imprese e pubblica amministrazione per autorizzare e rendere più efficiente la gestione degli incassi dei crediti nei riguardi della clientela o dei contribuenti. Essi comportano per l’impresa creditrice il sostenimento di costi dovuti alle commissioni d’incasso ed alle eventuali commissioni di richiamo, commissioni di storno, commissioni di esito, giorni valuta rispetto alla data di scadenza. Il debitore sostiene costi in termini di commissioni e giorni valuta. • carte di pagamento, che prevedono l’esistenza di documenti attraverso i quali effettuare acquisti di beni e servizi presso gli esercenti convenzionati. Questo strumento, che temporaneamente sostituisce la moneta, è costituito da una tessera plastificata dotata di una particolare tecnologia che permette di immagazzinare i dati del titolare e/o del conto a cui fa riferimento. Per poter ricevere pagamenti attraverso carte di pagamento, l’esercente deve dotarsi di un particolare terminale chiamato POS. Le carte di pagamento possono essere classificate sulla base del momento in cui avviene l’addebito dell’acquisto effettuato: nelle carte di credito l’addebito è successivo all’acquisto, nelle carte di debito esso è contestuale, mentre nelle carte prepagate è antecedente. Mobile payments Negli anni più recenti sono state introdotte tecnologie che consentono di far ricorso ad un dispositivo mobile (smartphone, smartwatch, tablet, ecc.) per disporre pagamenti digitali in mobilità. I device, dotati di tecnologia NFC, possono utilizzare, attraverso apposite applicazioni, carte di pagamento e fungono da portafogli virtuali. Tra i più diffusi vi sono Apple Pay, Samsung Pay, Google Pay. Il sistema dei pagamenti interbancario Il sistema di compensazione e regolamento dei pagamenti in euro in Italia si compone del sistema Target2 – Banca d’Italia, dedicato principalmente ai pagamenti all’ingrosso, e di una serie di sistemi ancillari domestici e internazionali. I sistemi ancillari domestici sono: il sistema di compensazione dei pagamenti al dettaglio BI COMP, Express II per le posizioni in titoli, l’E-Mid per le operazioni del mercato interbancario e i sistemi di controparte centrale. I sistemi ancillari internazionali, invece, sono Euro 1 per i pagamenti della clientela, il sistema CLS per le operazioni in cambi e STEP2. Target2 – Banca d’Italia è la componente italiana del sistema Target2. Tra il 19 novembre 2007 e il 19 maggio 2008, il sistema TARGET è stato gradualmente sostituito dal sistema TARGET2, che si avvale di una piattaforma 40 • caratteristiche degli scambi con particolare riferimento alla fungibilità dei titoli e al volume globale delle transazioni, nonché al taglio unitario e alla frequenza delle transazioni; • tecnologia di riferimento, che consente l’aumento dei volumi negoziati attraverso la trasmissione dei dati in tempo reale. Fasi di funzionamento dei mercati Gli scambi finanziari si realizzano attraverso alcune fasi comuni: • ammissione alla contrattazione: l’istituzione che regola gli scambi o l’organo di vigilanza preposto provvedono alla verifica delle condizioni per l’ingresso nel mercato regolamentato dell’emittente e degli strumenti da negoziare; • conferimento dell’ordine: il soggetto interessato a realizzare una determinata operazione in strumenti finanziari, conferisce a un intermediario abilitato l’incarico; • esecuzione dell’ordine: l’intermediario al quale è stato conferito l’incarico assume l’impegno all’esecuzione dell’operazione finanziaria, nei tempi e alle condizioni richiesti dal cliente. In questa fase, l’intermediario provvede a individuare la controparte dell’operazione e a definire le clausole contrattuali sulla base delle quali regolare la stessa; • liquidazione: questa fase ha l’obiettivo di definire gli obblighi delle controparti a seguito delle operazioni concluse; • regolamento: può avvenire secondo due modalità: rolling settlement e account settlement. Secondo la prima modalità, tutte le operazioni realizzate in una stessa giornata saranno liquidate e, quindi, regolate entro un numero di giorni prestabilito; nel secondo caso, tutte le transazioni riferite a un certo orizzonte temporale saranno liquidate e, infine, regolate in una sola giornata. Il mercato monetario Il mercato monetario è l’insieme delle negoziazioni aventi ad oggetto prestiti monetari con durata inferiore ai 12 mesi, o ai 18 mesi nei casi in cui la distinzione tra breve e medio termine serva per distinguere diversi regimi fiscali. Nel mercato monetario sono presenti diversi operatori: • Ministero dell’Economia e delle Finanze: emette titoli di debito governativi a breve termine per finanziare il proprio fabbisogno di cassa; • Banca Centrale Europea: acquista e vende titoli di Stato o altri titoli di elevato standing per effettuare operazioni temporanee o definitive, in contropartita con le banche, al fine di regolare la liquidità del sistema e l’offerta di moneta; • Banche: operano nel mercato interbancario dei depositi in contropartita con altre banche; operano in contropartita della BCE; negoziano titoli del debito pubblico per conto proprio e per conto terzi; emettono propri strumenti di finanziamento e effettuano operazioni di investimento; • Fondi comuni di investimento e Gestioni patrimoniali: consentono l’accesso al mercato monetario anche ai piccoli risparmiatori, in quanto sono in grado di ridurre il taglio unitario dell’investimento richiesto, grazie alla gestione collettiva dei risparmi di una pluralità di investitori retail; • Grandi imprese: emettono e negoziano strumenti di mercato monetario per gestire la propria posizione di liquidità e fabbisogni di capitale circolante. Il mercato dei titoli di Stato e delle obbligazioni corporate Il mercato obbligazionario ha per oggetto il collocamento e la negoziazione di titoli di debito emessi da governi di stati sovrani, agenzie e autorità locali, imprese, intermediari finanziari. I titoli emessi da emittenti sovrani sono definiti titoli di Stato, mentre i titoli emessi da emittenti privati sono chiamati Corporate Bond. I mercati possono essere distinti a seconda che si riferiscano alla fase di collocamento di titoli di nuova emissione (mercato primario) o alla fase di successiva negoziazione degli stessi strumenti (mercato secondario). 41 Mercato primario dei titoli di Stato. In Italia, i titoli di Stato possono essere collocati mediante asta pubblica, consorzio di banche o piattaforme di negoziazione elettroniche. Per le emissioni sul mercato interno in Italia si privilegia il metodo dell’asta pubblica. Per il Btp Italia si utilizza uno specifico meccanismo di emissione basato sulla piattaforma elettronica MOT (mercato obbligazionario regolamentato dedicato alle negoziazioni al dettaglio). Riguardo alle aste di collocamento dei titoli di Stato sono gestite dalla Banca d’Italia in presenza di un funzionario del Ministero dell’Economia in veste di garante della regolarità dell’asta. L’asta si svolge per via telematica e vi possono partecipare solo intermediari finanziari autorizzati. Esistono due differenti modalità di emissione mediante asta: • asta competitiva: utilizzata per il collocamento dei BOT. Nell’asta competitiva gli operatori inseriscono le offerte di acquisto in termini di rendimento, anziché di prezzo. Ogni operatore può presentare al massimo cinque richieste di importo minimo pari a 1.5 milioni di euro; • asta marginale: impiegata per i titoli a medio e lungo termine (CTZ, BTP, CCTeu, BTP€i). Nell’asta marginale il prezzo pagato è il medesimo per tutti i partecipanti e viene definito prezzo marginale. Ogni operatore può presentare al massimo cinque richieste e l’importo minimo delle offerte è pari a 500.000 euro. Mercato primario dei titoli delle imprese I processi di collocamento dei titoli obbligazionari emessi da soggetti privati possono essere ricondotti a tre tipologie: • collocamento a fermo, in cui l’emittente comunica tutte le caratteristiche del titolo obbligazionario, compreso quantità e prezzo. Il processo prevede la raccolta delle domande degli investitori in un lasso di tempo piuttosto ridotto e verranno soddisfatte fino all’esaurimento della quantità offerta; • collocamento a rubinetto, in cui l’emittente comunica il prezzo e il rendimento dei titoli di nuova emissione ma non la quantità. Le richieste degli investitori possono pervenire in un lasso di tempo solitamente ampio e l’emittente si rende disponibile a soddisfare qualsiasi livello di domanda; • collocamento privato, in cui l’emittente contatta direttamente gli investitori. Il collocamento avviene tramite la creazione di un pool di intermediari, definito consorzio di collocamento, che ha l’obiettivo di assicurare la massima diffusione dei titoli emessi. Sulla base delle fasi del processo e delle garanzie offerte dagli intermediari, i consorzi si distinguono in tre tipi: ➢ selling group: in questo caso il consorzio fornisce un supporto alla diffusione dei titoli offrendo ai propri clienti e potenziali investitori l’opportunità di sottoscrivere le obbligazioni di nuova emissione; ➢ underwriting group: i consorzi dove gli intermediari offrono la garanzia di completa sottoscrizione sono definiti consorzi di garanzia; ➢ purchase group: in questo procedimento, il consorzio non si limita alla garanzia di completo collocamento. Il pool di intermediari acquista preventivamente i titoli dalla società emittente e si impegna a collocarli presso il pubblico in un secondo momento. Mercato secondario dei titoli di Stato Una volta emessi, i titoli obbligazionari possono essere negoziati nei mercati secondari. Le obbligazioni possono essere negoziate sia nei mercati OTC sia nei mercati regolamentati. In Italia il mercato obbligazionario regolamentato è il Mercato Telematico delle Obbligazioni (MOT). Il mercato secondario dei titoli di Stato italiani è il terzo al mondo per dimensione e turnover negoziato. Mercato dei titoli azionari 42 Il mercato azionario può essere distinto in tre fattispecie: • il mercato delle Initial Public Offerings (IPO), dove le società non ancora quotate offrono i titoli azionari al pubblico per avviare la fase di negoziazione nei mercati secondari; • il mercato primario, dove società già quotate offrono titoli azionari di nuova emissione per raccogliere risorse finanziarie; • il mercato secondario, dove sono negoziate le azioni già in circolazione tra il pubblico degli investitori. In Italia, il mercato dei titoli azionari è gestito da Borsa Italiana SPA. I titoli azionari possono essere scambiati su diversi mercati a seconda delle caratteristiche degli strumenti, degli operatori e degli orari di negoziazione. I mercati azionari gestiti da Borsa Italiana SPA sono: • Mercato Telematico Azionario (MTA): mercato regolamentato dedicato alle imprese di maggiore capitalizzazione. L’ammissione a quotazione su MTA è disposta da Borsa Italiana sulla base di precisi requisiti: ➢ la capitalizzazione della società, ovvero il livello minimo di mezzi propri richiesto all’emittente; ➢ il flottante, pari alla quota percentuale delle azioni distribuita tra un numero sufficiente di soci tale da garantire la liquidità necessaria alle transazioni; ➢ la libera trasferibilità dei titoli stessi tra le controparti per effetto delle negoziazioni. Nel MTA è presente un segmento dedicato alla piccole-medie imprese con caratteristiche di eccellenza: il Segmento Titoli ad Alti Requisiti (STAR). Le società quotate nello STAR si impegnano a mantenere: ➢ alta trasparenza ed elevata vocazione comunicativa delle scelte e dei risultati aziendali; ➢ flottante minimo pari al 35% delle azioni; ➢ presenza di uno specialista che operi a sostegno della liquidità del titolo; ➢ corporate governance allineata agli standard internazionali. • AIM Italia: il Mercato Multilateral Trading Facilities (MTF) dedicato alle piccole-medie imprese per la raccolta di capitali per finanziare la loro crescita. AIM Italia consente alle imprese di quotarsi sul mercato attraverso il processo semplificato. Nel mercato AIM è presente anche un segmento Professionale, caratterizzato da una estrema semplicità procedurale, aspetti burocratici minimi e estrema scalabilità. L’offerta in questo caso per le caratteristiche di impresa o degli strumenti non è adatta agli investitori retail. Tale segmento è riservato agli investitori professionali in quanto il segmento è ideato per essere il punto di arrivo di quotazione per specifiche tipologie di imprese. Gli indici di mercato: la serie FTSE Italia In Italia, l’indice di riferimento è il FTSE MIB (Financial Times Stock Exchange Milano Indice di Borsa). Esso cattura la performance delle 40 società quotate alla Borsa di Milano può rappresentative e ne cattura approssimativamente l’80% della capitalizzazione totale. Le società sono scelte sulla base di numerose variabili, tra le quali: la capitalizzazione, il settore di appartenenza, la liquidità nelle negoziazioni e la solidità finanziaria. La revisione dei componenti del paniere avviene su base trimestrale. Ciascun componente dell’indice è ponderato sulla base del flottante. Il FTSE MIB fa parte della famiglia di indici “FTSE Italia Index Series” che comprende anche FTSE Italia Mid Cap (comporto dalle società a media capitalizzazione) e FTSE Italia Small Cap (composto dalle società a minore capitalizzazione del listino). Questi indici, tutti insieme, compongono il paniere aggregato del FTSE Italia All- Share, l’indice che rappresenta il mercato nella sua interezza. Il mercato degli strumenti derivati Il primo mercato in derivati fu il CBOT nel 1848. Ad oggi vengono negoziati sia in mercati regolamentati che in mercati non regolamentati (OTC). In Italia, solo nel 1992, è stato creato un mercato dei derivati: il MIF (Mercato Italiano dei Future sui titoli di Stato). Dal 28 novembre 1994 è stato istituito il mercato IDEM (Italian Derivatives Market). Le negoziazioni sul 45 • pagamenti e trasferimento di valore: è il caso delle criptovalute che vengono utilizzate sul mercato prevalentemente come strumento di investimento alternativo. In questo campo, la blockchain è stata utilizzata anche come strumento per diversificare le fonti di raccolta di capitale di rischio e di terzi; • tokenizzazione degli asset: cioè la rappresentazione di frazioni del valore di asset fisici o digitali attraverso un gettone (token); • automazione dei processi: vi rientrano tutte quelle iniziative volte ad aumentare l’efficienza delle procedure di inserimento, di verifica e di validazione; • notarizzazione: con la quale è possibile verificare l’originalità di un documento digitale e la sua esistenza ad una certa data e ora. La raccolta, la gestione e il trattamento dei dati. Tra le componenti più dirompenti del fenomeno FinTech, un ruolo di prim’ordine ce l’hanno senza dubbio i dati e la capacità di combinare ed elaborare grandi quantità di informazioni. I dati rappresentano la materia prima con cui è possibile descrivere meglio un fenomeno attraverso i molteplici aspetti che lo caratterizzano. Si possono classificare le discipline e le tecniche di trattamento dei dati come segue: • intelligenza artificiale: il campo di studio con cui un computer sviluppa la capacità di eseguire con successo compiti complessi che di solito richiedono l’intelligenza umana; • machine learning: applicazione dell’intelligenza artificiale che fornisce al sistema informatico la capacità di imparare automaticamente dal contesto di applicazione e dall’ambiente di riferimento; • deep learning: lo studio degli algoritmi relativi alle reti neurali artificiali, reti che contengono strati di modelli di intelligenza artificiale; • data science: la disciplina e la funzione che utilizza tecniche scientifiche di analisi per la comprensione dei dati e che attraverso strumenti di advanced data analytics, riesce a fornire un supporto decisivo alle scelte aziendali mediante la costruzione di un quadro informativo completo e dettagliato. Le applicazioni dell’intelligenza artificiale sono molteplici. Nel campo dell’intermediazione finanziaria, quelli a maggior diffusione riguardano le attività di: • elaborazione intelligente dei dati: nella quale rientra l’analisi, la categorizzazione e l’estrazione di informazioni da grandi masse di dati strutturati e non strutturati, al fine di costruire modelli di clusterizzazione di classi di dati omogenei, di comportamento della clientela e di identificazione di anomalie andamentali; • advisory e suggerimento: riguarda sistemi in grado di fornire un suggerimento al cliente rispetto a determinati comportamenti di consumo sulla base delle abitudini passate, delle preferenze espresse mediante decisioni di acquisto e di altre caratteristiche soggettive; • assistenza virtuale e comunicazione intelligente: dove si impiegano sistemi di comunicazione avanzati come, ad esempio, le chatbot, strumenti in grado di interagire con utenti umani attraverso comandi vocali o di testo, da cui scaturiscono specifiche azioni di risposta; • risk management e processi: si utilizzano modelli di intelligenza artificiale per migliorare la capacità di valutazione, misurazione, gestione e copertura dei rischi, o per automatizzare i processi aziendali. Open banking e open finance. L’introduzione della normativa PSD2 traccia una linea di demarcazione ufficiale tra un modello “chiuso” ad un modello “aperto” dei dati di cui le banche dispongono. In particolare, ci si riferisce ai dati relativi ai conti correnti dei clienti che, con la PSD2, devono essere resi disponibili anche a soggetti diversi dalla banca con cui il cliente intrattiene il rapporto finanziario. Questo modello di interazione aperto e regolamentato tra soggetti esterni e interni al settore finanziario viene definito open banking. I dati che vengono messi a disposizione riguardano, ad esempio, l’anagrafica, i saldi dei conti correnti, le movimentazioni, tutti dati sensibili e di forte interesse per lo sviluppo di servizi, non solo finanziari, ad alto valore commerciale. Lo strumento tecnologico attraverso il quale si realizza la comunicazione tra soggetti esterni e le banche sono le APIs (Application Programming Interfaces), ovvero protocolli con cui comunicano e interagiscono delle 46 controparti software, una volta messe in connessione tra di loro. Le applicazioni in ambito finanziario delle APIs riguardano tutte le principali aree di business dell’intermediazione finanziaria. Tuttavia, è possibile individuarne alcune di maggiore impatto: • la prima area riguarda l’Account Aggregation, cioè la possibilità di collegare due o più conti di pagamento su un’interfaccia unica che sia o di proprietà di uno dei fornitori dei conti oppure di un fornitore terzo; • un’ulteriore area di ampia applicazione dell’open banking è quella dei pagamenti: gli utenti possono disporre delle proprie risorse finanziarie, consentendo l’accesso ai propri dati e ai conti di pagamenti a terze parti che fungono quindi da iniziatori e verificatori dei saldi; • l’open banking vede un’ampia sperimentazione e applicazione anche nell’ambito dello Smart Lending, cioè le attività di prestito svolte in modo veloce e utilizzando nuove basi di dati. Le banche digitali Le aziende FinTech che permettono di sostituire le banche tradizionali sono per convenzione denominate neobank oppure challenger bank. Seppur entrambi i neologismi siano utilizzati nella prassi per identificare le banche che operano con un modello interamente digitale, tra di essi esiste in realtà una lieve differenza terminologica: • una challenger bank è una banca digitale che però è una banca a tutti gli effetti, cioè possiede una licenza bancaria; • una neobank è un’azienda FinTech che non possiede una licenza bancaria, ma si propone sul mercato offrendo prodotti e servizi finanziari di base al pari di quello che offrono le banche tradizionali. La nascita delle banche digitali viene fatta risalire al 2009, anno in cui Alex Payne, Joshua Reich e Shamir Karkal insieme fondarono negli Stati Uniti la neobank Simple. È possibile rintracciare due modelli di business prevalenti tra le banche digitali: • carta-conto: in questo modello, l’azienda FinTech propone un’offerta commerciale semplice, composta da un conto corrente e una carta di credito o di debito ad esso abbinata. Vengono inoltre offerti servizi di Personal Financial Management di base che aiutano il cliente a estrarre informazioni di valore dalle movimentazioni del conto corrente (rispetto di limiti di spesa, raggiungimento di obiettivi di risparmio, ecc.). Non avendo la licenza bancaria, queste aziende FinTech hanno bisogno di partnership con banche vere e proprie; • banca digitale integrata: in questo modello, la banca digitale possiede una licenza bancaria ed è quindi capace di ampliare l’offerta commerciale in modo diretto attraverso prodotti ad alto valore aggiunto come, ad esempio, quelli creditizi e di investimento. Entrambi i modelli sono accomunati da alcuni tratti distintivi rispetto alle banche tradizionali, ovvero puntano a distinguersi per: • la reputazione sul mercato; • un ampio ricorso alla raccolta e all’elaborazione dei dati di diverse fonti di informazione; • il contenuto tecnologico e la semplicità d’uso dei servizi finanziari durante tutti i momenti di interazione con il cliente; • l’offerta di servizi finanziari più competitivi in termini di prezzo; • una cultura aziendale più simile a quella di una start-up. Le banche digitali rappresentano una minaccia per le banche tradizionali in quanto: • riescono a intercettare e interpretare meglio i bisogni e le preferenze dei clienti; • forniscono un’esperienza di servizio più completa, più digitale e più semplice; • possiedono forti competenze tecnologiche; • offrono servizi gratuiti o a costo ridotto, obbligando le banche a competere sulla leva del prezzo, ma con strutture di costi profondamente diverse. 47 Criptovalute, monete e token digitali La forte spinta all’innovazione tecnologica nel mercato dei servizi finanziari ha consentito la nascita di modalità alternative di scambio delle risorse, la creazione di nuovi strumenti finanziari e asset interamente digitali. Ne sono un esempio: le criptovalute, le monete e i token digitali. Ad oggi, nel mercato delle criptovalute è possibile negoziare più di 5.000 token diversi, i quali vengono utilizzati per scopi eterogenei. Possiamo distinguere i token digitale facendo riferimento alla classificazione proposta da Banca d’Italia che distingue: • valute virtuali: sono token digitali privi di diritti incorporati che di conseguenza non possono essere considerati in alcun modo passività per l’emittente. Il loro valore è interamente determinato dal mercato secondario nel quale vengono negoziate. Con le valute virtuali che vengono negoziate sulla blockchain si possono effettuare transazioni senza l’intervento di alcun intermediario finanziario. Tra le valute virtuali, la più importante per motivi storici e per dimensione del mercato è senza dubbio il Bitcoin. Questa criptovaluta è nota soprattutto per la forte crescita del prezzo che si è osservata dal momento della sua emissione e dall’elevatissima volatilità; • token di pagamento: sono gettoni digitali che intendono replicare le funzionalità della moneta virtuale, mantenendo però un valore stabile nel tempo. Questi token si distinguono dalle valute digitali in quando il loro valore è generalmente ancorato ad una moneta legale come, ad esempio, il dollaro statunitense o l’euro. Tra i token di pagamento è possibile distinguere tra: ➢ stablecoin: sono gettoni digitali emessi da un’entità privata per la quale questi token rappresentano una passività. L’emittente si impegna a scambiare su richiesta degli investitori un token con un’unità di una specifica valuta legale, alla quale è agganciato il valore stesso del token. Lo stablecoin più diffuso sul mercato è il Theter, il quale è ancorato al prezzo del dollaro statunitense; ➢ central bank digital currencies: non sono emessi da società private, ma dalle banche centrali. • token di investimento: sono simili ai titoli di investimento dematerializzati, con la differenza che essi ricorrono all’utilizzo della DLT per garantire vantaggi in termini di trasparenza, efficienza e divisibilità rispetto a quelli tradizionali. I token di investimento potrebbero favorire l’accesso dei piccoli investitori a varie tipologie di strumenti finanziari, senza necessitare l’intervento di intermediari finanziari per il frazionamento; • token di utilizzo: sono gettoni digitali che offrono unicamente diritti amministrativi o licenze d’uso come, ad esempio, l’accesso ad una piattaforma oppure ad un network di persone. Questi gettoni digitali sono acquistabili, direttamente o in congiunzione a beni e servizi, tramite moneta legale o altre valute virtuali. Soluzioni innovative di pagamento Una delle linee di business maggiormente impattate dal fenomeno FinTech è senza subbio quella delle soluzioni di pagamento. La soluzione di pagamento Paypal, ormai ampiamente utilizzata anche dal grande pubblico, è considerata da molti la prima azienda FinTech al mondo sul ramo di business dei pagamenti digitali. Nella crescente tendenza all’utilizzo dei pagamenti digitali, un ruolo fondamentale lo ricopre una sempre maggior diffusione degli smartphone e la digitalizzazione dei servizi che sta favorendo la riduzione della circolazione del denaro fisico. Gli utenti, cercando sempre di più una maggiore facilità e velocità nelle soluzioni di pagamento, scelgono gli strumenti che consentono di pagare in ogni istante e in ogni luogo, in modo sicuro e sui circuiti dove è possibile ottenere degli sconti o degli incentivi. I principali fattori che hanno favorito la disruption del settore dei pagamenti possono essere sintetizzati come segue: • sviluppo della tecnologia: elemento determinante e trainante delle innovazioni di pagamento digitali; • favore della regolamentazione: fattore di trasformazione per il mercato, soprattutto attraverso la PSD2; 50 Il perseguimento dell’obiettivo dell’efficienza appare strettamente influenzato dal grado di concorrenza nel settore. In un’ottica di lungo periodo, il trade-off tra stabilità ed efficienza appare meno netto, tanto che i due obiettivi possono essere considerati persino complementari. L’efficienza, infatti, funge da fattore di successo perché consente all’intermediario di competere anche in presenza di significativi mutamenti dello scenario di riferimento, evitando situazioni di crisi che potrebbero compromettere la stabilità micro e macroeconomica; • equità, trasparenza e correttezza degli operatori finanziari. La vigilanza tra principi e regole Nel dibattito sulle modalità di esercizio del controllo e sul ruolo delle Autorità si contrappone l’approccio fondato sulle regole a quello basato sui principi. Nel primo caso, l’Autorità fissa in modo estremamente dettagliato le regole al cui rispetto gli intermediari sono obbligati; nel secondo caso, invece, gli intermediari devono avere la capacità di valutare in autonomia il loro rado di compliance. Nell’ordinamento europeo è stato adottato un modello basato su regole oggetto di armonizzazione massima tra i Paesi membri anche se si sono progressivamente affiancate misure che possono essere definite di autocontrollo degli intermediari mediante l’introduzione di forme più evolute, le quali hanno anche la finalità di valorizzazione l’autonomia e l’imprenditorialità dei soggetti vigilati. L’attuale struttura dei controlli sugli intermediari finanziari, secondo regole elaborate a livello sovranazionale, prevede che essi siano esercitati dalle Autorità (soggetti pubblici o privati) ma con un ruolo attivo degli stessi intermediari (soggetti privati). L’assetto istituzionale delle Autorità di vigilanza In tutti i moderni ordinamenti, l’esercizio della funzione di vigilanza è affidato a specifiche Autorità (AdV) amministrative e autonome la cui istituzione e definizione dei poteri sono stabilite dalla normativa primaria; la loro autorevolezza è rafforzata dall’indipendenza nei confronti del potere politico, cioè dall’impossibilità di ricevere istruzioni vincolanti, da cui deriva la piena responsabilità per il proprio operato. Una delle principali criticità relative all’esercizio della funzione di vigilanza risiede nella necessità di adottare opportuni criteri per la ripartizione dei poteri e dei compiti tra le diverse Autorità. La teoria ha identificato differenti modelli di vigilanza evidenziando i loro principali vantaggi e svantaggi: MODELLO VANTAGGI SVANTAGGI Vigilanza istituzionale Riduzione dei costi Economie di specializzazione Visione globale del soggetto vigilato Possibilità di arbitraggio regolamentare Fenomeni di cattura del regolatore Vigilanza per attività Assenza di possibili arbitraggi regolamentari Economie di specializzazione Frammentazione dei controlli Assenza di una visione unitaria Vigilanza per finalità Assenza di possibili arbitraggi regolamentari Massima coerenza tra obiettivi e strumenti Rischio di sovrapposizioni/lacune nella vigilanza Necessità di coordinamento tra Autorità Vigilanza accentrata Riduzione dei costi e semplificazione organizzativa Forte responsabilizzazione di un unico soggetto Economie di scala e scopo Visione globale del soggetto vigilato Fenomeni di cattura del regolatore Complessità organizzativa Possibile conflitto interno tra finalità di vigilanza incompatibili 51 In numerosi paesi dell’Unione Economica e Monetaria (UEM), il processo di revisione dell’architettura delle Autorità è stato molto intenso a partire dal 2000, caratterizzandosi anche per una modifica del modello. Con riferimento ai principali Paesi europei si può osservare che: • il modello accentrato ha trovato applicazione in alcuni paesi del Nord Europa e si è progressivamente diffuso; • date le peculiari caratteristiche del loro processo produttivo, diffusa è la scelta di sottoporre alla vigilanza di un’autorità specializzata assicurazioni e fondi pensione; • altri Paesi, pur adottando il modello per soggetti, hanno accentrato in un unico regolatore le competenze sul settore bancario e mobiliare o sul settore bancario e assicurativo; • gli intermediari mobiliari sono assimilati a quelli creditizi poiché l’autorità di settore vigila sui mercati mobiliari. Gli strumenti della vigilanza Si possono individuare tre grandi ambiti: • vigilanza macroprudenziale: individua i fattori di rischio e di vulnerabilità che potrebbero costituire una minaccia per la stabilità dell’intero sistema finanziario, allo scopo di prevenirne, o limitarne, gli effetti sull’economia reale; • vigilanza microprudenziale: viene esercitata sui singoli intermediari mediante la valutazione periodica della loro situazione economico-patrimoniale, la verifica del rispetto delle regole prudenziali, l’eventuale adozione di interventi ritenuti essenziali; • trasparenza e correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti: il rispetto delle regole in materia di trasparenza e correttezza nelle relazioni con le controparti e la predisposizione di un’informazione chiara e corretta sui prodotti e i servizi offerti implica: ➢ per gli intermediari, la possibilità di prevenire i rischi legali e reputazionali; ➢ per i clienti, la possibilità di confrontare le offerte disponibili e compiere scelte consapevoli, con effetti positivi, concorrenza ed efficienza operativa. Con riferimento ai molteplici strumenti a disposizione delle Autorità, la classifica più diffusa opera una distinzione basata sulle finalità della vigilanza strutturale, prudenziale, informativa e ispettiva; inoltre, particolare rilievo assume quella protettiva: • strumenti di vigilanza strutturale: i controlli sono finalizzati a incidere direttamente sulla struttura del settore in termini di: condizioni di entrata e uscita, numero degli operatori e concentrazione delle quote di mercato. I principali strumenti di natura strutturale hanno ad oggetto: ➢ le condizioni di entrata; ➢ i vincoli all’operatività mediante la fissazione di limiti al tipo e alla gamma di attività da svolgere; ➢ l’assetto proprietario e organizzativo degli intermediari attraverso la necessità di preventiva autorizzazione a procedere a operazioni di fusione e acquisizione; ➢ gli interventi amministrativi sulle qualità e sui prezzi. Seppure diversi tra loro, i controlli strutturali hanno la caratteristica comune di intervenire direttamente sul funzionamento del mercato. • strumenti di vigilanza prudenziale: i controlli di tale natura sono finalizzati a verificare il rispetto dei corretti principi di gestione con l’obiettivo di limitare i rischi assunti dagli intermediari, garantendo il mantenimento di condizioni di solvibilità e liquidità. Secondo questo approccio, le AdV dovrebbero limitarsi a stabilire ex ante le “regole di gioco” oggettive e neutrali rispetto ai soggetti dell’offerta. Una finalità prudenziale è riconoscibile nell’imposizione sia di requisiti di onorabilità e professionalità per 52 coloro che svolgono funzioni di direzione, amministrazione e controllo, sia di obblighi di separatezza organizzativa e contabile per contrastare le situazioni di conflitti di interessi. • strumenti di vigilanza informativa: in un’accezione più ristretta, per controllo informativo si intende l’attività conoscitiva svolta nei confronti dei soggetti vigilati. Le informazioni richieste riguardano molteplici aspetti quali la condizione economica, patrimoniale e finanziaria, la struttura organizzativa, l’operatività nei confronti della clientela e sui mercati. In un’accezione più ampia, la vigilanza informativa comprende tutti gli strumenti volti a ridurre le asimmetrie informative presenti in ogni scambio finanziario. In tal caso è più corretto parlare di controlli di trasparenza e correttezza dei comportamenti. I controlli di correttezza sono finalizzati ad accertare il rispetto delle norme di comportamento cui gli intermediari sono tenuti a uniformarsi in ragione dell’attività svolta. • strumenti di vigilanza ispettiva: la vigilanza ispettiva consiste nelle verifiche condotte direttamente presso l’intermediario per valutarne anche gli aspetti qualitativi, difficili da cogliere mediante una comunicazione di tipo documentale. Le ispezioni avvengono periodicamente. • strumenti di vigilanza protettiva: sono finalizzati a prevenire le situazioni di crisi degli intermediari finanziari e a limitarne le conseguenze. Poiché il fallimento di una banca può produrre conseguenze particolarmente gravi, gli interventi sono stati principalmente rivolti alle banche. In un’accezione più ristretta, i tradizionali interventi di vigilanza protettiva ex ante sono: ➢ i sistemi di early warning: costituiscono un sistema organico di indicatori finalizzato al monitoraggio della rischiosità dei soggetti vigilati, all’individuazione degli appropriati interventi e all’attivazione tempestiva delle misure di sostegno; ➢ il credito di ultima istanza: è un finanziamento erogato dalla banca centrale a una banca in situazione di temporanea illiquidità per evitare che l’illiquidità si trasformi in insolvenza. Gli interventi di vigilanza protettiva ex post riguardano la gestione di una crisi ormai conclamata, rispetto alla quale si può solo cercare di limitare le conseguenze per i risparmiatori e per la stabilità del sistema finanziario di una procedura di liquidazione finalizzata alla dismissione degli attivi e al rimborso dei creditori. Le riforme post crisi L’ampiezza, la gravità e la lunghezza della crisi scoppiata nel 2007 hanno messo in evidenza da un lato l’esistenza di gravi squilibri del sistema finanziario internazionale, dall’altro la necessità di ripensare l’intero assetto della vigilanza sugli intermediari e sui mercati con azioni di ampio respiro. Il primo documento a identificare alcune delle principali cause della crisi e a individuare alcune soluzioni è stato elaborato dal SFS (Financial Stability Forum). Il nuovo assetto della vigilanza europea. Il complesso ripensamento dell’architettura di vigilanza nella UEM ha determinato l’istituzione di un sistema decentrato plurilivello di Autorità macroprudenziali e microprudenziali con l’obiettivo di assicurare una vigilanza uniforme all’interno dell’UE modificato a seguito della nascita dell’Unione bancaria. I profondi cambiamenti intervenuti hanno rappresentato un’inversione di tendenza rispetto al passato anche in termini di principi. Innanzitutto, la regolamentazione ha riguardato soprattutto i comparti dell’intermediazione bancaria e assicurativa, essendo i mercati mobiliari ancora relativamente poco sviluppati in numerosi Paesi membri. Nel settore bancario, la prima e la seconda direttiva (1977/80 e 1989/646) hanno introdotto la definizione di ente creditizio, posto in rilievo il carattere imprenditoriale dell’attività bancaria e subordinato l’autorizzazione al suo esercizio al rispetto di condizioni di natura oggettiva. In materia di intermediazione mobiliare, a integrazione della direttiva 1993/22, la Commissione Europea aveva proposto un Piano d’Azione per i Servizi Finanziari il quale indicava le priorità di intervento e un calendario di misure specifiche per il raggiungimento di tre obiettivi strategici: istituzione di un mercato unico dei servizi finanziari all’ingrosso; accessibilità e sicurezza dei mercati al dettaglio; rafforzamento delle norme prudenziali e di vigilanza. Nel 55 funzionamento delle Borse e ammissione dei titoli a quotazione. Le sue funzioni si sono progressivamente ampliate con l’obiettivo di garantire la protezione degli investitori, l’efficienza e la trasparenza del mercato. In particolare, la CONSOB: ➢ autorizza e vigila sulle società di gestione del mercati (SGMR); ➢ regolamenta la prestazione dei servizi e delle attività di investimento da parte degli intermediari autorizzati; ➢ definisce gli obblighi informativi delle società quotate nei mercati regolamentati e le operazioni di appello al pubblico risparmio; ➢ vigila sul rispetto degli obblighi informativi da parte dei soggetti che emettono strumenti finanziari diffusi presso il pubblico; ➢ autorizza la pubblicazione dei prospetti informativi relativi alle offerte al pubblico di prodotti finanziari. • l’IVASS (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni) esercita la vigilanza per la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione e di riassicurazione e la trasparenza e la correttezza dei comportamenti delle imprese, degli intermediari e degli operatori del settore, avendo riguardo alla stabilità, efficienza, competitività e al buon funzionamento del sistema, alla tutela degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative, all’informazione e alla protezione dei consumatori. • l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) è stata istituita nel 1990 con l’obiettivo di assicurare l’accesso al mercato e la parità concorrenziale in nome della libertà d’impresa e della tutela dei consumatori. Essa ha il compito di vigilare sulle intese restrittive della concorrenza, sugli abusi di posizione dominante e sulle operazioni di concentrazione che comportano la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante in modo tale da eliminare o ridurre in misura sostanziale e duratura la concorrenza. L’Unione Bancaria Europea La seconda fase del processo di riforma in Europa ha riguardato la realizzazione dell’Unione Bancaria mentre la realizzazione del Mercato Unico dei Capitali (CMU) è in forte ritardo rispetto ai tempi originariamente previsti (2019). Il progetto di CMU ha l’obiettivo prioritario di riequilibrare il sistema finanziario nell’UE attraverso il potenziamento delle fonti di finanziamento delle PMI alternative al tradizionale canale bancario. Il progetto di Unione Bancaria si inserisce nel complessivo quadro del rafforzamento del safety net che ha cercato di integrare in modo organico vigilanza macro e microprudenziale, regolamentazione prudenziale, credito di ultima istanza, meccanismi di risoluzione delle crisi, sistemi di tutela e garanzia dei depositi come si è venuto a stratificare nel tempo. Schematicamente l’Unione si articola in tre pilastri separati ma strettamente e funzionalmente interconnessi tra loro: 1. Con l’istituzione del Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU) o Single Supervision Mechanism (SSM) si è data attuazione alla decisione politica di accentrare l’esercizio dell’attività di controllo conferendo alla BCE anche i poteri di vigilanza microprudenziale su tutte le banche aventi sede negli Stati membri dell’area dell’euro in contrasto con considerazioni di natura teorica che sottolineano la palese esistenza di un rischio di conflitti di interesse nello svolgimento dei due compiti e in controtendenza con quanto avvenuto nel decennio precedente in numerosi ordinamenti nazionali nei quali la separazione di funzioni è stata progressivamente attuata o rinforzata. Il sistema si compone della BCE e delle Autorità nazionali di Vigilanza, ma la BCE può instaurare una stretta cooperazione con gli Stati membri che, pur non avendo adottato la moneta unica, intendano partecipare. Tutte le competenze non esplicitamente attribuite alla BCE rimangono nella piena competenza delle AdV nazionali e la BCE, nello svolgimento dei nuovi compiti, agisce in piena indipendenza. Nell’ambito del SSM, ai fini della definizione delle Autorità competenti all’esercizio dei poteri di vigilanza, sono definiti due gruppi di banche: le most significant banks e le less significant banks. Nei confronti delle prime, la vigilanza è esercitata in modo 56 accentrato dalla BCE; nei confronti delle seconde, in modo accentrato dalle AdV nazionali. Per queste ragioni è stato rilevato come l’accentramento della vigilanza nelle mani della BCE non si configuri come una mera devoluzione di poteri, ma come un nuovo sistema di esercizio congiunto dei poteri di vigilanza. Il SSM è un meccanismo complesso nel quale su BCE e sulle Autorità nazionali grava un dovere di cooperazione. In definitiva, il SSM rappresenta un modello di integrazione operativa e organizzativa tra apparati nazionali ed europei che non implica l’indebitamento delle amministrazioni nazionali a vantaggio di quelle europee ma la fusione tra i due livelli di competenza. 2. Il Meccanismo di Risoluzione Unico delle crisi (SRM), che costituisce il secondo pilastro dell’Unione bancaria, è stato oggetto di una lunga e faticosa trattativa tra gli Stati membri e la UE. L’idea di creare un meccanismo unico per fronteggiare situazioni di stress economico-finanziario si collega alla nota affermazione che “le banche avrebbero una vita internazionale ma una morte nazionale”. Non è sempre facile individuare, rapidamente e con certezza, se le situazioni di difficoltà di un intermediario dipendano da cause specifiche o da fattori generali che coinvolgono più soggetti o addirittura tutto il sistema. In caso di crisi di una banca, per evitarne le conseguenze negative sullo svolgimento della funzione creditizia, la tutela del risparmio e la buona gestione dell’economia esigono, anche se l’azienda esce dal mercato, di salvaguardare la parte sana dei rapporti di credito, generalmente più ampia di quella insolvente. In assenza di una definizione normativa precisa, una crisi bancaria è caratterizzata da un drastico indebolimento della situazione patrimoniale degli intermediari creditizi, tale da mettere a repentaglio la loro solvibilità e indurre fallimenti. Facendo invece riferimento alle modalità di risoluzione, il concetto di crisi può essere inteso come una situazione di patologia spinta dalla quale l’azienda non può uscire con strumenti ordinari di gestione e che richiede pertanto interventi di carattere straordinario con attivazione di mezzi esterni all’azienda. Il SRM si articola in fasi sequenziali: vigilanza preventiva rafforzata; elaborazione, da parte delle singole istituzioni, di piani prospettici di risanamento; piani di risoluzione in caso di dissesto o rischio di dissesto. Il sistema di risoluzione si applica alle banche e alle imprese di investimento che prestano servizi che comportano l’assunzione di rischi in proprio. Il sistema è formato dalle Autorità nazionali di risoluzione (NRA) e dal Comitato di risoluzione unico (SRB) al quale sono affidate le decisioni sulla gestione del procedimento di risoluzione e sull’eventuale uso delle risorse derivanti dal Single Resolution Fund (SRF). Il fondo, appositamente costituito con un target level pari all’1% dei depositi protetti di tutte le banche dell’area euro che dovrebbe essere raggiunto in 8 anni, è alimentato dalle istituzioni incluse nell’ambito dell’SRM. Al fondo si affianca un impegno a istituire una rete di sicurezza comune che garantisca liquidità nel caso di insufficienza delle risorse disponibili. In particolare, il SRB svolge le proprie funzioni nei confronti delle banche vigilate dalla BCE e con attività cross-border. Le NRA, oltre a partecipare alle decisioni del Comitato, predispongono i piani di risoluzione e danno attuazione alle misure adottate del cui rispetto sono responsabili. I presupposti per l’avvio della procedura di risoluzione, in alternativa alla liquidazione, sono: • la banca sta fallendo (o è probabile che fallisca) in presenza di perdite in grado di azzerare il patrimonio; mancato rispetto dei requisiti per l’autorizzazione all’esercizio dell’attività; attività inferiori alle passività; • non si può ragionevolmente prevedere che un’azione alternativa consenta di evitare il fallimento in tempi ragionevoli; • l’azione di ristrutturazione risponde a finalità di interesse pubblico. Per la gestione delle crisi si applicano gli strumenti previsti dalla Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD), entrata in vigore nel 2005: vendita di tutto o parte del business a soggetti privati; trasferimento temporaneo di attività e passività a una bridge bank; separazione giuridica in due entità (una bad bank, nella quale confluiscono attività di incerto realizzo oggetto di liquidazione, e una good 57 bank, destinata a proseguire la normale attività); applicazione del bail-in che comporta la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti o la loro conversione in azioni per assorbire le perdite che hanno ridotto il patrimonio e ricapitalizzare la banca o una nuova entità che ne prosegua l’attività. 3. Il terzo pilastro dell’Unione Bancaria è costituito dal Single Deposit Guarantee Scheme (SDGS), disciplinato dalla Direttiva 49/2014 che definisce: livello e oggetto della garanzia; modalità di raccolta delle risorse e di contribuzione da parte delle istituzioni aderenti sulla base del rischio; modalità di utilizzo dei fondi in caso di intervento; contenuto dell’informativa da fornire ai depositanti; modalità di cooperazione cross-border tra i differenti schemi di garanzia nazionali. Lo stato dei lavori sul terzo pilastro della Banking Union è fermo alla proposta del novembre 2015 avanzata dalla Commissione Europea circa l’introduzione di un EDIS (European insurance deposit scheme) secondo tre fasi: in una fase transitoria, manterrebbe autonomia nazionale e separazione dalle autorità degli altri paesi europei dovendo però procedere a riassicurarsi garantendo un intervento esterno; per i successivi 4 anni, i DGS nazionali possono richiedere un finanziamento o la copertura delle perdite sin dall’emergere delle prime esigenze, sia pure per importi limitati; trascorsi 7 anni, l’EDIS fornirebbe un’assicurazione completa, coprendo il 100% delle esigenze. LA REGOLAMENTAZIONE, LA SUPERVISIONE, LA GOVERNANCE E I CONTROLLI INTERNI L’esercizio della vigilanza in Italia Le finalità e i destinatari dell’attività di vigilanza esercitata da Banca d’Italia, CONSOB e IVASS sono definiti nei testi normativi fondamentali dell’ordinamento italiano: • il TUB (Testo Unico Bancario) disciplina le attività di intermediazione creditizia svolta da banche e intermediari finanziari di natura creditizia, IMEL, istituti di pagamento, intermediari mobiliari. Per il TUB, l’attività delle Autorità è finalizzata al raggiungimento degli obiettivi di sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, stabilità complessiva, efficienza e competitività del sistema finanziario. Alla Banca d’Italia, con un’eccezione al principio di divisione delle funzioni con la CONSOB, sono attribuite le competenze in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e di correttezza dei comportamenti di banche e intermediari finanziari nei rapporti con i clienti. • il TUF (Testo Unico della Finanza) disciplina l’attività di intermediazione mobiliare, per quanto riguarda la prestazione di servizi di investimento, la gestione collettiva del risparmio e il funzionamento dei mercati mobiliari. Per il TUF la vigilanza sugli intermediari e sui servizi e attività di investimenti da essi svolte ha per obiettivi la salvaguardia della fiducia; la tutela degli investitori; la stabilità, il buon funzionamento e la competitività del sistema finanziario. Vengono anche definite funzioni assegnate alla Banca d’Italia e della CONSOB. • il CAP disciplina l’attività delle compagnie di assicurazioni ramo vita e ramo danni; • il D.lgs. 252/2005 disciplina delle forme di previdenza complementare e l’attività dei fondi pensione. Questi testi disciplinano l’esercizio della vigilanza regolamentare, informativa e ispettiva: • vigilanza regolamentare: è così definita perché legata alla possibilità delle Autorità di emanare appositi regolamenti, ma nei fatti è identificabile con quella prudenziale, per la quale sono individuati i profili dell’attività oggetti della disciplina (adeguatezza patrimoniale, contenimento del rischio, governo societario, organizzazione amministrativa e contabile, articolazione dei controlli interni, sistemi di remunerazione e di incentivazione), mentre l’identificazione degli strumenti di intervento è demandata alla disciplina secondaria. • vigilanza ispettiva: consiste nel potere delle AdV di effettuare ispezioni e di richiedere l’esibizione di documenti al fine di accertare che l’attività svolta risponda a criteri di sana e prudente gestione e sia espletata nell’osservanza delle disposizioni in materia. Nel SSM (Single Supervisory Mechanism), ciascun ente “significativo” è vigilato da un JST (Joint Supervisory Team) composto da funzionari di 60 • rischio di mercato: per la quantificazione dell’assorbimento patrimoniale a fronte dei rischi di mercato, Basilea 2 consente di adottare: ➢ il metodo standardizzato, in cui viene utilizzato il building block approach cioè il requisito patrimoniale è pari alla somma dei requisiti singolarmente calcolati sulla base del mapping per ogni tipologia di strumento (titoli di debito, titoli di capitale, materie prime e posizioni in derivati) considerando sia il rischio specifico (rischio di perdite determinate dall’andamento sfavorevole di aspetti che riguardano un singolo titolo) sia il rischio generico (rischio di perdite determinate da un generalizzato andamento sfavorevole dei fattori di mercato). Per ogni posizione individuata nel mapping il requisito è pari all’8%. Poiché RPRM è calcolato direttamente come mezzi propri da detenere a fronte dei rischi di mercato, è necessario moltiplicarlo per il reciproco dell’8%, cioè 12,5. ➢ il metodo interno fondato sulla stima del Value at Risk, in cui RPRM è pari alla somma del VAR, calcolato nell’ipotesi di distribuzione normale e con livelli minimi di confidenza fissati dalle Autorità, delle singole posizioni esposte al rischio di mercato. • rischio operativo: è possibile adottare metodologie di misurazione differenziate in relazione al grado di sofisticazione e complessità degli intermediari finanziari considerati, le quali sono: ➢ metodo di base, in cui il requisito è determinato “forfettariamente” applicando la percentuale del 15% sulla media del margine di intermediazione (MI) nel corso dell’ultimo triennio; ➢ metodo standardizzato: può essere utilizzato da intermediari che svolgono attività diversificate e in possesso di un sistema di gestione dei rischi e di un’efficace processo di autovalutazione. Per individuare l’esposizione complessiva, l’attività bancaria è divisa in 8 business line delle quali si estrapola il risultato economico (il margine di intermediazione) quale proxy della dimensione del rischio. Per ciascuna business line, il modello fissa i coefficienti di rischiosità ( i) che costituiscono una stima del rapporto tra le perdite per rischi operativi e il relativo reddito stimato: perciò, il requisito patrimoniale complessivo è calcolato come somma delle esposizioni delle 8 linee operative. ➢ metodo avanzato: può essere utilizzato solo da intermediari che hanno sviluppato al proprio interno un sistema di misurazione del rischio operativo, previa autorizzazione dell’Autorità di Vigilanza. Per ciascuna business line, l’Autorità individua un indicatore di esposizione (EI, Exposure Indicator), mentre la singola banca provvede a calcolare, sulla base dei propri dati interni, la probabilità che l’evento si verifichi (PE, Probability of Event) e la perdita in caso di manifestazione dell’evento (LGE, Loss Given Event): il prodotto tra EI, PE e LGE quantifica la perdita attesa. Secondo pilastro. Oltre a osservare il requisito patrimoniale minimo che fronteggia i rischi di credito, di mercato e operativo (c.d. “rischi di primo pilastro”), la banca deve detenere un cuscinetto (buffer) di capitale addizionale a fronte di ulteriori tipologie di rischio (c.d. “rischi di secondo pilastro”) (esempio: rischio di tasso d’interesse del banking book, di concentrazione, strategico, reputazionale ecc.). Poiché ogni intermediario si caratterizza per specificità aziendali e operative che possono determinare l’insufficienza di RPM rispetto al capitale interno, il secondo pilastro individua 4 principi chiave che definiscono il processo del controllo prudenziale: 1. gli intermediari devono valutare l’adeguatezza patrimoniale complessiva in rapporto al loro profilo di rischio e perseguire una strategia per il mantenimento dei livelli patrimoniali; 2. le Autorità di vigilanza devono riesaminare e valutare il procedimento interno degli intermediari e le connesse strategie, nonché la loro capacità di monitorare e assicurarne la conformità con i requisiti patrimoniali obbligatori ed eventualmente adottare appropriate misure prudenziali in caso di giudizio negativo; 61 3. le Autorità di vigilanza possono richiedere agli intermediari una dotazione patrimoniale superiore ai coefficienti minimi obbligatori; 4. le Autorità di vigilanza dovrebbero cercare di intervenire in una fase precoce, per evitare che il patrimonio scenda al di sotto dei requisiti minimi compatibili con il rischio assunto, ed esigere l’adozione di pronte misure correttive. Terzo pilastro. Basilea 2 riconosce al mercato, cioè all’insieme degli stakeholder dell’intermediario, la possibilità di esercitare un’azione “di disciplina” in tema di adeguatezza patrimoniale: a tal fine, sono previste informazioni qualitative e quantitative obbligatorie da rendere note e riguardanti: l’adeguatezza patrimoniale, l’esposizione ai rischi e le caratteristiche generali dei sistemi preposti alla loro identificazione. Queste informazioni devono essere rilevanti, nel senso che la loro mancata comunicazione comporterebbe l’alterazione del giudizio dei soggetti interessati. Con Basilea 3 si è avuto il rafforzamento dei requisiti prudenziali: sebbene l’entrata in vigore dei requisiti patrimoniali sia avvenuta nel 2008, le numerose criticità emerse hanno suggerito l’introduzione di nuove misure finalizzate al loro rafforzamento: • leva finanziaria: poiché il requisito patrimoniale prende in considerazione le attività ponderate per il rischio e non i debiti, molte banche hanno raggiunto un leverage molto elevato che ha imposto la necessità di ridurre l’esposizione complessiva attraverso la contrazione degli attivi. Per evitare il rischio del ripetersi di tali situazioni, è stato introdotto il leverage ratio, ossia il rapporto tra mezzi propri e totale attivo, pari al 4%. • vincoli di liquidità: in assenza di specifici vincoli di liquidità, l’illiquidità delle banche si è ripercossa sul mercato interbancario, rendendo indispensabile l’intervento delle banche centrali; l’accordo sul capitale ha introdotto due misure ex ante: il Liquidity Coverage Ratio (LCR), dato dal rapporto tra attività liquide e cash flow stimati mediante prova di stress su un orizzonte di 30 giorni, almeno pari al 100%; il Net Stable Funding Ratio (NSFR), dato dal rapporto tra riserve disponibili e riserve obbligatorie su un orizzonte di 12 mesi, almeno pari al 100%. • banche sistemiche: a causa dell’elevato rischio sistemico determinato dall’intenso grado di interconnessione all’interno del sistema finanziario internazionale, è necessario rafforzare la solidità delle banche sistemiche (cioè considerate cruciali nella propagazione della crisi). Le regole applicabili agli intermediari assicurativi. Come previsto nel comparto creditizio e mobiliare, anche per le assicurazioni la Direttiva Solvency 2 (analogamente all’accordo di Basilea) ha una struttura articolata su tre pilastri: • il primo pilastro definisce i principi di base per il calcolo di: ➢ riserve tecniche, costituite per assolvere le obbligazioni della compagnia verso i contraenti e i beneficiari; ➢ portafoglio di copertura: per mantenere un sistema di solvibilità globale, l’impresa di assicurazione deve effettuare gli investimenti con capitale proprio e capitale di terzi in base al principio della persona prudente; ciò implica la capacità di identificare, misurare, monitorare, gestire e segnalare i rischi cui l’attività di investimento è esposta al fine di garantirne sicurezza, liquidità e qualità; ➢ requisito patrimoniale di solvibilità: come per le banche, esso è destinato ad assicurare la copertura delle perdite inattese riconducibili a tutti i rischi quantificabili cui è soggetta la compagnia di assicurazione. • il secondo pilastro si fonda sul controllo della solvibilità da parte della Compagnia e dell’Autorità di vigilanza competente. Il processo di controllo prudenziale, di competenza della BCE e della Banca d’Italia, si articola in due fasi successive ma integrate: 62 ➢ ciascun intermediario effettua un processo di autovalutazione dell’adeguatezza e del profilo di rischio assunto; ➢ il controllo esercitato dall’Autorità risponde a un principio generale di tutela dei contraenti e dei beneficiari e si fonda sulla verifica della capacità da parte della compagnia di misurare e gestire correttamente e coerentemente i rischi che assume. • il terzo pilastro è dedicato alle informazioni che hanno un ruolo fondamentale nell’esercizio del controllo e nel giudizio dei soggetti che a diverso titolo sono interessati al buon funzionamento della compagnia di assicurazione. La gestione delle crisi. Basilea 3 è una regola di vigilanza prudenziale cioè che prova ad evitare che si verifichi un evento. Se non ci riesce interviene la vigilanza protettiva che è quell’insieme di strumenti tendenti a prevenire le situazioni di crisi o a limitarne le conseguenze. L’individuazione delle modalità di gestione delle crisi è affidata al Comitato di Risoluzione Unico (SRB, Single Resolution Board) mentre spetta alle Autorità nazionali dare attuazione al programma, esercitando i poteri che la normativa europea e le norme nazionali di recepimento attribuiscono loro. Articolazione del processo Il processo di gestione delle crisi di un intermediario si articola in fasi sequenziali: 1. fase “preventiva” finalizzata a individuare, durante la normale operatività, strategie e azioni da intraprendere in caso di crisi (piano di risanamento); 2. individuazione e utilizzo da parte delle autorità di strumenti di intervento precoce (early intervention): ad esempio, l’obbligo di dare attuazione al piano di risanamento; 3. avvio di un processo di ristrutturazione (risoluzione) mediante il quale le Autorità, perseguono il duplice obiettivo di evitare l’interruzione dell’attività e di ripristinarne le condizioni di sostenibilità economica attraverso: ➢ la vendita di parte delle attività a un acquirente privato; ➢ il trasferimento temporaneo di attività e passività a un’entità ad hoc (bridge bank) gestita dalle autorità per proseguire le funzioni in vista di una successiva vendita; ➢ il trasferimento delle attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisce la liquidazione; ➢ l’applicazione del bail-in per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali. 4. attivazione della procedura della liquidazione coatta amministrativa. La direttiva MIFID Tra le principali innovazioni regolamentari degli ultimi anni in materia di intermediazione finanziaria vi è la direttiva europea MIFID (Market In Financial Instruments Directive), che rientra all’interno di un progetto comunitario più ampio definito FSAP (Financial Service Action Plan), finalizzato alla creazione di un mercato europeo dei capitali integrato. Le novità introdotte dalla MIFID hanno interessato sia l’attività degli intermediari sia la clientela, sia il funzionamento dei mercati con conseguenze importanti per la clientela. Con riferimento all’attività svolta dagli intermediari finanziari nell’ambito della prestazione di servizi di investimento, le principali novità introdotte dalla MIFID sono: • l’obbligo di classificazione della clientela: l’obbligo per gli intermediari di procedere preventivamente (prima della vendita di un prodotto o l’offerta di un servizio) alla classificazione della clientela risponde alla finalità di valutarne le conoscenze in materia di investimento e rappresenta una forma di tutela. La MIFID, imponendo una classificazione iniziale, tende ad evitare l’offerta di prodotti o servizi dei quali il cliente non è in grado di comprendere né le caratteristiche né il rischio. Identificato come cliente la persona fisica o giuridica alla quale prestare servizi di investimento e/o servizi accessori, gli intermediari hanno l’obbligo, prima di svolgere qualsiasi operazione con gli investitori, di verificarne il 65 • rafforzare il coordinamento delle politiche monetarie degli stati membri che ancora non hanno adottato l’euro per garantire la stabilità dei prezzi; • predisporre i rapporti sulle attività della BCE. Le banche centrali nazionali, invece, svolgono tipicamente due ruoli: • quello nazionale affidato loro dal proprio Paese di origine; • quello di braccio esecutivo dell’Eurosistema, in base al quale: ➢ ricevono la riserva obbligatoria e le eventuali riserve libere che le controparti hanno la facoltà di mantenere presso l’Eurosistema; ➢ realizzano le operazioni dell’Eurosistema in applicazione alle decisioni adottate dal Consiglio direttivo della BCE che ne stabilisce modalità e condizioni; ➢ sono la controparte delle istituzioni finanziarie nelle operazioni di rifinanziamento marginale e di deposito overnight. I fondamenti della politica economica europea L’obiettivo fondamentale dell’Eurosistema è assicurare il mantenimento della stabilità dei prezzi (cioè mantenere un livello di inflazione prossimo, ma inferiore al 2%) per preservare il potere d’acquisto della moneta unica. In termini operativi, l’Eurosistema: • definisce e attua la politica monetaria; • svolge le operazioni sul mercato dei cambi; • detiene e gestisce le riserve ufficiali degli Stati membri; • promuove il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento. Qualsiasi strategia di politica monetaria deve predisporre uno schema logico in base al quale, grazie all’adozione di strumenti adeguati, perseguire e conseguire l’obiettivo prefissato. Si tratta quindi, nell’ordine, di: • individuare le relazioni tra variabili strumentali (i mezzi a disposizione della banca centrale) e obiettivo finale; • definire le variabili di monitoraggio in grado di rilevare eventuali shock; • organizzare modalità di intervento che permettano, utilizzando le variabili strumentali, di raggiungere l’obbiettivo finale; • calibrare gli strumenti più adeguati all’obbiettivo finale. Definito l’obiettivo finale, le strategie adottabili fanno riferimento a due schemi di base: • Schema a due stadi, dove le Autorità monetarie perseguono l’obiettivo in due tappe: (1) conseguimento dell’obbiettivo intermedio di carattere monetario con strumenti a diretta disposizione; (2) lasciare che l’obbiettivo intermedio esplichi i suoi effetti affinché quello finale sia raggiunto in via indiretta; • Schema a uno stadio, dove grazie a meccanismi automatici di trasmissione tra variabili monetarie e variabili reali, l’Autorità monetaria usa strumenti monetari per conseguire direttamente l’obiettivo finale. Nelle strategie della BCE, il monetary targeting è uno schema a due stadi nel quale si annuncia l’obiettivo intermedio in termini di crescita dell’aggregato monetario prescelto e si effettuano le dovute correzioni, mentre l’inflation targeting è uno schema a uno stadio nel quale la manovra monetaria è direttamente legata, senza il termine di obiettivi intermedi, all’obiettivo finale. La BCE ha scelto, in termini strategici, di mediare tra i due schemi assumendo quello a uno stadio come riferimento principale con la definizione quantitative di un obiettivo di stabilità dei prezzi e il conseguente monitoraggio del pilastro economico, mentre il monetary targeting assume una funzione di confronto/conferma delle conclusioni che emergono dall’analisi del primo. Nella definizione dell’obiettivo di inflazione la BCE ha: • prescelto come indicatore lo IAPC (indice armonizzato dei prezzi al consumo) per l’area euro; • fissato il limite superiore al 2%; 66 • stabilito che il rischio inflativo venga considerato in un’ottica di medio periodo: sia perché nel breve i prezzi sono soggetti a variabilità dovuta a cause non controllabili dalla politica monetaria (es. Variazione nei prezzi internazionali delle materie prime); sia per dare una riposte graduale ed equilibrate, che eviti elementi di eccessiva instabilità e incertezza. Gli strumenti a disposizione della BCE Nel quadro della strategia adottata, la BCE punta a conseguire due risultati immediati: • influenzare i tassi di interesse di mercato e avviare il meccanismo di trasmissione; • segnalare il proprio orientamento agli operatori economici (banche, imprese, famiglie) i cui comportamenti dovrebbero essere coerenti. Per conseguire questi obbiettivi, la BCE si serve di alcuni strumenti che sono: le operazioni di mercato aperto; le operazioni su iniziativa delle controparti; la riserva obbligatoria. • Operazioni di mercato aperto: consistono in acquisti o vendite nei confronti degli operatori e determinano rispettivamente l’aumento (creazione) o la riduzione (distruzione) della base monetaria, e quindi, della liquidità per il sistema bancario. Sono effettuate dalla BCE e operativamente realizzate a livello decentrato dalle BCN, la quale stabilisce quantità e costo della base monetaria da immettere. Le operazioni di mercato aperto svolgono un ruolo fondamentale soprattutto nell’influenzare i tassi d’interesse, segnalare l’orientamento di politica monetaria e gestire le condizioni temporanee di liquidità del sistema. Queste operazioni, condotte mediante aste o procedure bilaterali (cioè in base ad accordi bilaterali tra gli operatori) alle quali possono partecipare tutte le istituzione creditizie residenti nei paesi dell’Eurosistema in possesso dei necessari requisiti, si distinguono in: ➢ Operazioni di rifinanziamento principale: (sono sostanzialmente prestiti che la BCE fa alle banche) sono effettuate regolarmente su base e con scadenza settimanale. L’assegnazione dei fondi avviene mediante aste standard (marginali e competitive), con importo e tasso di offerta (TRP, Tasso di Rifinanziamento Principale) deciso di volta in volta dalla BCE. Sono le operazioni di mercato aperto più importanti poiché sono finalizzate a regolare le condizioni di liquidità sul mercato e a influenzare i tassi di interesse; inoltre, hanno una fondamentale funzione segnaletica poiché il TRP è un tasso policy indicativo della politica monetaria perseguita dalle Autorità per un certo tempo; ➢ Operazioni di rifinanziamento a più lungo termine: svolte con frequenza mensile e scadenza a 3 mesi, sono finalizzate a fornire al sistema bancario liquidità per un periodo più lungo. L’assegnazione dei fondi avviene tramite aste standard (marginali o competitive) che si svolgono secondo il sistema a tasso variabile, per volumi preannunciati e senza fissazione dei tassi di riferimento (quindi il tasso di aggiudicazione non rappresenta un tasso policy); ➢ Operazioni di regolazione puntuale, dette di “fine tuning”: si tratta di operazioni straordinarie che hanno l’obiettivo di attenuare gli effetti di fluttuazioni impreviste della liquidità sui tassi di interesse o, in casi estremi, di sostenere il regolare funzionamento dei mercati e fornire liquidità in circostanze eccezionali. Queste operazioni non hanno né frequenza né scadenza standardizzata e possono essere utilizzate sia per immettere sia per assorbire liquidità e possono assumere la forma contrattuale di operazioni temporanee, operazioni definitive, swap in valuta e raccolta di depositi a tempo determinato; ➢ Operazioni di tipo strutturale: sono utilizzate per correggere, mediante immissione o assorbimento, la posizione strutturale (cioè a lungo termine) di liquidità dell’Eurosistema nei confronti del sistema bancario. Queste operazioni non si susseguono secondo modalità e scadenze prestabilite e possono assumere la veste di: (1) operazioni temporanee di rifinanziamento; (2) emissioni di certificati di debito; (3) acquisti e vendite definitivi di titoli, 67 misura attuata nell’ambito degli interventi cosiddetti di “quantitative easing” (QE; “alleggerimento quantitativo"). • Operazioni su iniziativa delle controparti: così chiamate perché attivabili nei confronti dell’Eurosistema su iniziativa e a discrezione delle banche (quindi chieste al di fuori delle aste standard), assumono la veste, alternativamente, di: ➢ operazioni di rifinanziamento marginale, mediante le quali una banca (controparte), dietro prestazione di garanzie (titoli), si finanzia presso la propria BCN con scadenza overnight, pari a 1 giorno, a un tasso prestabilito denominato TRM (“Tasso di Rifinanziamento Marginale”); ➢ depositi overnight presso la banca centrale, mediante i quali una banca (controparte) deposita fondi presso la propria BCN con scadenza overnight a un tasso prestabilito denominato TDO (“tasso di deposito overnight”). Attualmente il TDO è negativo: ciò per incoraggiare i finanziamenti nell’economia reale e per scoraggiare il parcheggio di liquidità. Il tasso di rifinanziamento marginale e il tasso di deposito overnight sono, rispettivamente, più alti e più bassi, e quindi penalizzanti, rispetto ai corrispondenti tassi interbancari per la stessa scadenza poiché l’obiettivo della BCE è che le operazioni su iniziativa delle controparti vengano effettuate in una logica residuale, di “ultima istanza”. Determinando in questo modo il livello dei tassi, la BCE favorisce la maggiore efficienza del mercato interbancario ed evita che l’aggiustamento della posizione di liquidità del sistema determini repentine oscillazioni della base monetaria, la quale si modifica a fronte di qualsiasi operazione in contropartita con la banca centrale. I 3 tassi fissati dalla BCE (TRM, Tasso di Rifinanziamento Marginale; TDO, Tasso di Deposito Overnight; e il TRP, Tasso di Rifinanziamento Principale) assumono un forte valore “segnaletico” perché la loro variazione indica chiaramente l’orientamento delle Autorità monetarie: un rialzo indica una politica restrittiva e, al contrario, un ribasso una politica espansiva. In particolare, il TRM e il TDO determinano, rispettivamente, la soglia massima e la soglia minima del tasso interbancario overnight in quanto non è conveniente ricorrere al mercato se il tasso di finanziamento è superiore o se il tasso di deposito è inferiore. In questa logica, il corridoio dei tassi overnight misura l’ampiezza massima della banda di oscillazione dei tassi interbancari e il TRP, fissato dalla BCE al centro costituisce il tasso guida intorno al quale oscilla il tasso EONIA (cioè il tasso medio interbancario calcolato su un panel di banche di riferimento dell’area euro. • La riserva obbligatoria: La BCE impone alle istituzioni creditizie di mantenere, su conti aperti presso le BCN, un deposito, a titolo di riserva obbligatoria (ROB) calcolato su un aggregato di riferimento rappresentato dalla raccolta a breve o a medio termine a seconda della scadenza contrattuale o della durata del preavviso per l’estinzione anticipata. La riserva obbligatoria è “mobilizzabile” in quanto il rispetto dell’obbligo deve avvenire non in modo puntuale, ma con riferimento alla media dei saldi di fine giornata detenuti sul conto di riserva nell’arco di un periodo di mantenimento di circa un mese. In questo modo la banca può liberamente utilizzare l’intera riserva per tutto il periodo di mantenimento con il massimo di elasticità (es. se l’obbligo di assolvimento è pari a 1 milione di euro per 30 giorni, la banca può detenere: 30 milioni di euro per 1 giorno, con giacenza media pari a 1 milione di euro; 1 milione di euro per ognuno dei 30 giorni). Il meccanismo della mobilizzazione consente: ➢ alle banche di attingere dal proprio deposito obbligatorio i fondi necessari per coprire eventuali fabbisogni giornalieri senza ricorrere a finanziamenti interbancari o al credito di ultima istanza stabilizzando il tasso interbancario; ➢ alla BCE un migliore controllo dei tassi attraverso le operazioni di immissione di liquidità, poiché l’adempimento dell’obbligo di riserva “sottrae” risorse alla libera disponibilità delle banche ampliando il fabbisogno strutturale di liquidità del sistema bancario e accrescendo la “domanda di rifinanziamento”.
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