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Riassunto "Educatori e pedagogisti" di Vanna Iori, Sintesi del corso di Scienze dell'educazione

Il riassunto è estremamente chiaro, sintetico, compatto. Utilissimo ai fini dell'esame.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 02/07/2024

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10 documenti

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Scarica Riassunto "Educatori e pedagogisti" di Vanna Iori e più Sintesi del corso in PDF di Scienze dell'educazione solo su Docsity! EDUCATORI E PEDAGOGISTI TRA FORMAZIONE E AUTOFORMAZIONE: IDENTITA’, AZIONI, COMPETENZE E CONTESTI PER EDUCARE ALL’IMPREVEDIBILE 1. EDUCATORI PROFESSIONALI SOCIO – PEDAGOGICI E PEDAGOGSTI ABILITATI. SCENARI STORICO – SOCIALI, FORMATIVI E LEGISLATIVI TRA PASSATO E... FUTURO INTRODUZIONE Nel 2005 la Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e il Consiglio Europeo del 7 settembre hanno chiesto agli Stati membri di prendere i dovuti provvedimenti per adeguare le norme nazionali a quelle europee relativamente al riconoscimento delle qualifiche professionali. Anche l’Italia si è mossa in tal senso. La società italiana di Pedagogia SIPED, il 6 dicembre 2006 ha dato via a una Rete Nazionale per studiare la situazione delle professioni educative e formative in Italia incaricando il gruppo di ricerca pedagogica che già da tempo si occupava di studiare la realtà professionale di educatori e pedagogisti. All’interno della rete Siped si è costruito un modello di ricerca partecipativo riflessivo che il 16 Maggio 2008 si è formalizzato con la costituzione del Tavolo Permanente Nazionale sulle professioni educative. Tavolo che nel 2011 ha presentato la prima ricerca educativa strutturata sulla situazione nazionale di tali professioni relativamente alla formazione, accesso alla professione e riconoscimento giuridico. Una ricerca che si è concentrata su quale fosse, a livello di accesso alla professione, la situazione italiana. 1.1 CAMBIAMENTI SOCIALI E NUOVI BISOGNI EDUCATIVI DAGLI ANNI ‘60 IN POI Tra gli anni 60 e 70, all’indomani del conflitto mondiale, la popolazione italiana per cercare un lavoro che potesse garantire migliori condizioni di vita materiale e culturale si è spostata dalle campagne alle città. Questo determinerà un insieme di provvedimenti di riforma riguardanti il sistema d’istruzione, sanitario e pensionistico, gli ospedali psichiatrici, le carceri, la polizia, che determineranno un cambiamento notevole con la crescita della società civile, di quell’insieme cioè di strutture associative dalle più diverse finalità come testimonianza dell’avvenuta capacità di autonomia e iniziativa del corpo sociale. Tale processo di cambiamento, determinerà fiducia economica e positività sociale. Sarà dagli anni 90 in poi che l’avvicinarsi del nuovo millennio farà riflettere sulle incertezze che si stavano presentando. Incertezze queste dovute a una società che come diceva MORIN: “sembrava viaggiare spinta dalla propulsione di 4 motori scatenati: scienza, tecnica, industria, profitto. Una società che per questo si presenta complessa, problematica”. Società che il processo di globalizzazione, aveva incominciato a mettere in crisi insieme agli assetti societari, alle identità dei soggetti che ne facevano parte e ai relativi contesti educativi. Le trasformazioni stavano comportando per uomini e donne un mutamento dei valori e quindi dei quadri di riferimento della vita quotidiana nel contesto di una generale instabilità sociale e flessibilità professionale e residenziale. Un mutamento dei valori che si poteva ricondurre alla dominanza di orientamenti culturali basati sul primato dell’economico, sull’individualismo e sul razionalismo. Un mutamento di valori che stava portando a far sì che l’esclusiva esperienza personale stesse diventando, nella sua accezione più precaria, il metro della valutazione di sé e della propria realtà, e l’individuo l’unico e insindacabile giudice capace di dare valore a ciò che faceva, con l’ansia, però, di cogliere al volo la successiva esperienza che si rendeva possibile. Il soggetto, di fronte a questa situazione, è così diventato norma di sé stesso e ha tagliato ogni rapporto con un riferimento oggettivo, rendendo più difficile anche il suo processo di socializzazione. Un soggetto che, aveva finito lentamente per risolvere la ricerca della felicità umana esclusivamente all’interno dei gesti che connotavano il consumo quotidiano rispetto a quello delle informazioni e delle relazioni sociali. L’educazione, seguendo tali processi, aveva finito per concentrare il suo fulcro cruciale in un grande gioco di specchi che aveva trasformato il soggetto in oggetto e contemporaneamente il mondo degli oggetti un’estensione o proiezione dell’io. Un’educazione che era sembrata essersi ben organizzata intorno al consumo di massa e che da un lato aveva incoraggiato il narcisismo, che possiamo definire come una disposizione a vedere il mondo come uno specchio dei propri desideri e delle proprie paure, dall’altro aveva scoraggiato l’iniziativa personale e la fiducia in sé stessi, promuovendo dipendenza e passività con conseguenti atteggiamenti da spettatori sia nel lavoro che nel gioco. Un’educazione, cioè, accusata di aver smarrito il suo senso e cioè l’interrogativo sul significato dell’essere e dell’agire umano. Il risultato di tale processo è stato uno sviluppo diseguale non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale, politico, educativo e formativo. Disuguaglianze che si andavano ampliando insieme alla povertà ed esclusione sociale che già si potevano rilevare dalla distanza crescente tra paesi sottosviluppati e paesi sovrasviluppati, dalla diminuzione dei salari nei settori tradizionali, nei settori di punta del mondo rurale, urbano e industriale. Disuguaglianze che fin dall’inizio dei cambiamenti sociali avevano richiesto la presenza di professionisti dell’educazione capaci mettersi al servizio, in tutti i contesti educativi, di una società che se da un lato veniva sempre più sopraffatta da avvenimenti imprevisti, dall’altro cercava di legittimare pratiche educative di conoscenza, di ricerca, di comunicazione, di trattamento. L’educazione, durante tali cambiamenti è stata usata spesso come strumento per mantenere lo status quo, consolidando processi educativi ritenuti buoni. Per questo la pedagogia, di fronte a questi continui cambiamenti strutturali e culturali della società, ha dovuto o fare i conti con i nuovi bisogni educativi che emergevano dalla modificazione degli stili di pensiero, dalle esigenze del mercato della conoscenza, dalle tecnologie sempre più avanzate, da ambienti sempre meno controllabili, ricercando strategie educative e formative in grado di mettere in condizione bambini, uomini e donne di gestirli, o ignorare tutto questo e accettare di vedere lentamente erodere la propria finalità educativa etico – socio – culturale che tanto l’aveva caratterizzata in altre epoche storiche e condividere l’idea di chi in molti casi ne aveva dichiarata la morte. Ha dovuto, cioè, modificare il suo sapere – agire professionale ascoltando i nuovi bisogni che emergevano e ripensando le azioni che i professionisti dovevano mettere in campo. 1.2 IERI. DAGLI ANNI 60 AGLI ANNI 90: PERCHE’, QUANDO E DOVE EDUCATORI E PEDAGOGISTI I nuovi bisogni educativi emergendo con irruenza tra gli anni 60 e l’avvio negli anni 70, quando cioè le rivendicazioni sociali e politiche avevano determinato importanti riforme scolastiche, richiederanno la presenza di educatori esperti. Saranno enti quali UNLA, la Società Umanitaria, FIRAS (ente privato) e i Centri Sociali sorti nel dopoguerra che cercheranno di farvi fronte attraverso un’offerta educativa in quel periodo denominata extrascolastica. Anche se alle soglie degli anni 70 la scuola conserverà ancora da sola tutto il carico sociale e politico dell’educazione delle giovani generazioni, sarà in questo periodo che a livello nazionale si comincerà a parlare di educazione permanente e lifelong learning e dunque della necessità di andare oltre l’idea scolastica dell’educazione per pensare a qualcosa di più complesso, unitario e globale che comprendesse il soggetto e la sua comunità. Dunque, anche figure professionali in grado di trovare risposte ai cambiamenti sociali, economici e lavorativi che si stavano sempre più velocemente determinando. Ecco che in questi anni la richiesta di educatori professionali extrascolastici, insieme al decentramento dei poteri dello Stato, alla nascita delle Regioni, alle comunità montane, ai distretti scolastici, porterà a evidenziare la necessità di: o Sperimentare metodi e approcci educativi e apprenditivi nuovi rispetto alle collettività locali; o Definire e formare nuovi profili professionali degli educatori locali rispondenti alle emergenti domande educative provenienti dal sociale, dall’assistenziale e dal sanitario (lavoro, droga, devianza, handicap); o Rifondare la stessa didattica scolastica; o Tentare l’approccio globale alle collettività locali per coinvolgerle con un metodo partecipativo nella propria autoeducazione. Sarà questo il salto che permetterà il passaggio dall’idea di educazione permanente nata inizialmente solo per fronteggiare le problematiche legate all’educazione popolare e dunque degli adulti, a quella di educazione permanente diretta a tutte le classi di età, a tutti e a ciascuno, alla scuola e alla famiglia, alla fabbrica e al quartiere. A seguito del decentramento, gli enti locali, tra gli anni 70 e 80, si vedranno attribuire, con inserimenti selvaggi e senza alcuna programmazione, educatori e/o operatori provenienti dallo scioglimento di molti dei suddetti enti privati o dal trasferimento di altri o da situazioni di volontariato laico o religioso tipiche degli anni 60. Mancando una comune provenienza formativa, veniva meno la piena condivisione del profilo professionale. Per Queste anomali hanno portato la ricerca Prin a concentrarsi su un terzo focus: il riconoscimento giuridico dei professionisti dell’educazione per ipotizzare una proposta di legge in grado di differenziare nelle funzioni i due profili di educatore socio – sanitario e socio – pedagogico. Il 13 e il 14 Maggio 2010 a Bari presso la facoltà di Scienze della formazione, in occasione del 2 Convegno Nazionale Prin “Professionisti dell’educazione e della formazione” viene presentata la proposta elaborata e viene consegnata al direttivo Siped. Cosa è successo da quel momento in poi? Ben poco fino al 2016. Unico elemento positivo, nella stagnante situazione legislativa italiana che si era venuta a creare per il mancato adeguamento delle qualifiche professionali e delle professioni alla normativa europea, è stata la proposta di legge contenente “Disposizioni in materia di professioni associative”, presentata il 30 novembre 2010 per iniziativa di alcuni deputati. Proposta sfociata poi con molta fatica nella Legge del 14 gennaio 2013 n.4, “Disposizioni in materia di professioni non organizzate”. L’importanza di questa legge è che si sviluppa su 3 punti cardine: le associazioni, le forme aggregative, la certificazione. Il suo aspetto più rilevante si basa sull’aver creato finalmente, nell’ordinamento italiano, il secondo pilastro di un sistema professionale che, accanto agli ordini, prevedeva e prevede le professioni non regolamentate e dunque le associazioni professionali, cioè soggetti privati con compito di promuovere e valorizzare le competenze dei professionisti che volontariamente vi aderiscono. Tutta la nuova normativa ha attribuito loro il compito di valorizzare le competenze degli associati, diffondere il rispetto di regole deontologiche, favorire la possibilità di scelta e la tutela degli utenti e il rispetto delle regole sulla concorrenza. Altro aspetto importante è l’attenzione che tale legge presta agli standard qualitativi e alla qualificazione professionale innovativa, che prevedono la costituzione di organismi di certificazione della conformità, e che possono rilasciare, su richiesta del singolo professionista, il certificato di conformità alla norma tecnica UNI (organismo che si occupa di predisporre manuali delle norme tecniche per attestazione e certificazione di qualità) definita per la singola professione. La stessa legge, però, non ha risolto il problema della doppia figura e l’anomalia causata dalla differente formazione e accesso alla professione. Cosa che incomincerà a causare, ai professionisti dell’educazione di provenienza pedagogica, pesanti problemi d’identità professionale, e alle facoltà di Scienze della formazione e ai suoi corsi di laurea, la difficoltà di garantire l’accesso professionale che l’offerta formativa dei corsi di studio, nel rispetto delle indicazioni del Miur, prevedeva e ancora oggi prevede. 1.5 LE LEGGI 205/17 E 145/18: IL RICONOSCIMENTO GIURIDICO DI EDUCATORI E PEDAGOGISTI Con la 17esima legislatura nel 2017 le cose cambiano. Le nomine in Parlamento di Vanna Iori e Milena Santerini, ci permetteranno di poter riportare all’attenzione governativa i problemi dell’accesso alla professione di educatori e pedagogisti. Vanna Iori nel Luglio 2014 formulerà la proposta di legge 2656 “Disciplina delle professioni di educatore professionale socio – pedagogico e pedagogista”. Proposta che approdata in Parlamento sarà unificata con la proposta 3247 dell’onorevole Binetti relativa all’ “educatore professionale sanitario”. La proposta di legge, finalmente, mirava a far chiarezza su entrambe le professioni. Analizziamo gli articoli: Articolo 1: individua l’oggetto della legge, e ne indicava la formazione universitaria, le competenze, il titolo, la qualificazione, l’accesso al lavoro e formazione continua. L’importanza di questo articolo è che entrambe le figure accanto al titolo di educatore acquisivano la qualifica di professionale e che le denominazioni socio – pedagogico e socio – sanitario ne definivano le appartenenze. Articolo 2: specificava le figure dell’educatore e del pedagogista Articoli 3 – 4: individuavano gli ambiti di intervento dell’educatore e del pedagogista, nonché i servizi, le organizzazioni e gli istituiti di esercizio dell’attività professionale. Articoli 5 – 8: riguardavano unicamente la figura professionale dell’educatore. Articoli 9 – 12: riguardavano la figura del pedagogista. Articoli 6 e 10: individuavano le competenze rispettivamente dell’educatore e del pedagogista, elencando poi le attività che ciascuna delle due figure professionali era chiamata a svolgere. Articoli 7 e 11: regolamentavano la formazione universitaria dell’educatore e del pedagogista. La qualifica di educatore professionale socio – pedagogico era attribuita a seguito del rilascio del diploma di un Corso di laurea della classe di laurea CL – 19 Scienze dell’educazione e della formazione. La qualifica di educatore professionale socio – sanitario veniva attribuita a seguito del rilascio del diploma di laurea abilitante di un corso di laurea della classe L/SNT - 2 delle professioni sanitarie dell’area della riabilitazione. La qualifica di pedagogista veniva attribuita a seguito del rilascio di un diploma di laurea abilitante nelle classi di laurea magistrale LM – 50 Programmazione e gestione dei servizi educativi, LM – 57 Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua, LM – 85 Scienze Pedagogiche, LM – 93 Teorie e Metodologie do/e learning e della media education. Articoli 8 e 12: disciplinavano l’esercizio dell’attività delle figure professionali in oggetto. Articolo 13: imponeva ai corsi di laurea afferenti alle classi di laurea triennali e magistrali di uniformare il titolo e l’indirizzo del corso, il profilo, il curricolo formativo. Articolo 14: disciplinava i corsi post-laurea. Articolo 15: specificava che i relativi titoli dovevano essere registrati negli elenchi e nelle banche dati degli enti e organismi nazionali e regionali deputati alla classificazione, declaratoria, accreditamento delle professioni nonché nel repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualifiche professionali. Articolo 16: dettava le norme transitorie. Dunque una proposta di legge che faceva chiarezza sulla loro identità professionale e, attraverso gli articoli, ne declinava ruoli, funzioni, competenze, ambienti di lavoro, accesso alla professione. Cosa è successo di tale proposta? Se la proposta di legge finalmente viene licenziata dal Parlamento il 21 giugno 2016 e arriva in Senato con il n.2433, qui purtroppo si arena e rischia di non avere alcun seguito in quanto la legislatura è al suo termine. Ecco che, grazie all’impegno politico sempre della Iori, la legge del 27 Dicembre 2017 n. 205 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018”, all’articolo 1, commi 594 – 601, inserisce, in forma sintetica, la regolamentazione di educatori e pedagogisti. Classifica tali professionisti per IDENTITA’ (educatore professionale socio – pedagogico e pedagogista), per AMBITI in cui possono esercitare attività educative suddivisi per beneficiari (infanzia, adolescenza, età adulta), per dimensioni o SETTORI dell’esperienza dei beneficiari (ambito scolastico, sociale, del welfare, culturale), per FORMAZIONE UNIVERSITARIA E POST-UNIVERSITARIA, per COMPETENZE secondo le qualifiche europee, per ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE e per COLLOCAZIONE PROFESSIONALE. La legge n. 205/17 ripropone in forma sintetica, la proposta di legge 2656 e rappresenta un primo traguardo importante per educatori e pedagogisti. Inoltre, nella legge di bilancio n. 145 del 30 dicembre 2018, all’articolo 1, comma 517, troviamo: “l’educatore professionale socio – pedagogico può esercitare la propria professione anche nei servizi socio – assistenziali e nei servizi e nei presidi socio – sanitari limitamente agli aspetti socio – educativi”. Le ragioni di tale ulteriore riconoscimento le troviamo in una serie di elementi: • PRIMO ELEMENTO: scaturisce dal fatto che questa figura risponde a una situazione lavorativa ampiamente presente nei territori già dagli anni 60. I corsi di laurea che laureavano e laureano il pedagogista, prevedevano la possibilità di lavorare nei settori socio – sanitari sempre limitamente agli aspetti socio – educativi. Questo ha fatto sì che negli ultimi 30 anni oltre 120000 tra educatori socio – pedagogici e pedagogisti, siano stati assunti. Questi contro i soli 7000 laureati oggi presenti nelle classi sanitarie. Se tale emendamento, dunque, non fosse passato, molti di questi pedagogisti sarebbero stati licenziati e molti servizi sarebbero stati messi in difficoltà perché privi di professionisti preparati. • SECONDO ELEMENTO: è dovuto al fatto che essendo il numero dei laureati nella Facoltà di Medicina esiguo, se non si fosse corretta tale situazione, molti centri socio – sanitari avrebbero rischiato di rimanere privi di personale qualificato. • TERZO ELEMENTO: lo troviamo in una sentenza che chiarifica ulteriormente le ragioni di questa approvazione anche da un punto di vista epistemologico. Tale sentenza ha affermato: • Non vi è alcuna usurpazione da parte dei soggetti con formazione universitaria dei compiti terapeutici dell’educatore professionale; • L’inclusione, nell’ambito del progetto individuale, di valutazioni diagnostico – funzionali, non esautora dallo svolgimento dei restanti compiti di assistenza integrata i soggetti non appartenenti alle professioni sanitarie; • Il bando di gara non esclude che per i soggetti in condizione di più grave disabilità sia previsto un più intenso e assiduo intervento dell’operatore sanitario; • Non si esclude che nell’organico degli aspiranti all’affidamento dei servizi educativi socio – assistenziali, psicologici e altro presso i CDD debbano essere presenti educatori professionali con diploma triennale. Due leggi dunque (205/17 e 145/2018) rappresentano un traguardo importante per tutta la comunità pedagogica. Un ulteriore cambiamento: D.L n.65 del 13 aprile 2017 che delibera che a decorrere dall’anno scolastico 20019-2020 l’accesso ai posti di educatore di servizi per l’infanzia è consentito esclusivamente a coloro che sono in possesso della laurea triennale in Scienze dell’educazione CL-19 indirizzo specifico per educatori dei servizi per l’infanzia. Nonostante tutto, molte sono ancora le anomalie presenti. 1.6 IL LAVORO DEL CONCLEP E NON SOLO: TRA UN’ANOMALIA E L’ALTRA SI STA RAGGIUNGENDO L’OBIETTIVO La Conferenza Nazionale dei Direttori di Dipartimento (CUNSF) in Scienze della Formazione e la Società Siped (Società Italiana di Pedagogia) hanno inserito, tra le loro azioni politiche e cultuali, azioni di sostegno al processo di sviluppo legislativo, formativo e professionale di tali figure. CUNSF ha costituito nel 2016 il CONCLEP (Coordinamento Nazionale dei Coordinatori dei CCdl della filiera educatore – pedagogista) proprio per farne una riflessione e un’azione comune. Nel 2019 la Federazione Nazionale Ordini Professionali TSRM, ha emanato la circolare n.87/2019, conosciuta come PRIMA CIRCOLARE BEUX, dal nome del suo Presidente firmatario, attraverso cui ha fatto intendere che tutti gli educatori, avrebbero dovuto iscriversi agli Elenchi speciali a esaurimento entro il 31/12/2019, pena la denuncia di esercizio abusivo della professione. Ma soprattutto ha sostenuto che nei servizi socio – assistenziali e socio – sanitari avrebbero potuto lavorare solo gli iscritti al corso di laurea in medicina, ignorando totalmente quanto approvato dalle due leggi. Di qui il forte allarme e disorientamento tra le associazioni professionali degli educatori socio – pedagogici e pedagogisti, dei datori di lavoro e delle cooperative. Le cause di questo equivoco le troviamo nell’applicazione di leggi e decreti del settore sanitario quali: o LEGGE N.3 DELL’11 GENNAIO 2018, DISPOSIZIONI PER IL RIORDINO DELLE PROFESSIONI SANITARIE: conosciuta come Legge Lorenzin, che ha istituito gli albi professionali per 19 figure, compresa quella dell’educatore professionale. PRIMA ANOMALIA: questa denominazione era stata modificata dalla legge di bilancio 205/17 che all’articolo 1 l’aveva sostituita con educatore professionale socio – sanitario, aspetto che in tale legge non viene né rispettato né considerato. o DECRETO ATTUATIVO DEL 09/08/2018 DELLA LEGGE N. 3/2018, DECRETO GRILLO: ha attivato gli Albi delle 19 figure sanitarie, tra cui l’educatore professionale. SECONDA ANOMALIA: tali elenchi speciali, si riferivano a chi non aveva i titoli corretti e lavorava già nell’ambito sanitario con funzioni sanitarie e socio – sanitarie. Per la legge n.205/2017 e il comma 517 della legge n.415/18, questo non riguardava i laureati nelle classi pedagogiche, ma la circolare Beux. Tutto questo ha portato alla SECONDA CIRCOLARE BEUX del 23/12/2019 che pur avendo riconosciuto la funzione delle due leggi sugli educatori socio – pedagogici, ha invocato un urgente intervento interministeriale, a opera del Ministero della Salute e del Miur, finalizzato a definire le attività che, nella complessa realtà operativa delle strutture socio – sanitarie possono essere espletate anche dall’educatore professionale socio – pedagogico. Il Covid-19 prorogando l’iscrizione agli albi professionali al 30 giugno 2020, ha concesso un po' di tempo per riflettere e trovare soluzioni. In realtà passato il 30 giugno 2020, i problemi sono rimasti immutati, anzi sono cresciuti. 1.7 L’ARTICOLO 33-BIS DEL D.L. 14 AGOSTO 2020, N.104: LE FUNZIONI E IL RUOLO DELL’EDUCATORE SOCIO – PEDAGOGICO NEI PRESIDI SOCIO – SANITARI E DELLA SALUTE Le funzioni dell’educatore socio – pedagogico, svolte in collaborazione con altre figure socio – sanitarie fanno riferimento alle seguenti attività professionali: all’educazione, tali valori possono essere compresi, accettati o negati attraverso la realizzazione di un proprio progetto di vita. Importante è considerare che sempre l’educazione si svolge hic et nunc: è la collocazione spazio temporale a dimensionare l’educazione, a fare dell’uomo un educando sempre in situazione e determinarne il cambiamento. Si tratta, attraverso l’azione professionale, di conciliare due componenti del concetto di educazione: o La componente di riduzione: vuole precisare il significato empirico o La componente metafisica: esprime il senso umano del termine Quando si parla di EDUCAZIONE si pensa all’orizzonte aperto dell’avventura umana, allo sviluppo di tutto il potenziale educativo che ogni persona attende di attuare attraverso processi di sviluppo che la orientino, sorreggano, alimentino di cultura, di significati, di valori. Quando si pensa alla FORMAZIONE sempre più spesso si mira a indicare quel processo che porta ad apprendere quanto è necessario per svolgere un ruolo particolare a seguito dell’interazione con l’ambiente, della partecipazione al patrimonio sociale di cultura, della mediazione e del sostegno di figure e istituzioni appositamente deputate (famiglia, scuola, chiesa). Possiamo dire che l’educazione rappresenta la componente metafisica; la formazione la parte empirica. Ecco allora che l’educazione si realizza tramite la formazione. La pedagogia, essendo l’unica scienza che ha per oggetto specifico l’educazione, quando parla di formazione, non può che farlo in modo educativo. Ecco perché oggi la pedagogia, quando parla di formazione, unisce sempre più le sue due radici etimologiche: quella greca che rinvia a MORPHE e che contiene in sé l’idea di un modo di essere, e quella latina FORMA che include l’idea di un’azione esercitata su qualcuno, in un determinato tempo e spazio, per un particolare obiettivo. Quindi si presenta come un percorso evolutivo in cui le relazioni interpersonali non sono occasionali ma intenzionali e per questo finalizzate a scopi di sviluppo della personalità di coloro che entrano in reciproco rapporto tramite lo scambio di conoscenze, di comportamenti, di valori, di sentimenti. È in quest’ottica che in pedagogia l’azione formativa si presenta anche come educativa, divenendone l’oggetto specifico, cioè in quello che attraverso il prendersi cura, vorrebbero che un soggetto, una comunità fosse o divenisse, anche se si differenziano nel percorso. Questo perché, mentre l’educazione tende a raggiungere uno scopo, una meta, la formazione è resa possibile solo attraverso la progressione dinamica e la proceduralità offerte dalle tappe formative. 2.1.3 I COSTRUTTI DEL SAPER AGIRE PEDAGOGICO: L’AVER CURA E LA RELAZIONE EDUCATIVA La formazione educante può realizzarsi solo attraverso il prendersi cura, e deve essere letta come presidio dei processi di creazione e di sviluppo della conoscenza attraverso cui la persona, elabora mission e vision della propria esistenza, individua gli scopi e gli obiettivi da raggiungere senza mai dimenticare i valori da condividere e da far condividere. Una formazione che attraverso la cura dell’altro, nel senso di BILDUNG, può permettere a tutti i soggetti, pur in una realtà sociale così complessa, di trovare una propria dimensione identitaria. Una formazione educante che attraverso la cura dell’altro deve spingere il soggetto a progettare il proprio senso e il proprio cammino della vita nella tensione tra conoscenza di sé e costruzione di sé. BILDUNG, dunque, come disposizione spirituale che attraverso l’esperienza, la conoscenza e il sentimento, producono apprendimento. Una BILDUNG che sta a significare processo dialettico del confronto tra l’uomo e l’altro uomo, tra l’uomo e il mondo, tra la propria e l’altrui cultura, in modo che ogni soggetto venga messo nella condizione di prendere le distanze dal suo egocentrismo naturale per aprirsi agli altri, al mondo e trovare sé stesso quale unità personale in termini spaziali e temporali. BILDUNG come processo formativo educante, processo di integrale sviluppo personale che rappresenta l’immagine umana ideale, la cultura che umanizza e l’azione di umanizzazione attraverso tale cultura. BILDUNG intesa come realtà educativa e apprendimento significativo. È questa la specificità dei professionisti dell’educazione: quella di operare nella direzione della formazione educate intesa come BILDUNG che, deve far sì che ogni soggetto ripartendo dalla sua esperienza, riscopra se stesso e si progetti in continuo movimento. Ed ecco che l’aver cura si esprime per mezzo della relazione educativa. BUBER a tal proposito dice che “non vi è un io in sè ma solo l’io della coppia IO – TU e l’io della coppia IO – ESSO. La relazione con l’altro serve all’io per potersi realizzare. Ed è la relazione intesa in questo modo che può fondare un nuovo modo di essere. L’essere che non è dell’io né del tu, ma l’essere che è TRA, della reciprocità, dell’integrarsi con l’altro. Per MOUNIER la relazione è l’esperienza fondamentale della persona, dal momento che gli altri non la limitano ma le permettono di svilupparsi. L’atto primo della persona è quello di suscitare insieme agli altri una società di persone, una comunità, in cui le strutture, i costumi, i sentimenti e infine le istituzioni siano contraddistinti dalla loro natura di persone. 2.1.4 DAI COSTRUTTI ALLE PRATICHE: LE COMPETENZE RELAZIONALI La relazione educativa, attraverso il prendersi cura dell’altro mira a coltivare l’umanità che è presente in ogni soggetto per consentire a ogni persona di essere capace di definire e attuare un progetto personale e comune di vita sostenuto dal concetto di democrazia. ASPETTI SIGNIFICATIVI DELLA RELAZIONE: • GENUINITA’: essere sé stessi e rinunciare a recitare un ruolo o ad indossare una maschera • ACCETTAZIONE: valorizzare l’altro e le sue positività • COMPRENSIONE EMPATICA: sapersi mettere nei panni dell’altro • LIBERTA’: creare un contesto che possa soddisfare pienamente i bisogni Se in una relazione si vuole veramente comprendere l’altro, occorre disporsi all’ascolto attraverso una qualità dell’attenzione che consenta di essere con sé stessi ma allo stesso tempo con l’altro. Una capacità di ENTROPATIA RIFLESSA per cui nell’ascolto ci si scopre in grado di mettere non solo l’altro a una certa distanza senza smarrirlo, ma anche se stessi, i propri pensieri, i contenuti emotivi, le proprie proiezioni e identificazioni, i propri valori, i propri pregiudizi. Per acquisire tali capacità è necessario un vero rovesciamento di cultura e di mentalità che va dalla conoscenza alla responsabilità, dall’io sono all’eccomi. Esso deve essere un nuovo modo di agire, nel confronto delle cose. Non deve essere un di più che si concede, ma deve essere il modo di pensare e di fare. CAPACITA’ RELAZIONALI: - Osservare; - Ascoltare; - Sentire gli altri e se stessi; - Comunicare; - Avere pazienza; - Essere tolleranti verso se stessi; - Contenere l’ansia; - Apprendere dall’esperienza; - Cambiare La relazione educativa non è valutabile al di fuori dello spazio interattivo dei due soggetti e dal tempo che lo scandisce e quella intersoggettiva costituisce un terreno di verifica per la propria maturità e occasione concreta per scambi affettivi, sociali e professionali. Di qui le COMPETENZE PROFESSIONALI: 1. SAPER ANALIZZARE i rapporti che strutturano un dato evento 2. SAPER DISPORSI a ricostruire concettualmente quella situazione 3. SAPER CERCARE LA RES, cioè l’elemento, il contenuto che tiene insieme le parti 4. SAPER FAR TESORO della complessità delle situazioni 5. SAPER DIALOGARE e ascoltare promuovendo la reciprocità 6. SAPER ACCETTARE L’ALTRO con le sue diversità e modi di essere e pensare Per cui la RELAZIONE EDUCATIVA SI PRENDE CURA DELL’ALTRO attraverso una serie di atti originali che non hanno equivalente nell’universo e che consistono nella capacità professionale di: • USCIRE DA SÉ: sapersi distaccare da sé stessi per diventare disponibile verso gli altri. Saper combattere l’amor proprio, l’egocentrismo, il narcisismo, a favore di una positiva apertura verso l’altro; • COMPRENDERE: porsi dal punto di vista dell’altro Abbracciare la singolarità dell’altro in un atto di accettazione e accoglienza in uno sforzo di fusione. • DARE: essere in grado di avere la forza viva dello slancio personale che non è rivendicazione né lotta all’ultimo sangue, ma generosità e gratuità. Sono queste azioni che permettono ad un professionista pedagogico di essere e di essere con gli altri per realizzare una comunità educante in cui l’integrazione è l’atto costitutivo e la realizzazione della democrazia l’obiettivo primario. 2.2 UN DIVERSO AGIRE PEDAGOGICO PER UNA NUOVA COMUNITA’ EDUCANTE. RIPARTIAO DALLA POLITICA E DAL CONCETTO DI DEMOCRAZIA Se l’educazione e la formazione rimangono patrimonio per tutti e per tutte, aperte a tutte le categorie, è necessario mantenere alti i livelli di educazione alla democrazia, di una istruzione aperta alle differenze, di un lavoro formativo svolto guardando a una società futura più uguale e inclusiva. Tali livelli richiedono una particolare attenzione chiamando sempre più in causa l’impegno politico da parte della pedagogia. Infatti, la funzione originaria della politica, che consiste nella sua capacità di gestire il potere non per sé stesso ma in vista del raggiungimento del massimo possibile di qualità positiva della vita per il maggior numero di cittadini del mondo, lentamente è venuta meno. Tale funzione, interpretata la meglio dall’idea di democrazia, in quanto racchiude in sé uguaglianza, fraternità e libertà. Oggi è in crisi perché ha perso per strada le sue costitutive ragioni d’essere. Si è ridotta a una ricerca del potere per il potere, inducendo al fallimento molti concreti sistemi democratici. Essa presenta delle dissonanze. Tali dissonanze le rileviamo in relazione all’etica politica. Questa, che si fonda sui diritti umani, nel senso che l’esercizio del potere, è predeterminato a funzioni di garanzia e di soddisfacimento di quei bisogni vitali, materiali e spirituali che il legislatore riconosce come diritti fondamenti e opera per contribuire a colmare le disuguaglianze economiche e sociali, sempre più spesso viene disattesa. Così se andiamo oltre le costruzioni tecnico – giuridiche dei diritti umani possiamo rilevare come emergano subito dei paradossi: • Il primo paradosso sta nell’evidenza che i diritti umani non sono solo di tutti i popoli ma di tutte le persone e, soprattutto, di quelle in minoranza. Oggi è necessario ripartire dal concetto di persona e di comunità per sostenere le lotte giuridiche, sociali, politiche, culturali per la promozione e il riconoscimento della dignità umana e leggere correttamente i bisogni sociali espressi, da ogni soggetto perché la politica disponga e persegua itinerari consapevoli per l’integrazione e/o la realizzazione di tutti i soggetti, e non solo di alcuni. • Il secondo paradosso nasce dalla constatazione che, pur attribuendo alla persona dignità umana, riconoscimento e rispetto non coincidono. Per rispettare la dignità umana non è sufficiente attribuirla, ma è necessario un processo socioeducativo che guidi l’uomo verso una continua problematizzazione delle scelte che deve compiere. Di qui la necessità di un intervento educativo capace di portare la politica a superare l’idea di tipo assistenziale per realizzare una di tipo integrativo impregnata di rilevanza etica e di implicazioni di carattere sociale, culturale, politico. Nell’accezione comune quando si parla di etica, si allude a quella scienza che interroga e si interroga sui valori che presiedono la vita dell’uomo. Ma essendo l’uomo un essere per, un essere con, ogni assunto etico va commisurato in relazione a sé, agli altri, al mondo. Di qui la triplice funzione dell’etica: 1. È indicativa di valori e di orientamenti generali; 2. Ha compiti interpretativi e valutativi circa l’esistente; 3. È normativa per la prassi personale e sociale. Essa, dunque, non intende separare i problemi dell’uomo da quelli della società, ma coinvolge anche l’interpretazione che l’uomo deve porsi della realtà. L’agire pedagogico deve invitare a una riflessione politica e culturale sui temi dei diritti umani. L’educazione alla cittadinanza democratica rappresenta oggi uno degli elementi irrinunciabili della conoscenza e dell’impegno educativo ed è una responsabilità di chi educa far conoscere e discutere con i giovani e le tematiche etico – politiche del nostro presente: pace, sostenibilità, ecologia, antiche e nuove povertà, diritti umani fondamentali. Per GARDNER non si apprende se non attraverso un contesto che si fa buono, cioè etico; un contesto in cui le persone hanno il diritto di capire perché fanno/imparano ciò che fanno e come questa conoscenza possa essere messa al servizio di fini costruttivi. È tale complessità che porta a ripensare il sistema culturale – sociale attraverso un MODELLO FORMATIVO EDUCANTE, in prospettiva SISTEMICO – RELAZIONALE. Un modello in prospettiva sistemica perché la nozione stessa di “sistema” implica in sé stessa dinamicità, evolutività che si forma e deforma in continuazione proprio per le imprevedibilità che la vita stessa presenta. Analizzare la formazione educante in prospettiva sistemica significa riconoscerla come entità composta di elementi interdipendenti e concatenati. Poiché il sistema è un costrutto e come ogni costrutto dipende sempre dal costruttore e dalla sua storia, qualsiasi educatore, in quanto pensatore, non può sottrarsi alla regola di includersi con la sua storia, in quanto va pensando e progettando. Un modello formativo educante, dunque, in prospettiva relazionale perché se il soggetto è una persona in relazione, la relazionalità nasce dalla considerazione che il mondo non può essere pensato che come confronto tra soggetti che pensano il mondo ricorrendo a convenzioni e criteri funzionali. Il modello formativo – educante – sistemico – relazionale, pertanto, non può essere che caratterizzato da intenzionalità, contestualità, asimmetria. L’intenzionalità implica che tale relazionalità non può essere affidata all’improvvisazione, ma deve scaturire da scelte, strategie e valori. Implica che il mondo è pensato da un soggetto che si colloca con il suo vissuto nel processo cognitivo che realizza. L’azione educativa deve essere intesa nella sua funzione di concorrere alla realizzazione del progetto pedagogico. Progetto che si limita a essere una tappa essenziale che il soggetto in formazione deve raggiungere se vuole, operare la scelta di un su progetto storico. Progetto storico inteso come ermeneutica personale basata sia sulla valutazione delle condizioni storiche, che sulle sue esigenze e scelte valoriali personali. Genitori, insegnanti, educatori e pedagogisti devono pensare il loro processo formativo educante che non si può limitare unicamente alla scelta tra una serie di oggetti di valore offerti, ma deve far riferimento a una libertà che include motivazioni e scelte che richiedono una identità precisa perché il rapporto che instaurano sia edificante, cioè costruttivo, orientativo e di senso. Per questo tale rapporto deve essere ASIMMETRICO perché altrimenti non si giustificherebbe la sua funzione educativa: età, conoscenze e maturità personali dell’educatore rispetto all’educando. Non si educa se non ci si pone su livelli diversi sono, i livelli della realtà e della responsabilità. La relazione ASIMMETRICA è educativa perché lo scambio si deve realizzare nel rispetto dei ritmi e degli spazi del dare e del ricevere. Nella specializzazione che caratterizza oggi il sapere – agire pedagogico, esso si pone come un progetto che si approccia con l’intento di: • INTERPRETARLO, cioè fermarsi a riflettere sui dati rilevati, sul farsi dell’educazione, per metterne in risalto i significati, le particolarità, le modalità procedurali; • CONOSCERLO, attraverso l’osservazione cioè di vedere in che modo si educa in determinati contesti, rilevare quella pedagogia implicita, che qualifica particolari ambiti educativi anche quando in essi non c’è consapevolezza; • ORIENTARLO, in base alle categorie interpretative; • VALUTARLO, in base alla stretta correlazione tra il modo di mostrarsi dell’educazione egli obiettivi perseguiti e conseguiti. • PROGETTARLO, in base al suo agire in relazione che, facendo sintesi degli altri saperi, diviene trans – formativo delle situazioni e in quanto tale intenzionalmente orientato al cambiamento. Per questo l’agire pedagogico attraverso la riflessione educativa può orientare la sua azione verso l’acquisizione della consapevolezza di questa sua possibilità. 2.4 LA PEDAGOGIA IN CAMMINO PER … TRANS – FORMARE Ecco che il rapporto teoria – prassi lentamente si è venuto a costituire come uno dei nodi problematici della epistemologia pedagogica ma anche e soprattutto dei professionisti pedagogici che operano sul campo poiché il passaggio tra teoria e prassi e viceversa implica la transizione dal paradigma della conoscenza contemplativa a quella della conoscenza attiva. Possiamo dire che oggi la pedagogia ha definito i confini della sua epistemologia? No. Quest’epoca storica definita post – umana la porta di nuovo ad interrogarsi sugli scenari educativi e sulla sua stessa epistemologia. Il post – umanesimo inaugurando una prospettiva il cui focus è quello di ridefinire l’umano in senso plastico, dinamico, relazionale, ibridativo, porta a una visione in cui l’umano perde la totale preminenza ontologica, epistemologica, etica sul non umano e viene interpretato come un prodotto storico mutevole. Il post – umanesimo, modifica l’unità di analisi che non è più l’uomo o il non umano, la natura o la cultura, il biologico o l’artificiale, ma tutto ciò che passa e succede tra di essi. 3. IL FORMARE E IL FORMARSI DEI PROFESSIONISTI PEDAGOGICI. DALLA TRASMISSIONE DEL SAPERE ALL’APPRENDIMENTO DEL PROGETTO ESISTENZIALE DI LIFEDEEP LEARNING Introduzione Ciò che si presenta sempre più incerto, il formare e il formarsi dei soggetti, doveva cambiare approccio pedagogico. Ma quale la logica da seguire? Sicuramente la logica dello stato progetto, cioè la logica di chi pensa a una progettazione esistenziale che crede nel soggetto, adulto o minore che sia, nonostante la condizione difficile nella quale si trova; di chi pensa a una progettazione educativa che, credendo nell’uomo, nelle sue capacità di affrontare e risolvere problemi, può condurlo all’elaborazione di progetti di vita. Una logica emersa con il lifelong learning che, mirano a un’educazione per tutti, ha fatto sì che il processo formativo perdesse le caratteristiche di un approccio mono – disciplinare e si avvicinasse ai processi formativi reali per comprenderli nella loro globalità. Si avvicinasse cioè ai soggetti e alle loro modalità apprenditive. 3.1 L’EDUCAZIONE PERMANENTE COME SPINTA AL CAMBIAMENTO DI ROTTA FORMATIVA: L’APPRENDIMENTO La necessità di cambiare rotta al modello formativo dell’educazione compare quando le trasformazioni sociali dovute alla guerra e alla contestazione del 68, dovendo garantire a tutte le persone, minori e adulti, i loro diritti di cittadini partecipi alla vita comunitaria, hanno riconsiderato le pratiche, le politiche e le teorie riguardanti la formazione. Tale processo di riconsiderazione denominato di lifelong learning (apprendimento permanente) si svilupperà in tre periodi: 1. ERA UMANISTICA: si svilupperà durante gli anni 70. In questo periodo il concetto di lifelong learning comparirà per la prima volta, perché entrerà in crisi il clima di fiducia riposta nell’istruzione che, avrebbe dovuto, nel periodo postbellico, generare prosperità oltre che promuovere l’uguaglianza sociale. Emergerà di qui la necessità politica di ispirarsi a nuovi paradigmi educativi e la ragione per cui l’Istituto per l’Educazione dell'Unesco in seguito al rapporto Faure del 1972, “learning to be”, inizierà a concentrare politiche e ricerche sull’educazione permanente dove l’obiettivo era portare il soggetto a farsi da sé, a concentrarsi su una formazione personale piuttosto che imposta culturalmente e politicamente. 2. ERA DEL CAPITALISMO GLOBALE: si sviluppa negli anni 90. La dimensione del lifewide learning evidenzierà che l’apprendimento avveniva anche in un’ampia varietà di ambienti e contesti (lavoro, vita sociale, famiglia), non era solo limitato all’educazione formale (scuola) e non era necessariamente intenzionale. Viene definito “era del capitalismo globale”, perché sarà proprio l’aumento della competizione economica e dei rapidi sviluppi dell’information technology e dunque della così detta new economy che porteranno all’attenzione la necessità di una formazione continua. 3. LIFEDEEP LEARNING: (vita profonda): farà emergere l’importanza della dimensione pedagogica dell’apprendimento e focalizzerà la sua attenzione su due obiettivi: - LA PROMOZIONE DELLA CITTADINANZA ATTIVA, per aiutare le persone ad acquisire le conoscenze, le competenze e le capacità richieste per partecipare pienamente a una società maggiormente integrata e complessa caratterizzata da notevoli cambiamenti economici, tecnologici e sociali; - L’INCREMENTO DELL’OCCUPABILITA’, soprattutto mediante l’acquisizione, il miglioramento e l’aggiornamento delle competenze necessarie all’inserimento professionale nella società dell’informazione. Obiettivi che verranno scanditi poi in sei messaggi chiave volti a: 1. GARANTIRE un accesso universale e permanente all’istruzione e formazione per consentire l’acquisizione per tutti delle competenze di base necessarie per partecipare attivamente alla società della conoscenza; 2. ACCRESCERE gli investimenti nelle risorse umane 3. SVILUPPARE l’innovazione nelle tecniche di insegnamento e di apprendimento 4. MIGLIORARE le modalità di valutazione dei risultati d’apprendimento delle azioni formative 5. RIPENSARE l’orientamento per garantire a tutti, non soltanto alle fasce deboli, con servizi a livello locale, un accesso più semplice a un orientamento di qualità sulle opportunità di istruzione e formazione permanente 6. AGEVOLARE E STIMOLARE il decentramento dell’offerta di formazione permanente per offrire opportunità di formazione sempre più accessibili per l’utente dal punto di vista geografico, mediante il supporto di infrastrutture basate sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Sarà in questo momento che il sapere pedagogico offrirà un contributo scientifico notevole, facendo emergere l’importanza, durante il processo apprenditivo, di dover attuare un: • Approfondimento sul senso, significato e processo di educazione e formazione; • Cambiamento di mentalità e approccio educativo; • Inserimento degli aspetti contestuali, intersoggettivi ed emotivi che concorrono alla costruzione della realtà a livello individuale e sociale; • Attenzione alla capacità di relazionarsi in modo profondo e critico con sé stessi, le proprie radici generazionali e appartenenze culturali, e con gli altri. Un apprendimento pedagogico dunque che solo integrando lifelong, lifewide con lifedeep learning avrebbe potuto aspirare a: o UN’EDUCAZIONE TOTALE che chiedeva il superamento delle barriere tra formale, non formale, informale e quindi diveniva processo in cui l’infanzia, la fanciullezza, la giovinezza e l’età adulta in tutte le loro forme divenivano fasi in cui lo sviluppo della persona si modalizzava (lifelong learning); o UN PROCESSO UNTARIO che mirava a portare il bambino, il fanciullo, il giovane, l’uomo a scoprire il proprio valore sintonizzando le energie con quella degli universi circostanti: della natura, dell’ambiente, del mondo del lavoro, della società, della civiltà per non parlare dell’universo (da cui attinge vigore e sicurezza) della conoscenza e della morale (lifewide learning); o UN PARAMETRO EDUCATIVO, quindi né sistema né parte dell’educazione, che chiedeva di confrontarsi con le varie esperienze educative e formative; o UN PROCESSO DI SVILUPPO, che mirava alla partecipazione ai valori all’acquisizione di conoscenze e abilità oltre che del senso profondo della vita (lifedeep learning). 3.2 DALL’APPRENDIMENTO PSICOLOGICO ALL’APPRENDIMENTO PEDAGOGICO La pedagogia scientifica durante tale processo di sviluppo del lifelong learning, pur utilizzando i risultati dell’analisi del processo dell’ ”apprendere - insegnare” che si avvaleva, della psicologia della forma e delle ricerche di Piaget sullo sviluppo cognitivo, ha cambiato rotta e ha cominciato a impostare il formare e il formarsi dei soggetti valorizzando il loro processo apprenditivo in prospettiva pedagogica. Come? Per apprendimento si intende quel processo psichico che consente al soggetto di acquisire in forma durevole, dietro adeguate sollecitazioni, abitudini, conoscenze e competenze anche molto complesse. L’APPRENDIMENTO È soprattutto un’attività intenzionale, nel senso che richiede un’attività rivolta a un fine; È un processo nel quale viene coinvolto l’individuo come totalità; È basato prevalentemente sulla dimensione esperienziale; L’apprendimento più efficace si ha quando l’apprendimento iniziale è immediatamente seguito dall’applicazione; Le persone imparano di più di quanto sono obbligate a rendere visibile e osservabile ciò che apprendono. Poiché tale processo implica una serie di operazioni in cui intervengono molte facoltà umane, si sono andate o L’EDUCAZIONE Per relazione – reciproca, egli intende l’esperienza educativa che si fonda sulla relazione in quanto scaturisce sempre da un imprescindibile rapporto tra almeno due termini o protagonisti, l’educatore e l’educando. Esperienza educativa fatta di storie biografiche. Oggi la capacità della pedagogia deve essere quella di ripartire dall’esperienza dei soggetti per accompagnarli, attraverso la formazione educante, a guardare avanti. 3.4 L’INTELLIGENZA EMOTIVA COME FORZA MOTRICE DELL’APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO L’esperienza educativa sia per DEWEY che per BERTOLINI non basta per apprendere, ma va pensata e rielaborata alla luce degli avvenimenti se attraverso essa si vuole realizzare un apprendimento significativo. Bisogna prestare attenzione all’aspettativa formativa di ogni soggetto che, secondo la teoria di ATKINSON, può essere definita come una probabilità soggettiva di successo e che, dipendendo da un’esperienza pregressa del soggetto, può invalidare tutto il processo formativo. Solo se tale aspettativa si presterà la dovuta attenzione si potrà realizzare quello che ROGERS definisce “apprendimento significativo” che è centrato sulla globale esperienza del soggetto, sui suoi bisogni e interessi incidendo così sulla sua intera personalità. APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO (ROGERS) • Partecipazione del soggetto non solo sul piano cognitivo ma anche affettivo ed emozionale; • Motivazione interna al soggetto; • Reale incisività sulla sua personalità e identità nella direzione del riconoscimento e modifica di atteggiamenti, comportamenti e aspettative L’apprendimento pedagogico per essere significativo, deve far presa sia sulla dimensione affettiva che su quella emozionale. L’affettività è una delle sfere principali della personalità umana che si intreccia in modo diretto sia con la sfera motoria che con quella intellettiva. L’affettività è costituita da tutta una serie di forme di reazioni globali del soggetto rispetto ai fatti e alle esperienze che lo toccano da vicino. DANIEL GOLEMAN evidenzia che l’intelligenza emotiva influisce nelle pratiche di vita quotidiana ed è responsabile dei successi o degli insuccessi della persona. Egli sottolinea come in situazioni emotive la mente elabori, stimoli e controlli le reazioni, in quanto le emozioni, si trasformano nel movente che si pone alla base dei comportamenti. Le emozioni contribuiscono dunque ai successi nell’apprendimento, all’interiorizzazione di saperi e significati, al miglioramento dell’esperienza personale dell’adulto che apprende. L’apprendimento, pertanto, per essere pedagogicamente significativo deve vedere coinvolte sia: • L’AREA COGNITIVA PER: educare il soggetto ad “apprendere ad apprendere” • L’AREA AFFETTIVA – EMOTIVA PER: favorire nel soggetto il mutamento e il padroneggiamento degli stati emotivi • AREA REGOLATIVA O METACOGNITIVA PER: generare un controllo attivo su di sé. Il vero apprendimento deve mirare a portare il soggetto ad “apprendere ad apprendere”, cioè a mettere in discussione la routine e i modelli mentali consolidati. L’uomo si forma soltanto se è protagonista consapevole e attivo della sua formazione. Nella società attuale, l’uomo diventa attore sociale, solo se è chiamato alla creazione, all’invenzione dello stesso oggetto sociale, di una nuova democrazia, di pratiche sociali e culturali inedite, in quanto così da un senso alla stessa vita comunitaria e acquisisce, la capacità di costruire le potenzialità dell’avvenire. Il processo di formazione può dirsi educante se è capace di: - generare sintesi cognitive tra i processi di autoformazione e quelli di eteroformazione; - portare il soggetto a interrogarsi rispetto al processo cognitivo che si è compiuto o che si sta compiendo, sollecitandolo a pensare, decidere e agire; - attuare un cambiamento in grado di provocare nella sua organizzazione di vita emotiva, cognitiva, relazionale, un incremento globale della sua complessità, della sua capacità professionale. Autoriflessione, autoformazione, apprendimento consapevole e significativo, motivazione, relazione, sono quelle componenti fondamentali caratterizzanti l’apprendimento pedagogico, cioè quelle azioni formative valide ed efficaci in grado di portare i soggetti in formazione a gestire le dinamiche sociali e personali che possano garantire la loro piena e consapevole realizzazione e maturazione nella vita e nel lavoro. 3.5 METODO AUTOBIOGRAFICO Negli ultimi decenni si è venuto formando nel campo dell’educazione degli adulti un vasto movimenti di ricerca e di formazione che pratica i metodi della ricognizione biografica e autobiografica come vie privilegiate per apprendere ed educare. Le principali componenti di questo metodo, nato in area francofona, possono essere ricondotte a tre: 1. COMPONENTE ERMENEUTICA: riguarda l’attenzione e l’ascolto dei vissuti personali, delle narrazioni e delle storie dei singoli. Rievocare la traiettoria di vita o episodi, aiuta a ritrovare il senso delle azioni che si compiono nel presente. Questa come attività cognitiva assume un significato esistenziale in quanto ripropone scoperte e ridefinizioni della propria identità. 2. COMPONENTE EMANCIPATORIA: riguarda l’interpretazione del proprio agire personale e professionale inteso come percorso esistenziale da ricondurre, oltre che ad aspetti formativi, a dimensioni affettive, emozionali e soggettive che attraversano i contesti vita personale e di lavoro e che sono alla base della soddisfazione o del disagio, dell’interesse o della perdita delle motivazioni. 3. COMPONENTE ESPERIENZIALE: mira a mettere in primo piano la soggettività e la singolarità dei singoli soggetti. L’autobiografia, apre molteplici possibilità di esperienze che sono, in primo luogo, esperienza di sé e quindi del senso e del significato della propria identità, ma anche degli altri e delle cose. Gli OBIETTIVI educativi che tale metodo può darsi sono molteplici: • METACOGNITIVO: osservare la propria mente al lavoro, prendere coscienza di ciò che si pensa • FORMATIVO: dare forma alla propria identità, chiarire la dimensione progettuale della propria vita • MOTIVAZIONALE: percepire sé stesso come soggetto in grado di apprendere, di crescere, di decidere • EURISTICO – ESPLICATIVO: trovare descrizioni, spiegazioni, teorie che diano senso alle proprie azioni passate e presenti in vista di un futuro possibile • TRANS – FORMATIVO Tali obiettivi si specificano secondo precisi impegni educativi che possono riguardare: o L’AREA PERSONALE: formazione ricevuta, attività lavorativa, motivazioni al lavoro educativo o L’AREA FUNZIONALE: funzioni svolte, modalità di programmazione, operatività quotidiana, fare concreto, soddisfazione, insoddisfazione o AREA RAPPRESENTAZIONALE: la rappresentazione dell’utente, di sé stesso come adulto o L’AREA DESIDERALE E DELLE ASPETTIATIVE: cambiamenti e miglioramenti nell’organizzazione della propria vita familiare, del proprio lavoro Attraverso tale metodo si tende a imparare dall’analisi della propria storia, apprendendo da sé stessi. 3.6 COME FORMARSI E TRANS – FORMARSI? UN’AVVENTURA INTELLETTUALE Solo vivendo l’apprendimento come percorso conoscitivi, ma soprattutto come avventura intellettuale, si costruisce vera competenza personale e dunque professione. Come può oggi il mondo della formazione universitaria preparare i suoi professionisti in modo competente a svolgere un’attività così complessa e flessibile? Ogni soggetto è disposto a rivedere i propri stili cognitivi solo se giudica la formazione un investimento personale e societario. Quale il compito dell’università nei confronti della formazione di educatori socio – pedagogici e pedagogisti? 4. IL PROFESSIONISTA PEDAGOGICO RIFLESSIVO E TRANS – FORMATIVO: DALLE COMPETENZE ALLA PERFORMANCE PROFESSIONALE ATTRAVERSO L’EXPERTISE. SEGUIAMO L’EUROPA Introduzione Quali le competenze che l’università deve sviluppare in base alle direttive europee? Le università italiane, seguendo le direttive europee, non potevano che ripensare la formazione partendo dal considerare integrati i soggetti e le didattiche, le prospettive e gli obiettivi, con l’intento di far acquisire ai soggetti in formazione e ai successivi professionisti dell’educazione consapevolezza del loro ruolo, dei propri saperi razionali ed emozionali così da fornire loro le coordinate teoriche e metodologiche necessario per generare cambiamento. Coordinate che nel campo delle professioni pedagogiche, dovevano essere in grado di generare EXPERTISE cioè quella parte artistica di creatività che esprime la professionalità generata da CAPABILITY OF AGENCY. 4.1 CAPACITA’ / CONOSCENZE, ABILITA’ E COMPETENZE: QEQ, ECVET, E ECTS La raccomandazione del Parlamento europeo e del consiglio del 2006, riproposta nel documento tecnico connesso al regolamento sull’adempimento dell’obbligo di istruzione, precisa che le: - CONOSCENZE indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative a un settore di studio. - ABILITA’ indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know – how per portare a termine compiti e risolvere problemi; le abilità sono descritte come cognitive (uso del pensiero logico) e pratiche (implicano l’abilità manuale) - COMPETENZE indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e metodologiche in situazioni di lavoro o di studio. Le competenze vengono così considerate non come risultati comportamentali precodificati e chiusi, compiti da eseguire, ma potenziali di risorse cognitive e affettive che interagiscono con il sociale e quindi con il mondo esistenziale e anche professionale. Per questo l’attenzione formativa anche dell’università doveva necessariamente spostarsi dalla formulazione di job o mansioni rigide da far acquisire al soggetto, allo sviluppo delle loro capacità di risposta. La competenza non si possiede ma si realizza volta per volta in stretta relazione con il contesto, la situazione concreta di riferimento, lo sviluppo cognitivo e la situazione emotiva e affettiva del soggetto. Il concetto di competenza porta con sé un’imprescindibile rinnovata attenzione al soggetto umano, all’ATTORE UOMO, alla sua soggettività e alle sue qualità di produttore e utilizzatore della conoscenza. L’università, in coerenza con la strategia di Lisbona che mirava a rendere i sistemi di educazione e formazione sempre più integrati e trasparenti e a far sì che l’apprendimento permanente rappresentasse un riferimento comune per il riconoscimento e la trasferibilità delle competenze, ha inglobato nel suo sistema formativo il raggiungimento del relativo livello di competenza. Il QEQ infatti (quadro europeo delle qualifiche) o EQF (european qualification framework) ha classificato i risultati dell’apprendimento in 8 livelli di riferimento che descrivono le conoscenze e le capacità di chi apprende. Gli 8 livelli che coprono l’intera gamma delle qualifiche, da quelle ottenute al termine dell’istruzione e della formazione obbligatoria a quelle più specialistiche, universitarie e post – universitarie, hanno l’obiettivo di: - promuovere una migliore corrispondenza tra le esigenze del mercato del lavoro (conoscenze, capacità e competenze) e l’offerta di istruzione e formazione; - facilitare la convalida della formazione non formale e informale; - facilitare il trasferimento e l’impiego di qualifiche di diversi Paesi e sistemi di istruzione e formazione. 4.2 LE COMPETENZE DI RUOLO DELL’EDUCATORE PROFESSIONALE SOCIO – PEDAGOGICO E DEL PEDAGOGISTA ABILITATO I corsi di laurea per Educatore Professionale socio – pedagogico e per Pedagogista abilitato mirano al raggiungimento di idonee conoscenze e competenze pedagogiche di primo e di secondo livello (lauree magistrali), riconducibili al quadro complessivo della scienza pedagogica e sono corrispondenti al livello 6 e al livello 7 del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente. Le tabelle ministeriali nel fornire indicazioni in tal senso le definiscono COMPETENZE DI RUOLO, suddivise in: indicati, preparare tutor come formatori. La consapevolezza del perché sono qui, del che cosa imparo e a che scopo lo imparo è la ragione dell’apprendimento attraverso il tirocinio, è il filo che unisce il passato (la storia che mi ha portato qui), il presente (il lavoro che sto facendo), il futuro (la professione a cui mi sto preparando). 4.4 PARLIAMO DI VOLTI La CALAPRICE definisce i profili professionali nel campo dell’educazione e formazione come VOLTI DELL’EDUCAZIONE. Volti vuol dire un’identità personale, il segno di un passaggio significativo, l’equivalente di una necessità. Il segno del volto sta a indicare che tutti devono: - testimoniare attraverso le loro manifestazioni, u guardare le cose, il mondo e i sentieri della ricerca senza mai perdere il senso del vivere; - seguire le richieste educative provenienti dalla società complessa e dunque frammentata, senza mai smarrire quelli che sono i calori della sintesi educativa: coerenza, cooperazione - evidenziare in sé la ricchezza del contenuto, la bellezza del dono e l’attrazione del gesto - collocarsi non allo stesso livello dell’altro, cioè nell’eliminazione della asimmetria, ma sapendo trarre il massimo frutto proprio dal non esserlo. 5. I CONTESTI E LE AZIONI PROFESSIONALI. LA SCUOLA E I SERVIZI SOCIO – SANITARI Introduzione Quando un educatore agisce non agisce in un vuoto. Agisce in un contesto educativo più o meno strutturato e animato da determinati obiettivi e finalità. Il contesto in cui agisce è radicato in un territorio che ha le sue tradizioni culturali. Ogni servizio e ogni ambito educativo è un contesto di significati, una rappresentazione di senso che dà significato a gesti, parole, fatti e azioni. Ogni servizio e ambito è l’insieme di norme e relazioni che ne regolano il funzionamento e danno contenuto agli atti comunicativi e ai comportamenti che si esplicano al suo interno. Educatori e pedagogisti, a seconda del contesto in cui svolgono la loro azione, progettano e orientano, coinvolgono gli educandi affinché ognuno di loro possa rielaborare l’esperienza fatta. 5.1 I CONTESTI E I SERVIZI EDUCATIVI Seguendo WERQUIN i contesti educativi si suddividono in: o CONTESTI FORMALI: cioè la scuola, la formazione professionale e l’università, finalizzati all’insegnamento e all’apprendimento di conoscenze, abilità e competenze. o CONTESTI NON FORMALI: le organizzazioni lavorative o l’associazionismo professionale, in cui si sviluppano conoscenze, abilità, competenze soprattutto attraverso apprendimenti basati su relazioni, su pratiche professionali, ma anche su attività di aggiornamento e di riqualificazione, ma che contemplano anche istituzioni quali le carceri, le comunità per minori. o CONTESTI INFORMALI: la famiglia, l’associazionismo culturale – sociale – sportivo, i mass – media e i new – media, il sistema dei beni paesaggistici – artistici – museali, in cui si svolge la vita reale delle persone e in cui si coltivano attitudini e si apprendono conoscenze, abilità e competenze principalmente basate sulle esperienze e relazioni sociali. Ogni contesto poi a sua volta esprime un proprium. Un proprium che GOFFMAN ha evidenziato essere l’organizzazione di tali sistemi che ne determina le relazioni, i ruoli, le posizioni e le facce dei soggetti che vi fanno parte, connotando di significato metacomunicativo gesti, parole, azioni e comportamenti. Un proprium che PAOLO ZANELI, per ampliare le risorse dell’azione educativa nei confronti dei soggetti disabili, ha definito sfondo integratore, rilevandone l’importanza per tutti i soggetti e caratterizzandolo come: • SFONDO ISTITUZIONALE che consiste nell’organizzazione degli elementi dell’ambiente (soprattutto spazi, materiali, tempi) e nell’utilizzo di elementi mediatori o organizzatori delle attività • STRUTTURA DI CONNESSIONE NARRATIVA che consiste nell’utilizzo della dimensione narrativa per costruire situazioni di condivisione di significati fra bambini e fra gruppo di bambini e insegnanti e non solo • SFONDO METAFORICO inteso come uno specifico strumento didattico, pensato per supportare l’integrazione di bambini e non solo con problematiche comunicative e con forme di psicosi lievi. Molti i contesti in cui i professionisti dell’educazione possono lavorare. Le tabelle ministeriali del Miur hanno così suddiviso e confermato gli ambiti e i servizi in cui possono lavorare educatori professionali socio – pedagogici e pedagogisti. LAUREA TRIENNALE (CL - 19) SERVIZI, CONTESTI, AMBITI Educatore professionale socio – pedagogico e educatore asilo nido I laureati nella classe opereranno in regime di lavoro dipendente, autonomo o parasubordinato, all’interno di: • Organizzazioni e sistemi pubblici e/o privati, anche non accreditati • Enti e associazioni per la prevenzione delle dipendenze • Enti e strutture per l’integrazione delle persone in condizioni di povertà educativa e marginalità sociale • Enti e associazioni di sostegno alle persone con disabilità • Consultori e centri aperti polivalenti per minori • Aziende • Agenzie formative accreditate o non SERVIZI • Servizi educativi per l’infanzia; • Servizi e presidi socio – educativi, socio – assistenziali e socio – sanitari • Servizi educativi scolastici ed extrascolastici • Servizi di educazione ambientale • Servizi educativi per la genitorialità • Servizi educativi nel sistema penitenziario e di risocializzazione dei detenuti AMBITI • Educativo • Scolastico • Culturale • Giudiziario • Ambientale • Sportivo e motorio RUOLI Educatore professionale socio pedagogico con funzioni di: - tutor; - formatore; - progettista; - educatore carcere minorile e adulto LAUREE MAGISTRALI SERVIZI, CONTESTI, AMBITI Pedagogista abilitato (LM-50, LM-57, LM-85, LM-93) I laureati nella classe opereranno in regime di lavoro dipendente, autonomo o parasubordinato, all’interno delle stesse organizzazione e associazioni elencate nella prima tabella. I laureati nella classe potranno accedere ai percorsi abilitanti all’insegnamento nella scuola secondaria di secondo grado, limitatamente alle classi di abilitazione per le quali è consentito l’accesso. SERVIZI e AMBITI: uguali alla prima tabella 5.2 LE PROFESSIONI PEDAGOGICHE: LE AREE, LE AZIONI EDUCATIVE E LE CONDIZIONI DI INTERVENTO In base ai contesti in cui educatori e pedagogisti esercitano la loro professione, è necessario comprendere, conoscere e definire il tipo di azione che svolgono individuandone le aree o le dimensioni umane relative all’intervento, le finalità, le condizioni e le componenti che possono influenzare in positivo o in negativo il cambiamento educativo dei soggetti. Tali professionisti, prima di agire, devono analizzare, osservare, interpretare tutti gli elementi presenti nel contesto utilizzando un metodo pedagogico che non è quello di cercare le cause o fare diagnosi, ma quello di lavorare sui fattori che più interagiscono in una particolare situazione per lavorare sulle potenzialità dei soggetti e aiutarli a superare gli elementi che ne ostacolano lo sviluppo. LE AZIONI DI EDUCATORI E PEDAGOGISTI Aree: Della mente, del pensare; del corpo; delle relazioni Natura o finalità: formativa, educative; rieducativa; trattamentale; attiva (ludica); cooperativa Condizioni: (possono influenzare il cambiamento e dare senso alle azioni educative e rieducative) Contesti; durata; tempi di un’azione; luogo in cui si compie; motivo per il quale viene compiuta; Componenti: (determinano il cambiamento) Temporalità (nel senso che non si cambia sempre ma solo in certe circostanze e in certi periodi); Novità (nel senso che esso chiama in causa un’irruzione causale o accidentale di qualche evento, incontro, desiderio); Emozionalità (nel senso che il cambiare, il lasciarsi alle spalle crea sempre uno stato di emotività che si aggiunge al vissuto razionalizzabile) 5.3 LA SCUOLA Una scuola di qualità, oggi, per essere buona non può rispondere da sola ai nuovi bisogni educativi emergenti dall’attuale società sempre più complessa e liquida. Per questo la presenza di educatori professionali socio – pedagogici e pedagogisti nella scuola, si presenta oggi come una necessità educativa, sociale ed esistenziale. Come affiancamento agli insegnati per fare da ponte tra soggetti in formazione e insegnanti, scuola, famiglia e territorio, per rispondere alle nuove emergenze educative, cioè dispersione scolastica e disagio nelle loro varie forme. Dunque per rispondere ai nuovi bisogni educativi. 5.3.1 LE COMPETENZE DELL’EDUCATORE SCOLASTICO SOCIO – PEDAGOGICO L’educatore scolastico si colloca all’interno della cosiddetta categoria dei “professionisti dell’aiuto”, cioè di coloro che entrano in contatto diretto con le varie tipologie di utenti che necessitano di un supporto educativo. Egli rappresenta, per l’alunno, un gancio a cui aggrapparsi per passare attraverso la rigidità burocratiche istituzionali (la scuola). La sua strategia operativa di natura educativo – relazionale, è informale e più facilmente può stabilire un contatto con gli alunni che faticano a intraprendere il tradizionale iter scolastico. Ciò con la finalità di rimotivarli allo studio, rafforzare le relazioni tra pari, promuovere esperienze di peer education, realizzare un orientamento scolastico e/o lavorativo. Quali le sue pratiche educative? A. COLLABORARE CON IL TEAM DEGLI INSEGNANTI DI CLASSE L’educatore deve aiutare gli insegnanti, se necessario, a variare le proprie strategie educative al fine di coinvolgere l’intera classe in dinamiche maggiormente positive per tutti gli alunni. Deve avere la possibilità di collocarsi in un macro – contesto costruito su basi collaborative tra i soggetti istituzionali in campo, RUOLI PEDAGOGISTA ABILITATO • Consulente, coordinatore pedagogico • Coordinatore dei servizi • Esperto dei processi formativi • Progettista • Valutatore • Funzionario giuridico pedagogico (carcere adulti) • Giudice onorario istruzione, favorendo lo sviluppo delle bambine e dei bambini in un processo unitario; b. Concorrere a ridurre gli svantaggi culturali, sociali e relazionali e favorire l’inclusione di tutte le bambine e di tutti i bambini attraverso interventi personalizzati e un’adeguata organizzazione degli spazi e delle attività; c. Accogliere e rispettare le diversità; d. Sostenere la primaria funzione educativa delle famiglie, favorendone il coinvolgimento nell’ambito della comunità educativa e scolastica; e. Favorire la conciliazione tra i tempi e le tipologie di lavoro dei genitori e la cura delle bambine e dei bambini, con particolare attenzione alle famiglie monoparentali; f. Promuovere la qualità dell’offerta educativa avvalendosi di personale educativo e docente con qualificazione universitaria e attraverso la formazione continua in servizio, la dimensione collegiale del lavoro e il coordinamento pedagogico territoriale. Per la prima volta, attraverso tale decreto, viene evidenziato che l’educazione e la cura della prima infanzia costituiscono la base essenziale per il buon esito dell’apprendimento permanente, dell’integrazione sociale, dello sviluppo personale e che le primissime esperienze dei bambini gettano le basi per ogni forma di apprendimento ulteriore. Tale decreto evidenzia anche quale deve essere la formazione di coloro che in qualità di CAREGIVER e dunque di educatori, devono supportare lo sviluppo di tali soggetti. Infatti, all’art.14, comma 3. viene precisato che a decorrere dall’anno scolastico 2019-2020 l’accesso ai posti di educatore di servizi educativi per l’infanzia è consentito esclusivamente a coloro che sono in possesso della laurea triennale in Scienze dell’educazione nella CL-19, a indirizzo specifico per educatori dei servizi per l’infanzia. L’identità dell’educatore dell’asilo nido è il risultato di un’approfondita riflessione pedagogico – didattica derivante dall’analisi degli autentici bisogni di sviluppo del bambino 0-3 anni. Pertanto, se la sua formazione generale si adegua a quella in genere dei professionisti dell’educazione, si differenzia per la specificità degli utenti e dei contesti. 5.4 LE COMPETENZE DELL’EDUCATORE PROFESSIONALE SOCIO – PEDAGOGICO CHE LAVORA NEI CONTESTI SOCIO – SANITARI E DELLA SALUTE L’OMS, nel 1986, presenta la Carta di Ottawa come risposta all’esigenza sempre più diffusa di un nuovo movimento mondiale per la salute. La Carta di Ottawa, assumendo il concetto di salute come concetto pluriprospettico e multidimensionale, leggendolo con nuovi paradigmi entro specifiche aree disciplinari quali quella biologica, psicologica, ecologica, sociale ed educativa, ha voluto successivamente specificare che promuovere la salute significa: - costruire una politica pubblica per la tutela della salute - creare ambienti capaci di offrire sostegno - rafforzare l’azione della comunità - sviluppare le capacità personali - riorientare i servizi sanitari La salute già da molto tempo non è più vista come responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma come responsabilità appartenente anche ad altri ambiti professionali. La dimensione dell’aver cura deve essere analizzata non solo da un punto di vista medico ma anche esistenziale, umanistico, come intervento finalizzato a responsabilizzare e sensibilizzare ciascuna persona allo scopo di indurla anche alla introiezione della propria corporeità come valore e come scoperta. COMPETENZE EDUCATORE PROFESSIONALE SOCIO – PEDAGOGICO E PEDAGOGISTA NEI SERVIZI SOCIO – SANITARI E SOCIO – ASSISTENZIALI: individuare, promuovere, sviluppare le potenzialità cognitive, affettive, ludiche, relazionali dei soggetti; analizzare e interpretare i bisogni educativi delle persone; costruire relazioni educative; competenze di documentazione del lavoro educativo. 5.5 WORK IN PROGRESS: RI – EDUCHIAMO A CERCARE IL SENSO DELLE COSE Nel mondo vari sono gli spazi a portata del soggetto che si presentano come sistemi di relazioni, come campi del comportamento individuale, come campi vitali che possono influenzare comportamenti e vissuti. L’organizzazione degli spazi e l’uso dei medesimi diventano pertanto fattori importanti quando si devono progettare i modi dell’educare, così come le caratteristiche dell’ambiente, per essere educative, necessitano di essere conosciute e considerate nella loro specificità per comprenderne l’influenza se si vuole produrre cambiamento. Il covid19 ha portato all’attenzione il ripensare il senso dell’educare. Ripartire dal riconsiderare la semplicità dell’esistenza umana, rivedere le relazioni tra i soggetti, tra i soggetti e l’ambiente, riscoprire e far riscoprire i principi di comunità e solidarietà per tendere allo sviluppo e alla coesione rappresenta l’episteme del loro lavoro. Rappresenta lo specifico dello sguardo pedagogico. In qualsiasi contesto lavorano il loro compito non è solo mettere l’accento sui sintomi, le incapacità, ma sulle potenzialità, le capacità e gli interessi dei soggetti perché trovino in loro stessi la forza di reagire e scegliere le modalità personali per fronteggiare e superare i problemi. Oggi l’educare sembra essere diventata competenza di tutti. Ma la competenza è cosa ben diversa dal senso comune. Tutti possono educare, ma non tutti sono esperti dei processi educativi.
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