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Riassunto Elisabetta Farnese, Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto libro Elisabetta Farnese per il corso di Storia Moderna

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 09/03/2023

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4.8

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5 documenti

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Scarica Riassunto Elisabetta Farnese e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Capitolo I Quando si voleva ferire il loro onore, si era solito dire che discendevano da una bastarda di un imperatore e da un bastardo di un Papa. Il loro nome era derivato probabilmente dal toponimo Farnese Farneto che indicava una località ai confini tra Viterbo e Toscana, zona ricca di farnie, la tipica quercia dei boschi europei. Tutto parte da Ranuccio il vecchio, il quale a metà 400 rappresenta L’anello di passaggio tra le vecchie generazioni provinciali e quella romana. Ebbero fortuna con Alessandro, nato dal matrimonio tra Pierluigi e Giovannella, esso sarà il futuro Paolo III (riuscirà a diventare papa soprattutto grazie agli intimi rapporti della sorella Giulia con Alessandro VI). Loro riuscirono a conquistare i ducati di Parma e Piacenza, e come vedremo, anche quello di Toscana in seguito all’estinzione della famiglia de Medici. Segnali di una progressiva perdita di potere e prestigio si erano manifestati già con lo smacco del cardinale Alessandro nel conclave del 1585, dove era entrato come probabile Papa ma ne era uscito sconfitto con l’elezione di Sisto V. Ranuccio I, con il suo matrimonio con Margherita Aldobrandini, acquisisce la più ingombrante eredità dei Farnese, dando inizio a una decadenza anche fisica, a causa di un’obesità patologica che, accompagnata da stravizi alimentari, porta numerose morti precoci. Suo figlio Odoardo, pensa che sia suonata l’ora di cambiare casacca, nella speranza di poter ampliare quel piccolo principato che non ha la possibilità di espansione per la politica di status quo spagnola. Nel 1635 stringe un accordo triennale con la Francia e Vittorio Amedeo I di Savoia per scalzare gli spagnoli da Milano. Tutto ciò sarà inutile perché ben presto, dopo il giro di valzer, deve tornare sotto l’ombra della Spagna. Ma è la perdita di Castro a segnare il momento più basso raggiunto dal prestigio della famiglia; l’antico possesso, collocato nello Stato della chiesa, è separato dal resto del complesso farnesiano e quindi è velleitario predisporre per esso progetti di potenza. La partecipazione di Odoardo all’imprese della Francia esposto economicamente la famiglia nei confronti dei banchieri romani, con grandi debiti. Egli si rifiutò di vendere il feudo per saldare i debiti ai confinanti Barberini , vicini assai desiderosi di impossessarsi di quelle terre, ed è quindi inevitabile il duro scontro con urbano VIII . Dopo una prima ricomposizione il conflitto riprende in modo ancora più violento tra i seguaci. La perdita di questo territorio è l’evidente monito di quanto la famiglia non conti più come nel passato. Si parlerà con Ranuccio II, del secondo rinascimento farnesiano. Egli dà inizio a un complesso programma volto a rilanciare la potenza e la credibilità della famiglia, attraverso l’intreccio tra arte, musica, teatro e diplomazia. I tornei perdono progressivamente il carattere di strumento di addestramento alle armi e diventano occasioni mondane e riti sociali che danno sempre più spazio alle coreografie e quindi alle musiche. Dalla seconda metà del XVI secolo sono in uso presso le corti i balletti, rappresentazioni che mescolano generi drammatici, letterati o popolari, in prosa o in versi. Se nel Rinascimento i principi erano stati soliti dimostrare la loro abilità nelle giostre cavalleresche, con l’età barocca Parma i membri della famiglia danno prova di destrezza nella danza: per le nozze dei genitori di Elisabetta, esibiscono doti da ballerini, nonostante la loro grassezza, forse all’epoca non ancora eccessiva, i fratelli di Odoardo, cimentati nell’idea di tutte le perfezioni, la sorella Margherita. Tra le tante feste, vale la pena di soffermarsi su quella descritta nel Diario del Borra in occasione della visita, nell’ottobre del 1712, del figlio del re di Polonia: è una sorta di debutto in società di Elisabetta, ormai ventenne e per la quale si sta forse cercando marito. Elisabetta verrà fatta a ballare con il giovane rampollo Wettin. Ranuccio II era consapevole che il Ducato aveva bisogno di nuove strutture civili e culturali; così come avveniva nelle altre corti europee, attraverso il teatro, la famiglia ducale attuava una sorta di rappresentazione nella rappresentazione, mettendosi in scena gli occhi del mondo, quale si esibivano forza economica, capacità politica, ricchezza culturale. E proprio nell’ottica di riaffermazione della credibilità internazionale della famiglia che Ranuccio cerca un matrimonio prestigioso per il figlio Odoardo. La sposa che viene individuata è Dorotea Sofia di Neuburg (famiglia cadetta dei Wittensbach, elettori del palatinato, che hanno fatto fortuna grazie al padre Federico Guglielmo). Le numerose principesse Palatine figlie del duca ebbero la funzione di versare sangue fresco e sano nell’esauste bene della famiglia degli Asburgo, sfiancata dai matrimoni tra cugini. Eleonora Maddalena Teresa, la figlia maggiore, sposò l’imperatore Leopoldo, rimasto vedovo Estense erede sia della prima che della seconda moglie. Più sfortunata fu la sorella minore di Eleonora, Marianna, destinata a sposare Carlo II di Spagna, senza tuttavia riuscire a salvare la dinastia a causa delle condizioni fisiche in cui versava il marito. La scelta di Ranuccio di quella sposa per il figlio è una mossa dei Farnese per rompere la solita alternativa tra la Spagna e la Francia e dare alla famiglia un respiro, dopo tanti matrimoni italiani, sul piano europeo. Dal loro matrimonio nasceranno Alessandro ed Elisabetta: il nome della bambina deriva da quello della nonna materna, Elisabetta Amalia d’ Assia, e della paterna Isabella d’Este. A pochissime settimane dalla morte del piccolo fratello di Elisabetta il 6 settembre, ci sarà la morte dello stesso Odoardo. Sarà proprio Ranuccio, poco prima di morire, ad esortare il secondo genito Francesco, il futuro duca, sposare la vedova del fratello. Dorotea è una donna molto religiosa, soprattutto devota alla Madonna di Loreto, per la quale nel 1730 compie un lungo pellegrinaggio; il suo ossessivo presidenzialismo alle cerimonie religiose evidenziò la tipica politica di esercitare il principesco monopolio nella liturgia cittadina, appropriandosi dei luoghi sacri comunitari e dettando le regole di comportamenti pii. Questo non deve lasciar pensare che Dorotea sia stata una donna semplice e modesta. Spesso è stata descritta con tutti gli stereotipi della teutonica: ordinata, perseverante, pedante e priva di quell’umorismo, che invece sarà una delle doti della figlia. Dopo la morte di Ranuccio, anche per problemi economici, la vita festaiola e l’ostentazione di potere e di ricchezza si fanno meno frenetici; quello di Francesco è uno stile sobrio che si coniuga con lo stile di vita profondamente religioso della moglie. Per tagliare le spese della corte eccessivamente cresciute con il padre, Francesco nel 1698 attuò una riforma licenziando “musici, nani, buffoni e altra gente di simil fatta”. Pochissimi anni dopo, come si dirà, sarà Filippo V a riformare la corte di Madrid seguendo le istruzioni del nonno Luigi XIV, che indicava come fondamentale proprio l’eliminazione dei nani e dei buffoni dalla corte di Spagna: insomma, sia a Madrid che a Parma è evidente che si sta guardando a uno stile più sobrio. A Parma, come in molte altre città d’Europa, il momento dell’anno di più intensa vita mondana e di festeggiamenti è il carnevale; Dorotea partecipa ai balli anche travestendosi da Diana cacciatrice, accompagnata dalle sue dame travestite da ninfe. Gli studi di Elisabetta e le sue passioni giovanili sono avvolte nel buio a causa del silenzio dovuto dalla scarsa presenza di notizie tra le superstiti carte degli archivi. Giulio Alberoni, che di quella qualità fu maestro, interessato ad affermare una rassicurante immagine di una ragazza inoffensiva, disse che l’educazione della principessa era venuta interamente sotto la direzione della madre tra quattro mura. Quello che Elisabetta farà alla volta della Spagna sarà un viaggio che compie, come le tante regine di Europa, con la consapevolezza che senza ritorno. Ma l’Italia, la sua terra, le resterà sempre nel cuore e costituirà la principale preoccupazione della vita della regina. La felicità di questo nuovo mondo è accompagnata anche dalla tristezza per l’abbandono delle proprie terre, dall’incertezza e dal timore per il mondo sconosciuto al quale va incontro, dalla certezza che a quell’indipendenza dei genitori fa da contrappeso la dipendenza da regina, che deve assoluta obbedienza al proprio sposo Capitolo III Il matrimonio tra Elisabetta e Filippo ebbe immediate ripercussioni sul piano internazionale, poiché irritò non poco Vienna, che vedeva in quell’unione una pericolosa occasione offerta alla Spagna di tornare ad affacciarsi sulla penisola italiana che gli Asburgo sentivano ormai come propria. Effettivamente l’imperatore non si sbagliava nel ritenere che il matrimonio mettesse in discussione gli appena conseguiti equilibri di pace raggiunti in seguito alla guerra di successione spagnola. La prima fase, quella immediatamente successiva al matrimonio di Elisabetta, prevedeva un rapido ritorno in Italia attraverso l’azione militare; Filippo era salito al trono ed era stato accettato dagli spagnoli perché è individuato da Carlo II come garante dell’integrità del complessivo sistema imperiale spagnolo, anche chiamato monarchia composita. Si era ritrovato invece, 10 anni dopo, essere costretto per i trattati di pace a venir meno proprio a quel punto essenziale per il quale era stato chiamato a divenire sovrano di Spagna. L’Italia è completamente perduta. Poi c’era la perdita di quelle Fiandre spagnole, che erano state tanto strenuamente difese per due secoli, costi altissimi, prima durante la rivoluzione olandese, poi con la guerra dei trent’anni e successivamente opponendosi alle continue rivendicazioni proprio del nonno del nuovo sovrano iberico. L’indole forte e volitiva di Elisabetta poteva fare da contraltare a quella di tutta altra natura di Filippo; il nipote di Luigi XIV era infatti freddo, silenzioso, triste e tendente alla malinconia. È nato a Versailles nel 1683 e come secondo figlio del grande delfino e di Marianna Cristina vittoria di Baviera con il titolo di duca d’angio, era in ordine di successione al trono di Francia preceduto dal padre e dal fratello maggiore Luigi, il duca di Borgogna, è seguito da Carlo, il duca di Berry. Nonostante diventare il re fosse destinato il duca di Borgogna, Filippo fu istruito congiuntamente al fratello maggiore dal loro precettore Fenelon e pertanto fu anche lui ampiamente influenzato dall’ecclesiastico francese che scrisse per loro il Telemaco. Il programma di studio dei ragazzi era di molto alleviato rispetto a quello sopportato dal delfino, la preparazione del corpo era invece molto impegnativa, ma è soprattutto quella dell’anima essere la più gravosa e per formativa della personalità dei piccoli principi di Francia, che tutti i giorni vanno a messa, assistono agli uffici religiosi, mangiano di magro il venerdì e, quando cominciano essere più adulti, anche nei sabati di Quaresima. I tre ragazzi, costantemente spiati dei loro governanti, giungono vergini all’età del matrimonio; i Borbone che discenderanno da Filippo si caratterizzeranno quasi tutti per una disastrosa educazione sessuale, fioriera di grandi fallimenti alla prova della prima notte di nozze. L’educazione religiosa contò molto per Filippo: mentre i suoi fratelli furono influenzati sia dal carattere vitalistico ed energico del padre che dallo spirito pietoso della madre, Filippo mostrò di aver ereditato soprattutto da quest’ultima. Passo molto del suo tempo con la zia Elisabetta Carlotta Wittelsbach, sposa del fratello di Luigi XIV, il duca d’Orelans , la quale notò la predisposizione di Filippo d’Angiò a sedere sul trono di Madrid. Un’altra donna fondamentale nella formazione del giovane fu poi madame Maintenon, la quale dimostra di conoscere assai bene i difetti le debolezze del giovane, e per questo motivo giocò una grande influenza nel determinare quali persone lo dovevano circondare una volta tornato da Versailles. L’avvento di Filippo sul trono di Madrid significo anche rilevanti cambiamenti nei rapporti internazionali; dopo due secoli di guerra tra Spagna e Francia, di forti contrapposizioni, di illusori matrimoni pacificatori, la successione al trono spagnolo di un esponente di casa Borbone aveva inaugurato una frase cordiale Luigi XIV, conoscendo il carattere del nipote, temeva che la prima moglie, Maria Luisa di Savoia, avrebbe potuto prendere il sopravvento sul debole sposo: occorreva, per la diplomazia francese, collocare qualcuno di cui potersi fidare al fianco della regina, che riferisse costantemente alla corte sulle sue attività e la spingesse oculatamente verso la direzione francese. La scelta cadde su Anna- Marie de la Tremoille (Ursini) Le spose dei sovrani europei hanno avuto un rilevante ruolo nelle monarchie europee da più punti di vista, a partire dal fatto che esse rappresentarono il più tipico elemento di scambio e di circolazione tra le corti. Con Filippo e i suoi matrimoni, prima con una principessa di casa Savoia e poi con Elisabetta, si realizzava una circolazione che da molto tempo era assente alla corte di Madrid. Le spose che arrivavano portavano con loro libri, gioielli, abiti, stili di vita, e aprivano la corte a nuove mode. Si è detto che le donne erano maggiormente predisposte ad adattarsi ai nuovi paesi, rispetto agli uomini che incontravano maggiori difficoltà. Per la prima moglie di Filippo, Maria Luisa però non fu così: c’è il banchetto nuziale creò problemi tra gli spagnoli e il seguito piemontese. Ella fu una delle tante principesse europee che, dati sposa a suggello di un’alleanza, si trovarono poi di fronte al bivio tra la fedeltà alla nuova famiglia o quella d’origine. La sua scelta può favore della Spagna, fino a diventare una sorta di eroina della resistenza iberica degli anni difficili del conflitto. Con Luigi XIV, Maria Luisa stese però intensi rapporti epistolari, soprattutto quando il marito dovette allontanarsi da Madrid per recarsi in Italia e la regina, nonostante la giovanissima età, fu nominata reggente. Ad avere un ruolo di protagonista nella politica spagnola accanto alla regina era la Orsini, la quale, pur presentandosi come aliena da qualsiasi interesse, era ben nota per la sua ambizione. Era stata collocata al fianco della regina proprio per controllarla e per anni consegno a Parigi rapporti su Maria Luisa e sulla corte: il suo caso evidenzia come la politica al maschile necessita, in alcuni casi e per forza di cose, affidarsi alle donne, soprattutto se occorre controllare altre donne. La separazione del destino militare di Francia e Spagna si andò consumando nel corso del 1709, quando la prima diede inizio al ritiro della penisola iberica dei suoi soldati. L’imprevista morte di Giuseppe nel 1711 la salita al trono austriaco di Carlo VI mutarono completamente lo scenario della guerra, raffreddando l’alleanza anglo olandese sull’ipotesi che lui eletto imperatore potesse guadagnare la Spagna. Carlo VI continua ostinatamente a reclamare l’eredità spagnola, paventando la riedizione dell’impero di Carlo V, con la capitale a Vienna. I rapporti tra Francia e Spagna progressivamente si incrinarono tra il 1711 e il 1713 per le condizioni che Luigi XIV di fatto impose, non senza una strenua e defaticante contrattazione, al nipote. -In questa fase la principessa Orsini fu ancora una volta elemento fondamentale per i francesi per controbilanciare accorte la forza degli spagnoli ostili alle proposte di Luigi XIV di accomodamento delle questioni internazionali: la morte del delfino e subito dopo del duca di Borgogna, complicarono ulteriormente le trattative di pace, poiché si pretese una dichiarazione di rinuncia alla successione del trono di Francia da parte di Filippo, il quale avrebbe voluto esercitare una libera opzione su quale dei due regni scegliere, lasciando ai suoi figli quello escluso. Ma complicare le già difficili trattative, ci si mise anche la stessa Orsini, che spinse i reali spagnoli perché per ora passerò presso Parigi l’ipotesi chimerica della creazione di un piccolo stato personale per lei da ritagliare nelle ex Fiandre spagnole. La corte di Madrid con l’arrivo di Filippo si era affollata di stranieri. Non è un fenomeno nuovo per la storia della Spagna, che ha visto da sempre la presenza di diversi paesi appartenenti alla corona degli Asburgo; ma con l’avvento del re Borbone quella situazione si è accentuata. Ci sono irlandesi , rifugiati in Francia dopo il 1688; ci sono i fiamminghi ; ci sono poi gli italiani : numerosi, alcuni si installano con l’inizio del regno di Filippo, altri provengono da territori che vengono via via conquistati dalle truppe imperiali. La presenza degli stranieri nella corte borbonica si accentua alla fine della guerra, quando ci si rende conto della necessità di affidare il potere nelle mani di gente nuova, diversa da quella che ha lungamente gestito il potere e che ora viene considerata anche responsabili dei disastri militari precedenti. Alla morte di Maria Luisa nel 1714, dopo i trattati di pace raggiunti in seguito alla guerra di successione spagnola, per tubercolosi polmonare complicata a seguito del parto, cambio tutto. La drammatica uscita di scena della regina non attenua affatto il potere della sua favorita, la Orsini, che anzi può esercitare un’esclusiva influenza sul profondamente addolorato Filippo. Gli spagnoli restano scandalizzati alla notizia che, da appena cinque giorni dalla morte della regina, è stata ordinata la costruzione di un corridoio che collega le stanze del re con quella della principessa ed infatti si diffondono anche voci che la Orsini ambisca sposare Filippo. Tuttavia l’influenza della principessa è un dato di fatto: quando Filippo comincia a ricevere i ministri, lo fa nel gabinetto della principessa, evitando di incontrare gli spagnoli. Il 1714 è anche l’anno nel corso del quale si avviano le procedure che portano al matrimonio con Elisabetta. Sebbene la storiografia ha attenuato le sue responsabilità sulla disastrosa guerra mediterranea, da lui valutata, in realtà, troppo precoce e causata piuttosto dall’impazienza di Filippo ed Elisabetta, anche nei più recenti lavori si è comunque teso a sottolineare che la politica internazionale della coppia sovrana fu nella prima fase inconcludente, perché affidata ad avventurieri stranieri in cerca di fortuna; i giudizi negativi che hanno fin dall’epoca circondato Alberoni, il vero mandante di tutto, rivelano quanto la società del settecento ancora mal tolleri che persone di umili origini possono assurgere a posizioni di rilievo. La rapida scalata di Alberoni, così come la precipitosa caduta, ricorda tante storie di un antico regime caratterizzato da uno spietato e selettivo mondo ci attuale che considera come obbrobriosa e fuori dell’ordine della natura l’esercizio del potere da parte di chi per natura non appartiene all’ambiente al quale Dio ha affidato le redini del mondo. Egli diventa segretario di Filippo V e nell’aprile del 1713 ottiene la qualifica di rappresentante diplomatico dei Farnese alla corte Borbone, caso unico, fino ad allora. La fortuna politica di Alberoni poggia ampiamente sulla diplomazia tra cui strumenti principali può annoverare la gastronomia, con i prodotti che ancora oggi costituiscono le eccellenze dell’aria parmense. Si è spesso insistito su quanto l’arte abbia caratterizzato il regno di Elisabetta, ma tuttavia, va sottolineato come anche la gastronomia abbia distinto lo stile di questa regina; con quel tripudio di cibo italiano, con cui la diplomazia culinaria, per la quale, precorrendo i tempi attuali, i prodotti del territorio sono il biglietto da visita. Alberoni, alla morte di Maria Luisa, ha capito che nei momenti in cui i grandi leoni sono vecchi e stanchi, le generazioni successive appaiono fragili e lontane dal possedere il forte carattere che hanno avuto i loro padri e loro nonni, sono le donne a prendere il timone e, senza troppo ostentazione per non irritare i vecchi e giovani maschi, ma nella descrizione e nella riservatezza, guidano le navi tra le acque malfide della transizione. Proprio alla vigilia dell’arrivo di Elisabetta, erano stati attuati rilevanti cambiamenti nell’ambito dell’amministrazione. Come segretario degli affari della guerra e delle finanze veniva nominato Grimaldo. Per le forti proteste, Filippo dovette, tutta via, in parte tornare sui suoi passi già nel 1517, ristabilendo il consiglio di Castiglia con le sue antiche strutture, ma per rimarcare la differenza con il passato, non nominò più il governatore del consiglio, carica ritenuta molto prestigiosa, ma solo i presidenti. Molto più incisiva e duratura fu però la Noueva Planta adottata per l’Aragona: la ribellione dei regni di Aragona, di Valencia e della contea di catalogna , aveva rappresentato agli occhi del sovrano la rottura del patto che aveva caratterizzato la storia di quei paesi e quindi, per punizione furono abrogati i fueros , che permettevano di limitare il potere Reggio, abolite le frontiere doganali, imposta l’ uniformità monetaria. La politica economica fu spiccatamente mercantilistica, volta a conseguire una bilancia commerciale attiva grazie allo sviluppo manifatturiero determinato dalle politiche della corona in campo produttivo. Con la centralizzazione borbonica, invece, la domanda si fece più accentuata: l’aumento della spesa fu soprattutto dovuto alle necessità militari, e l’esercito restò un costante pensiero del sovrano, anche dopo la guerra di successione spagnola. La formazione delle guardie reali nacque dalla necessità, di cui si è già detto, di rendere il sovrano quanto più possibile e visibile al suo popolo: se il non poteva contare nemmeno su un corpo armato che lo scortasse, non gli restava altro che rimanere confinato nei suoi appartamenti, così come era accaduto a Carlo II, al tempo in cui si diceva che tutti a Madrid disponevano di soldati purché il sovrano. Durante il viaggio Elisabetta scrive al marito una lettera nella quale gli confida che si sta avvicinando finalmente il tempo del loro incontro, dopo un così lungo viaggio. Come i grandi attori e gli scaltri politici, Alberoni sa scegliere bene i tempi giusti per entrare in scena: raggiunge la regina a Pamplona l’11 dicembre, proprio quando Elisabetta ha licenziato la sua corte italiana ed è per la prima volta sola, senza alcun volto familiare in un paese straniero. È in quel momento che gli appare un uomo delle sue terre, con cui può condividere molte cose. Alberoni fai in modo che Elisabetta trovi qualcosa di casalingo: del parmigiano e del buon vino della Valle padana, risparmiando nel vino spagnolo al quale lo stesso Filippo non si è voluto abituare. Il cardinale è inoltre furioso perché ha saputo che a Madrid si è stabilito che la residenza di Filippo ed Elisabetta, almeno per i primi tempi, continuerà ad essere il palazzo di Medinaceli , dove la principessa Orsini ha fatto sistemare gli appartamenti del re e della regina in modo che non siano comunicanti, obbligando gli sposi a passare per le sue camere. Ci fu l’incontro, il primo tra Elisabetta e la principessa e su di esso ci sono molteplici ipotesi: 1. la regina si avvicina alla principessa e fai in modo di scambiare poche parole a bassa voce al suo orecchio, in modo che nessuno possa udire: poi ad alta voce, in modo che tutti attorno invece ascoltino bene, dalla principessa dell’insolente e dell’impertinente e fa chiamare le guardie ordinando di portarla via. A prova di quanto tutto fosse stato più imitato e ben organizzato la Orsini sottolineò e la sua versione di aver trovato già pronta la carrozza e di essere stata costretta ad affrontare il viaggio alla volta del confine quella notte stessa. 2. 2. Invece, nella versione di Alberoni, Elisabetta all’incontro con la principessa la accoglie fin troppo bene, tanto da destare la disapprovazione dei presenti per la sua eccessiva liberalità da giovane regina in esperta su come trattare i propri sottoposti. Di tutte le parole, le uniche probabilmente veramente dette dalla principessa potrebbero essere state quelle relative alla necessità del cambio d’abiti; era infatti costume che si stava affermando nella corte francese che le principesse che entravano come spose dovessero lasciare tutti gli abiti del loro paese di origine. Questi erano tra gli elementi forti dell’identità originaria di una regina straniera, e tra gli elementi di rilievo a cui più volte si è fatto accenno, messo in atto con i matrimoni regali. Il risultato comunque simile all’altra versione: la regina chiama le guardie e ordina di allontanare la donna scortandola subito al confine con la Francia. La versione di Alberoni fatta sua da Filippo V inviata a Parigi a giustificazione del licenziamento della principessa, è stata un’animatamente ritenuta inattendibile costruita ad arte dall’abate: la Orsini difficilmente sarebbe stata così imprudente nel suo approccio con la nuova regina e l’incontro avviene, in realtà, in una condizione nella quale nessuna delle due ha intenzione di trovare una via di conciliazione. Quanto accaduto potrebbe apparire molto semplice: una giovane regina, dal carattere forte e volitivo, ha lasciato alle sue spalle una madre autoritaria e una zia ingombrante alla soglia del confine senza particolari sensi di colpa, non ha alcuna intenzione di essere dominata da una donna anziana, che non ha mai visto e che dalle voci raccolte tutto lascia prevedere che si sarebbe frapposta ogni giorno tra lei ed il marito. Finalmente, dopo mesi, i due sposi solo soli e Filippo può consumare i suoi intimi desideri: escono dalla camera a mezzanotte per assistere alla celebrazione della messa di Natale, per poi tornarci. Il re, tuttavia, quella mattina sta nascondendo Elisabetta la concessione fatta alla principessa di un possedimento in catalogna. Quando la mattina del 25, dopo una lunga notte d’amore Elisabetta viene a sapere del dono di una con te in catalogna, tra il supplichevole e l’imperioso chiede al marito di ritirarlo. È un fatto eccezionale, se si pensa che solitamente le regine consorti straniere erano nell’ingrata situazione di trovarsi del tutto isolati nelle corti appena raggiunte, dopo essere state costrette a tagliare i ponti con il loro mondo. Elisabetta non è proprio così; probabilmente dispone di delatori di Alberoni. Sa anche imporre da subito il suo volere al sovrano: non è una donna, almeno ora, chissà pazientare, in attesa, prudentemente, di tempi più opportuni. Vuole tutto e subito. Impone fino ad allora rispetto per la sua persona e per le sue scelte. Elisabetta e Dorotea continueranno a scriversi e nella lettera del 31 dicembre, con un rapido accenno al dovere coniugale pienamente assolto e con una folla di animali, è un messaggio del cifrato il metaforico che madre figlia si scambiano e che fa riferimento, con ogni probabilità, a quella che era ritenuta la missione principale di Elisabetta. Con il cervo che non si decideva a nascere Elisabetta e indicava con probabilità la impossibile gravidanza di Eleonora Luisa Gonzaga, vedova ormai giusto da altri anni di Francesco Maria de’ medici morto nel 1711; il cavallo che non vedeva la luce presumibilmente doveva essere il figlio di Annamaria Francesca di Sassonia, la moglie di Gian Gastone, il cui matrimonio nel 1715 non aveva dato alcun frutto, anche perché la coppia da tempo era separata. Il suo matrimonio, invece, fin dal primo momento appare appagante: i due sposi per gusti sembrano fatti l’uno per l’altra. Elisabetta lo soddisfa, lo seduce, lo ama sinceramente lo accompagna in ogni momento. Nella corte di Spagna sono soprattutto i francesi a chiedersi ossessivamente quali sono le conseguenze dell’arrivo della nuova regina, non valutando in realtà che rapporti franco ispanici si sono guastati già da tempo a seguito dei trattati di pace, nonché per opera della stessa Orsini, allorquando non ha potuto ottenere il potentato promessole. Ora invece per i francesi è molto più semplice addossare la congiuntura sfavorevole Elisabetta alle sue smodate ambizioni, piuttosto che ammettere di non essere stati leali, lasciando al suo destino il proprio alleato. Quello che impressiona la diplomazia francese è la rapidità con il quale Elisabetta ha conquistato il marito. Ella d’altra parte, precisa da subito quali sono le basi del suo rapporto con la Francia: almeno servisse a parole, è risoluta e intrattenere una privilegiata relazione tra le due corone proteggere i francesi che lealmente servono il suo re marito. Luigi XIV nelle lettere con il nipote non parla di essere d’accordo con l’eliminazione della Orsini, ne di essere d’accordo nel non darle una ricompensa. Il rifiuto di Filippo di concedere una ricompensa alla principessa anzi, lo amareggia, perché gliel’aveva espressamente chiesto. Tra i primi problemi da affrontare nelle settimane successive all’arrivo di Elisabetta c’è quello dell’affidamento dell’educazione del principe delle Asturie; Luigi XIV in quanto capo di una vasta famiglia che ha visto la nascita del suo più diretto discendente lontano dalla patria, negli anni precedenti non si era sentito estraneo dal compito di esercitare un controllo sull’educazione del piccolo Luigi, per il quale era necessario creare un forte legame di appartenenza alla sua famiglia e al suo paese d’origine. Erano preoccupazioni non del tutto peregrine, se si pensa che il fratellastro di Luigi, proprio il figlio di Elisabetta il futuro re di Napoli Carlo, cresciuto completamente al di fuori del controllo di Parigi, quando giunse due decenni dopo in Italia, colpì negativamente coloro che lo incontravano, perché completamente ignaro del suo grande bisnonno. Si constata, inoltre, che l’educazione fino ad allora affidata a donne ha fatto del principe è un bambino timido e molto ignorante, Filippo allora lo affida ad un italiano, il cardinale Francesco del giudice ; quella dei del Giudice era una famiglia di origine genovese, stabilizzatasi a Napoli nel corso del XVI secolo ed entrato a far parte dei ranghi del baronaggio grazie alle enormi ricchezze e le relazioni istituite con il potere ispanico. Questo nel 1714 svolge una missione diplomatica a Parigi, delicatissima per l’inasprirsi dei rapporti tra le due corti: il cardinale doveva sostenere l’opposizione spagnola ai trattati di pace, giustificata dalle continue richieste dell’alleanza anglo olandese e della mancata concessione di uno Stato indipendente alla Orsini; a Parigi però, il cardinale è raggiunto quando erano ormai noti i contenuti dei trattati a fine della guerra di successione spagnola. Quando era ormai dichiarato che Versailles non aveva più alcun intenzione di andare dietro alle lamentele spagnole, la missione di del Giudice si stava chiudendo, ma si prolungò in modo imprevisto a seguito della morte di Carlo, fratello minore di Filippo, avvenuta nel 1714; i due fratelli di Filippo erano inaspettatamente entrambi morti e l’unico erede al trono di Francia era il bambino figlio del fratello maggiore del re di Spagna. Mentre erano in atto quelle trattative che non portavano comunque a nulla, del Giudice fu improvvisamente richiamato a Madrid, in quanto accusato di aver vietato, nella sua attività di inquisitore, libri che favorivano il reaganismo Reggio. Molto probabilmente le accuse nascevano da un malumore della Ursini. Gli italiani non formarono un partito solidale, semmai c’è chi sgomita per assumere una posizione dominante. Alberoni, grazie al fatto che può contare sulla fiducia del sovrano e, tutto sommato, sulla stima francese, nonché sull’appoggio di Elisabetta, ha come primario obiettivo quello di far fuori del Giudice, in quanto probabilmente l’unico degli italiani con una struttura che potrebbe fargli ombra. Quello, integrato nella carica di inquisitore, vuole prendersi piena soddisfazione facendo firmare un decreto arrivi che sconfessa le precedenti accuse, di fatto mettendo in una situazione imbarazzante lo stesso sovrano che dovrebbe smentire quanto fatto da lui stesso. Chi confida eccessivamente del proprio potere, difficilmente percepisce di star disseminando malumore intorno a sé è facilmente destinato a fare passi falsi; mentre del Giudice compie le sue vendite e di certo di poter guidare la volontà di re, i messaggi inviati a Luigi XIV nel corso del 1715 si fanno sempre più allarmanti sul fatto che, in realtà, è Alberoni a prendere il sopravvento. L’allarme, d’altro canto, non è solo dei francesi: gli stessi spagnoli si rendono conto di ritrovarsi ancora una volta sottoposti a stranieri e quindi chiedono aiuto agli odiati francesi per sbarazzarsi degli italiani. Le notizie sul peggioramento delle condizioni di salute di Luigi XIV sono, tuttavia, destinate a cambiare notevolmente il quadro complessivo, perché la Francia con ogni probabilità finirà nelle mani del duca d’Oreleans, il quale, è il parente più detestato da Filippo V. È nato ormai il finale del lunghissimo regno di Luigi XIV, che sta lasciando il suo paese senza un sovrano nelle piene difficoltà di poter regnare, con un pronipote molto piccolo e con un nipote re di Spagna che aspira a diventare re di Francia. A Madrid, alla notizia dell’approssimarsi della morte di Luigi, si prende in considerazione l’ipotesi di poter scatenare una guerra civile in Francia, rivendicando per Filippo, se non la corona, quanto meno la reggenza. Al 9 settembre giunse la notizia della morte del re sole; il giorno dopo sia anche la certezza che L’impresa pone in forte imbarazzo la triplice alleanza che ha preso l’impegno con l’imperatore di scambiare la Sicilia con la Sardegna; i francesi a questo punto, cercano di proporre agli spagnoli un negoziato: la Spagna deve evacuare la Sardegna, che deve essere restituito ai Savoia, i quali cederanno la Sicilia l’imperatore; se Filippo rinuncia alle pretese sulla corona francese e conferma quanto stabilito dai trattati di Utrecht, le potenze della triplice alleanza accorderanno Parma e Piacenza e Toscana all’infante Carlo. Insomma sono i francesi a quel punto a giocare la carta Elisabetta Farnese, una carta che però lei è ben poco disposta a giocare: per la regina, come sosterrà anche negli anni successivi, quei territori non possono entrare nelle trattative tra la Spagna e gli altri paesi perché sono suoi e basta. La Sardegna ormai appare un’eccellente base per ristabilire il dominio spagnolo sull’Italia; ma proprio in quel momento delicatissimo, quando appare alla portata un grande successo, esplode la crisi di nervi di Filippo V; nell’ottobre del 1717, il re viene colto da un grave attacco di malinconia, lamentando dolori di testa talmente forti da far pensare a molti che possa morire. La spiegazione della salute mentale di Filippo se indagato tra i casi presenti nel suo albero genealogico, ipotizzando una malattia ereditaria portata ai Borboni da sua madre, oppure derivante dalla follia di Giovanna la pazza. Elisabetta sarà nominata governatrice e reggente del regno. La scelta del re provoca un grande rumore a corte, dove i nobili sono ostili all’ipotesi che la Farnese eserciti la reggenza per il principe delle Asturie, non essendo sua madre realtà. Alla fine di novembre però la salute del re completamente ristabilita, recupera il sonno, l’appetito, le forze, sebbene come le dita di quella fase, Filippo riterrà la propria morte prossima e vorrà sempre che il confessore gli sia vicino, intrattenendosi con lui finché non va a letto, e di frequente facendolo chiamare anche in piena notte. Proprio durante le settimane di novembre e quelle successive Alberoni, al compenso della gloriosa operazione svolta, ottiene dal re il vescovado di Malaga il 13 novembre. Aveva già conseguito dall’anno precedente il berretto cardinalizio della Santa sede, grazie all’insistenza di Elisabetta. Recuperata intanto la salute, Filippo contrasta la macchinazione francese seminando, sua volta, la corte di Parigi di complotti, nel tentativo di provocare la caduta dell’Orleans; Filippo ritiene che sia giunta l’ora di riconquistare Napoli e la Sicilia dalla base sarda. Nel luglio di quello stesso anno Filippo, oltre a ordinare l’invasione dell’isola del Mediterraneo, non esita più a farsi coinvolgere nella cospirazione della duchessa contro il reggente. In pochi giorni la guarnigione piemontese è sconfitta e Filippo V viene proclamato re di Sicilia; le potenze europee stanno cominciando a concentrare la loro reazione e a questo punto più che mai risulta fragile l’impresa condotta da una Spagna completamente isolata. La triplice infatti, si trasforma in quadruplice alleanza con l’adesione dell’impero, firmato nel 1718. Francia, Inghilterra, Austria e Olanda chiedono alla Spagna la destituzione della Sardegna e della Sicilia e l’erezione a feudi imperiali (e non più pontifici, scusa spesso usata da Elisabetta) di Parma e Piacenza. L’articolo quinto del trattato infatti proprio dedicato alla spinosa questione della successione i ducati farnesiani e il granducato di Toscana, per i quali si prevede che, in assenza di figli maschi diretti e per evitare la guerra tra i diversi pretendenti, il riconoscimento dei diritti ereditari avvenga in base alla natura di feudi imperiali di quei domini e quindi per investitura dell’imperatore. Sono soprattutto gli inglesi essere assolutamente indisponibili che cambi l’equilibrio nel Mediterraneo raggiunto con la fine della guerra di successione spagnola, visto che ormai sono loro a controllarlo. Ancora una volta Filippo si aggrava, mentre stava organizzando una guerra contro la Francia che si era associata all’Inghilterra contro il nipote. Tra novembre e dicembre anche Vittorio Amedeo, che avrebbe dovuto strappare Milano agli imperiali, aderisce invece alla quadruplice, i cui componenti dichiarano guerra alla Spagna. Solo a questo punto, e con grande ritardo, Alberoni cerca inutilmente la mediazione dell’Olanda, che però non porta nulla. [Alberoni, quando si rende conto che sia l’impero che i Savoia aderirono alla terza alleanza, cercò, inutilmente, di mediare con l’Olanda, dati gli ormai tesi rapporti con l’Inghilterra] Tutto questo segnerà la fine per Alberoni: ha portato la Spagna in una guerra generalizzata senza prospettiva. La lezione che Elisabetta ha ricevuto da tutta la vicenda alberoni è severa: si è compromessa e disposta troppo favorendo il suo favorito e facendo in modo di dargli un enorme potere politico, tanto da dover poi inscenare una pantomima assai patetica per dissociarsi dal suo operato. Capitolo V E il 31 marzo del 1718 il Filippo scrive alla suocera per informarla della nascita della terza figlia Marianna, chiamata comunemente Mariannina. La parabola di Alberoni, che coincise in gran parte con i passi iniziali della regina in Spagna, non portò fortuna ad Elisabetta, anzi diede vita alle prime forme della leggenda nera di una donna dominata dall’ambizione di dare un trono un figlio appena nato e disposta per questo mettere a repentaglio la pace dell’intera Europa. È proprio qui che si afferma l’immagine di Elisabetta dominatrice di Filippo attraverso una vita domestica comune. Dalle parole di Lascaris di Castellar traspare il disprezzo che i Savoia nutrono da sempre per i Farnese, ora ancora più forte per esser Elisabetta subentrata indegnamente sul trono di una loro sfortunata principessa, morta nel fiore degli anni. Con gli ambasciatori piemontesi siamo alle origini di una tradizione cupa che vedere la regina di Spagna con lei che si è impadronita dell’anima di un uomo, che illegittimamente si occupa della vita dei figli di primo letto del re per favorire i suoi, che si circonda di avventurieri nefasti per la pace di Europa. All’epoca è viva l’esigenza dei sovrani di trovare un degno ritrattista che sappia dare forma alla propaganda della monarchia; magnifici ritratti, rappresentazioni della regalità, devono abbagliare la vista allontanando le ombre degli scritti denigratori. Dorotea non cederà Molinaretto come ritrattista della figlia per gelosia. Saint Simon sebbene anche lui condividesse il pregiudizio su di una Elisabetta indegna di occupare il posto di regina di Spagna per le sue umili origini, molti aspetti del rapporto che intercorse tra Elisabetta e Filippo e molti particolari di come si viveva alla corte di Madrid, sono proprio dovuti alla sua penna. Va però tenuto presente che egli soggiorno in Spagna per un periodo molto breve, quasi circa un anno. Nonostante l’acuta conflittualità che si ebbe in momenti diversi tra Madrid e Versailles, rimane sempre viva l’idea che nei due casi reali erano imparentate loro rapporti privilegiati. Con l’avvento di Filippo V di Spagna, entrambe le corti concessero ai propri principi e infantile massime distinzioni; l’appartenenza un grande casato della legalità europea fece sì che Versailles Madrid nel corso della vita di Elisabetta avessero rapporti complessi, pieni di incomprensioni gelosie, alternando momenti di apparente amore familiare a fasi di vivace conflittualità. Il rapporto si inasprì alla morte del nonno di Filippo, Luigi XIV. Con la sua morte venne anche meno la supposta superiorità del ramo francese della famiglia. Il nuovo re di Francia non era neanche il fratello maggiore di Filippo, bensì il figlio del duca di Borgogna, peraltro ancora molto ma molto bambino. Da qui il senso di indipendenza che la famiglia madrilena mostro e la stizza francese verso questa scarsa considerazione esibita dei parenti spagnoli e attribuita proprio ad Elisabetta. I Memoires di Saint-Simon Scritti fra il 1739 del 1749, sono pubblicati postumi, correlazioni non sempre uguali in tutte le edizioni. Si si consultano le più estese edizioni critiche dei suoi appunti, appare tra le righe è un quadro diversificato, nel quale convivono ostilità e una malcelata involontaria ammirazione per alcuni aspetti della regalità che Elisabetta se esibire, particolari probabilmente che si ritiene di omettere nelle prime versioni settecenteschi, quando dominante era la visione tutto negativa della regina di Spagna. Il duca subito colpito dal viso sfigurato del vaiolo della regina, ma resta poi attratto dalla naturalezza delle sue maniere, che fanno dimenticare rapidamente le ingiurie in ferite dalla malattia. Fin dal suo viaggio dall’Italia, sfoggiato le sue doti caratteriali di donna forte e dominante, inclinazioni che vengono puntualmente confermata dall’ambasciatore francese, tanto da concludere che la regina, secondo un topos comune della storia della misoginia europea, ha qualità più virili che femminili. Ha dovuto imparare in gran fretta come comportarsi da regina, probabilmente la prima crisi nervosa di Filippo a cui ha assistito accelerato con la maturazione e l’ha resa consapevole che tra le sue missioni sia anche quella di supplire alle carenze del marito. Ciò che però coincide sia nella descrizione che nei dipinti è la ricchezza di gioielli, che le donano un’affascinante luce; Filippo aveva preso l’abitudine di abbigliarsi alla spagnola nella fase più difficile della guerra di successione, consapevole dell’importanza delle simpatie delle masse spagnole per il buon andamento del conflitto; Elisabetta invece altera la moda italiana a quella spagnola. A conquistare poi il duca sarà la con le qualità di Elisabetta, la sua parlata in francese, con l’uso di parole ben scelte, senza eccesso di ricercatezza, accompagnati da una voce gradevolmente forte o leggero accento italiano. Ma a parte questo discorso complessivo sull’intuizione monarchica Elisabetta ha saputo costruire un ambiente spensierato. L’ambasciatore non riesce tuttavia a trattenere il solito incorreggibile snobismo Gallico, che lo induce a ritenere che la corte perfetta sia proprio quella francese, guidata e guida del Borbone in Europa. Vista quindi attraverso le lenti deformate di una supposta superiorità dei Borbone di Francia, Elisabetta e si è dotata di molto spirito, grazie consapevolezza dei suoi talenti, ma sente la sproporzione tra la sua nascita e la corona che il destino gli ha riservato, tanto da parlare liberamente dei suoi difetti: l’autoironia, dote delle persone assai intelligenti che però dagli osservatori che si nutrono di pregiudizi viene distorta, appare proprio questo la prova di una supposta consapevolezza di Elisabetta di non avere una nascita e un’ educazione degna di una regina. L’altro aspetto che impressiona l’ambasciatore è la vita di coppia dei sovrani, di cui sottolinea l’intensa intimità. Durante la malattia di Filippo la regina non ha lasciato il suo letto; non è Elisabetta, contrariamente a quanto sostengono i malevoli ambasciatori, ad imporre quello stile di vita, poiché il Filippo lo ha attuato già con la prima moglie. La regina piuttosto, si guarda bene dal tornare indietro e consolida lo spazio privato nel quale vivono insieme i due sovrani. Proprio questi comportamenti di Elisabetta colpiscono tanto i suoi contemporanei e hanno alimentato la costruzione di un’immagine di una regina distruttrice dell’etichetta di corte, pur di conseguire l’obiettivo che gli appartamenti reali siano il centro delle decisioni politiche. Si parlerà infatti di domesticazione della monarchia. Allora è più vero che Elisabetta e suo marito, nella voglia di una vita più intima, sperimentano una regalità più congeniale alla loro aspirazione di una vita meno schiacciata dall’etichetta, dando inizio a una transizione della monarchia del più maturo assolutismo a quella dell’epoca dell’Illuminismo e di fine secolo. La dissoluzione dell’etichetta attraverso la moltiplicazione degli spazi intimi era anche finalizzata alla conseguenza politica di sminuire il ruolo dei grandi di Spagna a corte. La continua accusa rivolta Elisabetta di nutrire eccessive ambizioni verso i figli nasceva anche da questa inusuale vita corte, con genitori figli molto più vicini di quanto la tradizione monarchica precedente avesse praticato; si farà infatti riferimento a un fatto del passato, quando il re di Francia Enrico IV fu visto giocare “a cavalluccio“ con suo figlio. Il punto di forza di Elisabetta consiste nel condividere passioni affetti di Filippo, supplendo alle carenze del marito nei momenti più acuti della depressione. Quella condivisione di interni di Tanto nei paesi cattolici quanto in quelli protestanti appuntamento del potere Reggio c’è un indiscutibile sacralizzazione pubblica del potere, con le autorità ecclesiastiche che giustificano la potestas dell’auctoritas dei sovrani. Le corone del continente risultano meno sacralizzate, con un’articolazione del rapporto tra re e religiosità che andava sperimentando nuove forme. Il 700, d’altra parte, vide anche una vitalità religiosa nei paesi protestanti con il risveglio evangelico, in quelli cattolici con l’impennata del giansenismo. Elisabetta e Filippo, dal punto di vista religioso, conservano la continuità degli atti dei precedenti sovrani di Spagna, introducendo però alcune trasformazioni che segnarono i mutamenti in atto del comportamento religioso delle cose reali. Filippo sollecita il pontefice nel 1709, seguendo l’indicazione di Carlo II, ad approvare il dogma dell’Immacolata Concezione. Nelle lettere di Elisabetta sono sempre ricorrenti e formule di invocazione dei santi e di asserzioni di essere allineata alla volontà di Dio, nonché raccomandazioni alla prole di assolvere i propri obblighi religiosi. La regina è un complesso rapporto con la compagnia di Gesù, tanto da venire identificata in alcune occasioni come la sua protettrice. Anche in questo caso, Elisabetta ed il marito preferiscono una spiritualità dal carattere più intimo e personale, relegando in secondo piano le manifestazioni pubbliche della fede; soprattutto l’abitudine quotidiana di pregare insieme nella camera da letto ho fatto ritenere che i sovrani trattenessero una relazione quotidiana con il divino realizzata parzialmente in modo autonomo e personalizzato. La religiosità di Elisabetta si esprime in modi più discreti evitando grandi gesti di espressione devozionale. Sul rapporto tra politica e religione, Elisabetta occasioni di esprimere la netta separazione che deve esistere tra la pietà privata del re e la politica della monarchia, riprendendo un pensiero che in realtà si è ampiamente affermato nella stessa Spagna degli Asburgo infatti, quando il giovane Luigi I sta assumendo la carica di sovrano, Elisabetta gli raccomanda che la morale religiosa non interferisca con i progetti della politica Capitolo VI La fine del governo di Alberoni manda in frantumi il sogno chimerico di una facile restaurazione spagnola in Italia ed una rapida soluzione ai problemi della successione di Elisabetta e di suo figlio nei ducati padani. Quella frase drammatica si conclude anche con un doloroso lutto: il re perde il piccolo Filippo. Elisabetta ancora una volta, conforta l’anima tormentata del marito, sostenendolo perché non ricada nell’oscurità di una crisi depressiva. Filippo il 26 gennaio aderisce alla quadruplice, dopo l’evacuazione della Sicilia e della Sardegna; le istruzioni che Filippo ha consegnato all’ambasciatore che deve concludere le trattative sono in realtà più da guerra che da pace: per la Spagna la quadruplice è una mostruosità che va dissolta; si reclama Gibilterra; si vuole ottenere per l’infante Carlo l’immediata occupazione di ciò che gli spetta; si esige la soppressione della sovranità imperiale su quei territori e addirittura si rivendica la cessione di Castro e Ronciglione dalla Santa fede. Gli anni tra il 1720 e il 1733 sono dominati dal sistema anglo francese. Si affacciano nuovi responsabili della politica interna e internazionale: Walpole in Inghilterra Fleury in Francia e Patino in Spagna. Il dopo Alberoni è dunque una fase di transizione: si procede prima a ricucire gli strappi provocati dalla guerra in Sardegna in Sicilia e si prova ad imboccare una via diplomatica attraverso la mediazione francese per la soluzione dei territori italiani, riaccendendo la speranza della regina di vedere l’infante Carlo signore dei suoi domini familiari. Carlo VI non riconosce Filippo V come re di Spagna e soprattutto non procede all’investitura dell’infante Carlo di Parma e Piacenza. L’intenso lavoro degli ambasciatori porta un patto tra Spagna e Francia firmato nel 1721. La Francia si offre di collaborare per recuperare Gibilterra, non che, con un articolo segreto, di permettere di installare guarnigioni spagnole nei ducati italiani. Si vuole coinvolgere nel trattato anche gli inglesi, con i quali però è ostativa la cessione di Gibilterra. Il Regno Unito, tuttavia, interessato a insultare l’Austria, poiché la relazione tra Giorgio I e l’imperatore si sono deteriorate. Quindi l’Inghilterra aderisce ed è firmata la triplice tra Francia Spagna e l’Inghilterra. Dal punto di vista dinastico inoltre, la Spagna appare molto più forte rispetto alla Francia; è quindi ora di saldare i rapporti di famiglia con matrimoni: Luigi, il governatore principe delle Asturie, può sposare la figlia del reggente di Francia, Luisa Elisabetta, scelta come futura regina di Spagna, mentre la piccola Mariannina è la sposa promessa di Luigi XV. Si può sorridere di un Elisabetta che ha voluto il matrimonio di una figlia, la quale raggiunge la Francia portata ancora tra le braccia della governante, che pensi così precocemente al matrimonio del primogenito di poco più di cinque anni. Ma le trattative coniugali per i suoi figli, per quanto usate a prova della sua smodata ambizione, sono in realtà in sintonia con la prassi di matrimoni regali, che nel caso di Elisabetta e di Filippo assomma la tradizione spagnola di matrimoni doppi con quella francese dell’acquisizione, attraverso le unioni coniugali, di nuovi domini su cui collocare i rami cadetti. La salita al trono di Spagna di Filippo nel 1700 in qualche modo era un risultato tardivo e inaspettato della politica di procurare per eredità in via femminile un trono per un cadetto. Per evitare, nel malaugurato caso di assenza di un erede maschio al trono, che il regno finisse nelle mani di una potenza straniera a seguito del matrimonio di una principessa francese con un sovrano forestiero, è stata adottata la legge salica. È proprio per questa legge, che la figlia Marianna può venire promessa sposa così precocemente: per la legge il matrimonio di una principessa non costituisce più un problema per un eventuale rivendicazione del trono da parte di un principe straniero, contrariamente ai tanti timori che avevano circondato le principesse asburgiche. È stato sottolineato che questa legge non era una delle leggi, ma era la legge su cui si fondava la monarchia francese. I matrimoni doppi alla spagnola servivano quindi per creare alleanze, il matrimonio alla francese per acquisire titoli ereditari per i rami. Elisabetta porta in dotazione alla corona di Spagna e sui domini di Parma e Piacenza e l’ipoteca sull’eredità del grand ducato di toscana: nulla di più naturale che suo figlio, il quale è il primo dei cadetti, secondo la tradizione francese di avere di tali domini che la madre ha portato in dote. Altrettanto naturale sarà, quando il regno di Napoli verrà riconquistato, che si è occupato da Carlo, mentre ducati dovranno andare, secondo i disegni della regina, il più giovane Filippo. Elisabetta e Filippo sono accomunati dalla nostalgia e dal desiderio di produrre nel nuovo paese forme di vita che ricordino la loro infanzia felice. Nel corso degli anni 20 la vita della famiglia reale vede succedersi diverse cesure che cambiarono un poco il placido ritmo ritratto della penna di Sant Simon. Dalla guerra con la Francia, e soprattutto della crisi psichica di Filippo, egli è uscito molto scosso ed è ossessionato dal peso della salvezza della sua anima, che vuole purificare per arrivare al momento della propria morte quanto più possibile limpido. Per questo nel 1720, lui ed Elisabetta formulano segretamente il voto col quale promettono di rinunciare al trono in 3723 per la salvezza della loro anima. La Granja è un palazzo immerso in un paesaggio di boschi e prati; l’abbondante presenza di acqua, grazie un ampio lago artificiale, posto alla sommità del parco, alimenta una serie di baschi che scendono allineate verso il palazzo, con l’effetto di una cascata. L’impostazione che i due vogliono dare il palazzo è di un tradizionale palazzo castigliano, con due piani, più un terzo per la servitù, intorno a un cortile centrale con quattro torri. Elisabetta si dedicherà per tutta la vita ad abbellire la Grangia con notevoli risorse finanziarie e la residenza sarà l’espressione del suo collezionismo, la realizzazione in Spagna di un’attitudine che tanto ha caratterizzato la sua famiglia di origine. Filippo V viene considerato l’organizzazione degli spazi esterni del palazzo, volti a ricostruire il perduto mondo dell’infanzia di Marly. I giardini alla francese effettivamente sono in un contesto diverso da Versailles, dove il gran Canal spinge lo sguardo a perdersi nell’infinito: è come se il sole che dal palazzo si irradia sul mondo, illuminando; la grande invece chiusa dall’altura da cui scende la cascata. L’elegantissimo interno è prevalentemente opera di Elisabetta: il palazzo è per la regina il contenitore di cose rare, uniche. Il palazzo sarà dunque un’oasi di pace tra natura e arte: si è detto che la politica artistica di Elisabetta e Filippo è stata volta soprattutto ad affermare la nuova dinastia. È inevitabile far correre il pensiero a quanto era accaduto con la riapertura di Colorno, da parte dello zio Francesco e di Dorotea, luogo dove la famiglia si era gelosamente ritirata, sottraendosi ai riflettori Contini della celebrazione di turcica e della sovranità. La decisione ufficiale dell’abdicazione giunge il 10 gennaio del 1724, quando Filippo V riunisce personaggi più rappresentativi della corte. Lascia il trono di Spagna ai due ragazzini: Luigi che ha soltanto 16 anni e la moglie Luisa Elisabetta che ne ha 14. Esaltazione dei valori e dei doveri cristiani di un sovrano sono presenti nella lettera che Filippo scrive al figliolo al quale raccomanda di rispettare Elisabetta come madre, prestando attenzione a che non le manchi nulla, qualora il consorte venisse meno. Se le indicazioni del padre sono di natura soprattutto morale, quelli di Elisabetta hanno un sapore più pratico e politico. Ma dopo l’immediata attenzione alle contingenze materiali, il registro di Elisabetta cambia e manifesta la sua tenerezza verso i bambini, che però non resta disgiunta dalla consapevolezza che essi sono dei principi che dovranno rivestire un ruolo sulla scena della monarchia. Le istruzioni di politica internazionale spiegano come mai Elisabetta abbia reagito con tranquillità il desiderio del marito di abdicazione. Ostilità all’impero, unione con la Francia per recuperare Gibilterra e quanto perduto in Italia, politica africana e, soprattutto, che l’infante Carlo vada quanto prima in Italia per recuperare senza indulgere eredità farnesiano, compresa quella del granducato di Toscana. Elisabetta si assicura che il figliastro prosegue porti a compimento il suo programma e probabilmente, nel lasciare Madrid, e certa che con il giovane re tutto proceda secondo i suoi desideri. Nei mesi nei quali non è più regina i suoi figli sono lontani, Elisabetta mantiene vivo un dialogo affettivo con il primogenito attraverso lo strumento epistolare. Nel loro palazzo Elisabetta e Filippo offrono ai visitatori un’immagine idilliaca: conducono vita semplice e austera, lontani dall’uso della corte, senza feste di gala o cerimonie ufficiali. Tra gli storici si è molto discusso sul motivo di quella abdicazione, sulla quale, peraltro, i detrattori di Elisabetta come regina ambiziosa non hanno potuto trovare tracce di dissenso. Contraria all’abdicazione sarà anche la madre. Alle sue obiezioni, Elisabetta risponde con fermezza, quasi a voler dare questa volta lei una lezione di vita alla madre: promettendo di augurarsi che Dorotea Sofia non ne abbia mai della sua risposta, ritiene che la duchessa di Parma non abbia sufficientemente riflettuto sull’atto compiuto dai sovrani di Spagna di voler salvare la propria anima. Tra le corti europee circolava insistentemente la voce che il giovane Luigi XV non godeva di buona salute e la morte precoce avrebbe aperto la strada del trono al figlio del duca; -per Filippo V non era quindi utopistico aspirare al trono di Francia, perché preferito dei suoi compatrioti ai detestati Orleans, ma per poter cogliere quell’occasione occorreva spogliarsi della corona di Spagna, per permettere gli equilibri internazionali. Questa fu un’ipotesi formulata soprattutto da Coxe, che accreditato l’immagine di un Filippo angosciato di occupare un trono illegittimamente per le voci del testamento di Carlo II fosse un falso. La scelta religiosa del ritiro alla Grangia non va, tuttavia, enfatizzata intesa come volontà di entrambi sovrani di rinunciare alla propria posizione sociale per dedicare il resto della vita all’orazione e alla preparazione del transito delle loro anime. Piuttosto che un romitorio, il palazzo è un angolo dove ricostruire lunghi perduti dell’infanzia, con la grandiosità delle raccolte d’arte, la presenza di vasche, fontane e giardini. Nel corso del breve regno del giovane Luigi, si verifica una dualità di potere: un governo ufficiale a Madrid e un governo ombra guidato dei genitori. La situazione dualistica, d’altra parte, si presenta anche dal punto di vista dell’organizzazione della corte, poiché la residenza di Elisabetta e Filippo e quella di Luigi e della consorte a Madrid propongo una duplicità che mai precedentemente si era verificata nella storia della Spagna. Nulla di più naturale sarebbe stato, invece, come accade effettivamente per un certo lasso di tempo, che i ducati fossero tenuti dall’Austria. Elisabetta in realtà è figlia del suo tempo, di un tempo assai complesso di transizione piuttosto che di un Illuminismo ancora da vivere. Vecchio e nuovo quindi percorrono la sua vita e soprattutto la sua politica internazionale; antica affermazione di un progetto dinastico che era in primo luogo la realizzazione del compito storico affidatole dalla sua famiglia di dare continuità con la sua prole a domino farnesiano. Non vado altra parte dimenticato che le pretese dinastiche di Elisabetta non sono le sole a destabilizzare il continente; il suo maggior contendente, l’imperatore Carlo VI, negli stessi anni e intento a spingere le potenze europee a riconoscere la prammatica sanzione, cioè l’eredità di tutti i domini asburgici alla figlia Maria Teresa, il cui ipotetico futuro marito, conseguendo con elevata probabilità il titolo imperiale, avrebbe accumulato un potere eccessivo. Solo la morte di Filippo e l’allontanamento dal potere di Elisabetta da parte di Ferdinando VI avrebbe dato inizio una nuova fase politica, con la valorizzazione delle colonie e una ripresa della Spagna sul fronte oceanico. La politica di Elisabetta di vedere collocato l’infante Carlo sugli stati italiani ebbe luogo quindi a fianco del programma americano. Dopo l’ingenua e fallimentare scelta bellica al tempo di Alberoni, la Spagna si avvia verso una politica diplomatica più attenta a quanto possano offrire agli Stati europei nell’ambito della politica dell’equilibrio settecentesco, salvo poi scegliere l’opzione militare per affermare con la forza quanto faticosamente riconosciuto per le vie diplomatiche. Inoltre nella diplomazia spagnola degli anni 20 perdurò la tendenza ad affidarsi ad avventurieri; con essi si possono percorrere vie diplomatiche parallele senza mettere a rischio l’onorabilità del sovrano e nel caso fallisca, ci si può facilmente sbarazzare di loro. -L’azione fu un vero colpo di teatro: grazie a Ripperdá la Spagna si allea con il suo nemico, l’Austria, rompendo con la Francia e l’Inghilterra. Molto si è discusso su chi diede impulso all’operazione, perlopiù addossando la responsabilità di un nuovo piano avventato Elisabetta, ritenuta propensa a guardare più al mondo tedesco, per i suoi rapporti familiari, piuttosto che alla Francia dei parenti di suo marito. Il protagonismo di Elisabetta è da riportare al ruolo che alla regina fu affidato nella conduzione dell’operazione, ruolo che venne poi sopravvalutato dal velenoso ambasciatore inglese, il quale, dopo l’inizio piemontese e i rapporti con Saint Simon, fu colui che maggiormente costruì la demonizzazione della figura di Elisabetta. L’azione diplomatica della corona era unica, e semmai si ricorreva ai canali con a capo le donne per operazioni più problematiche incerte, che potevano dare adito a fallimenti, per non compromettere l’integrità della dignità del re. Recuperare l’accordo tra Madrid e Vienna era fondamentale per quanto riguardava l’equilibrio in Europa e, anche la sua spericolatezza, all’impresa non va negato di aver conseguito l’obiettivo di riannodare le relazioni tra Spagna e Vienna. Alla metà degli anni 20 è ormai diventata dominante la questione del riconoscimento della prammatica sanzione, che trova poco propizie l’Inghilterra e la Francia. Per la soluzione dei problemi internazionali è stata aperta la trattativa attraverso la concertazione tra le potenze in un apposito congresso. -A Cambrai dalla primavera del 1724 si riuniscono i delegati delle principali potenze, per risolvere i problemi attraverso la diplomazia multilaterale, invece che ricorrere ai trattati bilaterali. Filippo pretende che Carlo VI non utilizzi i titoli di re di Spagna e che si permetta alle guarnigioni spagnole l’ingresso a Parma e Piacenza garanzia della successione di Don Carlo. L’imperatore non intende recedere dal continuare a fregiarsi di quei titoli e vuole soprattutto il riconoscimento internazionale della prammatica sanzione; l’Olanda pretende che si ponga termine alle trattative della compagnia di Ostenda; I Savoia pongono rivendicazioni territoriali sul milanese. Questa politica tentennante, cauta, lenta, fatta di infinite mediazioni e di risultati pressoché nulli non farti irritare Elisabetta. E lei infatti manifesta la sua insofferenza verso i metodi dei congressi: la durata dilazionata dei tempi del congresso e tutta favorevole all’imperatore, poiché consente di prendere tempo affinché la figlia Maria Teresa raggiunga l’età del matrimonio. Elisabetta invece preme giungere a una rapida soluzione della successione sui territori di cui ride e cancellare il vincolo più tale che Vienna pretende far valere i suoi domini a lei appartenuti. Proprio questa sua impazienza fa si che si imbocchino nuovamente le strade le trattative bilaterali e segrete. Dopo che la guerra ha scardinato una plurisecolare amicizia tra Madrid e Vienna, il piano prevede un ristabilimento delle antiche relazioni, per superare il conflitto della guerra di successione e rilanciare, per contro, una collaborazione tra i due paesi in campo dinastico, commerciale, politico e militare. Ancora una volta, segno di quanto la politica internazionale e la politica familiare delle case regnanti siano fortemente intrecciate, il cemento della nuova alleanza deve essere il matrimonio tra le figlie di Carlo VI e gli infanti figli di Elisabetta. Primo, nell’assoluta segretezza, un doppio matrimonio: Carlo con l’arciduchessa Maria Teresa; Filippo e la secondogenita dell’imperatore Maria Anna, i quali si dovrebbe assicurare la successione degli Stati italiani di Parma, Piacenza e della Toscana; il principe delle Asturie si sposerà invece la figlia del duca francese, inizialmente poetessa a Carlo. I problemi sul tappeto sono la restituzione alla Spagna delle Fiandre e dei territori italiani, con la cessione di Milano ai Savoia come forma di compensazione. L’imperatore deve rinunciare con i suoi successori a portare il titolo di re di Spagna e impegnarsi perché l’Inghilterra restituisca Gibilterra e Minorca. Impressiona quanto le istruzioni facessero riferimento esclusivamente alle esigenze della Spagna e nulla quasi si concedesse all’Austria: il libero ingresso nei porti spagnoli delle navi della compagnia di Ostenta, per quanto molto allettante per l’imperatore, era poca cosa rispetto alla grande quantità di rivendicazioni avanzate, ed era finalizzato per ritirare l’Inghilterra che a favorire realmente l’Austria. Nel lungo elenco di desiderata, gli spagnoli aspirano comunque soprattutto a tre cose: la riconciliazione, che permetteva la riaffermazione internazionale del buon nome della Spagna; lo sviluppo di vincoli dinastici con il doppio matrimonio; l’assegnazione degli Stati alla discendenza della Farnese. Quello che Elisabetta cercava di fondare, o almeno ventilava che si potesse fondare, era un sistema familiare che da asburgico diventava borbonico, ma soprattutto un borbonico madrileno e non parigino. Dal punto di vista più strettamente familiare, l’acquisizione del titolo imperiale e dei domini italiani ribaltava la gerarchia tra i due fratellastri Carlo e Ferdinando, ponendo il figlio di Elisabetta a un livello addirittura superiore del maggiore. Carlo era secondo nella linea di successione preceduto da Ferdinando; la morte precoce di Maria Luisa, del primo infante Filippo vissuto una decina di giorni, del secondo Filippo morta sette anni, nonché la morte di Luigi la cui debole compressione non aveva retto a un attacco di vaiolo ritenuto leggero, inoltre i segnali di cattiva salute di Ferdinando, dimostravano che la famiglia di primo letto di Filippo non godeva di buona salute, contrariamente alla prolifica prole nata da Elisabetta. Carlo VI dà il suo assenso a che effettivamente sia iniziò le trattative il 17 febbraio e il 24 già si fanno prove di dialogo più fitte, tutto in gran segreto. Carlo VI soprattutto non vuole impegnarsi in contratti matrimoniali, adducendo la giovane età dei principi; si mostra favorevole esclusivamente alla successione dell’infante Carlo sul granducato di Toscana. Le posizioni però si avvicinano quando Carlo VI si mostra più disponibile a mediare sulla Gibilterra è più propenso alle nozze doppie, però tra Carlo di Elisabetta e Marianna e tra Filippo la più giovane Maria Amalia, suggerendo per il principe delle Asturie, Ferdinando la figlia del duca di Lorena. Non si tratta solo di voler precludere la possibilità che il figlio di Elisabetta posso un giorno effettivamente essere eletto a capo dell’impero; Carlo deve garantirsi che il futuro marito della sua primogenita mantenga nella casa d’Austria il titolo imperiale, che i grandi elettori non concederebbero mai a un Borbone. -Il rifiuto di Carlo VI è però un ostacolo ai sogni di Elisabetta, la quale, sta per vivere una drammatica umiliazione inflittagli dalla Francia. Mentre sono in atto i primi timidi approcci tra le parti, da Versailles giungono rumori secondo i quali, in barba a quanto precedentemente stabilito nonostante Marianna da qualche anno risieda alla corte di Francia, si sta cercando un’altra moglie per Luigi XV. Con l’avvento del principe di Condè, alla morte di quello di Orleans, si decide di stroncare i trattati con la Spagna. La figlia di Elisabetta e Filippo è troppo giovane perché il matrimonio sia consumato. Viene preferita la polacca Maria; è una smisurata umiliazione per Elisabetta, il cui orgoglio di madre di regina e ferito al cuore. Nuovamente è la Francia a tradire i patti e, giunta la notizia alla corte spagnola dell’affronto francese, la regina manifestando smarrimento di quella misura e quel controllo decantati alcuni anni prima da Saint Simon. Ora però tutto questo viene rimesso in discussione, in un modo peraltro assai offensivo; Elisabetta esige dal marito una risposta durissima e per rappresaglia viene subito fatta uscire dal regno alla volta della Francia l’imbarazzante vedova di Luigi I. Elisabetta non può, come vorrebbero invece francesi, ritenere che un simile ragazzino possa essere il capo famiglia. Marianna è accolta dalla madre nel maggio del 1725, dopo tre anni dall’ultima volta che la vista. Nel frattempo, iniziano trattative con il Portogallo, per un matrimonio duplice tra l’erede al trono con Marianna e tra il principe delle Asturie e Barbara di Braganza. Elisabetta infatti, furiosa per quanto accaduto, punta seriamente alla riuscita del piano di Ripperdá, incoraggiandolo invitandolo a concludere le trattative anche a costo di soprassedere per il momento sulle questioni del matrimonio tra gli infanti e le arciduchesse e su cui Carlo VI non vuole transigere. Mentre le relazioni con la Francia si rompono, entra nel vivo l’azione diplomatica per avvicinarsi all’Austria quindi. Non che le cose a Vienna filino lisce. I tre più autorevoli uomini al servizio dell’imperatore, hanno opinioni assai differenti sulla possibilità di raggiungere la pace con la Spagna. Ci sono poi molti diplomatici spagnoli supposizioni per nulla incline a raggiungere un accordo di pace. Nonostante le forti opposizioni, nel 1725 si raggiunge effettivamente a siglare la pace di Vienna, con la quale si intende porre fine al lungo confronto tra Filippo e Carlo. La pace articolata in tre diversi trattati: pace e amicizia; alleanza difensiva; commercio e navigazione. La Spagna riconosce allora la prammatica sanzione e l’Austria a sua volta ammette l’infante Don Carlo a legittima successione dei ducati di Parma, Piacenza e della Toscana, di cui però si conserva la natura di feudi imperiali, nonostante ciò infuri Elisabetta e Filippo. Ripperdá considera la sua opera un grande successo: l’imperatore ed il re di Spagna sono passati da nemici ad amici. Si può ventilare la costruzione in Europa di una preponderanza Asburgo Borbone di Spagna e di Vienna, con una Francia gravitante nella loro orbita. C’è però chi rimane assai male per quel trattato. Il duca Francesco Farnese, è stato tenuto all’oscuro dei negoziati e, a prezzi contenuti, cerca subito di favorire mediazioni che riavvicinano i Borbone, che però rapidamente naufragano. C’è poi Federico Guglielmo di Prussia a temere che quei trattati possono minacciare tanto la propria sovranità quanto la posizione di principe elettore protestante. Giorgio I a sua volta, vedendo a conoscenza di una probabile intesa tra l’Austria e Madrid di appoggio agli spodestati Stuart, si fa parte attiva per arrivare a un’alleanza di senso contrario. [L’alleanza tra Madrid e Vienna scatena l’Italia, l’Inghilterra, la Prussia e ovviamente la Francia, dati i rapporti che si andavano deteriorando] Dunque si sigla un trattato tra Francia, Inghilterra e Prussia che dà vita alla lega di Hannover. Si solidifica allora l’alleanza tra Vienna e Madrid. Tutto ciò è assolutamente impensabile nell’Europa del XVIII secolo che sta affinando gli strumenti diplomatici per la creazione di un equilibrio basato sul bilanciamento tra le potenze. Figuriamoci quale futuro può avere un’Europa borbonica asburgica cattolica nel settecento. Ma a parte le questioni di equilibrio, il vero nodo Siviglia rappresentò il laboratorio di sperimentazione di questa monarchia più intima, ma anche più assolutistica, caratterizzata dalla selezione degli accessi al circuito dei sei brani e dall’opera dei segretari sempre più a contatto con la corte è più svincolata dagli organi della rappresentazione cetuale. Intorno al 1731 la corte di Siviglia aveva ormai conseguito una forma stabile e un adeguato servizio pari a quella di Madrid. Questo però significo che gli anni del lustro costituirono un problema di non poco conto nell’amministrazione delle risorse della corona. Lasciare una serie di persone a Madrid, perché o non potevano stare in servizio a Siviglia o perché percepiti dalla regina come meno affidabili, creò una duplicazione della corte che accrebbe enormemente i costi. Inoltre tra i motivi dell’eccesso delle spese della corte ci furono le numerose gite per l’Andalusia infatti, per tenere lontana la depressione del re, Elisabetta cerca di programmare una vita informale lontana dalla routine. È indiscutibile che il lustro sivigliano significo isolare il re per evitare i colpi di mano degli oppositori; questo isolamento fisico si accompagnò una proiezione dell’immagine regale, a partire dalla grandiosa entrata nella città, nella dimensione sia guerriera, con feste civili, sia sacra, con la partecipazione di cerimonie religiose. Elisabetta e Filippo concepiscono proprio Siviglia l’ultima figlia. Inizialmente il cambiamento e l’intensa attività fanno bene all’umore del sovrano, tanto che Filippo hai visto svolgere gli atti protocollare e, soprattutto, partecipare volentieri agli intrattenimenti di piacere che Elisabetta organizza. Ma il miglioramento ben presto si rivelò effimero. Eppure, nonostante tutto, il paese governato importanti decisioni di politiche interne internazionali vengono prese, svincolati dal controllo dei consigli. In tutto ciò, a Parigi, arrivano relazioni che parlano di uno Stato ormai limite della depressione di Filippo. Il re effettivamente sta traversando il peggiore momento della sua depressione. A soffrire di questa situazione e soprattutto la regina: Elisabetta è costretta dal marito a dormire non più di 2,3 ore a notte. Ormai Filippo deraglia completamente. D’altra parte oltre a preoccuparsi del marito, Elisabetta deve preoccuparsi della sposa di Ferdinando, Maria Barbara, lungi dal considerarsi subalterna alla Farnese per essere una nipote, si rivela la sua più accanita antagonista alla corte di Spagna. La storia delle monarchie europee è piena di conflitti tra regine madri poco propensi a capire che l’ora del proprio pensionamento e regine consorti di sovrani appena incoronati, molto determinati ad assumere il ruolo di protagoniste, sbarazzandosi delle suocere. Tutto ciò, tuttavia non può essere che è ridotto solo ad una lotta tra donne. Il principe delle Asturie, Ferdinando, da tempo è il punto di riferimento di coloro che questionano sulla legittimità del trono di Filippo. I principi delle Asturie passano a Siviglia e loro primi quattro anni coniugali, durante i quali Barbara cerca di assumere un forte protagonismo: certo non è bella, è stata anche lei duramente colpita dal vaiolo, tanto che quando Ferdinando la vista per la prima volta non è riuscito a dissimulare una profonda delusione, e probabilmente ha pensato che quella portoghese sia stato l’ennesimo dispetto della matrigna che gli ha procurato in sposa una donna così sgradevole. Quando Filippo V morirà, le malelingue corte diranno che non è Ferdinando a succedere il padre ma sarà proprio Maria Barbara. -I ducati italiani richiedono una definitiva sistemazione, prima che una guerra vada ad infiammare nuovamente il Mediterraneo. Elisabetta è profondamente agitata per quanto sta accadendo nei suoi educati: nella primavera del 1727 Francesco Farnese è improvvisamente morto, lasciando Dorotea Sofia vedova e Parma e Piacenza in mano al fratello Antonio. Elisabetta ha supportato la morte del patrigno, ma la successione dello zio è motivo di apprensione. Si sono subito aperte infinite questioni per l’appannaggio a favore di Dorotea Sofia e la tensione è andata crescendo con l’arrivo della sposa del duca, Enrichetta d’Este, che potrebbe aprire una discendenza alternativa a quella stabilita con il riconoscimento di diritti dell’infante Carlo. Dunque è nella città andalusa che si realizza l’ennesima spettacolare virata della politica spagnola: di fronte all’irremovibile Carlo VI, reticente sia sulla successione di ducati italiani, sia sull’ipotesi matrimoniale delle giovani arciduchesse, è forgiata una nuova alleanza con la Francia e l’Inghilterra. Nel 1729, per quanto Elisabetta non abbia perdonato la Francia per l’umiliazione subita con il rientro di Marianna, sta maturato la consapevolezza che solo con lei può trovare una via d’uscita dalla situazione italiana. Quando a settembre dell’anno successivo nasce il delfino di Francia e si chiude ogni speranza di poter tornare sul trono del nonno, è all’ora di trovare un accordo serio con questa. Con l’Inghilterra i problemi aperti sono molto più rilevanti, tanto da non lasciare pensare che ci sia possibilità di accordo: Gibilterra e Minorca, contrabbando, usurpazione nelle Americhe, tensioni per la pesca del baccalà in Terranova. L’avvicinamento all’Inghilterra è possibile grazie anche a quanto sta accadendo al suo interno. Furono proprio i diplomatici inglesi che avviarono le trattative nel corso del lustro reale ad alimentare la peggiore visione di Elisabetta, che si diffuse a livello internazionale. Essi avranno un giudizio completamente misogino contro Elisabetta. C’è da chiedersi se il giudizio degli ambasciatori inglesi così intenso di una forte componente proprio misogina non nasconda e non nasca da preoccupazioni, in realtà, tutti interni all’Inghilterra, un paese che appena da qualche lustro era uscito dal regno femminile di Anna Stuart. Dunque nei primi mesi di Siviglia la diplomazia francese, interessata a raggiungere un accordo, continuamente monitorare rapporti tra la Spagna e l’Austria, preoccupata che l’imperatore possa concedere a Elisabetta quanto stabilito nella pace del 1725. Elisabetta, per quanto di indole loquace, non è certo una donna da cadere in una trappola, ma probabilmente la manifestazione della sua delusione nei confronti di Vienna ha luogo perché è maturata l’ora di un accordo con le potenze atlantiche. A sostenere la regina c’è il marito, il quale, prontamente, alle parole della moglie, aggiunge di aver risposto ai cattivi pretesti dell’imperatore ribadendo che per Carlo è ora di maritarsi. Il trattato di Siviglia verrà firmato nel 1729 proprio tra Francia Inghilterra e Spagna. Prescindendo dalla questione di Gibilterra, le tre potenze appoggiano la successione dell’infante Carlo a Parma, Piacenza in Toscana ed hanno permesso alla Spagna di introdurre un esercito di 6000 uomini possedimenti ereditari di Elisabetta (verrà anche appoggiato dall’Austria). Il trattato di Siviglia ha rappresentato l’arrivo una linea diplomatica che tiene conto della politica dell’equilibrio e che non si affida più ad avventurieri che propongono chimerici percorsi: non sono, tuttavia, mancate critiche riconducibili soprattutto alla considerazione che nel primo terzo del settecento la politica della corte di Madrid, in quello che era il secolo coloniale per eccellenza, era incentrata nel recupero economico, politico e dinastico dello spazio mediterraneo, piuttosto che dell’Atlantico. La firma del trattato, per quanto significativa di un cambiamento complessivo della politica internazionale, rimane tuttavia una petizione di principio sui diritti della Spagna, senza garanzie che le cose debbano andare come si è stabilito. Elisabetta e Filippo vogliono invece un’immediata attuazione del trattato attraverso un’azione militare. La distinzione con la Francia ha di fatto l’unico effetto che da Versailles si chiede a Madrid di provvedere adeguatamente al sostentamento della vedova di Luigi, perché possa vivere in un modo conveniente al suo stato. Il colloquio del gennaio del 1730, oltre a chiarire la posizione della Spagna sulla prammatica sanzione, esibisce ancora una volta i modi con i quali la coppia dei sovrani, almeno quando Filippo è lucido, si rapporta alle questioni diplomatiche: Elisabetta interviene soprattutto su ciò che riguarda i ducati italiani, mentre Filippo interloquisce sulle questioni più generali, come il problema della successione asburgica. La diplomazia spagnola sta spingendo perché l’infante Carlo ottenga l’investitura da parte del Papa Clemente VII, il quale però tentenna per non inamicarsi l’imperatore. E tra le infinite discussioni tra Elisabetta e l’ambasciatore francese che tra il 1730 il 1731, inizia ad apparire un argomento che fino ad ora non è stato toccato alle trattative: il regno di Napoli. Il 23 febbraio sempre l’ambasciatore di Francia comunica a Versailles che la regina vedrebbe con piacere di unire la corona di Spagna i regni di Napoli Sicilia e il milanese diviso tra l’infante Carlo il re di Sardegna. Il mese successivo si valuta con la scarsa capacità di resistenza delle truppe imperiali nel mezzogiorno, in caso di un conflitto armato. Su tutta L’operazione aleggia il fantasma di alberoni con il suo progetto che dopo tanti anni appare tutt’altro che campato in aria: la riconquista dell’Italia conseguita con l’accordo dell’Inghilterra. La reazione degli alleati ai piani spagnoli è cortese, ma fredda. La situazione di stallo in seguito al trattato di Siviglia subisce una scossa a seguito della morte di Antonio Farnese, con la formazione di un consiglio di reggenza che giura fedeltà Dorotea, aprendo la porta al contenzioso sui ducati. Antonio prima di morire ha steso un testamento per il quale è il ventre pregante della moglie Enrichetta essere erede dei ducati, escludendo i figli di Elisabetta. Grande è la sua indignazione per il comportamento della moglie dello zio e reclama con fermezza che l’Inghilterra e la Francia rispettino i patti di Siviglia nell’organizzare con gli spagnoli una spedizione militare. Ancora una volta Elisabetta dimostra di conoscere quanto gli interessi coloniali possano pesare nella bilancia dell’equilibrio; decide infatti, in seguito ad un tentennare francese, di concedere vantaggi economici a chi prima le darà a Parma. Con il trattato di Vienna del 1731 tra Gran Bretagna Austria e Olanda sancisce che Carlo VI tenga la prammatica sanzione e con questo l’Inghilterra potrà mettere mano su Parma Piacenza e Toscana. Nel corso del 1731 preoccupazione di Parigi è infatti che la Spagna sottoscrive il nuovo trattato di Vienna stipulato tra Inghilterra Austria Olanda lasciando la Francia isolata. L’Inghilterra con il trattato di Vienna ha poggiato le pretese di Elisabetta, ma non è disposta ad avallare un eccessivo squilibrio del quadro europeo. A segno di quanto i progetti matrimoniali di Elisabetta, per quanto millantati, preoccupino le cancellerie europee, si impone esplicitamente a Carlo VI di non poter far sposare l’arciduchessa con un principe di casa Borbone. È un vero colpo al cuore della Francia la notizia che la Spagna ha aderito al trattato anglo austriaco del 1731. L’imperatore, in cambio della riconferma già concessa da Madrid della prammatica sanzione, aderisce all’accordo sulla successione futura di Carlo sulla Toscana, accettando che l’infante scenda in Italia con un seguito di seimila soldati. Il 19 ottobre, l’infante è un lungo colloquio con Filippo V che gli impartisce le ultime raccomandazioni paterne; poi il turno di Elisabetta che parla l’amato primogenito a tu per tu. Con il figlio Elisabetta un’antica e consolidata abitudine di scambio epistolare iniziata dalla prima lettera infantile che Carlo le ha inviato a poco meno di cinque anni dell’ottobre del 1720. Le corrispondenze tra Elisabetta e Carlo avvengono per molto tempo sul duplice binario della manifestazione dell’amore materno e della continua educazione del principe futuro. Carlo resta molto laconico e poco incline nel dar corpo a quest’immagine che la madre vorrebbe, non parla molto ma infondo è poco più che quindicenne. Elisabetta invita suo figlio a mantenere legami di famiglia insistendo perché sia lui a scrivere in Portogallo a sua sorella Marianna. Durante il suo viaggio verrà anche colpito da una malattia che però, per fortuna lascerà il suo corpo entro poco tempo. Con l’infante Carlo ormai in Italia, è giunta l’ora di dare un ulteriore colpo al compimento della riaffermazione spagnola nell’area mediterranea. Elisabetta non perdonerà alla Francia di non aver introdotto Carlo in Italia, ma di aver dovuto ricorrere piuttosto all’Inghilterra. D’altra parte, la Francia nutre nei confronti della regina di Spagna una viva antipatia, ritenendola responsabile del suo isolamento. Alla corte di Siviglia la diplomazia francese già da prima della partenza di Carlo ha capito che però può giocare ancora una sua partita attraverso il debole Ferdinando. La collaborazione tra Ferdinando e l’ambasciatore si converte in pochi mesi in una cospirazione, con le prime cinque nell’appartamento dei principi delle Asturie, determinati a voler porre termine a quella che considerano la tirannia della Farnese. È già chiaro che Barbara eserciterà un forte controllo sul marito, simile a quello che Elisabetta esercitato su Filippo. Elisabetta verrà presto a conoscenza dell’alleanza tra Luigi XIV e Ferdinando. Dal febbraio del 1732 Elisabetta colpisce duramente i principi, non versando le rendite necessarie al mantenimento della servitù e facendo sapere che ormai a conoscenza del complotto. austriaca. Nel 1733 Filippo, partito l’esercito spagnolo alla volta dell’Italia, conferisce a Carlo il titolo di generalissimo. Il piano strategico complessivo è la cacciata dell’Austria dall’Italia, ma Francia e Savoia prevedono prima la guerra nell’Italia settentrionale e solo successivamente la discesa nel regno. Carlo Emanuele vorrebbe che la guerra si svolge attraverso l’unione delle forze piemontesi, francesi e spagnoli, mentre il regno di Napoli dovrebbe essere conquistato successivamente da una flotta spagnola. Con l’inverno e si fa sempre più insistente da Madrid è la richiesta che a Parma si dia inizio all’azione militare per la conquista del mezzogiorno. Ormai chiaro che gli spagnoli non hanno alcun interesse a partecipare al teatro di guerra dell’Italia settentrionale, ma mirano a sottrarre all’Austria il proprio regno di Napoli. [La Spagna non ha intenzione di entrare in guerra nell’Italia settentrionale: vuole solo conquistare Napoli]. Tuttavia qualcosa non va per il verso giusto e ancora si prende del tempo per organizzare l’armata, tanto che a Madrid si temi di perdere l’effetto sorpresa. Preoccupa che l’Inghilterra, millantando di voler contrastare la pirateria, sta rinforzando la propria flotta nel Mediterraneo. Dunque dopo poco, ciò che era utopia si realizzò. Bene considerato nel peso e tutto sommato facile: l’Austria ha lasciato a difesa del regno solo 8000 armati, un numero che non può competere con i 25.000 soldati spagnoli che stanno discendendo la penisola. L’11 aprile del 1734 l’infatti Carlo dalla città di Aversa informa i genitori che il giorno successivo la fanteria e la cavalleria spagnola avrebbero raggiunto Napoli. Che è un figlio di 20 dei cambia poco per una madre essere possessiva. Nel caso poi di Elisabetta va detto che lo spirito indipendente che l’anima nata fin dal momento in cui ha lasciato alle spalle le sue terre padane non è mai stato disgiunto dal senso di appartenenza a una famiglia e dall’imperio di realizzare i propri doveri dinastici. L’indipendenza acquistata con un re proprio nazionale non significa affatto autonomia politica. La subordinazione del regno di Napoli a quello di Spagna fu d’altra parte una considerazione assai diffusa nell’Europa del tempo. E’ l’occhio vigile della madre, piuttosto che quello del padre, forse in preda ad un’altra sua crisi, da solvere il difficilissimo compito, complicato dalla lontananza, di seguire con attenzione la formazione dell’uomo di potere. I figli, Marianna soprattutto, avranno un rapporto epistolare molto intenso con la madre, rispetto a quello che avranno col padre. Ci sarà anche un grande scambio di doni proprio perché i figli conoscono bene le passioni della madre. Elisabetta, oltre al tabacco, ma infinitamente anche le tabaccherie che colleziona con quadri, statue e ventaglio. Il cibo è un altro canale privilegiato nei rapporti tra la madre i figli perché esso è un sistema di comunicazione, un corpo di immagini, un protocollo di usi, di situazioni e di comportamenti. Ma i gusti culinari, pur essendo portatori di identità culturali o etniche, possono altrettanto dare luogo a culture di scambio. Le grandi gioie di Elisabetta raggiunta nella primavera del 1734 non sono durature. Toccato l’apice con la conquista dell’Italia meridionale inizia una parabola discendente che ridimensiona i traguardi internazionali mentre disgrazie si susseguono. Al grande successo in Italia fa da contrappeso la sciagura che si abbatte la notte del 24 dicembre del 1734, quando a Madrid brucia il Palazzo Reale. La famiglia reale è in salvo e si trasferisce ma le fiamme sono devastanti per l’antico palazzo degli Asburgo. -Iniziano infatti, soprattutto dall’Inghilterra, a nascere quelli che sono i primi problemi su un’Europa che dovrebbe basarsi sull’equilibrio. All’Inghilterra la nascita di un regno di Napoli autonomo non è dispiaciuta perché indebolito Vienna senza eccessivamente rafforzare la Spagna, ma Carlo non può pretendere di tenere Parma e Piacenza e la Toscana. Quello inglese è un progetto che prevede un ridimensionamento sia della posizione spagnola che dei Savoia, con la perdita delle conquiste piemontesi. Un accordo prevede che Carlo ritiri Napoli dalla Sicilia, rinunci alla toscana, che deve andare ai Lorena e di Parma e Piacenza, destinati a compensare le perdite austriache (quella che successivamente sarà la pace di Vienna del 1738 in seguito alla guerra di successione polacca). Per la Spagna questi preliminari sono, con tutta evidenza, lontanissimi dall’essere una soluzione ideale. Dopo una serie di accordi si inizia costruire il complesso mosaico per il quale si prevede che Stanislao diventi signore della Lorena destinata alla sua morte entrare a far parte del regno della Francia, mentre Francesco Stefano di Lorena viene destinato al granducato di Toscana, a scapito dell’infante Carlo che resta re di Napoli di Sicilia, cedendo all’Austria Parma e Piacenza. Inizialmente Elisabetta non dà credito alle notizie delle trattative, ma quando ne ho la certezza ira indignazione si alterano senza soluzione di continuità. Insomma i sovrani e soprattutto Elisabetta non hanno alcuna intenzione di mostrarsi nella loro delusione di monarchi, ma sono talmente irritati da essere pronti esibire tutta la loro rabbia. Madrid si rifiuterà di firmare i preliminari di pace, ma le truppe in Lombardia rischiano di essere esposte all’attacco degli austriaci senza più l’appoggio di sardi e di francesi; Elisabetta cerca di ricorrere ad una mediazione dell’Inghilterra ma non ottiene alcun risultato. I preliminari di Vienna vengono firmati il 18 maggio del 1736 e Filippo V e il figlio sono costretti ad accettarli. La penisola italiana assume un aspetto profondamente diverso da quello ai tempi della partenza di Elisabetta. Nel 1736, nel pieno delle trattative per raggiungere accordi di pace, per Elisabetta e la Spagna è una gravissima perdita la morte di Patino, l’uomo forte del governo che ha appoggiato i grandi piani della regina saputo sapientemente equilibrare le diverse esigenze della politica internazionale del suo paese. Elisabetta ancora una volta si è sentita tradita dalla Francia, che ha il nome dell’equilibrio sacrificato educati della sua famiglia; e a questo punto che la regina di Spagna gioca una carta azzardata che, pur non avendo effetti pratici, quantomeno provoca scompiglio tra le cancellerie europee. Infatti l’ora di affrontare la questione matrimoniale dell’infante Carlo che ormai, è il re di Napoli e di Sicilia. Le possibili candidate sono numerose, ma Elisabetta ancora una volta tenta la strada dell’accordo matrimoniale con l’imperatore, nonostante i dissapori che passano tra le case d’Asburgo e di Borbone. La primogenita di Carlo VI, Maria Teresa, si era ormai sposata con Francesco Stefano di Lorena, pertanto Elisabetta punta al matrimonio con la più giovane e Maria Anna. La sua insistenza per un matrimonio asburgico è determinata dalla constatazione che Maria Teresa non ha ancora partorito un maschio e per le regole volute da Carlo VI l’unità dei domini asburgici passerebbe al figlio frutto del matrimonio della secondogenita. Tutto ciò è proprio il motivo per il quale Carlo VI è ostile a quel matrimonio. Il cumulo dell’eredità sia spagnola che asburgico a lui è stato d’altra parte impedito nelle fasi finali della guerra di successione spagnola, pertanto non lo ammetterebbe ora per un Borbone. Chi invece vorrebbe vedere sposa la propria figlia con il re di Napoli e Luigi XV. È un’ipotesi snobbata da Elisabetta, che considera la Luisa di Borbone ancora una bambina. Madrid allora decide di cambiare strategia, volgendo la propria attenzione agli elettori di Sassonia e regnanti di Polonia. È un piano favorito dall’imperatrice vedova di Giuseppe, Guglielmina Amalia, che tiene all’oscuro il cognato imperatore di stare organizzando il matrimonio per la nipote Maria Amalia. Elisabetta, che conosce bene il mondo tedesco grazie all’origine materna, probabilmente riesce ad essere consapevole che i tempi possono essere maturi per una guida germanica alternativa a quella asburgica. All’oscuro dell’imperatore, il compromesso matrimoniale verrà firmato. Aver rifiutato la francese, in un certo senso viene considerato, ed Elisabetta loro nasconde, un dispetto in primis per il destino crudele destinato a sua zia Marianna. Quel matrimonio inoltre offriva ad Augusto III la possibilità di reclamare l’eredità dei beni asburgici e aspirare alla corona imperiale, tenendo conto che ne Giuseppe I ne suo fratello Carlo VI avevano avuto figli maschi. Era stato poi Carlo VI attraverso la prammatica sanzione ad annullare il patto, sulla base della rinuncia dell’eredità paterna fatta al momento del matrimonio da Maria Giuseppa e Augusto III. (Con il matrimonio tra Carlo e Maria Amalia, Elisabetta considerava anche un tentativo dinastico di far avere pretese sull’impero ad Augusto III) Tuttavia, quella strada al femminile aprirà in realtà un varco per il quale poteva tenersi ancora più legittima la discendenza femminile di Giuseppe I che quella di Maria Teresa, che era invece figlia del cadetto di Carlo VI. Capitolo X Negli anni conclusivi delle trattative per la pacificazione della guerra di successione polacca, Elisabetta vede sparire alcune delle persone che l’hanno circondata è la prima parte del suo regno. La prima è la zia Marianna. Per celebrare la sua morte, essa sarà fatta rientrare nel paese in cui è stata regina, anche soprattutto per volere di Dorotea. Tre invece i personaggi nuovi che si affacciano nella vita della regina un posto singolare e quello occupato da Farinelli. La sua presenza accorte è il più grande avvenimento nella storia della musica della Spagna del settecento: l’affermazione del genere del melodramma aveva favorito la presenza dei castrati, poiché per le nuove rappresentazioni musicali era richiesta una tecnica vocalica con l’estensione di almeno due ottave. Questo, nel periodo sivigliano, sarà colui che curerà tutte le ferite a Filippo, tramite la sua musica. L’estensione vocale del cantante è stupefacente, capace di salire i più acuti da soprano e poi cadere a cascata fino a registro grave del contralto. Al cantante viene imposto un contratto in esclusiva, con il divieto di tenere i concerti fuori dalla corte. La grande famiglia cui ha dato vita Elisabetta si arricchisce in quel 1738 per l’arrivo della giovane nuora Maria Amalia di Sassonia. Le due donne si incontreranno fisicamente molti anni dopo e non correrà una grande simpatia. Elisabetta affidato il figlio, da quando è partito da Siviglia, ad un uomo suo fedelissimo. Mentre è in corso il duro confronto diplomatico per raggiungere un assetto di pace che ponga fine al conflitto europeo innescato dalla guerra di successione polacca mentre nel regno di Napoli si cerca di avviare una nuova fase politica, la Spagna deve affrontare l’esplosione delle tensioni del mondo coloniale, con un duro scontro con l’Inghilterra che è rimasta apparentemente neutrale nel conflitto per il trono polacco. È stato col trattato di Madrid del 1670 dopo la guerra anglo spagnola del 1655 1660 che la Spagna ha riconosciuto ufficialmente la presenza dell’Inghilterra nei Caraibi, il diritto dei suoi mercanti a navigare in cui le isole e le posizioni territoriali occupate dei coloni inglesi. Londra dalla pace di Utrecht ottenuto soprattutto il riconoscimento economici sull’Atlantico, quella che comunemente passerà alla storia come transizione triangolare, il traffico di schiavi tra Londra Azzorre e Antille. Il conflitto ispano inglese esplode, infine a seguito del “taglio dell’orecchio” al capitano Jenkins. L’ufficiale della marina inglese sostiene alla camera dei comuni nel marzo del 1738 di essere stato mutilato come castigo per la sua presenza nelle acque spagnole. Il conflitto fu la prima vera guerra tra Spagna e Gran Bretagna che affronta apertamente le questioni coloniali con l’America come causa e scenario. Lo scontro è di breve durata ma sono solo la pace di Aquisgrana e la convenzione ispano inglese del 1750 a porre termine. Il conflitto coloniale rende consapevole la Spagna della necessità dell’appoggio della Francia: nonostante il primo patto di famiglia abbia avuto come problema di fondo la creazione di un’alleanza soprattutto contro l’invadenza inglese nelle colonie atlantiche, Fleury non vuole compromettersi nel progetto spagnolo di recuperare Gibilterra e Minorca, ne realmente rompere con l’Inghilterra. Si constata infatti che nel corso del conflitto le colonie si sono tenute assolutamente fedeli alla Spagna. Fu una guerra breve non perché si trovarono soluzioni al problema, ma perché il conflitto fu assorbito da quello più ampio della guerra di successione austriaca. La buona prova esibita dagli spagnoli nel conflitto coloniale fa sì che Elisabetta possa nuovamente porre la sua attenzione sull’Italia. Dall’ultimo conflitto ha tratto un enorme vantaggio con la conquista di due regni italiani per il figlio maggiore, ma ha subito l’umiliazione di aver dovuto rinunciare alla propria eredità dinastica. A Parma è rimasta come vessillo il presidio dei Farnese Dorotea, descritto ormai come rimbambita. Dopo lo sgarbo del matrimonio sassone, è possibile una rinnovata relazione col paese guidato dalla famiglia di origine di Filippo V, ed è Elisabetta che L’educazione maschile infatti, era data a Filippo V; Elisabetta invece si occupava dell’educazione delle sue figlie. Il 16 settembre Elisabetta vede realizzare il suo grande desiderio: Filippo entra a Parma mal difesa dagli austriaci ricostruendo il ducato. Tuttavia nel momento di massima euforia Elisabetta avverte che la Francia, come al solito, le sta per volgere le spalle per cercare una pace con i nemici. Elisabetta fine anno scrive una lettera a Versailles nel quale dice di aver ricevuto notizia che alla corte di Francia l’entrata di Filippo a Milano avrebbe suscitato più disgusto che contentezza. Il contesto complessivo effettivamente non gioca a favore della prosecuzione della guerra; Francesco Stefano di Lorena fu eletto imperatore nel settembre del 45; l’incoronazione ha luogo presieduta da Maria Teresa d’Asburgo per l’ennesima volta incinta. Luigi XV dice di non voler rompere i patti di famiglia ma fa capire che non è disposto ad aiutare il duca Filippo verso gli austriaci. E’ quindi necessario che Elisabetta e Filippo accettino una pace con i Savoia a costo del milanese, così da permettere una maggiore resistenza in Italia. Una dura controffensiva austriaca a maggio costrinse l’infante Filippo ad evacuare nuovamente Parma e Piacenza abbandonando la Lombardia, ripiegando fino alla frontiera francese. Il disgusto della regina è forte, soprattutto per il comportamento poco eroico di Filippo, che ha manifestato il desiderio di ritirarsi dal conflitto. [In seguito alla salita al trono di Francesco Stefano di Sassonia, marito di Maria Teresa, la Francia abbandona la Spagna nella controffensiva anti asburgica, facendo in modo che il debole Filippo perdesse tutti i territori finora conquistati]. A rendere il clima triste sono anche i segnali della salute del sovrano che appare peggiorare. Avvicinandosi il momento della sua morte, Filippo capisce che i rapporti con i francesi devono assestare, anche per assicurare un buon e futuro ad Elisabetta. Quando Filippo morirà, la salma del re verrà preparata perché riceva le onoranze funebri pubbliche. Chiusa nei suoi appartamenti la regina passa immediatamente in secondo piano: i principi delle Asturie sono i nuovi sovrani. A Ferdinando, ora divenuto VI, tocca portare il lutto e leggere il testamento. Filippo con le sue ultime volontà ha rotto un’antica usanza dei reali di Spagna: ha disposto di non essere seppellito nella cripta del palazzo reale, l’Escorial, ma nella chiesa della Granja, in quella sorta di nido che ha costruito con Elisabetta Capitolo XI Quello che da sempre ha temuto alla fine è avvenuto: ritrovarsi nella condizione di sua zia Marianna. Elisabetta è allontanata dal potere proprio in un momento delicatissimo nei rapporti internazionali, con la guerra in Italia che non sta andando per niente nel verso giusto. La rapidità con la quale Farinelli si è affrettato ad abbandonarla per correre a prestare servizio a nuovi sovrani, è il segnale dell’opportunismo dei cortigiani e dell’isolamento che la sta inghiottendo. Ma a dramma si assomma dramma e la terra quando trema, non lo fa una volta sola: in quelle roventi settimane estive all’inizio della sua vedovanza, Elisabetta ha la notizia della tragica morte della figlia. Infatti nel 1746, a seguito di un parto, muore Maria Teresa. Chi è stato allontanato dal potere ha un disperato bisogno di accesso all’informazioni. L’incertezza è una fonte inesauribile di tormenti. Elisabetta in quelle settimane drammatiche per i lutti si sarà posta ossessivamente tante domande: quali sono le intenzioni di Ferdinando? Davvero lascerà il fratello Filippo al suo destino? E’ consapevole che se si lascia Parma gli austriaci, c’è il rischio che cada anche Napoli? Il passaggio da un sovrano all’altro si caratterizza per una continuità che deve manifestare l’eternità della monarchia. Tuttavia, aldilà dell’ideologia della continuità della monarchia, il cambio di teste coronate comporta significative mutazioni dell’assetto del potere. I contrasti tra Elisabetta e la coppia dei principi delle Asturie sono stati aspri, e non determinati solo da incomprensioni caratteriali o da voglia di protagonismo. Il nuovo re vuole intraprendere sulle questioni internazionali una vita pacifica. Alla politica del recupero subentra quella della salvaguardia. Nonostante le diverse strategie, l’elemento centrale della politica estera del regno di Ferdinando è la volontà di non inseguire più il desiderio di Elisabetta. La corte risente, d’altra parte, come tante corti di antico regime, di contrasti tra frazioni e, come era avvenuto ai tempi degli Asburgo, la politica estera risulta una delle manifestazioni più evidenti delle divisioni interne. Lo scontro agita il palazzo tra il luglio del 1746 e l’ottobre dell’anno seguente: los afligidos (con Elisabetta) vs gli hombres nuevos (Barbara). Elisabetta non è tutta via donna da restare supina al corso degli eventi; reagisce fino al punto di essere imprudente e di non calcolare quali possono essere le conseguenze della sua arroganza in uno scenario rinnovato col figliastro sul trono. Ferdinando, a fronte della conflittualità disseminata dai partigiani della matrigna, perde la pazienza e il 3 luglio del 1747, a un anno dalla morte del padre, ordina Elisabetta di lasciare Madrid. A Madrid Elisabetta non rientrerà per i successivi 12 anni. Il re di Spagna non le impone, tuttavia, una vita grama e sa essere magnanimo, forse per far pesare una generosità di cui non ha goduto. Elisabetta sa bene che Ferdinando vuole raggiungere quanto prima la pace con o senza la Francia. La campagna d’Italia è ormai un susseguirsi di rovesci, tanto da far temere addirittura la perdita del regno di Napoli. A settembre 1747 giunge la temuta notizia che Ferdinando sta stringendo un’intesa con l’Inghilterra. A Londra si è tuttavia consapevoli che qualche concessione vada data alla Spagna, anche perché l’ipotesi che l’infante Filippo ritorni a Madrid privo dei suoi domini materni costituirebbe un costante motivo di tensioni tra i paesi europei. Versailles probabilmente scopre con sconcerto che il tramonto di Elisabetta non ha fatto attenuato l’ostinazione dei Borbone di Spagna; a non voler sottostare al ramo francese della dinastia, persistono tutti . Ferdinando, d’altra parte, almeno da questo punto di vista preso lo stile della matrigna e non nutre alcun sentimento di simpatia nei confronti del cugino. Alla Granja Elisabetta riceve nel 1748 la notizia della conclusione della lunga questione italiana e la soluzione non è di suo gusto: ad Aquisgrana (1748 in seguito alla guerra di successione austriaca) molte rivendicazioni spagnole sono state ignorate e Gibilterra e Minorca è rimasta in mano agli inglesi. Motivo di amarezza è la clausola per la quale se Ferdinando VI morisse senza figli, evento che probabile ormai, a Carlo si permetterebbe di assumere la corona di Spagna, purché sia Filippo a subentrare nel regno di Napoli, mentre Parma e Piacenza verrebbero assegnate una all’Austria e l’altra ai Savoia. (Ancora una volta Elisabetta vede sottrarsi Parma e Piacenza) La pace non delude solo lei, ma scontenta molti: la Francia deve nuovamente abbandonare il progetto di annessione dei Paesi Bassi e l’Austria subisce perdite territoriali molto rilevanti. Si è soliti dire che la pace di Aquisgrana pose comunque termine alla politica bellicista messa in moto da Elisabetta, inaugurando l’epoca del pacifismo di Ferdinando e Barbara. Quando una nuova guerra esplose in Europa nel 1756, nelle colonie di scontri erano in atto già da due anni. Per molto tempo la storiografia ha sostenuto che il regno di Ferdinando si è caratterizzato positivamente per un potere ministeriale forte, per la pace internazionale, per la certa prosperità economica, per l’affermazione di una prima corrente riformista. Altri però hanno sottolineato come proprio la politica di neutralità abbia danneggiato il paese. Il 1754 rappresenta quindi un momento di cerniera con una seconda fase del regno di Ferdinando; cercando di approfittare dell’inizio delle ostilità della guerra dei sette anni e della propria scelta di neutralità, la Spagna chiede all’Inghilterra agevolazioni per la pesca del merluzzo, la ridefinizione dei confini e la Florida e la repressione della guerra corsara angloamericana nei confronti delle navi ispaniche. Elisabetta non partecipa alle vicende internazionali delle quali è completamente tagliata fuori e si è accostuma con difficoltà ritiro forzato. In questi anni ci sarà anche la morte di Dorotea ma si indeboliranno soprattutto i rapporti epistolari con i figli. Assicuratosi il destino dei figli maggiori, in quegli anni Elisabetta è presa dalle preoccupazioni per il futuro dei minori. Nella negoziazione italiana, Ferdinando, ha progettato il matrimonio della sorellastra con Vittorio Amedeo, futuro re di Sardegna, come unione che contribuisca la presenza borbonica in Italia e alla stabilità nella penisola. Il matrimonio è gradito da Elisabetta perché un’altra figlia diventa regina. In questi anni ella ha dolori frequenti, coliche renali, ma la peggiore delle disgrazie la perdita progressiva della vista, che la lascia quasi cieca, impedendole le sue passioni per il ricamo, la pittura, lettura di libri di storia e di cavalleria. In quella condizione di triste esule, di una cosa tuttavia Elisabetta è consapevole: con il passare degli anni è sempre più certo che Ferdinando e Barbara non avranno figli e il trono passò a Carlo. Lo hanno previsto anche le potenze straniere, tanto da aver contemplato il caso nel trattato di pace del 1748. Si fanno inoltre insistenti le voci delle cattive condizioni di salute di entrambi sovrani. -Un’altra delle grandi preoccupazioni di Elisabetta stava in una morte prematura di Barbara: chi avrebbe sposato Ferdinando? È proprio questo che si verifica: nel 1758 Barbara muore. Iniziano quattro mesi durissimi, di grande ansia per l’eventualità che Ferdinando possa prendere in moglie. Col passare delle settimane però è ben chiaro che il re non è né nelle condizioni fisiche né psichiche di prendere una seconda moglie. È ormai certo che Carlo quindi diventerà il successore di Ferdinando. Si passa allora a delle contrattazioni, Elisabetta è del parere che il figlio in quelle settimane debba agire prendendo l’iniziativa politica forte, perché faccia sentire la sua voce da Napoli, da dove comincio a governare mentre il fratellastro e già in abile. Suo fratello Ferdinando è il re di Spagna e finché vive, è tale. Nessun uomo può mutare la legge fondamentale che il monarca regna fino alla sua morte. La successione al trono deve avvenire in modo pacifico, attraverso un atto deliberativo del fratello, un testamento che effettivamente lo nomini erede. Elisabetta è abituata a gestire il potere in modo informale tra gli spazi domestici della famiglia, a una visione per il quale è necessario adattarsi alla congiuntura; l’uomo, Carlo, che impersona il potere formale, non è disponibile a deroghe a quelle leggi che consigli a fondamento della monarchia ed è ampiamente con penetrato in quella che è la ragion di Stato. Carlo è inoltre più consapevole della madre che per salire sul trono di Spagna, proprio lui che ha sdegnosamente rifiutato di firmare la pace di Aquisgrana, è assolutamente necessario un accordo internazionale per far tacere le grandi potenze straniere. Il 10 agosto del 1759 il re muore la corona passò a Carlo, ora diventato Carlo III. Elisabetta, ricevuta la notizia, scrive al figlio annunciandogli che Dio ha chiamato se il fratello e che lei sta provvedendo alla sepoltura, da seguire secondo il costume spagnolo. Ancora una volta la vita gli offre un impensabile via d’uscita da una condizione infelice. Il tempo del duro esilio è finito, ed Elisabetta per la terza volta si ritrova a ricoprire il ruolo di governatrice, e mai come questa volta legittimamente per essere la madre, e non la matrigna, del nuovo re. Capitolo XII Forse tanto invecchiata, impulsiva e dalla vista debole, l’incarico di governatrice del regno da forza ad Elisabetta. Il suo compito tuttavia è ben diverso dal passato, quando ho dovuto supplire al marito depresso per un tempo che nessuno avrebbe potuto prevedere. Elisabetta 67 anni trionfalmente rientra in politica. C’è chi dice di averla intesa, già nel corso del suo viaggio da Segovia a Madrid, ripetere più volte tra i denti, mezza voce che ormai terminato il regno degli imprudenti. Ci sarà un tentato ritorno di Farinelli, che verrà considerato traditore da Carlo. Dal punto di vista del governo, in quelle settimane Elisabetta cerca di prendere i provvedimenti che possano ristabilire un rapporto tra la monarchia e il popolo, firmando decreti che abbassano il prezzo dei generi di prima necessità. Carlo, dopo aver avuto notizia della morte del fratello, ha rotto ogni indugio e pregato la madre che predisponga quanto necessario per farlo giungere velocemente in Spagna. Molti sono convinti che il passaggio dei poteri della regina governatrice al figlio sovrano non sarà indolore, e che Elisabetta, così amante del potere, cercherà in tutti modi di allungare i tempi quanto più possibile. Qualcuno interpreta in tal senso il fatto che una volta che Carlo sbarca a Barcellona, la governatrice e non in via lì i ministri, ma solo i segretari, quasi a voler
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