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Riassunto Eretici ed Eresie Medievali - Grado Giovanni Merlo, Sintesi del corso di Storia Medievale

riassunto capitolo per capitolo

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 24/06/2019

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4.4

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Scarica Riassunto Eretici ed Eresie Medievali - Grado Giovanni Merlo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Eretici ed eresie medievali Grado Giovanni Merlo Introduzione: origini dell'eresia nel Medioevo • Il movimento riformatore dell'11°secolo lasciava non solo istituzioni ecclesiastiche meglio definite e un papato avviato ad affermare una sua fisionomia possentemente monarchica, ma anche un impegno complessivo di rinnovamento difficile da frenare, o da subordinare immediatamente alla costruzione pontificia, dopo che le idee di riforma si erano ampiamente diffuse così in ambienti chiericali e monastici, come tra il laicato chiamato alla lotta contro il clero simoniaco e concubinario, o, più generalmente, a sostegno della parte riformatrice. • 2 motivi che portano alla divaricazione dalla Chiesa romana a) la lotta per la libertas ecclesiae contro il potere regio e signorile aveva coagulato attorno al papato le forze religiosamente più vive e impegnate. Tale coordinazione non venne meno nel corso del 12°secolo, anche se via via si fecero più consistenti le contestazioni alle gerarchie ecclesiastiche ==> volontà di ricostruzione razionale delle ISTITUZIONI; b) la religiosità non conformista, e talvolta il semplice desiderio di vivere più strettamente il rapporto con il divino al di fuori dei binari istituzionali, furono letti in chiave di disobbedienza al vertice della cattolicità romana, che si autoidentificava come unica e verace detentrice del messaggio cristiano, dell'ortodossia. • Così, sul finire del 12°secolo, l'eresia fu definita come delitto di natura pubblica, quando con la decretale Vergentis in senium (1199) Innocenzo III equiparò l'eresia al crimen lesae maiestatis. Il dissenziente, l'eretico divenne il criminale. La diversità di una scelta religiosa e dei modi di intendere e vivere la vocazione cristiana fu costretta in una dimensione “politica”: contro essa saranno utilizzati strumenti coercitivi assai violenti. A problemi di carattere religioso ed etico si rispose sempre più spesso con gli strumenti del diritto e della forza. Pietro di Bruis (1095 ca. - 1132/1139 ca.): l'eresia dalle montagne alle città • Originario di Bruis, piccolo paese delle Alte Alpi francesi, Pietro era stato chierico in cura d'anime, prima di dedicarsi alla diffusione di idee semplici e radicali che suscitarono tanta preoccupazione nell'abate di Cluny Pietro il Venerabile. Pietro il Venerabile scriveva negli anni '30 del 12°secolo, quando ormai da vent'anni tra le Alpi del Delfinato e la Provenza circolavano le idee eterodosse da eliminare finalmente, dopo che Pietro di Bruis aveva terminato i suoi giorni tra le fiamme del rogo nei pressi di Saint-Gilles. • Quali erano i punti principali dell'universo religioso petrobrusiano? 1) rifiuto del valore salvifico del battesimo degli infanti ==> fede viene ricondotta a una decisione personale; 2) superfluità degli edifici sacri ==> Dio esaudisce chi con merito lo invoca “allo stesso modo in taverna o in chiesa, nella piazza o nel tempio, davanti all'altare o davanti a una stalla”; 3) aborrimento delle croci ==> la croce è stato lo strumento attraverso cui Cristo venne “così crudelmente” torturato che non può essere destinataria di alcun atteggiamento di culto; 4) inefficacia della celebrazione eucaristica ==> il corpo e il sangue sono stati consacrati una volta per tutte nella Santa Cena e gli uomini non hanno il potere di rinnovare in senso sacramentale quel sacrificio; 5) inanità delle pratiche per i defunti ==> in coerenza con la responsabilità individuale davanti a Dio, sacrifici, preghiere, elemosine e opere buone per i defunti non possono giovare a chi ha già consumato il suo destino di salvezza o dannazione. • In siffatte concezioni non c'è spazio per il sacerdotium. Esse sono percepite come globalmente antagonistiche alla tradizione cattolica e all'ordinamento facente capo nel papato da un intellettuale maturo e pensante quale Pietro il Venerabile, assai preoccupato per quella che egli ritiene l'irrazionalità intrinseca a idee e comportamenti di Pietro di Bruis. Idee e comportamenti devastanti: “Genti furono ribattezzate, chiese profanate, altari divelti, croci date alle fiamme, carni mangiate pubblicamente il giorno stesso della Passione del Signore, sacerdoti percossi, monaci incatenati e costretti a prender moglie con minacce e tormenti”. Un'ondata iconoclasta e dissacratoria? Se sì, come si spiegherebbe allora la ventennale predicazione di Pietro di Bruis e la favorevole accoglienza ricevuta tra le popolazioni così di montagna, come di città? Nato in regioni montane di popolamento scarso e disperso, il suo messaggio si era trasferito, amplificandosi, in zone di intensa urbanizzazione del Mezzogiorno di Francia. Al contrasto tra ambienti così diversi avrebbe dovuto corrispondere un atteggiamento culturale e religioso non meno diverso: da un lato le genti di montagna, dissimili da tutte le altre, costrette in una situazione di isolamento e, a causa della propria arretratezza culturale, più facilmente catturabili dai lacci di un “falso dogma”; d'altro lato, popolazioni urbane aduse al contatto con uomini e idee d'ogni genere e provenienza, la cui adesione all'eresia risulta tanto più sorprendentemente deprecabile. Pietro il Venerabile ne attribuisce la responsabilità agli effetti della repressione che spingeva l'eresia di gente in gente. La violenza delle idee e dei comportamenti attribuiti ai petrobrusiani può essere ritenuta a questo punto la causa del successo, e nel contempo, della rovina di Pietro di Bruis? Non si può dire: l'impressione è però che l'abate di Cluny forzi le connessioni tra idee e comportamenti petrobrusiani, ovvero voglia trovare coerente irrazionalità sia nella teoria sia nella prassi di quegli eretici. • La predicazione petrobrusiano influenzerà le scelte religiose di un altro famoso eretico, il cosiddetto monaco Enrico. Il monaco Enrico: predicazione ed evangelismo di un apostata • Enrico di Le Mans, Enrico di Tolosa, Enrico di Losanna o, in modo più pertinente, il monaco Enrico attirò l'attenzione di Pietro il Venerabile, che lo riteneva discepolo di Pietro di Bruis. Ne fu coinvolto anche Bernardo di Clairvaux, che nel 1145 scrisse al conte di Saint-Gilles, annunciandogli il suo prossimo arrivo a Tolosa per porre fine e rimedio ai mali che l'eretico Enrico là continuava a provocare. Il monaco Enrico viene definito così da Bernardo - homo apostata ==> Enrico aveva lasciato l'abito monastico per farsi povero predicatore e vivere di tale ufficio mendicando; - insignis praedicator (con ironia) ==> dopo il successo popolare di giorno, nella notte Enrico si sarebbe dedicato alle relazioni sessuali con meretrici e persino con donne maritate. • Idee cardine del pensiero enriciano - critica dell'indegnità dei chierici e agli abusi della ricchezza; - redenzione delle prostitute; - idea del matrimonio come scelta indipendente e libera da condizionamenti di interesse o di denaro. • La vicenda enriciana si apre a dimensioni pubbliche verso il 1116 nella città di Le Mans, dove Enrico è al centro di un episodio di tipo patarinico. Arrivato in città, il vescovo lo autorizza a predicare: una predicazione che suscita l'iniziale favore non solo del popolo, ma anche del clero. In un periodo di assenza del vescovo però il popolo si solleva contro il clero e la responsabilità è attribuita alla predicazione di Enrico. Dovette ritornare il vescovo per riportare la situazione alla normalità, espellendo Enrico dalla sua diocesi. Egli però non interruppe il proprio impegno missionario fin dal momento del suo primo arresto e della traduzione davanti a una sinodo ecclesiastica in Pisa nel 1134. Sembra che in quell'occasione egli avesse abiurato ogni sua “eresia” e si decidesse a trasferirsi a Clairvaux per divenire monaco cistercense dopo un periodo di penitenza. Gli apostoli – così si fanno chiamare – di Colonia non credono in possibilità di ricuperi e di mediazioni con l'istituzione ecclesiastica cattolico-romana, in ciò divergendo anche con gli eretici renani con i quali erano in discordia. Essi sono una comunità strutturata con suddivisioni interne tra auditores, credentes ed electi: Evervino parla pure di un episcopus e addirittura di un papa, e con una larga partecipazione femminile. ==> filone che costruiva una chiesa antagonista a quella romana. • A favorire il primo orientamento è probabile che abbiano influito i contatti con le chiese orientali di tipo dualistico e, in particolare, i bogomili. Tra gli anni '40 e '60 del 12°secolo si moltiplicarono gli episodi ereticali che generarono incertezza e sgomento nella cultura chiericale: non si riusciva a collegarli a un magister, un iniziatore. Si attuò allora una convergenza di autonome manifestazioni di religiosità estremamente spiritualizzata e di moralità rigorosamente ascetica – di qui il nome di catari, ossia puri –, orientate verso un dualismo moderato. Abbiamo però notizie precise riguardo alla missione di un bogomilo soltanto negli anni '60 del 12°secolo: fu allora che a Saint-Felix-de-Caraman, non lontano da Tolosa, si riunì un concilio eretico con la partecipazione di Nicheta, vescovo dualista della chiesa radicale di Bisanzio o dei Balcani, che già aveva contribuito, durante il suo passaggio nella pianura padana, a organizzare i catari di Lombardia. Le comunità, al cui interno già si esprimevano forme di organizzazione in corrispondenza alle differenziazioni tra i membri e le loro funzioni, si diedero una più precisa fisionomia, e nel Mezzogiorno francese, dove l'eresia era alquanto diffusa e radicata, una strutturazione su base territoriale. Attraverso una decisa volontà di unione spirituale e di coordinamento di intenti quasi si prospettava l'atto di una rifondazione della chiesa del Cristo nell'Europa occidentale. Quali le conseguenze? • Da quel momento il catarismo potè offrirsi come chiesa alternativa alla chiesa cattolico-romana. I legami con le chiese orientali fornirono l'attrezzatura teologico-spirituale e i modelli rituali e gerarchici, facendo superare la precedente fase caratterizzata dalla semplice proposta di una morale apostolica rigorosa. • Il dualismo importato in Occidente – dove però permanevano latenti posizioni dualistiche soprattutto nella tradizione monastica e nella religiosità più ascetica – conosce una prima grande suddivisione tra posizioni che sogliano essere definite una moderata e l'altra radicale. 1) La prima si ricollega alle idee religiose del prete bulgaro Bogomil, ossia Teofilo. Egli elaborò una visione particolare delle origini del genere umano, fatte dipendere dalla rivolta di Satana, il quale, sconfitto e precipitato nel mondo della materia assieme agli angeli ribelli, diede forma a creature umane inerti, ottenendo dall'infinita bontà di Dio di animarle mediante gli angeli ribelli, divenuti così prigionieri della materia. La prospettiva di liberazione venne da Dio attraverso l'invio di un suo angelo, il Cristo, che ha mostrato la possibilità di evadere dai vincoli della materia mediante una vita di rigorosa penitenza e di totale distacco dal mondo. A loro volta i “fratelli del Cristo” dovranno essere perfetti o puri, conducendo una vita apostolica, nella preghiera, nel digiuno e nella predicazione itinerante, rinunciando ai rapporti sessuali, al consumo dei cibi provenienti dalla carne e a ogni attività mondana. 2) L'orizzonte moderato subì una radicalizzazione, nel senso che Satana fu fatto divenire il creatore malvagio di questo mondo, principio antitetico al Dio buono del cielo. Il mito della creazione ebbe altre articolazioni. Lo spirito delle tenebre ingannò l'eterno Dio luminoso, mostrandosi in apparenza come l'angelo più splendido, ma prospettando segretamente agli altri angeli la seduzione della terra – il suo regno –, in particolare attraverso l'avvenente bellezza della donna e il fascino del potere. Traendoli a sé, gli angeli furono imprigionati nella materia, che sarebbe stata il loro inferno eterno se un angelo, il Cristo, non avesse accettato di condividere in pieno la condizione umana fin al sacrificio della croce per svelare la via della salvazione agli “uomini”, gli angeli altrimenti vincolati all'inferno materiale. • I catari si autodefinivano “buoni cristiani”, e ciò non è contradditorio col ritenerli “gnostici” trovatisi all'incrocio tra forme di pensiero e di vita prossime ma eterogenee e storicamente contrastanti, di cui tentarono o dovettero tentare una sintesi: per soddisfare il duplice bisogno di una religiosità cristiana più autentica e di una risposta razionale alle fondamentali domande intorno all'esistenza umana e alla divinità. Il catarismo non deriva da ossessioni quotidiane sul problema del male, né produce visioni pessimistiche: semmai, un distacco dal mondo terreno e dai suoi valori in vista di un mondo celeste e luminoso di valore totalmente altro. I catari annunciarono un messaggio di liberazione della parte divina di ogni individuo dalla materia-prigione. La sequela di Cristo – una scelta di penitenza e persino di martirio – fu la strada per togliere i vincoli di questo mondo all'anima dell'uomo puro. Il rigoroso ascetismo dei “perfetti” fu motivato dalla necessità di mantenere incontaminato lo spirito dai piaceri della materialità e di testimoniare la via della salvezza che il Cristo aveva inaugurato in mezzo agli uomini e per gli uomini. Il catarismo era dunque vera conoscenza della cosmica lotta tra Dio e Satana: la scelta doveva essere o per l'uno o per l'altro. • Il catarismo, strutturatosi in modo mimetico rispetto all'organismo ecclesiastico egemone, propose la sua concorrenza istituzionale: la chiesa cattolico-romana lo percepì come pericolo da eliminare ad ogni costo. Senza enfatizzare il significato sociale e culturale del catarismo, occorre pur dire che esso, inserendosi in contesti dinamici, fornì un'alternativa religiosa a gruppi e individui già spontaneamente in ricerca di autonome identità (le donne parteciparono intensamente alla vita religiosa; un becchino [Marco di Lombardia] poté diventare vescovo cataro...). I catari erano poveri in ogni senso, individualmente e comunitariamente. • In Linguadoca si crearono estese solidarietà intorno ai “buoni cristiani”, tanto che le chiese catare conseguirono una presenza potenzialmente egemonica sul piano religioso. Questa la ragione di fondo che spinse Innocenzo III a bandire la crociata contro i catari del Mezzogiorno di Francia, detti pure albigesi dalla città di Albi, nel 1208. la decisione fu presa a seguito del fallimento di altri strumenti: le missioni dei cistercensi in veste di legati pontifici, la deposizione e sostituzione di numerosi prelati locali, i dibattiti dottrinali in pubblico. Innocenzo III decise la crociata, a cui risposero soprattutto cavalieri del Nord della Francia. Nel Sud le operazioni cominciarono nel giugno-luglio 1209 e si protrassero a vari intervalli per un ventennio, sino alla pace di Parigi del 1229. Furono violenze e stragi: la crociata divenne guerra di conquista dei baroni dell'Ile-de-France, guidati da Simone di Montfort, e occasione per l'estensione del potere del re di Francia su un'area che stava cercando di realizzare, in precedenza, una propria indipendente strutturazione politico-istituzionale. Non furono solo i catari a subire un colpo decisivo, la stessa civiltà occitanica vide interrotto il proprio sviluppo. • Le chiese catare del sud furono decapitate: i perfetti sopravvissuti trovarono rifugio nell'esilio o nella clandestinità. Né mai più furono ripristinate condizioni politiche e culturali che potessero favorire una rinascita del catarismo in termini simili a quelli dell'ultimo quarto del 12°secolo: tanto più che, terminate le fasi della crociata, non cessò la repressione antiereticale, che assunse un volto quotidiano con l'istituzione dell'inquisizione affidata ai frati Predicatori. Tale nuovo ordine religioso (fondato da Domenico di Caleruega) era maturato nel vivo della lotta contro gli albigesi. La scelta domenicana di povertà evangelica e di predicazione apostolica si era manifestata nel 1206 nella Francia sud-occidentale con la specifica finalità di coadiuvare i legati papali nella missione contro i catari. Ottenuto il riconoscimento prima del vescovo di Tolosa e poi del papato, il gruppo dei predicatori di Domenico si diffonde con una certa rapidità e si struttura come un vero e proprio nuovo ordine religioso mendicante. L'ispirazione di combattere gli eretici con le loro stesse armi (esemplarità di vita povera e dedizione totale all'annuncio evangelico) si combina, fin dalle origini, con lo svolgimento di funzioni – canonicamente riconosciute perchè concesse dal legato pontificio – che vanno però ben al di là di un pur serrato confronto religioso: Domenico può imporre penitenze agli eretici convertiti e prendere nei loro confronti provvedimenti coattivi. Valdesio di Lione (1130 ca. - 1206/1207): il rinnovarsi della missione apostolica • Verso la metà degli anni '70 del 12°secolo, Valdesio di Lione (per lungo tempo ed erroneamente chiamato Pietro Valdo) inaugura una strada che molti seguiranno con alterna fortuna e diversi destini. • Agli studiosi di matrice cattolica, Valdesio appare come una sorta di Francesco d'Assisi mancato: un santo mancato per l'ostinata disobbedienza nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche. In tale prospettiva, egli si configura, più che come eretico vero e proprio, come scismatico. • Per gli studiosi di matrice protestante Valdesio è invece il libero predicatore dell'Evangelo, che antepone l'obbedienza a Dio a quella verso qualsiasi autorità umana. • La povertà sarebbe uno degli elementi costitutivi dell'apostolato, vera vocazione di Valdesio sin dalle origini. • Le finalità del progetto religioso di Valdesio sono 1) annunciare una parola efficace, poiché coloro che istituzionalmente dovevano svolgerne l'ufficio, a causa dei loro malvagi comportamenti erano evangelicamente muti; 2) combattere l'eresia (in particolare quella catara). • Valdesio e compagni cercano l'approvazione del vertice ecclesiastico in occasione del terzo concilio lateranense del 1179: forse si incontrano con lo stesso papa Alessandro III, che pare dimostri comprensione e, persino, apprezzamento per il loro proposito di vita povera ed evangelica, mentre non sia disposto a riconoscere la loro richiesta di essere predicatori della Parola. • La chiesa gerarchica non sa trovare soluzioni positive intorno all'esercizio dell'officium praedicationis da parte di individui non appartenenti all'ordine sacerdotale che si erano fatti apostoli: inoltre, la cosa è complicata dal fatto che anche le donne partecipavano a quella missione. Il genus clericorum non accettò di mutare, anzi si arroccò a difesa dei propri caratteri. Nel 1184 a Verona papa Lucio III con la decretale Ad abolendam sanzionò l'irrigidimento istituzionale, confondendo nell'indistinto universo dell'eterodossia espressioni di religiosità tra loro nient'affatto omogenee: Catari, Patarini, Umiliati, Poveri di Lione... • Nonostante la condanna papale, il movimento valdese continua la sua espansione in varie direzioni - verso il Mezzogiorno di Francia; - nel Nord Italia ==> qui i gruppi valdesi sono assai più articolati, non si oppongono ai catari, vivono talvolta in comune con altri dissidenti. Si stabiliscono raccordi con realtà cittadine (Milano); - in alcune regioni della Germania. Si può già intuire che il movimento valdese conosce assai presto orientamenti differenziati che Valdesio tenterà inutilmente di mantenere uniti, ma non vi riuscirà: nel 1205 circa, ancora con il Lionese in vita, si attuerà una spaccatura dolorosa con una parte consistente dei valdesi di Lombardia, che daranno vita a un gruppo autonomo detto appunto dei poveri di Lombardia (pauperes Lombardi). • Valdesio muore, non sappiamo in quale luogo, presumibilmente tra il 1205 e il 1207, conoscendo l'amarezza dello scisma lombardo e senza aver risolto il problema dei rapporti con la chiesa cattolico- romana. Fedele all'ortodossia e alla chiesa del Cristo, egli aveva assistito a un progressivo distacco di una parte dei suoi seguaci dalla sua linea teorica e pratica: - alcuni avevano incominciato a rifiutare le gerarchie ecclesiastiche giudicate peccatrici e malvagie, sostituendosi ai sacerdoti nella somministrazione di sacramenti quali il battesimo, l'eucarestia e la penitenza; - altri si erano strutturati in gruppi e comunità che non rispettavano i caratteri istituzionali e ideali voluti dal fondatore (scegliendo di darsi una certa gerarchia interna e dedicandosi al lavoro manuale). • Il principale interprete del valdismo originario, Durando d'Osca, nel 1207 intravide la possibilità che venisse riconosciuto finalmente il nucleo essenziale dei propri intendimenti religiosi. In effetti, nel 1208 Innocenzo III confermò a Durando e ai suoi compagni la missione apostolica: nacque un nuovo ordine religioso detto dei poveri cattolici (pauperes catholici), che cercò attivamente di realizzare il sogno di una completa reintegrazione dei valdesi nell'organismo ecclesiastico. La linea di ortodossia proveniente da Valdesio stesso si era dunque affermata? In certo modo sì. Tuttavia, • Di quali gravi deviazioni dottrinali furono accusati quegli esperti di teologia e retorica? - essi credevano di essere agli inizi di una nuova era religiosa, quella dello Spirito Santo, che veniva dopo l'età del Padre (Antico Testamento) e del Figlio (Nuovo Testamento). Un'era caratterizzata dal superamento delle forme sacramentali della chiesa a favore della conoscenza spirituale; - dall'autorità dell'Apostolo che dice “Dio opera tutto in tutti”, gli amalriciani attribuiscono a Dio e a non a sé stessi le azioni peccaminose (interpretando con il termine “tutto” sia il bene sia il male). • Età dello spirito significava radicale rinnovamento, ribaltamento totale della “logica del mondo” nell'assoluta e gioiosa adesione della creatura al Creatore. Siffatti positivi e innovativi messaggi non dovevano rimanere nel chiuso di una ristretta cerchia di pochi eletti: i dotti chierici parigini sentirono come imperativo il compito di renderli operanti in mezzo ai fedeli per rinnovarne la vita religiosa. Il pericolo portato dagli amalriciani era dunque diretto in due direzioni - in senso dottrinale e sacramentale (del tutto svalutate erano le forme cultuali, l'eucarestia, i sacramenti); - in senso etico-pastorale (essendo collocati su un altro piano le norme morali e il senso del peccato). • Con l'impegno spirituale dei seguaci di Amalrico si inaugurava un filone eterodosso che verrà poi detto globalmente del Libero Spirito. Tale filone raccoglie esperienze multiformi, difficilmente collegabili fra loro dal punto di vista istituzionale e organizzativo. La diffusione diretta di idee da ambienti di elevata cultura ad ambienti “popolari” è una peculiarità dell'esperienza amalriciana. • Nell'Europa centro-settentrionale si realizzano esperienze di povertà ed evangelismo, marginali ai quadri ecclesiastici, nelle quali è predominante la presenza femminile. Ad esempio, le cosiddette beghine. Esse ebbero una collocazione ibrida nell'ordinamento della chiesa: né laiche, né religiose – come i loro corrispondenti maschili, i begardi –, le beghine suscitarono dapprima inquietudine e sospetto, per poi subire (tra 13° e 14°secolo) accuse di vera e propria eresia. Dalla metà del 13°secolo, le beghine individuarono la strada per un totale abbandono della creatura al Creatore, per la divinizzazione della creatura. Ogni barriera veniva infranta: la perfezione religiosa era liberazione da tutti i vincoli terreni e umani. Il margine tra mistica ortodossa e mistica ereticale era e rimase per lungo tempo labile e incerto. Agli inizi del 14°secolo il concilio di Vienne fece “ordine” nel mondo del beghinismo, del begardismo e del Libero Spirito, riducendo ancora una volta il problema dell'eresia a fatto giuridico-disciplinare • Attese dell'età dello Spirito e atteggiamenti mistico-ascetici, spesso tra loro intrecciati, furono alcuni tra gli esiti del vivacissimo movimento innovatore della vita cristiana. - Gioacchino da Fiore ==> visione secondo la quale a unità e trinità di Dio corrispondono unità e trinità della storia: i tre stati o condizioni (1130-1202) storiche di vita cristiana, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (quest'ultimo sarà il tempo dei viri spirituales, della perfetta carità e gioia spirituale, del trionfo del modello monastico della comunità di Gerusalemme). ==> il gioachimismo fu soprattutto inteso come annuncio profetico di un'età di pace compresa tra la persecuzione e l'annientamento dell'Anticristo e la fine del mondo: un'età percepita come imminente di cui si cercavano i segni (cattivi governanti e corruzione della Chiesa, discordie civili e guerre, prodigi astronomici e naturali, siccità e carestie, pestilenze e morti improvvise di personaggi eminenti) e i protagonisti (l'Anticristo – un tremendo tiranno, un falso papa, gli infedeli). ==> la tensione e l'aspettazione del rinnovamento, implicite in tali costruzioni che potevano risalire a Gioacchino ebbero un'utilizzazione pluridirezionale: a supporto persino delle iniziative monarchiche delle grandi stirpi regie (l'instaurarsi di un'età di pace sarebbe avvenuto a opera di uno o più sovrani che avrebbero portato abbondanza e unificato tutto il mondo), o per il potenziamento delle istituzioni ecclesiastiche nella prospettiva che il mondo, purificato dalla persecuzione dell'Anticristo, avrebbe assistito alla suprema espansione della chiesa nello stato dello Spirito. ==> le idee gioachimite o pseudogioachimite esercitarono un fascino grandissimo fra i Predicatori e i Minori, che le assunsero per dare giustificazione storico-teologica al loro nuovo modo di essere e a sostegno dell'ambizione di occupare una posizione provvidenziale-egemonica nella chiesa di Cristo: ne conseguirono, dopo la metà del '200, il grande scontro con i maestri secolari dell'Università di Parigi e la condanna come erronee di un buon numero di proposizioni delle opere del monaco calabrese. Nell'ordine dei frati Minori le attese escatologiche si innestarono nel durissimo scontro tra i frati della “comunità”, o conventuali, e gli zelatori della regola francescana, altrimenti detti “spirituali”. Giovanni di Ronco: l'estremismo lombardo e gli sviluppi del valdismo • Giovanni di Ronco, o di Roncarolo, era piacentino. Seguace di Valdesio di Lione, egli fu il capo riconosciuto dello scisma lombardo (creazione della “società dei fratelli italici”) che frammentò il movimento valdese intorno al 1205. Le cause della frattura non sono chiare. Dal momento che le fonti non menzionano immediati motivi dottrinali, è possibile che sia esploso un conflitto tra personalità, conflitto che esprimeva a sua volta la volontà di autoaffermazione dei seguaci lombardi di Valdesio cresciuti in numero e in consapevolezza. Un trattato antiereticale anonimo della fine degli anni '30 del '200 descrive la spaccatura tra i lombardi: questo dimostra che lo scisma lombardo era nato su base regionale e organizzativa, piuttosto che dottrinale, dato che al suo interno coesistevano idee certamente variegate. L'episodio descritto mostra Giovanni di Ronco nell'atto di celebrare l'eucarestia nei dintorni di Milano e in ambiente rurale. Due indicazioni 1) rapida radicalizzazione delle anteriori posizioni valdesi che sicuramente miravano a un sacerdozio degno, ma non prevedevano che l'apostolo si trasformasse in sacerdote; 2) non legare la diffusione dell'eresia ad aree socio-ambientali precise che si escludano vicendevolmente (città da un lato, campagna dall'altro). ===> l'orientamento sacerdotale assunto dalla figura eminente nel gruppo dei lombardi è un orientamento che li allontana dalla linea di ortodossia di Valdesio e dei fratelli ultramontani. • L'estremismo dei lombardi non è il dato di partenza: è, forse, lo sviluppo dipendente dai processi di acquisizione di identità del gruppo, avvenuti, diversamente che in Francia, non nell'opposizione ma nella vicinanza agli eretici e alle loro dottrine: essi pretendevano di aver restaurato la “chiesa di Dio” e, conseguentemente, era identificata nella “chiesa dei maligni”, nella “bestia” e nella “meretrice”, di cui si legge nell'Apocalisse, la chiesa cattolico-romana. Si tenga anche presente però che tale posizione era maturata in un clima di dura repressione, grosso modo tra il 1229 e il 1235, quando a Milano e in Lombardia, dopo anni di relativa tranquillità, si scatenò una violenta e sanguinosa attività antiereticale (es. monumento equestre di Oldrado di Tresseno: “Catharos, ut debuit, ussit” = “I catari, come di dovere, bruciò”). • Il fascino di un appello cristiano estremizzato poteva esercitarsi al massimo su singoli individui decisi a una scelta di vita radicalmente rinnovata: nessuno di più, però. L'estremismo lombardo sembra contenere in sé il proprio limite. Esso, sia che provenisse da gruppi pauperistico-evangelici, sia che derivasse da chiese dualiste, non aveva spazio e futuro in una società orientata verso assetti politico- sociali più stabili e definiti. • La pianura padana perdette così il suo ruolo di centro e di incrocio di eretici ed eresie. • Sviluppo dei valdesi - poveri di Lione - poveri lombardi - tortolani - communiati (i fautori della comune proprietà di ogni cosa) - ribattezzati - sandaliati Che cosa sia avvenuto di questi gruppi dopo Bergamo non si sa. L'ipotesi più probabile è che vi sia stato un rimescolamento dei gruppi e delle tendenze: venute meno nel giro di una o due generazioni le idee più radicali, i valdesi progressivamente si assestarono su posizioni moderate, assumendo i caratteri di ordine religioso parallelo con proprie consuetudini e istituzioni ispirate dalle necessità di sopravvivenza. L'assestamento comportò un forte ridimensionamento delle attività missionarie e pastorali, per lo più attuate con prudenza e mimeticamente. Non fece venir meno però la consapevolezza di appartenere e trasmettere la vera fede del Cristo. • La base comune rimane il mito della discendenza apostolica, e non il ricordo dei lontani fondatori, Valdesio di Lione o Giovanni di Ronco. Il valdismo si manterrà come messaggio etico-religioso costruito su una fede semplice e coerente, di fondamento scritturale: con la negazione dell'esistenza del purgatorio e del valore di preghiere e opere per i defunti, con il rifiuto del giuramento, del culto delle immagini e dei santi, dei pellegrinaggi, con la proposizione di una morale essenziale e forte. Il “viver razionalmente l'Evangelo” che i predicatori valdesi continuavano a seguire entrava oggettivamente in contraddizione con la religiosità conformista, la religiosità che rinviava a istituzioni e simboli la responsabilità della salvezza. I valdesi furono invece i più coerenti continuatori di quel risveglio evangelico che aveva significato soprattutto individualizzazione del destino soteriologico, coscienza che la fede è una scelta personale. • Se l'eresia medievale fu, come voleva il Volpe, anche un moto di cultura, i valdesi furono senza dubbio tra coloro che meglio compresero e realizzarono tale moto. La Bibbia, tradotta in volgare, era ormai un patrimonio potenzialmente di tutti, non del ristretto ceto chiericale. Tale potenzialità non ebbe modo di svilupparsi compiutamente: la repressione ecclesiastica bloccò la crescita dei gruppi valdesi, costringendoli ad adattarsi alla clandestinità per sopravvivere; ma non impedì che i predicatori itineranti continuassero una difficile esistenza qua e là per l'Europa, strutturandosi in una sorta di ordine religioso con proprie regole di vita e con peculiari forme organizzative, oltre che con un immutato impegno biblico-culturale. • Il gruppo dei pauperes Christi ha proprie istituzioni: essi per essere tali devono ricevere l'ordinazione secondo tre gradi (diaconale, presbiteriale, episcopale) attraverso rituali formalizzati. Nonostante ciò, essi non pretendono di sostituirsi al sacerdozio cattolico-romano, a cui dichiarano di sottostare fin a quando non sia violata l'obbedienza alla superiore volontà di Dio. Quattromila catari: articolazioni e crisi delle chiese dualiste • Alla metà del '200 frate Raniero Sacconi, un domenicano che in precedenza era stato per diciassette anni in contatto ravvicinato con i catari e cataro lui stesso, nota che “in tutto il mondo non vi sono più di 4000 catari tra uomini e donne”. Col termine di catari egli probabilmente indicava i perfetti, coloro che avevano ricevuto il sacramento del consolamento e che di conseguenza conducevano un'esistenza ascetica e spirituale. • Nel secondo quarto del 13°secolo il suo centro non è nella penisola balcanica, né nel Mezzogiorno di • Questi fermenti culturali e ambizioni teologiche che attraversarono gli ambienti catari italiani tra il 1230 e il 1250 - mostrano la vivacità intellettuale di questi ambienti; - sono segno di incertezza dogmatica e di bisogno di chiarezza. L'impressione è che alla base di questi problemi ci sia il fatto che il catarismo viva drammaticamente il suo ambiguo rapporto con la realtà terrena: il pensiero e i miti dualistici rimanevano necessariamente patrimonio di una elite, non avendo avuto modo di tradursi in una religiosità adottabile a livello collettivo. • Sembra che, per altro verso, il catarismo in Occidente tendesse a strutturarsi mimeticamente rispetto alla chiesa cattolico romana, sviluppando una pastorale e una cura d'anime: e quindi si ponesse come possibile alternativa istituzionale, come controchiesa. Ma l'esistenza di una controchiesa era inconcepibile e inaccettabile: due verità non potevano assolutamente coesistere nella christianitas. Il tramonto del catarismo fu abbastanza rapido, nonostante talune ristrette aree di sopravvivenza. Agli inizi del 14°secolo la questione catara era stata risolta: le sacche di resistenza sarebbero state facilmente debellate dagli inquisitori. Gherardo Segarelli (1240 ca.-1300): l'ereticazione dei nuovi apostoli • Attorno al 1260, un giovane di modesti natali, immigrato in Parma dagli immediati dintorni, Gherardo Segarelli, decise di farsi apostolo del Cristo. La sua esperienza religiosa nacque nella piena ortodossia: mutò poi in eresia attraverso meccanismi messi in moto e scelte operate ai vertici ecclesiastici. • La svolta decisiva venne determinata dalla decisione dei padri conciliari riuniti a Lione nel 1274, formalizzata nel canone Religionum diversitatem nimiam: esso mirava a interrompere il convulso proliferare di ordini religiosi, specialmente mendicanti, sanzionando nel contempo l'eminente funzione e posizione ecclesiastica di Predicatori e Minori. L'assemblea lionese bloccò lo sviluppo e la fondazione di nuove sedi degli ordini sorti dopo il 1215, chiudendo il reclutamento e concedendo ai propri membri di trasferirsi in qualcuna delle religiones approvate dalla sede apostolica. Segarelli e i suoi seguaci non accettarono di conformarsi a tale normativa: l'atto fu interpretato come segno di tendenza all'eresia, e poco dopo si avviò il processo della loro ereticazione. Gli interventi pontifici di Onorio IV, Niccolò IV e infine Bonifacio VIII trasformarono le ragioni disciplinari in motivi dottrinali: coloro che avevano disobbedito alle norme ecclesiastiche, furono proiettati nell'area dell'eterodossia. Contro gli apostolici furono rispolverate le accuse classiche: simulazione di santità, riunioni occulte, predicazione contro la chiesa romana, attentato alla fede dei semplici. Sul piano operativo gli inquisitori, muovendo da tale base ideologica, avrebbero fatto il resto. • L'esperienza pauperistico-evangelica e penitenziale iniziata dal Segarelli fu percepita come inconciliabile con l'universo religioso-culturale e, persino, secondo il frate francescano Salimbene (che parlò del Segarelli nella sua Cronica), esistenziale che il frate cronista aveva scelto. In gioco è una questione di verità, intorno a chi siano i “veri mendicanti”. Il cronista parmense svilisce l'esperienza religiosa di Gherardo attraverso un linguaggio e immagini riconducibili a un universo carnevalesco. Istrione, giullare, mimo: ecco colui che si era illuso di intraprendere una missione evangelica imitando gli apostoli e assumendone gli abiti e l'aspetto. C'è da dire che questo è il periodo in cui sta avvenendo una metamorfosi nell'ordine dei Minori, teso a ottenere il massimo risultato nel raccordo con ceti eminenti e sotto la direzione di “dottori chiarissimi ed espertissimi” (parole di Bonaventura di Bagnoregio): così si può capire l'insistenza del cronista francescano sull'incultura e la rusticità degli apostolici in senso dispregiativo. • Lo stesso frate cronista individua però due aspetti positivi 1) da un lato, gli apostolici avevano fatto propria l'immagine iconograficamente tradita dagli apostoli del Cristo; 2) d'altro lato, erano sorti nel 1260, l'anno della “devozione dei flagellanti”, quando secondo la visione gioachimita sarebbe iniziato lo status dello Spirito Santo, il “terzo stato del mondo”. • Che gli apostolici conoscessero un certo successo è rilevabile dal fatto che, ad esempio, i cittadini di Parma li beneficiavano più ampiamente che i Minori e i Predicatori. Il successo impose problemi organizzativi e di direzione: Gherardo Segarelli rifiutò sempre di tradurre la sua posizione di prestigio in una funzione di comando istituzionale. Subentrarono allora contrasti e tensioni nella nuova formazione religiosa, specialmente tra i seguaci dell'Emilia-Romagna e i fratelli della Marca Anconitana, gli uni e gli altri volendo rappresentare l'orientamento più autenticamente apostolico. • Obizzo Sanvitali, vescovo di Parma, ordinò l'espulsione degli apostolici dalla sua diocesi a seguito dei provvedimenti conciliari e papali del 1286 (bolla di Onorio IV). Altrove essi continuarono a ricevere riconoscimenti e appoggi: a Bologna, sin ai primi anni '90 del '200, il comune concede contributi in denaro ai membri dell'ordo Apostolorum. • Ma anche qui la situazione cambierà presto a seguito del massiccio intervento degli inquisitori “lombardi”: Segarelli sarà incarcerato dallo stesso vescovo Obizzo per finire anch'egli tra le fiamme all'alba del nuovo secolo. Nel frattempo il suo “ordine” stava conoscendo nuove evoluzioni sotto lo stimolo di un altro leader, destinato a fama duratura: Dolcino. Armanno Pungilupo (? - 1269): tra santità ed eresia • Il 26 dicembre 1269 Armanno Pungilupo morì: diffusasi la notizia del suo decesso, una grande folla si recò immediatamente nella chiesa cattedrale di Ferrara dove il suo corpo era stato nel frattempo trasportato. Sul sepolcro di Armanno cominciarono a fiorire i miracoli. Ma già l'anno successivo un inquisitore prende l'iniziativa di indagare sl passato di Pungilupo e le scoperte sono sorprendenti: il legame con eretici e ambienti eterodossi è certo. L'inquisitore ordina di esumare la salma e di buttare fuori dalla chiesa maggiore quei resti mortali. Poco dopo scomunica il capitolo cattedrale che aveva rifiutato di eseguire i suoi comandi. I canonici non si spaventano: continuano la loro resistenza e si appellano al papato, fornendo a loro volta le prove dell'ortodossia di colui che per l'inquisitore era da considerarsi eretico. MOTIVI A FAVORE DELLA CONDANNA - Gli inquisitori sanno che Armanno era comparso davanti al “tribunale della fede” nel 1254 e aveva abiurato “ogni eresia”: sanno altrettanto bene che egli non aveva rispettato in seguito questo suo impegno incontrando eretici, dualisti e non, e pronunciando parole eterodosse. (quello “ufficiale”) poi: - IL CONTROLLO DELLA “SANTITÀ” È UNO DEI MEZZI DI INQUADRAMENTO DEI FEDELI. - Inoltre, i santi laici simboleggiavano una religiosità evangelico-pauperistica di cui i Mendicanti ritenevano e pretendevano di essere i soli e autentici interpreti. - Non è infine da escludere che ci fosse un contrasto personale tra l'inquisitore frate Aldobrandino e Armanno Pungilupo. • Quali sono dunque i comportamenti di Armanno? Incontri con i “buoni uomini” dualisti, pratiche penitenziali nel contatto con loro, visita a infermi e carcerati, accompagnamento al rogo di un eretico, frequenti confessioni presso sacerdoti cattolici e comunioni in chiese cattoliche. La complicazione è data dal fatto che Pungilupo non prende posizioni sorrette da consapevolezze teoriche. Sono i suoi comportamenti che si fanno valori antagonistici nei confronti della cultura degli inquisitori: per i quali una critica ai modi di essere delle istituzioni ecclesiastiche e dei suoi uomini diviene necessariamente eresia. • MOTIVI A FAVORE DELLA SANTITÀ (oltre al presunto fiorire di miracoli sulla sua tomba) La sua esperienza religiosa si muoveva lungo il progetto pragmatico di una religiosità del “fare”: il centro della consapevolezza stava nel compiere “opere buone”. Il contrasto personale con l'inquisitore (che lo aveva sottoposto a tortura) si sublima per divenire scontro di orizzonti etico-religiosi: egli accompagna piangendo le vittime dell'ingiustizia inquisitoriale, ben sapendo che tale atto avrebbe potuto confermare nei frati la convinzione della sua ereticità. Per non è in gioco un'ortodossia tutta giuridica e intellettuale, sono in gioco i valori profondi di una religiosità che deve esprimersi in atti di bene: Armanno è un militante della misericordia cristiana, non il membro di una chiesa o una setta eterodossa. Niente gli è più estraneo che il comportamento dei frati inquisitori con le loro “cattive” opere: la tortura e il rogo di uomini impegnati a fare il “bene” nel nome di Dio. • Frate Guido di Vicenza nel marzo 1301 emanava la sentenza definitiva di condanna: esumati e cremati i resti di Armanno, distrutti l'arca col vicino altare, la diligente sollecitudine dei titolari dell'ufficio inquisitoriale aveva vinto infine. La reazione del “popolo” ferrarese che si vedeva defraudato di un proprio santo, si fermò allo stadio iniziale: qualche protesta minacciosa, e nulla più. L'ordine religioso a Ferrara era stato ristabilito. Guglielma la Boema (1210-1281): tra santità ed eresia al femminile? • La partecipazione delle donne a gruppi, chiese e movimenti ereticali è un dato indiscutibile. Basti pensare, ad esempio, ai conventi femminili catari, anche se pare che nel catarismo maturo, strutturatosi in modo mimetico rispetto all'istituzione ecclesiastica cattolico-romana, si riproponeva lo stato di subalternità della parte femminile. Presso gli eretici le donne sono riportate in una posizione certo dignitosa, ma di secondo piano. • L'impressione è che per l'Europa, nei decenni successivi alla metà del 13°secolo, si diffondano esperienze all'apparenza strane, ma che rispecchiano, da un lato, il chiudersi delle attese dell'età dello Spirito in circoli ristretti e talvolta settari e, d'altro lato, il formalizzarsi canonistico e teologico dell'ostilità della cultura chiericale verso la donna secondo determinati stereotipi: di qui molte delle eccentricità ce paiono connotare quelle esperienze. • Guglielma detta la Boema, ritenuta di stirpe illustre, si trova a Milano verso gli anni '60 del '200. Entra in stretto contatto con i monaci di Chiaravalle e con gli ambienti laicali che ruotano attorno all'ente cistercense. Prende via via corpo un gruppo di individui, per lo più appartenenti a strati medio-alti della società milanese, che si legano a Guglielma e soprattutto all'alone di santità che la circonda. Sui modi e sui contenuti della testimonianza religiosa della donna le informazioni sono ridottissime. La sua testimonianza è sicuramente incentrata sull'amore cristiana e sulla moralità evangelica: a un seguace che di mestiere faceva il mercante consigliava di astenersi dagli spergiuri, dalle frodi e dalle usure; ai discepoli riunitisi attorno a lei nell'approssimarsi della morte rivolgeva l'invito a un reciproco rispetto e amore. • Intorno alla sua esistenza evangelicamente santa, essendo Guglielma ancora in vita, si era creata una interpretazione “spirituale”: ella era ritenuta l'incarnazione al femminile della terza persona della Trinità che dopo morte avrebbe dovuto risorgere per ascendere al cielo, da cui sarebbe ridiscesa sui propri apostoli per redimere tutta l'umanità ancora nel peccato, compresi Giudei e Saraceni. Responsabili di tale visione, che ella stessa condannò severamente, furono ritenuti Andrea Saramita e Manfreda da Pirovano. • Nel 1300 Manfreda da Pirovano e Andrea Saramita testimoniarono con la morte sul rogo i loro “sogni spirituali”, prima che questi potessero acquisire valore teorico e porsi come problema da risolvere intellettualmente nel confronto col pensiero altrui: essi rimasero invece a livello di atteggiamento di attesa nel chiuso di un piccolo gruppo di “iniziati”, di “illuminati”. • Nel 1300 i domenicani Guido da Cocconato e Ranieri da Pirovano avevano riaperto le ostilità contro i guglielmiti non tanto per la pericolosità della “setta”, quanto all'interno di un disegno rivolto a riaffermare l'autorità e l'autonomia giurisdizionale del tribunale dell'inquisizione. I guglielmiti erano un adeguato obiettivo: un obiettivo per colpire pure i monaci cistercensi di Chiaravalle che avevano favorito il culto di Guglielma. I seguaci, pur partendo da un comune desiderio di celebrazione, si divisero: solo Manfreda, Andrea e pochi altri elaborarono una strategia autonoma della continuità, facendo dipingere immagini di Guglielma, costruendo un'ideologia guglielmita, fondata sull'attesa della “nuova età” dello Spirito incarnato al femminile. • La morte violenta degli “ideologi”, la distruzione non meno violenta dei riferimenti materiali della santità della Boema (i cui resti mortali nel 1300 furono esumati dal sepolcro presso l'abbazia cistercense di Chiaravalle milanese e dati alle fiamme) e, forse, la mancata attuazione delle profezie riguardanti il “ritorno” di Guglielma posero fine rapidamente non solo a un culto, ma ai “sogni spirituali” di chi in essa aveva visto il preannuncio di tempi nuovi.
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