Scarica Riassunto erranza educativa e bambini di strada e più Prove d'esame in PDF di Didattica Pedagogica solo su Docsity! Erranza educativa e bambini di strada Giuseppe Vico definisce erranza innanzitutto la parvenza di chi si sposta senza meta precisa, anzi al pari di un vagabondare di persona incerta e sempre alla ricerca di qualcosa che sembra non si possa trovare. Andare in modo imprevedibile, mutevole, tortuoso, assume la valenza simbolica di un procedere in modo serpeggiante, irrequieto, instabile. Errante è colui che si allontana dal vero, dal bene, dal bello, dal giusto. Allontanarsi dal vero, vivere in modo errato o inadeguato il rapporto con le istituzioni, incorrere nella devianza. Spesso l'uomo vive l'Angoscia come sentimento dell'esistenza autentico, l'Esserci si sente non a suo agio nel mondo e la morte viene vissuta come una possibilità dell'uomo. Si pone sempre il problema del rapporto uomoverità. Concezione antica > la verità si scopre (emergere dell'essere) Concezione moderna la verità di costruisce (spazio→ simbolico del viaggio e dell'erranza) Oggi prevale la convinzione che la verità nn sarebbe di nessuno xche solo cosi sarebbe di tutti. L'educazione si caratterizza per una forte sensibilità verso i valori, deve promuovere una nostalgia verso di essi. Nell'evento educativo deve esserci amore per i valori e desiderio di realizzarli. Mounier... tre dimensioni dell'uomo: tensione vs alto→ vs basso→ vs largo → +povertà antropologica (impoverimento in certe zone del rapporto natura/tecnica/valori/persona) Africa. Il rischio che tutti corriamo è quello di vivere grandi problemi e drammi dell'esistenza senza tensione culturale, anzi in un'esistenza svuotata di richiami etici e lasciata all'arbitrio di singoli e gruppi. Diventa difficile impegnarsi in progetti a lunga scadenza, vi è un diffuso narcisismo ed individualismo, una psicologia del “si fa subito sera” in cui gli altri possono anche essere messi tra parentesi. Erranza come paura e titubanza L'erranza è anche segno di paura di timore e di titubanza L'azione di errare è sbagliare e persistere nell'errore. Il rischio è parte dell'erranza. Possibilità di perdersi e di trovarsi. Rischio ed educazione sono strettamente connessi. Vi è nelle persone la frenesia di andare ovunque pur di andare e in questo c'è una duplice assenza: di meta e di radicamento. Spaesamento, smarrimento. Il viaggio viene banalizzato dalla nostra società, svuotato dal senso antropologico. Il viaggio è anche cammino interiore e rituale: viaggio dello spirito, dell'identità e della maturità. Nel viaggio possiamo avere: → dimensione antropologica: emerge il richiamo all'educabilità, aiutare l'altro ad assumere la piena forma del proprio essere, aiutarlo ad elevarsi verso l'alto e l'oltre. Il silenzio senza ascolto chiude il conto e anche il natovinto presto si stanca di attendere. Oggi nella frenesia del mondo moderno sono pochi i momenti per ascoltare l'altro. Il donare comporta sempre un ricevere. Marcel sottolinea che ricevere precede sempre prendere e dare. Tra il donare e il ricevere si situa la presenza del terzo. Il dono condiviso è come una musica che man mano si compone insieme, fatta dei silenzi e parole. La verità è sinfonica. 96 maggio 2005 Atene conferenza missionaria consiglio ecumenico chiese riconciliazione e guarigione con→ particolare riferimento all'Africa. Silenzio ascolto proposta Capacità di porsi Ascoltare la voce della nel silenzio e nell'ascolto in silenzio x ascoltare la voce profondità, per cogliere non siamo mai soli dell'essere emergente dalla l'importanza del terzo. Ma siamo profondità della coscienza Ascoltarsi e capire che a accompagnati dagli e le voci del mondo. Volte è essenziale avere altri che ci danno accanto qlc che c ascolta parole e strumenti proprio nelle scelte x elaborare nuova importanti. erranza il momento della proposta è anche assunzione di responsabilità ed esame attento di errori e silenzi colpevoli. Il progetto > un impegno orientato alla personalizzazione educativa. I protagonisti vivono l'importanza della vita nelle e con le istituzioni. La tappa intermedia può essere la sindrome del deserto, la volontà di tornare indietro, il bisogno di porre tra parentesi il bene che l'altro ci ha manifestato, volontà di uscire dal deserto x attingere alla dimensione dell'erranza. Bene manifestato da un individuo ad un altro in difficoltà > sindrome del deserto, volontà di tornare indietro e perdersi nella dimensione dell'erranza > superare il deserto > impegno di progettazione educativa. Esperienza del deserto Tra cielo e sabbia, tra il tutto e il nulla. Il deserto induce al silenzio e affina il legame con l'ascolto, senza escludere momenti di paura, di vagare senza meta, di attesa che qlc ci dica di tornare indietro. Il deserto è un luogo con diversi nomi ma soprattutto è un luogo disabitato. Deserto tra negatività e positività. Occorre anche qui il terzo: evento educativo che armonizzi il camminare da soli e l'essere condotti. Il deserto è lo spazio privilegiato da Dio e dai grandi maestri e abbraccia tre grandi ambiti simbolici: SPAZIO (ostile da attraversare per giungere alla terra promessa. Occorre insistere... il deserto è un lento esercizio all'educazione e alla conoscenza di se stessi. Esercizio che porta ad un comportamento virtuoso. ) TEMPO ( tempo intermedio... nn ci si installa nel deserto, lo si attraversa.) E CAMMINO (nonostante si possa avere la tentazione di tornare indietro, nel deserto bisogna avanzare. La libertà nn è al termine del cammino ma vive del e nel cammino. Conta il fine da perseguire ma anche la processualità che si vive durante il cammino. IL DESERTO INSEGNA L'ESSENZIALITA'. ) Fine delle ns vite per il Cristiano è la vita eterna. L'uomo è protagonista del tempo in qst cammino verso vita eterna. Tempo dono di Dio da aprire per vedere il contenuto. Invito alla memoria e alla coscienza del presente. L'esperienza spirituale è esperienza di essere preceduti (Da Dio) Dio non viene ma avviene. Egli è gia in attesa della ns risposta al dono. I poveri sono ovunque, basta guardare ma non basta essere poveri per avere qualcosa in più da Dio. La povertà chiede a chi vi addentra di non sottilizzare troppo su colpe, condizioni e cause. Il povero molto spesso vive condizione di difesa più che di offesa. Tenta a volte l'erranza come fuga, come desiderio di tempi e spazi migliori, come desiderio di mutamento del suo stato di povertà. Curare l'istituzione vale anche in contesti come ragazzi di strada, ragazzi di vita, donne abbandonate, vittime di violenze sessuali. Qui educare vuol dire soprattutto testimoniare che nonostante tutto è ancora possibile guardare il volto degli altri e sperare nella continua rigenerazione che produce Dio. Quando arriviamo tra i poveri siamo consapevoli della diversità di esperienza tra noi e loro. La nostra intenzionalità educativa si gioca nel sapere condividere e progettare pur partendo da distanze enormi e posizioni diverse. La vita nn è una corsa a chi arriva prima tra poveri e ricchi xche cmq c sarà sempre chi arriva ultimo. dietro ogni fine un nuovo inizio meglio il dolore che la rassegnazione Quando l'educatore è tentato di abbandonare deve pensare all' intero della conquista educativa. Solo il Dio sofferente può aiutare non uno gelido e distaccato. L'intervento educativo con i bambini di strada deve essere professionale: competenza, conoscenze e abilità per progettare un intervento unitario, universale, personalizzato. Stupore per l'educazione Anche nei paesi ricchi si assiste ad una povertà di effetti dell'educazione. Questo ci fa riflettere sul relativismo del ns tempo. Nel mondo tecnologicamente avanzato in cui viviamo si persegue una realizzazione mondana e superficiale di noi vita dei bambini di strada paragonabile a personaggi di Dostoevskij. Cosa spinge un bambino sulla strada? – è la via di fuga più semplice; – la strada si presenta come un luogo di animazione e di incontri; – strada e ambiente di provenienza molto legati; – fuga dalla violenza in famiglia o esistenza insignificante – strada vista come liberazione e riscatto da incontenibile disagio del contesto di vita e interazioni fredde e insignificanti; – incontri nuovi; – progetti nei quali investire e nei quali poter interpretare parte attiva; – opportunità di essere accostati da educatori che propongono un modo diverso di vivere la strada, fornendo un punto fermo e relazioni stabili; – lo stupore di ciò che si vive nel bene e nel male come possibilità di nuovi orientamenti esistenziali e di un pensiero divergente. La strada è anche lezione di umiltà e saggezza. Simmetria e asimmetria L'erranza vive e si nutre del rapporto tra simmetria e asimmetria e privilegia l'informale. Quando le cose diventano veramente difficili, anche l'educatore laico si appella a ideali e strumenti simbolici per dare un senso alle imprese difficili e agli scacchi subiti. gli attori dell'evento educativo pongono in essere l→ o spirito dell'educazione. Questo si fonda sull'esercizio educativo e sui valori della persona e strumenti adeguati alla formazione personale; → stile profetico nel condurre la cura di se, dell'altro e delle istituzioni; rendere gli → attori partecipi della vita pubblica, privata e condivisa; → atmosfera progettuale di ricca umanità: l'evento educativo viene coltivato giorno dopo giorno all'insegna della speranza e delle innovazioni concrete. E' difficile verificare nel breve periodo il prodotto e il senso del lavoro educativo; → attenzione alla persona singola, tenere conto dei suoi vissuti, questo è difficile per l'educatore di bambini di strada, perchè spesso nn si conoscono i loro vissuti passati; → studio dei contesti culturali, economici e linguistici in cui si opera. Spunti essenziali per una pedagogia itinerante Nella dimensione asimmetrica si vive il paradosso rousseauiano dell'inutilità per magister ( inutilità del maestro) x porne in luce la funzione insostituibile e indiretta. Asimmetria del rapporto educativo: il magister è colui che sa di più, che agisce con autorevolezza, è testimonianza di vita. Sa farsi minister e sa scendere a patti metodologici e didattici con la personalità dell'allievo, fino a condurlo all'esperienza limite dell'inutilità del magister. L'informale non va contrapposto al formale o non formale, è la possibilità di scoprire talenti personali e comunitari, di rigenerare vissuti scoprendone risposte originali e personalizzate. L'opera di ogni povero sui propri talenti porta a definire la povertà un'opera d'arte. La liberazione è un parto doloroso. L'erranza è connessa strettamente con l'educazione itinerante. Entrambe sollecitano e danno vita ad un significativo parto doloroso, anche qnd la vita sembra solo un peso da sopportare. EDUCAZIONE ITINERANTE 3 SIGNIFICATI: Complesso di processi ed eventi ENENTO IN FIERI Realtà che assume il che avvengono durante un con le difficoltà e le angosce significato del ripetere e cammino di decondizionamento dell'andare per una strada ripercorrere una strada liberazione e rigenerazione. Impervia con la paura già percorsa in precedenza Percorrere insieme un cammino di smarrirsi. Nel quale si colgono e in qst cammino scoprirsi educazione è tenere sempre vissuti e si portano in luce persone nuove e stupirsi ed essere vigile l'uomo invitandolo a non talenti personali. curiosi. fermarsi lungo la strada IL BAMBINO DI STRADA E' UNA PICCOLA O GRANDE IDEA DA COLTIVARE E DA REALIZZARE (Funzione di decondizionamento) (Funzione di percorso) (Funzione di esperienza) e di scoperta e curiosità e di emersione di talenti ITINERANTE > RISPOLVERARE , RIPRENDERE VECCHIE ABITUDINI DIMENTICATE NEGLI ANFRATTI DELLA VITA VISSUTA. Sogni stupore e fallibilità educativa Educazione itinerante è un fine e uno strumento al fine, un itinerario spirituale verso una meta definita e amata. Tramutare i vari eventi vissuti in progetti di educabilità fattibile. L'educatore ha il dovere di non illudere riguardo a situazioni totalmente avulse dalla realtà dei bambini di strada. Edu catore deve distinguere tra illusione e stupore, illusione e desiderio, illusione e speranza, illusione e sentirsi crescere ed elevare sempre più in alto. Appare urgente ridare spessore valoriale alla progettazione educativa. Due domande: 1) cos'è l'educazione? 2) qual è il dovere dell'educazione? Tra i desideri del bambino di strada c'è anche quello di essere portato ad essere partecipe di eventi e progettualità individuali e di gruppo. l'uomo? Sei qua per rimuovere la povertà o moltiplicare le piaghe?” “L'educatore itinerante” opta con umiltà di sedersi, vigile e ben radicato a terra, tra i suoi bambini di strada; l'educatore itinerante non si smarrisce nelle relazioni, nei dialoghi esuberanti, ma usa espressioni in difetto, è umile, è timoroso, ma determinato ad insegnare che la dignità dell'uomo deve sempre svettare sulla più tragica realtà (guerre, povertà, siccità, assenza di acqua). L'evento educativo pone al centro la sacralità della vita e della speranza, come risposta alle domande degli uomini. L'educatore assieme alla comunità compie una “prova di realtà” vivificante e motivante. Solo lo spirito parla allo spirito La persona è il fine ultimo, lo scopo finale dell'erranza. Solo lo spirito parla allo spirito: solo uno spirito che si avvicina all' “altro”, eliminando differenze e dislivelli è in grado di parlare, intendere e condividere l'esistenza di chi gli parla. Nei drammi e nelle esistenze difficili emerge una disposizione dello spirito ad ascoltare e ad ascoltarsi, a fare silenzio e a cogliere il significato e il valore del dono degli “altri”. Una grande rivoluzione condotta da Giovanni Paolo II: “uomo diventa sempre più uomo”. Lui e tante altre persone non solo esortano ad amare, a voler il bene di ciascuno, a spendersi per chi soffre ma invitano al perdono e “a vincere il male con la forza del bene”. Giovanni Paolo II ha condotto un'alta erranza: ha camminato tra la gente, vissuto tra di loro, colto le paure, le tragedie e le speranze. Gabriel Marcel scrive: “non c'è amore senza rinascita e rinnovamento perché l'amore è la vita che cambia centro”; l'amore non solo decentra il sé ma ne capovolge la logica stessa: chi non conosce la gioia e la gratificazione dell'ascolto agli “altri” non potrà mai donarsi all'altro. La guerra e la povertà annientano gli uomini e i bambini svuotandoli dell'”attitudine persona”: i bambini non sanno perché scoppia una guerra. Viene dato loro l'ordine di “non crescere” e di non farsi domande. I bambini nella guerra combattono con sé stessi, con la loro memoria, con i racconti di vite che sembrano giunte ad uno “stop” esistenziale. Nella guerra l'adulto è il loro nemico, il loro carnefice: il male che ha spezzato la loro aspirazione a crescere, il loro tempo evolutivo...la loro speranza. Con tutte le violenze della guerra, i bambini vengono svuotati della propria carica spirituale, della propria motivazione a vivere ed amare, del proprio bisogno di crescere in modo significativo, a fianco di persone che praticano il bene e il vero: è in tal senso che poi l'altro diventa: il muro , la nausea e la peste . Con la guerra viene ghiacciata la “parola”: si fa strada l'eclissi dell'amore. In queste situazionilimite l'educatore avverte un desiderio impellente di saggezza, da conquistare da solo o con altri verso un obiettivo: produzione di condizioni di lavoro e di miglioramento delle condizioni di vita. L'educazione non può stare in piedi senza contare sul lavoro , come dimensione importantissima della vita. Ogni progetto formativo ha un obiettivo: dare ai bambini di strada la gratificazione di un lavoro possibile, utile per sé e gli altri. L'educatore fa emergere la cultura della possibilità per un mondo migliore: solo uno spirito che si cala nella profondità dello spirito di un altro uomo è in grado di apprendere la lezione dell'umiltà, del rispetto, del cammino fianco a fianco dell'uomo. Parte Seconda Baraccopoli e “bambini di strada” 1. Kibera (una grande baraccopoli di 300/400 mila persone) Kenya, Nairobi (la capitale9: desiderio di immergersi nei diversi aspetti di questa difficile realtà per vedere i talenti di umanità (persone povere straordinarie). Sembra paradossale: da un lato nuove realtà di sofferenza e povertà (baraccopoli, donne umiliate, ragazzi di strada), dall'altro la carica spirituale di chi non può accettare tutto ciò. Chi aiuta in queste situazioni ha una luce interiore fortissima, che trae forza dall'amore di Dio, per partire dal “nulla”, per rigenerare quei vissuti e far sperare che “qualcosa avverrà”. Kibera è la seconda baraccopoli al mondo dopo quella di Manila (Filippine). Lo accompagna Manuel, un rifugiato del Congo che dice: “Osserva senza troppi interrogativi. Le cose qui non cambiano. Narriamo, facciamo poesia ma accettiamo la positività di questa esistenza”. Lo stato d'animo necessario è apertura, rilancio di vita, desiderio di conoscere l'esistenza durissima di tali persone, distacco da chi parla sui libri e non ha mai vissuto di persona tali situazioni, distacco dai propri pregiudizi. Kibera è un insieme di drammi di vita e prodotti della violenza. I teologi africani hanno definito la “povertà antropologica” del continente con un affresco in una chiesa di Corogocho: l'Africa un grande albero, troppo cresciuto che ad un certo punto non emette più fronde e frutti. In questo c'è il volto di una donna con una corona di spine in testa in lacrime; sofferenza ma anche ripresa e resurrezione. Serve una natura ottimistica per sperare in un domani migliore. Resistono e si rigenerano pensieri per edificare una Chiesa come una famiglia. A Kibera esistono tante famiglie che si spezzano e il valore della famiglia. Madre Teresa di Calcutta fece un lavoro straordinario: partì dal nulla per risollevare le condizioni delle persone: “solo iniziative di questo tipo posso servire perché cominciano dal nulla”. Le baraccopoli sono il regno dell'insignificanza, preludio grottesco dell'indifferenza e della diseducazione delle giovani generazioni. Come si può vivere a Kibera? Si vive intensamente e si muore dopo una vita di stenti e scarsa significatività quotidiana. A Kibera esiste un sistema connotato da regole interne, da dominatori e dominati, violenti e vittime, angeli e diavoli. Devi arrivare a Kibera disponibile a svuotarti per riempirti ed arricchirti di povertà: le persone sono ritratti di dolore, povertà, alienazione e sofferenza. Si colgono gli aspetti più disperati della vita. Tra queste persone esistono i “talenti delle povertà”: ci sono gli erranti, veri e propri educatori nel senso più alto del termine, che si accontentano di dare vita a piccole comunità di vario orientamento, per parlare, incontrare, condividere, aiutare e pregare. LA POVERTA' E' FATTA DI NULLA ED E' DAL NULLA CHE OCCORRE COMINCIARE. Dentro di sé deve partire un processo di “spoliazione”: scaricare zavorra, peso interiore e iniziare a fare comunità, tutti insieme. Al limite di questo “nulla” trovi spesso il desiderio di pregare: preghiere intense e veloci. Senza preghiera è difficile resistere al peso immenso di quella gigantesca tettoia che copre i corpi e gli spiriti. I bambini ti salutano, ti vengono incontro e si rendono conto subito delle differenze tra chi vive e sopravvive. “Vedrai migliaia di persone che escono dalla bidonville per andare al lavoro. Gli “ultimi” che cercano lavoro e si arrangiano come possono, con dignità e compostezza ma con una grande potenzialità di violenza e di devianza”. L'industria ha bisogno delle bidonvilles, dalle quali attingere mano d'opera a prezzi stracciati: a Kibera, infatti, si può vivere con “poco” e si può sussistere “di nulla”. Nessuno può andare in affitto: lo stipendio medio è di 31 eur (3.500 scellini) e l'affitto medio di un appartamento è di circa 28 eur (3.000 scellini): quindi occorre tenersi ben stretto ai tuoi quattro pali e alle poche lamiere del tetto. La vita media è sui 50 anni e la mortalità infantile è assai alta. TBC, AIDS, malaria e infezioni intestinali sono all'ordine del giorno: sono giorni di festa quando c'è l'evento “distribuzione medicinali”; noti tra la gente la rassegnata volontà di manifestare allegria, desiderio di scherzare e di stare allo scherzo. La distribuzione dei medicinali è un giorno significativo: ha significati collegati alla vita, alla morte, alla malatti, alle vite di chi sta nelle baraccopoli, al significato affettivo e solidale e al sacro. Di fronte a questi vissuti siamo solo curiosi: in realtà dovremmo scendere ad indagare le caratteristiche esistenziali e culturali. La visita ai malati di AIDS Camminare tra le case è avvertire una povertà estrema ed insieme dignità di chi ci abita all'interno. Qualche tocco di “bello” non manca nelle case dei malati di AIDS. Alcuni sacerdoti notano una trasformazione rapida , problematica ma piena di spiragli nella realtà di Kibera: la terra si può smuovere e seminare il Vangelo nelle zolle e nei solchi scavati dalla violenza: si può camminare con una meta comune. Le donne hanno energie inesauribili, sembrano i semi di qualcosa di buono e che avverrà, costruito giorno dopo giorno, come la nascita di un bimbo. Colpisce la storia di una donna malata di AIDS: questa donna con il marito aveva costruito una casa di mattoni alla periferia di Kibera; una sera viene derubata e violentata e prende il virus dell'AIDS; il marito la ripudia e la donna della sua casa una scuola materna per i bambini della parola ha poi quel gran valore che noi gli attribuiamo? Nelle baraccopoli è tutto ma è svuotata, non ha riferimenti concreti di miglioramento della realtà. Occorre con fatica distanziarsi dal proprio contesto e dai suoi simboli culturali. La gente delle baraccopoli non può ricordare nulla: sono campioni di oblìo (dimenticanza): pensano solo alle tracce e non alle testimonianze: non possono rigenerare un ricordo creativo, che li renderebbe liberi perché tutto scorre come è sempre penosamente stato, limitato da pali e lamiere. L'uso retorico del linguaggio (per persuadere le persone, per convertirle) non ha mai retto. Alle persone povere delle baraccopoli occorre insegnare la verità (portare la parola di Dio) e verità di carattere pratico, con le quali l'uomo fa i conti ogni giorno e stabilisce relazioni, confronti, scontri, investimenti: solo così si riesce a muovere le persone verso l'agire e la rigenerazione. La domanda poi è: persuadere per cosa? In questi territori sembra quasi si sia vaccinati a non guardare avanti, a non cercare germogli che portino verde, vitalità e ripresa. L'Occidente è diverso: si costruiscono tombe, mausolei, monumenti affinché non si cada nella dimenticanza del passato (valorizzazione forte del passato); In Africa si scarica il passato, perché il passato non è di quelle persone che la abitano e neppure le cose sono loro: non si vuole conservare memoria di morte e sofferenza (rifiuto forte del passato). Il vissuto e la tua cultura, devono essere staccati, perché ti avvolgono quasi a proteggerti: ti fanno scorgere come degni di visita turistica la discarica (!!!) Manuel (guida) ha richiamato l'educatore (visitatore) alla realtà: ha iniziato a ricomporre una realtà durissima, tra ragionamenti filosofici e affettività. Considerazione sviluppata: “a volte cerchi in cielo ciò che invece potresti trovare nel comunicare e nel manifestare all'altro, che ti sta accanto, ciò che hai nel cuore, per renderlo partecipe ad una cosa che l'altro già possiede in sé e per giungere ad una condivisione”. In questi luoghi Religione e Fede scrivono le pagine più belle: in tali luoghi una parola in più può essere di troppo e allora serve una parola che riesca rilanciare la speranza di talenti nascosti. Più ti fermi nella baraccopoli più noti le potenzialità di una umanità dolente e rassegnata: oltre la “discarica umana” l'uomo in parte risorge: cerca compagni, crea cooperative, progetta la raccolta differenziata, si unisce agli altri per far fronte comune agli sfruttatori. Sviluppo di un pensiero bellissimo che separa la “povertà” dalla “miseria”: – la povertà è una condizione, uno strumento al fine del processo che conduce noi stessi e gli altri ad essere sempre più uomini (“uomo diventa sempre più uomo”): il povero è un soggetto attivo e rivoluzionario perché rinuncia o si costruisce un cammino per rigenerare sé stesso e gli altri (Gesù stesso, Socrate, Gandhi, Confucio) cioè povertà come benedizione; Papa Francesco: “la povertà di Gesù ci libera e ci rende ricchi”; – la miseria è invece esito di ingiustizia e egoismo, che segna indigenza e fame, che genera i conflitti: “la miseria comincia laddove regna la vergogna”; nella miseria i diritti dell'uomo sono violati. Papa Francesco: “la miseria è la poverta senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza: la miseria ha 3 aspetti: materiale (condizione non degna alla persona umana), morale (schiavi del vizio e del peccato), spirituale (allontamente da Dio). Finalmente ero passato al salutare passaggio dello straniamento: urgenza di presenze significative e di condivisione per ridurre le distanze tra mondi culturali distanti. Posizione di Manuel: “Qui nulla cambia. Io esule in questo mondo, vedo che tutto mi è straniero. Mi sento solo in quello che sto dicendo. Le parole danno vita ad un mondo simbolico nel quale non ho collocazione”. Posizione di Vico: “In questa realtà c'è presenza viva di tante persone e di tante piccole comunità cristiane che partono dai problemi quotidiani per meditare sul Vangelo e dare vita a tanta rigenerazione. Occorre cogliere la rigenerazione invisibile: le diverse esperienze di vita fan sì che le baracche non saranno sempre le stesse baracche, la violenza non sempre la stessa: le distanze tra ricchi e poveri verrà colmato da un cammino di restaurazione delle coscienze sia a livello etico che religioso”. Korogocho è spettacolo raro, di grande intensità emotiva e di alto contenuto culturale: un regista potrebbe avere un luogo ove poter girare un dramma o una commedia. Qui si può ambientare qualsiasi aspetto della vita: della vita di uomini e divinità. Il ruolo più difficile è a chi attribuire il ruolo di Cristo. Il regista non dovrebbe perdere l'unità del tutto: Corogocho è un sistema vitale di mondi che cercano di armonizzarsi, non nel conflitto mortale tra valore e disvalore, vita e morte, tra chi vuole innovare e chi non vuole mutamenti (un ragazzo Serve un impegno di piccoli gruppi di educatori che siano disponibili a condividere la vita di tali ragazzi di strada. Ciò comporta: preparazione, tirocinio e competenza sugli interventi formali. Questi ultimi sono anche imprevedibilità, disponibilità ad attendere risultati a lungo termine, esercizio alla frustrazione per non essere ascoltati, attitudine all'impegno quotidiano e progetti da realizzare. Alcune ideeguida per un intervento educativo sul piano teorico e pratico: a) considerazione controcorrente del problema dei ragazzi di strada come realtà variegata, complessa e ricca di potenzialità per lo sviluppo culturale e sociale di un quartiere, strada, periferia; b) considerare le diverse strategie educative come un “sistema”; c) elaborazione di progetti mirati e coinvolgenti diverse forze sociali (famiglie, parenti, volontari, operatori sociopsico pedagogici) che diventi “sistema”, che veda il fenomeno come una “nuova realtà”: servono idee sul piano antropologico, filosofico e teologico; ricordandosi che tali ragazzi lo diventano per una morte immanente di qualcuno; d) interpretazione della realtà a favore di una “pedagogia del servizio” che sia un elemento innovativo e creativo nel sistema educativo frammentato: i “sopravvisuti senza famiglia” protagonisti di una nuova costruzione di sistemi di vita, in strada e fuori dalla strada; e) valorizzazione delle esperienze attuali con i ragazzi di strada nei loro sistemi reali e simbolici: prendersi cura di loro educativamente e politicamente, senza eccessive speranze di entrare nel desiderio di “erranza” di ognuno di loro; f) collaborazione con la classe politica locale e con organizzazione umanitarie internazionali per ottenere condivisione di nuovi ideali e i necessari finanziamenti, evitando i tanti rischi di esclusione del solo aiuto umanitario; g) identificazione di strategie educative diversificate, trasversali, per far rivivere il “valore famiglia” attraverso la formazione culturale e l'esperienza delle piccole comunità quali la “casa famiglia”, che reimpostano spiritualmente la famiglia; h) valorizzazione ed interpretazione della pedagogia itinerante , come strategia da privilegiare per rompere da blocchi mentali e metodologici accademici: la dimensione umana dell'errante, è connessa con la pedagogia itinerante ed è indicata per fenomeni di bisogno educativo di massa ove occorre creare una rete di piccole comunità sia per elaborare la realtà, sia per promuovere eventi educativi dove promuovere i vissuti dei senza famiglia e il desiderio della famiglia come “profezia”. Questo è solo il punto di partenza: “un progetto” può rimanere tale per anni perché nessuno pensa ad adeguarlo alla realtà e ad inserirvi altre variabili: gli educatori andrebbero formati in tale prospettiva. L'errore comune è che i ragazzi di strada possano essere educati tramite buona volontà e carica emotiva. La gente deve studiare, farsi le ossa attraverso esperienza in questa ed altre realtà. Un educatore per promuovere educazione deve leggere libri, riflettere libri, riflettere sulla vita degli altri oltre che sulla propria e non cercare di sostituirsi alla realtà: non da rimuovere ma da accogliere, interpretarla per inserirvi qualche elemento innovativo. L'erranza e la pedagogia itinerante è un concetto bellissimo: bisogna viaggiare, incontrare, stabilire punti di riferimento, cercare e trovare vocazioni educative soprattutto tra i giovani. Non bisogna chiudersi, ma coltivare “i fiori” (i giovani di strada), dando loro un nome e un compito: il vero e il bello possono consentire di fare miracoli. Ma i fiori necessitano di servizio: di acqua, concime, aria e di menti, cuore e mani che non stiano a lesinare sul tempo da dedicare loro. A volte come educatori si diventa evasivi: vedendo giovani talenti ci si accontenta di un piccolo miglioramento senza farli fruttare completamente per una promozione al cambiamento e allo sviluppo. L'educazione è in sintesi, evento personale, profondo, intimo, proprio di quella persona e non di altre. D'Agostino annota che: “L'Occidente ha saputo con precisione porsi la domanda ontologica: che cos'è l'essere e la domanda antropologica: che cos'è l'uomo; ma non ha ancora saputo porsi la domanda essenziale, la domanda relazionale: chi sei tu. L'educatore si deve allontanare da una visione “poetica” della povertà, del dolore, della morte e della speranza: occorre cogliere l'umanità ridotta della donna e del bambino come nostalgia di altro, desiderio di presenza di una cosa assente, ricostruzione di un umanesimo all'interno della famiglia. La povertà antropologica dell'Africa ha come causa lo svuotamento dell'uomo africano in termini di sostanza e di attributi. La fuga e la scelta dell'umanità di strada non sono una scelta ma l'unica scelta per non morire realmente e simbolicamente: 6. Un grande fervore di sentimenti Chi parte per una esperienza in questi luoghi deve aver prima gettato “un ponte ideale” tra sé e gli altri, tra il suo piccolo mondo e il posto dell'Africa in cui andrà. In Kenia: • su 1000 bambini, 120 non raggiungono i 5 anni; • 30 anni fa nascevano 9 bimbi per donna, ora 5; • ogni giorno muoiono 700 persone di AIDS; • il 60% della popolazione della Capitale, Nairobi ha un lavoro informale, dominata dalla logica della sussistenza (dell'avere cibo – molti sono impiegati nei taxi e pulmini di vario genere chiamati Matatu); • lo stipendio medio di un impiegato ripaga sì e no un affitto in un alloggio scarso; I nuclei familiari più poveri sono costituiti da madri sole: i figli nati da convivenze fuori dal matrimonio, per una legge del 1969, sono illegittimi e non hanno diritto al supporto economico del padre: chiaro è che tali nuclei tagliano sulle spese d'affitto, spostandosi nei quartieri più poveri (le baraccopoli hanno per un 80% madri sole), rinunciano all'istruzione e generano i bambini di strada. “Ragazzi di strada”: a cosa dare la priorità alla “strada” o a “ragazzi”? Ad entrambe facendo due precisazioni: La “strada” è una parola capace di suscitare profonde suggestioni: è cammino, percorso, itinerario (Fellini girò un film intitolato “la strada”). L'accezione di strada che ci interessa a noi è microcosmo, scenario in cui persone trascorrono parzialmente o totalmente la loro vita. Il sistema “vita nella strada” è un continuo susseguirsi di presenzeassenze, appartenenzaesclusione, sopravvivenza sviluppo: è un sistema vivo. La strada da un sistema di valori e modelli di comportamento orientati alla sopravvivenza, alla capacità di competere per procurarsi risorse, alla padronanza di sé stessi per contare giorno e notte solo sulle proprie risorse. Per quanto riguarda “i ragazzi” sono soggetti intelligenti, di spirito di indipendenza e di capacità decisionali, abili a vivere nella “strada”, sistema sociale con regole ben precise. Non sono soggetti reietti per la società. Da ricerche effettuate sono bene organizzati, in possesso di una matura capacità decisionale e capaci di trarre profitto da situazioni difficilissime. Sono “attori sociali” e creano un bilanciamento tra valori della comunità di riferimento e le necessità di ogni giorno. Due esempi: • Padre C.Piazza (oggi ministro contro la disuguaglianza sociale dello Stato di Bahia in Brasile) ha reso imprenditori (apicoltori, allevatori, pescatori) i meninos de rua (bambini di strada), con un contributo per acquistare un attrezzo da lavoro; • Don Bosco usare amorevolezza, ragione e religione. Ruolo dell'educatore: lasciamo ai bambini di strada la scelta e andiamo a vivere con loro e lentamente, se necessario, allontaniamoci dalla strada, se troviamo qualcosa di meglio. Shorter: tutti i bambini di strada appartengono a delle bande perché appena giunto in strada, il bambino cerca un gruppo con il quale condividere le difficoltà della vita e l'avventura quotidiana. L'entrata nel gruppo significa: • trovare risposte ai bisogni relazionali dell'uomo (identità, affiliazione, valori, di autostima); • assicura la stessa sopravvivenza; • assicura protezione grazie ai legami che si creano; • garantisce un certo guadagno: una minima razione di cibo quotidiano e meccanismi di difesa tra i propri membri; • è un sostituto fondamentale della famiglia perché nel gruppo c'è solidarietà; • c'è condivisione di tutto: cibo, vestiti, spazio, spaccio di droga e alcoolici; • percepirsi socialmente attivi e partecipi di un'avventura che umilia o che rende felici. Le bande di Nairobi (capitale Kenia) sono così suddivise: • 712 anni; • 1418 anni; • 1822 anni. Per entrare in una banda serve un rito di iniziazione: • per i ragazzi: prova di forza o di abilità; • per le ragazze: un abuso sessuale. La vita dei bambini di strada avviene in spazi chiamati basi, consistenti in ripari di plastica o di fortuna e situati in vicoli o zone nascoste della città. Per sopravvivere i ragazzi svolgono attività lavorative (elemosina, trasporto merci, furti, accattonaggio, carico/scarico ai mercati, raccolta di materiale riciclabile). Il ragazzo di strada, per Shorter: • è un lavoratore perché è l'unico responsabile della propria vita e perché il lavoro per strada è finalizzato alla sussistenza. Per lui, non esistono altri tipi di esistenza. La loro vita psicosessuale è attiva per ragioni: ragazzo per la ragazza: da queste ragazze nasceranno tanti Childrens for the Streets. I ragazzi di strada sono segni di una umanità che non riesce a passare dalla sussistenza allo sviluppo. L'educatore deve dare ogni giorno gocce di speranza, amicizia, apertura per nuove possibilità, di dialogo per far capire che un millimetro al giorno la tua situazione nella baraccopoli può migliorare. Esistono due tipologie di scelte per la strada: a) PushFactors: fattori che spingono i bambini sulle strade sono la povertà, la violenza, le famiglie disgregate, la scomparsa di uno o di entrambi i genitori; b) PullFactors: fattori quali il bisogno di autonomia, il guadagno, il gruppo, percepirsi “liberi”, le amicizie, la compensazione affettiva. Inoltre i bambini di strada (guardandoli con accezione positiva): a) non sono sempre abbandonati, ma mantengono relazioni con la famiglia di origine; b) possono non andare alla ricerca di avventure per sfuggire ai vincoli sociali; c) non sono necessariamente deliquenti e dediti alle droghe; d) quando rubano, spesso lo fanno per mangiare; e) sono “schiavi” della fame e in strada trovano ciò che non hanno in famiglia; f) non scelgono la strada per capriccio (per non lavorare, impegnarsi o studiare) ma per sfuggire al degrado economico, affettivo e morale della famiglia. Vivono nell' “informale” e quando hanno un'opportunità di istruzione ed educazione dimostrano grandi competenze. Altra distinzione è: a) bambini sulla strada: soggetti che in genere tornano a casa la sera; b) bambini di strada: minori che vivono nella strada con continuità e senza più rapporti con la famiglia o con rapporti molto saltuari (sono i più difficili da indurre verso altre realtà). Sul piano educativo occorre NON trattare questi bambini come persone senza futuro, senza speranza e senza sbocchi, come “oggetti di carità”: la pazienza conduce sempre a dei recuperi straordinari. Come educatore se non conosci e se non finisci per amare la strada che essi amano, non riuscirai a fare breccia: poi devi insistere, pazientemente e cogliere il momento in cui il ragazzo coglie una sorta di “illuminazione” e incominciano ad ascoltarti anche se non ti parlano, anche se il conflitto educativo diventa più forte. L'amore progettuale (per un progetto di vita) arriva alla linfa dei bisogni e dei desideri attraverso l'azione di singole persone o ancor più di comunità. Perché la strada per anni lascia il cuore vuoto, non porta ad approdi concreti. 8 Quando cambieranno le cose? L'autore cita Albert Camus nel suo capolavoro “La peste”: il futuro sarà quello dell'uomo, malgrado la realtà della peste (metafora della povertà/violenza dei bambini di strada), che da vita a relazioni umane al limite continuo tra solidarietà ed egoismo? La sensazione che ha, come ne “La peste” è quella di essere “solo nella notte, e di non trovare la cosa originale”. Occorre presentarsi ai ragazzi di strada con qualche proposta concreta: la strada è possibilità di iniziativa, di qualche guadagno, di vita di gruppo, promiscuità, di difesa dalla violenza e dall'abbandono familiare: occorre educare tenendo conto del loro vissuto. Occorre ridimensionare le pretese educative proponendo progetti concreti e non utopie. La strada è l'opportunità di educazione informale per vivere eventi con “valore universale”, diversi o simili a quelli che si vivono in famiglia o in altre comunità. La cultura dei ragazzi di strada deve essere più creativa e meno orientata a commiserare i ragazzi. A livello educativo occorre interpretare la storia di questi ragazzi e non farne la cronaca, per non ricadere in un grave errore. 9. Fame di pane e fame di “patria” Occorre una forte e nuova elaborazione dell'erranza educativa. Occorre ripensare agli orizzonti di senso, lo spirito con cui disporsi all'opera educativa, gli stili del convivere di miserie e speranze e condividere valori con persone e situazioni che hanno nostalgia di qualcosa che duri nel tempo. Futuro significa, aumento della vita urbana, significa che si aggraverà il problema dei bambini di strada, anche perché nel frattempo i genitori moriranno malati di AIDS: “Mondodomani” dice che a causa di AIDS, guerra, e disoccupazione i bambini di strada aumenteranno. guarigione della memoria, ammettendo tutti gli errori e gli sbagli, come fece quel papa nel 2000. Occorrerà errare di scuola a scuola, da uomo a uomo, da strada a strada per edificare una convivenza rispettosa di identità e di memoria. Il perdono, per evitare che sia un mero riconoscimento di danni arrecati, deve essere accompagnato da l'etica della responsabilità e dalla pratica del dono (affermazione della libertà attraverso la dipendenza – nella famiglia, ad esempio c'è un valore di riconoscimento solo nel dono che si può sperimentare). Occorre ritornare a quell'essenziale che noi abbiamo in comune con tutti gli uomini: la spiritualità e la razionalità. L'esperienza del dono diventa così relazione, reciprocità, sentirsi come oggetto di un dono benevolo in quanto persona, in quanto integralità, in quanto tutto e non frammento. RIASSUNTO DEL LIBRO L'erranza è una connotazione peculiare dell'umano e dell'educabilità della persona: • erranza è un vagabondare, un ricercare qualcosa che non si può trovare, girare in maniera serpeggiante; • erranza è allontanarsi dal bello e dal vero, in maniera errata e inadeguata: quindi come corollario allontanarsi da un sano rapporto con le istituzioni ed incorrere in forme di devianza (i bambini di strada); • erranza è anche segno di paura e titubanza a sbagliare, e di persistere nell'errore; • erranza come opportunità di donarsi, completamente incentrata sul dono (tra il donare e il prendere l'errore più comune è dare amore “puramente espressivo” senza ascolto, non fornendo delle risposte progettuali a chi ne ha bisogno); • erranza come testimonianza alta e profonda (portare alla luce e ad espandersi i talenti e le bellezze dell'altro, sviluppare una pazienza educativa, valorizzare l'identità di ciascuna persona e renderla così unica – solidarietà, passione e pazienza educativa). La persona è il fine ultimo, lo scopo dell'erranza. L'educazione è avere cura di sé, dell'altro, delle istituzioni (Ricoeur): l'essere privato (sé), l'essere pubblico (le istituzioni) e l'essere condiviso (l'altro). L'erranza è avvicinata alla condizione dei bambini di strada, che è destinata ad aggravarsi in Africa, ove vige la povertà atropologica (povertà di mezzi materiali e spirituale): ove esistono povertà visibili (legate ai mezzi di sussistenza, al mangiare) e invisibili (quelle morali, quelle dello spirito, quelle motivazionali, quelle del cuore). In tal senso l'uomo è “nato vinto” cioè viaggia in maniera inerziale tra povertà e violenze: è nato, ma già di per sé è stato sconfitto: tutto questo ha il sapore amaro dell'abbandono e della morte. Ma l'autore non cade nel discorso retorico, rifuggendo da una pedagogia povera di senso: elabora progetti in un orizzonte spirituale attento sia alla memoria (da guarire e da promuovere – occorre per gli educatori un pensiero nomade e non stanziale che permei la cultura dell'altro e ne conosca i contenuti, i simboli, i significati), sia alla quotidianità (con eventi ed azioni concrete da attuare nel concreto, soprattutto con case famiglia/piccole comunità/gruppi: educazione come eventi contro lo smarrimento e lo spaesamento quali le meta relazioni e le comunità, convinto che l'amore da solo non basti). L'amore in tal senso è visto come “spostare il proprio centro da sé stessi verso l'altro”. Occorre una pedagogia itinerante (oltreché un pensiero nomade): il maestro (magister) deve scendere dal trampolo e trasformarsi in ministro (minister), immergersi totalmente nella realtà del ragazzo e vivere con lui l'informale, che non deve mai scontrasi con il formale.