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Riassunto erranza educativa e bambini di strada, Prove d'esame di Didattica Pedagogica

Riassunto del libro di Giuseppe Vico, libro di filosofia ed educazione

Tipologia: Prove d'esame

2015/2016
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Caricato il 21/09/2016

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Scarica Riassunto erranza educativa e bambini di strada e più Prove d'esame in PDF di Didattica Pedagogica solo su Docsity! Erranza educativa e bambini di strada Giuseppe Vico  definisce erranza innanzitutto la parvenza di chi   si   sposta   senza   meta   precisa,   anzi   al   pari   di   un vagabondare   di   persona   incerta   e   sempre   alla   ricerca   di qualcosa che sembra non si possa trovare. Andare in modo imprevedibile, mutevole, tortuoso, assume la valenza   simbolica   di   un   procedere   in   modo   serpeggiante, irrequieto, instabile. Errante è colui che si allontana dal vero, dal bene, dal bello, dal giusto. Allontanarsi dal vero, vivere in modo errato o inadeguato  il rapporto con le istituzioni, incorrere nella devianza. Spesso l'uomo vive l'Angoscia come sentimento dell'esistenza autentico, l'Esserci si sente non a suo agio nel mondo e la morte viene vissuta come una possibilità dell'uomo. Si pone sempre il problema del rapporto uomo­verità. Concezione   antica   ­­­>   la   verità   si   scopre   (emergere dell'essere) Concezione   moderna     la   verità   di   costruisce   (spazio→ simbolico del viaggio e dell'erranza) Oggi   prevale   la   convinzione   che   la   verità   nn   sarebbe   di nessuno xche solo cosi sarebbe di tutti. L'educazione si caratterizza per una forte sensibilità verso i valori,   deve   promuovere  una   nostalgia   verso   di   essi. Nell'evento   educativo   deve   esserci   amore   per   i   valori   e desiderio di realizzarli. Mounier... tre dimensioni dell'uomo: tensione   vs alto→  vs basso→  vs largo → +povertà antropologica (impoverimento in certe zone del  rapporto natura/tecnica/valori/persona) Africa. Il   rischio   che   tutti   corriamo  è  quello  di   vivere   grandi problemi   e   drammi   dell'esistenza   senza   tensione culturale, anzi in un'esistenza svuotata di richiami etici e lasciata all'arbitrio di singoli e gruppi. Diventa difficile impegnarsi in progetti a lunga scadenza, vi è  un diffuso narcisismo ed individualismo, una psicologia del  “si fa subito sera” in cui gli altri possono anche essere messi  tra parentesi. Erranza come paura e titubanza L'erranza è  anche segno di paura di timore e di titubanza L'azione di errare è sbagliare e persistere nell'errore. Il   rischio   è   parte   dell'erranza.   Possibilità   di   perdersi   e   di trovarsi. Rischio ed educazione sono strettamente connessi. Vi   è   nelle   persone   la   frenesia   di   andare   ovunque   pur   di andare e   in  questo  c'è  una duplice  assenza:  di  meta e  di radicamento. Spaesamento, smarrimento. Il viaggio viene banalizzato dalla nostra società, svuotato dal senso antropologico. Il  viaggio è  anche  cammino  interiore e rituale:  viaggio dello spirito, dell'identità e della maturità. Nel viaggio possiamo avere:  → dimensione antropologica: emerge il richiamo  all'educabilità, aiutare l'altro ad assumere la piena forma del  proprio essere, aiutarlo ad elevarsi verso l'alto e l'oltre. Il silenzio senza ascolto chiude il conto e anche il nato­vinto presto si stanca di attendere. Oggi nella frenesia del mondo moderno sono pochi i momenti per ascoltare l'altro. Il donare comporta sempre un ricevere. Marcel   sottolinea   che   ricevere  precede   sempre  prendere   e dare.  Tra il  donare e il  ricevere si situa la presenza del terzo. Il dono   condiviso   è   come   una   musica   che   man   mano   si compone insieme, fatta dei silenzi e parole. La verità è sinfonica. 9­6   maggio   2005   Atene   conferenza   missionaria   consiglio ecumenico   chiese     riconciliazione   e   guarigione   con→ particolare riferimento all'Africa. Silenzio                      ascolto                       proposta  Capacità di porsi  Ascoltare la voce della nel silenzio e nell'ascolto in silenzio x ascoltare la voce profondità, per cogliere non siamo mai soli  dell'essere emergente dalla  l'importanza del terzo. Ma siamo  profondità della coscienza Ascoltarsi e capire che a  accompagnati dagli  e le voci del mondo. Volte è essenziale avere altri che ci danno  accanto qlc che c ascolta  parole e strumenti proprio nelle scelte  x elaborare nuova  importanti. erranza il momento della  proposta è anche  assunzione di  responsabilità ed esame  attento di errori e silenzi colpevoli. Il  progetto  ­­> un  impegno orientato alla  personalizzazione educativa. I protagonisti vivono l'importanza della vita nelle e con   le   istituzioni.   La   tappa   intermedia   può   essere   la sindrome   del   deserto,   la   volontà   di   tornare   indietro,   il bisogno   di   porre   tra   parentesi   il   bene   che   l'altro   ci   ha manifestato,   volontà   di  uscire  dal  deserto   x   attingere  alla dimensione dell'erranza.  Bene manifestato da un individuo ad un altro  in difficoltà ­­­>  sindrome   del   deserto,   volontà   di   tornare   indietro   e perdersi nella dimensione dell'erranza ­­­> superare il deserto ­­­> impegno di progettazione educativa. Esperienza del deserto  Tra cielo e sabbia, tra il tutto e il nulla.  Il deserto induce al silenzio e affina il legame con l'ascolto, senza escludere momenti di paura, di vagare senza meta, di attesa che qlc ci dica di tornare indietro. Il deserto è un luogo con diversi nomi ma soprattutto è un luogo disabitato. Deserto tra negatività e positività. Occorre anche qui il terzo: evento   educativo   che   armonizzi   il   camminare   da   soli   e l'essere condotti. Il deserto è lo spazio privilegiato da Dio e dai grandi maestri e abbraccia   tre   grandi   ambiti   simbolici:   SPAZIO   (ostile   da attraversare per giungere alla terra promessa.  Occorre   insistere...   il   deserto   è   un   lento   esercizio all'educazione e alla conoscenza di se stessi. Esercizio che porta ad un comportamento virtuoso. ) TEMPO  ( tempo intermedio... nn ci si installa nel deserto, lo si attraversa.) E CAMMINO (nonostante si possa avere la tentazione di tornare indietro, nel deserto bisogna avanzare. La  libertà  nn  è  al   termine  del   cammino  ma vive  del   e  nel cammino.   Conta  il   fine  da   perseguire   ma   anche  la processualità che si vive durante il cammino. IL DESERTO INSEGNA L'ESSENZIALITA'.  ) Fine delle ns vite per il Cristiano è la vita eterna. L'uomo è protagonista del tempo in qst cammino verso vita eterna. Tempo dono di Dio da aprire per vedere il contenuto. Invito alla memoria e alla coscienza del presente. L'esperienza spirituale è esperienza di essere preceduti (Da Dio) Dio non viene ma avviene.  Egli è gia in attesa della ns risposta al dono. I poveri sono ovunque, basta guardare ma non basta essere poveri per avere qualcosa in più da Dio. La povertà chiede a chi vi addentra di non sottilizzare troppo su colpe, condizioni e cause. Il povero molto spesso vive condizione di difesa più   che di offesa. Tenta a volte  l'erranza come fuga, come desiderio di tempi e spazi migliori, come desiderio di mutamento del suo stato di povertà. Curare  l'istituzione vale  anche  in  contesti  come ragazzi  di strada,   ragazzi   di   vita,   donne   abbandonate,   vittime   di violenze   sessuali.  Qui   educare   vuol   dire   soprattutto testimoniare che   nonostante tutto    è ancora possibile guardare il volto degli altri e sperare nella continua rigenerazione che produce Dio. Quando   arriviamo   tra   i   poveri   siamo   consapevoli   della diversità di esperienza tra noi e loro.  La   nostra   intenzionalità   educativa   si   gioca   nel  sapere condividere e progettare pur partendo da distanze enormi e posizioni diverse. La vita nn  è una corsa a chi arriva prima tra poveri e ricchi xche cmq c sarà sempre chi arriva ultimo. ­dietro ogni fine un nuovo inizio ­meglio il dolore che la rassegnazione Quando l'educatore è tentato di abbandonare deve pensare all'   intero    della conquista educativa. Solo il Dio sofferente può aiutare non uno gelido e distaccato. L'intervento educativo con i  bambini di  strada deve essere professionale:   competenza,   conoscenze   e   abilità   per progettare un intervento unitario, universale, personalizzato.      Stupore per l'educazione Anche nei  paesi   ricchi  si  assiste  ad una povertà  di  effetti dell'educazione.  Questo ci fa riflettere sul relativismo del ns tempo. Nel   mondo   tecnologicamente   avanzato   in   cui   viviamo   si persegue  una   realizzazione  mondana   e   superficiale   di   noi vita   dei   bambini   di   strada   paragonabile   a   personaggi   di Dostoevskij. Cosa spinge un bambino sulla strada? – è la via di fuga più semplice; – la strada si presenta come un luogo di animazione e di incontri; – strada e ambiente di provenienza molto legati; – fuga dalla violenza in famiglia o esistenza insignificante – strada vista come  liberazione e riscatto da incontenibile disagio   del   contesto   di   vita   e   interazioni   fredde   e insignificanti; – incontri nuovi; – progetti nei quali investire e nei quali poter interpretare parte attiva; – opportunità   di   essere   accostati   da   educatori   che propongono  un   modo   diverso   di   vivere   la   strada, fornendo un punto fermo e relazioni stabili; – lo stupore di ciò che si vive nel bene e nel male come possibilità   di  nuovi   orientamenti   esistenziali   e   di   un pensiero divergente. La strada è anche lezione di umiltà e saggezza. Simmetria e asimmetria L'erranza   vive   e   si   nutre   del   rapporto   tra   simmetria   e asimmetria e privilegia l'informale. Quando   le   cose   diventano   veramente   difficili,   anche l'educatore laico si appella a ideali e strumenti simbolici per dare un senso alle imprese difficili e agli scacchi subiti.  gli attori dell'evento educativo pongono in essere l→ o spirito dell'educazione. Questo si fonda sull'esercizio educativo e sui valori   della   persona   e   strumenti   adeguati   alla   formazione personale;  → stile profetico nel condurre la cura di se, dell'altro e delle istituzioni;   rendere  gli  → attori  partecipi  della  vita  pubblica,  privata  e condivisa;  → atmosfera progettuale di ricca umanità: l'evento educativo viene coltivato giorno dopo giorno all'insegna della speranza e delle innovazioni concrete. E' difficile verificare nel breve  periodo il prodotto e il senso del lavoro educativo;  → attenzione   alla   persona   singola,   tenere   conto   dei   suoi vissuti, questo è difficile per l'educatore di bambini di strada, perchè spesso nn si conoscono i loro vissuti passati;   → studio dei contesti culturali, economici e linguistici in cui si opera.  Spunti essenziali per una pedagogia itinerante Nella  dimensione   asimmetrica   si   vive   il   paradosso rousseauiano dell'inutilità per magister ( inutilità del maestro) x porne in luce la funzione insostituibile e indiretta. Asimmetria del rapporto educativo: il magister è colui che sa di più, che agisce con autorevolezza, è testimonianza di vita. Sa farsi minister e sa scendere a patti metodologici e didattici con la personalità dell'allievo, fino a condurlo all'esperienza limite dell'inutilità del magister. L'informale non va contrapposto al formale o non formale, è la possibilità   di   scoprire   talenti   personali   e   comunitari,   di rigenerare   vissuti   scoprendone   risposte   originali   e personalizzate. L'opera di ogni povero sui propri talenti porta a definire la povertà un'opera d'arte. La   liberazione   è   un   parto   doloroso.   L'erranza  è   connessa strettamente   con   l'educazione   itinerante.  Entrambe sollecitano e danno vita ad un significativo parto doloroso, anche qnd la vita sembra solo un peso da sopportare. EDUCAZIONE ITINERANTE 3 SIGNIFICATI: Complesso di processi ed eventi ENENTO IN FIERI Realtà che assume il  che avvengono durante un  con le difficoltà e le angosce significato del ripetere e cammino di de­condizionamento dell'andare per una strada ripercorrere una strada liberazione  e rigenerazione. Impervia con la paura già percorsa in precedenza Percorrere insieme un cammino  di smarrirsi. Nel quale si colgono e in qst cammino scoprirsi  educazione è tenere sempre vissuti e si portano in luce  persone nuove e stupirsi ed essere vigile l'uomo invitandolo a non talenti personali. curiosi. fermarsi lungo la strada IL BAMBINO DI STRADA E' UNA  PICCOLA O GRANDE IDEA  DA COLTIVARE E  DA REALIZZARE (Funzione di de­condizionamento)    (Funzione di percorso)                   (Funzione di esperienza) e di scoperta e curiosità                                                                          e di emersione di talenti ITINERANTE ­­> RISPOLVERARE , RIPRENDERE VECCHIE ABITUDINI DIMENTICATE  NEGLI ANFRATTI DELLA VITA VISSUTA. Sogni stupore e fallibilità educativa Educazione itinerante è un fine e uno strumento al fine, un  itinerario spirituale verso una meta definita e amata. Tramutare i vari eventi vissuti in progetti di educabilità  fattibile. L'educatore ha il dovere di non illudere riguardo a  situazioni totalmente avulse dalla realtà dei bambini di  strada. Edu catore deve distinguere tra illusione e stupore, illusione e  desiderio, illusione e speranza, illusione e sentirsi crescere ed elevare sempre più in alto. Appare urgente ridare spessore valoriale alla progettazione  educativa.  Due domande:  1) cos'è l'educazione? 2) qual è il dovere dell'educazione? Tra i desideri del bambino di strada c'è anche quello di  essere portato ad essere partecipe di eventi e progettualità  individuali e di gruppo. l'uomo? Sei  qua per rimuovere la povertà  o moltiplicare  le piaghe?” “L'educatore itinerante” opta con umiltà  di sedersi, vigile e ben radicato a terra, tra i suoi bambini di strada; l'educatore itinerante   non   si   smarrisce   nelle   relazioni,   nei   dialoghi esuberanti,   ma   usa   espressioni   in   difetto,   è   umile,   è timoroso,   ma   determinato   ad   insegnare   che   la   dignità dell'uomo   deve   sempre   svettare   sulla   più   tragica   realtà (guerre, povertà, siccità, assenza di acqua). L'evento   educativo  pone  al   centro   la   sacralità   della   vita   e della speranza, come risposta alle domande degli uomini.  L'educatore   assieme   alla   comunità   compie   una   “prova   di realtà” vivificante e motivante. Solo lo spirito parla allo spirito La persona è il fine ultimo, lo scopo finale dell'erranza. Solo   lo   spirito   parla   allo   spirito:   solo   uno   spirito   che   si avvicina   all'   “altro”,   eliminando   differenze   e   dislivelli   è   in grado di parlare, intendere e condividere l'esistenza di chi gli parla. Nei drammi e nelle esistenze difficili emerge una disposizione dello spirito ad ascoltare e ad ascoltarsi, a fare silenzio e a cogliere il significato e il valore del dono degli “altri”. Una grande rivoluzione condotta da Giovanni Paolo II: “uomo diventa sempre più uomo”. Lui e tante altre persone non solo esortano ad amare, a voler il bene di ciascuno, a spendersi per chi soffre ma invitano al perdono e “a vincere il male con la forza del bene”. Giovanni Paolo II ha condotto un'alta erranza: ha camminato tra la gente, vissuto tra di loro, colto le paure, le tragedie e le speranze. Gabriel   Marcel   scrive:   “non   c'è   amore   senza   rinascita   e rinnovamento  perché  l'amore  è   la  vita   che   cambia   centro”; l'amore non solo de­centra  il  sé  ma ne capovolge  la logica stessa: chi non conosce la gioia e la gratificazione dell'ascolto agli “altri” non potrà mai donarsi all'altro. La guerra e   la  povertà  annientano gli  uomini  e   i  bambini svuotandoli   dell'”attitudine  persona”:   i   bambini  non   sanno perché scoppia una guerra.  Viene   dato   loro   l'ordine   di   “non   crescere”   e   di   non   farsi domande. I bambini nella guerra combattono con sé stessi, con la loro memoria, con  i racconti di vite che sembrano giunte ad uno “stop” esistenziale. Nella guerra l'adulto è  il   loro nemico, il loro carnefice: il male che ha spezzato la loro aspirazione a crescere, il loro tempo evolutivo...la loro speranza.  Con tutte le violenze della guerra, i bambini vengono svuotati della  propria  carica  spirituale,  della  propria  motivazione a vivere   ed  amare,  del   proprio  bisogno  di   crescere   in  modo significativo, a  fianco di persone che praticano il  bene e il vero: è in tal senso che poi l'altro diventa: il   muro   , la   nausea e la   peste   . Con   la   guerra   viene   ghiacciata   la   “parola”:   si   fa   strada l'eclissi dell'amore. In  queste  situazioni­limite   l'educatore  avverte  un desiderio impellente  di  saggezza,  da  conquistare  da solo  o  con altri verso un obiettivo:  produzione di  condizioni  di   lavoro  e di miglioramento delle condizioni di vita. L'educazione non può stare   in   piedi   senza   contare   sul    lavoro   ,   come  dimensione importantissima  della   vita.  Ogni  progetto   formativo  ha  un obiettivo:  dare ai  bambini di  strada  la gratificazione di  un lavoro   possibile,  utile   per   sé   e   gli   altri.   L'educatore   fa emergere la cultura della possibilità  per un mondo migliore: solo uno spirito che si cala nella profondità dello spirito di un altro uomo è in grado di apprendere la lezione dell'umiltà, del rispetto, del cammino fianco a fianco dell'uomo. Parte Seconda Baraccopoli e “bambini di strada” 1. Kibera (una grande baraccopoli di 300/400 mila persone) Kenya,   Nairobi   (la   capitale9:   desiderio   di   immergersi   nei diversi aspetti di questa difficile realtà per vedere i talenti di umanità (persone povere straordinarie). Sembra paradossale: da un lato nuove realtà di sofferenza e povertà   (baraccopoli,   donne   umiliate,   ragazzi   di   strada), dall'altro la carica spirituale di chi non può accettare tutto ciò.   Chi   aiuta   in   queste   situazioni   ha   una   luce   interiore fortissima, che trae forza dall'amore di Dio, per partire dal “nulla”,   per   rigenerare   quei   vissuti   e   far   sperare   che “qualcosa avverrà”. Kibera  è   la   seconda  baraccopoli   al  mondo  dopo  quella  di Manila (Filippine). Lo  accompagna  Manuel,  un   rifugiato  del  Congo   che  dice: “Osserva   senza   troppi   interrogativi.   Le   cose   qui   non cambiano.   Narriamo,   facciamo   poesia   ma   accettiamo   la positività di questa esistenza”. Lo   stato   d'animo   necessario   è   apertura,   rilancio   di   vita, desiderio di conoscere l'esistenza durissima di tali persone, distacco   da   chi   parla   sui   libri   e   non   ha   mai   vissuto   di persona tali situazioni, distacco dai propri pre­giudizi. Kibera   è   un   insieme   di   drammi   di   vita   e   prodotti   della violenza. I teologi africani hanno definito la “povertà antropologica” del continente   con   un   affresco   in   una   chiesa   di   Corogocho: l'Africa un grande albero, troppo cresciuto che ad un certo punto non emette più fronde e frutti. In questo c'è il volto di una  donna   con  una   corona  di   spine   in   testa   in   lacrime; sofferenza ma anche ripresa e resurrezione.  Serve   una   natura   ottimistica   per   sperare   in   un   domani migliore.  Resistono e si rigenerano pensieri per edificare una Chiesa come una famiglia. A Kibera esistono tante famiglie che si spezzano e il valore della famiglia. Madre Teresa di Calcutta fece un lavoro straordinario: partì dal  nulla   per   risollevare   le   condizioni   delle   persone:   “solo iniziative di questo tipo posso servire perché  cominciano dal nulla”. Le   baraccopoli   sono   il   regno   dell'insignificanza,   preludio grottesco dell'indifferenza e della diseducazione delle giovani generazioni.  Come si può vivere a Kibera? Si vive intensamente e si muore dopo una vita di stenti e scarsa significatività quotidiana. A Kibera esiste un sistema connotato da regole interne, da dominatori e dominati, violenti e vittime, angeli e diavoli. Devi arrivare a Kibera disponibile a svuotarti per riempirti ed arricchirti   di   povertà:   le   persone   sono   ritratti   di   dolore, povertà,  alienazione e sofferenza. Si colgono gli  aspetti  più disperati della vita.  Tra queste persone esistono i “talenti delle povertà”: ci sono gli   erranti,   veri   e   propri   educatori   nel   senso   più   alto   del termine, che si accontentano di dare vita a piccole comunità di  vario  orientamento, per parlare,   incontrare,  condividere, aiutare e pregare. LA POVERTA' E' FATTA DI NULLA ED E' DAL NULLA CHE OCCORRE COMINCIARE. Dentro   di   sé   deve   partire   un   processo   di   “spoliazione”: scaricare zavorra, peso interiore e iniziare a fare comunità, tutti insieme. Al limite di questo “nulla” trovi spesso il desiderio di pregare: preghiere intense e veloci. Senza preghiera è difficile resistere al peso immenso di quella gigantesca tettoia che copre i corpi e gli spiriti. I bambini ti salutano, ti vengono incontro e si rendono conto subito delle differenze tra chi vive e sopravvive. “Vedrai  migliaia di  persone che escono dalla  bidonville  per andare   al   lavoro.   Gli   “ultimi”   che   cercano   lavoro   e   si arrangiano come possono, con dignità e compostezza ma con una grande potenzialità di violenza e di devianza”. L'industria ha bisogno delle  bidonvilles,  dalle quali attingere mano  d'opera   a  prezzi   stracciati:   a  Kibera,   infatti,   si   può vivere con “poco” e si può sussistere “di nulla”.  Nessuno può andare in affitto: lo stipendio medio è di 31 eur (3.500 scellini) e l'affitto medio di un appartamento è di circa 28 eur (3.000 scellini): quindi occorre tenersi ben stretto ai tuoi quattro pali e alle poche lamiere del tetto. La vita media è sui 50 anni e la mortalità infantile è assai alta. TBC, AIDS, malaria e infezioni intestinali sono all'ordine del giorno: sono giorni di festa quando c'è l'evento “distribuzione medicinali”;   noti   tra   la   gente   la   rassegnata   volontà   di manifestare  allegria,  desiderio  di   scherzare   e  di   stare  allo scherzo.  La distribuzione dei medicinali è un giorno significativo: ha significati collegati alla vita, alla morte, alla malatti, alle vite di chi sta nelle baraccopoli, al significato affettivo e solidale e al sacro. Di   fronte   a   questi   vissuti   siamo   solo   curiosi:   in   realtà dovremmo scendere ad indagare le caratteristiche esistenziali e culturali. La visita ai malati di AIDS Camminare tra le case è  avvertire una povertà  estrema ed insieme dignità di chi ci abita all'interno. Qualche tocco di “bello” non manca nelle case dei malati di AIDS.  Alcuni   sacerdoti   notano   una   trasformazione   rapida   , problematica ma piena di spiragli nella realtà di Kibera: la terra si può smuovere e seminare il Vangelo nelle zolle e nei solchi scavati dalla violenza: si può camminare con una meta comune. Le   donne   hanno   energie   inesauribili,   sembrano   i   semi   di qualcosa   di   buono   e   che   avverrà,   costruito   giorno   dopo giorno, come la nascita di un bimbo. Colpisce   la   storia   di   una   donna   malata   di   AIDS:   questa donna con il marito aveva costruito una casa di mattoni alla periferia di  Kibera; una sera viene derubata e violentata e prende il virus dell'AIDS; il marito la ripudia e la donna della sua   casa   una   scuola   materna   per   i   bambini   della parola ha poi quel gran valore che noi gli attribuiamo? Nelle baraccopoli è tutto ma è svuotata, non ha riferimenti concreti di miglioramento della realtà. Occorre con fatica distanziarsi dal proprio contesto e dai suoi simboli culturali. La   gente   delle   baraccopoli   non   può  ricordare   nulla:   sono campioni di oblìo (dimenticanza): pensano solo alle  tracce  e non alle  testimonianze:  non possono rigenerare un ricordo creativo, che li renderebbe liberi perché tutto scorre come è sempre penosamente stato, limitato da pali e lamiere. L'uso retorico del linguaggio (per persuadere le persone, per convertirle)   non   ha   mai   retto.   Alle   persone   povere   delle baraccopoli occorre  insegnare la verità  (portare la parola di Dio) e verità di carattere pratico, con le quali l'uomo fa i conti ogni   giorno   e   stabilisce   relazioni,   confronti,   scontri, investimenti: solo così si riesce a muovere le persone verso l'agire e la rigenerazione. La domanda poi è: persuadere per cosa? In   questi   territori   sembra   quasi   si   sia   vaccinati   a   non guardare avanti, a non cercare germogli che portino verde, vitalità   e   ripresa.   L'Occidente  è   diverso:   si   costruiscono tombe,   mausolei,   monumenti   affinché   non   si   cada   nella dimenticanza del passato (valorizzazione forte del passato); In Africa si scarica il passato, perché il passato non è di quelle persone che la abitano e neppure le cose sono loro: non si vuole conservare memoria di morte e sofferenza (rifiuto forte del passato). Il  vissuto e la tua cultura, devono essere staccati, perché   ti avvolgono quasi a proteggerti: ti fanno scorgere come degni di visita turistica la discarica (!!!) Manuel   (guida)   ha   richiamato   l'educatore   (visitatore)   alla realtà:   ha   iniziato   a   ricomporre  una   realtà   durissima,   tra ragionamenti filosofici e affettività. Considerazione   sviluppata:   “a   volte   cerchi   in   cielo   ciò   che invece   potresti   trovare   nel   comunicare   e   nel   manifestare all'altro, che ti sta accanto, ciò che hai nel cuore, per renderlo partecipe  ad  una   cosa  che   l'altro  già   possiede   in   sé   e  per giungere ad una condivisione”. In questi luoghi Religione e Fede scrivono le pagine più belle: in tali luoghi una parola in più può essere di troppo e allora serve  una parola  che riesca rilanciare la speranza di talenti nascosti. Più ti fermi nella baraccopoli più noti  le potenzialità  di una umanità   dolente   e   rassegnata:   oltre   la   “discarica   umana” l'uomo   in   parte   risorge:  cerca   compagni,   crea   cooperative, progetta  la raccolta differenziata, si  unisce agli  altri  per far fronte comune agli sfruttatori. Sviluppo di  un pensiero bellissimo che separa  la “povertà” dalla “miseria”: – la  povertà  è  una condizione,  uno strumento al   fine del processo   che   conduce   noi   stessi   e   gli   altri   ad   essere sempre più uomini (“uomo diventa sempre più uomo”): il povero   è   un   soggetto   attivo   e   rivoluzionario   perché rinuncia  o   si   costruisce  un   cammino  per   rigenerare   sé stesso e gli altri (Gesù stesso, Socrate, Gandhi, Confucio) cioè   povertà   come   benedizione;   Papa   Francesco:   “la povertà di Gesù ci libera e ci rende ricchi”; – la  miseria   è   invece   esito  di   ingiustizia   e   egoismo,   che segna indigenza e fame, che genera i conflitti: “la miseria comincia   laddove   regna   la   vergogna”;   nella   miseria   i diritti dell'uomo sono violati. Papa Francesco: “la miseria è   la   poverta   senza   fiducia,   senza   solidarietà,   senza speranza: la miseria ha 3 aspetti: materiale (condizione non degna alla persona umana), morale (schiavi del vizio e del peccato), spirituale (allontamente da Dio).  Finalmente   ero   passato   al   salutare   passaggio   dello straniamento:  urgenza   di   presenze   significative   e   di condivisione   per   ridurre   le   distanze   tra     mondi   culturali distanti. Posizione di Manuel: “Qui nulla cambia. Io esule in questo mondo, vedo che tutto mi è straniero. Mi sento solo in quello che sto dicendo. Le parole danno vita ad un mondo simbolico nel quale non ho collocazione”. Posizione di Vico: “In questa realtà c'è presenza viva di tante persone e di tante piccole comunità cristiane che partono dai problemi  quotidiani  per  meditare  sul  Vangelo  e  dare  vita  a tanta   rigenerazione.  Occorre   cogliere  la   rigenerazione invisibile: le diverse esperienze di vita  fan sì che le baracche non   saranno   sempre   le   stesse   baracche,   la   violenza   non sempre la stessa: le distanze tra ricchi e poveri verrà colmato da  un cammino di restaurazione delle coscienze sia a livello etico che religioso”.  Korogocho è spettacolo raro, di grande intensità emotiva e di alto contenuto culturale: un regista potrebbe avere un luogo ove poter girare un dramma o una commedia.  Qui si  può ambientare qualsiasi aspetto della vita: della vita di uomini e divinità.   Il   ruolo  più   difficile  è   a  chi  attribuire   il   ruolo  di Cristo. Il regista non dovrebbe perdere l'unità del tutto: Corogocho è un sistema vitale di mondi che cercano di armonizzarsi, non nel conflitto mortale tra valore e disvalore, vita e morte, tra chi vuole   innovare   e   chi   non   vuole   mutamenti  (un   ragazzo Serve un  impegno di  piccoli  gruppi  di  educatori  che siano disponibili a condividere la vita di tali ragazzi di strada. Ciò comporta:   preparazione,   tirocinio   e  competenza   sugli interventi formali.  Questi ultimi sono anche imprevedibilità, disponibilità ad attendere risultati a lungo termine, esercizio alla   frustrazione   per   non   essere   ascoltati,   attitudine all'impegno quotidiano e progetti da realizzare.  Alcune   idee­guida   per   un   intervento   educativo   sul   piano teorico e pratico: a)  considerazione controcorrente del problema dei ragazzi di strada  come   realtà   variegata,   complessa   e   ricca   di potenzialità   per   lo   sviluppo   culturale   e   sociale   di   un quartiere, strada, periferia; b)   considerare  le   diverse   strategie   educative   come   un “sistema”; c)  elaborazione di progetti mirati e coinvolgenti diverse forze sociali  (famiglie,   parenti,   volontari,   operatori   socio­psico­ pedagogici) che diventi “sistema”, che veda il fenomeno come una   “nuova   realtà”:   servono   idee   sul   piano   antropologico, filosofico   e   teologico;   ricordandosi   che   tali   ragazzi   lo diventano per una morte immanente di qualcuno; d) interpretazione della realtà a favore di una “pedagogia del servizio”  che   sia   un   elemento   innovativo   e   creativo   nel sistema   educativo   frammentato:  i   “sopravvisuti   senza famiglia” protagonisti di una nuova costruzione di sistemi di vita, in strada e fuori dalla strada; e)  valorizzazione   delle   esperienze   attuali   con   i   ragazzi   di strada nei loro sistemi reali e simbolici: prendersi cura di loro educativamente e politicamente, senza eccessive speranze di entrare nel desiderio di “erranza” di ognuno di loro; f)  collaborazione   con   la   classe   politica   locale   e   con organizzazione   umanitarie  internazionali   per   ottenere condivisione   di   nuovi   ideali   e   i   necessari   finanziamenti, evitando i tanti rischi di esclusione del solo aiuto umanitario; g)  identificazione   di   strategie   educative   diversificate, trasversali,  per  far rivivere il  “valore famiglia” attraverso  la formazione   culturale   e   l'esperienza   delle   piccole   comunità quali   la “casa famiglia”,  che reimpostano spiritualmente  la famiglia; h) valorizzazione ed interpretazione della pedagogia itinerante ,   come   strategia   da   privilegiare   per   rompere   da   blocchi mentali   e   metodologici   accademici:   la   dimensione   umana dell'errante,   è  connessa   con   la  pedagogia   itinerante  ed   è indicata  per   fenomeni   di   bisogno   educativo   di  massa   ove occorre creare una rete di piccole comunità sia per elaborare la   realtà,   sia   per   promuovere   eventi   educativi   dove promuovere  i  vissuti  dei  senza famiglia e   il  desiderio  della famiglia come “profezia”. Questo   è   solo   il   punto   di   partenza:   “un   progetto”   può rimanere tale per anni perché  nessuno pensa ad adeguarlo alla   realtà  e   ad   inserirvi   altre   variabili:   gli   educatori andrebbero formati in tale prospettiva. L'errore comune è che i   ragazzi   di   strada   possano   essere   educati   tramite   buona volontà e carica emotiva. La gente deve studiare, farsi le ossa attraverso esperienza in questa ed altre realtà.  Un educatore  per promuovere educazione  deve leggere libri, riflettere   libri,   riflettere   sulla   vita   degli   altri   oltre   che   sulla propria  e   non   cercare   di   sostituirsi   alla   realtà:  non   da rimuovere   ma   da   accogliere,   interpretarla   per   inserirvi qualche elemento innovativo. L'erranza e la pedagogia itinerante  è un concetto bellissimo: bisogna viaggiare, incontrare, stabilire punti di riferimento, cercare   e   trovare   vocazioni   educative   soprattutto   tra   i giovani.  Non   bisogna   chiudersi,   ma   coltivare  “i   fiori”  (i   giovani   di strada), dando loro un nome e un compito: il vero e il bello possono consentire di fare miracoli. Ma i fiori necessitano di servizio: di acqua, concime, aria e di menti, cuore e mani che non stiano a lesinare sul tempo da dedicare loro. A volte  come educatori  si  diventa  evasivi:  vedendo giovani talenti  ci  si  accontenta di  un piccolo  miglioramento senza farli   fruttare   completamente   per   una   promozione   al cambiamento e allo sviluppo. L'educazione è in sintesi, evento personale, profondo, intimo, proprio di quella persona e non di altre.  D'Agostino   annota   che:   “L'Occidente   ha   saputo   con precisione porsi la domanda ontologica: che cos'è l'essere e la domanda antropologica: che cos'è l'uomo; ma non ha ancora saputo porsi la domanda essenziale, la domanda relazionale: chi sei tu. L'educatore si deve allontanare da una visione “poetica” della povertà,   del   dolore,   della  morte   e   della   speranza:   occorre cogliere  l'umanità  ridotta della donna e del  bambino come nostalgia di altro, desiderio di presenza di una cosa assente, ricostruzione di un umanesimo all'interno della famiglia.  La   povertà   antropologica  dell'Africa   ha   come   causa   lo svuotamento dell'uomo africano in termini di sostanza e di attributi. La fuga e la scelta dell'umanità di strada non sono una scelta ma l'unica scelta per non morire realmente e simbolicamente: 6. Un grande fervore di sentimenti Chi   parte   per   una   esperienza   in   questi   luoghi   deve   aver prima gettato “un ponte ideale” tra sé e gli altri, tra il suo piccolo mondo e il posto dell'Africa in cui andrà. In Kenia: • su 1000 bambini, 120 non raggiungono i 5 anni; • 30 anni fa nascevano 9 bimbi per donna, ora 5; • ogni giorno muoiono 700 persone di AIDS; • il 60% della popolazione della Capitale, Nairobi ha un  lavoro informale, dominata dalla logica della sussistenza (dell'avere cibo – molti sono impiegati nei taxi e pulmini  di vario genere chiamati Matatu); • lo stipendio medio di un impiegato ripaga sì e no un  affitto in un alloggio scarso; I nuclei familiari più poveri sono costituiti da  madri sole:  i figli nati da convivenze fuori dal matrimonio, per una legge del  1969,  sono  illegittimi  e  non hanno diritto  al  supporto economico del padre: chiaro è che tali nuclei tagliano sulle spese   d'affitto,   spostandosi   nei   quartieri   più   poveri   (le baraccopoli   hanno   per   un   80%   madri   sole),   rinunciano all'istruzione e generano i bambini di strada. “Ragazzi di strada”: a cosa dare la priorità alla “strada” o a “ragazzi”? Ad entrambe facendo due precisazioni: La   “strada”   è   una   parola   capace   di   suscitare   profonde suggestioni: è cammino, percorso, itinerario (Fellini girò un film   intitolato   “la   strada”).   L'accezione   di   strada   che   ci interessa   a   noi   è  microcosmo,   scenario   in   cui   persone trascorrono parzialmente o totalmente la loro vita. Il   sistema   “vita  nella   strada”   è   un   continuo   susseguirsi   di presenze­assenze,   appartenenza­esclusione,   sopravvivenza­ sviluppo: è un sistema vivo. La strada da un sistema di valori e modelli di comportamento orientati  alla  sopravvivenza,  alla  capacità  di   competere  per procurarsi  risorse, alla padronanza di  sé  stessi  per contare giorno e notte solo sulle proprie risorse. Per quanto riguarda “i  ragazzi”  sono soggetti   intelligenti,  di spirito di indipendenza e di capacità decisionali, abili a vivere nella “strada”, sistema sociale con regole ben precise. Non sono soggetti reietti per la società. Da ricerche effettuate sono  bene organizzati, in possesso di una matura capacità decisionale e capaci di trarre profitto da situazioni difficilissime. Sono “attori sociali” e creano un bilanciamento tra valori della comunità di riferimento e le necessità di ogni giorno. Due esempi: • Padre C.Piazza  (oggi  ministro contro  la disuguaglianza sociale   dello   Stato   di   Bahia   in   Brasile)   ha   reso imprenditori  (apicoltori,  allevatori,  pescatori)   i  meninos de   rua  (bambini   di   strada),   con   un   contributo   per acquistare un attrezzo da lavoro; • Don Bosco usare amorevolezza, ragione e religione.  Ruolo dell'educatore: lasciamo ai bambini di strada la scelta e andiamo   a   vivere   con   loro   e   lentamente,   se   necessario, allontaniamoci dalla strada, se troviamo qualcosa di meglio. Shorter: tutti i bambini di strada appartengono a delle bande perché appena giunto in strada, il bambino cerca un gruppo con il quale condividere le difficoltà della vita e l'avventura quotidiana. L'entrata nel gruppo significa: • trovare risposte ai bisogni relazionali dell'uomo (identità, affiliazione, valori, di autostima); • assicura la stessa sopravvivenza; • assicura protezione grazie ai legami che si creano; • garantisce un certo  guadagno:  una minima razione di cibo   quotidiano   e   meccanismi   di   difesa   tra   i   propri membri; • è  un sostituto   fondamentale  della  famiglia  perché  nel gruppo c'è solidarietà; • c'è  condivisione di tutto: cibo, vestiti, spazio, spaccio di droga e alcoolici; • percepirsi  socialmente attivi  e partecipi di un'avventura che umilia o che rende felici. Le bande di Nairobi (capitale Kenia) sono così suddivise: •   7­12 anni; • 14­18 anni; • 18­22 anni. Per entrare in una banda serve un rito di iniziazione: • per i ragazzi: prova di forza o di abilità; • per le ragazze: un abuso sessuale. La vita dei bambini di strada avviene in spazi chiamati basi, consistenti in ripari di plastica o di fortuna e situati in vicoli o zone nascoste della città.  Per   sopravvivere   i   ragazzi   svolgono   attività   lavorative (elemosina,   trasporto   merci,   furti,   accattonaggio, carico/scarico ai mercati, raccolta di materiale riciclabile).  Il ragazzo di strada, per Shorter: • è un lavoratore perché è l'unico responsabile della propria vita   e   perché   il   lavoro   per   strada   è   finalizzato   alla sussistenza. Per lui, non esistono altri tipi di esistenza. La loro vita psicosessuale è attiva per ragioni: ragazzo per la ragazza: da queste ragazze nasceranno tanti Childrens for the Streets. I ragazzi di strada sono segni di una umanità che non riesce a passare dalla sussistenza allo sviluppo.  L'educatore   deve   dare   ogni   giorno   gocce   di   speranza, amicizia,  apertura per nuove possibilità,  di  dialogo per  far capire  che  un millimetro  al   giorno   la   tua  situazione  nella baraccopoli può migliorare. Esistono due tipologie di scelte per la strada: a)  Push­Factors:  fattori che spingono i bambini sulle strade sono   la   povertà,   la   violenza,   le   famiglie   disgregate,   la scomparsa di uno o di entrambi i genitori; b)  Pull­Factors:  fattori   quali   il   bisogno   di   autonomia,   il guadagno,   il   gruppo,   percepirsi   “liberi”,   le   amicizie,   la compensazione affettiva. Inoltre   i   bambini   di   strada   (guardandoli   con   accezione positiva): a) non sono sempre abbandonati, ma mantengono relazioni con la famiglia di origine; b) possono non andare alla ricerca di avventure per sfuggire ai vincoli sociali; c) non sono necessariamente deliquenti e dediti alle droghe; d) quando rubano, spesso lo fanno per mangiare; e) sono “schiavi” della fame e in strada trovano ciò che non hanno in famiglia; f)   non   scelgono   la   strada  per   capriccio   (per  non   lavorare, impegnarsi o studiare) ma per sfuggire al degrado economico, affettivo e morale della famiglia. Vivono nell'   “informale”  e quando hanno un'opportunità  di istruzione ed educazione dimostrano grandi competenze. Altra distinzione è: a) bambini sulla strada: soggetti che in genere tornano a casa la sera; b)  bambini   di   strada:  minori   che   vivono  nella   strada   con continuità e senza più rapporti con la famiglia o con rapporti molto   saltuari   (sono   i   più   difficili   da   indurre   verso   altre realtà).  Sul   piano   educativo   occorre   NON   trattare   questi   bambini come persone senza futuro, senza speranza e senza sbocchi, come “oggetti  di carità”:   la pazienza conduce sempre a dei recuperi straordinari.  Come educatore se non conosci e se non finisci per amare la strada che essi amano, non riuscirai a fare breccia: poi devi insistere,   pazientemente   e   cogliere   il   momento   in   cui   il ragazzo coglie una sorta di “illuminazione” e incominciano ad ascoltarti   anche   se   non   ti   parlano,   anche   se   il   conflitto educativo diventa più forte.  L'amore progettuale (per un progetto di vita) arriva alla linfa dei   bisogni   e   dei   desideri   attraverso   l'azione   di   singole persone o ancor più di comunità. Perché la strada per anni lascia il cuore vuoto, non porta ad approdi concreti.  8 Quando cambieranno le cose? L'autore cita Albert Camus nel suo capolavoro “La peste”: il futuro sarà quello dell'uomo, malgrado la realtà della peste (metafora della povertà/violenza dei bambini di strada), che da vita a relazioni umane al limite continuo tra solidarietà ed egoismo? La sensazione che ha, come ne “La peste” è quella di essere “solo nella notte, e di non trovare la cosa originale”. Occorre presentarsi ai ragazzi di strada con qualche proposta concreta:   la   strada   è   possibilità   di   iniziativa,   di   qualche guadagno,   di   vita   di   gruppo,   promiscuità,   di   difesa   dalla violenza e dall'abbandono familiare: occorre educare tenendo conto   del   loro   vissuto.   Occorre  ridimensionare   le   pretese educative proponendo progetti concreti e non utopie. La strada è l'opportunità di educazione informale per vivere eventi con “valore universale”, diversi o simili a quelli che si vivono in famiglia o in altre comunità. La cultura dei  ragazzi di strada deve essere più  creativa  e meno orientata a commiserare i ragazzi. A   livello   educativo  occorre   interpretare   la   storia   di   questi ragazzi e non farne la cronaca, per non ricadere in un grave errore. 9. Fame di pane e fame di “patria” Occorre   una   forte   e   nuova   elaborazione   dell'erranza educativa. Occorre ripensare agli  orizzonti  di  senso,  lo  spirito  con cui disporsi all'opera educativa, gli stili del convivere di miserie e speranze e  condividere  valori  con persone e  situazioni  che hanno nostalgia di qualcosa che duri nel tempo.  Futuro significa, aumento della vita urbana, significa che si aggraverà   il  problema dei bambini di strada, anche perché nel   frattempo   i   genitori   moriranno   malati   di   AIDS: “Mondodomani”  dice   che   a   causa   di   AIDS,   guerra,   e disoccupazione i bambini di strada aumenteranno. guarigione  della  memoria,  ammettendo  tutti  gli   errori  e  gli sbagli, come fece quel papa nel 2000.  Occorrerà  errare  di scuola a scuola, da uomo a uomo, da strada a strada per  edificare  una convivenza rispettosa  di identità e di memoria.  Il  perdono,  per  evitare  che sia  un mero  riconoscimento  di danni   arrecati,   deve   essere   accompagnato   da   l'etica   della responsabilità  e  dalla  pratica   del   dono   (affermazione  della libertà attraverso la dipendenza – nella famiglia, ad esempio c'è   un   valore   di   riconoscimento   solo   nel   dono   che   si   può sperimentare).  Occorre   ritornare   a   quell'essenziale  che   noi   abbiamo   in comune con tutti gli uomini: la spiritualità e la razionalità.  L'esperienza   del   dono  diventa   così  relazione,   reciprocità, sentirsi come oggetto di un dono benevolo in quanto persona, in quanto integralità, in quanto tutto e non frammento.  RIASSUNTO DEL LIBRO L'erranza   è   una   connotazione   peculiare   dell'umano   e dell'educabilità della persona:  • erranza  è  un  vagabondare,  un   ricercare  qualcosa  che non si può trovare, girare in maniera serpeggiante; • erranza è allontanarsi dal bello e dal vero, in maniera errata e inadeguata: quindi come corollario allontanarsi da un sano rapporto con  le  istituzioni ed  incorrere  in forme di devianza (i bambini di strada); • erranza è anche segno di paura e titubanza a sbagliare, e di persistere nell'errore; • erranza   come   opportunità   di   donarsi,   completamente incentrata sul dono (tra il donare e il prendere ­ l'errore più comune è dare amore “puramente espressivo” senza ascolto, non fornendo delle risposte progettuali a chi ne ha bisogno); • erranza come testimonianza alta e profonda (portare alla luce   e   ad   espandersi   i   talenti   e   le   bellezze   dell'altro, sviluppare una pazienza educativa, valorizzare l'identità di ciascuna persona e renderla così unica – solidarietà, passione e pazienza educativa). La persona è il fine ultimo, lo scopo dell'erranza.  L'educazione è  avere  cura di  sé,  dell'altro,  delle   istituzioni (Ricoeur): l'essere privato (sé), l'essere pubblico (le istituzioni) e l'essere condiviso (l'altro).  L'erranza è avvicinata alla condizione dei bambini di strada, che è destinata ad aggravarsi in Africa, ove vige la povertà atropologica  (povertà   di   mezzi   materiali   e   spirituale):   ove esistono  povertà   visibili  (legate   ai  mezzi   di   sussistenza,  al mangiare) e invisibili (quelle morali, quelle dello spirito, quelle motivazionali, quelle del cuore). In   tal  senso  l'uomo è  “nato  vinto”  cioè   viaggia   in  maniera inerziale tra povertà  e violenze: è  nato, ma già  di per sé  è stato   sconfitto:   tutto   questo   ha   il   sapore   amaro dell'abbandono e della morte.  Ma l'autore non cade nel discorso retorico, rifuggendo da una pedagogia povera di senso: elabora  progetti   in un orizzonte spirituale   attento   sia   alla   memoria  (da   guarire   e   da promuovere – occorre per gli educatori un pensiero nomade e non stanziale che permei la cultura dell'altro e ne conosca i contenuti,   i  simboli,   i  significati),  sia alla  quotidianità  (con eventi ed azioni concrete da attuare nel concreto, soprattutto con case famiglia/piccole comunità/gruppi: educazione come eventi contro lo smarrimento e lo spaesamento quali le meta­ relazioni  e   le   comunità,   convinto  che  l'amore  da  solo  non basti).  L'amore in tal senso è visto come “spostare il proprio centro da sé stessi verso l'altro”.  Occorre   una  pedagogia   itinerante   (oltreché   un   pensiero nomade): il maestro (magister) deve scendere dal trampolo e trasformarsi   in   ministro   (minister),   immergersi   totalmente nella realtà del ragazzo e vivere con lui l'informale, che non deve mai scontrasi con il formale. 
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