Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Controllo Sociale e Devianza: Processi Sociali e Stratificazione Sociale, Dispense di Sociologia

Il concetto di controllo sociale e la devianza sociale, esplorando i meccanismi di auto-conservazione sociale e la complessità della realtà sociale come espressione di processi sociali. Anche le origini del pensiero sociologico e la teoria del mutamento sociale, introducendo i concetti di micro, meso e macro livelli di analisi sociale. Vengono presentate le teorie di comte, spencer e la divisione del lavoro sociale, in relazione alla sociologia moderna e alla divisione tra fatti sociali e fatti economici, politici, giuridici e fisici.

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 06/03/2024

elena-sanna-8
elena-sanna-8 🇮🇹

3 documenti

1 / 131

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Controllo Sociale e Devianza: Processi Sociali e Stratificazione Sociale e più Dispense in PDF di Sociologia solo su Docsity! SOCIOLOGIA Quali sono i concetti fondamentali della sociologia? Sociologia significa “ragionamento sul sociale”. La sociologia è una scienza sociale perché oltre a fare delle diagnosi si preoccupa anche di prevedere certi corsi di azione e processi. Vi é lo studio della società che è suscettibile di varie declinazioni in base all’epoca, ai cambiamenti. La società non fionda immediatamente sulla terra ma si enuclea da qualcosa che esiste prima dall’essere sociale. La società si enuclea a partire dalla natura; è qualcosa che nasce e ritrova la propria ragion d’essere nella natura. La società è qualcosa di diverso dalla natura e dalla cultura ma al tempo stesso non può prescindere mai completamente da esse; occorre che vi siano rapporti strettamente interconnessi. La società è composta dalle persone, esseri umani, individui, soggetti, attori. L’essere umano è una categoria antropologica, che lasciamo alla scienza, in quanto è importante il concetto di persona sociale, individui, soggetti, attori. Questi occupano lo spazio che non è solo territoriale ma anche sociale e simbolico. Ognuno di noi inserito in una società non solo nel senso fisico e territoriale del termine ma anche nel senso sociale e simbolico; cioè è inserito all’interno della stratificazione sociale e politica che gli permette di esprimere un determinato status, svolgere un determinato ruolo, prendere una posizione, essere parte o meno di una determinata classe sociale. Tutti questi aspetti danno il senso della stratificazione sociale e politica e della nostra appartenenza ad uno spazio sociale. Tutti questi elementi rimandano quindi a qualcosa di strutturale che determina le vite, fermo restando che però all’interno di questo spazio c’è anche la possibilità della mobilità sociale che è conseguenza dell’esistenza dell’azione sociale che comprende relazioni e interazioni sociali. L’interazione di questi elementi da luogo ai processi sociali. Processo sociale dell’antonomasia= permette a tutte le società di rimanere in vita. Gli esseri umani entrano nella società e la mantengono in vita. Questo processo di inserimento degli individui nell’ambito della società e di mantenimento in vita si chiama processo di socializzazione. 1950= l’uomo dell’organizzazione. Si definiva l’essere umano come l’essere dell’organizzazione. La nostra vita avviene tutta all’interno dell’organizzazione. Posto che la società è fatta da una serie di individui, che differenza ci può essere tra insiemi di individui molto diversi tra loro? Per insiemi di individui intendiamo: la categoria sociale, l’aggregato, le caste, il ceto, il gruppo. Questi agiscono sulla base del volontarismo ma all’interno di una cornice di riferimento chiamata valori, modelli di comportamento, istituzioni. Questo implica dei meccanismi di controllo sociale necessari come misure di verifica. Tuttavia nessuna società potrà esistere senza forme di consenso molto importante non solo nell’ambito delle più altisonanti democrazie ma anche nell’ambito dei regimi più autoritari e totalitari. È necessaria anche la devianza, che può essere molto importate nella misura in cui diventi fonte non solo di mutamento sociale ma anche di progresso. Concetti molto importanti sono anche l’integrazione sociale e il conflitto. La società è espressione, attraverso tutto questo, di equilibrio. Per teoria si intende formulazione di principi generali relativi ad una determinata scienza; ogni teoria ci fa penetrare nella realtà in modo diverso. Per quanto riguarda le teorie nella sociologia, si sono edificate nel corso del tempo ed in modo diverso. Origini del pensiero sociologico (1850) Positivismo (matrice delle società moderne e occidentali) 1 Karl Marx, Marxismo, Materialismo storico Émile Durkheim G. Simmel M. Weber Individualismo metodologico, sociologia comprendente Abbiamo alcune scuole: Francoforte, Chicago, Elitista, Vienna. Abbiamo la sociologia della vita quotidiana, struttural funzionalismo, sociologia contemporanea. Si tratta di autori che partono dallo studio di fenomeni banali e riescono a capire quale società vi sia. Esempio= Bere una tazzina di caffè. Cosa possiamo capire vedendo qualcuno bere un caffè? La prima cosa che viene in mente è che spesso il caffè è al centro di una routine personale, per molti rappresenta il primo passo fondamentale per affrontare il giorno. Anche nella nostra società come in tutte, bere e mangiare rappresentano delle occasioni di interazione sociale e intrattenimento. Chiunque volesse cogliere il senso di questo gesto, anche senza essere sociologo, non potrebbe esimersi dal riscontrare che il caffè ha un valore simbolico nel quadro dei riti sociali quotidiani. Il caffè non è semplicemente una bevanda piuttosto possiede un valore simbolico per sé e per gli altri. Può far capire le caratteristiche di una determinata società. Il caffè altera il normale funzionamento dell’organismo ed è considerata come droga socialmente accettabile. Possiamo così comprendere le differenze culturali, le relazioni socio-economiche, lo sviluppo storico-sociale, gli stili di vita. Sapere sociale= il sapere di tutti noi; le aspettative Sapere sociologico Le differenze riguardano i limiti del sapere sociale che il sapere sociologico tenta di superare. Ciò non significa che il sapere sociologico non ha limiti e fornisce una certezza assoluta su qualsiasi fenomeno; ma fornirà delle certezze ragionevoli e non assolute. La conoscenza da parte de sapere sociologico è maggiore nei termini di affidabilità, oggettività e universalità. La sociologia sa che ogni conoscenza è condizionata dal punto di vista del soggetto osservante e questa consapevolezza aiuta la sociologia a considerare ogni punto di vista che viene considerato su un determinato fenomeno e che è condizionato. Il buon sociologo sa che il passato pesa sul presente e sa che la dimensione storica non può essere mai trascurata nello studio dei fenomeni sociali. Dunque sapere sociale e sociologico si occupano dello stesso studio ma mentre quello sociale deriva dall’esperienza, quello sociologico ha un metodo più formale che cerca di superare i limiti della sola esperienza. Limiti del sapere sociale - È inestricabilmente legato alla nostra esperienza diretta o indiretta del mondo sociale che abbiamo di fronte. - È strettamente connesso alla posizione che abbiamo nello spazio sociale. Il nostro sguardo è condizionato dal ruolo, interessi in gioco, identità che intendiamo portare avanti. È vincolata alla posizione che il soggetto che vive questa esperienza possiede. - È inevitabilmente schiacciato sul presente; il tempo. 2 - Teoria del Controllo sociale= si basa su una concezione più pessimistica della natura umana. La natura umana non viene considerata morale, ma come moralmente debole se non addirittura immorale o amorale. Poiché l’uomo naturalmente è più portato a non rispettare le norme, ciò che occorre spiegare non è la devianza ma la conformità. La moralità o meno dell’uomo non è stabilita, ma è interpretabile. Se le persone non commettono reati sono frenati dal controllo. Le forme del controllo sociale sono: Controlli interni= propri della persona e possono essere di tipo diretto (si manifestano con vergogna, imbarazzo) e indiretto (hanno a che fare con l’attaccamento psicologico e motivo che viene sentito nei confronti degli altri e soprattutto nei confronti dell’”altro significativo” come genitore, fidanzato, caro amico; la paura di perdere l’altro). Controlli esterni= varie forme di sorveglianza, Camere Senato, presenza del vigile, docente che passa per i banchi. Il sociologo Hirschi afferma che una persona compie un reato quando il vincolo che lo collega con la società è molto debole. I vincoli possono essere: attaccamento ai genitori o agli insegnati; impegno nel perseguimento di obiettivi convenzionali (successo scolastico, affermazione professionale, reputazione sociale); coinvolgimento nelle attività convenzionali; credenze. - Teoria della Subcultura= la devianza come la conformità si apprendono dall’ambiente in cui si vive. Se una persona commette un reato non è perché c’è tensione tra struttura sociale e culturale né perché le forme e le fonti non funzionano adeguatamente ma se una persona commette un reato è perché si è formata in una subcultura criminale e deviante ed in quanto tale ha valori e norme differenti rispetto alla società più ampia che vengono trasmesse di generazione in generazione. 1929 due studiosi americani della Scuola di Chicago (fondata da Robert Park). Dividendo in 5 cerchi concentrici la città, calcolato il tasso di delinquenza; rapporto fra il numero di auto di reati residenti in quella determinata aerea e il totale della popolazione. Il tasso di delinquenza diminuiva man mano che ci si allontanava dal centro della città, abitato per lo più da immigrati. Tutti gli anni facevano la stessa ricerca, scoprendo che le differenze nel tasso di delinquenza tra i quartieri erano rimasti immutati nonostante che la popolazione e la composizione per gruppi etnici fosse cambiata. Ciò che gli autori vogliono dire è che il comportamento deviante non è né ereditario, si tramanda fisicamente tra padre e figlio né semplicemente inventato, ma piuttosto il comportamento deviante è appreso attraverso la comunicazione con altre persone e quindi la condivisione di una determinata cultura. Questo processo di apprendimento avviene di solito all’interno di piccoli gruppi. - Teoria dell’Etichettamento= tutte le teorie che abbiamo finora elencato concentrano la loro attenzione sul comportamento deviante o più in generale su tutti quei comportamenti che si discostano dalla nostra e che per varie cause danno luogo a dei comportamenti devianti. 5 Del tutto diversa è questa teoria. Secondo i suoi sostenitori per capire la devianza non dobbiamo concentrare l’attenzione sul comportamento deviante ma sulle norme ed in particolare sulla creazione e applicazione delle norme da parte del sistema legislativo e del sistema giudiziario. Le Meur affermò che il reato e in più in generale la devianza, altro non sono che il prodotto dell’interazione tra coloro che creano e che fanno applicare le norme e coloro che invece le infrangono. I gruppi sociali in realtà creano la devianza nel momento in cui stabiliscono le regole la cui infrazione costituisce la devianza e dunque nel momento in cui applicano queste regole a persone particolari che nomineranno come outsider. La devianza esiste perché esiste la regola che ci dice che quel comportamento è vietato. Verrebbe da pensare che alcuni comportamenti sono devianti in sé (omicidio, studio). Ci stiamo immettendo nella concezione relativistica della devianza, che vanta origini molto antiche. In realtà non esistono comportamenti devianti in sé, ma che diventano tali nel momento in cui quella società pone la regola. Vi sono stati popoli, ma ve ne sono tutt’ora, come eschimesi nei quali l’infanticidio così come l’uccisore di un genitore anziano non solo erano ammessi, ma addirittura erano talmente condivisi che spesso erano gli stessi anziani ad insistere ad essere uccisi. Ciò era possibile perché culturalmente il gruppo era molto più importante dell’individuo singolo. Dunque poiché questi gruppi dovevano spostarsi molto, anziani e bambini erano quelli che maggiormente potevano compromettere la resistenza del gruppo. Allora si consideravano atti normali e non devianti ma conformi alla realtà e all’interesse del gruppo a mantenersi in piedi. Il comportamento non è mai deviante in sé intrinsecamente ma i comportamenti dipendono dall’epoca, dalla situazione, dal contesto sociale di riferimento. Un comportamento considerato deviante in un paese può essere accettato o non deviante in un altro. È anche vero che quasi in tutte le società alcuni comportamenti sono riconosciuti come devianti (incesto, furto, stupro della donna, omicidio). Questa concezione è stata ripresa anche dai teorici del positivismo giuridico che riconobbero che non esistono comportamenti devianti in sé, ma solo atti che sono proibiti ovvero illeciti perché proibiti. Durkheim ci spiega questa teoria quando dice che la devianza è una qualità che deriva dalle risposte, cioè dalle definizioni, significati che a certi comportamenti vengono attribuiti. 1893 disse: “Non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale ma che è criminale perché urta la coscienza comune. Non lo biasimiamo perché è un reato, ma è un reato perché lo biasimiamo”. Devianza primaria= violazione delle norme considerata come marginale. Devianza secondaria= riceve una vera e propria condanna. - Teoria della Scelta razionale= ci sono dei teorici che ritengono che la stragrande maggioranza dei nostri comportamenti possano essere spiegati facendo riferimento alla razionalità. Supponendo che noi tutti siamo attori principalmente razionali, allora i sostenitori di questa teoria considerano i reati non come il risultato di influenze esterne, ma semplicemente di una azione intenzionale adottata attivamente dagli individui. In quanto esseri razionali gli individui agiscono seguendo i propri interessi, ricercando il piacere e fuggendo dal dolore. Saranno dunque liberi se decidere di violare o meno una norma. I devianti non sono affatto diversi dagli altri, persone malvagie o patologiche, ma assolutamente normali perché come scrive il criminologo giapponese Tsutomi, i motivi che possono portare ad una attività illecita sono gli 6 stessi che possono spingere ad una attività lecita che sono la ricerca del guadagno, del potere, del prestigio, del piacere. La devianza non dipende da influenze esterne ma dalla volontà dell’individuo. La Conoscenza Sociologica Introduzione: società e sociologia La società, oggetto della conoscenza sociologica, è la sintesi di esperienze varie e complesse. Il modello di società è costituito da una rete relativamente certa e determinata di comportamenti e aspettative di comportamento che ha una corrispondenza molto sommaria con la vita reale. Seguendo questa linea costruiamo la sociologia non sulla nostra esperienza e realtà sociale, ma sulla sintesi di esperienza costruita dai punti di vista, sensazioni ed esperienze che si svolgono intorno a noi. Si preclude così ogni possibilità di ricerca scientifica perché noi stessi abbiamo costruito l’oggetto società, di nostro gradimento e adatta alla nostra visione del mondo ancor prima di arrivare ad una organizzazione di concetti. Il concetto di società è difficile da afferrare per varie ragioni, soprattutto per la spaccatura che si può creare tra il concetto di società che abbiamo in mente e la realtà sociale. Tra concetto e realtà non sempre esiste corrispondenza perché spesso il concetto non riflette pienamente quella che Machiavelli avrebbe definito la “realtà effettuale delle cose”. Il concetto di società riflette un modello di società che ci è piaciuto costruire. Si tratta di astrazioni, generalizzazioni, sintesi che noi andiamo a costruire a partire da un determinato punto di vista quale può essere la lettura della realtà. Nessuna conoscenza sarà mai dotata di concetti che riflettano completamente la realtà. Per evitare il più possibile questa spaccatura che inevitabilmente porta a delle generalizzazioni si propone di studiare la realtà sociale come espressione di processi sociali. Nel momento in cui utilizziamo lo strumento concettuale del processo sociale siamo maggiormente attrezzati nel cogliere la complessità senza troppi rischi di generalizzazione poiché potremmo dire che la società è attraversata da diversi processi sociali, senza una lettura univoca. La sociologia può definirsi in base all’oggetto cui fa riferimento; Altra difficoltà risiede nell’oggetto di studio. La sociologia può avere tanti oggetti di studio quanti sono i fenomeni sociali. I quattro oggetti di studio principali: azioni e comportamenti, strutture e funzioni, interazioni e relazioni, rappresentazioni e ideologie. Ognuno di questi può essere oggetto di analisi dei fenomeni sociali tramite: livello micro (individuo), livello meso (società organizzata), livello macro (grande configurazione sociale). Elemento importante è la posizione che assume l’osservatore. L’osservatore è partecipe direttamente delle relazioni sociali che studia e del mutamento di cui è figlio. Ciò gli permette di cogliere questi fenomeni e di evidenziarne le caratteristiche ponendolo di fronte ad aspetti in una posizione conoscitiva ottimale. La variabilità dell’oggetto e la posizione dell’osservatore potrebbero far pensare che in fondo la sociologia si riduca ad un metodo. Simmel affermò che la sociologia non contiene alcun oggetto che non venga già trattato in qualcuna delle scienze esistenti, ma solo una nuova via che tutte debbono percorrere, un metodo di scienza che per la sua applicabilità alla totalità dei problemi non costituisce una scienza per se stessa. 7 La sociologia ma anche le altre scienze sociali sono determinate dal rapporto che si viene a creare in termini di avvicinamento e distacco con le scienze naturali. Tutto ha avuto inizio dalla nascita della filosofia, poi si sono distaccate fino alle scienze naturali, e si sono nucleare nel tempo le scienze sociali. Quando questo è accaduto, le scienze sociali si sono messe in testa che dovevano imitare le scienze naturali, procedere metodologicamente ed epistemologicamente allo stesso modo. In questo senso è stata seguita per un certo tempo una certa strada fino ad accorgersi che il parallelismo o il processo di imitazione, per quanto potesse dare spunti e servire da guida per il procedere o l’incedere della conoscenza, era una strada che non poteva essere seguita ad oltranza perché diverso era e rimane tutt’oggi l’oggetto in questione. Guglielmo Ferrero riteneva che mentre da una società di api o di formiche potremmo trarre modelli di società perfetta, la stessa cosa non potremmo ottenere dalle società umane “imperfette e approssimative” nelle quali non si è mai sicuri che l’individuo corrisponde all’aspettativa di comportamento degli altri. In una nostra apparente vicinanza alla realtà-natura si cela di fatto una distanza tale che consente all’osservatore di imporre ad essa leggi conoscitive e di identificare la realtà della natura con l’immagine costruita dallo scienziato. L’uomo “fabbrica e utilizza teorie”. Il compito delle teorie è limitato perché non vi deve essere alcuna pretesa se non quella di essere una delle possibili interpretazioni del reale; essenziale perché ci fornisce ipotesi che dovranno essere verificate. La costruzione delle teorie avviene con processo che vede un ordinamento concettuale dei fatti che è possibile costruire, aggiornare. Dall’analisi concreta dei fenomeni e dalla comparazione tra fenomeni simili, dobbiamo prelevare gli aspetti e gli elementi tipici e costanti che fanno il modello ideal-tipo. Questo non corrisponde a nessuna delle realtà possibili, ma al tempo stesso ci servirà come quadro di riferimento per cogliere quella stessa realtà; ci fa da strumento di misurazione che consentirà di distinguere elementi tipici ed atipici che si presentano nelle varie manifestazioni storiche. Ideal-tipo non allude ad un modello ideale di società, ma la sociologia come tutte le scienze sociali non valuta; non interessa dire ciò che è bene e ciò che è male, giusto o sbagliato, ma la conoscenza sociologia deve cogliere ciò che appare o no, ciò che viene percepito o no. Ideal-tipo non significa il migliore dei modi possibili, ma di caratteristiche che si enucleano dal basso e vanno a costituire un modello ma senza attribuire una valutazione. Si potrà poi procedere con la definizione di “leggi” che non possono mai essere delle conclusioni ma solo dei punti di partenza per nuove esperienze. Le leggi hanno validità e estensione limitata, si preferisce perciò parlare di leggi di tendenza che hanno come condizione quella del certis paribus (parità di circostanze). Ad esempio la forza di un gruppo si accresce quanto più aumenti la coesione tra i suoi membri. Si vuole creare una realtà fittizia per arrivare alla formulazione di leggi e ci fa comprendere i limiti della disciplina e la distanza che separa la realtà dai concetti che ci veniamo costruendo. Questo perché in un periodo di tempo non è sempre vero che tutti gli elementi presi in considerazione siano sempre costanti, dunque la clausola del certis paribus è per lo più una ipotesi di studio senza la quale tuttavia non sarebbe possibile formulare leggi. Le leggi attraverso le quali è possibile interpretare la realtà sociale sono: - Leggi di struttura, che descrivono le relazioni di struttura all’interno di un tutto (istituzioni economiche o scolastiche) 10 - Leggi di sviluppo, che descrivono i processi costanti di mutamento delle forme sociali (trasformazioni della famiglia nella società contemporanea) - Leggi statistiche, che indicano una relazione probabilistica di invariata tra due classi di eventi (quando si verifica A, con una probabilità X, ci si deve aspettare il verificarsi di B È possibile identificare due ordini paralleli di concetti dei quali ci serviamo: - Persona sociale, status, stratificazione sociale, classe, gruppo, società - Modelli di comportamento, ruoli, istituzioni e cultura 1) L’elemento creativo e innovativo della vita associata; azione dell’uomo sull’ambiente; sociologia come analisi dei gruppi. 2) Le cristallizzazione che stabiliscono e garantiscono la possibilità della stessa vita associata; adattamento all’ambiente; sociologia come analisi dei comportamenti. La persona sociale è l’unità fondamentale della società intesa come l’insieme indefinito e instabile di bisogni per cui la soddisfazione porta ai rapporti sociali con altri individui. Conseguenza di ciò è per un verso il distribuirsi di persone nello spazio sociale a occupare diversi status o posizioni sociali e per l’altro il formarsi di gruppi sociali attraverso i quali gli uomini riescono meglio a soddisfare i propri bisogni che sono di varia natura e implicano una molteplicità di gruppi. L’insieme di questi gruppi è definito come società. Questo concetto è strettamente correlato con la cultura perché non c’è società che non produca cultura e non c’è cultura che non sia posta in essere da qualche società. Un’altra difficoltà riguarda la necessità che ha lo studioso di sottomettere la realtà agli schemi logici che si sono costruiti per interpretarla. Si parla di necessità che ha lo studioso di sottomettere la realtà allo schema logico che ha costruito per interpretare la realtà. Per quanto possa essere consapevole dei limiti della sua conoscenza e in grado di contestualizzare la sua coscienza nel tempo e nello spazio, costui tenderà comunque ad anelare verso l’ideale della legge scientifica. Rapporto tra sociologia e valori I valori sono ciò che nell’immagine degli uomini è ritenuto idoneo alla soddisfazione di bisogni sia di ordine materiale che di ordine spirituale. La cultura è un campo di valori che danno senso alle attività e agli atteggiamenti degli individui. Si tratta di un problema sul quale sono stati gettati fiumi di inchiostro nel corso dei secoli e che può essere facilmente semplificato nel problema della oggettività della ricerca e della conoscenza sociologica. Ha a che fare con il giudizio di valore, un giudizio espresso in forma negativa o positiva in relazione a un determinato contenuto reale o ideale. Il problema dei giudizi di valori è che la scienza dovrebbe essere scevra, libera dai giudizi di valore, oggettiva. 1904 Weber pubblica “l’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale”. Viene considerato il saggio cardine a partire dal quale la sociologia si è posta il problema dei giudizi di valore. A partire da quel momento si è acceso un dibattito che dura fino ai nostri giorni. È difficile avere una visione libera da valori perché la nostra lettura della realtà non è mai oggettiva, per quanto noi ci si possa illudere che sia cosi. La nostra visione è sempre imbevuta di condizionamenti di diverso tipo, influenza del passato, contesto culturale nel quale siamo nati e 11 cresciuti, la personalità, il carattere, le inclinazioni, aspettative, la mutevolezza stessa del nostro stesso essere. La nostra visione è sempre il portato di ciò che siamo o di ciò che siamo stati o di ciò di cui siamo figli. La sociologia non perviene all’oggettività ma semmai si fonda su uno sforzo che è il massimo possibile per ottenere l’oggettività che si presenta come un orizzonte. Bisogna tenere presente che qualsiasi scelta implica una scelta di valore. Bisogna attenersi il più possibile alla descrizione, comprensione, spiegazione e critica. La comprensione ha a che fare con il senso e il significato che gli altri attribuiscono alle azioni. Una delle difficoltà della conoscenza sociologia è la differenza tra la diagnosi e la sfera di partecipazione concreta; tra il momento conoscitivo e quello applicativo. L’uno è precondizione dell’altro ma sono distinti e fanno capo ad attori diversi. L’ultima difficoltà è il mutamento sociale. Anche le società più conservatrici e legate alla tradizione saranno soggette al mutamento. Cultura Il fenomeno della cultura è tra i più costituitivi di una società. Oggi soggetto individuale o collettivo che sia, hanno sempre una propria cultura e ne sono il risultato. Sono essi stessi la risultante del processo di socializzazione e con cui si entra a far parte di una determinata società e si apprendono i modelli di comportamento e le aspettative dei gruppi sociali in cui si entra e si apprende ad essere partecipe dei processi di interazione che hanno luogo all’interno di quel gruppo. Perché nei processi di interazione gli esseri umani, a differenza degli animali, producono cultura? Le paure inevitabili dell’essere umano contribuiscono a creare cultura, perché lo spingono a fare degli sforzi per costruire che la condizione di stabilità e di sicurezza. L’uomo si è attrezzato per conoscere la realtà e facendo ciò anche limitare tutte le paure. In altri termini, tutto ciò prende il nome di civiltà. Afferma Ferrero che "tutta la civiltà è un gigantesco sforzo per uscire dallo stato di natura”. Tuttavia non contribuisce solo la paura a creare cultura, ma anche il fatto che l’essere umano è portatore di una istanza superiore che lo legittima ad ordinare ed incanalare gli accadimenti naturali verso certe finalità, valori e significati che si intendono perseguire. Di qui anche la lotta incessante per resistere alla natura, modificarla e riordinarla o anche piegarla. La cultura nasce anche come reazione conto una natura che si concepisce come indisciplinata che va contenuta. La cultura appare dunque come il prodotto di un adattamento tra funzioni interne e mondo esterno, per edificare quell’ordine di senso e significato che più propriamente chiamiamo cultura. In gioco vi è uno sforzo costante da parte della cultura per circoscrivere il più possibile l’essere umano al fine di riprodurre la convivenza sociale all’interno di schemi di convivenza che siano il più possibile ordinati, che permettano di assoggettare la natura a alla volontà della mete, rendendola più possibile adatta alla razionalizzazione. Quando questo meccanismo può dirsi concluso? Mai; la cultura non è un processo definitivo e ciò è facilmente spiegabile anche se consideriamo il mutamento di valori, bisogni da epoca a epoca. La natura finisce sempre con il prevalere dimostrando la insufficienza degli sforzi che l’uomo può fare per dominarla. La dimensione sociale è il portato di uno scambio, lotta, una polarità tra natura e cultura. L’essere umano a differenza dell’animale è in grado di distanziarsi dalla natura, se l’ordine naturale viene concepito come superiore ciò determina un conflitto. 12 sviluppo tecnico e tecnologico) e aver cominciato ad analizzare il mutamento come aspetto parziale delle strutture sociali. Il potenziale del mutamento, la forza che attiva i processi attraverso i quali si passa da un modello strutturale ad un altro sono: - Emergere di nuovi bisogni che non trovano rispondenza nelle istituzioni e organizzazione della vita collettiva in atto; - Livello di interiorizzazione dei valori ai quali si ispira la cultura esistente; - Malessere nella vita quotidiana, possono sorgere una serie di ostacoli che provocano disagio; - Aspettative crescenti nei confronti della realtà; - Disponibilità dell’attore per l’innovazione. Secondo un famoso studioso, Sztompka le basi principali del mutamento sociale coincidono con le fasi del conflitto. Il passaggio avviene attraverso varie fasi: 1) Una struttura target nella quale il potenziale di mutamento assume valori crescenti abbiamo l’emergere di un conflitto più patologico che fisiologico; 2) Il precipitare del conflitto che può o essere assorbito nella sfera privata o assumere dimensioni pubbliche; 3) Nel secondo caso i fenomeni di mutamento vengono filtrati dalla struttura esistente e si intendono come contrapposti alla struttura esistente; 4) La struttura può respingere il mutamento o adottarlo. Se lo adotta c’è una diffusione dei fenomeni di mutamento che può essere sostanziale o formale; 5) La struttura esistente o ricerca compensazioni che le consentono di mantenere inalterato l’asse dei propri valori o opta per l’amplificazione del mutamento e quindi una modifica radicale dell’assetto dei valori. Se questa modifica avviene si ha un accomodamento al mutamento che se raggiunge determinati livelli può dare al processo un aspetto rivoluzionario o innescare reazioni autoritarie; 6) L’accomodamento al mutamento può produrre una rottura nel corpo sociale o realizzazione innovazione che porta ad una nuova struttura. Più il mutamento è amplificato più vi sarà rivoluzione e con l’affermarsi di una nuova struttura si avvierà una nuova fase di rapporto tra struttura e mutamento. Il mutamento è quindi un fatto fisiologico, una caratteristica permanente di qualunque forma di associazione. È bene distinguere mutamento fisiologico che si svolge all’interno della struttura esistente senza modificare sostanzialmente i valori che orientano l’azione sociale e senza alterare la distribuzione interne dei possessi e delle ricompense; mutamento atipico al quale viene dato il nome di innovazione. L’innovazione si definisce come il prodursi e l’affermarsi di nuove idee e tecniche, di prodotti o ruoli finora sconosciuti in un sistema sociale. Ogni fase innovativa è preceduta e accompagnata da un periodo di crisi caratterizzato da incertezza, tensione sociale. North assimila il concetto di “crisi” a quello di “svolta”, dopo la quale la situazione sarà decisa favorevolmente o sfavorevolmente. 15 Il mutamento sociale è un processo che induce alla modificazione di una situazione sociale determinata, di una o più variabili tra due diversi punti di comparazione che sono stati fissati nel tempo. Le condizioni generali nell’ambito delle quali il processo di mutamento si realizza sono: - Epoca storica che rappresenta l’azione del passato sul presente, il punto raggiunto dal processo storico nel suo divenire che costituisce la pretese di ogni ulteriore sviluppo; - Ambiente inteso in senso fisico e culturale che può essere può facilitare o opporre resistenza al mutamento; - Elemento umano - Velocità, ampiezza e continuità del mutamento. Affinché avvenga ci deve essere un elemento umano, un ambiente fisico e culturale e la dimensione temporale all’interno del quale questo mutamento possa avvenire. Potrà essere più o meno veloce o ampio, continuativo e si è soliti distinguere tra: mutamento di origine endogena (prodotto dall’autonomo evolvere e modificarsi del sistema di bisogni e di valori) e mutamento di origine esogena (è messo in moto da una cultura esterna). Alcuni studiosi si soffermano sul carattere intrasistemico o intersistemico del mutamento. Il primo non altera le condizioni essenziali e i valori sui quali si regge il sistema sociale. Si identifica con progresso, dinamica sociale e evoluzione. Nel secondo i mutamenti tendono a modificare radicalmente i fini e i valori verso i quali la struttura sociale si orienta. Modello strutturalista per l’interpretazione del mutamento sociale= analisi molto formali che attengono alla struttura del cambiamento che viene schematizzato in alcune fasi tipiche. Molto discussa è la possibilità di indurre il mutamento. Vengono ipotizzate strategie diverse: - Strategie empirico-razionali= è sufficiente generalizzare l’istruzione e sviluppare la ricerca. - Strategie normativo-educative= è possibile solo se prima vengono modificati i valori e le norme. - Strategie basate sull’impiego del potere= può essere indotto dall’alto utilizzando adeguatamente la possibile di indirizzo e di comminare sanzioni positive o negative che il potere pubblico possiede. Secondo Watson le principali fonti di resistenza al mutamento sono 11 5 riconducibili ai sistemi sociali - Conformità alle norme - coerenza sistemica socio-culturale (tutte le parti del sistema convergono verso una stessa direzione) - esistenza di interessi nascosti - forza del sacro - rigetto della estraneità 6 alle personalità individuali - Tendenza spontanea al mantenimento dell’equilibrio - abitudine - memoria selettiva 16 - dipendenza dagli altri - super io - insicurezza Le istituzioni possono frenare il mutamento sociale; è il caso dei rapporti istituzionalizzati come i rapporti sociali, familiari. Il vero contributo delle istituzioni al mutamento sociale è più negativo che positivo. L’autore che più di chiunque altro ci ha fornito il paradigma di una moderna teoria sociologica del mutamento è Marx che ha visto la storia dell’epoca come processo attraverso il quale la massa oppressa si organizza e diviene a sua volta classe nel senso più pieno, cosciente dei propri interessi. La teoria marxista trova dei limiti nel credere di poter rappresentare tutto il processo senza essere essa stessa parte di un processo conoscitivo che la comprende. Altro limite è il voler vedere ad un certo punto della storia, l’inizio di un processo di salvazione dell’intera umanità. Marx e Engels= la chiave di lettura è materialistica. Il mutamento sociale è dato principalmente dalla lotta di classe. Durkheim, Pareto e Weber possono essere visti come i primi sociologi che non spiegano il mutamento attraverso leggi di sviluppo finalistiche, ma come conseguenza necessaria dell’azione di forze di trasformazione endogene e di perturbazioni esogene. Durkheim= il mutamento sociale ha a che fare con le forme della solidarietà, dello stare insieme (intesa come coesione e integrazione sociale) e anche con il fenomeno della divisione del lavoro, attività sociale (inteso come qualsiasi attività sociale che si svolge all’interno della società). La potenzialità di mutamento è ricondotta ad elemento strutturale accanto ad altri elementi strutturali funzionali per la società. Weber= il mutamento sociale ha a che fare con il conflitto (è un conflittualità come Marx e Engels); ma per lui il conflitto non è legato soltanto alla classe, ma avremo tanti conflitti quanti sono gli interessi; conflitto che si esplica non solo nella sfera economica ma anche nella religione, diritto. Pareto= teoria delle élite. Lo intende come risultato della variazione dell’equilibrio degli elementi che compongono i sistemi sociali, alla quale si accompagna il processo di circolazione delle élites. Comte= ha formulato la teoria del mutamento sociale attraverso la legge dei 3 stadi; teoria a ciclo chiuso. Spencer= ha formulato la teoria del mutamento sociale a ciclo aperto; ha a che fare con l’evoluzione naturale e sociale. Le origini del pensiero sociologico Illuminismo-Positivismo L’età moderna, la cui nascita risale al 1492, fatidico anno di scoperta dell’America, può essere intesa come spartiacque tra una fase in cui il mondo era percepito come sostanzialmente chiuso 17 dell’ordine sociale non sia solo interno ma anche sociale. Soltanto a partire da questo momento ci si preoccupa di descrivere ciò che è e non ciò che dovrebbe essere. Fino a questo momento viene descritta una società ideale, giusta mentre da questo momento l’obiettivo è dire le cose come stanno. Cosa significa spiegare la società per ciò che è e non per ciò che dovrebbe essere? Mentre la filosofia si occupa dell’esistenza prima delle cose (ontologia), la sociologia studia gli stessi fenomeni per come appaiono, per come si manifestano, per come diventano fenomenologicamente parlando. Per la sociologia non è molto importante il fenomeno in sé, singolo ma la relazione tra fenomeni (la interdipendenza), il rapporto causa-effetto tra i due fenomeni e il tipo di rapporto funzionale. Tutto ciò si fa esplicito a partire da Comte, ma non è ancora Positivismo in senso proprio. Positivismo è definibile come una corrente di pensiero che si sviluppa in Europa nella prima metà dell’800 soprattutto dopo la morte di Hegel e si diffonde con notevole successo nella seconda metà del secolo; possiamo considerarlo come l’alter ego su cui si sviluppa il ragionamento scientifico della sociologia accanto al Marxismo. Positivismo e Marxismo si contendono la scena dalla conoscenza sociologica nel senso che saranno inizialmente le due grandi matrici teoriche e concettuali. Il positivismo si presenta principalmente come una opposizione al modo precedente di rapportarsi alla realtà. Fino a quel momento c’era stato un certo modo di guardare la realtà, ma con il positivismo ci si oppone a quel modo precedente. 1) Fino a quel momento c’era stato un modo filosofico Hegeliano, ora prevale un modo sociologico Comtiano; Il positivismo nasce in opposizione al modo di rapportarsi alla realtà tipico delle filosofia precedenti, in particolare modo tipico della filosofia Hegeliana e delle filosofia della restaurazione. Con Hegel si realizza il completamento della filosofia; egli stesso vedeva in se stesso il compimento della filosofia. Era convinto che la filosofia dopo di lui sarebbe finita perché il suo sistema aveva dato ragione di ogni aspetto della realtà. In effetti la sua filosofia è un sistema di pensiero che tende a sussumere nel sistema filosofico ogni aspetto della realtà. 2) Fino a quel momento c’era stato un pensiero negativo, a partire da questo momento prevale un pensiero positivo. Il positivismo prende questo nome perché contrappone un pensiero positivo ad un pensiero negativo. Quello di Hegel è un pensiero negativo perché secondo lui ogni pensiero non è altro che la negazione di ciò che ci sta di fronte. Si tratta di un pensiero che risale alle origini del pensiero occidentale. Con Hegel raggiunge i massimi livelli ed emerge il problema della opposizione tra ragione ed esperienza. Parmenide sosteneva che l’esperienza che facciamo della realtà attraverso i sensi ci dice che le cose divengono e dunque prima non sono, poi sono e poi non sono più. Al contrario la ragione, il nostro intelletto, il pensiero, il logos ci dice che o le cose sono o le cose non sono (o batto le mani o non batto le mani). Se le cose sono non possono non essere, se non sono non possono essere. Mentre l’esperienza ci dice che le cose divengono, il ragionamento ci dice che o sono o non sono. Ciò per la filosofia occidentale ha sempre significato che il divenire è un’illusione cui soggiace l’opinione comune; l’esperienza dei sensi è ingannevole; la ragione non è ingannevole. L’aspetto di questo pensiero negativo è che il pensiero non si accontenta di ciò che 20 appare ma va oltre l’apparenza cercando di cogliere la sua vera essenza; mentre si pensa alla realtà nega l’apparenza. La filosofia di Hegel prende il nome di filosofia negativa perché per lui il pensiero è la negazione di ciò che gli sta di fronte, cioè l’esperienza che è imperfetta. I fenomeni sono imperfetti rispetto al mondo della ragione. Il vero assunto di questa concezione del pensiero negativo è che le idee vengono prima della realtà; si tratta di un atteggiamento che i positivisti ribalteranno completamente. L’esempio più classico per capire come le idee vegano prima della realtà è l’esempio del triangolo-rettangolo. Possediamo l’idea di triangolo-rettangolo perfetto ma nella realtà Non esiste il triangolo rettangolo perfetto ma tanti rettangoli triangolo che aprano alla percezione ideale del triangolo rettangolo perfetto; l’idea di triangolo rettangolo perfetto non ci fa capire l’imperfezione. Ad esempio lo Stato; possediamo l’idea di stato come regno di conciliazione ma nella realtà troveremo tanti Stati che più o meno cercano faticosamente di avvicinarsi al modello ideale di Stato; troveremo tanti stati ideali imperfetti. Poiché la realtà così come è, come ci appare presenta sé stessa come l’unica conoscenza possibile, allora autori dicono che il pensiero deve negare l’apparenza. La critica diventa strumento non solo della conoscenza della realtà ma anche volto a farne conoscere la vera essenza. Processo Hegeliano di Tesi (realtà esistente, imperfetta), Antitesi (idea di realtà perfetta), Sintesi (nuova società migliore che attraverso la critica tenderà ad assomigliare sempre di più all’ideale di società). La storia per Hegel è il susseguirsi di tante tesi, antitesi e sintesi dove quest’ultima si presenterà a sua volta come una nuova tesi ovviamente da criticare. Il processo di filosofi negativa è molto lungo anche perché via via che questa triade si compone, anche l’idea perfetta di società cambia. Ci si avvicina sempre più alla società razionale. Per la filosofia negativa il motore del pretesto è la critica dell’esistente ed è da qui che può nascere il cambiamento sociale e la progressiva affermazione di realtà e razionalità; Hegel parlava di cammino verso la libertà. La concezione progressiva della storia è una caratteristica molto marcata negli occidentali; la realtà storia è il prodotto del soggetto; si va da una situazione si estrema imperfezione ad una situazione di sempre maggiore razionalità. “Telos” fine ultimo, scopo che la società deve raggiungere che è dato dall’identità tra realtà e razionalità. Il pensiero positivo è diametralmente l’opposto del pensiero negativo. In primo luogo l’esperienza non è ne ingannevole ne imperfetta; la ragione può e deve coglierla e rifletterla; la ragione deve conoscere e far conoscere a tutti la realtà. Vi è un rapporto di conformità attraverso le evidenze empiriche che la ragione dovrà limitarsi a cogliere e raccogliere. Il pensiero è positivo perché dovrà non negare l’esperienza, ma affermarla esprimendola e spiegandola; è un pensiero affermativo. 3) Fino a quel momento era prevalsa una concezione idealista e spiritualista, a partire da questo momento prevale una concezione empirista e sperimentale; Il positivismo si oppone ad Hegel anche perché nega che si ci possa o debba occupare dei fenomeni non identificabili; Il positivismo presenta un atteggiamento anti-metafisico. Tutto ciò che non è osservabile non può far parte della conoscenza scientifica. C’è l’accezione di pensiero empirico che ha a che fare con il fatto sociale, con l’esperienza, con ciò che accade. Il positivismo studia i fatti sociali. Ciò significa scoprire le leggi che presiedono al funzionamento della società. In questo momento, le scienze sociali vogliono cercare di replicare lo stesso metodo (metodo sperimentale) dove anche le esperienze umani e sociali sono regolate da 21 leggi. Le leggi non devono solo essere scoperte ma anche sperimentate. Così come all’interno di una problematica scientifica nell’ambito delle scienze naturali noi non ci chiediamo se un fenomeno sia giusto o sbagliato ma solo la legge che presiede nel fenomeno, così allo stesso modo si inizia a ritenere che anche per studiare la realtà sociale devo solo studiarla e solo una volta scoperta applicarla alla realtà dei fatti. La sociologia, tramite il positivismo, ha seguito l’esempio di tutte le scienze moderne che a partire dalle scienze della natura si sono staccate dal pensiero filosofico acquistando una propria autonomia. Da questi pensieri, deriva un assunto molto importante che ha fatto la storia di tutte le scienze sociali, ovvero la concezione di progresso scientifico come progresso esso stesso. Ciò significa che l’applicazione della razionalità scientifica tra l’uomo e il suo ambiente creerà una quantità di beni tale che i problemi politici e sociali saranno risolti. Ci si convince che applicando la scienza ai fatti sociali, conoscendoli, ci sarà un progresso scientifico ma anche un progresso complessivo anche economico, sociale e politico. Il positivismo si pone come superamento della politica e delle dottrine politiche. Il problema della scarsità delle risorse può essere eliminato con le scoperte scientifiche, per questo si supererà anche il problema del conflitto e anche la politica e le dottrine politiche. La politica nasce nel momento in cui c’è scarsità delle risorse, ciò da luogo al conflitto e questo alla politica come atto per governare il conflitto. Allora il compito della sociologia deve essere un compito di riforma intellettuale. Ciò significa che era arrivato il momento di diffondere i risultati della scienza positiva sulla realtà sociale, diffondere i risultati scientifici portandoli alla conoscenza di tutti. Soprattutto per Comte l’interesse è lo stesso e se le cose non funzionano è solo perché on si conoscono abbastanza, dunque no si è individuata la legge che eviterebbe il conflitto. Non bisogna rivoluzionare la società, come sarà invece per il Marxismo, ma semplicemente agire in conformità con le leggi scientifiche che sono state scoperte e convincere gli individui e le parti sociali circa l’esistenza di queste leggi e l’importanza di agire seguendo esse. Nel positivismo il problema del mutamento sociale si sposta dal piano politico a quello intellettuale. La religione viene considerata l’antitesi della scienza. Il positivismo ha dato luogo ad una concezione chiamata organicismo. La società viene vista a somiglianza di un organismo biologico. Si tratta di un aspetto importante che darà impulso alla corrente della sociologia, dell’attuale funzionalismo. Parlare di organicismo non significa che tutto il positivismo sposerà questa concezione; ci saranno studiosi che studiosi positivisti non potranno essere denominati anche come organicisti. Cosa è un organismo biologico? È il risultato di un adattamento continuo con l’ambiente; quell’organismo esiste in biologia in quanto si è adattato alle sfide dell’ambiente e le ha vinte. Ogni parte dell’organismo sarà funzionale al suo funzionamento; ogni parte si sviluppa nella misura in cui deve soddisfare determinate funzioni. Come ragiona un organicista? Mentre a livello di senso comune diciamo che una persona cammina perché ha le gambe, un organicista afferma che poiché l’uomo ha bisogno di camminare allora sviluppa le gambe, necessarie per svolgere una determinata funzione. Ciò che accumuna organismi biologici e organismi sociali è la differenziazione, risposta comune alla sfide poste dall’ambiente. Prevale il fine della sopravvivenza, più si tende a questo fine più ci si adatta dunque adattamento, espansione e diversificazione. Crescendo le dimensioni di un 22 La società scientifico-industriale è caratterizzata dall’avere il suo ordine morale e potere spirituale affidato non alla religione ma alla scienza. I depositari della verità sono gli scienziati e più propriamente quelli che Comte chiama “Savants”, tutti coloro che possono dirsi studiosi. Mentre l’ordine spirituale è affidato alla scienza, l’ordine sociale è basato sull’industria, cioè sulla trasformazione della natura su scala industriale e quindi sull’applicazione dei risultati delle scoperte scientifiche alla produzione. La classe a cui è affidata questo compito è quella degli industriali. La condizione prevalente della società è armonia, cooperazione che assume un significato soprattutto funzionale nel senso che è una cooperazione tra le vari parti della società. È in questo periodo che per mezzo di queste teorizzazioni si formano due condizioni di fondo: La soluzione dei conflitti del tempo possibile solo grazie ad una riforma intellettuale, diffondersi del pensiero positivo. La soluzione dei conflitti può essere data solo da un’accelerazione della società scientifico-industriale. Nell’ambito del Marxismo e delle concezione materialistica della storia, il superamento del conflitto si realizza tramite una radicalizzazione, approfondimento ulteriore del conflitto. Solo portando alle estreme conseguenze il conflitto, potrò ricavarne una soluzione. Tutto ciò ci fa capire che il positivismo per queste ragioni viene considerato il superamento del socialismo. Corso di filosofia positiva Delinea i contorni di quella che a suo parere deve essere la sociologia: una fisica sociale, cioè una scienza modellata sui tratti delle scienze naturali, intesa a rilevare fatti e riconoscere leggi. Comte tratta la questione degli stadi della conoscenza, ovvero i modi con cui guardare la realtà. Mentre la società stava passando dal tipo teologico-militare a quello scientifico-industriale, lo spirito umano stava attraversando tre stadi, modi di guardare e leggere la realtà. Lo sviluppo dell’intelligenza è governato da una grande legge fondamentale che lo governa con una immutabile necessità. Questa legge è verificata sia da prove riscontrabile nella società del suo tempo sia da verifiche storiche che si possono prendere da uno studio attento del passato. Il carattere conoscitivo di ognuno di questi modi è diverso e opposto e si escludono. Gli stadi della conoscenza sono: 1) Teologico= o fittizio; è il punto di partenza necessario dell’intelligenza umana perché quando è nata l’umanità e ha maturato le sue prime forme di intelligenza è inevitabile che ogni cosa non fosse ricondotta a Dio. 2) Metafisico= o astratto; è l’anello di congiunzione tra il primo e il secondo stadio. Il punto più alto del sistema metafisico è stato dato dall’illuminismo perché contrario all’ordine costituito e perché fu a favore delle verità soggettive. L’ordine deriva da verità-leggi valide universalmente erga omnes e che si impongono all’individuo dall’esterno. 3) Positivo= o scientifico; è lo stadio fisso e definitivo. Lo spirito umano rinuncia a ricercare l’origine e il destino dell’universo, le cause più intime, l’essenza dei fenomeni, per dedicarsi semmai a scoprire come con l’uso ben combinato di ragionamento e osservazione le leggi che effettivamente li governa, i rapporti che possono esistere di successione o somiglianza. In altre parole possiamo cogliere la spiegazione dei fatti che è il legame di fenomeni più particolari. 25 È stato chiamato anche Scienza dell’evoluzione perché qui affronta il tema della dinamica sociale, ovvero il tema che oggi chiameremmo dell’evoluzione e dei progressi. I concetti di ordine e progresso sono fondamentali per Comte. Ai tempi di Comte il problema di conciliarli si poneva perché si trattava di verità separate tra di loro. Da una parte c’erano i nostalgici dell’ordine ormai perduto, dall’altra erano sempre più incalzanti quelli che vedevano nella trasformazione assidua della realtà la soluzione dei problemi. Da un alto una visione conservatrice e dall’altra una progressista e socialista. Da questi opposti invece Comte inizia a maturare la convinzione che l’ordine sia in realtà la condizione indispensabile per il progresso cioè a dire che se c’è armonia in mancanza di conflitti il progresso sarà più lineare e veloce che porterà all’ordine sociale. Mentre con questa opera l’autore si concentra sulla dinamica sociale, con Sistema di politica positiva, affronta il problema dell’ordine, della statica sociale. Ordine basato su 3 pilastri: 1) Famiglia= le famiglie provvedono a tutta una serie di funzioni sociali e non i singoli individui. Loro promuovono determinati sentimenti come uguaglianza, amore fraterno, venerazione dei figli nei confronti dei genitori. Parlava anche di subordinazione della donna verso l’uomo in senso funzionale. La famiglia è ciò che garantisce la socializzazione, cioè la trasmissione dei modelli latenti della società soprattutto attraverso valori di solidarietà e consenso. Attraverso la socializzazione impartita in famiglia l’uomo impara a convivere con gli altri. 2) Classi sociali/ Caste= l’autentico tessuto della società 3) Città/ Comuni= organi della società Abbiamo poi altri 2 elementi: a) Linguaggio= senza un linguaggio comune non è possibile nessun ordine sociale. Se non è possibile una lingua uguale in tutto il mondo, almeno i contenuti devono essere uguali per tutti e promuovere la solidarietà. b) Religione= per Comte la religione in una società deve avere posto solo come fatto privato, è ciò che conferisce all’anima lo stato di armonia normale. Si pone se la religione ai suoi tempi riuscisse a perseguire questo obiettivo. La risposta è no. Comte è consapevole dei colpi che la stessa scienza e l’illuminismo stavano dando alla religione. Da qui nasce l’invito ad una nuova religione che sarebbe stata la religione positiva, quale religione dell’umanità. Si proporrà come sacerdote di una “religione positiva”, fondata sul culto dell’umanità. “amore per principio ordine per base e progresso per fine”. Nasce e si afferma un concetto di umanità e per i positivisti e Comte in particolare solo questa poteva costituire il principio di armonia fra le parti, che fosse essenziale per ogni esistenza. Tutto doveva essere ricondotto all’umanità, a quello che Comte chiamerà il “grande essere” del quale ogni individualità poteva e doveva diventare un organo eterno. Si parla di umanitarismo, una concezione che porta alle estreme conseguenze il concetto di umanità. Altra grande componente per l’ordine sociale è la divisione del lavoro e della specializzazione funzionale. Siccome vi è un organismo biologico evoluto di una estrema specializzazione degli organi allo stesso modo in una società evoluta vi dovrebbe essere una divisione dei compiti altrettanto minuziosa e specifica, spontanea e armonica che favorisca l’ordine e il progresso. 26 Comte è consapevole del fatto che la divisione del lavoro che si stava affermando in nome dell’industrializzazione poteva portare a problemi, come l’alienazione concetto che già Adam Smith aveva già colto. Egli la considera come patologia sociale e come tale non congenita bensì superabile. Alexis de Tocqueville I critici della Rivoluzione francese non leggevano i mutamenti come progressivi, piuttosto come segno di decadenza. Tocqueville non fu né fautore né denigratore del progresso. Non può definirsi come sociologo, ma come osservatore dell’epoca tra la fine del Settecento e Ottocento, epoca di cambiamenti sociali fondamentali con vantaggi e svantaggi. È interessato alla democrazia, che vede come processo storico ineluttabile che tende all’uguaglianza delle opportunità. Pensa che ciò che si acquista da un alto si può perdere dall’altro in quanto la democrazia comprende dei rischi come la “dittatura della maggioranza” (volere del gruppo più numeroso). Crede che gli individui della modernità sono sempre più liberi di forgiare autonomamente la propria sorte all’interno di un sistema di leggi che garantisce uguaglianza per tutti. In La democrazia in America riconosce negli Stati Uniti il luogo dove questo processo è più sviluppato. In L’antico regime e la rivoluzione opera dei confronti tra la Francia prima e dopo la rivoluzione con paesi vicini; è considerato il primo ad avere utilizzato in modo sistematico la comparazione nelle scienze sociali. Herbert Spencer È colui che ha contribuito maggiormente a diffondere l’uso presso il pubblico del termine “sociologia”. La sua sociologia si basa su raccolte di informazioni su diversi tipi di società. Considera la società sulla base del pensiero di Darwin che si fonda su un processo di trasformazione e differenziazione evolutiva delle specie animali attraverso un meccanismo di adattamento all’ambiente, di competizione per la sopravvivenza. La storia appare a Spencer come un cammino evolutivo nel corso del quale gli uomini adatterebbero le forme della loro convivenza a quelle dell’ambiente passando a forme di organizzazioni semplici fino a forme più complesse. Crede che crescendo di dimensioni le società sviluppano una rete di organi e funzioni sempre più specializzati e dunque differenziati. Nelle società “militari” l’ordine è garantito in modo coercitivo, in quelle “industriali” deriva dalla libera scelta degli individui. Karl Marx Il suo nome è di solito associato alla conoscenza di movimenti politici inerenti all’idea del comunismo. Per quanto non abbia invitato il termine, l’idea di una società comunista intesa come futura società senza classi è decisiva nell’orientamento del suo pensiero. Il suo pensiero non è rimasto a lui circoscritto ma ha avuto sviluppi nel tempo fino ai nostri giorni. Infatti con il termine marxiani intendiamo coloro che si rifanno al suo pensiero e con marxisti tutti coloro che pur prendendo le mosse dal suo pensiero, per alcuni aspetti si sono discostati. Non è possibile capire il suo pensiero senza capire la centralità che per lui ha rivestito la prassi. 27 Questa opera è considerata come capolavoro della letteratura politica non nel senso valutativo del termine, ma scientifico perché riesce a mettere insieme i tre momenti di confronto prima citati. Ha uno scopo pratico e agitatori ma anche quello di fare chiarezza all’interno del movimento. Questo perché la lega dei comunisti era costituita da varie anime molto diverse tra loro. Accanto a quest’obiettivo ce ne sono altri due: in primo luogo rappresenta una prima formulazione chiara della concezione materialistica della storia basata sulle classi sociali come soggetti. Marx non ha inventato le classi sociali che ovviamente esistevano molto prima di lui e sono sempre esistite e non è stato il primo a parlarne. Ciò che fece per la prima volta è dare alle classi sociali un fondamento oggettivo. Questo significa che a lui non interessa il vissuto soggettivo degli appartenenti a una determinata classe sociale. Secondo lui se qualcuno appartiene ad una classe sociale non è perché possiede particolari disposizioni caratteriali o comportamentali ma la classe è il prodotto dell’inserimento degli individui in determinati rapporti sociali di produzione. Ciò che conta per definire la classe è la dimensione economica e la posizione che si occupa nel processo produttivo. Marx dice che se io posseggo i mezzi di produzione qualunque sia la mia percezione soggettiva del mondo o del mio rapporto con esso la mia condizione oggettiva è quella di capitalista perché io posseggo la proprietà dei mezzi di produzione, quindi io mio comporterò da capitalista. Viceversa se non posseggo altro che la mia forza lavoro, qualunque sia la mia percezione soggettiva del mondo e della realtà, il mio essere sociale sarà di proletario. Ultimo obiettivo di quest’opera è dare una lettura scientifica della stratificazione sociale. Nel 1848 viene pubblicata e la conseguenza è che Marx viene espulso da Bruxelles e si trasferisce di nuovo in Germania dove si radicalizzerà ancora di più, dove condurrà una prima campagna per radicalizzare il movimento rivoluzionario. Obiettivo fondamentale di questo momento diventa differenziare con chiarezza gli obiettivi del proletariato e quelli della classe borghese. Questo perché fino a quel momento gli obiettivi del proletariato si erano presentati come profondamente intrecciati con quelli della borghesia contro la nobiltà. I moti del 48 avevano visto borghesi e proletari insieme e il proletariato aveva combattuto per gli interessi della borghesia. I proletari si battono contro una battaglia che era solo della borghesia. L’opera era un tentativo di dare contenuto autonomo degli obiettivi dei proletari. Era importante la consapevolezza del proletariato delle differenze con la borghesia poiché nel momento in cui questo avrebbe scoperto che i suoi interessi erano fuori dalla società borghese allora finalmente si sarebbe potuto fare interprete degli interessi dell’intera umanità, fare la rivoluzione che avrebbe sovvertito il regime borghese e liberato tutta l’umanità dalle catene dell’occultamento. Solo se il proletariato avrebbe maturato questa coscienza avrebbe potuto liberare l’intera umanità da certe catene. L’interesse dell’intera umanità è quello del superamento del modo di produzione capitalistico in vista di una società senza classi. Se il proletariato avesse fatto la rivoluzione, avrebbe realizzato una società senza classi. Marx non voleva solo sostituire al potere della borghesia quello del proletariato, ma il proletariato dove incarnare gli interessi dell’intera umanità, doveva liberare tutti. Già nel Manifesto del partito comunista e prima dell’immigrazione in Inghilterra è presente l’idea di classe sociale e di proletariato come classe universale, cioè che racchiude in sé le esistenze di tutta l’umanità che sarebbe stata liberata. La presa di coscienza da parte proletariato è presa di 30 coscienza dell’interesse di tutte le classi ed è un passo avanti nella fenomenologia della storia che per Hegel avrebbe dovuto portare all’identità tra reale e razionale, che per Marx significava società senza classi. La società perfetta non poteva che essere una società senza classi. 1867 esce il primo libro de Il Capitale (unico pubblicato in vita) opera dalla quale Marx si aspetta moltissimo e che invece nell’immediato non è affatto un successo di vendite né suscita almeno in quel momento minimamente il dibattito che avrebbe voluto promuovere. Questa è l’opera fondamentale nella spiegazione del materialismo storico ma è anche quella nella quale interpreta e ricostruisce la genesi della società industriale, nella quale etichetta questa società come capitalistica basata sulla inconciliabilità degli interessi quanto forza lavoro e possessori dei mezzi di produzione. In Comte, al contrario, gli interessi tra le classi non sono affatto opposti, ma diceva che l’interesse è comune, uguale per tutti. Se ci sono dei conflitti tra i capitalisti e i lavoratori è solo perché momentaneamente ancora non si è trovata una legge che presiede all’ottimizzazione delle risorse, che fa si che queste non siano più scarse ma non appena ci siano le leggi non ci sarà più conflitto. In Comte gli interessi sono uguali per tutti; la società è armonia, consenso, equilibrio. In Marx gli interessi della classe lavoratrice e dei capitalisti sono contrapposti e separati. Per superare una situazione insostenibile dobbiamo fare la rivoluzione. Marx contesta agli economisti classici inglesi che erano suoi interlocutori, l’aver scoperto leggi del funzionamento economico della società e di averle considerate non già come leggi fatte per quella società e per quel modo di produrre bensì come leggi valide in ogni tempo e società. Per Marx si tratta invece di leggi economicamente determinate espresse dal modo di produzione dominante in quel momento. Non nega il concetto di legge ma non pensa che siano sempre e comunque valide, ma storicamente ed economicamente determinate. 1881 muore Jennie, Marx la seguirà nel 14 marzo 1883. Due anni dopo Engels pubblica il secondo libro de Il Capitale rimasto inedito e da questo momento ha inizio la pubblicazione delle opere postume. Pensiero di Marx Per capire il pensiero di Marx dobbiamo analizzare prima: - Metodo= la concezione di Marx ha a che fare con la concezione Hegeliana della realtà. Anche per lui conosciamo la realtà negando ciò che essa dice di sé stessa. Il metodo Marxista è l’opposto del positivismo perché a differenza di quest’ultimo non si accontenta delle evidenze empiriche ma ritiene che la realtà è nascosta e va portata alla luce. Il marxismo ritiene che ciò che appare è ingannevole e va negato, così come non si accontenta di stabilire delle relazioni tra i fenomeni come voleva il positivismo. Inoltre se è vero che la concezione di Marx è opposta al positivismo ed è sulla scia del pensiero Hegeliano negativo, è anche vero che Marx rovescia per alcuni aspetti questo pensiero. In altre parole rovescia il punto di vista dal quale Hegel parte per criticare la realtà. Mentre la concezione Hegeliana è idealista e spiritualista, quella di Marx è materialista. La fonte della realtà non sono le idee ma l’esperienza sociale ed economica, i fenomeni in carne ed ossa. Allo stesso modo le idee non sono indipendenti dalla realtà ma ne sono il riflesso. Come il positivismo, in realtà, anche il marxismo enfatizza l’ambito dell’esperienza sociale, dei fenomeni. L’esperienza deve essere preferita al mondo delle idee. 31 Tuttavia il pensiero è negativo come Hegel perché non dobbiamo affermare l’esperienza ma criticarla. Secondo Hegel ogni società hai suoi rapporti di produzione specifici, sono determinati, necessari e indipendenti dalla volontà dei singoli. Sono rapporti che esistono per proprio conto. Si parla di metodo del materialismo storico. Il rovesciamento di cui si è parlato era già astato operato da altri e in particolare da Feuerbach, dunque il passo avanti di Marx è rimproverargli di porre l’uomo in quanto tale e non l’uomo storicamente determinato alla base delle sue considerazioni. Feuerbach poneva l’uomo in quanto specie, produttore delle idee e non come uomo storicamente determinato. Marx pensa che non esiste l’uomo in quanto tale, ma quello storicamente determinato, prodotto del modo di produzione. Questo uomo sarà diverso a seconda del modo di produzione antico, feudale o capitalistico, noi avremo altrettanti tipi d’uomo. Si chiama materialismo perché si parte dall’economia, dalla realtà e guardando il sistema economico potremmo capire l’uomo che quella società produce. L’essenza umana non è qualcosa di astratto all’individuo, dunque sempre uguale a sé stessa, ma qualcosa che è determinata dai rapporti sociali di produzione. Ciò però significa che oggi modo di produzione avrà le proprie leggi che varranno solo per quella formazione economico sociale e che determineranno un diverso modo di condizionamento del mondo delle idee da parte della struttura economica. Il materialismo dunque è storico perché dipende dai rapporti sociali di produzione storicamente determinati. Non esistono rapporti di produzione sempre uguali a sé stessi ovunque, ma dipendono dal sistema economico e dal periodo di tempo in cui ci si trova. Altra concezione importante di Marx prende il nome di "Teoria del rispecchiamento”; si tratta della coppia di categoria struttura e sovrastruttura. Con queste Marx affronta il problema della conoscenza. La struttura costituisce la base della società, cioè il suo funzionamento economico, cioè i suoi rapporti di produzione, al contrario la sovrastruttura è costituita dal mondo delle idee attraverso cui la società si rappresenta. La prima è la base materiale, la seconda la conseguenza ideale. La sovrastruttura è tale proprio perché si eleva a partire dalla struttura da cui è fortemente condizionata. Le idee dominanti (sovrastruttura) sono le idee della classe dominante, della forza sociale che a partire dal suo potere economico detta la struttura di una determinata società (struttura). In questo modo la sovrastruttura assolve due funzioni essenziali: serve a giustificare l’essenza di una struttura, a spiegare il perché c’è qualcuno che comanda e qualcuno che obbedisce oppure giustificare e legittimare perché c’è qualcuno che grazie al profitto riuscirà a cumulare sempre più risorse economiche e qualcuno che invece sarà sempre più legato alla forza lavoro; serve a perpetuare la struttura il più possibile. Chiamiamo queste funzioni le funzioni ideologiche della sovrastruttura che nel linguaggio di Marx significano mistificanti. Queste idee mistificano la realtà, la avvolgono in un velo produttivo che la giustifichi e la faccia mantenere in piedi e la faccia apparire come una legge naturale. Ciò era quello che Marx rimproverava all’economia politica classica. Criticava il confondere le leggi del modo di produzione capitalistico per leggi dell’economia in quanto tale. Secondo lui si tratta di leggi del modo di produzione capitalistico, dunque abbiamo determinate regole perché appartengono a quel modo di produzione. Impiega queste idee nel Il Capitale e evidenzia come Critica dell'economia politica. Un “modo di produzione” per Marx è un insieme storicamente determinato di mezzi per la produzione e di rapporti di produzione. Il modo capitalistico di produzione è quello emerso dalla rivoluzione industriale, il modo moderno di rivoluzione. “Capitalismo” è il nome dato da Marx alla società la cui struttura è fornita dal modo 32 della società borghese ma è possibile solo al di fuori di questa, attraverso un rovesciamento radicale della società che scalzi la classe antagonistica al potere. Il proletariato deve prendere coscienza che i suoi interessi sono inconciliabili con quelli della borghesia, e la risoluzione del problema si raggiunge rivoluzionando la società. Come terzo elemento, il proletariato deve rendersi conto che essa stessa non incarna solo gli interessi del proletariato ma quelli dell’itera umanità. Dunque rovesciando la borghesia, e quindi la proprietà privata dei mezzi di produzione, in realtà si sta rovesciando tutta la società divisa in classi. Nel momento in cui il proletariato farà questa rivoluzione. Incarnerà gli immergessi dell’intera umanità perché sovvertirà tutta la società, segnerà la fine della preistoria e l’inizio della vera storia liberata. La classe diventerà auto-cosciente, acquisisce la sua coscienza di classe. Come avviene il passaggio da una classe in sé ad una classe per sé? Descrive questo aspetto nel terzo ambito di trattazione del problema delle classi che è Il Manifesto del partito comunista. Questa opera ha intento polemico, aspetto che viene descritto essoterico (espresso a tutti). L’aspetto esoterico riguarda la struttura dell’opera divisa in tre capitoli: borghesia, proletariato e comunismo. In questa opera con intento empirico, abbiamo una visione molto dinamica della stratificazione sociale con la quale Marx ci racconta come si arriva ad una situazione di polarizzazione. Polarizzazione significa lotta di classi che si polarizzano in due, lotta che ogni volta è finita con una trasformazione rivoluzionaria di tutta società o di una comune rovina delle classi. Da questo punto di vista tutta la storia deve essere riletta a ritroso fino ad arrivare alla situazione attuale dove “l’intera storia dell’umanità è interpretata alla luce della ripartizione tra borghesia e proletariato”. Afferma che al suo tempo la lotta di classi si cristallizza in due sole classi distinte. L’intera società si va scindendo sempre più in due grandi classi direttamente contrapposte l’una all’altra. I passaggi della polarizzazione sono: si assiste ad un aumento della dimensione fisica del proletariato (abbiamo inizialmente alta borghesia, ceto medio e proletariato; poi il proletariato comincia a crescere e il ceto medio ad assottigliarsi e cresce l’alta borghesia; si arriva ad una situazione dove il ceto medio precipita nel proletariato che si ingrandisce enormemente e soltanto pochi mantengono il potere in termini di alta borghesia. I capitalisti diventano sempre meno ma sempre più ricchi). Il secondo momento è dato dall’aumento e dalla coscienza di sé del proletariato e dalla coscienza legata al fatto che il conflitto è risolvibile solo al di fuori della società borghese. In terzo luogo si verifica quello che Marx definisce “l’abbraccio mortale” tra proletariato e borghesia. È il modo di produzione che li spinge in questa direzione in quanto la borghesia è spinta dalla ricerca del profitto, dal suo modo di produzione di ricerca di lavoratori; per questo motivo essa non avrà forgiato le armi che la distruggeranno ma anche gli uomini che impugneranno quelle armi. Marx disse “la borghesia produce i suoi stessi seppellitori”. Come definiamo il paradigma conoscitivo che ci definisce il Marxismo? In questa concezione del Marxismo quanto è importante il singolo, la sua azione, il volontarismo individuale? Da un lato, considerando che sono gli uomini in carne ed ossa che fanno la storia, si potrebbe essere tentati di pensare che la concezione di Marx sia di individualismo metodologico, ma in realtà è l’opposto. Marx crede che gli uomini fanno la storia ma non come vorrebbero. Per tutte le concezioni materialistiche della società e della storia, come per Marx ciò che fa agire gli attori è un copione già scritto, dato dal rapporto tra forze produttive e rapporti di produzione. Loro agiscono in quanto appartenenti ad una certa classe che detta un comportamento. Questa concezione è olistica e strutturale; olistica 35 significa dal greco “olos” (su tutto) e strutturale, che spiega i comportamenti dei singoli a partire dal tutto, dalla società, e trova la sua struttura dall’economia e dal rapporto rea forze di produzione e forze produttive; è necessario dunque cambiare la concezione strutturale della società. - Teoria del mutamento sociale= vuol dire come si passa da una società all’altra. La teoria di Marx non è solo materialismo storico, capitalismo ma egli mira anche ad identificare ragioni e direzioni del mutamento all’interno della società sorta con la rivoluzione industriale. In ogni formazione sociale si genano contraddizioni tra le forze produttive e i rapporti di produzione. Il modo di produzione capitalistico genera mutamento, è anzi “il più potente generatore di mutamento sociale e materiale mai apparso nella storia” e il motore dei mutamenti che esso induce è dato dalla ricerca del profitto da parte dei capitalisti. Nella società moderna il mutamento è normale. Viene spiegata in riferimento alle contraddizioni del modo di produzione capitalistico che fanno esplodere la situazione in termini rivoluzionari e fanno sì che si passi da una società all’altra. L’attenzione si appunta non più sulle classi ma sul rapporto tra forze produttive e fonti di produzione. Per accogliere la concezione materialistica della storia si deve concepire che il capitalismo è condannato a morte non perché intrinsecamente ingiusto bensì per la stessa logica di funzionamento, cioè per il fatto che ad un certo punto certe contraddizioni del capitalismo esplodono e ciò fa venire meno la società capitalistica dando luogo al mutamento sociale. Queste contraddizioni sono tra lo sviluppo delle forze produttive (la ricchezza di una società) e i rapporti di produzione (proprietà privata, rapporti giuridici, politici). Questa contraddizione ha delle chiavi di spiegazione tramite delle crisi cicliche, crisi prodotte dal restringimento dei mercati, del meccanismo della concorrenza e la “legge della caduta del saggio medio di profitto”. Abbiamo le forze produttive che determinano i rapporti di produzione che a loro volta determinano tutte quelle sovrastrutture giuridiche e politiche. Inizialmente rapporti di produzione e forze produttive nascono e si sviluppano allo stesso modo; ad un certo punto le forze produttive iniziano a salire, evolvono mentre i rapporti di produzione rimangono stabili. Dunque esplode la rivoluzione, momento attraverso il quale si cerca di portare i rapporti di produzione al livello delle forze produttive. Il comunismo è per Marx un’altra forma di rapporti sociali che risolverà tale situazione. Una società comunista è una società nella quale i produttori, liberamente associati, si approprieranno collettivamente del frutto del proprio lavoro. Tutta la storia può essere letta secondo questa dinamica. La storia non è altro che un susseguirsi di rivoluzioni per fare in modo che i rapporti di produzione vegano costantemente riallineati alle forze produttive. Marx si chiede perché non si è passati direttamente dal feudalesimo al socialismo. Secondo lui l’umanità si pone sempre e solo i problemi che può risolvere. Solo quando le condizioni della loro soluzione esistono già è possibile il passaggio ad un altra società, non è possibile compiere dei salti. Gli attori per Marx vengono agiti dalla inesorabilità delle leggi economiche, il mutamento sociale è dominato dalle leggi. - Tema dell’alienazione= il problema dell’alienazione è stato ed è tutt’ora il problema fondamentale della modernità. Durkheim la chiamerà “anomia”, Weber “gabbia d’acciaio” e “disincantamento del mondo”. Si tratta di un disagio dell’uomo legato al mondo del lavoro. Alienazione è il risultante tra “alieno” (altro) e “azione”. Il concetto di alienazione ha a anche fare da un rendere altro, allontanare da sé. La trattazione dell’alienazione come allontanamento da sé si torva espressa per la prima volta in Hegel in relazione al rapporto tra l’uomo e il mondo 36 esterno, in particolare in relazione al modo con cui l’uomo conosce la realtà. Cioè a dire che se il soggetto conosce la realtà che ha di fronte in quanto la sua oggettività di trasfonde in essa, ciò vuol dire che quando il soggetto conosce, non fa altro che allontanare da sé la propria soggettività e immetterla, trasformarla nella realtà che gli sta attorno. Mentre conosce il mondo esterno, il soggetto si aliena nella realtà che conosce. Per Hegel è un processo di allontanamento di sé e della propria soggettività nella realtà circostante e quando ciò avviene il soggetto conosce. Ciò vale in qualsiasi realtà e per definire la storia come prodotto dell’uomo, natura che l’uomo ha trasformato con il suo lavoro. In Hegel l’alienazione non è affatto un incidente di percorso ma anzi un momento costitutivo e inevitabile della conoscenza e in definitiva di tutta l’attività umana. Una volta che la soggettività viene trasfusa nella realtà esterna, torna al soggetto sotto forma di intelligenza del processo storico. Gia Hegel era consapevole che il meccanismo di ritorno potesse ogni tanto incepparsi e dunque già stava intuendo che l’alienazione potesse avere a che fare con qualcosa di negativo. Tuttavia per Hegel l’alienazione rimane un fenomeno neutro e positivo perché attiene alla conoscenza, perché è un idealista, ciò che conta è il mondo delle idee e non il mondo empirico, concreto. È sufficiente la consapevolezza del processo. Per Marx l’alienazione (1) ha a che fare non già con la conoscenza in generale ma con il modo di produzione capitalistico. Alienazione nasce con il capitalismo. Non è un processo conoscitivo e non fa parte della modalità del conoscere, ma è un prodotto sgradevole ed evitabile del modo di produzione capitalistico. L’alienazione è un fatto storicamente determinato, che nasce con la società capitalistica. (2) L’alienazione è un problema da superare, cosa che avverrà con il superamento della società capitalistica e del modo di produzione. (3) Inoltre è un problema concreto; non dobbiamo far riferimento alle condizioni ideali del lavoro, ma reali, far riferimento. Ciò che accade nella prassi. Nella realtà accade che: il lavoro non è una attività libera, il proletariato è costretto a vendere la forza lavoro per vivere; il prodotto del suo lavoro non gli appartiene; nel frattempo accade che ‘operaio diventerà tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce e diventerà una merce esso stesso tanto più vile quanto più grande è la quantità di merce che produce. Marx dice “la svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose”. Secondo Hegel, l’oggetto è negazione del soggetto, ma tale negazione può essere superata con l’autocoscienza che riconosce l’oggetto come proprio prodotto e ne provoca una riappropriazione. Anche Marx la pensa così, che il lavoro umano è alienato, ma solamente nella condizione in cui vi è sfruttamento dell’uomo. Secondo lui Hegel non si accorge che non è il lavoro in generale a produrre alienazione, ma il lavoro in certe condizioni. Il lavoro è alienato quanto il soggetto che produce on ha il possesso del frutto del proprio lavoro. In certe condizioni il lavoro non è autorganizzazione ma negazione dell’uomo. La riappropriazione si avrà solo con la rivoluzione, con un’azione pratica. - Teoria dello Stato= lo Stato per Marx non può che essere l’apparato di dominio che serve alla borghesia per mantenere il potere. Lo Stato è una sovrastruttura. Non ci sono grandi teorizzazioni di Marx sulla fine dello Stato, così anche sulla dittatura del proletariato come periodo di transizione dopo la presa del potere da parte del proletariato. C’è una ragione che spiega il perché di ciò; a lui interessava più abolire lo Stato delle cose presenti e dunque definire il comunismo come il movimento che avrebbe abolito lo status quo. Possiamo 37 soggetti a reazioni emotive dettate dalla situazione. Quando si parla di società e cultura di massa si allude al processo di spersonalizzazione della società contemporanea che si realizza quando gli individui vero privati della loro peculiare identità e vedono eterodiretti o manipolati. - Per quanto concerne la folla si allude all’insieme di individui che pur mantenendo la propria individualità, rimanendo diversi gli uni dagli altri, nutrono un comune stato di iper-sensibilità, eccitazione che li porta a comportamenti diversi da quelli che avrebbero avuto se avessero agire da soli. Questa condizione è il prodotto di tre fattori: la vicinanza fisica, la legge dell’imitazione e particolari condizioni psichiche in cui la folla può venirsi a trovare. Nella folla mancano rapporti di interazione istituzionalizzati e quindi si parla di una categoria sociale in senso odierno e manca di qualsiasi rapporto gerarchico che possa avere una funzione di freno o controllo. Questi individui, a differenza di ciò che accade nella massa, sono compresenti fisicamente. Si trova al limite tra categoria sociale ed aggregato. 2) Aggregato= l’insieme di individui condivide lo stesso spazio fisico. L’aggregato si colloca in una posizione intermedia tra la categoria sociale che non presuppone la compresenza nello spazio fisico e il gruppo che invece generalmente condivide la compresenza nello spazio fisico ma in più ha anche relazioni fra i membri del gruppo. Tipici esempi di aggregato sono: (aggregato urbano) quartieri, circondari, tutte situazioni tipiche del trovarsi insieme ma in una situazione di anonimato ed estraneità. Se gli individui entrano in relazione tra loro, usciranno dalla condizione di estraneità e costituiranno qualcosa di diverso. Nell’aggregato domina il senso della totalità, l’insieme più che i singoli componenti o le relazione tra loro che non esistono. Si basa sul “trovarsi insieme” ma le persone rimangono estranee le une alle altre. Il contatto sociale è molto limitato sebbene la vicinanza fisica possa sembrare rilevante. Non è organizzato. La maggior parte degli aggregati ha carattere territoriale e provvisorio. Spesso evolvono in gruppi ma anche che i gruppi si dissolvano in aggregati. 3) Casta= quando una società è divisa in caste non c’è mobilità sociale (come in India) perché il criterio di questa differenziazione sociale è la nascita, dato immodificabile. La casta è fondata sulla nascita. A seconda di dove nasco vengo immediatamente collocato in una determinata casta. Presenta maggiori forme di chiusure nei confronti del mondo esterno. Dalla casta si può uscire solo con la perdita della casta. Anche con gli abiti si esibisce una determinata appartenenza, con il linguaggio o colore della pelle. La casta può essere definita come forma di organizzazione sociale dove gli individui ottengono per nascita un determinato status che li posiziona all’interno di un determinato strato sociale e quindi quello comporterà tutta una serie di prescrizioni rituali da compiere e funzioni sociali. Tra le forme dell’organizzazione sociale presenta la più totale chiusura nei confronti del mondo esterno. Le caste sono generalmente inserite in una rigida gerarchia ed esiste un legame di inter dipendenza economica. Il sistema delle caste è interessante anche perché si capisce la differenza tra una società articolata in caste e una più articolata in classi sociali o altre posizioni. In un sistema per caste ogni individuo appartiene ad una casta in virtù della nascita e non delle sue qualità personali. Nel sistema castale indiano si distinguono 4 tipi principali di caste: Bramini (casta dei sacerdoti), Kshatriya (guerrieri), Vaishya (mercanti), Shudra (contadini e impiegati). Ciascuna di esse si suddivide in tante altre sottocosto e nel 1900 erano 2300. Questo sistema di caste indiane risale probabilmente intorno al 1500 A.C allorché gli Arii conquistando l’idea si opposero alla cultura braidica. Nacquero per evidenziare la differenza tra queste due 40 popolazioni. Alcuni elementi del sistema delle casti ci sono anche in altre società: gli americani di origine africana, in passato nei rapporti con i bianchi, vivevano con una serie di limitazioni. 4) Ceto= si parla di ceto quando si fa riferimento allo stile di vita che unisce un insieme di individui, ad esempio per quanto concerne linguaggio o abbigliamento. Nel tempo accanto al ceto contadino ci sono stati anche ceto aristocratico di tipo feudale-militare, alta nobiltà, alto clero. Via via che le città si sono sviluppate al posto dei contadini abbiamo trovato anche artigiani e commercianti. Ad un ceto si appartiene per nascita anche se non sussistono ostacoli in linea di principio alla regressione nella gerarchia sociale. Ad oggi i gruppi sociali non sono uniti da una condizione economica ma da fattori di tipo sociale, professionale, psicologico che danno un forte elemento di comunanza ad esempio ceto burocratico, imprenditoriale, degli insegnanti, politico, dell’informazione, dei lavoratori e così via. 5) Classe sociale= secondo Duverger esistono tre modi per concepire la classe sociale: In Marx si allude alla posizione nel processo produttivo; la classe sociale definita dalla sociologia americana: le classi sono strati sociali intesi soprattutto come livelli di vita materiale e sentimenti di appartenenza ideali. Un’altra categoria di classe diventa sinonimo di categorie professionali. La classe sociale è un concetto intermedio tra categoria e gruppo. Non si può ridurre in categoria perché è qualcosa di più di una pura astrazione costruita dallo studioso; non è neppure gruppo perché mancano fini comuni determinati, un rapporto istituzionale di interazione fra i membri e una forma embrionale di organizzazione. È quindi una condizione perché include una possibilità potenziale di mutamento sociale. Non è una struttura ma una condizione creata dalla struttura. I membri di una classe si comportano l’uno nei confronti dell’altro diversamente da come si comportano nei confronti dei membri delle altre classi. Vi è un sentimento di eguaglianza verso i membri della propria classe; importante è la coscienza di classe. La classe è dunque la matrice dei gruppi i quali si costituiscono in relazione a determinate situazioni storiche e a determinati bisogni che percorrono la classe. Lo sviluppo della coscienza di class porta alla formazione di gruppi. I gruppi si fanno portatori degli interessi della classe, sentimenti e valori ma restano soggetti alle leggi generali che li governano. La cosiddetta “lotta di classe” è in realtà una lotta fra gruppi che rappresentano classi diverse. Gruppi sociali Parlare di gruppi può sembrare ovvio e molto semplice. Molti sociologi che si sono interessati a questo argomento lo considerano uno dei concetti più fondamentali della sociologia. Znaniecki nel 1954 ha parlato di sociologia come conoscenza dei gruppi. L’uomo è un essere sociale e porta indelebile il marchio del suo gruppo di appartenenza che può essere auto prodotto o trasferito da altri. La distribuzione della popolazione in gruppi sociali, la dimensione, caratteristiche di questi gruppi diventano gli aspetti fondamentali per cogliere la struttura di una società. La parola “gruppo” ha avuto origine intorno al 1700 nel mondo della pittura. Nel linguaggio corrente si è solito chiamare un insieme di uomini o oggetti. La sociologia usa questo termine in modo molto determinato. Le definizioni di gruppo sono state molto diverse nel corso del tempo e a seconda degli autori. Generalmente si definisce come un insieme di individui in reciproco 41 rapporto tra loro in quanto portatori di determinati interessi o valori comuni e la cui azione è rivolta al conseguimento di un comune fine. Una definizione completa di gruppo sociale deve tener conto delle sue caratteristiche: - Esistono relazioni definite tra gli individui che lo compongono. - Ogni individuo è cosciente di far parte del gruppo e ne condivide i simboli. Rappresenta un’unità sociale che deve essere identificabile dall’interno e dall’esterno; ha una struttura sociale perché ogni membro assume una posizione e ciascuno ha un proprio ruolo; una qualche forma di stratificazione è sempre presente. La realtà del gruppo consiste in rapporti reciproci fra gli individui che lo compongono e questi sono regolati da norme di comportamento che non per forza sono scritte. I membri sono uniti da determinati bisogni e valori comuni che si traducono nel fine che il gruppo persegue. Un gruppo deve avere continuità. Bisogna tener conto se il gruppo dal punto di vista di valori che lo uniscono è autonomo (portatore di interessi propri ed esclusivi) o rappresentativo (portatore di bisogni e interessi imputabile ad una più ampi collettività). In quest’ultimo caso il gruppo deve continuamente risolvere una profonda scissione interiore che deriva dal fatto di tendere per un verso all’autonomia e per l’altro di dover ricercare continuamente il consenso della matrice che lo ha prodotto. Le relazioni sociali tra gli individui che compongono un gruppo sono un elemento fondamentale. Si parla di rapporti reciproci e definiti e si tratta di rapporti sociali mossi da determinati bisogni e guidati da determinati valori comuni e che si possono tradurre nel fine o in una molteplicità di fini che il gruppo persegue. Non sempre bisogni ed interessi sono immediatamente individuabili e risolvibili. Può accadere che l’identificazione di questi bisogni, valori e finalità avvenga maggiormente in caso di conflitto che porti alla divisione del gruppo. Un conflitto di valore all’interno del gruppo esiste sempre e quanto più questo insieme di individui sarà gruppo, tanto più potrà esistere il conflitto. Questo conflitto diminuisce quando il gruppo è più impegnato in conflitti esterni. Il gruppo vive sempre una tensione piuttosto costitutiva ed inevitabile che si realizza dall’essere da un lato portatore di bisogni ed interessi propri ed esclusivi, peculiari del gruppi stesso, dall’altro di essere portatori di bisogni ed interessi imputabili alla collettività più ampia. Qualsiasi gruppo sarà sempre dotato di una serie di regole. Chi appartiene ad un gruppo codifica i suoi comportamenti. Oltre ad sistema di regole, un gruppo ha anche una struttura sociale. Ciascun individuo avrà una posizione diversa dagli altri membri, ma correlata ed avrà un proprio ruolo. Una qualche forma di stratificazione sociale è sempre presente anche nei raggruppamenti già piccoli ed informale ed anche nei gruppi che si professano più egualitari. Fondamentale è la coscienza di far parte del gruppo e la condivisione dei simboli che il gruppo può avere. Ciò può essere riassunto nell’espressione “sentimento di appartenenza al gruppo”. Non ci si può sentire parte di qualcosa se non si condivide una determinata identità, se i membri del gruppo non abbiano nemmeno una idea delle caratteristiche, dei motivi che attestino la loro appartenenza al gruppo in questione. Caratteristiche che possono essere diverse, come il modo di vestire che ad oggi segna molto l’appartenenza ad un gruppo. Il gruppo, per esistere, deve avere una certa continuità, una durata nel tempo a sua volta misurabile in certe unità temporali. 42 Secondo Cooley, i gruppi primari sono caratterizzati da un modo di vita rigidamente comunitario e sono contrassegnati da contatti personali immediati, relazioni faccia a faccia e ciò favorirebbe sentimenti di identificazione reciproca. I tratti del gruppo primario, secondo lui sarebbero: un numero ridotto di individui, interazioni regolari, dirette e fondamentalmente di tipo affettivo e forti sentimenti di identificazione collettiva. Mentre i gruppi secondari sarebbero caratterizzati da numeri ampi di individui, una comunicazione di tipo mediato e relazioni o processi razionali di scambio. È importante considerare che non tutti i gruppi che agiscono in modo diretto siano gruppi primari, ma lo sono solo quando le relazioni interne hanno natura prevalentemente o completamente emotiva. La funzione dei gruppi primari è coltivare i sentimenti attraverso le relazioni di tipo affettivo, quella dei gruppi secondari è coltivare gli interessi attraverso relazioni di tipo strumentale e neutro. - Gruppi secondari= fondati su rapporti più formali, relativamente anonimi che possono riguardare una parte della personalità molto più segmentata, quindi ruoli specifici, standardizzati e ordinati secondo una razionalità esterna. Trova il proprio fine all’esterno del gruppo stesso. Un gruppo di lavoro troverà la sua finalità in tutto ciò che c’è da fare, il fine è esterno. Generalmente coinvolge la personalità più in superficie, si presuppone che la personalità di base si sia già costituita e che le questioni sono solo accessorie. L’esistenza delle norme dipende dalle sanzioni, forme di controllo esterne. Si intendono sanzioni sia negative che positive che comprendono ricompense. Quando nelle società prevalgono i gruppi primari, queste assumono l’aspetto maggiore di comunità, prevale il carattere più conservatore, organico, solidaristico e collegato alla tradizione. Quando invece nelle formazioni sociali prevalgono i gruppi secondari, assomigliano di più alla società e il carattere è più associativo, meccanico, anonimo, industriale, tecnologico, dinamico. Anche il conflitto può essere diverso. Nei gruppi primari è tendenzialmente meno frequente e più elementare nel suo svolgersi ma con un’intensità molto più profonda ed evidente. Nei gruppi secondari sarà più frequente ma maggiormente canalizzato in forme istituzionali. I gruppi primari hanno perso nel corso del tempo la loro importanza come struttura fondamentale della coesione sociale e soprattutto va scomparendo la posizione centrale che i gruppi primari in passato avevano per le funzioni chiave della vita sociale (si pensi all’assistenza agli anziani). Questo cambiamento fa si che l’individui sia molto più libero dalle forme di pressione e controllo sociale che in passato vi erano quanto prevaleva il noi a svantaggio dell’io. L’individuo però sta pagando sempre questa maggiore indipendenza con l’anonimità e un più alto grado di etero dipendenza dal sistema mediatico e dal lavoro. Come si entra nel gruppo? Per nascita come nel gruppo familiare, casualmente, consapevolmente attraverso un’adesione e anche con la cooptazione, una chiamata da parte dei membri che fanno parte del gruppo e che reclutano il membro stesso. Sono significative le posizioni del singolo nel gruppo 3 esterne, 3 interne: - Indifferenza 45 - Una posizione di interesse ma mantenendo la propria identità ed estraneità (caso dello straniero, colui che resta legato al gruppo solo da una relazione temporanea). Lo straniero tende a mantenere il suo caratteristico stato di outsider, non cerca l’integrazione. Si realizza una rottura con il suo stile di vita. Svolge un’importante funzione innovativa e di comunicazione fra culture. Avvertiamo spaesamento quando vestiamo i panni dello straniero. Storicamente ha sempre investito un’importanza fondamentale in termini di comunicazione fra culture e per il mutamento sociale. Tanti autori classici hanno esaminato questa condizione. - Una posizione esterna accompagnata da interesse a far parte del gruppo. L’estraneo ha interesse a far parte del gruppo, non è mai venuto a contatto con esso. Ha una posizione particolare all’interno del gruppo e determina l’atteggiamento dei membri. Nei gruppi secondari non è mai intruso ma ha sempre un ruolo già codificato; nei primari l’integrazione è lenta e difficile. Le posizioni interne al gruppo possono essere accompagnate da forme di esclusione o emarginazione; partecipazione e identificazione; leadership e responsabilità rispetto all’azione di gruppo. Come si partecipa alla vita del gruppo? Secondo Simmel in ogni tipo di interazione e relazione ogni individuo partecipa soltanto con un quantum di personalità propria, con una parte circoscritta. Secondo lui persino le più compiute unioni, ad esempio nel matrimonio si dovrà dire che non si è mai sposati completamente. Si dovrà capire quanto è grande questa fetta di personalità che entra nella relazione sociale. Sono state queste considerazioni a consentire a Simmel di tracciare la legge sul dominio nei gruppi. Il gruppo potrà essere dominato da un singolo tanto più rapidamente e radicalmente quanto più piccola sarà la parte di personalità con la quale l’individuo entra in relazione. Quanto più grande è il gruppo al quale si appartiene tanto più piccolo sarà il raggio di pensieri, interessi, particolarità che potranno essere condivisi. Il ciclo di vita di un gruppo si distingue per una fase di formazione, ascesa del gruppo nella quale acquista coscienza dei propri bisogni di cui è portatore e dei fini verso i quali tende la propria azione. Il gruppo è dominato da credenti. Poi c’è la fase del dominio, controllata dagli speculatori che si occupano di trarre il maggior profitto delle posizioni raggiunte dal gruppo. Nella fase di decadenza il dominio è degli oligarchi che devono affrontare la crisi di fiducia e di consenso nell’azione del gruppo. Durkheim Ci sono studiosi che passano la storia non solo per ciò che hanno detto ma anche per ciò che hanno rappresentato per la disciplina e Durkheim è uno di questi. Un primo aspetto da chiarire è dunque come lo collochiamo rispetto alla sociologia e qual’è stato il suo ruolo per la conoscenza sociologica. Due aspetti possono essere colti: - limitazione dell’oggetto, è il primo autore che si pone esplicitamente il problema dell’oggetto della sociologia. È il primo a credere che la sociologia sia e sarà possibile nella misura in cui abbia il proprio oggetto conoscitivo, una realtà da indagare che non ricada nel dominio delle 46 altre scienze. Chiameremo l’oggetto “fatti sociali”. Si porranno su questa scia anche altri sociologi, autori come Simmel (dirà che oggetto della sociologia sono le relazioni sociali e le forme culturali a cui le relazioni sociali danno luogo) Weber (l’oggetto della sociologia è il mondo del senso e del significato). È proprio la limitazione dell’oggetto che permette al tempo di datare la data di nascita della sociologia. Allora l’importanza di pensatori come Comte, Spencer, Marx (definiti precursori della disciplina) resta centrale ma bisogna capire che differenza c’è tra queste due diverse generazioni di sociologi. Per la prima generazione di sociologi, dietro la loro sociologia vi era una vera e propria filosofia della storia, una visione del mondo che costruiva una sorta di filosofia dei tempi che cercava di spiegare come le cose fossero andate dalle origini della storia dell’umanità fino ad arrivare a quei giorni. Ogni fenomeno era ricondotto a un qualcosa che spiegasse il mondo. Nella seconda generazione, la sociologia continua ad avere la pretesa di spiegare ogni fenomeno sociale ma senza ricondurlo ad un unico principio o elemento di spiegazione e ciò non significa sostenere che la storia stia andando in una certa direzione. La sociologia nasce nel momento in cui si rinuncia ad una visione totalizzante della realtà. - Il metodo con cui si inizia ad indagare deve essere interno e specifico alla disciplina. La sociologia si pone il problema di avere un suo proprio metodo (non come Comte che si basava sul metodo delle scienze naturali o Marx dove abbiamo un metodo che nasce dall’economia poi viene traslato in ambito sociale). Abbiamo visto che Marx non si definiva un sociologo, in questo caso invece il programma di Durkheim è fondare la sociologia. Era un professore universitario che visse senza grandi scosse la sua vita, a parte la morte del figlio durante la prima guerra mondiale. Ebbe forte impegno nel battersi per l’affermazione della disciplina in ambito accademico. Ebbe tendenza la pragmatismo, concretezza. Era convinto che la Francia del suo tempo avesse bisogno di un impegno molto più attivo da parte degli intellettuali del tempo volto sopratutto a risolvere le grandi contraddizioni in cui si batteva il suo paese. Quando parla di intellettuali non pensa ai “filosofi inconcludenti astratti” bensì a uomini con una grande base scientifica. Diverse vicende personali lo portarono in Germania. Non rimase affatto colpito dalla filosofia tedesca, ma fu attratto da altre scienze come politica, storia, economia, diritto dove diceva che la ricerca empirica era praticata con maggior profitto. A colpirlo della Germania furono 3 aspetti principali: il senso comunitario della società tedesca, cioè la coesione che animava la Germania, il senso innato della vita collettiva e le forze che la tenevano unita e che facevano sentire l’individuo come parte integrante della società al punto che “l’individuo poteva dirsi evaso dalla società in tutti i modi e da tutte le parti e al punto che isolarsi o astrarsi dalla società significava per l’individuo una vera e propria diminuito”. Questo aspetto ci fa capire come egli inizi a formulare la sua critica all’individualismo, la società non può esaurirsi nell’incontro tra interessi o in una forma superficiale di associazione degli interessi; secondo aspetto è la centralità per i tedeschi del tutto rispetto alle parti che la compongono. Questo lo porta ad individuare un terzo elemento che diventerà centrale nella sua analisi: “relativismo morale”, cioè non solo la società è un tutto ma possiede anche un’anima, una coscienza sociale. Queste coscienze sociali strano tante quanti sono i tipi di società. Il concetto di morale inizia a perdere la sua valenza di assoluto che aveva avuto fino a questo momento. Ogni società può 47 Colto nelle sue forme elementari. Quando nelle scienze sociali utilizziamo il termine “spiegazione” vuol dire che stiamo cercando le cause del fenomeno e le funzioni. Durkheim è considerato precursore del funzionalismo. Secondo l’autore le forme elementari di un fatto sociale sono più vicine alla funzione sociale per cui quel determinato fatto è nato e quindi ci permette più facilmente di scoprire le cause storiche della sua nascita. Se voglio studiare un fatto sociale devo andare in dietro nel tempo, cercare un fatto simile, nella sua forma più elementare. Le norme morali non hanno più un valore assoluto che potevano contenere nel momento in cui venivano ricondotte alle religione, ma non sono altro che la media dei comportamenti. Il normale e il patologico sono relativi. Ciò che oggi nella società può essere nocivo per l’odine sociale per un’altra società può essere essenziale per il mantenimento della coesione. La società è una realtà Sui generis, superiore alla vita dei suoi membri; nelle norme morali, costumi e credenze religiose la società “parla” e la sua voce si impone ai suoi membri. Affronta il tema del mutamento sociale. Problema che affronta nell’opera La divisione del lavoro sociale, sua tesi di dottorato. Se volessimo individuare le preoccupazioni principali che cerca di soddisfare in quest’opera dovremmo riassumerli in: - Rapporto individuo/società - Ordine sociale che da una parte è connaturato alla società dall’altro era consapevole che l’ordine sociale della società del suo tempo era messo fortemente in discussione. - Mutamento sociale Parlare di rapporto individuo/società e di mutamento sociale significa in realtà parlare dell’ordine sociale. In quel momento l’ordine sociale era un problema questo perché c’era grande cambiamento, trasformazione nel senso dell’affermazione della società moderna. Durkheim si trova a scrivere in un’epoca che giudicava il conflitto non solo come inevitabile ma anche come positivo e motore della storia (Marx). Al contrario egli non pensa affatto che il conflitto sia il motivo della storia e non lo considera inevitabile, al contrario pensa di poterlo ricomporre dove dovesse patologicamente verificarsi. Tuttavia non condivide le posizioni di Comte sulla religione o sulla famiglia. Comte aveva detto che il conflitto sarebbe stato ricomposto grazie al processo scientifico, ma anche grazie alla famiglia e alla religione dell’umanità. Durkheim vede semmai tutta la crisi sia della religione quale essa sia e della famiglia. Per lui l’ordine era un problema nel senso che lo stesso non andava restaurato quanto invece fondato, nel senso che non bisognava redimere i conflitti sociali sul lavoro ma risolverli ed appianarli completamente. La parola chiave che per Durkheim risponde alla domanda “com’è possibile l’ordine sociale?” questa è “solidarietà” che sta per coesione, integrazione sociale. Il nemico principale della solidarietà è l’individualismo (frammentazione più estrema del sociale) inteso come egoismo, egotismo, come cultura dell’ego che stava emergendo al momento che si è mantenuto ipertrofico. La lotta che egli ingaggia in nome dell’olismo e contro l’individualismo non è soltanto una lotta metodologica ma anche politica e sociale. Ciò significa che per lui l’olos, il tutto che chiamiamo società non solo si impone all’individuo ma è anche una lotta volta a far si che questa dimensione totale della società riuscisse ad imporsi sugli individui nonostante le 50 derive contrarie. Infine il problema dell’ordine sociale è anche espressione della scelta antiriduzionistica ma in particolare nei termini economici di Marx. Non si poteva trovare la spiegazione dei fatti sociali al di fuori del sociale. L’obiettivo dell’opera era quindi spiegare la natura del fatto sociale che chiamiamo solidarietà, perché manchi e come vada ripristinata. Distingue due tipi di solidarietà, che si differenziano a seconda del grado di complessità delle società: - Solidarietà meccanica= tipica di società semplici, omogenee. La divisione del lavoro sociale è scarsa, c’è una scarsa articolazione di funzioni. La religione è molto semplice ma anche molto forte, sentita e il più delle volte anche totemica ed animistica. Il diritto è tendenzialmente repressivo, punitivo cioè volto a soddisfare la coscienza collettiva (il noi) lì dove dovesse venire offesa dal trasgressore punendo il colpevole. Chi commette un atto di devianza rispetto alle norme offende la collettività dunque deve essere punito. Si definisce a solidarietà meccanica perché fortemente integrata sia perché gli esseri umani sono intercambiabili nelle loro funzioni, sia perché la religione così come tutte le pratiche e i divieti che la religione può esprimere sono la risultante di un continuo scambio di interazioni simboliche che permettono l’esistenza collettiva che non dà spazio alla coscienza individuale. Per Durkheim la coscienza individuale è possibile lì dove sono possibili differenti interpretazioni della realtà che sono a loro volta possibili o dove il cemento che tiene insieme la società è molto astratto o dove forte è la divisione del lavoro. Se queste condizioni non si realizzano, la coscienza individuale resta circoscritta e la condizione è quella dell’integrazione. In questa società religione e cultura sono molto concrete dunque non c’è spazio per interpretazioni soggettive, colonizzano una coscienza collettiva molto più forte di quella individuale e questa situazione deriva anche dal fatto che la divisione del lavoro è scarsa. - Solidarietà organica= è una situazione del tutto differente. Tipica delle società complesse con ampia e articolata divisione del lavoro. Composto da tante persone strettamente legate fra di loro ma ognuna con una determinata funzione. È a forte divisione del lavoro dove domina una religione molto più astratta e secolarizzata se non addirittura abbiamo una situazione di ateismo; con diverse visioni del mondo legate proprio a questa diversa differenziazione sociale che inevitabilmente abbassa la possibilità di identificazione del gruppo e compromette l’integrazione. Quest’estrema divisione del lavoro e specializzazione funzionale rende impossibile la sopravvivenza al di fuori della società perché le parti non sono tra loro strettamente connesse ma sono anche estremamente indispensabili le une dalle altre. Ogni parte dipende dall’intero che chiamiamo società. In questa società ciò che si teme non è tanto la trasgressione delle regole in sé ma il fatto che quella trasgressione comprometta l’equilibrio generale del sistema; non è tanto un’offesa al noi. È una concezione non più punitiva ma contrattualistica del diritto dove questo sarà restitutivo ovvero volto a ripristinare il corretto funzionamento delle cose. Questa società non si basa sull’integrazione ma sul consenso tra le coscienze individuali. Al decrescere della coscienza collettiva cresce la coscienza individuale, situazione tipica della società moderna. L’individuo emerge dai canoni del gruppi dunque prevalgono i bisogni dei singoli ai danni della società. Prevalendo l’individuo prevale non tanto individualità ma sempre di 51 più l’individualismo. Questa situazione è del tutto opposta a quelle delle società pre-moderne dove prevale il noi. Nella società a solidarietà meccanica, l’ordine in qualche modo si impone da sé. Si parla di meccanico perché è come se si trattasse di un’aggregazione meccanica delle cellule. Nella società a solidarietà organica, non c’è più un’aggregazione meccanica e integrata ma dipende dal consenso, dalla consapevolezza dei singoli circa la propria reciproca dipendenza. È da questa consapevolezza che gli invidiai danno il consenso allo stare insieme. Durkheim ci vuole dire che oggi le società si tengono in piedi perché c’è un interesse da parte di ogni singolo individuo di rimanere nella società e che l’altro individuo svolga la propria funzione. Questo concetto d’interesse è anche molto pericoloso perché è fugace e allora egli si chiede: “è possibile un ordine sociale basato solo sugli interessi reciproci dei singoli?” Risponderà di no. La convivenza deve affondare le proprie radici in qualcosa di solido. Una forte integrazione sociale deve sempre sottendere la solidarietà meccanica. Il passaggio dalla solidarietà meccanica a quella organica si realizza attraverso la divisione del lavoro sociale che nasce perché si accrescono le dimensioni materiali della società e quindi anche i bisogni e la specializzazione diventa la risposta più efficiente. La divisione del lavoro non è stata una scelta ma inevitabile e funzionale. Accresce la consapevolezza del fatto che le parti sono indipendenti le une dalle altre. Durkheim ha notato conflitti, lotti, rivoluzioni, disordini dunque come risolve questo punto? La risposta è che non sempre la divisione del lavoro genera solidarietà, ci possono essere casi in cui ciò non avviene, casi patologici che vanno curati e risolti. La divisione del lavoro non genera solidarietà quando è malata. Quando? Ci sono due patologie fondamentali: quando la divisione del lavoro è atomica oppure coercitiva. Quella atomica è l’alienazione di Marx, egli vuole alludere alla solitudine dell’individuo tipico della società moderna dovuta all’allentamento dei legami sociali che si produce con l’industrializzazione e proprio a causa della specializzazione funzionale che crea tante realtà isolate. La divisione coercitiva del lavoro si ha quando gli individui occupano dei posti non corrispondenti alle loro facoltà. Egli pensa che deve essere organica anche la distribuzione delle risorse. Cosa potrebbe contrastare questa deriva? Pensava che lo Stato potesse intervenire solo in situazioni particolari, nemmeno un’istruzione generale poteva farlo. La soluzione sono le norme che regolino la meritocrazia, regolamentazioni dei conflitti del lavoro. Per lui uguaglianza e giustizia sociale sono alla base della solidarietà organica, dunque funzionali alla società ma erano assenti nella società del suo tempo. Vi è un terzo tipo di solidarietà: solidarietà dei raggruppamenti professionali. È una solidarietà di difesa ma senza scambio di prestazioni e dove non c’è una complementarità dei compiti tipica di quella organica ma si basa su una comunanza di condizioni. Una sorta di solidarietà di classe che Durkheim vorrebbe sottrarre alla cultura del conflitto tipica della concezione marxista e istituzionalizzare come luogo di produzione del consenso attraverso le corporazioni. Sarà costretto ad abbandonare l’idea che la solidarietà organica sia facile da raggiungere. Il suicidio 52 Il fenomeno religioso dobbiamo spiegarlo sociologicamente, a lui non interessa porsi domande se Dio esiste o meno, sono problemi teologici. “si chiede: “cos’è una scienza la cui principale scoperta consiste nel far sparire l’oggetto stesso di cui tratta?” “Qual’è la funzione sociale della religione?” La religione con i suoi riti e credenze serve a rinsaldare la coesione del gruppo. Nel secondo libro di quest’opera sostiene anche che da queste rappresentazioni collettive che chiamiamo religione abbiamo tratto nel corso della storia le categorie concettuali, i punti di riferimento fondamentali per orientarci nella realtà quotidiana ed in particolare secondo lui queste categorie sono quelle di noi loro, prima e dopo, nord e sud, tutte classificazioni della realtà che originariamente furono create dal pensiero religioso a sua volta manifestazione, espressione della società. Queste categorie non sono dell’intelletto (come diceva Aristotele) e non sono nemmeno dall’origine innata (come diceva Immanuel Kant) ma sono delle categorie sociali che trovano nella religione uno dei suoi più compiuti canali di espressione. Per lui le rappresentazioni religioni sono rappresentazioni collettive, esprimono realtà collettive. In Durkheim la religione altro non è che la forza della società trasfigurata che ognuno di noi sente sopra e dentro di sé. Ciò che resta da osservare è un paradosso insito nel suo ragionamento: riconosce l’importanza della religione per il fondamento della morale ma sviluppa una critica scientifica delle religioni. Nell’introduzione a Le forme elementari della vita religiosa constata infine che la teoria della conoscenza proposta dai filosofi si polarizza in due posizioni: da un lato vi è come gli empiristi chi ritiene che la conoscenza si sviluppi dalle sensazioni che vengono sistematizzate nel corso dell’esperienza; dall’altro vi è chi come Kant ritiene che la conoscenza nasca dall’incontro dei dati sensoriali con un apparato intellettuale, categorie dell’intelletto innate e universali. Durkheim si ritrova d’accordo con quest’ultimo pensiero. Afferma che i modi in cui conosciamo il mondo hanno origine sociale. Attorno alla rivista L’Année sociologique raccolse molti collaboratori e discepoli, ricordiamo Halbwatchs e Mauss. Il primo commento la ricerca sul suicidio sviluppando attenzione alle forme concrete della società contemporanea. Affermava che la memoria collettiva è elemento costitutivo dell’identità di ogni gruppo, fattore della sua coesione. Tuttavia le immagini che conserva la memoria sono interpretazioni del passato influenzate dal presente. Mauss influenzerà molto l’antropologia. Egli studiò le modalità di scambio fra clan in alcune tribù, il potlac, cioè uno scambio di doni dove il donare meno dell’altro è disonorevole. Ciò ha anche valore economico e costituisce “fatto sociale totale”, il surplus della produzione di ciascun gruppo viene in parte consumato, in parte scambiato realizzando così una transazione economicamente funzionale. 55 Le istituzioni L’individuo entra in relazione con l’altro e costituisce società con lui per dare soddisfazione a gran parte di quei bisogni che possono essere soddisfatti attraverso la vita di relazione, ma la convivenza è solo possibile in quanto si stabiliscono regole comuni che ciascuno intende rispettare, si pongono dei limiti all’agire individuale, si adottano convenzioni che stabilizzano i rapporti di interazione. Non esiste una definizione univoca di istituzione ma possiamo intenderla fondamentalmente come una configurazione, combinazione di modelli di comportamento e quindi anche di ruoli, rapporti sociali comuni ad un certo numero di individui e che tendono al soddisfacimento di uno o più bisogni fondamentali. Le istituzioni sono costituite prevalentemente da regole comuni, norme che gli attori che agiscono all’interno di questo quadro istituzionale devono rispettare. Sono quindi costituite da limiti dell’agire, convenzioni che hanno la funzione di stabilizzare le relazioni sociali. Le istituzioni sono quindi dei vincoli che limitano la liberà individuale ma al tempo stesso possono porsi anche come la più grande opportunità che si abbia per fare società e quindi anche per acquisire dalla società tutto ciò che la stessa ci può dare. Le istituzioni quindi sono il sistema di regole socialmente sanzionate a cui gli individui sono chiamati a conformarsi. Esercitano il loro potere sugli individui influenzandone il comportamento. Questa pressione delle istituzioni sull’individualità è recepita in maniera diversa a seconda del grado di coesione o tensione esistente fra individuo e istituzione. Più forte è la pressione da parte delle istituzioni perché comportamenti vi si conformino più forte sarà la spinta dell’individualità a sottrarsi a questi vincoli, vi è un rapporto dialettico tra istituzioni e individui. La costituzione più tipica e costitutiva delle società è data proprio dal rapporto da individuale e sociale che si manifesta anche nelle istituzioni. Che cosa produce l’istituzione per la realizzazione dell’individuo? Diciamo che ogni istituzione soddisfa le pulsioni dei bisogni e questi si soddisfano in istituzioni primarie le quali producono un nuovo tipo di bisogni consequenziali i quali verranno soddisfatti in nuove istituzioni di secondo grado e così via. Così si sviluppa una gerarchia di bisogni ed istituzioni. Questo schema fornito da Malinowski spiega il processo di sviluppo delle società e in particolare delle società moderne. È bene tenere presente che così come non riusciremmo mai a disciplinare in tutto il comportamento individuale, dunque sempre una parte di questo tenderà a sfuggire dal sociale, così non potremmo mai rappresentare tutta la realtà del sociale attraverso il concetto di istituzioni. Questa è una delle ragioni fondamentali per cui la maggior parte dei sociologi non ritiene che la società possa essere tradotta attraverso il concetto di sistema sociale. Se parliamo di sistema sociale stiamo dando una lettura è più istituzionalista della società, ma c’è tutta una parte che è a-istituzionale o anti-istituzionale e che pure costituirà la compagine del sociale. Generalmente si distinguono, distinzione che dipende da caratteristiche essenziali come l’estensione di una istituzione, quanto è diffusa in una società o tra più società, la sua insopprimibilità, la sua rilevanza. - Istituzioni principali= sono poche ma coinvolgono un gran numero di individui. Hanno importanza vitale per la città e hanno grande rilevanza sia per l’individuo sia per la società; ce 56 ne sarà sempre una più importante delle altre che rappresenti in maniera ideal-tipica la cultura di riferimento. Ad esempio nella cultura romana l’istituzione politica era la dominante. Ciò si ripercuote sui ruoli degli individui, ad esempio l’identità dell’occidentale è data dal lavoro che svolge. Sono quelle nelle quali e attraverso le quali si manifesta maggiormente il potere delle classi che occupano posizioni più elevate nella stratificazione sociale. Sono quelle che corrispondo a funzioni vitali della vita collettiva la quale non potrebbe svolgersi senza di esse. Sono: la famiglia che è l’istituzione meno sociale che è contrassegnata da altri tratti di intimità dunque più difficilmente la società riesce ad entrare in essa. Diversi sono stati i cambiamenti dall’avvento della modernità ad oggi che hanno contrassegnato questa istituzione. Gli studiosi tendono a differenziare: famiglia borghese, operaia, dei piccoli imprenditori, della nuova classe media; istituzione scolastica che completa il processo di educazione e istruzione cominciate dalla famiglia e svolgono un ruolo fondamentale per la disciplina che sarà importante nella società più allargata; istituzione economica che comprende tutti i processi necessari alla produzione, scambio di beni e servizi e nelle società contemporanee è l’istituzione centrale. Rappresenta al meglio di ogni altra il potere e la sua distribuzione. La forza del potere è accentuata con le forti concentrazioni economiche; istituzione politica che soddisfa i bisogni di rappresentazione, amministrazione, ordine di una società. I fini sono rappresentati dallo Stato attraverso i partiti politici che si contendono il consenso dei cittadini per ottenere l’investitura della rappresentanza e realizzare il progetto di società che è loro proprio. L’esigenza di amministrare è soddisfatta dalla burocrazia che altro non è che “l’apparato amministrativo tipico del potere legale” (Weber); istituzione religiosa che ha funzione di istituzionalizzare le credenze e risponde alla necessità dell’uomo di stabilire un rapporto con Dio. La chiesa è l’istituzione religiosa più complessa che riunisce il gruppo di credenti ad una stratificazione gerarchica, ad un sistema di leggi e ad una burocrazia; istituzione del tempo libero e dello svago. Soddisfa l’esigenza di distensione e di ritemprare e ricostruire le forze fisiche e spirituali. Una posizione particolare occupano le istituzioni della comunicazione di massa. - Istituzioni secondarie= sono numerose ma hanno estensione limitata e funzionano all’interno delle istituzioni principali. Possono essere diverse da cultura a cultura. Differenze tra istituzione/ gruppo= la stessa identica realtà può essere rappresentata da entrambi. L’istituzione è il disegno ideale di un gruppo mentre questo è la realizzazione concreta di una determinata istituzione. Sarà proprio l’atteggiamento del gruppo a determinare la sopravvivenza o decadenza di una istituzione; quando una istituzione perde di significato è quando i gruppi che ne fanno parte non si identificano più nell’idea alla sua base o non credono più negli strumenti che questa ha messo a disposizione per seguire determinati fini o soddisfare determinati bisogni. Parlando della famiglia posso intenderla come istituzione se mi riferisco all’apparato normativo, dei ruoli e rapporti che la definiscono in una determinata cultura, o come gruppo se mi riferisco alla realizzazione concreta che in un certo momento storico l’istituzione famiglia incontra nella società. Le istituzioni svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione della vita collettiva. Tutte le istituzioni, per quanto autonome possano essere, sono sempre inter dipendenti tra loro. Tutte si orientano in base a quella centrale, e l’inter dipendenza tra queste si fa un problema nel momento in cui le stesse rivolgano agli individui delle aspettative discostanti. 57 Si parla al riguardo di “legge del risultato” dove l'individuo di volta in volta dalla correlazione tentativo-errore e tentativo-successo apprende, pratica e tende a riprodurre quei comportamenti dai quali è prevedibile attendersi una ricompensa. Dalla ripetizione può nascere il modello di comportamento ma anche la sua devianza perché via via che un’azione viene rafforzata dalla sua ripetizione diventa un’abitudine che se da un lato alleggerisce psicologicamente colui che agisce dall’altro gli fa perdere di vista i tratti del comportamento stesso e le motivazioni originarie che lo avevano fatto comportare in un certo modo. L’attenzione del sociologo si concentrerà sui modelli di comportamento nomotetici, cioè quelli uniformi e generalmente validi che sono comuni a molti individui rispetto ad abitudini di uno o pochi individui che sanno per la sociologia di nulla importanza. I modelli di comportamento che interessano alla sociologia sono quelli dati dalle azioni sociali osservabili e quindi anche misurabili, ripetute, comuni a molti individui e aventi un rilevante significato sociale connesso al meccanismo dell’aspettativa di comportamento e della sanzione. Alcuni modelli di comportamento potranno essere considerati più rilevanti di altri e generalmente il grado di rilevanza sociale è dato almeno da tre elementi: - Diffusione - Obbligatorietà, misura in cui la società associa delle aspettative e quindi conseguenze; - Valore sociale, rapporto che ha con la soddisfazione di un determinato bisogno. Distinguiamo dalla rilevanza, l’intensità, termine con cui si intende la forza di disciplina di certi comportamenti. L’intensità varia dal punto di vista storico, dell’epoca ma anche rispetto allo spazio sia inteso come fisico che sociale e simbolico. Sul piano dello spazio fisico va da sé che ci sono zone dove ci si avvicina o meno a modelli di comportamento. In termini di spazio sociale va da sé che la stratificazione sociale avrà un’importanza per i modelli di comportamento, dunque alcune norme saranno seguite di più da certe classi. Variando l’intensità delle norme di comportamento varieranno anche i casi di devianza e conflitto. Generalmente l’intensità varia anche a seconda del tipo di norma, ma quali che siano le motivazione per il cambiamento dei modelli di comportamenti, in sociologia si è soliti distinguere tre gruppi di modelli di comportamento: - Costumi= comprendono tutte le norme regolatrici e di controllo di una società e rappresentano il suo codice morale. Sono forze che spingono verso l’integrazione e comprendono soprattutto i metri di valutazione consolidati nel tempo e che per questo riescono a disciplinare maggiormente anche gli aspetti più specifici del quotidiano. Sono modelli ordinativi non scritti ma non per questo meno vincolanti, sono altamente operativi e la loro osservazione viene ogni volta sanzionata dall’opinione pubblica. Rispetto al singolo individuo può presentarsi o come forza sopraffattrice o come una grammatica dell’azione ma in realtà il costume si troverà sempre in una situazione di tensione tra la costrizione e la protezione dell’individuo. Se da un lato il costume tende a costringere gli individui, limitandone la libertà individuale, dall’altro li protegge anche dal peso delle decisioni. L’efficacia del costume sarà tanto più incisivo quanto più i rapporti sociali saranno stabili. La stabilità non è solo effetto del costume ma anche una premessa fondamentale della loro esistenza. 60 - Usi= norme di comportamento diffuse in piccole comunità a livello di manifestazioni ripetute e consolidate nel tempo ma non sono fortemente interiorizzate e sono relativamente poco vincolanti. - Abitudini= riguardano l’intero contesto socio-culturali, per questo motivo si affiancano ai costumi ma come gli usi sono meno vincolanti. Nelle società moderne molto più centrale è l’insieme dei modelli di comportamento che chiamiamo “moda”. Non interessa solo la foggia del vestire ma di tutte le manifestazioni della vita nel loro insieme e quindi anche linguaggio, modo di nutrirsi di abitare…e assomiglia molto al costume. Mentre nel caso del costume prevale l’elemento della tradizione, in questo caso prevale molto di più il mutamento. Dunque nella moda, a differenza di quanto accade nei costumi il grado di interiorizzazione delle norme è più scarso e durerà per un tempo molto più breve per quanto possa essere molto più diffuso. Il comportamento diviene moda quando risulta praticato per breve tempo ma da una elevata percentuale di popolazione di un sistema sociale. La moda diventa grande incentivo del processo di socializzazione, fluidificando la comunicazione e impedendo forme di isolamento sociale dell’individuo. Rappresenta una delle forme sociali più rilevanti di controllo sociale indiretto. Chi segue i modelli di comportamento? Da tutti coloro che vincono in un ambiente socio-culturale che riceveranno gli stessi orientamenti, degli strumenti, atteggiamenti generalmente validi o considerati tali, strutturati e regolari che serviranno da quadro di riferimento per agire in maniera socialmente accettabile. Da questi modelli gli individui riceveranno soprattutto l’indicazione di ciò che è socialmente permesso o vietato. Chi stabilisce ciò? I valori all’interno di una determinata società, le norme che traducono quei valori, le istituzioni che fisseranno quei valori e norme stabilizzandole e assicurando regolarità e certezza ai rapporti di interazione. Quanto dura un modello di comportamento? Fintanto che gli individui ripeteranno in forma adeguata gli stessi atteggiamenti, reazioni e modi di comportarsi. Egli dovrebbe continuare a farlo perché non ha scelta, perché costituiscono la strada migliore per soddisfare i propri bisogni. Se l’individuo vuole farsi capire dagli altri non deve far altro che conformarsi ad un sistema normativo e valoriale. Non ha scelta anche perché dal primo momento in cui viene al mondo, l’individuo viene socializzato a certe norme e regole che gli appariranno dunque come normali, inevitabili. Weber parlerà di azione sociale come comportamento orientato al comportamento degli altri. Dirà che l’azione sociale è sempre un’azione dotata di senso che è sempre costruito ed orientato in base all’altro. Quanto ci si conforma? Malgrado la tendenza della persona alla socialità e i comportamenti sociali siano per definizione stabili, ogni individui tenderà inevitabilmente anche a personalizzare i modelli di comportamento appresi fin dal primo momento in cui li interiorizza. Se parliamo di interiorizzazione dobbiamo anche tenere presente che non sempre scatta; possiamo avere un modello di comportamento che viene rifiutato o appreso ma non interiorizzato, condizione frequente che ostacola la riproduzione del modello di comportamento perché quando ciò accade diventano un fatto esterno all’individuo. 61 Quando la norma comincia a diventare un fatto esterno all’individuo, questo tende a contrapporre a questa un modello latente, nascosto di comportamento attraverso il quale eseguire lo stesso fine o un fine diverso. Sia nella tendenza alla conformità al modello di comportamento che in quella della personalizzazione, l’azione sociale di ogni individuo è ben lontana dall’essere perfettamente razionale, questo perché la persona non è affatto quell’essere solo razionale e perché spesso siamo anche esseri irrazionali e capaci di azioni non logiche o illogiche (Pareto) e qualora lo fosse ci sarebbero comunque difficoltà oggettive insuperabili a poter controllare tutte le variabili dalle quali può dipendere il suo comportamento. Non sempre gli attori sono consapevoli delle loro azioni, il più delle volte si illudono di conoscere se stessi, le proprie azioni, i fini verso cui tendono quando in realtà il più delle volte non è così. Il sociologo deve spiegare certi comportamenti anche il concetto di latenza come nel caso di interessi latenti, conflitto latente… o a fare riferimento ad altre discipline come la psicologia, psicoanalisi… Regolare il comportamento esterno non significa regolarlo anche all’interno, cioè sul piano di pensieri e sentimenti. Ciò costituisce una difficoltà di osservazione e spiegazione dei comportamenti sociali. Il sociologo può osservare al massimo le forme esterne. Dobbiamo sempre distinguere tra comportamenti ideali e reali, ovvero tra quelli che il sistema sociale pretende che vengano osservati e che corrispondo alle aspettative comuni e quelli che verranno difetto seguiti dai membri di un determinato sistema sociale. In ogni società c’è una spaccatura tra i due che aumenta quanto più aumenta individualismo; dunque c’è sempre un certo grado di devianza del comportamento reale rispetto a quello ideale. Ruolo La persona sociale acquista fisionomie diverse a seconda dei fini e dei contenuti dell’azione che essa intraprende, quindi l’insieme delle aspettative reciproche si polarizza in un sistema di ruoli. Il ruolo ha un importante funzione di collegare almeno tre ambiti: società, cultura e azione. Il concetto di ruolo nella storia del pensiero sociologico ha trovato varie spiegazioni: è stato definito in maniera chiara da Simmel ma è stato anche ripreso da Mead ma lo ritroveremo anche negli autori della sociologia della vita quotidiana. Il ruolo indica un insieme di comportamenti istituzionalizzati orientati verso una determinata finalità. Cosa vuol dire comportamenti istituzionalizzati? Comportamenti regolati, normati, disciplinati dalle istituzioni in vista della realizzazione di determinati fini. Il ruolo è quindi il personaggio/attore sociale, cioè attraverso i ruoli l’individuo indossa i panni del personaggio e vive i rapporti di interazione all’interno del gruppo attraverso quel determinato repertorio di azione messo a disposizione dalla società per rappresentare un determinato ruolo. Per l’individuo Il ruolo è quindi l’abito che indossa, si tratta di panni che l’ambito e il sistema culturale ha messo a disposizione dell’individuo che gli permettono di essere visto e valutato dagli altri. 62 Per gestire questi conflitti, si cerca di discendere le prescrizioni di ruolo dalle esigenze etiche, c’è un coinvolgimento personale ridotto al minimo. Chiameremo questa situazione con Grossman “distanza dal ruolo”. Possiamo anche risolvere il conflitto distinguendo fra norme primarie e norme secondarie. Ci conformeremo alle norme primarie. Generalmente gli individui tendono a risolvere il conflitto dando preferenza alle aspettative comportamentali alle quali si collegano le sanzioni più severe. Secondo Goffman l’individuo impara a gestire in forma strategica i tratti del proprio sé, fino a poter giocare su una “molteplicità di sé” i quali permettono la rappresentazione di ruoli contraddittori, assume atteggiamento di distacco. Diverso è il “conflitto infra-ruolo” cioè il caso in cui le aspettative sono diverse all’interno dello stesso ruolo. È più facile da gestire. All’interno dello stesso ruolo ci sono due valori, uguaglianza e solidarietà che premono in direzioni diverse. Si risolve mettendo in ordine i valori, dando priorità ad uno. Weber Nasce il 21 aprile 1864 a Erfurt in Germania, da una famiglia alto-borghese proveniente dal commercio e dall’industria. Molto influente su di lui fu la madre, donna di grande cultura che gli trasmise l’interesse per i problemi sociali e per la religione. Oltre all’orientamento della madre centrale fu anche il fatto che nella sua casa si respiravano continuamente i problemi del loro paese perché la famiglia era frequentata da politici liberali ma anche intellettuali. Altra figura femminile importante fu la moglie Marianne, autrice di una sua biografia. Studia giurisprudenza, economia, storia, filosofia e sociologia. Nel 1894 fu chiamato ad insegnare economia politica. Fu molto attivo sul piano politico, assunse posizioni a favore dello sviluppo capitalistico e borghese. La sua speranza era di vedere edificato il capitalismo tedesco su basi puritane, calviniste. Durante la prima guerra mondiale e nel dopo guerra terrà numerose conferenze rivolte ad ufficiali austriaci e il suo impegno sarà sempre per una democrazia guidata e presidenziale. L’impossibilità di trovare uno schieramento politico a lui congeniale lo porteranno a nutrire delusione nei confronti della politica. Tra le opere più importanti ricondiamo: Etica protestante e spirito del capitalismo 1901, Economia e società 1921, Metodo delle scienze storico sociali 1922, La politica come professione e la scienza come professione. Morirà il 14 giugno del 1920 a causa di una polmonite. Con autori come Weber si fa riferimento all’individualismo metodologico inteso come un metodo secondo il quale per spiegare la società e i comportamenti sociali dobbiamo partire dall’individuo e dalla sua volontà, a differenza di come faceva Durkheim che partiva dalla società per tornare all’individuo. Mentre prima c’era una concezione olistica e strutturale dove l’individuo non esisteva, qui si rivaluta completamente l’importanza del volontarismo individuale e si dice che non è vero che siamo dei burattini mossi dalla società ma se vogliamo spiegare i fenomeni collettivi ed individuali dobbiamo partire dalla volontà degli individui, dalla loro liberà e razionalità. In Economia e società Weber definisce cosa intende per sociologia, ovvero una scienza la quale si propone di intendere in virtù di un procedimento interpretativo l’agire sociale, e quindi di spiegarlo causalmente nel suo corso e nei suoi effetti. “Intendere in virtù di un procedimento interpretativo” 65 è una locuzione che serve a tradurre il termine Verstehen, “comprendere”: la sociologia per lui è una scienza comprendente, il cui primo obiettivo è comprendere l’agire sociale. Per comprendere un’azione si deve intenderne il senso, l’agire sociale infatti è dotato di senso. Un agire è tale dunque se e in quanto vi è connesso un senso. Weber intende tutte le scienze sociali come scienze comprendenti che hanno per oggetto l’agire in quanto comportamento dotato di significato. La storia in particolare si occupa della singolarità degli eventi, la sociologia al contrario è una scienza orientata alla generalità: intende studiare le azioni sociali degli uomini in quello che esse hanno di tipico in più casi. La sociologia, in primo luogo si propone di comprendere l’agire, in secondo luogo si preoccupa di spiegare causalmente l’agire. Egli crede tuttavia che una spiegazione causale perfettamente esaustiva per i fenomeni umani non sia mai rintracciabile. Allora spiegare causalmente significa cercare pazientemente di rintracciare per i fenomeni che si intende spiegare le condizioni che sono sempre presenti quando essi si manifestano. L’individuazione di una catena causale sarà sempre frutto di una scelta dello scienziato. Proprio per questo motivo un primo aspetto centrale che fa il suo metodo è dato dall’assunto secondo il quale non esistono verità assolute ma esistono solo verità relative, diverse per ognuno, dettate da determinati valori e quindi in quanto tali risultato di scelte e di decisioni umane. Le verità sono relative nel senso che dipendono sempre da certe scelte, decisioni umane. Queste scelte sono dunque dipendenti da quello che inizia ad essere chiamato il “politeismo” dei valori e solo a questo noi dobbiamo risalire se vogliamo conoscere, dove quindi conoscere sta per ricostruire una sezione finita della realtà. Cioè significa che fra tutti i significati possibili, per conoscere devo selezionare la sezione finita di significato che quel determinato attore ha attribuito a quella determinata azione. Dire che i sensi sono infiniti significa in realtà dire che la realtà è priva di senso, non esiste un senso univoco e oggettivo della realtà, diranno in questo momento i sociologi, ma siamo noi che glie ne attribuiamo per volontà di potenza (Nietzsche), per volontà di controllo sulla realtà (Weber). Nell’opera di Nietzsche La nascita della tragedia, modella le due categorie ideal tipiche, Dionisiaco e L’apollineo come esemplificazione rispettivamente di Dionisiaco dell’armonia e equilibrio e L’apollineo inteso come eccesso e caos. Solo in rari casi questi impulsi trovano una composizione armonica e l’uomo greco è un esempio. Utilizza la tragedia greca per spiegare i valori del presente. Questa sua lezione sarà sfruttata a pieno dai sociologi tedeschi, in particolare da Weber. Quindi come possiamo conoscere la realtà per Weber? In quel periodo si sta verificando una vera rivolta anti-positivistica, che nessuno meglio di Nietzsche poteva aver esemplificato dicendo che contro il positivo che si ferma ai fenomeni, i fatti non ci sono bensì solo interpretazioni. Weber introduce il tragico nella sociologia nel senso che la tragedia sta nel fatto che dalla cultura, intesa come prodotto dei valori, possiamo conoscere solo una sezione finita di senso; la realtà oggettiva non esiste e non è già dotata di senso ma sono gli attori che ne attribuiscono uno. Si parte sempre da un interesse conoscitivo o da un’interpretazione soggettiva. Tutto ciò porta Weber a confezionare quelli che chiameremo gli “ideal-tipi”. Gli ideal-tipi sono una costruzione del pensiero, uno strumento conoscitivo di cui lo scienziato sociale si dota per comprendere il senso delle azioni. È un’astrazione utile per ridurre l’infinita varietà dei fenomeni a un insieme di categorie maneggevole. Questi ideal-tipi servono ad ordinare la realtà priva di senso. 66 Weber era d’accordo con Nietzsche nell’affermare la morte di Dio, la morte dei valori assoluti e la fine dell’origine metafisica dei concetti. È la fine dell’universalità ed assolutezza delle credenze. Se è così, in base a cosa costruire una determinata gerarchia dei valori? Cosa ci permette di dire che qualcosa vale più di qualcos’altro? I sociologi diranno che non è più possibile. Si afferma il politeismo dei valori, tanti valori messi sullo stesso piano senza che possano essere ordinati gerarchicamente, la possibilità di verità metafisiche che le ordinino. C’è una crisi della religione, ma anche delle delle grandi narrazioni ed ideologie. Weber parla della nascita del concetto di “mondo disincantato”, un mondo privo di orientamento. Ciò avviene quando il mondo è estremamente calcolabile. Paradossalmente nel momento in cui il mondo diventa estremamente calcolabile e misurabile, si perde l’orientamento. Queste sono le ragioni fondamentali per cui in questo momento la scienza viene definita una scienza di realtà, che deve studiare i frammenti di mondo. Ormai si abbandona completamente la convinzione che si possa fare scienza spiegando complessivamente la società e il suo divenire dall’origine ai nostri giorni, perché c’è la consapevolezza che questo tutto così oggettivo non si può conoscere e in realtà esisteranno tanti frammenti di mondo così come tanti attori di volta in volta li hanno costruiti partendo da una selezione di valori e significati che hanno dato alle cose. Per lui le scienze dell’uomo o “scienze ideografiche" a differenza delle scienze della naturali o “leggi nomotetiche" non spiegano ma comprendono e non ricercano leggi ma l’irripetibilità dei fenomeni. Lo scopo delle scienze sociali è comprendere il significato e il valore delle azioni e degli individui. Weber spiega anche che mentre i fenomeni della natura si danno a noi attraverso i sensi, quelli sociali attraverso la coscienza, ciò che proviamo. Weber accetta che le scienze sociali debbano usare un metodo adeguato al loro oggetto ovvero la comprensione ma a patto che questa intuizione non sia ipostatizzata, l’unica forma di conoscenza possibile ma resti un’ipotesi interpretativa che bisognerà dimostrare empiricamente. Ci deve essere rapporto causa-effetto tra il senso che gli attori hanno dato alle loro azioni e il senso che hanno prodotto. Una volta che il sociologo ha compreso dovrà dunque dimostrare empiricamente ciò che ha compreso. Per conoscere dovremmo osservare e modernizzare le situazioni, cogliere le caratteristiche e le motivazioni più ricorrenti che ne sono alla base per poi utilizzare questa modernizzazione come strumento conoscitivo per ordinare la realtà. Questa concezione è figlia di una crisi, consapevolezza che la realtà fosse priva di senso. Chiedersi il perché gli uomini agiscono è ciò che resta a chi non crede che la storia non abbia un fine da realizzare o a chi non crede che esistano leggi evolutive o che il comportamento umano sia predeterminato da rapporti di produzione o conformazioni fisiche. Weber distingue tre tipi di ideal-tipi: - Individualità storiche= si trovano nella storia solo una volta, un esempio è il capitalismo; - Intermedi= si trovano più volte ma non sempre, un esempio è la burocrazia; - Universali= riguardano l’umanità di tutti i tempi, l’agire umano universali. Weber distingue 4 tipi di azione, due più razionali, due meno razionali: - Agire razionale rispetto allo scopo= è l’azione tipica di un ingegnere che costruisce un ponte. L’attore ha chiaro il fine da raggiungere e quindi predispone i mezzi che a sua conoscenza sono i più adatti per il conseguimento di quel determinato scopo. Ci si preoccupa dell’adeguatezza razionale dei mezzi rispetto ad uno scopo determinato. L’azione è intenzionata razionalmente anche quando un osservatore esterno non la giudichi tale. 67 Questa razionalizzazione pur avendoci permesso grandi conquiste, come conoscenze scientifiche, ci fa perdere dietro la razionalità formale delle cose perdendo di vista la loro razionalità sostanziale. La razionalità formale è quella che si ha quando l’agire risponde a norme universalmente vincolanti ma ciò ci fa perdere di vista ad un agire che risponde ad un’amministrazione più particolaristica della cose. Da occidentali e moderni abbiamo il mito dell’universalismo, ciò che è universale è più importante di ciò che è particolare; ci fa anche perdere dietro ad una funzionalità funzionale che non è materiale. La razionalità funzionale è quella di chi si adatta ad ordini ricevuti eseguendoli senza errori al posto di una razionalità materiale che è quella invece di chi cerca di comprendere come diversi aspetti di una situazione siano collegati tra loro ed è un atto critico. La causa di molte derive dell’uomo sta in tutto questo e anche nel fatto che la razionalizzazione ci illude di conoscere quando in realtà sappiamo sempre meno sulla realtà che ci circonda. Egli esemplifica questo concetto con l’esempio di un passeggero di un tram che quasi sempre non conosce la meccanica del funzionamento del tram. Si produce una sorta di spaccatura tra progresso e felicità che spesso, data dal progressivo allontanamento del senso della vita. La razionalizzazione è anche una delle forme principali della spersonalizzazione del potere perché i legami diventano sempre più anonimi e amorali e ciò diventa anche indifferenza verso le peculiarità soggettive. La razionalizzazione respinge l’incerto per il prevedibile e il calcolabile. La depersonalizzazione non è tanto figlia del capitalismo ma innanzitutto della razionalizzazione. Rapporto tra religione e capitalismo L’obiettivo di base della sociologia della religione di Weber è scoprire il rapporto che ci può essere tra determinate religioni e comportamenti economici. A lui interessa cogliere le origini del capitalismo, comprendere come mai abbia preso l’Europa, l’Occidente proprio in quel momento. Si tratta di una lettura “spiritualistica del capitalismo” perché non dà luogo ad una concezione materialistica della società e dell’economia, ma significa cogliere la componente fondamentale, quella culturale non solo del capitalismo ma anche della nascita della società moderna. Precisa che questa lettura non è in opposizione a quella materialistica. Secondo lui queste due letture potevano correre parallele. Egli non tratta le cause del capitalismo. Secondo lui lo studio dei fenomeni sociali, può sia avvenire individuando cause e funzioni ma può avvenire anche accertando semplicemente le condizioni che meglio di altre possono favorire la nascita e lo sviluppo di un determinato fenomeno. Poste queste premesse, si tratta di capire cosa dobbiamo intendere per capitalismo? “La sede di lucro, l’aspirazione a guadagnare denaro più che sia possibile, non ha di per se stessa nulla in comune con il capitalismo, questa aspirazione si ritrova presso camerieri, medici, artisti, soldati, si può dire presso tutti i tipi di uomini. La brama di guadagno non corrisponde allo spirito del Capitalismo. Questo può identificarsi con un disciplinamento o con un razionale temperamento di questo impulso irrazionale. Il capitalismo è uguale alla tendenza al guadagno sempre rinnovato”. Il Capitalismo non è uguale al semplice desiderio di accumulare denaro ma si basa su aspettative di guadagno pacifiche, disciplinate razionalmente e reiterate nel tempo. Il capitalismo è dunque un sistema economico al cui interno i soggetti (tipici sono i proprietari delle imprese capitalistiche) agiscono al fine di conseguire un guadagno in modo pacifico utilizzando le congiunture dello scambio. A tutto ciò contribuirono anche la nascita della democrazia ma anche il progresso scientifico e tecnologico. Un’altra 70 caratteristica per definire il capitalismo occidentale moderna è anche l’organizzazione razionale del lavoro formalmente libero. Dunque il capitalismo occidentale moderno è un sistema di imprese collegate fra loro attraverso il mercato in cui ogni impresa agisce per conseguire il profitto e organizza le proprie attività conformemente a tale scopo in modo razionale utilizzando lavoro formalmente libero. In molti punti la sua definizione richiama quella di Marx. La differenza è però che nella sua teoria non c’è il tema dello sfruttamento che considera come un aspetto di critica morale al capitalismo che non ha nulla a che fare con la sua definizione scientifica. Nella definizione di Marx non si fa riferimento all’agire razionale. Dobbiamo prendere le cause senza le quali il capitalismo non si sarebbe mai realizzato, cause rintracciabili all’intento delle forme specifiche della cultura europea. Sono cause che hanno a che fare con la religione, in particolare con la religione protestante e in particolare modo con il calvinismo. All’interno di questo dobbiamo guardare i principi di base, su cosa si fondava cioè: - Ascesi mondana= la realizzazione della vita per il calvinista deve avvenire sulla terra; - Dogma della predestinazione= la decisione di Dio che stabilisce che fin dalla nascita per ogni essere umano viene stabilito a priori se questo è destinato alla salvezza o alla dannazione. Si chiama dogma perché questa decisione non è conoscibile e modificabile. Il credente non ha alcun potere sulla propria salvazione. La condotta di vita che emerge è metodica in quanto i calvinisti, a differenza dei cattolici, non possono indulgere nel peccato perché ciò implica gravità radicale: è segno della dannazione, non una caduta dalla quale ci si possa rialzare. Weber pensa che da un punto di vista meramente logico ci dovrebbe essere una condizione di indifferenza del credente verso la vita perché tanto è già stato predestinato ma dice anche che se così facesse costui non sarebbe un credente. Il punto è che quanto più il calvinista crede quanto più non sarà indifferente, vuole sapere il più possibile se è tra gli eletti o no. Proprio perché credente si getterà a capofitto nell’operare, nel lavoro non già per convincere qualcuno o qualcosa ma per capire attraverso dei segnali che deriveranno da questo attivismo se è stato predestinato alla salvezza o alla dannazione. Potrà capirlo perché l’ascesi è mondana. A quel punto il successo convincerà il credente della sua salvezza. Se è così dovrà comportarsi di conseguenza. È proprio questo atteggiamento che si rileva affine a quanto richiede lo spirito del capitalismo. Per sviluppare un’impresa capitalistica è necessaria una tensione culturale. Il calvinismo favorisce dunque lo sviluppo di questa mentalità. Tuttavia questo non lo porta su posizioni critiche nei confronti del capitalismo, semmai a una sottolineatura del suo carattere contraddittorio: la modernità capitalista distrugge proprio le forze che hanno contribuito a farla nascere. La sociologia di Weber è dunque valutativa, si vita esplicitamente di formulare giudizi di valore. Potere Con l’espressione “sociologia del potere” ci si riferisce alle trattazioni contenute nell’opera Economia e Società dove affronta il tema del potere e nello specifico le complesse disposizioni all’obbedienza. Prima distinzione importante la fa tra: - Potenza o Macht= È qualsiasi possibilità di far valere entro una relazione sociale anche di fronte ad un’opposizione la propria volontà quale che sia la base di questa possibilità. In questo caso non vi è disposizione all’obbedienza ma si obbedisce perché costretti e la potenza non può dirsi legittima perché non ci sono valori o motivazioni alla base di questa intenzione 71 all’obbedire. C’è una situazione di costrizione. La potenza è un concetto sociologicamente amorfo. - Potere o Herrschaft= situazione in cui qualcuno obbedisce ad un comando perché ritiene legittimo il potere da cui il comando emana. Il potere è un comando supportato da consenso. A questo punto Weber distingue le tre fonti di legittimazione del consenso: - Razional-legale= l’obbedienza non è prestata ad una persona in particolare ma a delle leggi he sono impersonali, cioè costituite da regole astratte valide per tutti i modo uguale. Questa è la forma di legittimazione del potere più tipica delle società moderne; favorisce mutamento sociale continuo ma regolato grazie alla presenza di regole. L’esistenza di un potere legittimo non vuol dire che il ricorso alla forza scompaia, infatti laddove la forza di coloro che vi si oppongono sopravanzino quelli i colpo che sostengono la legittimità del potere emergono conflitti dai quali potrà scaturire un nuovo potere. - Tradizionale= Chi obbedisce lo fa sulla base del sentimento che “così è sempre stato” o “così si è sempre fatto”. Il potere di chi comanda riceve la sua legittimità dal fatto di provenire dal passato. La burocrazia è l’apparato amministrativo tipico. Nello Stato moderno la burocrazia si definisce come apparato di individui, detti funzionari, espressamente organizzato per l’espletazione di compiti amministrativi. I funzionari esercitano funzioni connesse alla propria carica sulla base di procedure standardizzate. Si fonda su: esistenza di servizi e competenze definiti da leggi o regolamenti; gerarchia delle funzioni; separazione tra la funzione e l’uomo che la svolge; reclutamento dei funzionari sulla base del possesso di una formazione specifica; retribuzione da parte dello Stato. L’individualità concreta del funzionario è irrilevante: le stesse funzioni vanno eseguite a prescindere dalla persona che è chiamata a svolgerle. Spersonalizzazione e procedure standardizzate favoriscono deresponsabilizzazione dei funzionari e sfavoriscono innovazione. - Carismatica= Si fonda sule qualità che i subordinati attribuiscono a colui che ha potere. In questo caso obbedisco o riconosco potere ad una determinata persona perché gli riconosco certe qualità eccezionali, di essere dotato di carisma. Di solito si tratta di qualità eccezionali non solo nel senso di straordinarie ma anche sovrumane. Gesù fu uno dei più grandi carismatici. L’atteggiamento nei confronti di chi detiene il potere è molto emotivo, entusiasmo. È una forma di potere irrazionale, non segue mai regole precise ma le decisioni discrezionali del capo carismatico, decisioni che rompono con il passato in maniera rivoluzionaria attraverso forme di rovesciamento del passato. L’apparato amministrativo di questa fonte di potere è di tipo estremamente rudimentale, ciò significa che il più delle volte è formato da uomini di fiducia del capo che vengono scelti tra coloro che hanno superato prove di fedeltà al capo. Weber è dell’idea che il carisma sia la più grande forza rivoluzionaria potenziale della storia, dunque in questo caso il potere ha grande potenzialità di produrre mutamento. Il rischio tipico è di estinguersi non appena la situazione di entusiasmo dovesse svanire e la sfida principale di questa forma di potere è il tempo. Quando il capo muore o si ritira avviene la “routinizzazione" del carisma, tutto si affievolisce. Egli parla anche del concetto di razionalizzazione e disincanto del mondo. Egli afferma “tutte le cose, in linea di principio, possano essere dominate dalla ragione”. Lo sviluppo di questa fiducia 72 Ritiene il conflitto costitutivo della modernità. La tragedia della cultura moderna nasce dal fatto che nel momento in cui le forme permettono alla vita di esprimersi la negano anche nella sua pienezza. Allora si chiede da quale parte stare. Molti autori a quel tempo si metteranno dalla parte delle forme, di tutto ciò che permette il controllo sulla vita, altri si metteranno dalla parte della vita, del pulsare incessante. Simmel alzerà le mani, si rende conto dell’impossibilità di trascendere questo processo. Il conflitto della vita moderna è questo e si manifesta ovunque, “negli infiniti luoghi della vita quotidiana”. In Com’è possibile la società, enuncia i tre famosi a priori sociologici, con cui si accinge a spiegare il processo conoscitivo. Sono i momenti di conoscenza irreale che secondo lui permettono di conoscere la realtà sociale. 1) Soggetto e altro= si chiede come ego conosce alter. Cosa permette una conoscenza reciproca. Rintraccia ciò nel ruolo e nelle aspettative di ruolo, affermando che non riesco a conoscere subito una persona se non passando attraverso quello che fa. Attraverso questa conoscenza saprò cosa mi posso aspettare da quella persona. Questo a priori è un punto di partenza, un quadro di riferimento anche quando dovesse essere negato. 2) È in parte correttivo del primo ed è ciò che ci permette di dire che Simmel non è un funzionalista. L’individui non si esaurisce dal ruolo che svolge, perché la sua personalità sarà sempre più ampia di quanto un singolo ruolo possa contenere ed esprimere e perché quella persona data sarà semmai molto più dal complesso dei ruoli e non dal singolo ruolo preso in considerazione. 3) Riguarda la stratificazione sociale, la corrispondenza che esiste tra l’individuo, le sue peculiarità e il posto che occupa nell’ambiente sociale. In questo autore non troviamo una vera e propria teoria della stratificazione sociale, ma quella che è stata definita come fenomenologia delle varie forme di dipendenza che l’autore raggruppa fondamentalmente in tre casi: - Subordinazione rispetto ad un singolo individuo - Subordinazione rispetto ad una pluralità di individui - Subordinazione rispetto ad un principio impersonale ed oggettivo La caratteristiche di queste forme di dipendenza è la reciprocità che esiste in tutte fino ad arrivare anche ai più spietati casi di dominio. Ciò vuol dire che non si annulla mai del tutto la libertà individuale. Se il dominio esiste è perché il dominato lo rende possibile per due ragioni: o perché costretto dalla forza fisica e la reciprocità è al minimo o perché consapevole che il costo che dovrebbe sopportare per un’eventuale ribellione sarebbe troppo alto. Che posto occupa l’ineguaglianza nella società per Simmel? Per lui l’ineguaglianza è l’essenza fisiologia della società. Essendo la società composta da una pluralità di funzioni è inevitabile che questa pluralità disponga gli individui in modo diverso all’interno della società stessa. Tuttavia per Simmel l’eguaglianza è un valore ma ricercarla non deve significare abbattere l’ineguaglianza, significa invece ricercare nella stratificazione sociale la posizione più consona per ciascuno alle proprie attitudini. L’obiettivo è che si realizzi un’affinità elettiva tra funzioni da svolgere e vocazioni a svolgerle da parte degli individui nella società, oppure tra vita e forma, che ciascuno cerchi il ruolo più congeniale per realizzare le proprie potenzialità. Anche quando parla di ruoli, Simmel non vuole dire che la società sia oggettivamente tale in ruoli differenziati come unica realtà oggettiva ma vuole dire che i ruoli sono forme della 75 realtà come tante alte. Se cogliamo la realtà a partire dai ruoli dobbiamo anche essere consapevoli del fatto che gli individui non si esauriscono ad essi. Le tre parole chiave che la teoria della stratificazione sociale in Simmel pone al centro dell’attenzione sono: ineguaglianza come costitutiva della società, equità come obiettivo e rapporto tra ruolo e personalità. Le società non devono muovere verso l’abbattimento dell’ineguaglianza ma verso la conquista dell’equità. C’è fatica ad ottenere una situazione di equità perché il dominio della società sugli individui, dunque è l’individuo che si deve adattare. Ed è proprio la società perché è dominata dall’economia. Si è vittime di una società che dice che l’orizzonte della realizzazione è l’io, ma al tempo stesso la nega. A contare sono gli individui immersi nelle relazioni e le forme a cui queste relazioni danno luogo, che tendono a cristallizzarsi in maniera sempre più autonoma rispetto agli individui stessi. Ciò lo dimostra la modernità, il distaccarsi delle forme dagli attori che le hanno prodotte. Esempio più tipico è quello dello scambio economico che come dimostra in Filosofia del denaro, si autonomizza rispetto alle motivazioni individuali. Mentre prima il valore che si attribuisce agli oggetti è soggettivo, poi ogni cosa acquista un suo valore di scambio. Questa autonomia delle forme presenta delle caratteristiche positive, permette il distacco emotivo senza il quale molte attività non sarebbero possibile. Se ciò è vero dice anche che spesso è proprio questo che porta all’indifferenza che diventa il tratto tipico o noia della modernità. Per Simmel il denaro è condizione ambivalente della modernità che porta a forme di de-personalizzazione. Per lui l’individuo è al centro delle relazioni sociali al punto che l’individuo è fatto di relazioni sociali. Per simmel l’io non ha semplicemente ma è relazioni sociali. L’uomo è il prodotto delle relazioni sociali. Per Simmel se vogliamo studiare la società dobbiamo studiare le varie cerchie sociali e la moltiplicazione delle cerchie di appartenenza che è avvenuta con la modernità. Le appartenenze sono esse stesse il portato dello sviluppo della personalità dell’individuo perché a partire da appartenenze ristrette via via, con lo sviluppo della personalità si entra sempre in nuove cerchie che corrisponderanno alla nostra personalità. L’individuo tuttavia non si esaurisce mai nelle scelte di appartenenza. In una società sempre più complessa, ognuno sarà tante appartenenze. Quando ognuno di noi entra ed esce dalle cerchie sociali non solo le modifica ma modifica anche ciò che egli è. L’appartenenza alle cerchie viene studiata non solo come un limite o opportunità per il soggetto ma è anche qualcosa di costitutivo dell’individuo. Via via che questo entra in cerchie sociali, è vero che la sua personalità si segmenta, ma si arricchisce anche perché la libertà aumenta. Il conflitto dell’epoca moderna, generato da una contraddizione insanabile, vede la società che si diversifica con la divisione del lavoro, e dall’altro l’individuo frutto di un etica espressione di una costellazioni di valori. Quanto più coltiviamo i valori dell’unicità, tutto il resto fa da limite. Questi due binari sono destinati a correre paralleli. Non ritiene che la società sia superiore all’individuo, ma entrambi esistono parimenti, ciò non toglie che ci siano delle tensioni. Da un lato la collettività tende ad imporsi al singolo richiedendogli l’espletazione coordinata con gli altri certi compiti necessari per la sopravvivenza della società, in questo senso essa vincola la libertà individuale. Dall’alto lato l’individuo può 76 ritenere che il suo fine non sia quello di cooperare per la società o al benessere generale. Questa tensione non è eliminabile e si verifica nell’epoca moderna. Nel corso dell’800 nasce l’idea che gli uomini hanno gli stessi diritti ma per quanto concerne la loro interiorità sono dissimili, dunque il compito di ciascuno è esprimere e realizzare la propria unicità. Esprimerà questo concetto con l’espressione “individualismo qualitativo”, dove l’individualità si realizza pienamente solo nella qualità esemplificata dalla moda. Si rende conto che la densità della popolazione negli immensi agglomerati della vita urbana moderna rende nei fatti difficile agli individui vivere all’altezza delle esigenze poste dall’individualismo qualitativo. In concreto questo si risolve con una parodia di se stesso: i tratti dell’eccentricità e della ricerca di segni distintivi sono caratteristici di una tentavo di costruzione di una personalità. Nella moda abbiamo la spinta alla distinzione dove può emergere l’io, ma abbiamo anche la spinta all’imitazione. Nel primo caso c’è l’esigenza di affermare la nostra singolarità rispetto agli altri, nel secondo di affermare la nostra partecipazione ad una cerchia sociale che riconosciamo autorevole in fatto di stile. Distinzione ed imitazione il più delle volte fanno capo agli stessi attori. Attraverso la moda vogliamo distinguerci ma ci omologhiamo. Egli dice che già nella nascente pubblicità poteva vedersi questa dinamica. La moda simbolizza il destino dell’individuo moderno spinto alla personalità autonoma ma queste caratteristiche una volta che si realizzano per tutti non possono essere più tali. Caducità e transitorietà sono elementi inseparabili dall’idea stessa di moda. Mutamento sociale Come muta l’esperienza sociale? Come si passa da una società ad un’altra? Per Simmel l’esperienza sociale non muta ma evolve, nel senso della complessità, dal semplice al complesso. Questa evoluzione è segnata dalla differenziazione sociale che secondo lui poteva essere considerata la norma determinante della storia universale, data da un processo di ripartizione della attività sociali e di specializzazione da parte del singolo individuo. Al tempo stesso questa differenziazione si differenzia dalle precedenti perché secondo lui non esprime una filosofia della storia come fino a quel momento si era cercato di fare. Questo perché il processo sociale non ha un fine da raggiungere come era in Marx e Comte ma sono sempre gli uomini che fanno la storia come vogliono per quanto tuttavia le forme possano tendere ad oggettivarsi ed a distaccarsi dalla volontà degli individui. Le società tenderanno verso una “gabbia del futuro” che Simmel vede individui congelati in determinate funzioni sociali, dove il prezzo della perfezione oggettiva del mondo sarà l’atrofia dell’animo umano. In Simmel esiste una teoria del mutamento sociale ma non una formula nel senso che a differenza di Marx e Comte, non ci dice come andrà il mondo perché questo non ha un fine da raggiungere. In Simmel c’è un mutamento sociale ma non una finalità ultima da raggiungere. Metropoli Per Simmel è l’emblema della modernità perché è il luogo dove la ragione fagocita tutto, dove si realizza più pienamente il fenomeno di razionalizzazione dei fenomeni sociali, quindi si realizza una condizione di indifferenza, tratto dominante della metropoli. Inoltre qui si realizza la massima riservatezza come forma di difesa della propria autonomia ed individualità dalla società, dalle sue forze soverchianti. Il singolo è spinto sempre più verso forme di individualismo che può trovare nelle grandi città. Tale individualismo estremo è anche una reazione spesso all’oggettivazione 77 che presuppone un rapporto gerarchico; interazione circolare che si ha quando le reazioni di tutti i soggetti al comportamento dell'altro si rafforzano reciprocamente. Le società attuali sono caratterizzate da un’alta frequenza di processi di interazioni, questo è il tratto più caratteristico delle nostre società per quanto a questa maggiore interazione non corrisponde sempre una integrazione. - Scambio= deve essere inteso soprattutto secondo la concezione economica dello scambio, fa sì che le nostre società siano sempre più informate dalla logica di mercato anziché da altri tipi di scambio come lo scambio di reciprocità. Uno dei modelli di rappresentazione dei processi di interazione è la “Teoria dei giochi” che, rifacendosi all’economia e ai comportamenti tipici di questa sfera sociale, comportamenti informati dal massimo della razionalità e volti ad ottenere il maggior beneficio possibile con minor sacrificio, vuole descrivere il comportamento ottimale del soggetto agente all’interno dei processi di interazione della società nel suo complesso. Comportamento ottimale nel senso che l’interazione implica delle strategie, dunque il punto è portare avanti la strategia migliore per ottenere maggiori vantaggi calcolando non solo l'azione propria ma soprattutto quella degli atri partecipanti. Spesso questa teoria finisce per esser interpretata come un modello di interazione tout court, per antonomasia e non soltanto per interazione strategica. Secondo questa teoria la parola d’ordine diviene “razionalità” e si deve capire che tipo di razionalità gli attori devono porre in essere. l’esempio più famoso di applicazione di questa teoria ai processi di interazione è costituita dal moto “dilemma del prigioniero” attribuito al teorico Tucker. La situazione è di due prigionieri che hanno commesso insieme un crimine. In situazioni del genere chi fa le indagini cercherà in tutti i modi di far cadere i colpevoli in contraddizione. Per far questo chi indaga propone ai prigionieri il seguente sistema: 5 anni di prigione se entrambi confessano (2C), 2 anni a ciascuno se entrambi non confessano (NC), assoluzione a chi dei due confessa, 10 anni di prigione all’altro se uno solo confessa. Ciò vuol dire che il minimo della pena è di 2 anni ed entrambi avrebbero interesse ad avere il minimo della pena. Vuol dire che a ognuno dei due conviene confessare. Il dilemma del prigioniero ci dice come dovrebbe comportarsi l’attore qualora volesse ottenere il massimo dei benefici applicando la razionalità. Qualora la applicasse avrebbe solo due anni, ma non si sanno le vere dinamiche della situazione. Questo dilemma ci dice che le situazioni reali finiscono col distaccarsi molto dalle aspettative. Allora è vero che possiamo ipotizzare che l’attore si muova secondo modelli di razionalità, ma per quanto le nostre stesse società producano attori sempre più razionali, l’essere umano rimarrà sempre un attore irrazionale. Il modello di razionalità è sempre un’astrazione che non risponde alla realtà effettiva delle cose. - Comunicazione= da tempo le società si costituiscono come reti di comunicazione e cercano sempre più spesso di realizzare processi comunicativi attraverso l’utilizzo di strumenti sempre più sofisticati. La comunicazione diventa talmente importante che spesso si è arrivati al paradosso opposto, cioè perdiamo di vista ciò che non viene comunicato ma che comunque determina il sociale. L’immagine che ci facciamo di un rapporto è elemento fondamentale nella determinazione del rapporto stesso anche se questa prefigurazione non la comunichiamo e non ne siamo consapevoli. Tuttavia l’immagine resta importante perché determina le aspettative nei 80 confronti dell’altro anche quando non riusciamo a conoscerle. Si ricordi la formula di Lasswell del 1947 in cui riassumeva il processo di comunicazione “chi dice cosa a chi, attraverso quali canali e con quale effetto?”. Lo sviluppo della comunicazione nella società contemporanea ha portato allo sviluppo dei mezzi di comunicazione che si è soliti distinguere in: primari che possono usarsi solo nel contatto umano (il pianto, una dimostrazione); secondari che richiedono l’uso di uno strumento solo da parte della fonte del messaggio (quadro, libro); terziari che richiedono l’uso di apparecchi per la trasmissione e ricezione del messaggio (telefono, radio). Attraverso lo sviluppo di questi si è potuta affermare la comunicazione di massa che tende a catturare l’attenzione, a costruire l’avvenimento. Ed è dunque un’interazione scalare, presuppone cioè differenti posizioni di potere tra fonte e ricevente. Nel 1948 Lazarsfeld e Merton posero la loro attenzione su 3 effetti della comunicazione di massa: effetto di integrazione attraverso la diffusione salvaguardia di norme di comportamenti; effetto narcotizzante, alimenta il conformismo e la conservazione dello status quo e rende gli individui politicamente apatici e inerti; effetto di conferimento e legittimazione dello status per individui, gruppi o organizzazioni. Nota è la tesi di two-steps flow of communication, secondo la quale i messaggi dei mezzi di comunicazione di massa non vengono elaborati direttamente dai singoli ricettori ma filtrati dagli opinion leaders che li interpretano e spiegano, questi diventano i mediatori del messaggio che selezionano gli aspetti più rilevanti. Secondo questa teoria gli opinion leaders attiverebbero dei processi di feedback da parte dei ricettori del messaggi nei confronti della fonte. Interessante è la posizione di Klapper in riferimento al ruolo dei ricettori, alle condizioni in cui il ricettore può essere più o meno attivo o passivo. In ogni caso nessun ricettore si espone mai ai mezzi di comunicazione di massa in condizione di totale nudità psicologica. Afferma che ciascuno interpreta e reagisce ai messaggi secondo i propri bisogni e valori; la comunicazione agisce come un fattore di rinforzo di un atteggiamento già esistente. Consenso/Conflitto Portano alla distinzione tra processi congiuntivi (1) e processi disgiuntivi (2). (1) Sono quelli che creano consenso, uniscono e sono l’integrazione, il lavoro comune o la cooperazione e l’adattamento. In tutti questi a dominare è il consenso inteso come la riproduzione continua di un accordo, l’identificazione comune con valori e significati che gli individui attribuiscono alla realtà. L’integrazione in particolare è un processo prevalentemente riproduttivo che si fonda sull’identificazione con i valori e i fini comuni con altri individui, sulla rinuncia alla piena libertà, alla propria individualità e si fonda alla sottomissione a norme comuni della vita di gruppo. È il senso di pienezza del “noi”. Si dà luogo processi di integrazione perché questo dà certezza, è forma di sicurezza, funzionalità dell’ordine sociale, efficenza. Nessun gruppo e società sarà mai caratterizzata da una situazione di totale integrazione, vi saranno sempre livelli sempre limitati nel tempo e per estensione all’interno del gruppo questo perché un’integrazione totale presuppone una condivisione massima ed interiorizzazione assoluta dei valori del gruppo stesso, ciò può essere presente solo a livello ideale. Non sarà mai totale anche perché il più delle volte è proprio l’integrazione che crea le condizioni per la dissociazione, conflitto. Ogni fenomeno sociale implica sempre per definizione il suo opposto. Spesso per favorire l’integrazione i gruppi si servono anche dell’individuazione, termine con il quale si allude alla creazione del nemico esterno perché questo rafforza la coesione all’interno. 81 La cooperazione è la forma più frequente di rapporto sociale in vista del perseguimento di un fine comune e della conservazione del gruppo. Anche in questo caso si può andare da un minimo ad un massimo di cooperazione ed è un processo sociale molto più spontaneo nei gruppi primari che nei secondari. Con il termine adattamento ci si riferisce ad un coordinamento delle attività che non necessariamente implica concordanza ed armonia fra gli attori. Si tratta di qualcosa di più debole della cooperazione. Mentre quest’ultimo è premessa vitale e attiva per l’esistenza stessa dei gruppi, l’adattamento si realizza solo come espediente per raggiungere un coordinamento di fini e di azione, è un modus vivendi. Di solito questo scatta quando la cooperazione non è possibile, quindi con questo la società propone delle possibilità di coesistenza che possono anche evolvere nella cooperazione ma non è detto. Si chiama adattamento e non mero coordinamento perché l’accento è posto sulle concessioni che ogni parte fa all’altra, sull’adattamento delle parti al rapporto di interazione. (2) Le forme più osservate di processi disgiuntivi sono conflitto, ostruzionismo e concorrenza. Nei processi disgiuntivi il tratto dominante è il conflitto, importante perché più frequente. La frequenza è data dal fatto che perché vi sia non è necessario solo che avvenga opposizione o scontro ma è sufficiente che vi sia una convinzione latente di conflitto. Chiamiamo conflitto anche un insieme di situazioni molto sottili e latenti. Parlare di conflitto non significa sempre parlare di violenza e definiamo come conflitto un tipo di interazione nel quale ciascuna parte cerca di assoggettare l’altro alla propria volontà, di infrangere la sua opposizione, di escluderla dal godimento di un determinato bene o di modificare una situazione. Elementi conflittuali li ritroviamo in qualsiasi relazione, gruppo o società, è anche per questa ragione che Pareto ci ha ricordato che le società si governano sempre con la forza e con il consenso. L’ordine sociale oscilla tra questi due poli. Il conflitto non potrà mai essere eliminato completamente ma è un elemento essenziale del sociale e fonte importante di ciò che è creativo. Il più delle volte non è volto ad annientare l’altro ma semplicemente ad affermare volti diversi della società, modificare rapporti ed orientarli verso visioni differenti della realtà. Il più delle volte l’unità può essere raggiunta solo attraverso il conflitto, che ad un certo punto si stabilizza. Il conflitto non ha solo una valenza negativa ma anche potenzialità integrative. Come ha notato Simmel “è un modo di raggiungere un qualche genere di unità, anche se attraverso l’annullamento di una delle parti in conflitto”. Esistono almeno tre componenti strutturali del conflitto: motivazioni che coincidono con le immagini, razionalizzazioni delle azioni compiute o che si vogliono compiere. Se le motivazioni sono forti e fondate possono risolvere esse stesse i conflitti; norme che regolano il comportamento dei partner; ideologie di riferimento che possono essere di giustizia, libertà ed il conflitto è il mezzo per realizzarle. Quanto più l’ideologia è forte tanto più aumenterà la violenza del conflitto. Il conflitto può essere o latente/manifesto o infra-istituzionale, anti-istituzionale o extra- istituzionale o orizzontale/verticale. Le forme del conflitto possono essere totali o parziali, interne o internazionali, riformatrici o rivoluzionarie. Mentre il conflitto parziale avviene generalmente sul processo di differenziazione e di divisione del lavoro (conflitto salariale), il conflitto globale avviene sul sistema di ripartizione delle funzioni e di assegnazione delle sanzioni e delle gratificazioni (lotta al capitalismo). Nel conflitto parziale le parti hanno interessi e fini comuni, in quello globale no. Il conflitto è interno se si svolge tra gruppi all’interno dell’organizzazione statuale, internazionale se 82 aveva in passato. La base della nostra identità personale è sempre meno espressione del noi familiare che poteva essere in passato e sempre più espressione più autentica e imprevedibile della personalità singola. Si dice che la società industriale è onnivora perché tende a divorare ogni cosa e a non riconoscere gli affetti domestici come uno spazio invalicabile come avveniva in passato. Veblen notava come il solo legame che la società industriale è la logica del mercato che non conosce sentimentalismi. Oggi i mezzi di comunicazione di massa occupano il posto che un tempo era della famiglia. Ma il problema non è tanto chi prende il sopravvento su chi ma è dato dal rapporto tra questi agenti di socializzazione. Il più delle volte tra questi non c’è armonia dal punto di vista dei significati con cui la collettività viene guidata. Poiché la vita umana non è interamente socializzatile, per quanti sforzi di pressione controllo possono essere realizzati, comunque ci sarà sempre una parte che resterà fuori dalla socializzazione. Il processo di socializzazione non riuscirà mai ad ottenere un consenso totale ed incondizionato dall’individuo nei confronti della cultura dominante. Questo può essere anche un bene perché permette alla parte che rimane fuori di garantire una maggiore capacità di critica del sociale esistente o il mutamento. Si può dire che il risultato è sempre dato da un certo grado di integrazione nel sociale. Come fa il processo di socializzazione a consentire apprendimento e interiorizzazione? Come fa la società a socializzarci? Per molti studiosi questo processo passa attraverso il meccanismo delle gratificazioni e delle sanzioni. Quando il sistema delle gratificazioni e delle sanzioni non funziona più correttamente ci creano dei pericoli per la conservazione di un determinato modello di comportamento. Ancor prima di ciò è necessario tenere presente che affinché il processo di socializzazione si realizzi ci deve essere un’apertura e una tendenza alla socialità da parte dell’individuo, apertura che è una caratteristica innata dell’uomo? Su questo punto sono state date interpretazioni diverse, ma al di là di ciò è una caratteristica che troviamo in maniera spiccata in tutti gli individui. È attraverso questa apertura che l’individuo dismette i panni dell’istinto per assumere quelli della cultura intesa come una seconda natura o natura artificiale. È necessaria, oltre all’apertura anche la plasticità, cioè la capacità di adattamento, ciò che ci fa essere più o meno rigidi. Infine è importante anche la capacità di assumere una posizione eccentrica, cioè la capacità dell’individuo di operare delle scelte consapevoli che possono anche essere contrarie alle norme dominanti. Si può dunque dire che ogni soggetto oscillerà costantemente tra istituto e cultura e si muoverà costantemente tra il mondo interno e le strutture e i vincoli del contesto sociale. Allora si può dire che il processo di socializzazione è definibile come un processo continuo di accomodamento fra mondo interiore e mondo esterno alla ricerca dell’equilibrio. Equilibrio che sarà sempre sottoposto a cambiamento e ciò rende il processo un costante sforzo di adattamento degli impulsi, sentimenti del mondo interiore alla situazione del mondo esterno. Si tratta di un compromesso dove il più delle volte l’istinto o il bisogno naturale può anche trasformasi esso stesso in una forma culturale. La distinzione fondamentale che si è soliti fare è tra: - Socializzazione primaria= riguarda lo sviluppo infantile e costituisce un imprinting che caratterizzerà la vita dell’individuo. Per quanto si possa tendere ad immaginare la socializzazione primaria come un atto tendenzialmente unilaterale degli adulti verso i bambini, 85 in realtà tra il neonato e gli adulti c’è bidirezionalità, il neonato da un contribuito attivo nell’ambiente sociale nel quale è inserito. - Socializzazione secondaria= si sviluppa nel resto della vita e qui prevalgono di più le relazioni secondarie dunque anche l’apprendimento di ruoli. Tra le varie teorie volte a spiegare il processo di socializzazione c’è quella riconducibile alla reazione che gli impulsi e i bisogni incontrerebbero all’interno di un sistema socio-culturale. Secondo Freud, la personalità socio-culturale che è il prodotto per eccellenza del processo di socializzazione, è il prodotto del grado di pressione o frustrazione che una determinata cultura realizza nei confronti degli organismi naturali, dell’essere umano, dei suoi impulsi e dei suoi bisogni. Per lui la cultura è repressione degli impulsi naturali. È a partire dalla repressione che si costruisce la società. Adorno ha collegato l’atteggiamento sociale come una serie di frustrazioni che possono essere vissute durante l’infanzia. Ad esempio la personalità autoritaria sarebbe quella tipica di chi nell’infanzia ha vissuto una serie di frustrazioni. Questi studi suggeriscono la spiegazione dell’avvento del fascismo come processo di trasferimento inconscio nel pubblico della figura autoritaria del padre, per lo più assente a causa della nascente organizzazione del lavoro di quel periodo che iniziò a vedere i padri lontani dall’ambiente domestico. Altri studi mettono in relazione l’aggressività con le situazioni vissute dai bambini nei gruppi sin dall’infanzia. Si parlerebbe si apprendimento come legge dell’imitazione. In questi casi la personalità potrebbe essere intesa come il prodotto del rapporto stimolo-reazione che è passato alla storia come “principio di Pavlov”. Il modello di Homans è passato alla storia per le sue teorie dell’azione come scambio, cioè ogni individuo cercherebbe sempre di ottenere dall’interazione il massimo di soddisfazione possibile. Homans dice che verrebbero interiorizzate le forme di comportamento prevalenti che seguono il principio del reinforcement. Posto che l’individuo cerca sempre la soddisfazione massima, questa la traiamo dal riconoscimento dell’altro significativo, questo dà un meccanismo di rinforzo. Questo approccio è diverso da chi, seguendo il pensiero dei funzionalisti, crede che la personalità socio-cultura è il prodotto di norme e valori interiorizzati fin dalla nascita. C’è chi ha anche posto l’accento sui meccanismi imitativi come quelli studiati da Miller e Dollard nel senso che il comportamento può anche essere originariamente il prodotto di una repressione ma poi può diventare quel comportamento oggetto di imitazione. Secondo altre teorie ancora la personalità durerebbe in relazione ai valori dominanti all’interno di una determinata cultura, la società appresterebbe tutti quegli strumenti affinché gli individui che abbiano maggiormente appreso i valori culturali dominanti, possano ascendere a posizioni dominanti. È evidente che qui cultura e società formano un tutt’uno. In termini differenti da questa teoria c’è quella che si basa sul concetto di personalità modale o personalità di base. Secondo questa teoria il processo di socializzazione agisce realizzando una struttura fondamentale della personalità utile per consentire una convivenza pacifica dell’individuo in società. Se volessimo chiederci gli elementi caratterizzanti di questa personalità di base dovremmo far riferimento a tutte le risposte che una determinata cultura tende a dare alle diverse situazioni ricorrenti nelle quali l’individuo può trovarsi. A partire da queste risposte, si creerebbero istituzioni. Durkheim e Mauss diedero un contributo sulla relazione che ci può essere tra determinati tipi di rapporti sociali e la formazione della personalità. Secondo questi autori, come sarà anche per Cooley, si sottolinea l’importanza dei gruppi primari nella formazione della personalità per quanto concerne l’apertura all’altro e gli atteggiamenti simpatetici. Se parliamo di personalità di base il 86 contributo maggiore lo hanno dato gli studiosi della scuola di Francoforte e From è stato uno degli esponenti più di spicco della teoria critica secondo cui è possibile legge la società come un organismo che sviluppa nei bambini un carattere sociale attraverso il sistema di pretese ed aspettative che generalmente si ricollega ad un determinato sistema economico. Da questo punto di vista il carattere sociale che il processo di socializzazione formerebbe sarebbe una sorta di ghianda, zoccolo duro della personalità volto a far si che gli individui agiscano secondo forme consone al sistema sociale. La socializzazione è la forza dominante del sistema attraverso la quale lo stesso si riproduce. Tutte le teorie tendono a differenziarsi a seconda che il punto di vista sia più oggettivo o soggettivo. Quando è oggettivo si assume la prospettiva della società che agisce sugli individui, quando soggettivo si assume la prospettiva nella quale l’individuo agisce sulla società. Oggettivo e soggettivo operano contemporaneamente e parallelamente, sono sempre compresenti per quanto l’uno possa incidere in maniera più decisiva. Il consenso Il funzionalismo vede il consenso come una funzione sociale fondamentale volta al mantenimento dell’ordine pubblico e ad evitare che di vota in volta si debba fare ricorso alla forza. In base al grado di consenso posso capire quanto il sistema è integrato, quanto funzioni e quanto è in equilibrio. Il consenso dà un’idea del funzionamento del sistema e del suo grado di integrazione. Anche in questa teoria c’è la consapevolezza che il consenso è suscettibile nel tempo. Qualsiasi società vedrà dei cambiamenti anche da questo punto di vista, dunque quanto più una società si differenzia tanto più tenderà ad esprimere punti di vista differenti. Tuttavia il consenso appare in ogni caso una condizione fondamentale per l’odine sociale, molto più per i funzionalismi del conflitto che viene inteso solo in termini patologici. In una società letta in chiave di materialismo storico, la società è conflitto, lotta di classe. La verità sta nel fatto che si governa sempre con il consenso e con la forza, che tutte le società saranno sempre espressione di entrambi gli elementi. Consenso e conflitto sono ideal-tipi, estremi mai storicamente realizzatisi in forma assoluta. La ricerca sociale: metodologia e tecniche Paradigma Positivismo ed Interpretativismo (sociologia comprendente di Weber) sono paradigmi di conoscenza. La società, alla fine, è struttura o azione? È ordine o mutamento? È conflitto o integrazione? È tutti questi elementi, ma ciò che dobbiamo capire è cosa vogliono dire esattamente questi termini e come questi elementi possano stare insieme. Compresenza di questi elementi che non è una cosa normale nelle scienze naturali, dove generalmente accade che ci sia un unico paradigma, approccio di spiegazione dell’oggetto conoscitivo e questo si impone alla conoscenza nel senso che a quel punto tutte le diverse teorie avranno quell’approccio come presupposto a monte fino a quando questo non verrà sostituito da un altro paradigma o approccio quando magari in virtù di una rivoluzione scientifica sarà in grado di imporsi uno nuovo. È stato il caso della rivoluzione copernicana rispetto al sistema tolemaico. Fino a quel momento si era rimasti convinti che fosse la terra al centro dell’universo e tutti gli astri a girargli intorno. 87 Simmel in relazione al tema della differenziazione sociale e la concezione di Durkheim. Più legata ad un’idea di mutamento sociale/conflitto: concezione di Marx, conflitto di classi; concezione di Weber, conflitto non solo economico ma anche politico e culturale. Dire che la società è mutamento e conflitto vuol dire che il conflitto qui non è affatto patologico ma fisiologico. Allo stesso modo dire che la società è ordine e integrazione, qui il conflitto è solo patologico, la società si ammala e nasce il conflitto che in quanto patologia verrà superata. Nei due casi al conflitto viene attribuito un ruolo diverso. Per questi ultimi autori, il conflitto conduce al mantenimento della società, da questo punto di vista si parla di potenzialità integrative del conflitto che ci fanno anche capire quanto analitica o relativa sia questa distinzione tra integrazione e conflitto, tra ordine e mutamento. Questo però vale anche per il fatto che non ci sarà mai un ordine che non sia il portato di un certo mutamento che nella storia si è consolidato. Tutte le istituzioni sono sempre il portato di certi conflitti, suscettibile però di superamento attraverso azioni e conflitti, di nuovi assetti istituzionali. Ciò ci ricorda quanto il conflitto è sempre fonte di società. Il concetto di paradigma è appropriato per parlare di Positivismo, Neopositivismo, Postpositivismo, Interpretativismo. La metodologia della ricerca, come si applica la conoscenza teoria al mondo della realtà, come si deducono i dati, tutto questo processo si fa attraverso quello che chiamiamo “paradigma” in tre modi. Ogni scienza dunque procede per paradigmi; Kuhn, nell’opera Struttura delle rivoluzioni scientifiche ci ha portato il concetto di paradigma: il paradigma è una prospettiva teorica, una visione che orienta; condivisa da una comunità di scienziati; fondata sulle acquisizioni precedenti della disciplina; che indirizza quanto a fatti da osservare, ipotesi da considerare e tecniche da applicare. Dunque differenza tra scienza naturali e sociali, è che nelle scienze naturali vi è un unico paradigma valido che rimarrà tale finché sostituito da un altro ancora, nelle scienze sociali abbiamo più paradigmi che possono convivere. Le scienze sociali sono multi-paradigmatiche e i paradigmi che storicamente hanno dominato la conoscenza sociologica sono Positivismo ed Interpretativismo. Tra questi due poli si è insinuato il Neo (anni 30 e 60 del 900) e Post positivismo (a partire dagli anni 60). Emergono: questione ontologica, questione epistemologica, questione metodologica. 1) L’ontologia è la dimensione della realtà che ci dice cos’è la realtà, la questione ontologica è quella relativa al “che cosa?”, riguarda la natura della realtà sociale e la forma di questa. Se mi pongo una questione ontologica vuol dire che mi chiedo se i fenomeni sociali siano cose, realtà oggettive o rappresentazioni. La domanda che mi pongo è “la realtà sociale esiste oggettivamente o è solo una rappresentazione che mi faccio delle cose?”. 2) La questione epistemologica è legata al rapporto tra il “chi” e “che cosa”. Ci si chiede quale relazione esista tra lo studioso e la realtà studiata. La domanda è “la realtà, quale essa sia, è conoscibile?”. 3) La questione metodologica è relativa al “come”, possiamo conoscere la realtà. La domanda è “come si può conoscere la realtà?”. 90 Dobbiamo vedere come ogni paradigma risponde a queste questioni —> Positivismo— per quanto riguarda la questione ontologica, ha una posizione di realismo ingenuo, ciò vuol dire ritenere che esiste una realtà sociale oggettiva ed esterna all’essere umano. Partendo da questo presupposto si ritiene anche che questa possa essere colta in questa stessa oggettività, come se si trattasse di cose. Per la questione epistemologica, ha una posizione dualista, oggettiva, basata sulle leggi. Soggetto ed oggetto sono due entità indipendenti. L’oggetto può essere studiato senza essere influenzato o esserne influenzati, c’è la convinzione che i valori dello studioso non influiranno minimamente sulla lettura della realtà perché i fatti stanno lì per proprio conto, dobbiamo solo decidere se studiarli o no, sono esterni a noi ed immodificabili. Acquista peso il concetto di legge, nel senso che la conoscenza del sociale procederà attraverso la conoscenza delle leggi che fanno il sociale. Si parte dal presupposto che la realtà sociale è dettata da leggi, fatte da concatenazioni di azioni e reazioni che dovranno essere semplicemente scoperte e magari applicate alla realtà. Queste leggi sono soprattutto nella prima accezione positivista, universali e immutabili. Ciò vuol dire che la realtà sociale funziona ovunque in un certo modo e la storia, le differenze non contano, la società segue comunque certi meccanismi. Per la questione metodologica, ha una posizione sperimentale e manipolativa. La tecnica ideale è l’esperimento, la riproduzione artificiale di certi assunti; metodi e tecniche si basano sull’enucleazione di variabili, caratteristiche dei fenomeni che vengono controllate nelle loro inter-relazioni. Come per le scienze naturali, anche per le scienze sociali, in questo caso, centrali diventano osservazione, analisi per variabili, induzione, tecniche quantitative. L’obiettivo di una sociologia così impostata è spiegare. La sociologia in questo caso è scienza sperimentale il cerca di leggi che sono tendenzialmente naturali, incardinate nella società, quindi immutabili e i cui risultati sono veri. L’obiettivo è la verità. È un’idea di scienza dura, figlia delle scienze naturali dov’è più facile che si registrano i determinismi. Neo e Post positivismo— per quanto riguarda la questione ontologica, ha una posizione di realismo critico, ciò vuol dire che la realtà sociale è reale ma è conoscibile solo in maniera imperfetta e probabilistica, perché si ritiene che la conoscenza umana sia imprecisa e che le stesse leggi siano probabilistiche più che assolute. Si perde la convinzione assoluta dell’oggettività, ma non a tal punto di far nascere un altro paradigma come Interpretativismo. Per la questione epistemologica, abbiamo una revisione seppure parziale del dualismo, oggettivismo, concetto di legge. La separazione che il primo positivismo aveva supposto tra soggetto ed oggetto si attenua, comincia ad emergere la consapevolezza che ci possano essere degli elementi di disturbo introdotti sull’oggetto studiato o da parte del soggetto che studia, è l’esempio dei valori dell’osservatore, il suo orientamento politico. L’oggettività pure resta ma comincia a maturare la consapevolezza che sia più un ideale raggiungibile in maniera un pò approssimativa, che non qualcosa che effettivamente ottengo dalla conoscenza. Non solo, inizia a farsi strada la sensazione che ci possano anche essere più teorie che spieghino uno stesso fatto. La legge qui non scompare ma non è più assoluta bensì limitata nella sua portata, probabilistica dal punto di vista della sua cogenza, qualcosa che vincola, che costringe. Non è detto che vincoli del tutto e sempre allo stesso modo la realtà di riferimento. Questo concetto contempera anche la possibilità dell’accidentalità, il fatto improvviso. Per la questione metodologica, ha una posizione 91 sperimentale e manipolativa ma emerge la deduzione accanto all’induzione, attraverso il principio della falsicabilità, principio in base al quale il confronto tra la teoria e il dato empirico non può avvenire in positivo perché dati che confermano la teoria li troveremmo sempre se vogliamo e non è detto che questi non possano confermare anche altre teorie. Più che cercare il dato che conferma la teoria dobbiamo trovare il dato che confuti la teoria, il confronto tra teoria e dato empirico dovrà avvenire in negativo mediante la constatazione dell’inesistenza di dati che contraddicano l’ipotesi. Una teoria sarà verificata empiricamente quando si constata l’inesistenza di dati che contraddicono l’ipotesi. Emergono anche le tecniche qualitative, mentre per il Positivismo la ricerca sociale è esclusivamente tecniche quantitative, qui iniziano ad emergere anche le tecniche qualitative, modo diverso di fare ricerca basato su criteri e modalità qualitative. Il tutto è volto anche qui a spiegare e la scienza è sperimentale in cerca di leggi ma probabilistiche così come i suoi risultati che sono probabilisticamente veri, non veri in maniera assoluta. Interpretativismo— per quanto riguarda la questione ontologica, ha una posizione di costruttivismo e relativismo, cioè che la realtà sociale è costruita, non esiste un mondo oggettivo, una realtà esterna che esiste per proprio conto ma esisterà sempre e solo la realtà costruita da ogni soggetto agente, osservatore, ogni individuo produce la sua realtà, il suo mondo di senso e significato, la sua ”fetta finita di significato” (Weber). Questi significati variano da individui a individui , da gruppi a gruppi, non esiste una realtà generale uguale per tutti, ma tante realtà multiple quante possono essere le prospettive con cui gli esseri umani vedono ed interpretano i fenomeni sociali. Per la questione epistemologica, ha una posizione di non dualismo, non oggettività, ma di interdipendenza fra soggetto ed oggetto ed un orientamento all’individualità. La realtà non è spiegabile nella sua oggettività ma comprensibile in riferimento a quel determinato spaccato di senso e significato individuale. L’oggettività si deve recuperare nella avalutatività, il fatto che non si diano giudizi di valore quando si comprende e negli ideal tipi che prendono il posto delle leggi. L’oggettività si recupera anche negli enunciati di possibilità, delle connessioni causali concrete, specifiche che si sono venute a creare in un dato momento e in una data situazione e che stabiliscono una concatenazione di causa-effetto fra quei fenomeni all’interno di un’infinità di elementi. In quel determinato contesto quei fenomeni si sono interconnessi ed hanno dato vita a certi risultati. La legge è valida per definizione sempre, ora invece si parte dalla realtà storicamente verificatasi, cerca di identificare le corrispondenze fra i fenomeni e sulla base di questo si enunciano degli enunciati di possibilità. Il numero e il tipo di cause è sempre infinito, quindi la questione causale non viene abbandonata completamente ma non si porrà in termini di legge ma in termini di connessioni causali concrete. Per la questione metodologica, al posto della sperimentazione e della manipolazione c’è interazione empatica, al posto dell’osservazione abbiamo interpretazione, induzione, nel senso che la conoscenza è specifica sulla realtà osservata, dal particolare all’universale, abbiamo anche tecniche qualitative, analisi per casi anziché per variabili. Il fine di questo paradigma è comprendere, la scienza non è scienza sperimentale in cerca di leggi bensì scienza interpretativa in cerca di significati e i risultati saranno degli enunciati di possibilità modellizzabili in tipi ideali. 92 seconda fase, che pure possono essere considerati come fatti. Il primo positivismo si attenua perché inizia ad essere più consapevole che un fatto può essere ricostruito concettualmente, è consapevole del fatto che non potremmo mai conoscere la natura dei fatti ma solo la sua manifestazione. Inoltre nessun fenomeno si spiega mai partire da un’unica causa e inizia ad esserci un’attenzione per il contesto. Con questa seconda matrice il metodo logico/sperimentale di Pareto acquisterà due regole che sono: la verità empirica, l’obiettività dei fatti presi in considerazione e la validità dei collegamenti logici. In Pareto la sociologia è scienza che si occupa di constatare i rapporti tra le cose e di scoprire le uniformità che essi presentano. Le fasi della ricerca empirica per Pareto sono due: induttiva (1) e deduttiva (2). (1) Consiste in tre punti: classificazione dei fatti, individuazione dei rapporti tra i fatti, individuazione delle uniformità dei rapporti. (2) consiste nell’analisi delle conseguenze che si possono trarre. Secondo lui anche il linguaggio doveva essere adeguato al suo oggetto ed al suo metodo. Sul piano del metodo lui distingue le teorie non scientifiche in due grandi categorie: teorie pseudoscientifiche, che credono di fare scienza ma non la fanno perché non usano il metodo logico/sperimentale; quelle che oltrepassano l’esperienza, come le fedi religiose. Tema per cui Pareto è passato alla storia è la “teoria dell’azione sociale”. Cerca di applicare il metodo logico/sperimentale alle azioni umane e di capire quanto queste possano essere logiche, non logiche o illogiche. Innanzitutto bisogna distinguere cosa sono le azioni e di cosa sono fatte. Le azioni logiche sono quelle che presentano due aspetti fondamentali: la congruità mezzi-fini e questa non è solo agli occhi di chi compie le azioni ma anche per osservatore esterno. L’esempio più tipico è quello dell’ingegnere che deve costruire un ponte e che agirà in maniera logica quando per eseguire il progetto terrà conto della tecnica più efficace, dei materiali più resistenti, studierà tutti i mezzi e sceglierà i migliori per raggiungere il fine che si è prefissato. Le azioni non logiche sono al contrario di quelle logiche, tutte quelle dove esiste un difetto di congruenza e difetto tra letture. A seconda di dove di va a collegare questo difetto avremo vari tipi di azione non logica. non logico non significa illogico. Il fatto che l’adattamento mezzi fini non avvenga tramite il ragionamento logico non vuol dire che non avvenga affatto. Definiamo un’azione come illogica quando non ha affatto alcuna coerenza mezzi fini. È vero che le azioni non logiche avendo origine principalmente dai sentimenti della coscienza saranno più oggetto della psicologia o della filosofia che non della sociologia ma dice anche che queste azioni devono comunque interessare la sociologia per i fatti a cui danno luogo. Per classificare le azioni non logiche dobbiamo vedere dove si pone il difetto di congruità. Distingue 4 tipi di azione non logica: no oggettivo-no soggettivo, vuol dire che non c’è alcuna coerenza logica né oggettiva né soggettiva ma c’è coerenza basata sul costume, abitudini; no oggettivo-si soggettivo, è l’agire razionale rispetto allo scopo di Weber, conta l’intenzionalità del soggetto; si oggettivo-no soggettivo, sono stati compiuti tutti gli atti razionali per raggiungere uno scopo ma non c’era la volontà; si oggettivo-si soggettivo, le azioni sono intenzionate in modo logico, hanno un risultato logico ma le intenzioni dell’attore non erano quelle che si sono verificate come conseguenza dei suoi fatti. Ciò che gli uomini fanno non corrisponde a ciò che si proponevano di fare. Distingue residui e derivazioni. Egli dice che tutte le azioni si compongono di due parti: impulsi innati che non possiamo conoscere, ma da cui possiamo cogliere le manifestazioni, i residui, il 95 fondamento non logico del comportamento; e le derivazioni, razionalizzazioni che si manifestano attraverso le giustificazioni che gli esseri umani danno delle loro azioni. Hanno logico giustificativa, non dimostrativa. Le derivazioni sono ideologie, visioni del mondo, religioni, la mole di sovrastrutture che l’uomo produce. La storia delle società per lui è semplificative come storia di residui che sono costanti mentre a cambiare sono le derivazioni attraverso la morale, diritto, cultura. Questo gli serve a demistificare la democrazia e tutti gli ideali umanitari con cui il più delle volte si cerca di giustificare residui come quelli che tendono verso il potere che magari così nobili non sono. In particolare distingue i residui in 2 categorie: istinto delle combinazioni e persistenza degli aggregati. Stratificazione sociale e Teoria delle élite Alla base della stratificazione sociale per Pareto troviamo come in Marx la dimensione economica e quindi le classi sociali ma quest’ultime sono basate sul possesso dei beni materiali in senso lato e non soltanto basate sulla proprietà dei mezzi di produzione. Anche per lui il rapporto fra le classi è conflittuale e la conflittualità non muta e non lo farà in futuro. Proprio per questa ragione per lui qualsiasi teoria circa le classi sociali è pura derivazione, ideologia. Per lui anche il socialismo non è che una derivazione. Le ideologie stesse come l’esistenza delle classi non saranno mai superabili ammesso che sia un obiettivo superarle, egli crede che comunque l’ideologia faccia parte integrante non solo dell’uomo ma proprio dell’uomo civile. La sua Teoria delle élite altro non è che una teoria dell’alternarsi delle classi e dei gruppi al potere; una critica al funzionamento reale delle democrazie. Ogni società è divisa in due parti: strato superiore, dei governanti e uno strato inferiore, dei governati. Lo strato superiore è un’élite, una minoranza. Non accade solo in regimi dichiaratamente oligarchici ma anche nei regimi democratici. Anche le élite tuttavia sono divise in due parti: la parte che detiene il potere e quella che intende strapparglielo. In questo senso l’equilibrio del sistema sociale per lui è dato dalla circolazione e lotta delle élite. Più ci sarà cooptazione da parte della casse al potere nei confronti di quella in ascesa, più ci sarà equilibrio. Il ricambio delle élite tramite la cooptazione è un metodo intelligente, detto “metodo delle volpi” (usando la terminologia di Machiavelli), il ricambio più volendo e rivoluzionario è quello dei leoni. Perché ci sia equilibrio nelle élite per lui vi deve sempre essere una certa mescolando tra volpi e leoni. La storia per lui è un susseguirsi di aristocrazie. Il suo pensiero è a metà tra Comte e Marx perché dal primo prende, come anche da Spencer e dal positivismo in generale l’idea di società come organismo, da Marx prende la centralità del conflitto come base della società anche se per lui non è solo di classe ma anche tra gruppi ed élite. Questo equilibrio nel sistema non è mai statico ma dinamico. Il mutamento sociale è ciclico, per quanto tuttavia questa ciclicità non ritorna sempre al punto di partenza ma è ogni volta un pò più razionale. L’immagine è quella della spirale dove il perno è sempre un pò spostato in avanti. Le ideologie tenderanno ad essere sempre più razionali e con esse anche il residuo a cui fanno riferimento che tenderà ad essere sempre meno elementare, la direzione è del controllo. Gaetano Mosca (1858-1941) Esponente di spicco dell’ indirizzo di irrealismo, Neo machiavellismo. È il fondatore della scienza politica moderna. I suoi studi sono fondamentali per varie discipline, anche per la sociologia ma questo personaggio fu anche importante per la vita politica del paese, fu deputato, poi senatore e 96 nel 25 in parlamento tenne il suo ultimo discorso in opposizione al fascismo. Tra le opere ricordiamo Teorica dei governi e governo parlamentare (1884), Elementi di scienza politica (1896-1923), Partiti e sindacati della crisi del regime parlamentare (1949). Nell’opera Elementi di scienza politica ha formulato la Teoria della classe politica. Il contesto politico da cui emergeva il suo pensiero, era caratterizzato dal fallimento della sinistra, crisi del parlamentarismo, riduzione del consenso, contrapposizione tra paese reale e legale. Questa situazione gli permise di osservare la differenziazione sociale e politica che voleva dirsi a suo giudizio costante in ogni società e che si può esemplificare come esistenza di una minoranza governante e di una maggioranza governata. Con questo assunto egli critica e demolisce tutta la ripartizione delle forme di governo che almeno dai tempi di Aristotele era arrivata fino a Montesquieu. Si tratta di asserire che quale che sia l’ideologia di governo o la sua organizzazione giuridica, questo sarà sempre governo di una minoranza sulla maggioranza. Si chiede: abbiamo delle prove che le cose siano esattamente così? Si, lo sappiamo dal consenso che la minoranza cerca di accogliere attorno a sé. Il consenso serve a trasformare il nudo potere in autorità. Attraverso il consenso la minoranza raccoglie attorno ad una determinata formula politica giustifica e mantiene il potere. La formula politica è una vera e propria ideologia che gli consente di legittimare la propria azione. In tutte le società almeno in quelle arrivate a due certo grado di cultura la classe politica non si limita ad esercitare il suo potere con mero possesso ma la classe politica darà anche al potere una base morale, facendolo scaturire come conseguenza necessaria di determinate credenze, convinzioni che sono quelle riconosciute ed accettate nella società. Se così è, la domanda diventa perché abbiamo bisogno di formule politiche? Perché corrispondono ad un vero bisogno della natura sociale dell’uomo. Egli torna ad una concezione antropologica dell’umanità. L’uomo ha bisogno di governare e di sentirsi governato sulla base di un principio morale. La formula politica serve a dare forza al potere, in termini di durata. A seconda del grado di civiltà potremmo avere secondo lui diverse formule politiche: fondate o su credenze sovrannaturali o su concezioni più razionali o su concezioni positivistiche come l’illusione che ci sia una realtà oggettiva dalla quale non si può prescindere. Quale che siano queste credenze avranno sempre il ruolo di legittimare il potere, di far in modo che questo sia supportato dal consenso. Il limite dell’azione della classe governante è dato dalla difesa giuridica, un meccanismo o insieme di meccanismi che consentono la protezione dei governati. È data da tutti i principi morali che proteggono la convivenza sociale ma che consentono anche la ripartizione delle gratificazioni, sanzioni tra i membri di una collettività. Attraverso questa sarà possibile regolare i rapporti tra governanti e governati. La difesa giuridica è ciò che consente ai governati di proteggersi. Gli elementi portanti dei regimi liberal democratici sono la formula politica e la difesa giuridica. Se volessimo tornare a cogliere il rapporto tra la teoria della classe politica e la democrazia potremmo dire che la teoria della classe politica non può far una negazione della democrazia, si tratta di affrontare per la prima volta il problema della democrazia sulla base di una valutazione più realistica che non porta a negare la possibilità di esistenza di una democrazia, semmai l’obiettivo è mettere a confronto il principio della selezione e formazione delle élite con la possibilità della democrazia di fornire a tutti uguali possibilità. L’élite è il risultato del processo storico attraverso cui emergono i migliori ma secondo Mosca i governati non saranno condannati per natura, potranno comunque mettersi alla prova un giorno. I governanti devono rappresentare i governati. Questo lo porterà a ritenere che aristocrazia e 97
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved