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riassunto esame sviluppo sostenibile, Schemi e mappe concettuali di Economia Dello Sviluppo

riassunto esame sviluppo sostenibile corso relazioni internazionali e diritti umani

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2019/2020

Caricato il 13/03/2023

franco-culatelli
franco-culatelli 🇮🇹

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Scarica riassunto esame sviluppo sostenibile e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Economia Dello Sviluppo solo su Docsity! Capitolo I: uno sguardo alla spesa per l’istruzione dei paesi industrializzati Nel secondo dopoguerra si è assistito ad una forte crescita della spesa per l’istruzione in tutti i paesi industrializzati, all’aumento della popolazione scolastica e l’ampliamento della scolarità obbligatoria. Questi due ultimi fattori sono il risultato dell’aumento del benessere economico; in generale esiste una correlazione positiva fra il reddito pro-capite e la spesa per l’istruzione: crescendo il reddito, aumentano le risorse destinate a quest’ultima. Nel secondo dopoguerra un passo decisivo si è fatto in Italia con la riforma della scuola media unica del 1963 che ha di fatto elevato l’età della scolarità obbligatoria fino a quattordici anni. L’istruzione è un settore economico fortemente regolato dallo Stato e la politica scolastica è una delle funzioni pubbliche essenziali. La mano pubblica provvede quasi completamente al finanziamento dell’istruzione ed in secondo luogo alla gestione diretta del servizio attraverso delle strutture pubbliche. I dati raccolti dall’OCSE (e pubblicati annualmente nell’Education at Glance) sono necessari ad avere una visione d’insieme: ogni paese spende una quota della ricchezza nazionale per finanziare il sistema scolastico, con una media per l’OCSE pari a 3,5% del PIL. In tutti i paesi economicamente avanzati la spesa privata contribuisce in maniera modesta alla spesa per la scolarità obbligatoria, con quote di poco minori al 10% della spesa complessiva, nei casi in cui questa è preponderante, è prevalentemente universitaria. In tutti i paesi lo Stato ha comunque una funzione centrale per la scuola dell’obbligo, mentre lascia ai meccanismi di mercato quella universitaria. In media fra i paesi su citati, la spesa privata per l’istruzione obbligatoria rappresenta il 13% percento di spesa complessiva, contro un 25% per quella universitaria. La prima suddivisione delle spese per l’istruzione riguarda la distinzione tra spesa corrente e spesa in conto capitale. Quest’ultime si riferiscono a beni con durata superiore all’anno e comprendono i costi per la costruzione, il restauro e le riparazioni straordinarie come anche per le attrezzature. Le spese correnti sono riferite invece a beni e servizi consumati entro l’anno in corso e possono essere suddivise ulteriormente in retribuzioni degli insegnanti, del personale non docente e spese correnti diverse da quelle per il personale. La spesa corrente occupa il 93% della spesa complessiva nell’istruzione obbligatoria, considerevolmente inferiore per i livelli post-secondari mentre per queste è più alta la spesa in conto capitale. Possiamo dire che la spesa per l’istruzione è caratterizzata dalla rilevanza che assume la spesa corrente e in particolare la spesa per il personale. Generalmente il reddito di un docente è allineato sul reddito medio, pur richiedendo un livello di preparazione molto elevato. Capitolo II: il dibattito sul finanziamento dell’istruzione Caratteristica dello sviluppo economico è la continua espansione dell’istruzione obbligatoria garantita dall’intervento dello Stato. In Italia la prima legge sull’istruzione obbligatoria è stata la Casati del 1859, che prevedeva un’istruzione elementare obbligatoria di quattro anni a carico dei comuni. Nei decenni successivi la scolarità obbligatoria è stata progressivamente ampliata, sino ad arrivare all’obbligo scolastico dei 14 anni con la Riforma Gentile del 1923. Gli economisti si occuparono ampliamente dell’istruzione, specialmente per il progresso sociale ed economico. Smith nella Ricchezza delle Nazioni (1776) dichiara parte dei compiti del sovrano occuparsi di tale materia. I sostenitori del laissez-faire e della superiorità dell’iniziativa di mercato si rendevano conto di come l’istruzione avesse delle caratteristiche peculiari che male si prestavano ad essere conciliate con i meccanismi concorrenziali di mercato. Focalizzarono l’attenzione sugli effetti positivi e benefici del processo di scolarizzazione sulla società intera. Nella seconda metà dell’800 tutti i paesi europei introdussero una qualche forma di scolarità obbligatoria. La prima nazione europea fu la Prussia nel 1763; l’Inghilterra vi arrivò un secolo dopo, nel 1870 con l’Education Act, anche se non gratuito: il governo infatti cominciò a dare contributi pubblici per l’istruzione solo dal 1883 con il Factory Act. Prima esistevano le Sunday Schools il cui scopo principale fu quello di istruire i figli dei ceti popolari al fine di moralizzare la nascente classe operaia. L’aumento di scolarità è stato influenzato principalmente dalla crescita demografica, dell’inurbamento e dal processo di trasformazione industriale. Secondo Smith, nella Ricchezza delle Nazioni (1776), in ogni occupazione la remunerazione deve essere tale da ricompensare anche la spesa sostenuta per l’istruzione e il tirocinio del lavoratore. Smith guarda ad essa da un punto di vista generale, considerandola piuttosto come una rilevante istituzione sociale. I compiti del sovrano sono la difesa, l’amministrazione della giustizia e tutte quelle istituzioni che contribuiscono al benessere generale, fra le quali appunto l’istruzione: è un bene che non può essere affidato al mercato, proprio in ragione della superiorità del vantaggio collettivo su quello individuale. La sua proposta è di rendere obbligatoria l’istruzione di base attraverso la creazione in ogni parrocchia di una scuola elementare per insegnare a leggere, scrivere e far di conti, mentre Malthus andò anche oltre proponendo che l’insegnamento fosse integrato con nozioni di economia politica, così che ciascuno potesse riflettere sulle cause della sua condizione economica. Lo stipendio degli insegnanti dovrebbe essere integrato da un compenso così modesto da parte dei genitori che anche un lavoratore comune possa pagarlo (forza dell’incentivo individuale). La scolarizzazione contribuirebbe in maniera determinante a garantire le condizioni di stabilità sociale. McCoulloch fu influenzato nel suo approccio più da Malthus, enfatizzando quindi l’importanza dell’istruzione come strumento di promozione morale e di progresso economico, che non la sua natura di bene pubblico; l’importanza della funzione sociale dell’istruzione come strumento per alleviare le condizioni dei poveri. Un’adeguata scolarizzazione avrebbe contribuito al mantenimento dell’ordine e impedito ogni tendenza alla disgregazione sociale. Maturò la ferma convinzione che fosse necessario un sistema di istruzione nazionale sostenuto e gestito dallo Stato per combattere principalmente la povertà. L’istruzione diventava la strada maestra per migliorare le condizioni di vita della classe lavoratrice. I vantaggi sociali dell’istruzione, tuttavia, vanno cercati nel contributo che essa può dare alla formazione civica degli individui, e quindi al di fuori del campo economico. La creazione di un sistema di istruzione nazionale avrebbe eliminato i costi dell’ignoranza e avrebbe realizzato maggiore giustizia sociale. Insieme a Malthus, auspicava che le scuole non dessero solo preparazione umanistica ma anche alcune nozioni di base di economia politica, con particolare riferimento alla teoria della popolazione e alla distribuzione del reddito. Mill osserva che molti sono i casi in cui l’interferenza governativa è giustificabile, tra di essi l’istruzione. Muove all’interno dell’argomento smithiano delle esternalità positive per cui ci sono alcune opere di pubblica utilità che non verrebbero mai attuate in vista del tornaconto individuale. La scelta della Capitolo III: l’istruzione come bene economico La teoria economica dell’istruzione come bene comune si basa sull’assunto che l’istruzione in quanto tale possa essere assimilata a qualunque altro bene economico che qualcuno ha interesse a domandare e qualcun altro ha interesse ad offrire. L’istruzione ha natura complessa: ha natura privata in quanto giova al singolo ma al tempo stesso risulta meritorio dal punto di vista della società; può essere considerato come un bene di consumo ma allo stesso tempo ha le caratteristiche di un bene di investimento che aumenta la produttività nel corso del tempo. L’approccio può essere diviso in tre filoni: quello tradizionale che ci proviene dalla scuola classica, quello del capitale umano emerso negli anni Sessanta, quello legato ai costi di transizione (costi legati specificamente alla negoziazione contrattuale). Nel primo, Smith sottolineava come ci siano casi importanti in cui il mercato non è in grado di raggiungere un’allocazione efficiente delle risorse a causa della presenza di esternalità positive oppure negative. Chi ha la possibilità di studiare produce un benefico non solo per sé stesso, in termini di maggiore opportunità di reddito ed occupazione, ma indirettamente anche per la collettività in cui è inserito perché ciò porta ad un miglioramento delle relazioni sociali. Il problema consiste nel fatto che i segnali di prezzo che il mercato manda per orientare i soggetti economici non sono in grado di registrare l’effetto sociale positivo dell’istruzione. La presenza di queste esternalità giustifica in economia l’ampio intervento dello Stato. Il secondo approccio è quello del Capitale Umano di G. Becker (1964): ciascun individuo cerca di massimizzare le proprie preferenze tenendo conto di determinati vincoli che possono essere dati dalla tecnologia, dalle risorse disponibili, dagli assetti istituzionali. L’istruzione come attività economica può essere del tutto assimilata ad una forma di investimento, quello appunto nella formazione e accumulazione di conoscenze. Offre una remunerazione futura che sia in grado di ricompensare i sacrifici presenti. Il nucleo centrale della teoria afferma che gli individui dedicano risorse all’istruzione sulla base di un calcolo razionale in base alla quale confrontano benefici e costi in un’ottica di lungo periodo che si estende alla vita intera. Ad ogni investimento di capitale umano corrisponde un determinato livello di rendimento, che sarà più elevato quanto più lo sarà il livello di istruzione dell’individuo. L’approccio smithiano potrà spiegare perché la scelta scolastica non sia lasciata alle famiglie ma sia la società a stabilire quale sia il livello obbligatorio della scolarità. La teoria del capitale umano, a sua volta, si rivela più adatta a spiegare perché molti individui proseguano gli studi ben oltre l’obbligo scolastico: il guadagno è proporzionale, infatti, al livello di istruzione. La teoria dei costi di transazione avanzata da Oliver Williamson mette in evidenza che quando le transazioni di mercato sono caratterizzate da un’elevata incertezza, emergono dei costi aggiuntivi rispetto a quelli tradizionali che dipendono da determinati fattori. I costi di transazione (CT) assorbono una grande quantità di risorse riducendo l’efficienza dei meccanismi di mercato. Quando i CT diventano rilevanti il coordinamento tra i soggetti economici può essere realizzato in maniera più efficiente dalle strutture amministrative. Lo stato interviene in una duplice maniera per quanto riguarda la gestione dell’istruzione: in primo luogo come soggetto finanziatore, in secondo luogo come istituzione che gestisce direttamente il servizio. La spesa pubblica costituisce il 90% della spesa complessiva per l‘istruzione, come pure le scuole statali costituiscono una percentuale analoga del totale delle scuole. In “Capitalismo e libertà” 1962 Friedman dice: la mano pubblica deve sostenere l’onere finanziario ma lasciare la fornitura del servizio alla libera competizione tra le scuole, seguendo un disegno istituzionale che sta a metà strada tra la gestione completamente pubblica e quella esclusivamente privata. L’intervento pubblico è necessario in relazione all’esistenza di esternalità positive che impediscano un corretto funzionamento del mercato. Vi sono situazioni in cui l’azione di un soggetto economico influenza quelle di altri soggetti e questa relazione non può essere valutata dal mercato in termini monetari. La seconda ragione avanzata da Friedman è di carattere meta-economico e chiama in causa l’importanza dell’istruzione come fattore istituzionale che ha lo scopo di promuovere la formazione civica degli individui. La presenza di esternalità porta ad un’allocazione che non è efficiente dal punto di vista della società: quei beni che generano delle e. positive sono prodotti in quantità insufficienti, al contrario i ben che producono delle e. negative sono prodotti in quantità eccessive. Il ruolo del mercato è il “buono di servizio (voucher)” e la conseguente creazione di un quasi mercato, una struttura istituzionale che si propone come soluzione tra gestione pubblica e privata (“il ruolo del governo sarebbe soltanto quello di assicurare che le scuole soddisfino certi requisiti minimi”). Il governo assegna ad ogni consumatore un sussidio pari al costo del servizio da utilizzare nella scuola di sua scelta. In questo modo l’autorità pubblica interviene con una funzione di controllo e lascia che siano le scuole a rispondere alle condizioni di mercato. Le scuole migliori secondo la selezione di mercato sperimenteranno un aumento della domanda dei loro servizi mentre le suole peggiori dovranno ridurre l’offerta. Nella filosofia di chi lo propone, il sistema dei buoni mantiene le caratteristiche del finanziamento pubblico, ma allo stesso tempo il sistema scolastico è chiamato a rispondere ai segnali che derivano dalla domanda privata, simulando in questo un comportamento concorrenziale. L’argomento filosofico consiste nel fatto che secondo Friedman, in una società libera è la famiglia che dovrebbe decidere liberamente l’istruzione dei figli e non lo stato (individualismo liberale). L’argomentazione di carattere economico è accessoria: se il mercato garantisce in generale un’allocazione efficiente, anche nel caso dell’istituzione è probabile che una concorrenza tra scuole aumenti l’efficienza del sistema. Un sistema di buoni scuola consentirebbe di ridurre la spesa per l’istruzione e consentirebbe agli studenti di ottenere risultati migliori. Le caratteristiche essenziali dell’istruzione come quasi-mercato in primis è che le singole scuole devono possedere spiccata autonomia per meglio proporre delle soluzioni adeguate alle richieste degli utenti e per meglio utilizzare le risorse a disposizione del sistema; in secondo luogo, i meccanismi di finanziamento delle scuole dipendono strettamente dalle scelte degli utenti. Il finanziamento delle scuole non viene più deciso a livello centrale, ma dipenderà dalle capacità di ogni singola scuola di attrarre nuovi utenti. Piena autonomia sul lato dell’offerta e la variabilità delle risorse finanziarie collegata alla numerosità dell’utenza, dovrebbe produrre un meccanismo con delle caratteristiche simili a quelle del mercato, in base al quale le famiglie scelgono le scuole migliori e per questa via anche le risorse finanziarie vengono ottimizzate, perché vanno a finire verso le scuole che rendono servizi più elevati. Ci dovrebbe essere un miglioramento continuo dell’offerta formativa grazie al fatto che le scuole migliori si espandono a spesa di quelle peggiori. La conseguenza principale di poter usufruire di un buono per l’acquisto di beni e servizi è che si modifica la scelta ottimale di consumo da parte dell’agente economico. Il voucher funziona come un trasferimento monetario che sposta verso destra il vincolo di bilancio. Può accadere che il vincolo di bilancio non sia del tutto equivalente ad un aumento del reddito del consumatore, quando il suo importo è maggiore della spesa in condizione di equilibrio. Un voucher è un sussidio che concede un potere d’acquisto limitato ad un individuo allo scopo di scegliere tra un set limitato di beni e servizi: • Criteri di determinazione dell’ammontare di un buono: il metodo normalmente utilizzato si basa sulle caratteristiche personali o del nucleo familiare del soggetto beneficiario del voucher, con particolare riferimento a parametri di reddito e patrimonio. I v. consentono l’accesso a beni e servizi senza però finanziare necessariamente l’intero ammontare. • Possibilità di scelta per il consumatore: i voucher devono offrire opportunità di scelta a coloro che ne usufruiscono, normalmente in situazioni in cui essi hanno scarse possibilità in tal senso, se non nessuna. • Il contesto normativo: ogni programma di voucher, soprattutto quelli attuati da enti pubblici, comporta la fissazione di regole ben precise. Si distingue da altre tipologie di intervento pubblico in quanto il consumatore può scegliere in base alle sue preferenze (anche se le scelte sono limitate). Il merito del sistema è che sollecita la concorrenza tra più fornitori che operano sulla base di scelte autonome. L’ipotesi è che questa competizione tra i vari soggetti possa aumentare l’efficienza del servizio attraverso una riduzione dei costi. La proposta di finanziare un servizio pubblico mediante un servizio di buoni deriva dall’ide smithiana della mano invisibile, in base al quale la concorrenza tra soggetti in competizione tra di loro realizza sempre il risultato migliore, sia per il singolo che per la società. L’assunto di O. Williamson è che ogni relazione contrattuale comporta dei costi che non si riflettono in maniera automatica nei prezzi. Quando questi costi che apparentemente sono invisibili sono moto elevati, i mercati non sono in grado di determinare un risultato socialmente efficiente perché una parte rilevante delle risorse viene perduta. I CT sono ottenuti nello sforzo di ottenere tutte le informazioni necessarie per prendere decisioni, contrattare e verificare che i contratti siano rispettati. W. insiste sul fatto che gli aspetti maggiormente rilevanti delle transazioni siano la loro frequenza, l’incertezza del risultato finale e la specificità delle prestazioni stabilite. Una seconda fonte di CT è che gli agenti economici hanno una razionalità limitata: non dispongono della capacità di valutare tutti gli elementi rilevanti per prendere una decisione. Per ridurre tali costi sono previsti meccanismi istituzionali che riducano incertezza. Informazione imperfetta: la prima causa dell’insorgere dei CT è legata all’incertezza del valore delle transizioni economiche. Il consumatore dispone di un numero limitato di informazioni e non è in grado di valutare le conseguenze delle sue azioni. Questa carenza di informazioni può impedire il funzionamento efficiente del mercato e addirittura provocarne il collasso. Per superare questi ostacoli l’agente economico sopporta dei costi, nel tentativo di recuperare le informazioni mancanti e ridurre di conseguenza l’incertezza. Razionalità limitata: l’informazione può richiedere operazioni di grande complessità che rende difficile il processo di assimilazione, le quali esigono grandi capacità di calcolo e di previsione di cui si è sprovvisti di norma. Nel processo di valutazione il fatto che la nostra razionalità sia limitata ci obbliga ad operare una qualche scelta anche se non ottimale. I CT sono quelle risorse che vanno perdute in conseguenza del fatto che tale scelta non fosse quella ottimale. I Costi Irreversibili: i costi specifici sostenuti per arrivare ad una transazione e che si traducono in perita se tali transazioni non avvengono. Quando siamo in presenza di CT elevati gli scambi economici tendono ad uscire dal mercato e vengono collocati all’interno della sfera di strutture amministrative nelle quali la libera contrattazione è sostituita da regole ben codificate. Secondo la teoria dei CT l’incertezza tende a modificare i comportamenti degli individui portando ad un uso cattivo delle risorse. Per ristabilire una condizione di efficienza è necessario che la società crei delle istituzioni economiche con lo scopo di eliminare il deficit di conoscenza degli agenti economici. La scuola gestita unicamente dallo stato riduce il rischio che la famiglia faccia la scelta sbagliata in un campo così importante com’è quello della formazione e dell’accumulazione delle conoscenze. La scuola pubblica assorbe più del 90% dell’offerta regionale. L’esperienza dell’Emilia-Romagna si pone sul solco tradizionale di una politica marcatamente redistributiva, in cui la scelta tra pubblico e privato non è l’elemento centrale. Quest’ultimo è costituito invece dalle capacità di reddito e di spesa del nucleo familiare. In secondo luogo, è in linea con analoghe esperienze di contributi diretti alle famiglie. Si pone in linea con le più recenti teorie della crescita endogena: spetta al legislatore regionale gli ostacoli allo sviluppo del capitale umano. L’importo dei sussidi regionali contribuirà ad aumentare il grado di scolarizzazione regionale, riducendo la diseguaglianza nella distribuzione del sapere e stimolando per questa via la crescita economica nel lungo periodo. Capitolo VIII: Il finanziamento dell’istruzione e la sfida alla qualità. L’incremento della qualità del servizio dell’istruzione, sia in termini di risorse utilizzate che di risultati finali, seguendo strade diverse dal centralismo amministrativo che da sempre ha caratterizzato la scuola italiana. All’interno di questa nuova prospettiva si è inserita la discussione sulla possibilità di ampliare margini di scelta individuale e sugli strumenti per realizzare questo obiettivo, tra i quali il buono scuola. Il buono di servizio è lo strumento in grado di realizzare delle finalità pubbliche pur in un contesto operativo che rimane del tutto simile a quello dell’impresa privata. Il buono consente al consumatore finale la possibilità di scegliere tra un limitato insieme di opportunità. Da un lato promuove l’equità, perché si tratta sempre di risorse messe a disposizione dello Stato per finalità sociali, ma dall’altro anche l’efficienza, perché consente una libera competizione tra soggetti che offrono il servizio. Affinché la fornitura pubblica attraverso la mano privata risulti efficiente, occorre che siano presenti alcune condizioni che possiamo riassumere nell’assenza di costi di transizione: i destinatari devono essere facilmente individuabili, il bene deve avere delle caratteristiche ben precise, la possibilità di competizione deve essere alta. La leggen.62 del 2000 per la prima volta apriva le porte alla possibilità di un contributo diretto alle famiglie, indipendentemente dal soggetto erogatore del servizio. L’Emilia- Romagna si è mossa nel solco tradizionale di una più incisiva politica del diritto allo studio, attraverso il sostegno economico diretto alle famiglie monoreddito: l’estensione massiccia dell’intervento anche alla scuola superiore. Si è aperto lo spazio per un contributo anche alle famiglie che avevano scelto la scuola privata. Correttamente il legislatore regionale ha interpretato il diritto allo studio in senso estensivo: esso deve essere sostenuto indipendentemente dalle preferenze delle famiglie nei confronti della scelta educativa. La scelta della Regione Lombardia è stata fin dall’inizio quella di sostenere finanziariamente le famiglie che avevano scelto l’offerta scolastica privata. Il buono scuola è stato articolato in modo tale da escludere quasi completamente gli studenti frequentanti la scuola pubblica. Lo scopo perseguito è stato quello di rimborsare le famiglie, anche ricche, che avevano scelto la scuola privata. Una quota rilevante delle risorse regionali è stata orientata verso il settore privato con argomentazioni che si richiamano apertamente alle teorie di Friedman, contribuendo a frenare la crisi del settore privato. La regione governata dal Centrosinistra ha cercato di rendere più incisiva una tradizionale politica nel campo dell’assistenza scolastica, sia nel solco del dettato costituzionale che invita a premiare i meritevoli e privi di mezzi, sia seguendo una tradizione internazionale che affida al voucher una finalità in primo luogo redistributiva. Le regioni amministrate dal Centrodestra, ispirandosi ad una visione liberista del fidanzamento regionale al fine di interpretare le esigenze di un elettorato che vede con favore la presenza nel campo educativo di un robusto settore privato accanto a quello pubblico. Le risorse regionali sono andate benefico del settore privato.
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