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riassunto esaustivo del libro di comunità, Schemi e mappe concettuali di Storia Della Pedagogia

Sintesi del libro Comunità, del corso di laurea di scienze dell'educazione Unipa

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 12/05/2023

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Scarica riassunto esaustivo del libro di comunità e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Della Pedagogia solo su Docsity! Comunità
 1.3. la comunità nella riflessione filosofica
 La nostra società presenta un arcipelago di realtà comunitarie che non sempre sono orientate alla realizzazione di un bene comune.come può allora la comunità essere pensata quale soluzione offerta alle sfide poste dalla tarda modernità? E quando essa diviene un luogo di promozione del bene comune? Nella seconda metà del novecento una riflessione ha dato vita a diverse scuole di pensiero che si sono interrogate sul senso della comunità nel tempo della post modernità. 1.3.1 costruire comunità Tra gli anni Ottanta e gli mi anni Novanta del Novecento in America per iniziativa del sociologo Amitai Etzioni e del politologo William Galston, è il comunitarismo, «una galassia alquanto composita che presenta posizioni anche tra loro molto differenti» accomunate però da una critica unanime al liberalismo e all'utilitarismo. Si tratta infatti di un orientamento filosofico che comprende anche studiosi nel campo delle scienze sociali, quali sociologi, pensatori etici e politici che insieme hanno avviato una riflessione critica nei confronti del diffuso individualismo e del senso di sradicamento aggravati dai processi di globalizzazione e di industrializzazione che ancora segnerà il nostro tempo. Il ritorno alla comunità affonda le radici nella cultura classica fino a quella della nostra epoca tarda, dove il diffondersi di uno sfrenato individualismo è il prevalere di una visione edonistica e materialistica della vita la rendono sempre più emergente. Nella cultura americana il termine comunità assume un particolare significato, poiché parliamo di comunità politica, culturali, etniche, religiose. I comunitari non vogliono proporre un vecchio modello di comunità, non c'è il loro retrotopia, cioè non guardano le comunità del passato come luoghi di rifugio, ma propongono un'idea di comunità in alternativa alla teoria liberale e al neo contrattualismo di cui è portavoce, gli anni 70 Rawls col suo famoso volume una teoria della giustizia. Ad una visione utilitaristica che esalta un individuo atomo e alienato, cioè un soggetto sradicato. Comunitarians Alasdair MacIntyre, Charles Taylor, Michael Sandel4, per ricordare i più famosi e rappresentativi, affermano che l'uomo è un animale sociale e che ha una natura originaria comunitaria, perché si lega ai propri simili per natura, è parte di una cultura e di una tradizione. Ciò che rientra dà senso all'agire umano è piuttosto un bene creato e fruito comunitariamente. Il giusto a cui dà priorità sono quelle regole che si devono seguire, mentre il buono riguarda il contenuto definito da un ideale di vita buona: piuttosto che chiedersi che cosa devo fare?, Il comunitarista si chiede chi sono io?, Che tipo di persona voglia diventare?.Se nella visione liberare un'etica neutra e procedurale dell'individuo un soggetto astratto isolato, nella visione comunitarista accade il contrario: la comunità diviene l'orizzonte di senso del soggetto, il quale forma la propria identità personale proprio grazie le relazioni che è in interesse al suo interno. Molti comunitaristi simpatizzano con la filosofia classica, in particolare con quella aristotelica di cui ripropongono alcuni aspetti quali la naturale socievolezza dell'antropos è la philia politica, secondo cui l'uomo è possibile solo come essere con gli altri. Non si tratta più di un essersi imposto dall'alto, ma di un noi partecipato. I rapporti io-noi hanno una funzione inclusiva e favoriscono un sentire comune, quelli io-tu nel merito di preservare l'autonomia dei singoli soggetti. Il soggetto proposto dei comunitaristi è un soggetto situato relazionale, chiesto ti intende un modello narrativo dell'identità. La formazione dell'identità della persona, la visione comunitarista non può non avvenire dentro coordinate spaziali e temporali, in contesti comunitari che non solo occupano degli spazi, ma anche hanno una storia. I comunitaristi danno molta importanza all'educazione, il cui compito principale è quello di formare una nuova cittadinanza attiva e discorso affronta le questioni etiche attraverso argomentazioni che tengono conto sia della giustizia sia della solidarietà: fa sì che i membri della comunità si rispettino l'un l'altro attraverso l'esercizio della giustizia e della solidarietà reciproca. La comunità così intesa è un luogo di inclusione caratterizzato da pluralismo valoriale, culturale, religioso e sociale, fondata su una morale del pari rispetto per chiunque all'interno della società in base alla quale tutti i soggetti si riconoscono e si accettano reciprocamente. Il tramonto della metafisica, poiché se non è più possibile la condivisione dell'idea di bene unitaria e globale derivante dall'alto, questa può essere riscoperta e proposta dal basso a partire dall'agire comunicativo che induce all'inclusione dell'altro. Alla base della vita di comunità viene posta una razionalità comunicativa e non solo pratica, poiché il linguaggio oltre ad essere un medium aggregante permette anche di stabilire norme comuni. La comunità fondata sull'agire comunicativo è anche il luogo entro cui il soggetto forma la propria identità, perché vivendo in uno spazio pubblico, culturalmente e socialmente stimolante e abitato da altri ed eguali soggetti, ognuno apprende l'uno dall'altro e costruisce la propria biografia. Habermas rappresenta anche una risposta al problema del pluralismo culturale che caratterizza la nostra società e che costringe alla convivenza diversi tipi di estranei, ovvero persone che, Avendo formato la propria identità in contesti di vita del tutto diversi, «comprendono se stesse alla luce di tradizioni non condivise»". Egli propone una solidarietà tra estranei che si fondi su un universalismo sensibile alle differenze, che include l'altro e cerca di valorizzare la differenza senza omologarla. «Inclusione dell'altro» però non significa condividere la sua forma di vita, ma consentirne e legittimarne l'autonomia entro i confini della società, «accogliere l'estraneo che tale vuole rimanere». 1.3.3. essere comunità Un modo diverso di guardare la comunità dato delle filosofie del posto umanesimo. Uno dei massimi rappresentanti di tale filone di pensiero è Jean-Luc Nancy-essere singolare plurale. quano pensiamo al termine comunità dobbiamo pensare al cum. La comunità è il cuore dell’ontologia, è un principe originario della realtà e rende ragione alla relazione. Per Nancy, come afferma in La comunità inoperosa, altro volume dal titolo allusivo, la comunità non viene dopo l'individualità, essa «non è un essere comune, è un essere in comune, essere l'uno con l'altro o essere insieme. Il modo proprio dell'essere dell'esistenza come tale»". Tuttavia, proprio perché fondamento della realtà, l'essere in comune può diventare un compito formativo; esso, infatti, non è sostanza o soggetto, ma è accadimento, quindi, se percepito come essere isolato e atomo, ha in sé la possibilità di riscoprire, grazie a un cammino di formazione, la sua natura singolare-plurale. Ciò che emerge dalle riflessioni di Nancy è la natura corale dell'essere: nella comunità il soggetto non perde la propria identità ma si manifesta come singolarità, non un io chiuso e finito ma una soggettività aperta e dinamica. La singolarità, dice il filosofo francese, non va confusa con l'individuo, essere finito, perché come individuo sono chiuso ad ogni comunità, e non sarebbe eccessivo dire che l'individuo - sempre che possa esistere un essere assolutamente individuale - è infinito. Il suo limite, in fondo, non lo concerne. Non la si produce, se ne fa l'esperienza (o meglio l'esperienza di essa ci fa) come esperienza della finitezza». Ecco perché viene definita, con linguaggio preso in prestito dal filosofo Blanchot, inoperosa, cioè «non un'opera da fare, ma un dono da rinnovare, da comunicare». Il carattere di donatività della comunità viene ribadito ed esaltato dal filosofo Roberto Esposito che si ricollega alle riflessioni di Nancy. Anche per lui tutti i modelli occidentali che hanno in comune un equivoco di fondo di queste concezioni è ritenere che la comunità sia una proprietà, un apparteniti che accomuna i soggetti qualificandoli come appartenenti a una stessa realtà, oppure una sostanza che è il risultato della loro unione". In questo modo, secondo Esposito, viene frainteso il significato etimologico del termine comunità, del quale si perde l'estrema complessità: dall'etimo latino communitas, il termine è composto dal prefisso cum e dal sostantivo munus, che rimanda al dovere, al debito, a un «dono-da-dare»su. La comunità quindi è caratterzzata dall'improprio, da uno svuotamento, dalla perdita, dallo spossessamento, dalla depropriazione, dalla mancanza, ma anche dalla relazione, ovvero dalla compensazione e dalla restituzione tra colui che è obbligato e colui a cui è destinata la riconoscenza. Una conseguenza di questa concezione della comunità è l'opposizione tra la communitas, luogo di donazione reciproca, e l'immunitas, l'esonero dall'obbligo donativo, concetto insieme privativo e comparativo, poiché indica la diversità rispetto alla condizione altrui ed è sempre propria, cioè appartiene a qualcuno e dunque non è comune®. In questo modo viene superata l'idea di una comunità dal doppio volto, al suo interno comunitario e all'esterno immunizzante, poiché fondata sull'esclusione degli altri secondo la logica del «noi-loro» che sembra sostenere il diffondersi, nelle società tardo-moderne, di nuovi arroccamenti identitari quale risposta all'incontro problematico tra culture diverse. Comunità- Capitolo 2: La comunità educativa tra pratiche e terrei della preistoria all’ottocento. 2.1. le comunità dall’oralità alla scrittura Le prime forme di educazione a carattere comunitario risalgono alla preistoria, dove l'educazione intesa come cura e allevamento spontanei dei bambini in quanto nuovi membri di una comunità avviene in modo informale orale attraverso l'uso del linguaggio e dell'esempio, conducendo tutti alla vita del gruppo sociale. Lo scopo dell’educazione è la trasmissione la cultura tra le generazioni secondo una struttura sociale gerarchica basata sul dominio degli uomini sulle donne, del primogenito i suoi secondigeniti, dei vecchi sui giovani, al fine di garantire la conservazione di valori e regole stili di vita. Un esempio di educazione orale comunitaria quella africana, utilizza linguaggio non solo come me comunicazione, ma anche come legame naturale della comunità. Letteratura orale, canti popolari, leggende, miti, proverbi indovinelli è un mezzo per trasmettere la cultura del villaggio e contribuire in questo modo la coesione del gruppo. L’educazione non è soltanto un fenomeno che riguarda i bambini fanciulli, ma anche gli adulti che continuano ad apprendere esercitando sempre di più la propria influenza sulla comunità fino alla vecchiaia considerate della saggezza. Con il passaggio alle civiltà della scrittura, accanto al persistere di forme di educazione spontanea, si diffonde l'educazione formale affidata a sacerdoti e scribi che viene svolta nelle scuole e nei templi, comunità predisposte per la trasmissione dell'arte e la scrittura. All'interno di questa comunità educativa l'educazione e l'istruzione presentano un carattere rigido autoritario, fatto di castighi e punizioni corporali adottati affinché gli educanti accetti una disciplina nei contenuti trasmessi nei comportamenti richiesti. Un esempio di questo tipo di comunità ristretto e chiuso, fu quello della civiltà spartana, dove la comunità coincide con lo Stato a cui viene affidato un educazione basata sull'addestramento militare dei giovani. 2.1.1. La comunità nella polis greca All'interno dell'antica Grecia vi fu un nuovo modello educativo che comincia a diffondersi—>la Paideia, basato sull'ideale della kalokagathia, cioè la fusione di bello e buono, secondo il quale l'uomo raggiunge la propria perfezione armonizzando la sfera estetica con quella - Epicuro conferisce valore ad una comunità delle piccole proporzioni, parla di comunità di amici, poiché considera l'amicizia un bene che ha origine dall'utile si trasforma in relazione educativa, aiuto reciproco non solo della soddisfazione dei bisogni materiali, ma anche del raggiungimento della pace interiore. L'amicizia per Epicuro è un fondamento della vita che si può realizzare solo in una comunità, cioè in uno spazio fisico comune in cui amici vivono, parlano, fanno filosofia, realizzano l'ideale di vita filosofica e si aiutano reciprocamente. Si tratta di una cura di sé che può essere praticata solo in una comunità di amici uniti dall'affetto e non da un contratto. Nella visione epicurea, si tratta di una Paideia fondata su valori comuni, dove la cura dell'amicizia e la coltivazione della solidarietà sono fine e mezzo educativo: il telos della pratica di cura la formazione dell'uomo inteso come animale comunitario, un soggetto che tende a oltre passare i confini della Polis e a consociarsi con tutti gli esseri umani. - Negli stoici invece, l'ideale comunitario è presente nel cosmopoliteismo e in una nuova idea di cittadinanza mondiale secondo cui la comunità è dato dalla cura di sé, chi è con se stesso nella cura può infatti sentirsi a casa propria ovunque vada, poiché egli partecipa una grande comunità. Foucult sottolinea la vocazione sociale della cura di sé è indicata dagli storici nello stoicismo, di temi che riguardano la convivenza civile la ricerca di una comune felicità. Crisippo ad esempio, dice che “il desiderio di condivisione un istinto naturale e sostiene che noi siamo coinvolti da natura non reciproco vincolo di comunione e di convivenza”. La grande comunità storica si costituisce come invisibile e ideale tre esseri la cui vita sia interamente dominata dal logos. Il nesso comunità-educazione, è ancora presente nel mondo romano che predilige come modello di cultura quello greco in particolare la Koinè educativa dell'età ellenistica costituita da un insieme di realtà diverse, una mescolanza e un sincretismo di svariate etnie, culture religioni, che però trovano le lingue greche un terreno comune su cui fondare modelli di scuola, di cultura e di pratiche educative. Nell'orizzonte dell'Humanitas, cioè della Paideia romana, la comunità coincide con la civitas fondata è costituita da cittadini che scelgono di assoggettarsi alla legge romana il diritto che ora regola la vita quotidiana, riducendo la distanza tra l'uomo cittadino. I romani sono uniti da un fine comune che li rende protagonisti di una comunità inclusiva. A questo proposito Cicerone nel de Repubblica dice che: “il popolo è l'unione di una moltitudine stretta in società dal comune sentimento del diritto della condivisione dell'utile collettivo.è la prima causa di quell'associarsi è una sorta di naturale istinto degli uomini direi quasi all'associazione perché la specie umana non è incline a vivere separata né a spostarsi da sola”. Egli scrive inoltre che gli abitanti dei municipi, cioè delle città che si trovano fuori dalle mura di Roma, hanno due padri: una di nascita, patria naturae, e l'altra comune, patria Civitatis, base di accesso alla comunità alla comunanza e al diritto del popolo romano. La patria Civitatis è una comunità sempre aperta ed universale che include in sé con la naturale, non prevede una discriminazione fra cittadini in base origine, razza, nazione, lingua, cultura e non è limitata al territorio. Pertanto, dell'Humanitas romana la comunità si caratterizza sempre di più in modo deciso con l'impero. L'idea di comunità nell'educazione, e l'istruzione nella scuola coincide con l'idea di unificare l'impero sotto il modello della romanità s', cioè dello Stato, il diritto della cultura romana universale. 2.2.1. le comunità dal cristianesimo al medioevo Dopo la caduta dell'Impero Romano e con le invasioni barbariche, nelle culture non romane presenti nel territorio italico dal VI all'VIII secolo d.C., Ostrogoti, Visigoti, Burgundi, Vandali. Le comunità entro cui tali pratiche si svolgono sono la famiglia e l'esercito, dove si sviluppano modi e metodi educativi diversi rispetto a quelli presenti nel mondo latino, legati soprattutto all'aspetto giuridico ma anche a quello intimo, legame parentali piuttosto rigidi. Con il cristianesimo vengono costituite le prime comunità in senso proprio, le quali fanno veicolo di una nuova Paideia che pone al centro la figura di Gesù al suo messaggio: maestri apostoli vivono una relazione educativa caratterizzata dall'amore, agape, verso Dio e verso il prossimo dentro una comunità caratterizzata da convivalidità. È un modello di comunità che ha come fine il messaggio cristiano universalistico di rigenerazione l'umanità, che trasmette nuovi valori quali le uguaglianza, la solidarietà attraverso nuove pratiche di cura del sé e che insistono sulla parte spirituale dell'essere umano, l'anima, rispetto alla corporeità che invece va condannata. Temi che continuano ad essere presenti nella patristica nella Paideia medievale, dove la formazione cristiana non può venire in una comunità che abbiano fine la preparazione in questa vita terrena la vita ultraterrena di cui la chiesa e tramite. A tal proposito va ricordato come la chiesa dopo la fine dell'impero romano assume il ruolo di protagonista nell'educazione altomedievale, attraverso le scuole monastiche che diventano depositari del sapere dell'istruzione in Occidente. L'alto medioevo infatti è dominato dal protagonismo di due realtà, il feudo e il monastero, due luoghi di rifugio che potremmo qualificare come comunità chiuse che risponde al diffuso bisogno di protezione. Il monachesimo occidentale, rappresentato dalla figura di San Benedetto da Norcia, è un esempio di pratica educativa comunitaria che ci viene restituita grazie un documento prezioso come la regola Magistris. Qui infatti vengono fissate le norme relative alla formazione dei novizi e di coloro, cioè accolti dalle scuole del monastero che prima erano riservate solo ai chierici, ora anche ai laici. La vita svolta all'interno del monastero è improntato alla reciprocità comunionale, dedita da un lato alla preghiera e alla vita intellettuale, dall'altro lato al lavoro manuale, in particolare all'agricoltuta. Il vivere in comune trova il suo centro nell'abate, rappresentante di Dio, il quale svolge il ruolo di maestro che guida con severità amorevole i propri discepoli nelle diverse attività, ovvero nella pratica religiosa, nel lavoro dei campi, nella conservazione e copia dei testi sacri e classici. Il famoso motto ora et labora ben sintetizza il senso dell'educazione di comunità praticata nei monasteri medievali anche se, com'è stato notato, sarebbe più corretta la locuzione ora, lege et labora, che indica i tre momenti che scandiscono la giornata della comunità monastica: la preghiera, la lettura dei testi sacri, lectio divina, il lavoro manuale. Esiste quindi una paideia monastica, basata sul legame tra disciplina esteriore e mondo interiore, che concilia uno stile di vita solitario e dedito alla preghiera con la coralità del cenobio. Comenio nonostante faccia parte di una comunità religiosa, l'unione dei fratelli boemi, non inserisce nella sua pedagogia l'idea di comunità. Comenio adopera il termine "latina Civitatula" per indicare un luogo isolato e protetto in cui vengano educati i giovani. Rousseau invece, è noto per un duplice per una duplice visione della vita che implica una distinzione tra il piano educativo e quello politico. Da un lato la politica in cui contano le società semplici, frugali, che delle antiche comunità rinverdiscono i rituali, le feste pubbliche, le usanze, dall'altro la pedagogia, che conduce il distanziamento e la fuga del singolo individuo dalla società, ritenuta corrotta, la quale va sostituita una nuova società fondata al contratto sociale. Nel secolo dei lumi, i collegi sono il più delle volte dei veri e propri luoghi di segregazione, dove viene impartita un'educazione molto rigida basata sulla disciplina, sulle norme da rispettare sulle punizioni e sui castighi. Essa continua ad essere presente nell'ottocento anche se comincia ad affievolirsi; Herbert infatti pensa, sulla scia di Comenio, ad una pedagogia dell'apprendimento per i singoli educandi oggetto della scienza psicologica, c'è chi invece inizia a valorizzare la comunità come esperienza locale sociale. In nessuno dei grandi maestri dell'ottocento manca l'attenzione al momento sociale dell'educazione, che si esplicita tramite l'importanza diffusa data il rapporto tra la famiglia e la scuola, considerate le due comunità educative che presiedono all'educazione delle nuove generazioni. Pestalozzi insiste su questo rapporto, per il quale una persona non è interamente educata se non insieme ad altre persone. Viene affermata la concezione sacra della famiglia considerata nucleo comunitario per eccellenza, anche se occorre del tempo affinché essa si affermi nel contesto sociale e la scuola si collochi nella comunità costituendo essa stessa la comunità. Pestalozzi valorizza la comunità rurale come alternativa alla corrotta educazione urbana. Il modello per soluzione di comunità educativa e quello familiare: "decisivi sono gli insegnamenti materni". Non possono essere dimenticate le gioie domestiche. Tutta la giornata è contrassegnata dei ritmi della vita del villaggio. Nella stessa direzione vanno altri autori dell'ottocento, quali Frobel, Lambruscchini, Rosmini, Don bosco, per indicare alcuni che affidano alla famiglia la prima educazione contraddistinta dell'amore materno che viene continuata alla scuola la quale, come sottolinea Don bosco, la comunità domestica assumendo l'aspetto di una casa comune. Ciò che accomuna le pedagogia sente l'attenzione rivolta all'ambiente socio-culturale entro cui accadono educazione pensata non più soltanto come un privilegio di pochi ma rivolta al popolo. Tuttavia, anche laddove il mezzo educativo coincida con un fare comunitario solidale, com'è il caso delle scuole di mutuo insegnamento, non si afferma nessuna teoria educativa che faccia usare la parola comunità nel senso che maturerà più avanti nel corso del 900. D'altra parte l'ottocento è il secolo in cui si diffonde in Europa nove differenti luoghi dell'educazione dell'istruzione oltre la famiglia, quali asili, i giardini dell'infanzia, le scuole infantili, le scuole elementari e quelle popolari, cui caratteristiche comunque di essere il più delle volte ancora comunità chiusa in cui prevale una prassi scolastica autoritaria, conformisti Ca' repressiva oltreché nozionistico e formalistica, che ben spiega la reazione radicale attuata dalle scuole nuove del primo novecento. CAPITOLO TERZO- COMUNITA’—> teorie pratiche di comunità nel secolo breve In gran parte dei paesi dell'Occidente la scuola di fine ottocento è cambiata e continua a cambiare fino al novecento divenendo una scuola di massa. Le scuole nuove che si diffondono nella prima parte del novecento presentano tutta la struttura comunitaria incentrata sul protagonismo dell’educando. La comunità diviene un luogo che favorisca la crescita degli educanti rispettando negli stadi evolutivi, ponendo l'attenzione all'interazione tra scuola e vita, per superare l'isolamento e l'idea di ambiente protettivo di cui si è detto e inaugurare una scuola-comunità aperta all'ambiente circostante. Furono molti i modelli che cominciarono a svilupparsi a partire dalle New School di Cecile Reddie sorta nel 1889, dove il collegio assume adesso le sembianze di una comunità che favorisce le relazioni umane, responsabilizzare il suo comportamento, e accentua nell'educando le attività pratiche; ma anche gli ha in Germania Lietz e L’ecole des Roches di Demolins in Francia; ma anche una comunità aperta come quella dell'inglese Baden Powell, fondatore dello scautismo, caratterizzata da stili vita improntati al cameratismo, la solidarietà, responsabilità e il rapporto stretto con la natura. È il caso delle university laboratory School di Dewwy a Chicago della masaison de petites di Claeparade e la casa dei bambini di Maria Montessori che a differenza di quelle precedentemente citate sono tutte ispirate a precise filosofia educative che problema utilizzano l'idea stessa di scuola ed elabora un nuovo modello alternativo di tipo comunitario. Per John Dewey è necessario creare una comunità educativa che sia motore di una società democratica è per questo che necessario un laboratorio, uno spazio in cui ognuno impara a vivere in modo democratico ogni giorno, poiché la democrazia lungi dall'essere una forma di governo è uno stile di vita le cui parole d'ordine sono il rispetto, disponibilità alle ragioni dell'altro, inclusione. Claparade e ferriere come lui sostengono che è necessario pensare alla scuola come una casa e insistono su come gli ambienti devono essere a misura di bambino atto a valorizzare i ritmi di apprendimento. La scuola nuova è un laboratorio in cui si impara la responsabilità personale sociale attraverso la partecipazione democratica. 3.2 la comunità nel Personalismo La prospettiva personalistica, che si diffonde nel contesto europeo tra le due guerre mondiali, intende la comunità come luogo di avvenimento personale dove si realizza il processo di formazione di ogni soggetto umano da sempre consegnato a un mondo con precise coordinate spazio-temporale. La relazione in vista della formazione della persona: è questo che contraddistingue l'orientamento personalistico, dove la priorità data la dimensione dialogica dell'esistenza conducendo educazione della persona che è relazione incontro con l'altro. DA questa idea di Renouvier, Munier realizza la sua idea di persona in relazione all’individualismo borghese, che preferisce vivere in una dimensione individualistica del possesso piuttosto che quella dell’essere; il totalitario che deve rinunciare a sé stesso, alla sua libertà in nome di una nazione, razza o comunismo. Dice Mounier sono due ideologie che possono essere superate solo attraverso la comunità —>una persona di persone che si costituisce secondo il principio di relazione. La persona infatti è relazione verso gli altri e verso un senso assoluto dell'essere, non è in sé ma è il continuo movimento d'essere verso l’essere. L'educazione non è legata soltanto alla scuola, ma anche ad altre comunità aperte come la famiglia, luoghi di lavoro e della vita sociale. I personalistici infatti pongono la loro attenzione alla famiglia, auspicando una sua maggiore collaborazione con la scuola. Si tratta di una famiglia 3.3 La stagione comunitaria 3.3.1. Aldo Capitini e le comunità aperte La Sperimentazione comunitaria di capi tini prende seguito nel 1952 con i centri di orientamento religioso. Si tratta di nuovi organismi collettivi, centri aperti in cui l'incontro faccia a faccia, lo scambio reciproco una continua condivisione, permettono di avviare un processo di apprendimento reciproco. Ma cos'è comunità per capitini? La comunità è il luogo di questo processo formativo, in cui si impara ad essere autenticamente democratici; essa è un centro aperto che accoglie le persone le più diverse, che insieme coltivano l'amore nella propria interiorità, l'amore che si espande divenendo politico, poiché orientato al bene comune che non conosce separazioni, chiusure e confini. La comunità capitiniana è quindi un laboratorio di democrazia, o meglio di Omnicratia, cioè del potere di tutti, che è la realizzazione della compresenza nella realtà sociale. Infatti, la compresenza indica la coesistenza originaria di tutti gli esseri viventi e non viventi fin dal momento della nascita, hanno hanno come proprio destino la comunità. Si può ben dire che nelle sue comunità ognuno perde la propria stessa soggettività intesa come identità chiusa e si forma a una nuova soggettività aperta intesa come compito. La comunità è il luogo in cui si impara ad agire nella compresenza nella discesa al tu, al divino tu nel pieno rispetto dell'altrui libertà. La comunità acquista un tale valore educativo che tutti luoghi dell'educare, nella pedagogia capiti in Jana, devono avere un habitus comunitario. Capitini insieme a Lamberto borghi condividono la comprensione che il problema più urgente da affrontare sia creare nuove forme di partecipazione democratica, a seguito della fine del regime fascista. Comunità educative che capiti in immagina piccole poiché in queste si sente la presenza degli alti, hanno lo scopo di farsi che la grande società assuma le dimensioni umane diventando una grande comunità.Egli, quindi, prende le distanze dalla scuola deweyana, in cui l'impostazione adulta della politica non viene messa in discussione e dove la novità rappresentata dal mondo infantile viene canalizzata dentro i binari già preformati dagli adulti. Una critica simile viene rivolta da Capitini alla «Scuola-Città Pestalozzi» fondata a Firenze nel 1945 da Ernesto Codignola e la moglie Anna Maria, un esperimento di scuola attiva per il quale egli mostra un certo interesse®3. Si tratta di un luogo che accoglie bambini dai sei agli undici anni e che «vuol esser subito un'iniziazione alla democrazia», non una «preparazione ma un esercizio di democrazia nel momento e nell'atto stesso della formazione». In questa scuola autogovernantesi gli allievi praticano la socialità, però secondo Capitini questa non può essere imposta dall'alto, andrebbe piuttosto esercitata dal basso attraverso un processo di auto-scoperta. Nella scuola-comunità l'educazione alla socialità non va mai separata da un'educazione religiosa, poiché l’educando deve prima accettare in pieno il rapporto con la società e mirare poi, dall'intimo, a «un orizzonte più largo che è la liberazione della realtà, dell'umanità, della società; ciò che fa in nome di questo è strumento di liberazione cosmica, l’individuo della società insieme. La famiglia è vista come una piccola comunità, dove colui che è in contatto con la compresenza e anella la costruzione dell’Omnicratia, la famiglia avrà il compito di coordinarsi con le altre famiglie per poter promuovere un continuo rapporto con gli altri. 3.3.2 La comunità concreta di Adriano Olivetti A guidare Adriano Olivetti nel suo progetto comunitario è una visione personalistica e religiosa. Pur essendo un ingegnere imprenditore, egli realizza dal 1946 al 1960 nella sua fabbrica di Ivrea pratiche di comunità pensate come una rete di supporto e benefit per i dipendenti in ogni area della loro vita, con lo scopo di trasformare l'ambiente lavorativo da disumanizzante e alienante a luogo di rinascita della persona e del territorio. Si tratta di un programma politico e pedagogico, le cui linee Olivetti ha già chiarito nel 1944 quando, esule in Svizzera, scrive il suo scritto più corposo e articolato, L'ordine politico delle comunità, dove vengono tracciate le linee programmatiche di una democrazia comunitaria. Secondo Olivetti la comunità è il luogo che rende possibile «il trionfo della persona» e la conciliazione tra il mondo materiale e il mondo spirituale. Egli stesso si assume la responsabilità verso Dio e verso gli uomini impegnandosi nella fabbrica e nella società in vista della liberazione e della salvezza dell'essere umano. La Olivetti è quindi una comunità educativa e responsabile dove il lavoratore supera la propria alienazione e si riappropria della propria umanità attraverso la promozione di diverse iniziative, culturali, quali il cinema e la possibilità data a tutti di usufruire di una ricca biblioteca; educative, come gli asili, le colonie e i corsi di formazione professionale finalizzati non solo ad insegnare un mestiere, ma anche a istruire e a formare la persona. La fabbrica è una comunità concreta dove Olivetti sperimenta il suo progetto politico di una democrazia senza partiti politici e partecipata dal basso che dà centralità alla crescita integrale della persona umana. Si tratta di un luogo dove la relazione virtuosa tra persona e comunità si concreta: essa è infatti una scuola di democrazia comunitaria, uno spazio in cui la formazione personale, quella professionale è la diffusione della cultura si traducono in prassi democratica. 3.3.3. Angela zucconi e lo sviluppo di comunità Direttrice del 1949, della prima scuola laica di servizio sociale in Italia, il c’è pass, zucconi fa suo il progetto comunitario olivettiano sia sul piano dell’impegno educativo-sociale sia sul piano dell’ideale politico. La zucconi crede fermamente nell’utopia di Adriano Olivetti. Ciò che più condivide del suo progetto è la comunità concreta, fondamento di una democrazia partecipata che tende il servizio sociale un lavoro di comunità, cioè una paziente tessitura della vita associativa. Infatti, la comunità è per la Zucconi una realtà da rinnovare sostituendo quella tradizionale con una comunità autentica, caratterizzata da coesione, apertura, comunicazione, partecipazione. Protagonista principale di questo progetto di sviluppo democratico e comunitario della società italiana è l'assistente sociale, deve essere un fine educativo: scoprire promuovere risorse ed energie individuali. Si tratta di un lavoro di comunità che aiuta gli altri di aiutarsi da sé, aiuta i gruppi e liberare le prime possibilità creative senza additare le mete, ma contribuendo a destare un mondo che muore di fame.centrale diventa l’educazione civica, che è sempre stata scarsamente sentita, un’educazione alla vita comunitaria e sociale intesa come arte del vivere insieme che formi cittadini ad una cittadinanza consapevole attiva. Lo scopo è quello di risvegliare nel singolo la piena coscienza della sua natura sociale, impegnandolo in un progresso inserimento nelle varie comunità, di cui deve essere parte integrante e corresponsabile come soggetto storico.Nei progetti comunitari della Zucconi, un posto importante viene assegnato alla famiglia, considerata Punica vera comunità su cui «fondare - dice - la nostra azione per lo sviluppo della comunità. Osiamo dire che questo punto, ovvio in apparenza, costituisce uno degli aspetti originali del nostro programma di lavoro»°4 La famiglia viene considerata un naturale centro di diffusione e di influenza, che può svolgere l'importante compito di apripista, segnando la strada o, addirittura, trascinando e coinvolgendo nel lavoro di comunità le altre famiglie". In quest'ultimo caso si tratta di «famiglie-pilota dotate di un naturale carisma, capaci di essere di esempio e di guida nei confronti delle altre». 3.3.4 la comunità barbiana è necessaria per affrontare la frenetica complessità dell'esistenza sviluppando creatività e cooperazione. Lo sviluppo di comunità a cui l'educazione di Dolci è rivolta ha come obiettivo l'apprendimento di uno stile di vita all’insegna della comunicazione creativa, intesa come capacità di avere uno scambio e di donarsi all’altro. L'educazione comunitaria di Dolci ha pertanto come obiettivo la restituzione del potere a ciascun individuo, che deve imparare a riflettere, ragionare, partecipare con gli altri alla progettazione di una crescita comunitaria che conduca allo sviluppo di una vera democrazia, servendosi della creatività come forza trasformatrice, come impegno etico, come apertura e impegno verso nuovi orizzonti e come potenzialità e fiducia per un futuro migliore. 3.4 la comunità educante nella pedagogia del secondo novecento Dalla fine degli anni Sessanta del Novecento nel panorama pedagogico italiano si diffonde il concetto di comunità educante, ovvero l'idea che l'istruzione e l'educazione debbano rinnovarsi aprendosi alla realtà storico-sociale. A tal proposito, una data significativa è il 1972, anno in cui viene pubblicato il Rapporto Faure a cura dell'Unesco, che propone un modello di società di tipo comunitario e che auspica la realizzazione di una comunità educante da concretare attraverso una ristrutturazione radicale della scuola. Il Rapporto si fa interprete di un'emergenza educativa del tempo avviata dai movimenti di contestazione giovanile, i quali chiedono un profondo rinnovamento della scuola tradizionale. Accusata di essere un apparato ideologico di Stato, questa scuola va sostituita con una scuola aperta alla società che al suo interno preveda una partecipazione più estesa alla sua gestione e un uso della cultura non conservativo masonorativo. A tenere conto di queste istanze innovative sono, soprattutto, le politiche scolastiche che promuovono riforme atte a sancire l'adozione del modello "comunità educante”. La scuola deve trasformarsi in una comunità, deve cioè: essere gestita democraticamente, diventare un luogo in cui le decisioni vengono prese da tutte le componenti, famiglie, studenti, docenti; proporsi come luogo di promozione della cultura dal basso; interagire con la società, assumendo come temi di riflessione i problemi di attualità emergenti. Attraverso queste innovazioni si tenta di trasforme la scuola in un luogo di formazione integrale e di liberazione dai condizionamenti sociali, come suggeriscono le riflessioni filosofiche e pedagogiche di diversi orientamenti, lo strumentalismo e pragmatismo americano, il marxismo, il personalismo. Nella tradizione cattolica il termine comunità viene interpretato o alla luce del sistema preventivo salesiano o a partire da un personalismo comunitario storicizzato. Nelle pedagogie salesiane di Gino Corallo, Renzo Titone, Luigi Calonghi, Pietro Braido, la comunità educativa è l’oratorio nato nell’ottocento grazie a Don bosco. Particolare attenzione viene data alla formazione professionale rilanciando i laboratori quali comunità di pratica che praticano la fede, dove prevale la condivisione e il cui obiettivo è un agire cogenerativo e coresponsabile. Si tratta di laboratori, dispone di reciprocità dove la persona si realizza mediante un impegno quotidiano. Il lavoro viene inteso, come affermazione di sé, delle proprie doti e come impegno di servizio agli altri, non è un affare privato, ma un bene comune, perché aperta una comunità più ampia agli altri, Dio e al mondo. L'idea di fondo delle pedagogie di ispirazione personalistica di Giuseppe Flores D'Arcais, Aldo Agazzi, Gaetano Santomauro, per ricordare alcuni autori, è che, per difendere la persona e il genere umano dalla disgregazione provocata dai veloci cambiamenti sociali e di costume, occorre educare alla socialità, facendo dell'ambiente sociale un luogo educativo, una comunità educante dove vengono poste le condizioni affinché il bene della persona venga conciliato col bene comune. Si tratta di pensare una «pedagogia in situazione», dice Santomauro, che vuole operare nel mondo e continuamente rinnovarsi'". Egli, attraverso l’istituzione dei Centri Sociali di Educazione Permanente, dove sperimenta un'educazione situata, ha in mente di difendere i valori della civiltà contadina pugliese dall'industrializzazione e dall’urbanizzazione spersonalizzante. Le pedagogie cattoliche di orientamento personalistico, quindi, vedono nella comunità educante un luogo di valorizzazione della persona, capace di riorganizzarsi in risposta alle sollecitazioni provenienti dalla società e di operare una mediazione tra tradizione e innovazione. Sarebbe però riduttivo dire che le riflessioni pedagogiche sulla comunità educante sono solo quelle ispirate dal personalismo di orientamento. Catalfamo e Mario Manno—> la persona è un’esperienza problematica che ricerca altre persone, quindi l’individuo storicamente intenzionato al valore di persona entra in una comunità di persone. La pedagogia pragmatista di orientamento laico, idea di comunità educante viene pensata partita dalla lettura di Dewey. Autori come Aldo visalberghi, Lamberto borghi sostengono che la comunità è luogo privilegiato di educazione, è un laboratorio di democrazia in cui si esercitano la libertà, la responsabilità, una mentalità scientifica e stili di vita comunitari. Il fine è quello di creare una democrazia comunitaria, laica e compiuta, attraverso il contributo offerto da una scuola-comunità, intesa deweyanamente come il luogo in cui si impara ad andare oltre l’individualismo egoistico, aderendo alla realtà e facendo scelte attraverso il confronto e il dialogo. La scuola diviene così il luogo in cui costruire la società futura, una società democratica perché democratico e comunitario è il modus vivendi sperimentato in essa, cioè praticato attraverso forme di autogoverno locale che coinvolgono tutti, insegnanti e alunni, in scambi virtuosi con la comunità circostante. Perché, quando in che senso la scuola è la famiglia, prima agenzie comunità educative, sono qualificabili, sul piano pedagogico, come "bene comune"? Si tratta di soffermarsi su due realtà: 1. Economico—> la crescita dell'istruzione personale sociale si intreccia con quella economica non si parla di scuola ma distruzione come bene comune, come sapere sapere fare. Il limite di questa prospettiva e contiene la scuola come un'azienda formativa indipendente dalle persone che ne fanno parte, dei loro fini, dell'orazione loro intenzioni. 2. Sociale—>Nel secondo caso occorre riconoscere che la scuola di oggi non può essere definita un bene comune, perché essa non sono create le condizioni per una circolarità pedagogica tra bene proprio bene comune grazie relazioni interpersonali e comunitarie. Criticità, quest'ultima, messo in evidenza dall'attuale stato di emergenza che ha aggravato il modus Vivendi comunitario, dove didattica distanza, uso dell'obbligatorio della mascherina distanziamento fisico sono lasciando la salute psichica delle nove generazioni. In questo momento di emergenza come ci ha ricordato Giuseppe Bertagna, la scuola ha il dovere di essere un po' più scholè, ovvero diventando un luogo piacevole e autenticamente formativo, non solo luogo fisico ma anche uno stato d'animo delle persone che la abitano. Inoltre dovrebbe essere superato il modello della scuola-apparato, cioè uffici periferici in un unico apparato amministrativo. E’ un'idea di scuola che già criticò Ivan Illich, il quale accusa la scuola di non rispondere alle esigenze culturali, ma soltanto una parte di essa, in particolare la classe sociale che detiene il potere politico di economico e che intende, attraverso l'istruzione, conservare i propri privilegi il più lungo possibile. La proposta è degna di un'attenta considerazione ancora oggi dove assistiamo a nuove forme di protesta e di rifiuto di una scuola come bene comune: ci riferiamo alla diffusione del fenomeno degli home Schoolling, diffuso ormai in vari paesi europei e negli Stati Uniti, di una scuola organizzata da famiglie che secondi stride propri figli a casa. In questo modo si mette in discussione come genitori possano valutare in maniera coerente e veritiera il lavoro dei figli, e come questi figli rischiano di creare di crescere come dei disadattati per la mancanza della relazione sociale del confronto con gli altri. La diffusione di questo fenomeno è il segno della crisi di una scuola che oggi viene meno il compito primario, ovvero quello di realizzare il bene comune.è importante che essa diventi strumento di formazione al bene comune. Si tratta di costruire una scuola in cui prevalgono esperienze interpersonali comunitari animati dall'ideale regolativo del bene comune, c'è una comunità empatica dove vengono curate relazioni umane orientata ad una nuova cittadinanza attiva il responsabile. 4.4 la famiglia come comunità Il sociologo Donati sostiene che è la famiglia può essere considerata una comunità e un bene comune, ma un bene comune di tipo relazionale, che consiste nel condividere delle relazioni da cui derivano sia i beni individuali sia i beni della comunità intorno. La famiglia deve agire con il mondo esterno ed essere quindi un sistema aperto che vive continui scambi con l'ambiente circostante. Ciò che contraddistingue la comunità familiare è dunque la la relazionalità ed è per questo che essa può essere definita il bene relazionale primario della società. La ricerca filosofica-educativa prende atto del fatto che oggi nella tarda modernità, nella società occidentale, si sono sviluppate un arcipelago di diverse forme familiari. La famiglia non è soltanto lo stare insieme, ma è una comunità di soggetti che insieme, elaborano significati e personalizzano la propria vita di certo è caratterizzata dalla intenzionalità generativa e da una relazionalità riconoscente. Alle caratteristiche di una piccola comunità educante, poiché è sorretta dalla logica del dono che impegna genitori e figli in un continuo lavoro educativo e formativo. La famiglia si caratterizza come una micro comunità empatica il cui mezzo educativo e didattico è quello della conversione interrotta: attraverso il dialogo empatico tra genitori che si integrano reciprocamente fanno della famiglia un luogo massimamente generativo è un bene comune per la società: atti di donne di reciprocità producono scambi comunitari che favoriscono la fioritura della persona e della stessa comunità. 4.5 Le comunità multiculturali Nel trattare la questione relativa alle comunità etniche presenti nel nostro paese si deve tenere conto di due diversi approcci: il punto di vista del migrante e l'opinione del paese ospitante. Nel primo caso la comunità è percepita e vissuta in tutta la sua problematicità, quale luogo in cui i migranti vivono identità «diasporiche» dovute a una«doppia appartenenza». da una parte al nuovo Paese ospitante, dall'altra al proprio Paese di origine a cui si riferiscono per la cultura, i valori, le norme, quindi per i processi di identificazione. essi si ritrovano a dover accettare la nuova condizione identitaria di migrante e a promuovere la vicinanza con coloro con cui condividono lo stesso patrimonio culturale. Nascono così le comunità senza prossimità in cui il migrante è un individuo traslato e impegnato in un costante lavoro di traduzione di linguaggi, culture, norme, legami e simboli. Le comunità etniche viste dal Paese ospitante vanno comprese attraverso due categorie interpretative: multiculturalismo e intercultura. • L'approccio multiculturale è una pratica politica che si limita a riconoscere la differenza culturale, elaborando l'idea di una comunità accogliente, intesa come un valore e un progetto darealizzare, per garantire uguaglianza e riconoscimento a tutti i gruppi sociali che abitano la società. La prospettiva multiculturale prende atto di una situazione, ovvero la presenza di due o più culture nello stesso spazio di vita, studia le differenze negli usi, nei costumi, nelle lingue e nelle tradizioni; nell'idea di una comunità multiculturale c'è la tendenza al rispetto e al riconoscimento dei diritti, anche se prevale il rischio di considerare le culture in maniera rigida e statica. • Le comunità interculturali, invece, caratterizzate da dialogo, confronto e interazione, sono come delle reti fondate sulla solidarietà tra i membri. tratta di «micro-comunità» di pratiche in cui il fondamento della relazione interpersonale e di fiducia è costituito dalla narrazione. Le comunità intercultutali coincidono con spazi fisici e simbolici in cui prevalgono pratiche educative di cura, ma anche con spazi di agorà, in cui i progetti risultano dal confronto e dall’interazione tra soggetti coinvolti, migliorando in tal modo la vita non solo dei migranti, ma anche se potuto degli autoctoni. 4.6 Le comunità empatiche La filosofia dell'educazione prendendo atto del fenomeno che esistono delle comunità che però non necessariamente corrispondono ad uno spazio educativo, individua gli elementi che fanno di una comunità il luogo più idoneo alla fioritura della persona.
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