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Riassunto Esperienza e educazione, John Dewey, Sintesi del corso di Pedagogia

Riassunto di ogni capitolo del libro "esperienza e educazione", dell'autore John Dewey. Sono 9 pagine a carattere 10.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 14/09/2021

ire.colombs
ire.colombs 🇮🇹

4.5

(54)

22 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Esperienza e educazione, John Dewey e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! ESPERIENZA ED EDUCAZIONE, JOHN DEWEY Questo breve saggio è stato pubblicato nel 1938 e appartiene all’ultima fase della produzione di Dewey. Non contiene idee nuove, né dal punto di vista filosofico né da quello pedagogico ma e la sintesi matura del pensiero dell'autore sul tema generale dell'educazione e delle “scuole nuove”, di cui Dewey era stato attivo sostenitore. Lo scritto nasce dall'esigenza di rispondere alle critiche sempre più severe contro le scuole nuove, e in generale le idee filosofiche e pedagogiche (e politiche: l’idea stessa di democrazia realizzata, di una scuola per tutti, formatrice di una società di eguali) che erano state fatte a partire dalla crisi del 1929. La tesi di fondo è che le linee ispiratrici delle scuole nuove sono corrette, ma sono necessarie modifiche nella realizzazione del programma. In Esperienza ed Educazione, Dewey contrappone in modo netto il proprio pensiero filosofico a quello dei “conservatori”, che pensano ad un ritorno alla tradizione precedente alle scuole nuove, ma non risparmia critiche alla effettiva gestione di queste scuole. È poi significativo il fatto che Dewey consideri, in tutto lo scritto, le scuole nuove direttamente ispirate dalla concezione filosofica dell'esperienza: non parla di pedagogia, ma di filosofia dell’educazione. La dizione è senz'altro giustificata: tutto lo scritto è filosofico. Forse Dewey è davvero l’ultimo dei filosofi moderni in cui la pedagogia sia, in modo pieno, una disciplina filosofica. PREFAZIONE Tutti i movimenti sociali comportano conflitti che si riflettono in dibattiti intellettuali, generando un campo di scontri, teorici e pratici. Ma per la teoria, almeno per la teoria che costituisce una filosofia dell'educazione, i conflitti pratici e le controversie sollevate a partire da questi conflitti, pongono unicamente un problema. Compito di una intelligente teoria dell'educazione è quello di accertare le cause dei conflitti in essere e poi, invece di prendere parte per gli uni o per gli altri, indicare un piano di interventi che proceda da un livello più profondo e più comprensivo di quello rappresentato dalle pratiche in conflitto. Assegnare questo compito alla filosofia dell'educazione non significa che essa debba tentare di trovare un compromesso fra opposte scuole di pensiero e neppure una combinazione di elementi presi qua e là da tutte le scuole, bensì significa introdurre un nuovo ordine di idee che avvii nuovi modi di pratica. Per questa ragione, dirigere una scuola, che si ispira a un nuovo ordine di idee, è molto più difficile che indirizzarla per il sentiero battuto. Ne consegue che ogni movimento verso un nuovo ordine di idee e di attività dirette da esse provoca, prima o poi, un ritorno a quelle che sembrano le idee e le pratiche più semplici e fondamentali del passato. In questo senso, alla fine di questo volumetto Dewey suggerisce a coloro che guardano innanzi a un nuovo movimento nell’educazione, adatto alle esigenze di un nuovo ordine sociale, che si preoccupino dell'educazione in sé e per sé e non già di qualche “ismo” concernente la educazione, come sarebbe per esempio il “progressismo”. Poiché, suo malgrado, ogni movimento che pensa ed opera in base a un “ismo” è talmente coinvolto nella reazione contro altri “ismi”, che finisce con l'essere involontariamente controllato da essi. Il che lo induce a formulare i suoi principi per reazione ad essi invece di muovere da una comprensiva visione costruttiva dei bisogni, dei problemi e delle possibilità effettive. Quale esso si sia, il valore di questo saggio consiste nel tentativo di richiamare l’attenzione su problemi dell'educazione di più largo respiro e più profondi, tali da suggerire il loro stesso inquadramento. CAPITOLO UNO: Educazione tradizionale ed educazione progressiva storia della teoria dell'educazione è caratterizzata da un'opposizione che tende ad assumere la forma di contrasto tra l'educazione tradizionale e quella progressiva. La tesi di fondo di questo capitolo è che va respinta la meccanica contrapposizione tra l'educazione tradizionale e l'educazione progressiva (cioè le scuole nuove). Si tratta sì di una differenza radicale: - Lescuole tradizionali impongono programmi e metodo di apprendimenti che ‘rimangono estranei alle capacità effettive dell'alunno”, propongono un sapere statico, codificato una volta per tutte e staccato dall'esperienza, e questo nel contesto di una società in cui “il cambiamento è la regola e non l'eccezione” -> questo modello tradizionalista si fonda sulla trasmissione di informazioni e abilità (norme e regole di condotta, addestramento morale, docilità, ricettività e obbedienza), elaborate in passato. I libri e i manuali rappresentano il sapere e la saggezza del passato, gli insegnanti sono il tramite che pone gli alunni a contatto con il materiale e i mezzi attraverso i quali vengono rafforzate le regole di condotta. Questo sistema è un'imposizione dall’alto e dal di fuori: impone norme, programmi e metodi di adulti ad individui che non lo sono. Il distacco è così grande che il programma, i metodi e le norme comportamentali rimangono estranei alla possibilità effettive degli alunni. Essi vanno al di là dell'esperienza che egli possiede. Questa situazione impedisce di fatto una partecipazione attiva degli alunni perché ciò che viene insegnato è qualcosa di statico, un prodotto finito; - Lescuole nuove, al contrario, dedicano grande attenzione alle effettive capacità degli allievi, tentando di svilupparne le potenzialità, e propongono un sapere legato all'esperienza e da questa risalgono dinamicamente alle teorie -> il modello progressista nasce come una forma di rivoluzione contro l'educazione tradizionale, a cui vengono opposti l’espressione e la cultura dell’individualità. Si impara non più completamente dai libri, ma piuttosto facendo esperienza. Le attività sono più libere e portano all'acquisizione di abilità e tecniche come mezzi per soddisfare le esigenze vitali. Ma il problema vero è un altro: definiti i principi-guida per la scuola del futuro (e non potranno che essere quelli delle scuole nuove, e non quelli delle scuole tradizionali), il problema è tradurli in pratica in modo efficace. Ad esempio: la vecchia scuola era tutta centrata su una certa idea di organizzazione, gerarchica, centrata sull'autorità; la nuova scuola non dovrà respingere l'idea di organizzazione, ma dovrà porre il problema di come si possa costruire una buona ed efficiente organizzazione scolastica partendo non dal principio di autorità, ma dalla concreta esperienza, perché è attraverso quest’ultima che si impara realmente. Il principio di fondo è infatti che “c’è un’intima e necessaria relazione fra il processo dell'esperienza effettiva e l'educazione”. Ma se respingiamo l’idea che l'autorità debba essere imposta dall'esterno sugli allievi, come nella vecchia organizzazione scolastica, “il problema diventa quello di trovare i fattori del controllo nel seno dell'esperienza”. Infatti, attraverso l’ostinata critica al tradizionalismo, c'è molto spesso il pericolo di sviluppare i propri principi negativamente, piuttosto che positivamente e costruttivamente. Questi due modelli educativi non sono basati su un esame critico dei propri fondamenti ed entrambi dovrebbero quindi sottoporsi ad un esame critico, interrogarsi sulla necessaria relazione tra il processo dell'esperienza effettiva e l'educazione. Questo primo capitolo pone dunque il problema che sarà affrontato in tutto il saggio: non è sufficiente affermare il principio che l'educazione debba essere legata all'esperienza, respingendo il principio di autorità fine a se stesso al fine di una vera educazione alla libertà; infatti una educazione che dichiara di essere fondata sull'idea di libertà può essere tanto dogmatica quanto qualsiasi altra. È infatti dogmatica ogni educazione che non sia basata su un esame critico dei propri fondamenti. E imporre il principio di libertà senza questo esame critico non è diverso che imporre qualsiasi altro principio. Difatti, il nostro problema è scoprire il nesso che esiste trai risultati del passato e i problemi del presente. Si deve accertare in che modo la conoscenza del passato può essere trasformata in un potente strumento per agire effettivamente sul futuro. CAPITOLO DUE: Bisogno di una teoria dell'esperienza In questo capitolo Dewey precisa perché è indispensabile una teoria dell'esperienza, cioè una riflessione filosofica a monte del principio pedagogico di fondo (l’idea che si apprende in rapporto all'esperienza). Difatti, Dewey decide di analizzare alcuni problemi educativi e di indicarne le vie maestre per la loro risoluzione. Egli parte dal presupposto che ci sia un nesso tra educazione e esperienza personale, ovvero che la nuova filosofia dell'educazione si innesta su qualche tipo di filosofia empirica e sperimentale. Dire infatti che ogni educazione proviene dall'esperienza non è corretto poiché ci sono anche delle esperienze diseducative (esperienza ed educazione non si equivalgono): è diseducativa ogni esperienza che arresta lo svolgimento dell'esperienza ulteriore (-> essa procura incallimento, diminuisce la sensibilità e la capacità di reagire), oppure un'esperienza che aumenta l’abilità automatica di una persona in una particolare direzione e tende dunque a restringere la sua libertà di movimento. O, ancora, sono diseducative le esperienze che sono disconnesse tra loro e non difficile non solo da controllare ma anche da conoscere. “Qualsiasi esperienza normale è un gioco reciproco di queste due serie di condizioni. Prese insieme, e nella loro interazione, costituiscono quella che io chiamo situazione”. Naturalmente questo significa che se le condizioni del soggetto e quelle dell'oggetto non sono in accordo si produce una esperienza non educativa. Può dipendere tanto dal soggetto quanto dall'oggetto. Non si può quindi definire a priori una didattica che non tenga conto dell'identità dei soggetti e della loro esperienza precedente -> in breve, si può dire che questo principio ci permette di capire se un'esperienza è educativa o meno. Grazie all'interazione vengono messi sullo stesso piano i due fattori dell'esperienza: le condizioni obiettive e le condizioni interne, che insieme danno vita alla situazione. Così, mentre l'educazione compiva il guaio di dare poca importanza ai fattori interni, l'educazione progressista ragionava per opposti e dunque riponeva maggior importanza nei fattori obiettivi rischiando poi la non curanza degli altri. La responsabilità dell’educatore è allora quella di creare situazioni di apprendimento che rispettino i principi di continuità e di crescita, legando insieme passato, presente e futuro. Coniugare nell'esperienza il soggetto e l'oggetto. CAPITOLO QUATTRO: Controllo sociale Nel quarto capitolo Dewey esamina, nel contesto delle condizioni definite nel capitolo precedente, la questione del controllo sociale. Nelle scuole tradizionali è esercitato dall'esterno, attraverso il principio di autorità. L'educazione come esperienza di vita necessita di una teoria intelligente, ovvero di una filosofia dell'esperienza che si basa su due principi fondamentali: il principio di continuità e quello di interazione. Operando didatticamente in modo da creare situazioni di apprendimenti quali quelle descritte, non si può più utilizzare l'autorità in modo tradizionale. Ma questo non significa affatto rinunciare al controllo e accettare il caos nelle scuole. Nella vita normale tutti i cittadini adulti vivono in condizioni di forte controllo sociale e non vedono affatto per questo limitata la loro libertà, così come anche nel gioco, che per essere tale deve avere delle regole base ben definite (se nascono contrasti ci sarà un arbitro a cui appellarsi, altrimenti il gioco non prosegue e termina). Dunque, le regole sono parte del gioco e non sono fuori di esso. Queste fanno parte della realtà accettata da tutti, non sono imposte da qualcuno a qualcun altro. Così a scuola si tratta di creare situazioni in cui il controllo sia uno degli elementi della situazione stessa, e non sia imposto dall'alto. In alcuni momenti servirà anche questo, ma ‘l'insegnante riduce al minimo le occasioni in cui deve esercitare un’autorità personale. Quando è necessario (...) lo fa in nome dell'interesse del gruppo”.Il controllo delle azioni individuali è fatto dall’intera situazione in cui gli individui sono compresi, di cui sono parte e di cui sono cooperatori. Coloro che vi partecipano non avvertono di dover sottostare a un individuo o di essere soggetti alla volontà di una persona che sovrasta dal di fuori. Nella famiglia, ad esempio, non è la volontà o il desiderio di una persona che mette ordine, malo spirito motore dell'intero gruppo. Il controllo è sociale, ma gli individui sono parte della comunità e non al di fuori di essa. Allo stesso modo, l'insegnante o il genitore non esercitano volontà individuali in quanto rappresentano e sono gli esecutori degli interessi del gruppo comunitario come un tutto: ecco ciò che differenzia l’azione arbitraria da quel che è giusto e leale. Il controllo è interno alla natura stessa del lavoro scolastico svolto come un'impresa collettiva. Di questa impresa l'insegnante ne è parte, e la sua libertà è in gioco come quella di tutti gli altri membri. Il piano del lavoro deve essere costruito in modo da rispettare la libertà di tutti rendendo accettabili da parte di tutti le regole necessarie al suo svolgimento. Tutto ciò mancava nella scuola tradizionale e, di conseguenza, mancavano anche le condizioni normali di controllo e ordine: se vi erano, erano fini a sé stessi e non avevano come fine la partecipazione collettiva al lavoro. Nelle scuole nuove, invece, la fonte principale del controllo sociale è la risposta alla natura stessa del lavoro, inteso come un'impresa sociale, a cui tutti gli individui hanno modo di prendere parte e di cui si sentono responsabili. Si ricorda che la vita di comunità non si può organizzare in modo spontaneo, bensì esige pensiero e piani precisi. L‘educatore deve, sulla sua responsabilità, conoscere tanto gli individui quanto la materia di studio. Le attività, a cui tutti partecipano, sono i mezzi principali del controllo, in quanto ognuno può portare all’interno il suo contributo formando un’organizzazione sociale. L'educatore deve regolarsi nei confronti dei ragazzi caso per caso poiché, benché esistano regole generali per trattare i casi, non ne esistono due identici. L'attività della comunità e l’organizzazione esercitano un controllo sugli impulsi individuali per il mero fatto che sono tutti impegnati in progetti comuni. Incombe sull’educatore il dovere di predisporre un piano intelligente e difficile: deve esaminare le capacità e i bisogni del gruppo di allievi con cui ha a che fare e, al tempo stesso, disporre le condizioni che forniscano materia di studio e contenuto per esperienze che appaghino questi bisogni e sviluppino queste capacità. Il piano deve essere abbastanza flessibile per permettere il libero gioco dell'esperienza individuale e abbastanza fermo per indirizzare verso un continuo esercizio del potere. L'educazione si compie attraverso l’interazione poiché l'educazione è un processo essenzialmente sociale e lo diventa tanto meglio quanto più gli individui formano un gruppo comunitario. L'insegnante fa parte dei membri del gruppo e, in quanto membro più maturo del gruppo, ha la responsabilità di dirigere le interazioni e le intercomunicazioni che costituiscono la vera vita del gruppo in quanto comunità. È così che l'insegnante perde la sua posizione esterna di padrone e dittatore per assumere quella di direttore di attività associate. Esiste anche un fattore convenzionale standardizzato che si ritrova nelle buone maniere, nelle manifestazioni di garbatezza e cortesia. Tuttavia, è possibile che queste forme sociali diventino delle mere formalità, pura apparenza esteriore, senza alcun intrinseco significato (questo a volte è causa di una totale assenza intellettuale e sentimentale di interesse per l’opera scolastica). CAPITOLO CINQUE: La natura della libertà È un capitolo molto breve in cui si chiarisce che cosa si debba intendere con la parola libertà: Dewey precisa che intende riferirsi in particolare alla libertà dell’intelligenza l’unica libertà durevole, “vale a dire la libertà di osservare e di giudicare”: essa è la libertà di osservare e di giudicare, esercitata nei riguardi di piani che hanno un valore intrinseco, ovvero guardano all'importanza dei fattori interni. Inoltre, essa non è una semplice libertà di movimento, in quanto il lato esterno e fisico non può essere separato dal lato interno. Dunque, libertà d'intelligenza e di movimento devono viaggiare di pari passo e devono essere entrambe presenti in quanto si influenzano l’un l’altra. Il termine libertà è quindi connesso alla nozione di crescita, come ampliamento delle capacità di fare esperienze di qualità elevata. Tuttavia, anche la libertà esteriore è importante ai fini dell'educazione, intanto perché crea le condizioni esterne per fare esperienze positive, ma anche perché la vecchia idea greca che l'educazione debba riguardare il corpo e la mente deve essere tenuta in grande considerazione. E la libertà esteriore che riguarda il corpo, sempre nel contesto del controllo sociale definito nel capitolo precedente, è una delle condizioni per la completezza dell'esperienza di qualità. È anche vero, tuttavia, che una maggiore libertà di movimento è sempre un mezzo e non un fine poiché il problema educativo non si risolve una volta ottenuta questa forma di libertà. Senza la libertà esterna è impossibile che un insegnante impari a conoscere l'individuo con cui ha a che fare (la calma e l'obbedienza imposte impediscono agli allievi di rivelare la loro natura, rafforzano l'uniformità artificiale e sacrificano l'essere all’apparire, nonostante le tendenze individuali continuano ad avere libero corso sotto forma di attività clandestine). La libertà di movimento, insieme a quella dell’intelligenza, è dunque importante come mezzo per mantenere la normale salute fisica e mentale. Tuttavia, la libertà di azione esterna è un mezzo in vista della libertà di giudizio e del potere di eseguire fini deliberatamente scelti. La quantità di libertà esterna necessaria varia da individuo a individuo. La quantità e la qualità di questo genere di libera attività come mezzo di crescita è un problema che dev'essere presente al pensiero dell’educatore in ogni stadio di crescita e svolgimento. Gli impulsi e i desideri naturali costituiscono in ogni caso il punto di partenza ma non c'è crescita intellettuale senza qualche ricostruzione, qualche rifacimento degli impulsi e dei desideri, nella forma in cui si manifestarono perla prima volta. C'è alternativa tra l'inibizione imposta dall'esterno e l’inibizione conseguita attraverso la riflessione e il giudizio individuale. Pensare è così posporre l'immediata azione ed effettuare nel frattempo l'interno controllo dell'impulso mediante un’unione di osservazione e di memoria, unione che è il cuore della riflessione. La meta ideale dell'educazione è la creazione del potere di autocontrollo; tuttavia, la mera rimozione del controllo esterno non basta a far nascere l'autocontrollo. Gli impulsi e i desideri che non sono disciplinati dall’intelligenza sono sotto il controllo di circostanze accidentali, abbandonati all'impero della stravaganza e del capriccio immediato, cioè alla mercé di impulsi nella cui forma non è entrato il giudizio dell'intelletto (si è diretti da forze che non si riescono a governare: non c’è autocontrollo). CAPITOLO SEI: Il significato del proposito In questo breve capitolo Dewey esamina in quale direzione l'educatore debba muoversi per educare il giovane alla padronanza di sé stesso, padronanza che genera libertà, visto che la dipendenza dai propri impulsi rende l’uomo tanto poco libero quanto la dipendenza dalla volontà altrui. Centrale è la nozione di proposito: il proposito è la visione di un fine, ed è quindi un'operazione intellettuale “piuttosto complessa” che si distingue nettamente dal semplice istinto o dall’impulso all’azione: implica infatti un piano. Dewey sottolinea che “il problema cruciale dell'educazione è quello di ottenere che l’azione non segua immediatamente il desiderio, ma sia preceduta dall’osservazione e dal giudizio”. Questa idea è del tutto coerente con la definizione di libertà intellettuale del capitolo precedente e di esperienze che favoriscono, e non bloccano, la crescita. La libertà individuale, lasciata ai discenti, coincide anche con il potere di concepire propositi e di eseguirli o portarli a compimento. Questa libertà è identica all’autocontrollo poiché la formazione di propositi e l’organizzazione di mezzi per eseguirli sono frutto dell’intelligenza. Un autentico proposito trova sempre il suo punto di partenza in un impulso, l’impedimento all'immediato appagamento di un impulso lo converte in un desiderio: tuttavia, né impulso né desiderio sono in sé un proposito. Infatti, il proposito è la visione di un fine, e la previsione delle conseguenze implica l’attività dell’intelligenza. Essa richiede in primo luogo l’osservazione delle condizioni e delle circostanza obiettive. L'esercizio dell’osservazione è una condizione della trasformazione dell'impulso in proposito. Tuttavia, l'osservazione non basta ed è difficile dire con precisione quali potranno essere le conseguenze delle condizioni osservate, a meno che non si richiamino alla memoria esperienze passate che giudichiamo simili alle presenti. Così facendo, si formula un giudizio su ciò che ci si può attendere nella situazione presente. La formazione di propositi è dunque un'operazione complessa che implica: - Osservazione delle condizioni circostanti; - Conoscenza di ciò che è accaduto in passato in situazioni analoghe; - Conoscenza ottenuta in parte dal ricordo e in parte con l'informazione (intersoggettività basata sulle situazioni accadute ad altri); - Giudizio che raccoglie insieme i tre elementi citati sopra. Un proposito differisce da un impulso e da un desiderio originale (cosa importante perché è stato chiesto all'esame!) per il fatto di venire tradotto in un piano e metodo d'azione basato sulla previsione delle conseguenze. Il problema cruciale dell'educazione è quello di ottenere che l’azione non segua immediatamente il desiderio ma sia preceduta dall’osservazione e dal giudizio poiché l’accentuazione dell'attività in generale anziché dell'attività intelligente come fine dell’educazione conduce a identificare la libertà con l'esecuzione immediata di impulsi e desideri. I desideri sono in fondo le vere spinte all’azione; l'intensità del desiderio misura l'intensità dello sforo che sarà fatto. Tuttavia, essi sono inutili se non vengono trasformati in mezzi con cui possono essere realizzati, e poiché i mezzi sono obiettivi, occorre studiarli e comprenderli per formare un autentico proposito. Il compito dell’insegnante è quello di vigilare che sia colta l'occasione per formare un proposito e un metodo di attività, per realizzare i desideri. L'insegnante aiuta la libertà, non la limita. La sua via è rendersi conto delle capacità, dei bisogni e delle esperienze passate degli alunni; permettere alla suggestione di trasformarsi in un piano e un proposito mediante gli ulteriori suggerimenti forniti e organizzati dai membri del gruppo. Il piano, in altre parole, è un'impresa cooperativa e non un'imposizione: la sollecitazione dell'insegnante è un punto da cui prendere le mosse per svilupparlo in un piano attraverso i contributi che provengono dall'esperienza di tutti coloro che sono impegnati nel processo dell’apprendimento. Lo svolgimento del piano si compie attraverso un reciproco dare -avere e anche l'insegnante è coinvolto in questa reciprocità. Il punto principale del piano è che il proposito nasca e prenda forma dal processo dell’intelligenza sociale. CAPITOLO SETTE: Organizzazione progressiva della materia di studio Questo capitolo è dedicato alla questione delle materie di studio. Quando l’educazione è concepita in termini di esperienza, una considerazione deve dominare chiaramente tutte le altre. Tutto ciò che può essere chiamato
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