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Riassunto Etica e Infinito (Levinas), Appunti di Etica Sociale

Riassunto e appunti integrati di Etica e Infinito di E. Levinas, prof. Franco Riva (2019/2020)

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 16/10/2020

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Silvia.gnd 🇮🇹

4.6

(24)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Etica e Infinito (Levinas) e più Appunti in PDF di Etica Sociale solo su Docsity! ETICA SOCIALE Franco Riva Etica e infinito (1982) - Emmanuel Levinas Levinas è un filosofo ebreo abbastanza recente, morto nel 1996. Il libro è un dialogo tra Levinas e Philip Nemo, un giornalista per una serie di interviste radiofoniche e si legge andando alla ricerca di esperienze quotidiane di quella distrazione da sé che capitano e non sono volute. Essere uomini non significa essere umani. Si diventa umani nel momento in cui uno prende coscienza di non essere lui il padrone del mondo, il sole intorno a cui girano i pianeti. Se la distrazione da sé è possibile allora è possibile un mondo umano, capace di rendersi sensibile all’altro. Distrazione - DISASTRARSI da sé C’è una differenza tra il distrarsi e il distrarsi da sé. La prima avviene per un fatto di sbadataggine, è un difetto di concentrazione e per questo si riconosce in essa per lo più un significato negativo e pericoloso (es. alla guida di un veicolo). La seconda invece ha poco a che vedere con l’essere sbadati e capita almeno una volta nella vita dimostrando che è possibile distrarsi da sé, ovvero non pensare solamente a sé stesso. Se è possibile distrarsi da sé allora l’etica è possibile, cioè è possibile un rapporto umano, è possibile essere buoni, l’amicizia è possibile, l’amore è possibile. Se è possibile quest’ultima è possibile l’umanità dell’uomo. Viceversa, se non è possibile distrarsi da sé allora tutte queste cose non sono possibili. Non è detto che la distrazione sia un elemento negativo, infatti, può anche essere un elemento positivo, ad esempio l’innamoramento. Se è possibile distrarsi da sé, di non essere io al centro del mondo, allora l’umano è possibile, la socialità è possibile. E se questo è possibile allora succede qualcosa, succede che nel finito si apre l’infinito, possiamo molto di più. Distrarsi da sé è possibile perché capita nel quotidiano, succede ogni giorno, magari non ce ne accorgiamo ma capita. Capita ma non è voluto, senza cercarlo. Es. Incrocio lo sguardo di un mio amico per strada e lo saluto. Mostrare che la distrazione da sé è possibile è questione fenomenologica, perché si tratta di rileggere con attenzione le esperienze in apparenza normali che interessano il quotidiano e che, proprio per questo, vengono di solito interpretate come se non contenessero nessuna profondità. La distrazione da sé avviene con: lettura, come, parola, eros. Cap. 1 - Lettura La prima esperienza è quella della lettura. La lettura ci mette di fronte ad un bivio, può essere: - Una lettura di tipo strumentale che ci serve per vivere. Es. leggo i cartelli per strada, i binari in stazione. La lettura in questo senso ci permette di decifrare il vademecum dell’esistenza. La lettura è un esperienza quotidiana inavvertita e inconsapevole ma non è soltanto strumentale perché piuttosto intrattiene con l’umano un rapporto ontologico. - Una lettura più profonda. Quando leggo per me in modo strumentale sono sempre con me stesso, quando leggo veramente invece sono portato in altri tempi e mondi. La lettura qui non è più strumento ma è diventata una modalità del nostro essere. Es. Orgoglio e Pregiudizio. La lettura quindi non è solo un esperienza di conferma di sé (strumentale) ma anche di distrazione da sé, tutte le vere letture sono letture che ci fanno pensare, diventare qualcos’altro rispetto a quello che siamo e se questo è vero allora non è più vero che non possiamo cambiare perché sta avvenendo la distrazione da sè. La lettura quindi non è fuori di me ma dentro di me. La lettera fa apparire l’umano nella sua umanità perché ti porta vicino alla storia che stai leggendo, dunque la lettura è una forma di prossimità. Quindi l’umanità dell’uomo che sta nella capacità di prossimità con gli altri. La lettura contesta la pretesa di essere sé stessi, di bastarsi. La fiera indipendenza degli esseri umani quindi è una bugia. 1 ETICA SOCIALE Franco Riva Il libro Da una parte c’è un grande libro dell’umanità, un libro che contiene tutti i bei libri dell’umanità come Shakespeare, Tolstoj. Questi libri ci sollecitano, ci fanno sperare, emozionare, ci fanno capire che non ci siamo solo noi. Infatti, i veri libri alla fine ci insegnano una responsabilità per altri e non solo per sé stessi. Però c’è anche un libro dei libri. Sarebbe facile pensare che Levinas, ebreo, indichi nella Bibbia (ebraica) il Libro dei libri in virtù della sua appartenenza culturale e religiosa e in parte è senz’altro così. Per Levinas la Bibbia (Antico Testamento) è il libro dei libri perché mentre gli altri libri ti avvicinano all’esperienza degli altri, in questo la parola “responsabilità” viene detta in un modo esplicito e perché in esso si dicono le cose che dovevano essere dette perché la vita umana abbia un senso. La parola compare per la prima volta quando Caino uccide Abele e quando Caino viene rimproverato lui risponde “sono responsabile di mio fratello?”. Capisce che la fraternità avviene nella responsabilità. Questo libro, la Bibbia, è sacro non per una sacralità magica o per un origine soprannaturale ma perché ci riporta alla responsabilità per altri. Quindi un “libro sacro” lo è perché parla dell’umanità dell’umano e non perché parla di sacralità o magia. Cap. 2 - Come La seconda esperienza della distrazione da sé è quella del come. Se tu ti poni il pensiero del come cominci a vivere, a pensare, a essere responsabile di qualcosa perché puoi essere diverso e fare le cose in un modo diverso. Se non te lo poni resterai te stesso per tutta la vita. Questo è il passaggio da ciò che si è a come si è. L’importante non è essere o esserci ma come ci sei, cosa decidi di fare e come lo fai. Il pensiero del come è da un lato un esperienza e dall’altro lato è quella che sta dietro a tutte le esperienze. L’apparire del pensiero del come distoglie da un fare e un pensare soliti, infatti, iI pensiero del come cambia il significato all’essere. Quando uno si pone il problema del come la vita non è più la stessa, perché sei di fronte a qualcun altro. Il pensiero del come annuncia un al di là dell’essere. L’esistere si dice eticamente nella responsabilità per l’altro. Il come costringe ad allargare lo sguardo ed è reso possibile dalla presenza degli altri. Il come non è soltanto un modo, il come spacca una vita identica a sé stessa. Il come è una spaccatura perché il vero nome del come è che io non solo da solo, ma davanti ad altri. Il come salta fuori non solo a parole ma anche attraverso altre forme, esperienze strane come la fatica, lo sforzo, l’insonnia, quindi attraverso qualcosa che non ci soddisfa. Questi segnali sono di pericolo, messaggi che vengono dall’interno a dire che sei troppo pieno di tè stesso. Il pensiero del come quindi fa emergere, in secondo luogo, l’essere ingombrati di sé stessi. Il come denuncia. Se ti appare il pensiero del come è perché ti sei ubriacato di te stesso e devi uscire da questa situazione. Non è più il problema di porsi in un certo modo ma il problema è di DEPORSI perché nessuno ti ha nominato l’autorità di qualcosa (sovranità dell’io). Esistere diventa una faccenda di deporsi e il nome della deposizione di sé è la responsabilità per l’altro (usurpazione del Re deposto). Posizione e deposizione si riferiscono anche alla situazione sociale e politica. Il pensiero del come chiama fuori dall’anonimato e si deposita nella responsabilità per altri: disinteressata. Il come è un miglioramento di quello che sono? NO ma mi fa essere altro di fronte agli altri. Cap. 1/4/9 - Parola, Comunicazione La cosa più evidente è quella che non si vede. Il nostro quotidiano è fatto di segnali che non vediamo come l’eros, la lettura e le parole. La terza esperienza è quella del comunicare. Levinas tende ad usare la parola “comunicazione” in senso negativo e “parola” in senso positivo. C’è una parola che si usa tutti i giorni e che è strumentale ma c’è anche una parola che dico a qualcuno. Levinas ritiene che la parola nel quotidiano è spesso usata per comunicare in senso strumentale. La parola infatti è uno scambio di informazioni, è strumentale, è tecnica, ridotta a tecnicità. 2 ETICA SOCIALE Franco Riva 6. Nè riconoscimento, né fusione romantica. In virtù di quanto detto sopra risulta difficile interpretare Eros come riconoscimento reciproco o fusione romantica. Entrambi infatti vivono nell’assenza di una diversità intima. In Eros unione e differenza si appartengono da sempre a vicenda. L’unione di Eros è unione e al tempo stesso deve restituire delle differenze. 7. Maschile e femminile. L’esperienza di Eros è attraversata dal discorso sul corpo e sulla differenza dei corpo, del maschile e femminile. C’è una partecipazione del maschile e del femminile che è propria di ogni essere umano. - I generi attraversano Eros - Non si tratta di funzioni: non si può ridurre la differenza dei corpi a funzioni e atti. - Differenza di genere attraversa qualcuno 8. Il patetico dell’amore. Non puoi immaginare Eros senza Pathos. Le pene d’amore vanno sofferte, c’è un patetico dell’amore. 9. Esperienza di spossessamento. Eros è esperienza di deposessione, di un essere strappati a se stessi. L’esperienza quindi del: - Corpo - Differenza sessuale - Affetti di Eros: pudore, ritrosia, lacerazione interiore. 10.La carezza è: - Diversa dal toccare - Non sa quel che cerca - Sia un prendere che lasciare - Gioco erotico - Ripetizione L’unione di Eros è stare come stella doppia in cielo. “Il segreto, il come, il modo di essere di Eros non è uno o due separati ma è stare come fiume gemello sulla terra, come stella doppia in cielo” H Hesse -> come binari distinti che vanno nella stessa direzione, come stelle vicine ma doppie, separate. L’unità di Eros è un unità che restituisce le differenze. Eros ha anche delle figure perché annuncia una diversità. - Femminile - Figlio - Paternità/maternità 1. Femminile Il femminile è la prima figura di Eros ed è figura di alterità. Il femminile non lo prendi perché è imprendibile. Il femminile è alterità quindi non si riduce a una funzione anatomica, non è funzionale, non è conoscitivo (non si riduce a una conoscenza) e non è complementare, nel senso che tu hai la tua indipendenza, non perché io ho bisogno di te ma perché ci vogliamo bene. Il femminile non è conoscenza, né numero né natura. L’alterità è un’esperienza diafana: - È una la luce che arretra -> luce che sembra sfuggire. - È femminile e pudore -> ogni tanto c’è un ritorno di pudore, il pudore c’è per dire che tu non sei a mia disposizione. - È carezza e gioco a venire -> è lo spazio dell’inesauribile, non ci esauriamo. L’alterità resta mistero detta dal corpo perché se vedi tutto non vedi nulla. Quindi il rapporto erotico è la restituzione di differenza, non l’annullamento di differenza. Nietzsche: il femminile - Così parlò Zarathustra 5 ETICA SOCIALE Franco Riva Zarathustra fa dei discorsi e uno di questi si intitola “Discorso delle donnette vecchie e giovani”: “Tutto nella donna è un enigma e tutti nella donna ha una soluzione: questo si chiama gravidanza. Un giocattolo sia la donna, puro e raffinato, simile alla pietra preziosa, illuminato dalla virtù di un mondo che ancora non esiste”. -> Enigma indica un incomprensibile Il femminile quindi è l’annuncio di un’alterità che però non è riducibile alla sua differenza, resta quindi mistero. È un’esperienza diafana, un gioco di luci ed ombre e infine, il femminile sa cos’è la carezza, molto più del maschile. L’alterità di Eros non è un’alterità lontana, ma qui, è in presenza, è la restituzione di un mistero che Eros fa vivere. 2. Figlio La seconda figura del figlio è ancora più misteriosa del femminile perché non è soltanto altro ma è radicalmente altro anche se lo hanno fatto i genitori. Il figlio si porta dietro tutta la biologia dei genitori eppure la pensa diversamente rispetto ai genitori. Per questo motivo il figlio è ancora più misterioso. Il figlio: - Non è alter ego dei genitori, non è la loro ripetizione o consolazione. - Non è possesso e non è proprietà dei genitori, il figlio è ancora Eros. - È fuori dall’essere e dal tempo dei genitori. Il figlio è fuori, è altro, è il suo tempo. - È il proprio sangue dei genitori ma anche altro. È radicalmente non possesso anche se è sangue del tuo sangue. Il fatto di generare non significa possedere. - Non è avere né essere rispetto ai genitori. Nietzsche: il Figlio - Così parlo Zarathustra (profeta persiano) Dei figli e del matrimonio: “Devi creare un corpo più nobile, un movimento originario, una ruota che girà da sé, devi creare il creatore. Matrimonio: così hanno chiamato la volontà di due, di creare quell’uno che è più dei due che l’hanno creato. Io chiamo matrimonio il profondo rispetto reciproco di coloro che manifestano tale volontà.” Il figlio è la ruota che gira da sé, da sola, che non gira attorno a me perché non è un giocattolo. Il matrimonio è creare quell’uno che è più dei due. 3. Paternità e Maternità “Il figlio non è un evento qualsiasi che mi capita, come ad esempio la mia tristezza, la mia prova o la mia sofferenza. Il figlio è un io, una persona.” Il figlio è la possibilità al di là delle mie possibilità. È avvenire al di là del mio proprio essere. La paternità è una relazione con un estraneo che, pur essendo altri, è me. “La paternità non è semplicemente un rinnovamento del padre nel figlio (il fatto di creare una stirpe) e la sua confusione con lui. Essa è anche l’esteriorità del padre rispetto al figlio (il padre non è dentro il figlio, c’è il rispetto del figlio come altro rispetto a sé). La paternità e la maternità è un esistere pluralista.” La famiglia è pluralismo a maggior ragione quando c’è il figlio. La paternità: - Non è potere -> non è possesso, non è proprietà ma essere che non è identico a sé. - Non è un causare (generare) -> Essere genitori non significa mettere al mondo i figli. Non confondiamo la causa biologica con quella umana. Si possono avere dieci figli e non essere padri di ciascuno di essi. - È un modo di essere pluralista, molteplice e trascendente -> l’imparare ad esistere di fronte ad altri. Essere fratelli implica lo stesso problema, non basta avere lo stesso sangue per essere fratelli. I legami di sangue non garantiscono l’essere madre e padre di qualcuno, bisogna mettere dentro l’amore, la responsabilità. 6 ETICA SOCIALE Franco Riva Filialità -> la fi lialità biologica è soltanto la prima figura della fi lialità che può essere concepita come relazione tra essere umani senza legame di parentela biologica. Man mano che cresciamo troviamo altri madri, padri e punti di riferimento rispetto a quelli biologici che non necessariamente smentiscono quelli biologici. È possibile avere un atteggiamento materno nei confronti di altri, è quindi un atteggiamento universale. Prendiamo l’esempio del Maestro/Discepolo, un rapporto in cui l’uno impara dall’altro, reciprocamente. Questo è esempio di paternità, fraternità, fi lianza che non è biologica. Fecondità -> anche la fecondità va al di là della fecondità naturale. Nel mondo umano si deve guadagnare tutto, anche il fatto di essere figli, madri e padri. Cosa dire di eros? Eros è: - Un partecipare che interroga -> Non sappiamo mai tutto dell’altro e di noi stessi. - Dire e disdire -> Eros è dire, si fa, e ridire continuamente. - Uscita dalla solitudine -> non il sesso ma Eros che fa uscire dalla solitudine dell’essere. - Un esistere pluralista -> Eros è stare come stella doppia in cielo, come fiume gemello sulla terra. Il sociale Noi non siamo soli, tuttavia essere con altri richiede una responsabilità e questa è il sociale. L’uscita dalla solitudine dell’essere è il sociale che è il luogo, umano, della distrazione da sé: luogo stesso della libertà. Il sociale con Eros diventa un momento esplicito ma al tempo stesso era anche un momento presente fin dall’inizio. Edgar Allan Poe “La lettera Rubata” -> racconta di una famiglia in cui c‘è una lettera importante che bisognava trovare. Tutti si mettono a cercarla ma questa non si trova. Alla fine la lettera salta fuori, all’inizio non si vedeva perché era nel posto più in vista (sopra la mensola del camino). Il più evidente è il meno visibile. Il sociale è come la lettera rubata, come eros. Il sociale non è uno e non è due come non lo è neppure Eros. Eros insegna un modo di esistere pluralista, ma questo modo non è solo fra me e te ma anche fra di noi. Comunicare con l’altro è filosofia. Un tempo si credeva che la filosofia prima fosse quella che studiava i massimi sistemi in realtà la vera filosofia prima è l’etica, quella che c’è laddove nasce il rapporto tra me e te. L’affermazione teoretica per eccellenza è allora che l’etica è la filosofia prima. Le parole del sociale sono quindi le parole dell’etica e le parole stesse della filosofia che fluidificano tra di loro. Noi abbiamo un debito nei confronti di Durkheim che afferma che il sociale è l’ordine stesso dello spirituale e che di conseguenza esso non si può concepire come la somma delle psicologie individuali. Il tema della responsabilità per altri si colora subito di un’intonazione sociale e politica suggerendo poi parole come deposizione e sovranità usurpata. In questo senso la responsabilità per l'altro viene fatta coincidere con la relazione sociale con altri. Esistenza pluralista Eros però mi pone un problema che è sempre lo stesso pur collocandosi su diversi livelli di attenzione, ovvero: qual’è il modo di stare con l’altro? La risposta è un esistere pluralista. È il problema dell’uno e dei molti, de medesimo e diverso. Anche la società ha questo problema di un esistere pluralista perché anche essa non è un raggruppamento. Essere un gruppo non è una sintesi, le persone non si possono ridurre, dell’umano non c’è sintesi. La sintesi (che rimanda a Hegel) vuol dire pensare insieme, me e l’altro. In una comunità umana devono vivere le differenze, infatti, il tono democratico della comunità umana fa vivere il pluralismo. La socialità non è una sintesi. Nella sintesi c’è la fine dell’umano e della filosofia perché sono tutti ridotti. Non si può strappare il segreto dell’esistenza, ognuno ha un segreto che non te lo ruba Eros e non te lo può rubare nemmeno la socialità. La vera unione, l'essere in comune vuol dire essere faccia a faccia, restituire le differenze. L’insieme dell’umano è il modo di uno scarto che non si colma, un rimanere nello scarto: il rapporto dell’interumano è il non sintetizzabile per eccellenza. 7 ETICA SOCIALE Franco Riva senza crisi non c’è viaggio. La crisi non è qualcosa che capita ogni tanto ma è un elemento importante della nostra vita. Anche la democrazia è un viaggio ed è il viaggio che ti insegna cos’è la democrazia. Finché gli uomini continuano a ingurgitare il mondo e a divorarsi a vicenda l’un l’altro nella lotta quotidiana per la sopravvivenza, nella città non ci sarà mai giustizia. La democrazia infatti è prendere sul serio il fatto che non posso assimilare gli altri a me. Le parole della democrazia sono infatti le parole di un viaggio e sono: casa comune, accoglienza, speranza, dialogo, partecipazione, città di tutti. 2. Di fronte all’altro, nella meraviglia, nell’infinito, nella crisi, sta la vera partenza di un viaggio -> Violeta (la protagonista) in “Antigua. Vita mia” si accorge che mentre era in cerca della sua casa si sentiva sempre più affascinata. Capisce che il suo andare in cerca della casa era perché lei era stata chiamata dalla casa. Il bello non è raggiungere la meta ma sentirsi quasi portato verso essa, ad andare oltre. Nella meraviglia, nell’infinito, nella crisi -> tre modi diversi di dire la stessa cosa. La meraviglia, lo stupore è un modo molto classico. Infinito è una parola più moderna. E infine la crisi, devi andare in crisi per poter viaggiare davvero. Il movimento è un conto, il viaggio un altro. Non dobbiamo confondere gli spostamenti continui e globali con il viaggio. Meraviglia -> nei racconti e nei fi lm di viaggio lo stupore e la meraviglia la fanno sempre da protagonisti. In alcuni casi a ragione per via delle nuove esperienze, in altri casi a torto perché quest’enfasi nasconde un vuoto. Eppure senza meraviglia non può esserci viaggio. Il viaggio quindi è anche distrazione da sè. Però c’è anche un pericolo, molto spesso scambiamo per meraviglia qualche cosa che è esotico, stravagante. L’esotico ti mette solo di fronte a te stesso mentre la meraviglia ti mette di fronte all’altro. La meraviglia ti restituisce il senso dell’altro in quanto altro, come diverso da me e irriducibile a ciò che sono io. Con la meraviglia si inizia a pensare, a viaggiare, a parlare, di modo che ogni viaggio è un pensiero e viceversa. Questo perché si viaggia senza neppure uscire di casa. Infatti il fi losofo De Maistre dice “viaggio intorno alla mia camera”, in fondo quando io leggo un bel libro sto facendo già un viaggio, non è un problema di esotico, non c’è bisogno di andare in Brasile. Ad esempio Marco Polo vede in Oriente cose meravigliose e quasi infinite: sono i paesi e le città che visita, sono ancor più le persone con cui si ferma molto a parlare. Lui viaggia nel Medioevo in Oriente e Calvino lo riprende nel suo “Le città invisibili” dove ogni città ha sempre due facce. La crisi -> non c’è viaggio senza distacco da sé, senza distrazione da sè. Il viaggio non è solo uno spostamento fisico ma inizia nella crisi di fronte all’altro. Allora tutto non è più nelle proprie mani, bisogna buttare via la programmazione perché il viaggio è più affascinante e il mondo non è più in ordine perché se fosse sempre identico a sé non potresti viaggiare. I racconti di viaggio confermano in pieno la struttura di ogni narrare (Roland Barth e Todorov) e questo perché la struttura del racconto e del viaggio si assomigliano molto. Come nel caso del Piccolo Principe di Saint-Exuperì o in “Volo di notte”. Molto spesso il viaggio è simile ad un volo di notte perché non puoi pretendere di viaggiare con i riflettori. La struttura del viaggio-racconto si compone di: situazione iniziale, intermedia (crisi), finale. La situazione finale non importa, non importa che finisca bene o male, non è quello che fa il racconto come il viaggio. Questo perché l’importante non è tornare ma partire. 3. Viaggiare è stare in viaggio (Kerouac, “On the road”). Nel fi lm non importa dove va la strada, non importa andare e tornare perché l’importante è continuare ad andare, on the road, stare nell’infinito. Ci sono due modi di pensare al viaggio: - Idea del viaggio come movimento circolare con un biglietto di andata e ritorno. Essendo circolare ci garantisce di non perderti mai, di andare e tornare. C’è un campione di questo modello, dove il desiderio del viaggiare è tornare e questo è Ulisse che è costretto a viaggiare tra Nettuno, Circe, ecc. Il suo viaggio è dominato dalla nostalgia di casa. Il viaggio però non è un movimento circolare come non è esodo forzato da weekend, tempo libero e vacanza. Viaggio che guarda al passato, nostalgia. 10 ETICA SOCIALE Franco Riva - Ma c’è anche il viaggio dove vai e non torni o comunque non torni com’eri prima. Nella vita l’andata non coincide al ritorno, ma è, semmai, un viaggio lineare. Levinas contrappone ad Ulisse, caratterizzato dall’immagine della casa, ad Abramo, immagine della tenda. Abramo parte per non tornare, lascia per sempre la sua patria per una terra ancora sconosciuta. La tenda è qualcosa che porti dietro, è il ritorno all’origine nomade. Questo è veramente il viaggio. C’è quindi un viaggio dove prevale la nostalgia e un altro dove prevale l’uscita, l’attrazione in avanti. Viaggio che guarda al futuro, speranza. Il paradigma dell’esodo: ovunque si viva c’è una schiavitù, un Egitto. Quando si crea una situazione di schiavitù nei rapporti il viaggio è una forma di liberazione. Esodo è anche parola di vita, di esistenza, non solo di uscita. Viaggiare è stare in viaggio perché non è più un’iniziativa dell’io ma parte dall’altro. È un rispondere più che un andare, un lasciarsi portare dall’altro. Il TU è parola più antica dell’IO (Nietzsche), non “io ti amo” ma “amo a te”. 4. Non si viaggia nella pura conferma di sé -> J. P. Sarte “Non vedo oltre la punta del naso” Sarte ci ha lasciato degli appunti di viaggio pubblicati dalla moglie con un libro intitolato “L’ultimo turista”. Sarte stava perdendo la vista ed era a Venezia, non capisce se non vedeva perché miope o per la nebbia di Venezia. Noi andiamo in giro come se fossimo miopi, in questo modo però l’altro non lo incontri mai. Ci sono dei viaggi che non lo sono per davvero questo è il paradosso e questo perché si viaggia senza staccarsi da sé. Il viaggio della conferma di sé trasforma tutto in una colonia: della propria patria, dei propri interessi, piaceri e sensazioni. Il viaggio non-viaggio è sempre, in qualche modo, di conquista o di guerra. Questi sono i viaggi dell’Occidente, viaggi circolari in cui vai, prendi e torni. Allora ha ragione Sarte quando nel 1966 scrive un’introduzione al libro di uno scrittore africano e dice di guardare come i nostri viaggi sono la giustificazione del saccheggio. I viaggi dell’Occidente sono enormi saccheggi. Il cerchio dei viaggi dell’Occidente assimiglia al quadro dello sguardo di Renè Magritte dove non si capisce se è il mondo ad entrare dentro l’occhio o l’occhio a guardare il mondo. I viaggi dell’Occidente sono sempre più dei viaggi senza l’altro, di circumnavigazione che tornano su sé stessi: standardizzati (preconfezionati, pacchetti viaggio), militarizzati e virtuali. Sulla scena della globalizzazione il viaggio è potenziato e avvilito: facilitato dai meccanismi globali di unificazione politica, economica, tecnologica, culturale e linguistica ma anche ostacolato dall’uniformità di luoghi e culture che lo declassano a un semplice spostamento. Così mercificato da essere ridotto a oggetto di consumo o a ritornare ad essere pendolari del globo. I viaggi dell’Occidente sono sempre più militarizzati. Vediamo risorgere frontiere e dogane. Le procedure di identificazione del viaggiatore hanno perso il loro carattere rituale e d’incontro per farsi indagine poliziesca e interrogatorio, radiografie dell’intimo (controlli in aereoporto). Ora ci sono anche i viaggi degli immigrati che rimandano a fili spinati e quelli degli eserciti. 5. Si nasce a se stessi nell’uscita di sé, nella fatica di un viaggio -> non puoi viaggiare senza un pò di fatica. I viaggi dell’Occidente sono virtualizzati, nel senso che sono consumati in anticipo, preconfezionati ma anche nel senso tecnologico della navigazione in rete, dell’oceano on line. Ci sono quindi dei viaggi e dei turismi virtuali. Da una parte Nietzsche se la prende con il treno (perchè passi tutte le stazioni ma non ti fermi a vedere le città) presente nel mostruoso acceleramento della vita contemporanea e dall’altro Marinetti che dice che con l’aereo (alta velocità) i paesaggi non esistono più. Vedi due dimensioni, dal finestrino e dall’interno -> distruggi la classica visuale del paesasggio. Due atteggiamenti tra di loro contrapposti. All’immaginario pesante dell’acciaio (Il cavallo d’acciaio di Ford, il Metrò di Parigi, l’Orient Express, l’Odissea nello spazio di Kubrick) si torna a preferire il linguaggio fluido e leggerlo del mare virtuale (Moby Dick) perché oggi tutto è fluido. Da un alto metafore della superficie e dall’altro lato del profondo. Cresce l’utilizzo di strumenti che mirano a ridurre la fatica del viaggio come incontro con l’altro, come crisi positiva. 11 ETICA SOCIALE Franco Riva Con i viaggi virtuali entrano in gioco strumenti come il Global Positioning System (GPS) e i navigatori satellitari. Il GPS è diventato un oggetto cult, qualcosa di cui non si può fare a meno, per sapere sempre dove si è, per andare a colpo sicuro e non perdersi mai più. In discussione non sono tanto le sue potenzialità e utilità, basti pensare in caso di pericolo o necessità di un aereo o un alpinista per mandare i soccorsi. Il problema del GPS è che vedi quello che ti fa vedere lui le cose e non vedi più con i tuoi occhi, si rischia una vera e propria sostituzione di personalità e pensiero che deprime le esperienze fondamentali del corpo, dell’esistere e del viaggio come un aprirsi, esplorare e rischiare. Il viaggio diventa così tecnologicamente già viaggiato, il pensiero già pensato, la parola già parlata e la vita già programmata. 6. Si viaggia solo quando si crede in un altrove Il viaggio, come la vita, implica l’esistenza dell’altrove. Nei meccanismi collettivi è invece in atto un addomesticamento della diversità, un monopolio dell’identico. Il viaggio viene visto come un diversivo programmato, telecomandato che si riduce come il tempo libero a una pausa necessaria. Senza altrove però non c’è viaggio e l’altrove è l’altro. L’altrove però sta sfuggendo nell’epoca del melting pot del villaggio globale dove si ha la fine dei luoghi, delle culture, delle lingue, del sociale e della politica. In esso si assiste anche a un fenomeno doppio, contrapposto e complementare. La ritirata dell’altrove davanti all’avanzata del villaggio globale è compensata dalla sua promozione pubblicitaria, infatti, esiste anche un’industria fiorente con cui si cerca di variare il business standardizzato del turismo. È compensata quindi dalla sua manipolazione che restituisce la stessa verità, ovvero che senza un altrove non può esserci viaggio. 7. Senza responsabilità (per l’altro), non c’è nessun viaggio -> la voglia del diverso seduce, spesso inganna. Nasce l’equivoco di pensare che il viaggio riguardi l’altro lontano e non l’altro vicino. Tra il fascino dell’Oriente e le voglie di esotismo passa una bella differenza. Nell’esotismo l'io resta al centro del proprio sentire, la vita è soddisfatta di sé, è puro narcisismo. Nel fascino dell’Oriente invece l’io si decentra verso l’altro, la vita è delusa e si smette di specchiarsi nella propria immagine. L’esperienza del viaggio non è mai faccenda di esotismo e distanza. La meta più lontana infatti non rende di per sé più autentico il viaggiare, tralasciando che questa confusione alimentata. La novità e la diversità della meta possono di certo aiutare e predisporre all’esperienza del viaggio ma si può tornare entusiasti anche da una semplice gita fuori porta. L’esperienza del viaggio coincide con quella di un altrove che è sempre a portata di mano, indipendentemente da dove ci si trova. 8. Per viaggiare devi buttare via tutte le regole -> troppe regole nessun viaggio, per viaggiare va discusso l’eccesso di regole. Con il viaggio anche la parola cambia, si mette in movimento, è in viaggio, dialoga e spezza il monopolio. Senza distacco da sé e senza incontrare l’altro non c’è viaggio ed è questo che deve raccontare la letteratura di viaggio che invece è in crisi perché non rende il senso dell’incontro con l’altro. In realtà tutto quello che puoi raccontare in un racconto di viaggio è solo una porzione di quello che hai vissuto, ogni volta racconterai sempre qualcosa di diverso per cui non si può mettere come finito (libro) qualcosa di infinito. Lo scopo delle regole è uscire dai luoghi comuni del viaggio. Tutto è un viaggio in questo mondo, pensiamo ai pacchetti viaggio, tutto preconfezionato. Proprio questo fa emergere tante domande. Da un lato c’è un enfasi del viaggio e dall’altro c’è un ritorno del viaggio che sembra un ritorno alle origini dell’umanità in quanto l’uomo viaggia da sempre. L’uomo fin dalla sua origine ha bisogno di uscire da sé, orientarsi verso l’altro e tornare poi presso sè, compiendo un giro. Quindi, il fenomeno del turismo di massa si può considerare anche come una memoria inconscia della condizione nomade dell’umanità. La curiosità ha da sempre stimolato l’allontanamento da sé e l’incontro con l’altro. L’uomo quindi è un nomade, un viaggiatore e il viaggio ha una dimensione umana. 12
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