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Riassunto "Fare Formazione" di Quaglino, Sintesi del corso di Metodologia Delle Scienze Sociali

Riassunto "Fare Formazione" di Quaglino

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 15/01/2020

yuyugmi
yuyugmi 🇮🇹

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Scarica Riassunto "Fare Formazione" di Quaglino e più Sintesi del corso in PDF di Metodologia Delle Scienze Sociali solo su Docsity! FARE FORMAZIONE - I FONDAMENTI DELLA FORMAZIONE E I NUOVI TRAGUARDI-QUAGLINO Capitolo 1: PER UNA TEORIA GENERALE DELLA FORMAZIONE 1.1 LA FORMAZIONE OGGI La situazione attuale della formazione professionale è caratterizzata da un’elevata complessità. Caratteri più specifici di questa complessità, e che possono spiegare la situazione attuale della formazione sono riconducibili a: -Una espansione della domanda, ovvero un aumento della richiesta di attività o interventi formativi all’interno di organizzazioni, e un aumento delle occasioni, dei motivi e dei luoghi di formazione. -Uno stallo dell’offerta, ovvero una perdita di investimento progettuale e creativo, una ripetitività e routinizzazione di certi programmi di formazione. -Un’animazione della comunità degli operatori, ovvero in primo luogo una semplice crescita numerica degli operatori addetti alla formazione che significa crescita di un gruppo professionale, consolidamento di figure professionali, accettazione istituzionale diffusa, emergenza di un “valore di esperto” nuovo, e anche un crescente bisogno di riconoscimento sociale dentro e fuori l’organizzazione, una crescente necessità di definire il sapere specialistico connesso al mestiere di formatore, e di dibattito sugli strumenti professionali. Compresi i caratteri specifici della situazione attuale, il problema della formazione oggi è quello di comprendere il perché di questi caratteri e cercare di prevedere gli orientamenti futuri, le possibili trasformazioni, i nodi da affrontare e gli obiettivi da proporsi per il futuro. Quindi cercare di capire i possibili sviluppi e le linee di progetto. Questi problemi vanno esaminati analizzando prima i motivi che possono spiegare i caratteri dell’offerta attuale, ovvero l’espansione della domanda, lo stallo dell’offerta, l’animazione della comunità degli operatori. Quanto all’espansione della domanda si potrebbe dire che nel mondo del lavoro oggi, visti i vari mutamenti dei contenuti del lavoro, la comparsa di nuovi lavori, le urgenze nei processi che riguardano la qualità della vita di lavoro, un rapido degrado delle conoscenze e quindi un’urgenza dell’aggiornamento e della qualificazione professionale, la formazione assume un ruolo prioritario e strategico. Fare formazione è inevitabile. Lo stallo dell’offerta, si spiega come esito del mancato riconoscimento dell’istruzione come valore del sapere e della promozione del sapere come valore. Infine, l’animazione della comunità di operatori si spiega come conseguenza necessaria. C’è una legittima richiesta da parte dei formatori di una professionalità che si esprime in termini di preparazione, efficacia e soddisfazione. Si tratta di una situazione contraddittoria, caratterizzata da una domanda crescente e da un’offerta poco convincente. L’animazione della comunità degli operatori è il risultato delle due condizioni precedenti. Questo esprime un forte bisogno di definire un nuovo livello di qualificazione professionale e di qualità del lavoro, senza più dover attingere ai vecchi modelli, a teorie tradizionali, e modi abituali di pensare e di condurre un progetto educativo, perché ormai considerati poco efficaci. Esiste, in altre parole, “un vuoto di teoria”, il quale costituisce il primo elemento che condiziona l’efficacia dell’azione formativa. Più precisamente si può parlare di un vuoto di consapevolezza delle teorie della formazione, perché la teoria effettivamente non manca, ma non è riconosciuta come tale. La formazione orientata al saper-fare, se non è giustificata da una teoria, rimane una dichiarazione di intenti. 1.2 UN PUNTO DI VISTA SULLA FORMAZIONE La formazione è un’attività educativa, quindi il suo obiettivo è la promozione, la diffusione e l’aggiornamento del sapere e dei suoi modi di utilizzo. Ma il significato profondo dell’azione educativa è creare un momento di crescita culturale, sociale, professionale e personale dei soggetti a cui si rivolge. L’attività educativa si lega ad un primo livello generale ad apprendimento e cambiamento. Ad un secondo livello, se si considera la formazione nel contesto organizzativo, la sua finalità, al di là del sapere dei soggetti, è quella di superare uno problema all’interno dell’organizzazione. A questo livello però apprendimento e cambiamento non vanno di pari passo, perché se per i soggetti il problema è di essere disposti a cambiare, per le organizzazioni è di essere disposte ad apprendere. Dunque, i soggetti cambiano in quanto apprendono, e il legame tra apprendimento e cambiamento è fattuale, invece le organizzazioni apprendono in quanto cambiano, dunque il rapporto duale cambiamento- apprendimento per le organizzazioni è solo possibile, non fattuale. Ciò perché un apprendimento individuale non per forza porta ad un cambiamento organizzativo, il quale invece può avvenire solo a certe condizioni: 1-La formazione deve essere pensata e realizzata in termini di processo . Ne è un esempio lo schema delle quattro tappe: analisi dei bisogni – progettazione – azione formativa – valutazione dei risultati . Queste quattro tappe si fanno ricondurre a due differenti sistemi, ovvero il sistema informatico e quello operativo. Il sistema informativo è inteso come insieme di istruzioni, regole, tecniche, linguaggi e procedure finalizzate ad alimentare una banca-dati indispensabile per l’orientamento della formazione. Il sistema operativo è finalizzato all’ “esecuzione”. Dunque l’efficacia della formazione e quindi la possibilità di definire il legame tra apprendimento individuale e cambiamento organizzativo sono vincolate dalle istruzioni, regole, tecniche, linguaggi e procedure dei due sistemi, dalla loro rispettiva compatibilità e dall’interdipendenza delle azioni cui danno luogo. Una formazione senza il sistema informativo è cieca e una formazione senza il sistema operativo è vuota. 2-La formazione condivide un significato e un orientamento strategico. Nel contesto organizzativo bisogna riconoscere alla formazione il compito strategico e non quello meramente gestionale. La profonda trasformazione nel mondo del lavoro in termini di accelerazione dei processi, grazie anche alla rivoluzione microelettronica chiama in causa la formazione come presidio dei processi di trasmissione del sapere, ma anche come veicolo di riqualificazione e crescita professionale. Altri processi di trasformazione all’interno dei contesti lavorativi che coinvolgono i sistemi di relazione e sistemi di valore prendono in causa la formazione. Sembra essere dimostrato che molti problemi organizzativi sono rappresentati dai soggetti, sia in termini di rapporto con la tecnologia, sia in termini di mutate condizioni relazionali (telelavoro, microunità di lavoro, multiinterdipendenza, pluriappartenenza), sia in termini di emergenza di nuovi valori (come la “qualità della vita di lavoro” o la nuova ottica della “doppia responsabilità” dell’organizzazione e dei soggetti). Da queste considerazioni emerge il ruolo strategico della formazione, il quale si orienta sul medio-lungo periodo, poiché i tempi dell’apprendimento e del cambiamento in organizzazione non sono di breve periodo e il percorso da attuare nel contesto organizzativo è di una tale complessità da sconsigliare una qualsiasi illusione su di una formazione che voglia ottenere risultati immediati. In un’ottica strategica bisogna orientare l’azione educativa non sul problema, ma alla logica del progetto, e bisogna ritrovare collegamenti tra il processo formativo, istituito dal funzionamento sintonico di un sistema informativo e di un sistema operativo, e i rispettivi sottosistemi organizzativi: in particolare il sistema di gestione del personale e il sistema di pianificazione strategica, che sono entrambi fattori cruciali di orientamento e guida del sistema operativo. 3-La formazione richiede tecnologia ed espressione di valori. Essendo la complessità il carattere “essenziale” della formazione, quest’ultima va orientata secondo quest’ultima. La formazione richiede una tecnologia adeguata, la quale è in parte disponibile e in parte da costruire. Oggi la formazione attinge ad una tecnologia povera, a strumenti tradizionali e a irrilevanti investimenti nell’attrezzatura, i quali tendono ad autoriprodursi e autolegittimarsi, ottenendo in realtà un ulteriore impoverimento. “Salto di tecnologia” non significa solo attrezzatura più ricca, ma anche teoria più solida. Proprio perché una tecnologia sofisticata, un’attrezzatura più ricca e una teoria più solida non bastano per raggiungere ciò che si propone la formazione, vi è il bisogno anche di un’espressione dei valori. Sembra che la formazione stia progressivamente perdendo capacità di esprimersi anche sul piano dei valori, razionalizzando quel che è l’azione educativa, occupandosi semplicemente della pura trasmissione dei contenuti che servono, perdendo quindi di vista il soggetto. Una formazione che perde di vista i suoi soggetti, perde anche il suo fine ultimo, quindi anche la sua reale efficacia. Quindi il recupero del soggetto, il recupero delle capacità di esprimere valori e un maggior investimento nella tecnologia sono cruciali per raggiungere un’evoluzione della formazione, renderla capace di adempiere ai suoi compiti e più efficace nei risultati. In tema di condizioni vincolanti la proposta che emerge da queste pagine individua questi aspetti:  Efficacia del sistema informativo (attrezzatura/funzionamento)  Efficacia del sistema operativo (attrezzatura/funzionamento)  Compatibilità tra sistema informativo e sistema operativo (congruenza/interscambio)  Efficacia del sistema di innovazione (attrezzatura/funzionamento)  Compatibilità tra processo di formazione e sistema di innovazione (congruenza/interscambio)  Compatibilità tra processo di formazione e sottosistemi organizzativi (congruenza/interscambio)  Tecnologia sofisticata (attrezzatura/teoria)  Recupero del soggetto  Espressioni di valori L’attrezzatura che presiede al funzionamento del processo di formazione si articola in tre diverse dimensioni: 1) Principi generali: cioè un apparato di teoria Sistema operativoSistema informativo 1.Analisi dei bisogni 2.Progettazione 3. Azione formativa 4.Valutazione dei risultati -la passività -il molecolarismo -lo stato di “paziente” La passività ha che fare con l’immagine di soggetto incapace di movimenti autonomi nella direzione del cambiamento, la cui condotta è il risultato di una stimolazione proveniente dall’esterno e che apprende in quanto sollecitato. Il molecolarismo rimanda all’immagine delle parti separate, della possibilità di un’attivazione selettiva del soggetto, di un apprendimento per unità distinte. Lo stato di paziente rinvia all’immagine dell’apprendimento come operazione che riduce lo scarto rispetto allo standard e del soggetto che necessita di interventi. La teoria della formazione si presenta dunque come fortemente caratterizzata in senso meccanicista. Occorre quindi ipotizzare un completo ribaltamento di prospettiva nel senso di una Teoria del Soggetto di tipo organicista e postulare un soggetto: Da: A: passivo  attivo molecolare  molare paziente  agente Si cerca quindi di restituire al soggetto caratteri di totalità e articolazione complessa proponendo un’immagine di soggetto costantemente in attività, non guidato da spinte che derivano dall’esterno ma dalla sua attività mentale, attività configurata come un sistema organizzato e gerarchizzato di strutture, meccanismi e processi che elaborano i dati che giungono dall’esterno fino a giungere a stabilire relazioni di azione, di espressine, di pensiero. Essendo la Teoria degli Obiettivi strettamente collegata con la Teoria del Soggetto, anch’essa necessita un analogo soddisfacimento dei criteri di complessità e unità. Una lista di obiettivi formativi non soddisfa i criteri di unità e complessità, così come non lo fanno una tipologia e una tassonomia, piuttosto un sistema di obiettivi come unità differenziate di traguardi educativi, ovvero campi di apprendimento e quindi di elementi riassumibili nel termine di competenza. Il ricorso suggerito al concetto di competenza per una TdS associata a una TdO è da intendersi in extenso: nel senso della formulazione di un modello equivalente. Una TdO può caratterizzarsi come articolazione di traguardi educativi rispetto a un insieme di competenze del soggetto: conoscenze e unità di informazioni da un lato e principi e regole dall’altro, rispetto al duplice livello delle pure e semplici istruzioni e delle abilità esecutive. Nel campo della formazione il soggetto è l’operatore sociale, l’insegnante, l’impiegato, il manager nella determinazione riconducibile allo specifico dell’attività professionale, in direzione di una TdO come: - configurazione articolata di traguardi educativi (condizione 1) - in rapporto a un sistema di competenze del soggetto (nucleo della TdS collegata a condizioni 2a e 2b, olismo e contestualismo) - traguardi definiti al duplice livello dello sviluppo di consapevolezza e dello sviluppo d contenuti dei singoli sottosistemi di competenza - sottosistemi articolati per unità di informazioni e unità di regole a loro volta riferiti a campi di istruzioni e campi di abilità - deve soddisfare criteri di unità, totalità, complessità (condizione 3) Nel contributo fornito da J. Burgoyne e R. Stuart è contenuta la proposta di un modello teorico delle capacità manageriali che si presenta come una vera e propria TdS rispetto a un corrispondente sistema di obiettivi formativi. Il punto di partenza dei due autori è rappresentato da un lato dal riconoscimento di taluni punti deboli, di taluni vuoti di concettualizzazione, nel panorama delle teorie manageriali, quanto a un modello di capacità, dall’altro dalla fissazione di criteri e condizioni per un tale modello a fronte di una preliminare opzione teorica in tema di apprendimento. Tale opzione teorica è esemplificata nell’adesione dei principi a suo tempo formulati da G. Bateson quanto a una gerarchia di livelli di apprendimento: - apprendimento zero -specificità della risposta - apprendimento 1 – cambiamento nella specificità della risposta - apprendimento 2 – cambiamento del processo dell’apprendimento 1 - apprendimento 3 – cambiamento nel processo dell’apprendimento 2 Burgoyne e Stuart precisano i contenuti di tre livelli di apprendimento e stabiliscono una corrispondente gerarchia di traguardi educativi: a) conoscere dati e fatti di vario genere b) disporre di capacità specifiche alla situazione e di determinati orientamenti di risposta c) disporre di qualità che corrispondono al processo di apprendimento di livello b, definite come metaqualità. In conclusione, un modello pienamente soddisfacente e adeguato in tema di capacità manageriali è vincolato a: - comprendere i tre livelli sopra discussi - tendere a definizioni “strutturali” o “funzionali specifiche” di capacità ed essere compatibile con una rappresentazione delle capacità sottoforma di “programmi” (insiemi di regole e istruzioni interne che guidano il comportamento) - proporre una classificazione di tutte le possibili capacità e qualità, relative a situazioni manageriali in generale piuttosto che a uno specifico schema universale. Il postulato di base del modello di Burgoyne e Stuart è che il manager, sul lavoro, agisce sul suo ambiente attuando “piani interni” in vista del conseguimento di un qualche obiettivo. Al tempo steso egli trae dal suo ambiente informazioni sul contesto e sui cambiamenti, alcuni dei quali possono essere conseguenze delle sue stesse azioni (e in tal senso ne rappresentano il feedback). Ciò è perfettamente in linea con l’”approccio organicista”. La complessità della configurazione del mondo interno del soggetto rispetto all’attenzione secondaria rivolta al mondo esterno ne è indiscutibile conferma. Scanned with CamScanner Il contributo di Burgoyne e Stuart costituisce un significativo punto di riferimento nella direzione di una TdO come si vuole poi configurarla e proporla. Esso soddisfa adeguatamente (seppur non completamente) le tre condizioni che vincolano una tale teoria tanto alla differenziazione del suo oggetto da quello proprio di una TdA, all’esplicitazione del legame con una corrispondente TdS, all’articolazione degli elementi componenti (i singoli obiettivi) rispetto a un quadro unitario. Conseguentemente, gli autori compiono un decisivo viraggio verso un approccio organicista rispetto al meccanismo tutt’ora dominante nel campo delle riflessioni sui problemi della formazione e formulano un modello che può essere efficacemente generalizzato a una ben più ampia classe di soggetti. 2.3 LINEE DI PROPOSTA PER UNA TEORIA DEGLI OBIETTVI L’esigenza prioritaria che una Teoria degli Obiettivi deve soddisfare è connessa con la definizione dell’oggetto. Tale definizione non può coincidere né con un elenco di finalità educative come livelli generali di apprendimento (con una tipologia semplice) né con una lista di obiettivi analitica ma priva di articolazione unitaria (una tassonomia), ma è necessaria, piuttosto, l’individuazione di un referente unico e differenziato, di una unità di obiettivi che nel nostro caso coincide con la competenza. In secondo luogo, una Teoria degli Obiettivi richiede la definizione di un piano generale di traguardi educativi (nel nostro caso si può parlare di consapevolezza, come capacità del soggetto di riconoscere le competenze possedute e sviluppo, dunque controllo; e di sviluppo, come miglioramento di tali competenze). In terzo luogo, è necessario configurare un sistema di obiettivi corrispondente a un’articolazione di competenza con caratteri di unità e totalità e nel nostro caso ci si può riferire, adottando la terminologia di Burgoyne e Stuart, a:  Competenze 1: conoscenze (banche-dati);  Competenze 2: abilità (modelli operativi);  Competenze 3: metaqualità (dispositivi di controllo ed elaborazione sovraordinati). In quarto luogo, occorre individuare i contenuti di tali competenze. Nel nostro caso si può distinguere tra unità di informazione e sistemi di regole. Infine, bisogna definire per ciascun livello di competenza l’insieme degli elementi componenti. Ogni azione educativa che ignora o nega la totalità del soggetto cui si rivolge in termini di mancato riconoscimento della totalità del sistema di competenze possedute, non può che rivelarsi inefficace, in quanto “ignora ciò che fa” (“vuoto di consapevolezza”). Il legame che unisce la TdS alla TdO va esplicitato passando da un piano più generale a uno più specifico n cui il soggetto a cui è rivolta l’azione educativa è considerato rispetto alle sue determinazione situazionali. Questo passaggio corrisponde al soddisfacimento della condizione 2b (contestualismo). Secondo Quaglino, il riferiment contestuale dell’azione educativa può ottenersi in base a una tipologia ristretta che distingue tra: a) Area del lavoro  attività professionale del soggetto b) Area del ruolo  posizione occupata dal soggetto c) Area del sé  elementi professionali ed elementi personali = persona-soggetto. Il contesto del sé va inteso nel senso di un riferimento al soggetto nella sua “globalità” o, per meglio dire, rispetto alla totalità e unicità del soggetto-persona. Risulta anche possibile ridefinire come traguardo educativo sovraordinato a quello della consapevolezza e dello sviluppo di competenze, quello della realizzazione (del sé appunto) ovvero dell’autorealizzazione, riconoscere competenze di tipo 2 e in altri competenze di tipo 3 per riprendere il linguaggio in precedenza utilizzato, di ricollocare o includere peculiari qualità del soggetto in quanto positiva configurazione del sé, ovvero circolo virtuoso del “sé”. Il richiamo al contesto del sé come piena espressione del soggetto assume il significato di ribadire la pregnanza di un approccio “organico” rispetto alla TdS legata alla TdO. Resta imprescindibile il contenuto di proposta di una TdO esplicita, dichiarata, consapevole e significativamente adeguata al suo oggetto, che includa la dimensione del sé come specifico traguardo educativo:si potrebbe dire come “superiore” traguardo educativo. CAPITOLO 3: L’APPRENDIMENTO 3.1 PRESUPPOSTI E CONDIZIONI PER UNA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO Una Teoria Generale della Formazione comprende unità di sapere attinenti a più di un oggetto: dagli obiettivi educativi al ruolo di formatore, dai processi di apprendimento ai metodi didattici. Esistono però dei legami privilegiati tra alcuni di questi oggetti: ad esempio tra Teoria degli Obiettivi e Teoria dell’Apprendimento. In termini di differenze bisogna ribadire che Teoria degli Obiettivi e Teoria dell’Apprendimento si occupano di oggetti profondamente diversi e che è impossibile assimilare l’uno all’altro. La Teoria degli Obiettivi ha per oggetto i traguardi educativi dunque i contenuti di apprendimento con riferimento a un ‘progetto educativo’, mentre la Teoria dell’Apprendimento ha per oggetto i processi di apprendimento, dunque le modalità soggettive in base alle quali si apprende con riferimento a tutte le possibilità di apprendimento, di cui i progetti educativi non sono che una parte. In termini di somiglianze si deve sottolineare che la Teoria dell’Apprendimento e la Teoria degli Obiettivi condividono:  Il livello di concettualizzazione, nel senso dell’implicazione di ambiti di sapere consolidati, ricchi di contributi e dagli ampi confini disciplinari;  I criteri che vincolano una teoria, nel senso della sua generale capacità di essere un modello concettuale con più o meno elevato riscontro operativo (ovvero capacità di risolvere, esprimere e aderire all’oggetto). Le somiglianze e le differenze evidenziano le condizioni per la TdA che possono essere riconosciute nelle seguenti: 1 individuazione di un oggetto differenziato rispetto a una Teoria degli obiettivi; 2 definizione dei collegamenti con una Teoria del Soggetto necessariamente implicata, ovvero: non riduzionismo e centratura sul soggetto; 3 definizione di un oggetto ristretto con riferimento privilegiato alle condizioni del progetto educativo. 1 Definizione dell’oggetto. Una Teoria dell’Apprendimento ha per oggetto i processi soggettivi che presiedono all’apprendimento, quindi le modalità e i percorsi in base ai quali gli individui realizzano l’apprendimento. Il processo di apprendimento si definisce con riferimento al rapporto tra uno stato di sapere iniziale e uno terminale come differenza di sapere, se non vi è differenza allora non vi è apprendimento. Questo implica una dimensione temporale, e quindi un percorso compiuto dal soggetto, che deve consentire un conseguimento di sapere nel senso della sua acquisizione, rielaborazione, creazione o scoperta. 2 Riferimento al soggetto. Per la definizione stessa dell’oggetto, la Teoria dell’Apprendimento richiede l’esplicitazione del legame con una Teoria del Soggetto, si parla infatti di processi soggettivi. In questo caso, il soggetto non è definibile come “destinatario dell’apprendimento”, ma vero e proprio attore dell’apprendimento, coincide cioè con l’evento stesso dell’apprendere. Le sottocondizioni sono: 2a centratura del soggetto, quindi esclusione di ogni determinazione di ruolo e centralità dell’apprendere e 2b non riduzionismo, cioè l’esclusione di ogni definizione dell’apprendere in termini di modalità o processo univoco o privilegiato. Tale sottocondizione segnala la necessità di una definizione aperta di soggetto come attore dell’apprendimento rispetto a una pluralità di possibilità di conseguire l’apprendimento. 3 Definizione di un oggetto ristretto all’ambito del progetto educativo. Questa terza condizione formula la necessità di definire il suo oggetto con riferimento privilegiato a quei processi soggettivi di conseguimento di sapere coerenti e conformi a un 8- MdA pragmatico. Esclude ogni rimando teorico. L’apprendimento è vincolato alla logica del senso comune e dell’esperienza quotidiana. Imparare facendo. Idea di un soggetto che impara anche per conto proprio, ancorato all’esperienza concreta dell’apprendere. Approccio diffuso nel nostro Paese  scetticismo verso i processi di istruzione. Ciascun modello di apprendimento rimanda inoltre a un modello di uomo, cioè ad una Teoria del Soggetto. Burgoyne e Stuart hanno tentato di ricostruire un campo complesso di modi dell’apprendere, di processi soggettivi tutti possibili e legittimi ai fini di un modello teorico sufficientemente integrati; ridefinire le inevitabili implicazioni che un ogni modello di apprendimento contiene rispetto a una Teoria del Soggetto; accettare l’individuazione di una pluralità di progetti educativi rispetto alla pluralità dei modelli di apprendimento di riferimento e rispetto alla possibilità stessa di pensare a un progetto educativo che richieda più di un modo di apprendere (che solleciti differenti processi soggettivi). Questo modello sembra quindi soddisfare le condizioni esplicitate al paragrafo 3.1; ma, più in generale la risoluzione “automatica” della TdA nella proposta di Burgoyne e Stuart non sembra possibile. Ecco alcuni punti deboli: - Innanzitutto, il campo di modelli di apprendimento contemplati dalla tipologia non è forse né completo né esaustivo. È possibile includervi un elemento mancante, un modello di apprendimento riflessivo. Questo tipo di modello è orientato dal soggetto e vincolato a principi di riflessione e rielaborazione a partire dall’esperienza (approccio cognitivo nel senso dell’apprendimento per scoperta e che fa perno su finalità di crescita globale del soggetto proprio a partire dalla totalità delle sue esperienze). È possibile riconsiderare i modelli di apprendimento per condizionamento, per “aggiustamento” e per “influenzamento” come un unico modello le cui caratteristiche evidenziano principalmente la condivisione di un approccio meccanicista rispetto ai processi di apprendimento, un’idea di soggetto sostanzialmente passivo e con basso controllo sul processo stesso. In una TGF con approccio organicista è plausibile ritenere che tali modelli restino ai margini di una tipologia quale quella richiesta dalla TdA. - Gli elementi della tipologia risultano più che altro “giustapposti” gli uni agli altri: non c’è criterio di classificazione “intrinseco” ma solo estrinseco. Ciò non è sufficiente. - Ogni riferimento in termini di sequenzialità sembra del tutto non considerato e questo è un elemento cruciale per configurare con più precisione l’oggetto stesso della TdA ovvero i processi soggettivi di apprendimento. Binsted riprende la tipologia di modello di apprendimento di Burgoyne e Stuart, ve ne include qualcun altro e schematizza i processi soggettivi implicati da ciascuno rincorrendo all’impianto che questi stessi autori hanno adottato per raffigurare l’articolazione tra le dieci aree di competenze manageriali distinguendo cioè tra “mondo esterno” e “mondo interno”, input e azione. Dunque, il criterio in base al quale ritrovare articolazione interna alla tipologia di modelli di apprendimento non può che rimandare da un lato nella direzione della differenziazione tra progetti educativi; dall’altro, nella direzione della differenziazione dei riferimenti contestuali dell’azione formativa (riprendendo quanto formulato nel secondo capitolo). È quindi necessario utilizzare un doppio-criterio: a) Centratura sul soggetto distinguendo tra progetti educativi vincolati a processi di apprendimento nel senso dell’acquisizione di sapere o piuttosto nel senso della rielaborazione/scoperta di sapere (anche conforme alla condizione 1) distinguendo cioè tra differenti gradi di guida/controllo e finalizzazione dei processi stessi di apprendimento da parte del soggetto. Distinzione tra due grandi aree di progetti educativi: eterodiretti (minor controllo) ed autodiretti (maggior controllo). b) Riferimento al soggetto ovvero riferimento all’ampiezza dell’area soggettiva coinvolta dal progetto educativo secondo la tipologia che distingue tra le tre aree: lavoro, ruolo, sé (anche conforme alla condizione 2). Il criterio connesso con il riferimento al soggetto costituisce il legame, punto di contatto e sovrapposizione, tra TdO e TdA garantendo al tempo stesso differenziazione e integrazione tra gli elementi della TGF, dunque la sua COERENZA INTERNA. Lo schema proposto (fig.3.7) tende ad assumere il carattere di tipologia “aperta” anziché chiusa, carattere che deve garantire il livello di integrazione interna espresso dalla TdA. In linea generale: - Lo spostamento nel senso della maggiore complessità die processi soggettivi che coinvolgono il “mondo interno” è progressivo lungo il continuum da programmi educativi eterodiretti ad autodiretti. - Così come maggiore è la complessità quanto maggiore è l’ampiezza dell’area di riferimento al soggetto (lavororuolosé) - L’input esterno in linea continua esprime appunto un minor grado di controllo e autonomia del soggetto quanto ai processi di apprendimento sollecitati dal progetto educativo, e in linea tratteggiata una minor dipendenza “da altri” (p.96,97). La proposta di TdA risulta come “campo” di differenti processi di apprendimento attivabili nell’ambito di un progetto educativo: dove tali differenze si esprimono a loro volta nei diversi percorsi sequenziali e/o ciclici e in base all’adozione del duplice criterio di “centratura sul soggetto” e “riferimento al soggetto”. In tal senso la TdA sembra soddisfare le condizioni individuate di definizione del proprio oggetto, di esplicitazione del legame con una Teoria del Soggetto, di ricollocazione all’interno del progetto educativo: condizioni che sole consentono l’inclusione coerente di una TdA rispetto al proposto impianto di TGF. CAPITOLO 4: I METODI Il tema dei metodi formativi costituisce il punto di confluenza del dibattito sulla formazione. Del complesso oggetto che è la formazione, i metodi rappresentano la parte concreta, visibile rispetto a quella più nascosta, implicita e teorica costituita dai temi, obiettivi e dalla teoria dell’apprendimento. 4.1 IL PROBLEMA-METODI Secondo i teorici di formazione si sta assistendo alla nascita di una nuova era di sviluppo dei metodi formativi, una profonda innovazione in cui sarà possibile costruire metodi con alta sistematicità e con esplicito riferimento alla teoria o alle teorie dell’apprendimento. Secondo Quaglino tale dibattito si può sintetizzare nelle tre antinomie: 1-Accademismo – attivismo. Tra le spinte che hanno contribuito a determinare la diffusione di attività formative rivolte agli adulti nel nostro paese si trovano la possibilità di utilizzare metodologie di insegnamento attive, contrapposte ai metodi più tradizionali identificabili nello schema della classica lezione ex cathedra. È dall’opposizione tra accademismo, ovvero distanza tra docente e allievo, comunicazione a una via, freddezza, impersonalità, e attivismo, ovvero coinvolgimento diretto degli allievi, costruzione progressiva, finalizzata e guidata dell’apprendimento, comunicazione a due vie, discussione e confronto, responsabilizzazione, che si trova un punto di passaggio, che ha come punto di riferimento il metodo dei casi. L’opposizione si sintetizza come differenza tra una modalità di conseguimento del sapere vincolata all’ascolto e all’attenzione e una basata sul coinvolgimento e la partecipazione attiva dell’allievo; tra un sapere per trasmissione e uno per elaborazione, per analisi e risoluzione di problemi. 2-Contenuti – processi. Altra opposizione storica è quella che contrappone chi punta su finalità di apprendimento e traguardi educativi espressi dal conoscere contenuti, quindi dal sapere e chi ritiene di importanza prioritaria traguardi educativi connessi a un sapere “universale”, ovvero quello delle relazioni interpersonali, e dei processi implicati nello svolgimento del lavoro in relazione o con altri. Questa opposizione, che riguarda temi e argomenti formativi anche nel senso di aree disciplinari, diventa reale rispetto al metodo, come confronto tra una modalità di apprendimento basata sulla trasmissione di sapere e una centrata sull’elaborazione personale, una che tende a promuovere una conoscenza degli “oggetti” e l’altra delle implicazioni personali, quindi dei “soggetti”, e ancora una formalizzata in modo preciso, definita, “chiusa” e razionale e l’altra tendenzialmente problematica, interrogativa, “aperta”, disponibile a “trattare” aspetti, problemi e implicazioni emotive. 3-Strutturazione – destrutturazione. La terza opposizione è quella che riguarda gli approcci didattici di una formazione programmata nei dettagli e una come semplice contenitore di eventi; una modalità prevede il percorso di apprendimento secondo una sequenza prestabilita e quindi strutturata, l’altra prevede invece che il percorso si costruisca per momento e in quel momento, dove ciò che è prestabilito sono solo i confini spazio-temporali (luoghi, aule, gruppi, durate di incontri) , un percorso quindi che vede la destrutturazione come carattere principale e la conseguente necessità di costruire l’apprendimento secondo il concetto dell’apprendimento qui e ora. Queste tre opposizioni rappresentano il quadro della situazione nel dibattito passato e attuale sul metodo formativo, ed è in questo quadro che trovano posto opposizioni tra strumenti o metodologie didattiche. 4.2 IL CAMPO DELLE METODOLOGIE DIDATTICHE Bisogna innanzitutto fare una distinzione di partenza tra metodi tradizionali (classica configurazione del rapporto pedagogico tra docente e allievo) e metodi emergenti (con questi metodi proprio quel rapporto pedagogico tradizionale viene ridefinito e trasformato). 4.2.1 METODI TRADIZIONALI -L’Istruzione programmata si caratterizza come percorso di apprendimento formalizzato e strutturato, come punto di convergenza tra un modello di apprendimento per passaggio di informazioni e uno per “condizionamento”. È costituito da una sequenza di unità di conoscenza (unità di apprendimento) in forma di altrettante domande per ciascuna delle quali è prevista una risposta: la risposta esatta permette di proseguire nel percorso, quella errata esige il ri-apprendimento. La logica che sta alla base di tale metodologia è l’apprendimento per rinforzo, progressivo, sequenziale, che va per microunità di sapere riguardanti un oggetto la cui completa conoscenza è garantita dal compimento dell’intero percorso. -La lezione, la lettura e la discussione. Quest’area riassume ciò che è l’approccio accademico classico e configura la relazione tradizionale di insegnamento: al soggetto è richiesta attenzione e ascolto. L’apprendimento è vincolato da tali condizioni oltrechè dai contenuti trasmessi dal docente. La lettura e la discussione sono quel tipo di metodologie che invece consentono uno scambio (tra “chi sa” e “chi non sa”). -L’incident e il caso. Un caso è una “situazione/problema” che richiede una soluzione. Viene posto un caso, quindi un resoconto di eventi che hanno condotto a tale situazione-problema ed infine vi è una decisione da prendere, un intervento da proporre e un cambiamento da adottare come soluzione della situazione-problema. Il metodo didattico punta sull’attivazione di processi di analisi di fatti e dati di un determinato contesto organizzativo, per questo motivo è visto come un punto di passaggio tra l’approccio accademico e quello cosiddetto attivo (la relazione docente allievo privilegia la discussione e il confronto al semplice “ascolto”, e il tipo di apprendimento sollecitato con questo metodo è quello nella logica del problem-solving, problem-analysis. Con l’incident, ai soggetti posti di fronte a una situazione-problema è richiesto di ricostruire il caso, di individuare i dati e le informazioni necessarie per analizzare e predisporre una soluzione. -La simulazione, l’in-basket, il role-play e l’esercitazione. Questi metodi segnano il passaggio definitivo all’approccio attivo. Logica condivisa da questi metodi è quella dell’apprendimento per esercizio, sperimentazione, riproduzione di problemi e situazioni, un modello di apprendimento di tipo più esperienziale, con più elevato e diretto coinvolgimento dei soggetti nel processo di apprendimento, ridefinisce il ruolo del docente come guida stimolatrice del processo di apprendimento nei soggetti. Sono metodi che richiedono una strutturazione e formalizzazione di materiali, contenuti, passaggi. -Il gruppo esperienziale (t-group). Si utilizza il termine “gruppo esperienziale” per indicare una molteplicità di metodologie formative il cui denominatore comune è la centratura sul gruppo, dove cioè il gruppo è momento e strumento, motivo e movente, soggetto e oggetto di apprendimento. Il classico riferimento a un gruppo esperienziale è il T-group di Lewin, ma oggi il campo della formazione è ricco di proposte che, pur se costruite sullo schema-base di lewin, si presentano come metodologie differenti, derivate da differenti prospettive teoriche. Oggi si riconoscono 4 filoni principali: T-group lewiniano; encounter/group; gruppo di analisi istituzionale; gruppo di socioanalisi. - Il gruppo di studio, il lavoro di progetto e l’autocaso. Questi metodi si caratterizzano per la condivisione del proposito di risolvere alcuni inconvenienti dei metodi precedenti, ovvero l’estraneità e il basso coinvolgimento dei soggetti. Il proposito è quello di favorire un apprendimento maggiormente centrato sul soggetto sia rispetto ai processi attivati che ai contenuti del progetto educativo. si tratta di metodi educativi che privilegiano la dimensione del problem-analysis, della discussione e del confronto in cui il materiale oggetto del progetto educativo è prodotto dai partecipanti stessi anziché dal docente. Il gruppo studio si propone come un lavoro di approfondimento di argomenti scelti dai soggetti e per i quali è richiesto di raccogliere i materiali e di organizzarli, rielaborarli e predisporre una “relazione” come sintesi del lavoro stesso. Nel lavoro di progetto gli argomenti ripropongono situazioni-problema di specifici contesti organizzativi, dove l’obiettivo del progetto educativo è la stesura di un caso, la ricostruzione di tali situazioni-problema e dove sono previsti momenti di lavoro “sul campo” per l’acquisizione di materiale informativo e capacità. L’autocaso è un caso reale di uno dei partecipanti al progetto educativo ricostruito “in aula” secondo modalità di lavoro che richiedono l’acquisizione di strumenti concettuali di analisi e classificazione dei dati e la loro applicazione ai casi in oggetto. 4.2.2 I METODI EMERGENTI -Outdoor development e OutwardBound. L’Qutdoor development fa riferimento, da un lato, al modello di apprendimento esperienziale di Kolb, e dall’altro, ai principi dei metodi esercitativi di Pfeiffer e Jones. Si tratta di qualcosa oltre il confine che è rappresentato da condizioni, situazioni, problemi abituali di lavoro dei soggetti. L’Outdoor development è una metodologia e un progetto educativo al tempo stesso, propone un percorso di apprendimento dalla realtà, ma in situazioni-limite che richiedono un completo coinvolgimento del soggetto in ambienti del tutto non familiari, tali da richiedere al soggetto l’utilizzo di tutte le sue risorse e la sperimentazione e la ricerca in assenza di punti di riferimento stabili e rassicuranti. L’OutwardBound nasce dalla proposta da K. Hahn agli inizi degli anni Trenta di un percorso di sopravvivenza, una propria pedagogia basata sui principi dell’utilizzazione di tutte le risorse dei soggetti e della sfida intellettuale come tramite del completo sviluppo personale. L’outdoor development è più vicino al campo della formazione manageriale. Si propone come metodologia per lo sviluppo di specifiche capacità manageriali, in particolare, capacità intuitive, non-specifiche, di riferimento soggettivo, che possono essere sviluppate in “tempi brevi”. Questa metodologia si caratterizza per il tentativo di “rompere” il confine dell’aula e della classe come riferimenti tradizionali del progetto educativo o dell’apprendimento, “sbloccando” gli schemi tradizionali in base ai quali i soggetti apprendono. -Learning Community e Autonomy Laboratory. Con queste metodologie l’apprendimento è favorito dalla costituzione spontanea di un gruppo di soggetti che reciprocamente si scelgono, condividono gli stessi obiettivi di apprendimento e l’intenzione di realizzare un progetto finalizzato. Learning Community si propone come progetto educativo vincolato dal principio che ciascun soggetto è responsabile in prima persona dell’identificazione e realizzazione dei propri obiettivi di apprendimento nonché della collaborazione con altri per identificare e realizzare i loro obiettivi. Esso punta a favorire lo sviluppo di un apprendimento significativo per il soggetto nel senso della guida alla piena autonomia. Il confine dell’aula tradizionale è superato, il concetto di “comunità di apprendimento” fa riferimento piuttosto alla “rete” che collega i soggetti, non alla loro collocazione fisica nell’aula. Autonomy Laboratory si orienta nella duplice direzione di un apprendimento all’autonomia e sulla creatività attraverso il riconoscimento e l’utilizzazione da parte dei soggetti della molteplicità delle loro risorse personali. In questi metodi si può notare che il docente ha un ruolo più di coordinatore e al tempo stesso di risorsa e “tramite” per l’acquisizione di altre risorse. partecipanti. Nella quarta (docente vs consulente) prevale il rimando a un criterio di tipologia di intervento se non di mestiere: dove al consulente è riconosciuto un ambito di azione dai più ampi confini e per cui formazione significa strumento di intervento. Nell'ultima differenza (docente interno vs docente esterno) si evidenzia il ricorso a un criterio di opportunità educative in riferimento ai differenti connotati di collocazione istituzionale. C'è da chiedersi dove si colloca esattamente il formatore. È a questo interrogativo che sembra non esservi una risposta soddisfacente. Il problema che occorre affrontare in sede di proposta di una Teoria del Formatore va riformulato come segue: - Il formatore non può essere identificato nella figura del docente, nella misura in cui essa sconta largamente un'immagine tradizionale di docente come insegnante: dunque un'immagine riduttiva se riferita alle trasformazioni in atto nei processi formativi. Il superamento del setting d'aula impone una revisione del ruolo del docente. - D'altro canto il formatore non può che trovare identità di ruolo rispetto a compiti, obiettivi e responsabilità inerenti al progetto educativo. Differenze di ruolo sono riconducibili a differenze di disegno e di modalità di realizzazione, ovvero a tipi di progetto educativo. Le opposizioni considerate evidenziano che si tratta di ricomporre un quadro anziché istituire alternative. Perseguendo il proposito di una Teoria Generale della Formazione non ci si può sottrarre all'obiettivo di ridisegnare il ruolo del formatore. L'unica opposizione che può costituire un utile elemento di riflessione è quella tra chi presidia il processo di formazione e chi conduce l'azione formativa. b) I rischi del mestiere. Tre temi vanno evidenziati: 1 la manipolazione, 2 le fantasie, 3 la triangolarità.1 La manipolazione ha a che vedere con la preoccupazione che fare formazione significhi esercitare influenza, che l'azione educativa possa tradursi in una persuasione, in una convinzione e in una suggestione. Si pensava che apprendere potesse essere anche esperienza condizionante per i partecipanti al corso, mentre insegnare fosse un esercizio di pressioni. Pensare in termini di manipolazione vuol dire anche presumere interlocutori potenzialmente manipolabili e ciò non è stato confermato dall'esperienza concreta. 2 Per quanto riguarda il tema delle fantasie, a detta di Enriquez, i rischi del formatore sarebbero riconducibili all'incapacità di riconoscere la pluralità di figure che per il tramite del formatore possono essere evocate, ovvero agite in situazioni di formazione: ciò costituisce un rischio sia come confusività di ruolo sia come pratica mistificante. 3 La triangolarità va riferita al tipo di relazione tra le differenti parti che l'attività formativa chiama in causa: - il formatore, inteso come colui che gestisce il processo o guida le relazioni di formazione; - il committente, inteso come colui che agendo all'interno o per conto dell'organizzazione si trova a essere promotore di una richiesta di intervento formativo; - l'utente, inteso come colui che sarà coinvolto nella formazione in quanto partecipante al corso. Il rischio della triangolarita è il rischio di ogni relazione complessa nel senso della possibile confusività e, per il formatore, dell'agire collusivo rispetto alle altre parti coinvolte nella relazione. Il rischio è quello dell'incertezza dei ruoli rispettivi e ciò costituisce un elemento di complicazione per l'azione del formatore. c) Le expertises. Un terzo tipo di elementi di riflessioni ha a che vedere con la professionalità del formatore in termini di: - competenze ed esperienze richieste per un efficace adempimento del ruolo; - regole e principi-guida per l'azione formativa; - iter di preparazione e formazione personale. Ciò che si è definito expertises trova contributi che si propongono di ridefinire la figura del formatore. La logica delle opposizioni risulta di nuovo vincolare tali contributi. I risultati di una ricerca condotta presso Centri e Istituti di formazione aderenti all'ASFOR evidenziano nella figura del docente il possesso di competenze scientifiche specialistiche, didattiche e aziendali; mentre nella figura del formatore il possesso di competenze gestionali e di relazione. Si hanno più precise indicazioni dalla ricerca ISMO su "La professionalità del formatore", dove sono segnalate conoscenze di metodologie didattiche, di organizzazione e management, di psicologia, di sociologia e conoscenze specialistiche; e capacità di tipo diagnostico, di tipo didattico, di tipo manageriale.Stella e Kaneklin evidenziano delle competenze in tema di psicologia dell'apprendimento e strumenti didattici, di analisi organizzativa e dei compiti, di programmazione della formazione e analisi dei risultati. Introducono in un secondo momento tratti soggettivi riconoscibili nelle caratteristiche di fluidità, autentico interesse per la crescita degli altri, capacità di controllare i meccanismi di transfert e controtransfert, capacità di affrontare emozioni anche intense, capacità di elaborare atteggiamenti euforici che possono prodursi in situazioni di formazione. Contessa ritrova le competenze di base nelle capacità diavere un buon rapporto con la committenza diretta e con l'autorità, saper diagnosticare i bisogni reali dei formatori e dell'organizzazione, progettare iniziative formative, programmare le risorse utilizzabili, i tempi e la sequenza delle attività, realizzare il programma, verificare i risultati. 5.2 LA NATURA PEDAGOCICA DEL RUOLO DI FORMATORE Lo stato di incertezza che caratterizza l'oggetto-formatore pone forti vincoli alla possibilità di individuare il disegno di una Teoria del Formatore conforme con quanto richiesto dall'impianto di una Teoria Generale della Formazione. La risoluzione di tali vincoli va ritrovata nella capacità didefinire con chiarezza il collegamento tra formatore e progetto educativo. Si tratta di incentrare la riflessione sulla natura pedagogica del ruolo del formatore, anziché limitarla alle implicazioni istituzionali e organizzative, agli aspetti di rischio, alle expertises. Si è avuto modo di segnalare le condizioni di profonda trasformazione in atto quanto ai metodi formativi nella rottura del tradizionale setting d'aula come luogo privilegiato e deputato per lo svolgimento di attività formative e nell'ampliamento dei confini del progetto educativo al di là del tradizionale rimando all'immagine del corso. Sembra evidente ritenere che ciò possa coinvolgere direttamente anche la figura del formatore. Ristabilire il collegamento tra formatore e progetto educativo significa individuare una nuova configurazione di possibili ruoli di docenza, ovvero di ruoli formativi, che sia da un lato, articolata, e, dall'altro, coerente con la nuova configurazione del campo dei progetti educativi. In questa prospettiva di ragionamento si collocano alcuni contributi e di essi va tenuto conto per una ridefinizione del ruolo di formatore in termini di: a) un modello; b) un criterio; c) un profilo di capacità. a) Un modello. Burgoyne e Cunningham formalizzano un modello di ruoli formativi. Gli elementi base intorno ai quali è costituito il modello possono essere individuati come: l'esperto, l'utente, l'oggetto. I termini esperto e utente sono usati per identificare le parti coinvolte nella relazione. È in funzione del tipo di oggetto implicato che sarà possibile ridefinire il ruolo dell'esperto. La figura-base di articolazione del modello identifica una situazione relazionale classica nel senso del rapporto di consulenza finalizzato alla soluzione di un problema: dove cioè il ruolo dell'esperto-consulente è sostanzialmente quello di assumersi per conto del cliente il problema e di fornire un'adeguata soluzione. A partire dalla figura-base è possibile costruire differenti ipotesi di relazione conformi al campo operativo della formazione. L'oggetto-problema non è assunto come obiettivo dell'azione dell'esperto: piuttosto esso diviene occasioni di apprendimento o tramite per l'acquisizione da parte dell'allievo di quegli strumenti che gli consentiranno di far fronte al problema. Schema di relazione pedagogico si configura il ruolo del docente, che trasmette sapere finalizzato in termini di modalità di problem-solving: si può facilmente immaginare un tradizionale corso di formazione con uso privilegiato del metodo dei casi. Mentre il ruolo dell'esperto si caratterizza sostanzialmente per l'inclusione dell'oggetto-problema nella sfera d'azione dell'esperto come diretta responsabilità della sua risoluzione al posto del soggetto- utente, il ruolo di docente rinvia a responsabilità connesse con il processo di trasmissione di sapere inerente al problema e la sua soluzione dal docente stesso al soggetto-allievo: dove problema e soluzione sono restituiti alla sfera d'azione del soggetto. La trasformazione del ruolo di esperto in quello di docente corrisponde al primo livello di articolazione del modello proposto da Bugoyne e Cunningham. I livelli successivi verranno individuati come ulteriori progressive trasformazioni di tale ruolo e come altrettante progressive perdite di contatto diretto con l'oggetto-problema da parte dell'esperto. Al secondo livello di articolazione del ruolo di esperto la sua azione si identifica nella trasmissione di un tipo di sapere non semplicistico né finalizzato direttamente all'oggetto-problema, quanto piuttosto inerente la relazione tra soggetto e oggetto-problema. È la relazione stessa a essere oggetto-problema: con riferimento ai fatti attinenti ai rapporti di lavoro o ai rapporti interpersonali e sociali. È possibile individuare a questo secondo livello di articolazione del modello nel soggetto in relazione l'oggetto stesso della relazione tra esperto e utente e nella promozione di un sapere sul soggetto, anziché nella trasmissione di un sapere di tipo tecnico-operativo, il contenuto dell'azione dell'esperto. La figura dell'animatore si sostituisce a quella del docente. Il ruolo di partecipante a un corso, ovvero a un progetto educativo finalizzato all'acquisizione di un sapere per definizione aspecifico quale quello attinente al campo delle relazioni interpersonali di lavoro organizzative e sociali, si sostituisce quello dell'allievo. È conseguente identificare nel processo di apprendimento l'oggetto della relazione tra esperto e utente a un terzo livello di articolazione, ovvero ritrovare i contenuti dell'apprendimento stesso incluso nella sfera d'azione dell'utente. L'animatore si trasforma in gestore di un progetto educativo, assume cioè il ruolo di presidio della modalità di svolgimento del progetto nonché di risorse a disposizione dell'utente. La sua azione non è focalizzata né in termini trasmissione di un sapere specialistico né in termini di promozione di un sapere relazionale il cui oggetto è il soggetto stesso: essa si esprime nel controllo delle condizioni di svolgimento del progetto educativo rispetto al quale il soggetto ha un margine più o meno ampio di autonomia quanto agli obiettivi e ai contenuti. Il ruolo di gestore si risolve nel presidiare l'attivazione, nel soggetto, di un processo di apprendimento per scoperta, ovvero di riapprendimento attraverso il recupero della concreta e personale esperienza di lavoro. Questa figura di guida e coordinatore del progetto educativo la si ritrova sia in attività formative che ricorrono a un più tradizionale schema di lavori di progetto o autocasi sia in progetti ispirati allo schema del self-development. Qui si innesta l'ultimo livello di articolazione, dove alla figura del gestore si sostituisce quello del generatore dello sviluppo personale. Con le funzioni di guida e coordinatore da un lato, e di risorsa a disposizione dall'altro, il ruolo di agevolatore va pensato rispetto a una relazione tra esperto e utente che ha per oggetto l'apprendimento delle modalità di apprendimento. Oggetto della relazione tra esperto e utente diviene la guida e il coordinamento del processo che presiede alla realizzazione dell'apprendimento. Si può così parlare in questo caso di finalità rivolte allo sviluppo di metàqualità, ovvero di focalizzazione dell'azione dell'esperto nella direzione di un trasferimento all'utente del controllo del processo che governa l'apprendimento: dunque di crescita globale del soggetto. Ogni progetto educativo pensato nella logica del self-development e con riferimento alla modalità di Action Learning costituisce rimando in tal senso. Si potrebbe affermare che quest'ultimo livello di articolazione del modello postula un rapporto tra esperto e utente finalizzato all'acquisizione, da parte di quest'ultimo, del ruolo di esperto: alla riappropriazione di una funzione di esperto di sé ovvero al passaggio di consegne quanto al ruolo di esperto.Punto terminale del percorso è quello della piena autonomia quanto alla gestione dell'oggetto-problema. b) Un criterio. Vale precisare il criterio in funzione del quale il modello di Burgoyne e Cunningham è articolato. Si individua tale criterio nell'ampiezza dell'area di controllo sull'apprendimento rispettivamente attribuito al formatore e al soggetto: il continuum rispetto al quale si collocano i differenti ruoli di formatore istituisce altrettanti momenti di trasferimento o passaggio del controllo sull'apprendimento dal formatore stesso al soggetto. Questo criterio è a sua volta riconducibile a quello definito centratura sul soggetto. La realtà operativa in termini di caratteristiche dei progetti educativi è da intendersi come molto differenziata ed eterogenea: la complessità di operazioni cui rinvia lo schema adottato del processo di formazione conduce a postulare un'articolata differenziazione tra ruoli di formatore come risultato delle posizioni assunte all'interno della relazione con l'utente e nelle diverse fasi o movimenti del processo. Bisogna ricomporre ruoli e funzioni con riferimento alle concrete condizioni operative previste dalla gestione del processo di formazione: dove cioè il criterio dell'ampiezza di controllo sul progetto educativo viene più precisamente modulato per le singole operazioni che cadono nell'ambito delle attività del formatore. c) Un profilo di capacità. Stuart e Burgoyne lavorano sulle expertises. Da ciò deriva un articolato profilo di capacità, ovvero un sistema di competenze riconducibile al ruolo di formatore. Competenze 1: conoscenze. Le conoscenze organizzative, le conoscenze specialistiche e le conoscenze pedagogiche fissano ciò che si suppone corrispondere al sapere di base richiesto al formatore. Esse fanno riferimento a un ambito di preparazione professionale (know-how) che comprende conoscenze specialistiche di ordine tecnico o disciplinare e competenze conoscitive in merito all'oggetto-organizzazione da un lato e all'oggetto-educazione degli adulti dall'altro. La preparazione richiesta è da intendersi sia come conoscenze acquisite sia come esperienze maturate. Competenze 2: abilità. La capacità di innovazione, la capacità di progettazione e preparazione del materiale didattico, la capacità di gestione del processo formativo, la sensibilità pedagogica, la capacità e abilità sociale, la sensibilità emotiva e l'impegno individuano un ambito di capacità operative collegate al ruolo di formatore. Sono ipotizzabili due differenti sottosistemi di competenze: - il primo, capacità di innovazione, capacità di progettazione e preparazione del materiale didattico e capacità di gestione del processo formativo è riconducibile alle operazioni di gestione del processo formativo e richiama capacità connesse ad attività di controllo del processo stesso, di progettazione del disegno dell'intervento formativo e di presidio dell’innovazione dei prodotti di formazione. - il secondo, sensibilità pedagogica, capacità e abilità sociali, sensibilità emotiva e impegno, fa riferimento alle operazioni connesse con la realizzazione di progetti educativi: dunque con l'attività di insegnamento, in senso lato, ovvero di guida e presidio dell'apprendimento degli utenti. Competenze 3: metaqualità. La consapevolezza di sé, la capacità di apprendimento, la capacità di pensiero e la creatività si collocano come campo di metacompetenze sovraordinate ad abilità operative e conoscenze. Il modello, il criterio e il profilo di capacità sembrano costituire elementi essenziali in base ai quali ritrovare un collegamento tra formatore e progetto educativo. 5.3 INDICAZIONI E RIFERIMENTI PER UNA TEORIA DEL FORMATORE Quanto alle condizioni generali per una Teoria del Formatore si tratta di riconoscere che: a) tali condizioni non potranno che essere del tutto identiche e sovrapponibili a quelle previste per la Teoria dei Modelli. Una teoria del formatore esige una definizione dell'oggetto, una configurazione articolata di elementi componenti, una congruità rispetto al disegno di una Teoria Generale della Formazione, ovvero connessioni e rimandi alla Teoria dei Metodi. b) quanto alla definizione dell'oggetto si potrà definire la Teoria del Formatore come teoria delle forme della relazione pedagogica. In altre parole una Teoria del Formatore ha per oggetto la pluralità di forme che può assumere un'azione finalizzata alla sollecitazione e attivazione di processi soggettivi di apprendimento in vista del raggiungimento di specifici traguardi educativi. Una Teoria del Formatore sarà una teoria dei ruoli di educatore oltreché dei sistemi di azione coerenti con tali ruoli. c) quanto la configurazione articolata di elementi componenti la Teoria del Formatore si esclude qualunque criterio di tipo oppositivo: ogni logica cioè di chiarimento di ruoli per contrapposizione. Essa esige l'individuazione di un criterio in grado di soddisfare il principio dell'integrazione, ovvero dell'articolazione unitaria, tra le forme previste per la relazione pedagogica. Una Teoria del Formatore esige una configurazione articolata dei differenti ruoli di educatore, modulata in funzione di differenti forme di controllo esercitabile sull'apprendimento in coerenza con i traguardi educativi prefissati. d) quanto alla coerenza tra Teoria del Formatore e gli altri elementi componenti la Teoria Generale della Formazione vi sono connessioni tra Teoria del Formatore e Teoria dei Modelli che classificano i differenti metodi educativi esaminati in funzione dei - un primo fattore/vettore è rappresentato dal cambiamento in cui sono sprofondati i sistemi organizzativi e l’ambiente sociale di riferimento. Questo è stato un cambiamento all'insegna dell'incertezza. Ogni sapere consolidato ha vita sempre più breve e ogni formazione finalizzata a trasferire sapere è esposta ad un'obsolescenza sempre più rapida. - un secondo fattore/vettore è rappresentato dalla perdita di fondamento di alcune categorie di riferimento organizzativo quali quelle di mestiere, di mansione e di ruolo, categorie che trovano una rilettura del concetto di competenza. La formazione si trova a inseguire profili di competenze flessibili. Il fatto che tutto ciò venga interpretato nei termini di gestione della conoscenza afferma quanto le questioni della competenza debbano essere affrontate nel quadro più ampio cui il conoscere rinvia. - un terzo fattore/vettore rimanda ai soggetti che si trovano a dover fronteggiare la complessità in termini di discontinuità del ciclo di vita e continuità di evoluzione delle competenze. La direzione è quella della formazione permanente, ovvero di un percorso di apprendimento per tutto l'arco di vita. In questo senso il vantaggio della formazione è legato alla qualità e all'innovatività dei suoi metodi. Se vale questa ricostruzione di transizioni organizzative che ridefiniscono il profilo della formazione, c'è da concludere che la polarità organizzativa compare oggi come contenitore di esperienza professionale e personale degli individui. La polarità individuale compare in una forma che si propone di andare oltre l'espressione "individui portatori di esperienza": si tratta di intendere gli individui in una relazione molteplice nei confronti della propria esperienza professionale e personale. Per una teoria della formazione, il fondamento dovrà essere rappresentato dal discorso sull’apprendere, ovvero sul come apprendere prima che non sul come far apprendere. Gli ultimi due decenni ci riconsegnano conferme in termini di contributi indispensabili per una teoria dell'apprendimento che abbia valore ai fini di una teoria della formazione. Il contributo di Kolb richiama la dimensione dell'esperienza nella ciclicità e sequenzialità del percorso di apprendimento, il contributo di Knowles circoscrive la dimensione dell'adultità come unità di misura del pensiero su ciò che è il "come si apprende" in formazione, il contributo di Schön e di Mezirow tenta di afferrare la dimensione della conoscenza tacita e della riflessività nell'apprendere, dando primato all'interrogazione. Se fare formazione si lega all'apprendere è bene distinguere tra: - l’apprendimento esperienziale (experientiallearning) che pone la questione del legame tra il fare e l’apprendere mettendo in luce la dimensione più adattiva e confermandone l'immagine di processo prima che di risultato. Mette l'accento sull'aspetto del conflitto sollecitato in ogni processo, soprattutto in termini di resistenze da parte di tutti coloro che ne risultano coinvolti. - l’apprendimento attivo (action learning) che pone la questione dell'utilità dell'apprendere e chiama in causa l'importanza che il processo si ancori all'analisi e alla soluzione di problemi reali. Evidenzia la dimensione di responsabilità personale connessa all'apprendere, così come la valutazione in termini di successo e insuccesso. - l’apprendimento riflessivo (reflective learning) che mette l'accento sul tema dell'elaborazione dell'esperienza come riappropriazione dei contenuti di apprendimento e come tramite per giungere all'apprendere ad apprendere. La dimensione principale sollecitata è nel legame tra riflessione e azione. - l’apprendimento trasformativo (trasformative learning) che vuole affrontare la questione del legame tra costruzione di conoscenza e interpretazione del mondo, chiamando in causa ogni aspetto tacito e implicito dell'apprendere per renderlo parte attiva di un percorso di cambiamento che riesca a conseguire il suo compimento. Diviene fondamentale il riconoscimento della dimensione critica. - l’apprendimento continuo (lifelong Learning) che rappresenta il tema di come rendere permanente l'apprendimento a fronte del bisogno di sempre nuovo aggiornamento di conoscenze. In questo senso pone la questione dei metodi prima che dei contenuti e di come rendere compatibili percorsi di formazione individualizzati rispetto ai contesti tradizionali. - l'apprendimento da sé (self-directed learning) che pone la necessità di considerare il processo dell'apprendere come scelta e condizione di autoformazione. La dimensione centrale diviene quella dell'autoconoscenza che è questione di orientamento personale, riconoscimento di sé e autodirezione. Il nuovo scenario entro il quale bisogna ricercare la formazione deve fare i conti con un marcato indebolimento della polarità organizzativa rispetto a quella individuale, il che significa rileggere tutte le questioni del formale come questioni dell'apprendere. Questao indebolimento non corrisponde solo a ciò che può essere attribuito alle vicende delle transizioni organizzative. Di fatto la presenza della polarità individuale nell'identità della formazione rappresenta un nucleo centrale che è stato oggetto di disinteresse. Per questo motivo la convergenza delle direttrici di cambiamento organizzativo e di attestamento della formazione al di qua di una supremazia della polarità individuale va vista come la vera ragione di debolezza attuale della formazione. -MANIFESTO PER UNA NUOVA FORMAZIONE Per creare una nuova formazione occorre riconoscere l'identità di ciò che è formazione, il profilo del soggetto a cui la formazione si rivolge, il primato che la dimensione dell'esperienza occupa in ogni pratica di formazione, quanto la riflessione rappresenta in termini di passaggio cruciale per l'interiorizzazione dei fatti formativi, la svolta verso l'interpretazione che è necessario intraprendere per orientare il cammino formativo al sé, l'approdo narrativo che costituisce il compimento trasformativo della formazione. Ciò che la formazione è ->Il senso comune riconosce nella formazione tutto ciò che, modellandoci, ci migliora. Dunque ciò che dà forma compiuta al nostro sapere e che sostiene il nostro cambiare orientato alla crescita e allo sviluppo. In questo modo la formazione verrebbe pensata in termini di percorso. Se ci rivolgiamo a una definizione da manuale, questa dovrebbe evidenziare aree di significato contigue. Da questa lettura potrebbero emergere 5 significati: - la formazione condivide un spazio nucleare che la rende congiunta all'ammaestrare, all'addestrare, all'istruire e all'educare. - la formazione partecipa di quel potenziale compositivo, educativo, creativo che è insito in tutte quelle operazioni che sagomano, modellano, foggiano e plasmano forme. - la formazione ha capacità generativa nel richiamare determinazioni proprie del dare origine, dell'istituire e del costituire. - va considerata l'acccostabilità delle pratiche formative alle qualità di tipo organizzativo. - la formazione richiama l'idea di squadra. Queste declinazioni della parola formazione sono dimostrative di una pluralità che non è semplificabile. La formazione è complessità non riducibile. Emerge un'immagine della formazione che si distingue per tre aspetti:1 per il suo profilarsi come campo di azioni, tra loro simili, anche se mai identiche;2 per il suo istituire nuovi inizi, la formazione implica la presenza di un principio d'origine cui è ispirata e che la rende costitutivamente generativa; 3 per il suo essere capace di organizzare, risulta vincolata a un principio d'ordine, che costituisce insiemi, li aggrega e li connette.Le molteplici pratiche entro le quali il formatore si declina sono: - l'addestrare che richiama la finalità del rendere desto, e dunque l'esito del risultare abile, dell’acquisire una certa competenza desunta da schemi di comportamento i quali diventano oggetto di trasferimento da un soggetto a un altro. - l'ammaestrare che si identifica con il rendere abile nell'esecuzione di una qualche azione. È la bravura l'elemento portante di ogni addestramento, nel senso che nel comprovarla si ha un'immediata verifica dell'efficacia dell'azione. -l'istruire che è atto che provvede di dottrina, di sapere e di pratica e che si usa nell’accumulazione di saperi e pratiche secondo una logica che sembrerebbe interessata più a procedere per sovrapposizioni che non ad approfondire. -l'educare che dirotta l'attenzione entro una logica non solo di prodotto, bensì di processo e esplicita il traguardo di uno sviluppo conseguibile grazie all'intersezione delle esperienze e non alla loro semplice sovrapposizione. L'istruzione si dà secondo una modalità superiore-inferiore, l'educazione sembra più ispirata ai criteri di aggiornamento e perfezionamento che sono propri di qualunque percorso continuo. L'immagine si estende in un senso orizzontale atratti inclinato come a dire che l'istruzione opera in superficie e l'educazione si inoltra nei territori dell'interiorità. - il training che richiama l'esercizio è la disciplina cui l'allievo si espone e che il maestro esercita. La formazione consiste di un andare attraverso, di un guidare, di un essere guidati e di un'esperienza di trascinamento che può essere interpretata in modo duplice. Da un lato il trascinamento incarna la fatica che il maestro compie nel vincere le inerzie della disciplina dell'apprendere, dall'altro esprime quell'attrazione che l'allievo può subire per l'improvvisa scoperta di nuovi territori. Si può constatare come la formazione venga collocata in posizione mediana rispetto alle polarità dell'istruzione, da un lato, e dell'educazione, dall'altro: per il suo disporsi al crocevia tra educazione e istruzione, la formazione chiama in causa dimensioni cruciali. Da questo suo mediano disporsi derivano al tempo stesso elementi di forza e di debolezza: la plasmabilità, ossia l'adattabilità alle variabili esigenze dei contesti della formazione, e la sua fragilità, ossia l'inafferrabilità che l'ha resa oggetto di un così ampio dibattito. Per ripensare una teoria della formazione bisogna considerare che: - il destinatario di ogni evento formativo che intenda porsi quale interprete della medianità di metodi e traguardi dell'istruire e dell'educare e che si renda aperto all'approfondimento delle questioni del sé e non solo dell'accumulazione di saperi, è l'adulto; - la formazione è un percorso di lungo periodo rivolto a adulti che hanno accettato la fatica di un'esplorazione che non potrà che implicare il ripetersi della ricerca di sé, come implicito in ogni occasione di apprendimento; - la formazione opera in opposizione alla conservazione; - la formazione istituisce nella relazione tra docente e allievo il contesto generativo che le è peculiare. L'adulto cui ci si rivolge -> Il concetto di adultità si è rinnovato nel corso del tempo procedendo da un iniziale riferimento alla condizione di "vivente giunto alla fine dell'infanzia" fino a versioni più recenti, che identificano l'adulto come "colui che ha cessato di crescere". Il termine adulto avrebbe a che fare con gli equivalenti di cresciuto e sviluppato, ma anche di maturo e compiuto. Da un punto di vista psicologico dovremmo riconoscere che la completezza che appartiene all'adulto è conoscibile solo in forma di esperienza della propria parzialità e della propria imperfezione. L'adultità sollecita l'immagine di un qualcosa che nel suo crescere è fecondo e generativo, sia in senso fisico sia in senso metaforico, come nel caso dell'educare. L'adultità parrebbe muovere al soggetto una richiesta dolorosa di confronto con l'infrangersi di un'immagine che le età precedenti avrebbero potuto comporre come infallibile. Si dovrebbe parlare di una sopportazione e di una tolleranza verso la fallibilità del proprio percorso. A partire dall'esperienza -> Nella sua accezione più comune, la parola esperienza viene riferita ad alcuni significati che individuano aree semantiche differenti, tra queste risalta quella che la collega alla prova. Quando l'esperienza evoca apertura e possibilità, si assimila a un provare che è disponibilità alla messa in gioco di sé, occasione di sperimentazione aperta e permanente. Votata non solo all'accertamento degli effetti di eventi che seguono un preciso comportamento, la prova richiama un ambito d'azione segnato dall'incertezza, esposto al caso, oltre che un'occasione entro la quale poter affinare la propria perizia. L'esperienza resta un esercizio che deve confrontarsi con il riproporsi di un dubbio permanente. Si può affermare che l'esperienza è alternativa alla competenza, o quantomeno la precede e la fonda. Va enunciata la provvisorietà di quanto viene continuamente appreso dall'esperienza. L’esperienza è esposta all'errore. Appare chiaro come l'esperienza, specialmente quella formativa nel senso di promotrice di cambiamento, perda confidenza con ciò che è determinato, per preferire legami con l'accidentalità degli eventi. Fare esperienza si può sostenere sia in qualche modo da ricondurre al tema del bisogno: il bisogno dell'agire sfidante così come quello del disinteressato riflettere. La fatica e la sofferenza sono inevitabili ai fini del compimento dell'esperienza e del suo acquisire un senso compiuto e soggettivamente condivisibile in un itinerario di formazione non solo d'aula ma anche di esistenza. L'attraversamento della riflessione -> Il circolo dell'apprendimento esperienziale, che richiama il modello di Kolb, continua a risultare un passaggio obbligato per una teoria della formazione. Si tratta di ridisegnare un ciclo di apprendimento trasformativo capace di corrispondere al progetto di una teoria. Questo ciclo, se si pensa al momento di avvio del cammino dell'apprendere, muove dal territorio dell'esperienza. Inoltre non si potrà evitare che dall'esperienza sitransiti verso il territorio della riflessione. Si tratterà quindi di ripensare la riflessione in una prospettiva capace di ampliare l'orizzonte dell’esperienza. Le tappe saranno quelle della concettualizzazione astratta e della sperimentazione attiva. La riflessione si identifica come considerazione approfondita e pacata, compiuta con tranquillità che si fa precedere o seguire al compimento delle proprie azioni, esame attento di fatti, circostanze e occasioni di cui è frutto la prudenza dell'operare, espressione di maturità e consapevolezza nell'esercizio del pensiero, conclusione a cui si giunge dopo aver pensato a lungo. La riflessione viene a configurarsi quale lavoro di pensiero che è a confronto con istanze di senso e ispirato al discernimento. La riflessione è lavoro di pensiero che necessita di una sospensione di tutti quegli impulsi che vorrebbero condurre il soggetto in avanti. La pazienza e la cautela del procedere riflessivo configurano uno scenario che è inscritto 1 nella curvatura, per la quale il riferimento è alla sinuosità che assumono i raggi di luce nel loro incontrare forme, nel flettersi, nel rimbalzare e riverberarsi; 2 nell’avvallamento, che è di tutti i percorsi che si insinuano in profondità; 3 nella depressione, che si rende sinonimo di una disposizione interiore che propende in favore di una sostituzione del pensiero all'azione. Altri significati sono: - la riflessione portatrice di benevolenza, ovvero del diffondersi su altri del favore di qualcuno; - la riflessione è esperienza di propagazione del calore; - la riflessione è mistico propagarsi di luminosità, benevolenza che avvicina e consola. Nella riflessione occorre leggere una possibilità di ritorno al passato e una possibilità di accesso al futuro. In definitiva, dall'insieme di significati chiamati in causa per identificare la riflessione pare possibile riassumere tre essenziali vertici: 1 L'inclinazione come avvicinamento e attraversamento: la riflessione è esercizio di inclinazione su di sé. Si tratta di un tentativo di avvicinamento ai territori profondi, di uno sguardo inquinante rivolto al proprio sè. Le tappe che potrebbero descrivere la progressiva messa a fuoco di quella porzione di realtà cui il riflettere si rivolge, consistono di un primo iniziale avvicinamento, cui segue l'attraversamento e infine la sostituzione per via di un avvicendamento del soggetto all'oggetto. La riflessione non si limita a favorire uniniziale accesso a nuovi territori poiché essa costituisce l'occasione per un originario attraversamento di questi in direzione di un progressivo inclinamento sui territori e sulle questioni del sé. 2 Il rispecchiamento e il rovesciamento quali opportunità di una nuova immagine del mondo e di sé. La riflessione può essere pensata come esperienza di rispecchiamento di immagini e significati attribuiti alle esperienze che possono scoprirsi improvvisamente rinnovati nel loro esporsi ad angolazioni diverse. In altre parole la riflessione coltiva l'arte della ricerca continua. 3 Lo smarrimento come perdita e inseguimento imputabile all'incontro con l'enigma che risiede nei punti oscuri che rendono ragione di quel perdersi destrutturante e al tempo stesso necessario a ogni nuova formazione. La riflessione è esperienza della fatica di addentrarsi in zone oscure generative e annichilenti in proporzione alle capacità del soggetto di sciogliere l'intreccio e sollevare una matrice di senso che risiede in profondità. Il riflettere si mostra quale processo interiore, capace di interrogarsi sui modi dell'accadere, di problematizzare l'esperienza, ma anche di collocare sè stessi entro il proprio procedere, divenendo occasione per l'esercizio della propria capacità negativa. La fuga nell'interpretazione -> Superato il transito della riflessione, il ciclo dell'apprendimento esperienziale di Kolb muoveva verso il consolidamento in teoria ed elaborazione dei pensieri in concetti per concludersi nella messa alla prova, nella misura delle ipotesi, nella verifica sul campo prima di ritornare all’esperienza. Questo percorso, se esaminato per ciò che è, non pare esprimere in realtà la possibilità di una reale trasformazione personale, ma pare piuttosto limitarsi ad afferrare un cambiamento entro il perimetro di conoscenze e saperi di ordine sostanzialmente tecnico-razionale. In alternativa a ciò, se si vuole perseguire l'obiettivo di una configurazione di percorso capace di incidere in profondità sulla dimensione soggettiva e che risponda a uno spazio nuovo per la formazione, il percorso da compiere impone di muovere dalla riflessione per accedere al territorio dell'interpretazione e quindi di muovere dal campo dei concetti a quello dei significati. È la comprensione a rendere possibile l'avvicinamento al sè. La comprensione restituisce il soggetto stesso al suo cammino di formazione. Si tratta di tener conto del
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