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L'ascesa del fascismo in Italia dopo la Prima Guerra Mondiale, Schemi e mappe concettuali di Storia

Il contesto storico e politico in italia dopo la prima guerra mondiale, con particolare attenzione all'ascesa del fascismo di benito mussolini. Viene descritta la situazione di crisi economica e sociale che ha favorito la crescita dei partiti di massa, tra cui il partito socialista e il partito popolare, e la nascita del movimento fascista nel 1919. Vengono inoltre analizzate le tattiche violente utilizzate dal movimento fascista per affermarsi, compreso lo scioglimento del parlamento e la nomina di mussolini a capo del governo nel 1922. Infine, viene descritto il discorso del 1925 in cui mussolini assume la responsabilità dell'assassinio di giacomo matteotti e annuncia la nascita della dittatura fascista.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 17/01/2024

rebecca-giarnieri
rebecca-giarnieri 🇮🇹

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Scarica L'ascesa del fascismo in Italia dopo la Prima Guerra Mondiale e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! L’EQUILIBRIO EUROPEO Dopo la fine della prima guerra mondiale, l’economia europea conobbe un periodo di profonda crisi dovuta alla perdita di vite umane e ai gravi danni siiti dalle industre e dalle attività agricole. I paesi europei da un lato dovettero far fronte a una complessa e costosa ricostruzione delle città e delle infrastrutture distrutte e dall’altro furono protagoniste di una grave recessione, in quanto il conflitto aveva provocato una diminuzione degli scambi commerciali e con la fine della guerra erano cessate le commissioni statali di materiale bellico. Pertanto, fu necessario riconvertire il sistema industriale. La recessione colpì anche le campagne, ormai impoverite e con scarsa manodopera. La politica dei prezzi calmierati per i principali prodotti agricoli aveva ridotto i profitti dei contadini. A tutto ciò si aggiunse l’inflazione, dovuta all’incremento del costo della vita e all’ingente quantità di stampa di carta moneta. Ogni paese reagì differentemente: -GERMANIA, attraverso la sua banca centrale procedette a una continua emissione di banconote, ottenendo di conseguenza un’enorme perdita di valore del marco tedesco rispetto al prezzo dei beni, portando al ritorno del baratto; -GRAN BRETAGNA, attuò una politica deflazionistica, che permetteva una temporanea concentrazione delle attività del sistema economico, mantenendo i prezzi sotto controllare i prezzi . Alla sterlina fu assegnato un valore fisso vincolandola alla convertibilità d’oro, con il sistema del gold standard. La sterlina divenne la moneta di riferimento europea. Nei paesi del Vecchio continente venne adottato un sistema incentrato sulla convertibilità della moneta in sterline, o in dollari a loro volta convertibili in oro. L’Europa era sempre più dipendente dell’economia statunitense. Le condizioni (igieniche, alimentari e abitative) della gente comune erano penose e precarie. Tutto ciò portò alla diffusione di tifo, tubercolosi e varie malattie infettive e alla scarsità di cibo. L’aumento della mortalità e il crollo della natalità causarono una complessiva diminuzione della popolazione europea. La disoccupazione colpì tutti i paesi europei, a causa della distruzione delle fabbriche durante la guerra e lo smantellamento del sistema industriale. Tra i disoccupati vi erano i reduci, non più in grado di lavorare. La guerra segnò la psiche, lasciando un’impronta indelebile nella memoria collettiva. Il sentimento di angoscia trovò sfogo nella riflessione filosofica e nelle manifestazione artistiche. In questo contesto, ci fu anche un’emancipazione della donna. Il drastico aumento dei prezzi e del costo della vita inasprì e aggravò il malcontento dei ceti più poveri e scatenò la protesta sociale, tanto che aumentare gli iscritti ai principali sindacati europei. Tra il 1919 e il 1920 si assistette al biennio rosso, forme di autogestione degli impianti promosse dai lavoratori delle fabbriche. Questa protesta mirava a porre le basi di una nuova forma di democrazia operaia. Crebbe la crisi dei ceti medi, i cui stipendi, che già non erano cresciuti in tempi di guerra, ora erano ulteriormente messi a dura prova dall’inflazione (->svalutati). La piccola borghesia non solo non aveva guadagnato profitti dall’economia bellica, anzi i prestiti di guerra avevano eroso i risparmi, avviandosi verso il declino. Questo sentimento si tradusse in una crescente frustrazione politica. Mentre Gran Bretagna e Francia seppero contenerla, in Germania e in Italia i movimenti politici promettevano di opporsi duramente al comunismo e alle rivolte operaie, di garantire la gerarchia sociale e di riconoscere il contributo dato. IL QUADRO POLITICO-ISTITUZIONALE L’Europa del dopoguerra era un continente ridisegnato dai trattati di pace e nel quale la Società delle Nazioni avrebbe dovuto svolgere il ruolo di salvaguardia. Il nuovo assetto territoriale era fragile e definì nuove entità statali (Polonia, Romania, Bulgaria, Iugoslavia, Cecoslovacchia). Austria e Germania subirono perdite territoriali a favore degli stati di nuova formazione e le minoranze nazionali dovettero convivere forzatamente, che portò alla nascita di tensioni nazionaliste. Sin da subito la Società delle Nazioni si rivelò instabile, non essendo dotata di forze armate. Ne furono escluse la Germania e l’Unione Sovietica. Gli Stati Uniti non aderirono, indebolendo ancora di più l’organizzazione. Durante il biennio rosso, le rivolte si ispiravano all’esperimento socialista dell’Unione Sovietica. In Ungheria e in Germania furono messi in atto tentativi rivoluzionari destinati al fallimento. Gli Stati di nuova formazione dell’Europa centro-orientale, nati dalla disgregazione dell’Impero austro- ungarico, ad eccezione della repubblica ceco-slovacca, si rivelarono deboli, cedendo alla spinta di forze autoritarie. In Austria e in Germania il regime repubblicano presto si mostrò contraddittorio. In Francia e in Gran Bretagna le istituzioni ressero alla prova. Dopo Guglielmo II e la proclamazione della repubblica, il paese fu affidato a Ebert, il cui governo dovette far fronte alla rivoluzione messa in atto dalla lega di Spartaco per iniziativa di alcuni fuoriusciti del partito social democratico. Essi miravano a una repubblica socialista sul modello sovietico, incentrata su “Consigli popolari” quale principale organo di governo, ma erano contrari alla convocazione di una costituente. Gli spartachisti ed altri gruppi di sinistra fondarono il Partito comunista tedesco (KDP). Si posero alla guida di un’insurrezione antigovernativa a Berlino. Il governo di Ebert si servì dei Freikorps (corpi franchi), formazioni volontarie di ex soldati e ufficiali con ideali nazionalisti, incaricati di riportare l’ordine. La repressione fu durissima: il 15 gennaio i Freikorps catturarono e uccisero gli spartachisti. Pochi giorni dopo si tennero le elezioni dell’Assemblea costituente, che svolse i suoi lavori a Weimar. Nell’agosto del 1919 l’Assemblea approvò la Costituzione della Repubblica di Weimar, una repubblica di tipo federale composta da 17 regioni. Il potere legislativo era affidato al Parlamento composto dalla camera dei deputati e dal consiglio delle regioni; il potere esecutivo era affidato a un governo centrale presieduto dal cancelliere e nominato dal presidente della Repubblica, eletto dal popolo ogni 7 anni. Ebert fu il primo presidente ad essere eletto, che formò un governo di coalizione di socialdemocratici con il partito cattolico e i liberali. Il peso eccessivo attribuito al presidente della Repubblica indebolì la Costituzione di Weimar da un profilo democratico. La Costituzione era un documento innovativo, in quanto sosteneva la centralità del Parlamento e valorizzava il ruolo dei partiti, introduceva il suffragio universale anche femminile, garantiva i diritti civili, sociali e politici. Pertanto, si opponeva ai conservatori e ai nazionalisti tedeschi. Nei primi anni 20 la repubblica fu vittima di numerosi colpi di stato, nel paese si affermarono il sentimento nazionalista e la tendenza alla revisione dei trattati di pace. Per quanto riguarda la politica estera, i rapporti della Germania con gli altri stati europei erano influenzati dal diffondersi del sentimento antitedesco, in quanto ritenuta responsabile del conflitto. Nel 1923 la Francia e il Belgio occuparono il bacino della Ruhr, in Renania, la zona tedesca più ricca e industrializzata. Il governo tedesco invitò la popolazione alla resistenza passiva: imprenditori e operai abbandonarono le fabbriche. A mantenere i lavoratori inattivi fu Berlino. Per superare la crisi, il governo incrementò l’emissione di carta moneta, ottenendo come unico risultato l’inflazione. La crisi della Ruhr si concluse con il piano Dawes, un banchiere statunitense: gli USA avrebbero erogato ingenti prestiti a lunga scadenza alla Germania, che a sua volta avrebbe incrementato le esportazioni, al fine di pagare le riparazioni a Francia e Gran Bretagna. Germania e Francia sottoscrissero il piano, che poneva le basi per una distensione tra i due stati, intenti a collaborare pur di evitare pericolose tensioni. Nel 1925 furono siglati gli accordi di Locarno, con il quale Germania, Francia e Belgio si impegnarono a non oltrepassare le frontiere comuni stabilite a Versailles e in particolare la Germania cedette l’Alsazia-Lorena. Nel 1926 la Germania entrò a far parte della Società delle Nazioni. In Gran Bretagna conservatori e liberali, che avevano guidato il paese durante la guerra, furono confermati nel dicembre 1918, formando un governo di coalizione. In quelle consultazioni fu introdotto il suffragio universale, che includeva il proletariato e le donne. Ciò rafforzò il Partito laburista, che rappresentava gli interessi dei ceti proletari. Il rafforzamento dei laburisti fu un effetto della crisi economica: il sistema industriale subì un brusco calo della produzione. Di conseguenza, attuarono licenziamenti in massa, cui i lavoratori risposero con numerosi scioperi, come il grande sciopero dei minatori del 1926, indetto dalle Trade Unioni contro la riduzione dei salari per arginare le difficoltà di esportazione. Il governo concedette ai lavoratori un sussidio integrativo, ma non fu sufficiente e pertanto dovette suddividere il paese in aree affidate a commissari. Prendendo le redini della situazione, laburisti e dirigenti delle Trade Unioni evitarono l’inasprimento del conflitto sociale, avviarono trattative col governo e dopo una settimana sospesero lo sciopero. Così il Partito laburista risultava la forza politica più valida, capace di difendere gli interessi dei lavoratori tramite una politica di concertazione (->confronto dialettico tra governo, imprenditori e sindacati). In Gran Bretagna al bipartismo di conservatori e liberali si era sostituito quello tra conservatori e laburisti. I governi britannici dovettero affrontare la questione irlandese. Nel 1886 aveva concesso una forma di autogoverno all’Irlanda, ormai non più sufficiente per i cittadini che lottavano per l’indipendenza. Nel 1921 il governo britannico concesse la formazione di uno Stato libero d’Irlanda da cui era esclusa l’Irlanda del nord, ancora dipendente da Londra. Con la fine della guerra la Gran Bretagna venne ridimensionata in relazione al suo vastissimo impero e agli Stati Uniti. Ad avviarlo fu la conferenza navale di Washington del 1922, che stabilì la parità navale con la flotta statunitense. La conferenza segnò la fine del primato britannico nel commercio internazionale. Il processo di riorganizzazione, avviato all’inizio del secolo con il riconoscimento dello status di dominion all’Australia, alla Nuova Zelanda, al Sudafrica e all’isola di Terranova, proseguì. Queste nazioni chiedevano l’indipendenza, avendo sostenuto la madrepatria durante la guerra con uomini e mezzi. Nel 1931 con lo statuto di Westminster venne ufficialmente istituito il British Commonwealth of Nations (Gran Bretagna, Irlanda, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica e Terranova), una confederazione di stati sovrani aventi uguale status e uniti dalla fedeltà alla corona inglese. Nella conferenza del Commonwealth organizzata in Canada nel 1932, la confederazione stabilì l’adozione di tariffe preferenziali nello scambio di prodotti britannici e dei dominions. LA CRISI DEL DOPOGUERRA IN ITALIA Il 4 novembre 1919 l’Italia festeggiò la fine delle operazioni militari e la vittoria nella Grande Guerra. Durante la conferenza di pace di Parigi, ai rappresentanti del regno d’Italia fu affidato un ruolo di secondo piano. Le loro richieste in parte furono accettate, l’Italia infatti sulla base del patto di Londra ottenne Trentino, Alto Adige, Venezia Giulia, Istria e Trieste, ma non la Dalmazia e Fiume, la cui popolazione era prevalentemente italiana. Il principale oppositore delle richieste italiane era Wilson. Di conseguenza, nel paese divampò la
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