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riassunto fratelli migranti, per una poetica della relazione, Appunti di Sociologia delle Migrazioni

riassunto fratelli migranti, per una poetica della relazione

Tipologia: Appunti

2019/2020
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Caricato il 22/05/2020

dalila-de-natale
dalila-de-natale 🇮🇹

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Scarica riassunto fratelli migranti, per una poetica della relazione e più Appunti in PDF di Sociologia delle Migrazioni solo su Docsity! FRATELLI MIGRANTI DI PATRIK CHAMOSKY Questo libro invoca la creazione di una politica mondiale dell’ospitalità che dica una volta per tutte, in nome di tutti, per tutti, che per nessuna ragione al mondo può esservi straniero!Nell’essere umano la barbarie alberga e sempre albergherà dentro di noi. Questo lo si può notare dalle violenze ancestrali, dai il sanguinosi compendi delle conquiste e delle dominazioni, dalle tratte dei negri,dalle schiavitù e colonizzazioni (che riepilogano tutti gli oltraggi al genere umano per meglio concentrarli e profetizzarli), patrie guerriere, conflitti mondiali, campi nazisti , rivoluzioni culturali correttive, genocidi che travalicano la loro stessa definizione… Alcuni hanno decantato le virtù di questo impero capitalista che offriva la pace del libero-scambio. Li abbiamo visti santificare l’ordine del Grande Mercato, giustificare le frenesie della finanza e delle sue banche, e permettere che una vita – le nostre intere esistenze! – si ritrovasse candita dal carico di un carrello straripante e del «potere d’acquisto». Hanno cantato i fasti di una tranquillità spendereccia in cui il desiderio si sublima in ciò che si consuma, si realizza e si derealizza, placandosi senza mai consumarsi, come una persistenza ostile al divenire. Ma la pace capitalistica e finanziaria non è la pace. E’ portatrice di una barbarie che addomestica quelle vecchie sotto quelli che vengono considerati “costumi moderati” in cui trafficano banchieri, affaristi e commercianti. Questa barbarie, rivelandosi altrettanto virulenta quanto tutte le virulenze esistite, fa sorgere nelle ricchezze quelle regressioni che erodono il vecchio statuto del lavoratore dipendente, il diritto degli operai, le tutele sociali, la dignità riconosciuta a coloro che sgobbano e producono. La vecchia costellazione del lavoro, composta da un ventaglio di attività diversificate in cui ognuno esprimeva la propria creatività, si ritrova soffocata nell’occupazione, attività ridotta al prosaico, sempre più debilitante, refrattaria alla minima realizzazione, tanto da diventare inutile all’appropriazione delle ricchezze e vedersi trasformata in elemosine a tempo determinato che niente garantisce e che non garantiscono niente. Tali miserie e precarietà sono il sinonimo di questa barbarie cui dobbiamo dare un nome: il paradigma del massimo profitto. Guadagnare bene, guadagnare di più, guadagnare il più possibile e senza altre preoccupazioni! Il tutto profitto, diventato immanente, moltiplicatosi nelle scienze, nelle tecniche e nelle invenzioni del digitale. Ricerca, giustizia, istruzione, sanità, cultura...la penuria regna ovunque tranne che nei dividendi esponenziali distribuiti agli azionisti. La ricchezza, qualunque essa sia, nasce sempre dall’industriosità di tutti! Essa è prodotta da tutti, da famiglia in famiglia, da generazione in generazione. Dalla vita lavorativa di un padre o di una madre a quella di una figlia o di un figlio che ne prendono il posto. una qualche importanza alle persone, ai paesi o a tutto quello che si vuole. L’economia spodesta i valori, le visioni o i grandi ideali senza produrre l’ombra di un’idea, contempla solo questa finalità: guadagnare più di ieri, sempre più dell’altro ieri, continuare a crescere per continuare ad accumulare e non per conquistare qualche umana qualità, un attento vivere meglio, una preoccupazione di benessere, no; per alimentare un’ipertrofia quantitativa che interessa solo se stessa e minaccia la nostra sopravvivenza sul pianeta. In realtà, la vera mondialità è tutto l’umano pervaso dalla divinazione della sua diversità, connessa in profondità attraverso il Pianeta. E’ un mondo in cui niente e nessuno è il centro o la periferia, il padrone o lo schiavo, il colono o il colonizzato, l’eletto o l’indegno, dove regna solo l’incerto in cui precipitiamo, solitari e solidali, ugualmente disarmati. È la mondialità che inclina la nostra idea di umano verso l’orizzontale pienezza di ciò che vive su questa terra. E’ lei che tende a trasformare quest’umiltà in un fondamento di condivisione e di regolazione tramite una condivisione che non è il Mercato. Loro respingono i migranti perché i migranti non gli lasciano il mondo. I migranti glielo riprendono. Scaturiti da una molla della mondanità, ce lo offrono con i loro slanci, con i loro sussulti, con il loro sangue e le loro morti, con il loro surplus di vita, attraverso i venti e le oscillazioni, attraverso l’infinito della parola accoglienza. La vocazione di una Nazione è perciò quella di accogliere tutta la miseria di cui l’esperienza e la dignità storica le chiedono conto. Paesi non molto ricchi hanno accolto tanti più sventurati di altre contrade. Non sono poche le società povere ma rimaste accoglienti che si sono assunte una grande responsabilità. Il mondo e le sue miserie sono regioni di noi stessi. Fare paese di questo mondo, ricchezza di queste miserie, perché sono nostri. Fare coraggio di queste paure perché sono le nostre. Fare incontro delle fughe e dei territori perché sono i nostri. La mondialità ci ricorda che il mondo è fatto di ecosistemi, di un intreccio di differenze, anche di divergenze che si organizzano in nodi di equilibri rinnovati. Raggiungendo il più alto grado di relazione con ciò che è e con ciò che viene, un ecosistema sviluppa una maggiore sensibilità alle differenze e alle divergenze che lo assalgono di continuo. Mantenendo intatta questa sensibilità sempre rifondatrice permettiamo la nascita di quel riflesso che è l’accoglienza. Gli slanci migratori si fondano sicuramente sulla guerra, sul terrore e la paura, sulla sofferenza economica, sui disordini climatici ma anche sul richiamo segreto di ciò che esiste altrimenti. La mondanità è un’energia relazionale la cui intensità non smette di crescere. Nessuno a meno di abbandonare il vivente può opporsi alla sua onda. Ma bisogna distinguere il fatto relazionale dall’idea di relazione. Su questo grande palcoscenico, dove i venti e le forze spingono e tirano in ogni direzione, la cosa più difficile è rimanere umili, il più possibile dignitosi, attenti all’Altro e umani. La differenza , lo scarto, la distorsione, sono un problema solo per l’uguale che si è fissato e che si è identificato e che pertanto si è isolato dalla vita. La differenza non ha origine se non nelle differenze e non ha divenire se non nelle differenze. L’identità più sana è una fiducia che apre e chiama, andando così verso il cambiamento. La fissità oggi intesa e che guadagna terreno sopprime qualsiasi divenire al di fuori delle tendenze e dei consumi. Ciò che la frontiera diventata letale protegge, allora, non è una differenza bensì nient’altro che un mercato, il feudo di un piccolo branco commerciale. Gli esempi di uber, airbnb, google, Facebook, dimostrano che l’ecosistema digitale è condizionato soltanto dalla barbarie del massimo profitto. Detto ciò, il nemico non è il digitale , semmai è lo spirito che in gran parte lo anima. La mondanità chiede si sottomettere queste piattaforme, questi network, alla realizzazione di un’umanità sociale e solidale. il loro mercato dovrebbe distinguere ciò che è meglio e preservare l’interesse comune, mentre di fatto garantisce il più grande profitto, ma non per tutti, solo per alcuni e non molto numerosi. Il profitto più facile, totale e indecente, sganciato dalla realtà sociale, estraneo all’etica e senza limiti di sorta. un profitto che deregolamenti per conformare tutto a questa legge e lasciare soli gli individui, solo l’operaio, soli il funzionario statale e l’impiegato, tutti trasformati in consumatori, schiavi, eterni negoziatori delle proprie condizioni di lavoro, auto imprenditori con l’illusione di una ebbrezza solitaria, che per primi trasformano la propria libertà in combustibile per le potenze regnanti. Il tutto profitto è una libertà sistemica che non fa che asservire. È una messa sotto relazione che non può realizzare alcun l’insieme delle presenze del vivente. Il trans accoglie ke differenze e ne trae un’immagine brillante. Quando il compimento rimane incerto, quando non riesce a costruire la propria persona, l’individuo retrocede nell’assoluto comunitario o nell’egoismo marginale. cade negli integralismi e nel rifiuto del mondo. Al contrario, la sua pienezza lo apre alla solidarietà, alle cooperazioni, agli scambi, alle accettazioni delle opacità. Imponendo l’impoverimento ai nostri immaginari, il capitalismo perverte le individualità e annulla qualsiasi prospettiva di pienezza. Favorisce il ripiegamento egoista e consumistico. Questo ripiegamento è un’assenza al mondo, un’assenza incapace di aprirsi e di aprire, incapace di accogliere e quindi di spingersi al di fuori di se stessa. Incapace insomma di lasciare che una poetica del mondo narri le sue avventure. Nella relazione la differenza non è un dato fisso, come il senso d’identità, essa è un momento di un’esperienza nel mondo. Le migranze sono una delle forze della Relazione . la salute relazionale del mondo non può farne a meno. Per la vecchia alterità, aggressiva, terrificante, non c’è più spazio. le immagini dell’altro, le sensazioni, il vissuto, cos’ com l’alterità del mondo, sono dentro di noi. arrivare, incontrare, scoprire, significa in parte ritrovare, riconoscere. in un immaginario educato all’aperto sussistono solo le prossimità relazionali, le onde che creano legami. Le differenze che non sono più assoluti ma insorgenze vive in relazione, per l’altro si è sempre nuovi e l’altro è sempre nuovo per noi. La tua differenza, la tua esperienza , non sono per me una minaccia. Sono il movimento di un altro divenire dal quale mi è possibile attingere o rifiutare di attingere. Le frontiere non impediscono solo di passare ma vi tolgono una parte di umanità e la strappano tutta intera. Le migranze fanno parte della mondanità che dobbiamo mettere in atto. Non pensarle, non ripensare tutto con esse, non garantisce alcune protezione alle nazioni. Anzi, apre la strada agli inaridimenti etici. non si demondializza l’umano, non si può espellere dalla mondanità. Il Trans disarma le frontiere. Ciò che vivono i migranti è in fondo una sola avventura, molto antica, che continua ancora oggi: la nostra avventura umana. nessun essere umano può restarne spettatore impassibile o assolversi dal peso delle sue sofferenze. I poeti dichiarano che il razzismo , la xenofobia, l’omofobia, l’indifferenza nei confronti dell’Altro che viene, che passa, che soffre e che chiama sono indecenze che nella storia degli uomini non hanno fatto che aprire la strada agli stermini e che dunque non accogliere, anche se per valide ragioni, è un atto criminale. Una costituzione nazionale o sovranazionale che non predisponga procedure di accoglienza per coloro che passano che vengono e che chiamano, contravverrebbe in equal modo alla Sicurezza di tutti. L’accoglienza è la parole che dovrà costituire universalmente l’etica del vivere nel mondo. Le frontiere altro non indicano se non una divisione di ritmi e di sapori che non contrappone ma armonizza, che non separa se non per riconnettere, che non distingue se non per riunire. Ogni nazione dovrà essere Nazione Relazione, sovrana ma solidale, destinata alla cura di tutti e responsabile di tutti sul tappeto delle proprie frontiere. Lo sforzo appartiene a ciascuno nell’ordinarietà del quotidiano. La fissità non è mai esistita nelle culture o nelle identità. Non è mai esistita nel vivente. Ciascuno di noi può ritrovarsi a chiedere asilo un po più lontano , nella propria nazione o oltre confine. nel disumano è lo stesso principio di umano che si ritrova minacciato da un insieme diventato sistema. Una robotizzazione assassina, fredda, priva dei freni dell’empatia. Non viviamo in uno Stato, in una Nazione o in una costellazione di iper luoghi commerciali e piazze finanziare, ma in una totalità ecologia e umana, estremamente reattiva, sensibile, impredicibile che ci riunisce saldamente in un destino condiviso. Tutti insieme dovremo pensare e costruire il livello supremo e grandioso del bene comune. Non nel deserto delle solitudini sprezzanti, guerriere e orgogliose, ma nelle fecondità dell’incontro, dello scambio solidale che fa crescere ognuno e di una competenza umana che in qualsiasi circostanza conserverà la capacità di riconoscere l’umano, ovunque vada, da ovunque venga.
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