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Riassunto G.F. Campobasso Diritto Commerciale Volume 2 - Diritto delle Società - Nona Edizione, Sintesi del corso di Diritto Commerciale

Riassunto del secondo manuale di G. F. Campobasso "Diritto Commerciale": il riassunto si propone di fornire una attenta sintesi di tutto il manuale, andando a riformulare i vari concetti per renderli il più chiari possibile. Il riassunto fa riferimento alla Nona edizione del manuale. Per altri riassunti sul diritto commerciale si guardi sul mio profilo di docsity.

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

In vendita dal 23/07/2018

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Scarica Riassunto G.F. Campobasso Diritto Commerciale Volume 2 - Diritto delle Società - Nona Edizione e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Commerciale solo su Docsity! DIRITTO COMMERCIALE DIRITTO DELLE SOCIETÀ G.F. Campobasso Capitolo I – Le società. 1. – Il sistema legislativo. Le società sono organizzazioni di persone e di mezzi create dall’autonomia privata per l’esercizio in comune di un’attività produttiva → sono le strutture tipiche, anche se non esclusive, previste dall'ordinamento per l'esercizio in forma associata dell'attività d'impresa (impresa collettiva). ❖ Quando diventa difficili perseguire uno scopo singolarmente, infatti, gli individui tendono ad associarsi pur di realizzarlo e le società rappresentano proprio questa forma di aggregazione, la più utilizzata nei vari ordinamenti da parte d'imprese di medio-grande dimensione. Le società formano nel nostro ordinamento un sistema composto da una pluralità di tipi. Il legislatore pone infatti a disposizione dell’autonomia privata otto tipi di società: otto modelli di organizzazione dell’attività di impresa in forma societaria, fra i quali le parti possono liberamente scegliere, in modo da dotarsi dell’assetto organizzativo meglio rispondente alle loro specifiche esigenze operative. → I modelli previsti sono: ➢ Società semplice (Artt. 2251 – 2290). ➢ Società in nome collettivo (Artt. 2291 – 2312). ➢ Società in accomandita semplice (Artt. 2313 – 2324). ➢ Società per azioni (Artt. 2325 – 2451). ➢ Società in accomandita per azioni (Artt. 2452 – 2461). ➢ Società a responsabilità limitata (Artt. 2462 – 2483). ➢ Società cooperativa (Artt. 2511 – 2545 – octiesdecies). →A queste vanno aggiunte, grazie all'intervento del legislatore comunitario, la società europea e la società cooperativa europea. I vari modelli societari, inoltre, possono essere distinti in due categorie, proprio in forza di alcuni elementi organizzativi comuni: ❖ Società di persone: Società semplice / SNC / SAS. ❖ Società di capitali: SPA / SRL / SAPA. Se diversi sono i tipi di società, unica è però la nozione legislativa di società, fissata dall’Art. 2247 che definisce il “contratto di società” → Tale articolo rimane però muto per quanto riguarda la disciplina dei singoli tipi di società (i profili organizzativi), in quanto vuole soltanto assolvere il compito di fissare i caratteri minimi comuni del fenomeno societario. A. La nozione di Società 2. – Il contratto di società. Art. 2247: “Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. →Nozione che oggi costituisce una sorta di paradosso, in quanto: se in precedenza non era prevista la possibilità di costituire una società tramite atto unilaterale, oggi questo è previsto sia per le S.R.L. e con la riforma del diritto societario anche per le S.P.A. →Sia pure con tali eccezioni, le società sono quindi enti associativi a base contrattuale: nascono dall’accordo di due o più parti per costituire regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale (Art. 1321). Sotto il profilo contrattuale, le società possono essere inquadrate nella fattispecie dei contratti associativi o con comunione di scopo: da ciò discendono quindi peculiari caratteri strumentali: A. Nei contratti associativi le prestazioni di ciascuna parte possono essere di diversa natura: non sono infatti destinate a scambiarsi fra loro un rapporto di corrispettività → Sono finalizzate alla realizzazione di uno scopo comune e tutte trovano il loro “corrispettivo” nella partecipazione ai risultati dell’attività comune. B. Il contratto associativo e è un contratto potenzialmente plurilaterale ed aperto. C. Contratto di organizzazione di una futura attività: l’attuazione del contratto di società presuppone lo svolgimento di un’attività comune e la conseguente creazione di un’organizzazione di gruppo deputata alla produzione di una serie non definita di nuovi atti giuridici a rilievo sia interno (fra i soci) sia esterno (nei confronti dei terzi). Un importante differenza fra società ed imprese emerge quando andiamo ad analizzare lo scopo di lucro: come notiamo, infatti, l’art. 2247 individua espressamente un lucro soggettivo (“allo scopo di dividerne gli utili”) mentre per le imprese possiamo esaurirlo come “Il movente psicologico che spinge l’imprenditore a svolgere quella determinata attività (cosa che non ci interessa a fini civilistici), mentre entrambi hanno il lucro oggettivo (conseguire utili). Le società sono enti associativi che si caratterizzano per la contemporanea presenza di 3 elementi: • I conferimenti dei soci. • L’esercizio in comune di un’attività economica (c.d. scopo di mezzo). • Lo scopo di divisione degli utili (c.d. scopo di fine). 3. – I conferimenti. Definizione: sono le prestazioni cui le parti del contratto di società si obbligano. Essi costituiscono i contributi dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della società. →La loro funzione è quella di dotare la società del capitale di rischio iniziale per lo svolgimento dell’attività d’impresa: ❖ Tutti i soci devono effettuare il conferimento, destinando stabilmente una parte della propria ricchezza personale all'attività comune, al fine di conseguire la partecipazione sociale, sebbene diverso possa essere l'ammontare e il valore dei vari conferimenti: →è proprio effettuando il conferimento che il socio assume in capo a sé il rischio d'impresa, ossia il rischio non solo di non avere alcun ritorno economico ma addirittura di perdere quanto investito/conferito. L’art. 2247 individua i conferimenti nei "beni e servizi" necessari per l'esercizio in comune dell'attività economica: può trattarsi di denaro, di beni in natura trasferiti in proprietà o concessi in godimento alla società, di prestazioni di manuali o intellettuali. →praticamente può trattarsi di ogni entità suscettibile di valutazione economica ritenuta necessaria, dalle parti, per lo svolgimento dell'attività d'impresa, ovviamente fatta salva l'applicazione della disciplina dettata per le singole società (Es: nelle società per azioni non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni d'opere o di servizi). In entrambe le ipotesi menzionate, dunque, non siamo dinanzi ad una società occasionale, la quale può esistere solo nel momento in cui viene posto in essere l'esercizio in comune di attività economica oggettivamente non duratura, la quale prevede pochi atti coordinati ma non la presenza di un apparato produttivo stabile. 7.1. (Segue) – Le società fra professionisti. Nella trattazione dei requisiti dell'impresa abbiamo già avuto modo di specificare come le professioni intellettuali non si configurino come attività imprenditoriale per libera opzione del legislatore: ❖ il professionista intellettuale, infatti, esercita professionalmente un'attività economica organizzata volta alla produzione di un servizio (intellettuale), motivo per cui dovrebbe definirsi imprenditore; il legislatore italiano lo pone su un piano diverso. →Ecco perché una società fra professionisti intellettuali può definirsi una società senza impresa: vi è l'esercizio in comune di attività economica, ma in alcun modo può essere qualificata come attività imprenditoriale. →Tuttavia, il dibattito sulla possibile esistenza delle società fra professionisti ha coinvolto tutta la dottrina e gran parte della giurisprudenza, chiamando in causa più volte il legislatore per la risoluzione della questione: ➢ Gli articoli 2229 e successivi, dedicati alle professioni intellettuali, prevedono il carattere strettamente "personale" dell'attività del professionista e il coordinamento di sostituti e ausiliari qualora egli ne abbia, il che porterebbe a escludere la possibilità di dar vita a una società con altri professionisti. ➢ La L.1815/1939 disciplinante gli studi di assistenza e consulenza, inoltre, ha sempre previsto la possibilità dei professionisti di associarsi in studi tecnici, legali, commerciali, contabili, amministrativi o tributari, ma anche l'impossibilità di dar vita a diverse 'forme di esercizio associato", pertanto escludendo direttamente la creazione di società fra professionisti. Ciò ha comportato, per lungo tempo, il proliferare di pronunce inerenti la nullità di tali società per violazione di norme imperative e la nullità di tutti i contratti d'opera posti in essere, con l'impossibilità dei professionisti di ricevere compensi. →Solo nel 1997 arriva il primo timido intervento del legislatore. il quale abroga l'art.2 della legge 1815, eliminando quantomeno una norma imperativa volta a evitare palesemente la formazione di società tra professionisti. →Nel 2001 il nostro legislatore disciplina le società fra avvocati e nel 2006 le società tra professionisti per la prestazione di servizi interdisciplinari, ma manca ancora un intervento generale. Occorre distinguere, inoltre, le società fra professionisti da quelli che sono altri fenomeni associativi che nulla hanno a che vedere con le prime: ➢ Incarico congiunto: l'assunzione congiunta di un incarico da parte di più professionisti non ha nulla a che vedere con l'esercizio in comune di attività economica tra gli stessi, perché: →Nel primo caso i professionisti si impegnano personalmente a eseguire una prestazione, ponendo in essere distinte attività professionali e non un'unica attività in comune, percependo tra l'altro due compensi magari differenti. ➢ Società di mezzi: differente dall'ipotesi di società tra professionisti è anche il caso delle società di mezzi, società di 'produzione di servizi" e non di attività intellettuali. create da due o più professionisti per condividere mezzi strumentali alle singole attività svolte, ma che non contemplano in alcun modo una gestione unica dell'aspetto professionale ➢ Società di servizi imprenditoriali: si tratta di società di servizi composte da un numero elevato di professionisti intellettuali, che offrono però un prodotto complesso sul mercato, di cui le prestazioni intellettuali sono solo una parte avendo carattere "strumentale e servente” rispetto al servizio unitario offerto dalla società. →Ancora, si può parlare delle società di revisione contabile che hanno la funzione di controllare la regolare tenuta della contabilità e di certificare i bilanci delle società per azioni, e che non esauriscono di certo il loro compito nell'esercizio di una professione intellettuale, che ha carattere strumentale rispetto all'unitaria prestazione di revisione legale dei conti. ➢ Società fra professionisti intellettuali: si tratta di società che, diversamente dai fenomeni associativi appena analizzati, hanno come oggetto unico ed esclusivo l'esercizio in comune di un'attività professionale. Dopo la comparsa delle società fra avvocati nel 2001 e la disciplina delle società interdisciplinari, necessariamente società di persone nel 2006 con la L. 183/2011 è arrivata finalmente la svolta tanto desiderata: è stata abrogata completamente la L. 1815/1939 ed è stata espressamente consentita la costruzione di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate. La legge, tuttavia. fissa i requisiti di tali società: ❖ Principio di esclusività dell'oggetto sociale: l'esercizio di attività professionale da parte dei soci, anche di più attività professionali, deve essere l'oggetto esclusivo di tali società. ❖ Principio di esclusività della partecipazione: il socio di una società tra professionisti non può essere al contempo socio di altra società similare. ❖ Denominazione indicante la dicitura “società fra professionisti". ❖ Osservanza del codice deontologico del rispettivo ordine (avvocati, commercialisti ecc.), sia da parte della società che dei singoli soci. ❖ Principio di individuazione del professionista incaricato della prestazione: l'utente ha diritto di chiedere che la prestazione sia eseguita da un determinato socio, altrimenti viene designato un socio. la cui scelta viene comunicata per iscritto al cliente. →Designando un soggetto lo si rende direttamente responsabile in solido con la società, per l'inadempimento della prestazione professionale. Ora spetta al Ministro della giustizia, tramite l'emanazione della normativa secondaria di dettaglio tramite regolamento, completare finalmente la disciplina della nuova figura di società tra professionisti. 7.2. (Segue) – La società fra avvocati. Il primo esempio di società senza impresa a essere stato disciplinato nel nostro ordinamento e con cui si è avviato il processo legislativo che ha portato alla legittimazione giuridica delle società tra professionisti è sicuramente rappresentato dalla società fra avvocati, la cui normativa è contenuta all'interno del d.lgs. 96/2001. →La società tra avvocati, per circa un decennio e unitamente alle società di servizi professionali interdisciplinari, ha rappresentato l'unico modello di società tra professionisti possibilmente attuabile nel nostro ordinamento. Oggetto sociale esclusivo: è l'esercizio in comune dell'attività di rappresentanza, assistenza, difesa in giudizio e consulenza legale e che la società può acquistare beni e diritti strumentali all'esercizio della professione. ❖ Tutti i soci devono possedere il titolo di avvocato e non possono far parte di altre società; in caso di sospensione dall'albo l'esclusione dalla società è facoltativa, mentre diviene obbligatoria (esclusione di diritto) nell'ipotesi di radiazione o cancellazione. La ragione sociale, oltre a prevedere l'indicazione S.T.P. (società tra professionisti), deve altresì comprendere titolo e nome di tutti i soci, o quantomeno di alcuni di essi con l'aggiunta della locuzione "e altri". La costituzione della società tra avvocati segue l'iter previsto per le Snc, ma l'iscrizione avviene in apposita sezione del registro delle imprese e dell'albo degli avvocati, e la prima ha solo funzione di pubblicità notizia. Se per le cause di invalidità della società tra avvocati sono in vigore le norme previste dalla disciplina generale dei contratti, per quanto concerne gli "effetti" dell'annullamento o della nullità la normativa si avvicina più che altre alle regole dettate per le società per azioni: nullità e annullamento non pregiudicano gli atti compiuti. La società tra avvocati, non esercitando attività di impresa, non è soggetta a fallimento ma vi è comunque "personalità della prestazione" e "diretta responsabilità del professionista nei confronti del cliente", che può scegliere il proprio difensore o vi provvederà la società comunicandogli per iscritto il prescelto prima dell'inizio dell'esecuzione del mandato. 8. – Lo scopo – fine della società. L’ultimo elemento caratterizzante le società → Art. 2247 “divisione degli utili” (scopo – fine) ossia il risultato da raggiungere → C’è da tener presente che l’art. individua solo uno dei possibili scopi del contratto di società: ➢ Scopo lucrativo: anche detto “di profitto”, che il legislatore assegna ad alcuni tipi di società: le società di persone e le società di capitali, che perciò vengono definite società lucrative. Per definizione si parla di scopo lucrativo quando una società viene costituita per svolgere attività di impresa con terzi allo scopo di conseguire utili (lucro oggettivo), destinati ad essere successivamente divisi fra i soci (lucro soggettivo). ➢ Scopo mutualistico: fornire direttamente ai soci beni, servizi ed occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle che i soci stessi otterrebbero sul mercato → Seguito dalle società cooperative. Seguendo questa definizione, tale scopo consistente nel procurare ai soci “quel particolare vantaggio patrimoniale diretto consistente in un risparmio di spesa o in una maggiore remunerazione del lavoro prestato, in servizi o in occasioni di lavoro, a condizioni più vantaggiose rispetto al mercato” → vantaggio che si produce direttamente nella sfera dei singoli soci. →Quindi anche tali società operano con metodo economico (in quanto esercitano attività di impresa) e per la realizzazione di uno scopo economico dei soci (vantaggio patrimoniale diretto). ➢ Scopo consortile: tutte le società, eccetto quella semplice, possono perseguire anche uno scopo consortile, consistente in quel particolare vantaggio patrimoniale che è la “sopportazione di minori costi o la realizzazione di maggiori guadagni nelle rispettive imprese consorziate”. Quindi, in conclusione, abbiamo tre grandi categorie di società in forza dello scopo perseguito, tutti enti associativi che operano con metodo economico e per il raggiungimento di un risultato economico a favore esclusivo dei soci. 9. (Segue) – Società ed associazioni. L’impresa sociale. Differenza Società – Associazioni: le differenze risiedono nella natura dell’attività esercitabile e nello scopo – fine perseguibile: ❖ Mentre le prime, come abbiamo visto, devono porre in essere un’attività produttiva condotta con metodo lucrativo o quanto meno economico, per le seconde il legislatore non individua l’attività da svolgere. ❖ Poi, le società hanno come scopo l’autodestinazione dei benefici patrimoniali, mentre le associazioni mirano proprio all’eterodestinazione degli stessi, avendo uno scopo ideale. B. I tipi di società 13. – Nozioni. Classificazioni. Problemi inerenti le società: a) L’ordinamento interno della società. b) I rapporti fra società e terzi. Rapporti interni: ❖ È necessario definire le regole procedimentali di formazione della volontà di gruppo, per quanto riguarda: • La gestione dell’impresa comune (amministrazione della società). • Le possibili modifiche delle stesse basi organizzative della società (modif. atto costitutivo). ❖ È necessario definire le modalità di partecipazione del singolo socio alla formazione: • Della volontà sociale (diritti amministrativi). • Dei risultati dell’attività comune (diritti patrimoniali). Rapporti esterni: ❖ È necessario stabilire chi e secondo quali modalità è abilitato ad agire con i terzi (rappr.) ❖ È necessario stabilire qual è il regime di responsabilità per le obbligazioni sociali. →Su questi punti sorgono innumerevoli quesiti e la risposta del legislatore non è univoca: essenzialmente le società formano un sistema composta da una pluralità di tipi / modelli organizzativi ed è difficile trovare un sistema unitario. Sulla base di questo, gli 8 tipi di società previsti dal codice possono essere aggregati in categorie omogenee sulla base di alcuni fondamentali criteri di classificazione: ➢ La prima distinzione di cui parliamo prende in considerazione lo scopo perseguito dalle società: società lucrative + società mutualistiche (cooperative e mutue assicuratrici). ➢ La seconda distinzione si basa sulla natura dell’attività esercitabile: • Società semplice: utilizzabile esclusivamente per l’esercizio di attività non commerciale e per cui solo di recente è stata prevista la pubblicità mediante iscrizione nel registro delle imprese con funzione di pubblicità legale quando viene esercitata attività agricola e con funzione di pubblicità notizia nell’ipotesi di società fra professionisti; • Tutte le altre società lucrative: che possono esercitare qualsivoglia attività, commerciale e non, e per cui l’iscrizione nel registro delle imprese ha da sempre funzione di pubblicità legale. ➢ Una terza differenziazione riguarda la personalità giuridica: presente nelle società di capitali e cooperative, assente al contrario nelle società di persone. Tale distinzione è forse quella di maggior rilievo all’interno del nostro ordinamento, perché al di là delle singole norme dettate per ciascun modello societario, vi sono comunque delle regole comuni all’una e all’altra categoria. ❖ Le società di capitali sono persone giuridiche in cui è presente un’organizzazione di tipo corporativo, ossia basata sulla necessaria presenza di una pluralità di organi che per legge possiedono specifiche funzioni e competenze ed in cui il funzionamento degli organi sociali si basa sul principio maggioritario. ❖ Il punto senza dubbio più rilevante, però, risiede nel fatto che il singolo socio, all’interno delle società di capitale, non possiede alcun potere diretto di amministrazione e controllo, in quanto si limita a concorrere col proprio voto alla nomina dei componenti degli organi che svolgono tali funzioni: il peso del singolo voto è proporzionato alla quota di capitale sociale sottoscritto, il che significa adottare un criterio capitalistico, che da maggior rilievo ai mezzi apportati e non alle persone dei soci. ❖ Nelle società di persone, invece, difetta un’organizzazione di tipo corporativo e ad ogni socio a responsabilità illimitata è riconosciuto il potere di amministrare la società, mentre per le modifiche dell’atto costitutivo occorre l’unanimità. ❖ Qui elemento preponderante sono le persone rispetto al capitale, in quanto il singolo socio a responsabilità illimitata ha di per sé potere di amministrazione e di rappresentanza per il solo fatto di esporsi alla responsabilità personale per le obbligazioni sociali, indipendentemente quindi dall’ammontare del capitale conferito. L’accento, in questo caso, cade sulle persone e non sull’elemento capitale. ➢ Ultimo criterio discretivo che analizziamo è quello basato sul regime di responsabilità per le obbligazioni sociali e a tal proposito distinguiamo tre gruppi di società: 1. quelle in cui per le obbligazioni sociali rispondono sia la società con il proprio patrimonio sia i soci, che sono tutti personalmente ed illimitatamente responsabili, pensiamo alle Snc e alla società semplice; 2. le società in cui delle obbligazioni sociali rispondono la società con il proprio patrimonio ed i soli soci a responsabilità illimitata, mentre vi sono altri soci a responsabilità limitata e pensiamo alle società in accomandita semplice e per azioni; 3. le società nelle quali per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il proprio patrimonio e pensiamo alle SRL, alle SPA e alle cooperative. 14. – Personalità giuridica ed autonomia patrimoniale delle società. Al fine di eliminare i dubbi sul possesso o meno della personalità sollevati dal codice di commercio del 1882, che definiva le Snc, le società in accomandita e le società anonime come enti collettivi distinti dai soci, il legislatore del ’42 ha deciso di attribuire tale personalità alle società di capitali e di negarla alle società di persone, riconoscendo anche a queste ultime autonomia patrimoniale. → Non confondere i concetti di autonomia patrimoniale e di personalità giuridica: si tratta di due diverse tecniche legislative previste per garantire la diffusione e lo sviluppo delle imprese societarie, tutelando adeguatamente sia i soci che i creditori sociali. Le società di capitali, per il solo fatto di essere persone giuridiche, non sono solo autonomi centri di imputazione formalmente distinti dai soci che ne fanno parte, ma divengono anche proprietarie dei beni oggetto ad esse conferiti, quindi titolari di un proprio patrimonio, aggredibile soltanto dai creditori sociali, che però non potranno rifarsi sui patrimoni personali dei soci. →I creditori dei soci, d’altro canto, non potranno in alcun modo attaccare il patrimonio sociale, in quanto lo stesso è formato da cespiti destinati stabilmente all’attività sociale e divenuti di un altro soggetto, la società. Le società di capitali, pertanto, oltre ad essere persone giuridiche godono anche di autonomia patrimoniale perfetta. →Anche nelle società di capitali sussistono responsabilità personali, anche se sussidiarie, come quella dell’unico azionista di SPA o dell’unico quotista di SRL, sebbene solo in taluni casi o quella dei soci accomandatari dell’accomandita per azioni. 15. (Segue) – La soggettività delle società di persone. Alle società di persone (diversamente dalle società di capitali) il legislatore ha negato la personalità giuridica, sebbene alle stesse sia stata riconosciuta autonomia patrimoniale. ❖ Questo significa che anche per quanto riguarda le società di persone i creditori personali dei soci non possono aggredire il patrimonio sociale, sebbene possano far valere i propri diritti sulla quota spettante al debitore e ottenere, in caso di società semplice o di proroga delle altre società di persone, la liquidazione della quota nell’ipotesi di insufficienza degli altri beni. ❖ Allo stesso tempo i creditori sociali non possono aggredire direttamente il patrimonio dei soci illimitatamente responsabili, i quali godono del “beneficio di escussione”, dovendo prima essere escusso infruttuosamente il patrimonio sociale: questo significa che la loro responsabilità è solo sussidiaria, sebbene esista. La mancanza di personalità giuridica delle società di persone, tuttavia, non comporta una netta distinzione tra società e soci, come invece crede una parte della dottrina, la quale sostiene che tali società non abbiano un proprio patrimonio, trattandosi di una comproprietà speciale tra i soci e che le obbligazioni sociali siano obbligazioni dei soci, responsabili per debito proprio e non contratto dalla società, in quanto imprenditori sono gli stessi. →Tutto ciò, lo ripetiamo, non corrisponde a realtà: il fatto che le società di persone non godano di personalità giuridica non significa che esse non siano soggetti di diritto e autonomi centri di imputazione, veri e propri imprenditori responsabili per le loro obbligazioni, sebbene vi sia una responsabilità a titolo di garanzia di tutti o di alcuni soci. Esse possono addirittura essere classificate come “soggetti collettivi non personificati”, una sorta metà strada tra persone fisiche e giuridiche. 16. – Tipi di società ed autonomia privata. Durante il procedimento di costituzione di una società è necessario che i futuri soci effettuino la scelta inerente al tipo di società, optando per uno dei modelli previsti dal legislatore: se l’attività è commerciale potranno scegliere un modello qualsiasi, mentre se non è commerciale potranno scegliere tutti i tipi tranne la società semplice. Le leggi speciali possono prevedere, inoltre, delle limitazioni inerenti particolari attività, come quella bancaria o assicurativa, riservate a determinati tipi di società. Tuttavia, sebbene la scelta del tipo sia importante, essa non appare necessaria per la validità della società stessa: nel caso di attività non commerciale è l’art. 2249.2 del codice a prevedere l’applicazione della disciplina della società semplice, mentre qualora si tratti di attività commerciale si può dedurre agevolmente e per esclusione (manca una norma a riguardo) che vada applicata la disciplina della società in nome collettivo, in quanto per tutti gli altri tipi servirebbero ulteriori specificazioni contrattuali. →Quelli della società semplice e della società in nome collettivo, in sostanza, possono ritenersi come regimi residuali di disciplina dell’attività societaria, rispettivamente per ciò che concerne attività non commerciali e attività commerciali. Ovviamente le parti, all’interno del contratto di società, possono discostarsi dalla disciplina fissata dal legislatore tramite l’apposizione di clausole atipiche, rimanendo però sempre nei margini di autonomia concessi dal legislatore, ossia rispettando l’inderogabilità di talune norme (come quelle che prevedono la soppressione di organi societari nelle spa): l’invalidità di tali clausole comporta la sola nullità parziale a norma dell’art. 1419 e non la nullità dell’intero contratto sociale, con conseguenziale applicazione della disciplina legale. Se l’autonomia delle parti può dar vita a regole (clausole) atipiche, altrettanto non può essere fatto per quanto riguarda i tipi di società, dovendo le parti scegliere tra uno dei modelli impostati dal legislatore e non essendo possibile, in deroga all’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322, creare “società atipiche”, il che comporta la nullità delle stesse. Diverse dalle clausole atipiche, inoltre, sono i patti parasociali, veri e propri accordi estranei all’atto costitutivo, stipulati tra i soci e aventi ad oggetto comportamenti futuri in sede di votazione (sindacati di voto), impossibilità di alienare le proprie quote a terzi (sindacati di blocco) o apporti in denaro. →Tali patti hanno efficacia meramente obbligatoria, in quanto vincolano solo i soci attuali e quelli futuri non automaticamente, ma previa espressa adesione, diversamente dalle clausole contrattuali ad efficacia reale, che vincolano tutti i soci presenti e futuri: ❖ l’invalidità degli stessi non comporta nullità del contratto di società e la loro violazione comporta il solo risarcimento del danno nei rapporti interni tra coloro che vi hanno aderito ma in alcun modo determina l’invalidità degli atti posti in essere. Società in nome collettivo: Il contratto, invece, deve rispettare determinati requisiti di forma e di contenuto, rispettivamente previsti dagli artt. 2295 – 2296, anche se solo ai fini dell’iscrizione della società nel registro delle imprese: ➢ anche per le società in nome collettivo, dunque, l’iscrizione non è condizione di esistenza (come avviene invece per le società di capitali), ma differentemente da quanto detto per le società semplici è comunque condizione di regolarità, in quanto in assenza di iscrizione, così come nel caso in cui non sia stato redatto l’atto costitutivo, la Snc si configura come irregolare: ▪ Se non hanno redatto l’atto costitutivo → Società di fatto. ▪ Se pur avendolo redatto non hanno provveduto ad iscriverlo → SNC irregolare. Se invece la SNC vuole operare come regolare deve ottenere l’iscrizione nel registro delle imprese, possibile solo se l’atto costitutivo viene redatto per “atto pubblico o scrittura privata autenticata” e deve inoltre contenere le seguenti indicazioni: 1. Il cognome e il nome, il nome del padre, il domicilio, la cittadinanza dei soci; 2. La ragione sociale; 3. I soci che hanno l'amministrazione e la rappresentanza della società; 4. La sede della società e le eventuali sedi secondarie; 5. L'oggetto sociale; 6. I conferimenti di ciascun socio, il valore ad essi attribuito e il modo di valutazione; 7. Le prestazioni a cui sono obbligati i soci di opera 8. Le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli utili e nelle perdite; 9. La durata della società. → Anche ai fini della registrazione non tutte queste indicazioni sono essenziali, in particolare quelle previste dai punti N. 3 e 8, la cui mancanza è supplita da norme di legge (Art. 2257 / 2263) Per quanto riguarda la forma dei conferimenti: la libertà di forma per la costituzione delle società di persone incontra un limite quando forme speciali sono richieste dalla natura dei beni conferiti: la forma scritta a pena di nullità sarà perciò necessaria quando il conferimento ha per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, anche per il semplice godimento a tempo indeterminato o per un tempo eccedente i nove anni → Art. 1350 N. 1 – 9. 3. – Società di fatto. Società occulta. Abbiamo già anticipato che per costituire una società di persone non è necessario l’atto scritto, in quanto in mancanza dello stesso si configura ugualmente una Società di fatto, a cui si dà vita tramite una serie di “fatti concludenti”. ❖ In tal caso vanno applicate le norme della società semplice se l’attività esercitata non è commerciale, mentre in caso contrario va applicata la disciplina della collettiva irregolare. →Quindi una società di fatto esercente attività commerciale è, al pari di tutti gli imprenditori commerciali, esposta al fallimento, che determina tra l’altro il fallimento di tutti i soci, sia di quelli palesi, sia di quelli occulti → soggetti la cui esistenza e appartenenza alla società viene scoperta e provata, anche solo tramite presunzioni rivelatrici, solo in un secondo momento. ❖ Per tali individui la qualità di socio non è stata “esteriorizzata”, concretizzandosi solo nei rapporti interni e senza conoscenza dei terzi: l’Art. 147.4 della L. fallimentare ne prevede ugualmente il fallimento. Diversa è l’ipotesi di Società occulta: in questo caso a non essere esteriorizzata è l’esistenza stessa della società, per il conto della quale opera un imprenditore individuale, che però non ne spende il nome nel traffico giuridico. ❖ Il soggetto agisce in nome proprio e per conto della società occulta, come mandatario senza rappresentanza, e a lui soltanto è imputabile l’attività di impresa secondo il criterio formale della spendita del nome (Vedi Libro I). →Si tratta pertanto di un’ipotesi differente da quella del socio occulto di società palese, in quanto in tal caso la società esiste e ad essa vengono imputati tutti gli atti posti in essere: ❖ ciò nonostante, l’Art. 147.5 L. fallimentare estende il fallimento dell’imprenditore individuale anche a tutti gli altri soci illimitatamente responsabili della società occulta, qualora se ne scopra l’esistenza. Gli indici rivelatori dell’esistenza di un socio occulto di società palese o di una società occulta, utili per ottenere il fallimento di altri soggetti oltre a quelli già falliti, riguardano la partecipazione indiretta di tali soggetti alla vita dell’impresa, manifestatasi tramite il compimento di atti di gestione, lo svolgimento di trattative con terzi, ecc. [Per comprendere meglio vedi pag. 62]. 4. – La Società Apparente. Per utilizzare un termine del diritto civile, possiamo dire che è una sorta di società simulata. →Se tuttavia il giudice del tribunale fallimentare è fermamente convinto dell’esistenza di una società, proprio in forza di comportamenti di terzi nei confronti dell’imprenditore individuale fallito, ma non la può provare oggettivamente, allora solleva la questione della società apparente: si tratta di una creatura giurisprudenziale, di una società che esiste all’esterno, per terzi, ma non esiste tra i soci. → (contrario della società occulta) “due o più persone operano in modo da ingenerare nei terzi la ragionevole convinzione che essi agiscano come soci e l’incolpevole affidamento circa l’effettiva esistenza della società”. I tribunali, dunque, provvedono a dichiarare il fallimento della società apparente, senza che sia possibile da parte dei soci apparenti eccepire che la società non esiste: che non esiste per loro, infatti, è lo stesso giudice a dirlo; il problema è che questa società esiste per i terzi. ❖ La dottrina non è molto d’accordo circa l’estensione del fallimento ad altri soggetti facenti parte di questa società apparente: ciò nonostante i tribunali continuano ad attuare il principio di apparenza e a decretare il fallimento delle presunte società, il tutto solo in forza di una “non provata” convinzione. 5. – La partecipazione degli incapaci. Per poter prendere parte ad una società di persone all’interno del nostro ordinamento occorre possedere la capacità d’agire, tenendo presente che tale partecipazione è da considerarsi come atto eccedente l’ordinaria amministrazione. →La partecipazione degli incapaci ad una SNC, inoltre, viene equiparata dallo stesso legislatore all’esercizio di impresa commerciale, motivo per cui si applicano tutte le norme a riguardo. ➢ Il minore, l’interdetto e l’inabilitato non possono partecipare ex novo ad una SNC, ma solo conservarne la partecipazione con l’autorizzazione del tribunale, qualora essa provenga da donazione o successione. →In caso di inabilitazione o interdizione sopravvenuta il tribunale può autorizzare la continuazione della partecipazione se non interviene la decisione di esclusione da parte degli altri soci. ➢ Il minore emancipato, invece, può sia partecipare alla costituzione, sia aderire ad una SNC, sempre se autorizzato dal tribunale. ➢ Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno, infine, può contribuire a costituire una Snc o aderirvi, anche senza autorizzazione, sempre che il giudice tutelare non abbia diversamente disposto nominando l’amministratore o successivamente. Tutto ciò è previsto, richiamando gli appositi articoli, all’interno dell’art. 2294 e vale solo per le società in nome collettivo (e in accomandita semplice), anche qualora esse esercitino attività non commerciale, ma in alcun modo tale norma può essere applicata per ciò che concerne la società semplice. 6. – Partecipazione di società in società di persone. Un dibattito che in passato ha notevolmente contrapposto dottrina e giurisprudenza è quello riguardante le partecipazioni di società di capitali e di società di persone in altre società di persone. Oggi, invece, il punto è pacifico, anche grazie all’intervento del legislatore: ➢ Società di capitali: possono liberamente far parte di società di persone, sebbene l’assunzione di partecipazioni comportanti responsabilità illimitata debba essere deliberata dall’assemblea, rendendo impossibile la partecipazione a società di fatto, ossia tramite comportamenti concludenti. →Inoltre, gli amministratori devono fornire informazioni inerenti la partecipazione all’interno della nota integrativa al bilancio, così come è previsto che venga redatto il bilancio della SNC o della SAS secondo le norme dettate per le spa qualora tutti i soci illimitatamente responsabili siano società di capitali. ➢ Le società di persone, inoltre, possono essere socio a responsabilità illimitata o limitata di altre società di persone, in quanto alcuna teoria, in dottrina o in giurisprudenza, ha potuto escludere tale possibilità. 7. – L’invalidità della società. Il codice civile non detta alcuna norma inerente l’invalidità del contratto di una società di persone, il che significa che valgono le norme dettate in materia di nullità e annullabilità dei contratti, rispettivamente contemplate dagli articoli: -1418 c.c.: contrarietà a norme imperative / illiceità della causa o dei motivi qualora determinanti per il consenso delle parti / mancanza di uno dei requisiti dell’oggetto o di uno degli elementi necessari del contratto. -1425 ss.: incapacità delle parti e vizi del consenso. Dall’invalidità del contratto di società di persone, tra l’altro, va operata un’altra distinzione: ➢ Cause di invalidità che colpiscono solo la singola partecipazione: determinerà l’invalidità dell’intero contratto di società solo quando la partecipazione viziata è essenziale per il conseguimento dell’oggetto sociale. → In caso contrario il contratto è valido e produttivo di effetti per gli altri soci. ➢ Invalidità della società di persone è utile distinguere (come per tutte le società): ❖ Ipotesi in cui l’attività non sia ancora iniziata: in tal caso applicando le norme in materia generale dei contratti. ❖ Ipotesi in cui l’attività sia stata già avviata: cercando di comprendere quali siano gli effetti degli atti posti in essere da una società nulla. →Per quanto concerne le società di capitali il problema non sussiste, essendo prevista un’apposita soluzione dall’art. 2332, non applicabile per analogia alle società di persone in quanto norma eccezionale motivata dai particolari aspetti delle società di capitali, primo fra tutti il possesso della personalità giuridica e l’effetto costitutivo dell’iscrizione nel registro delle imprese. • Tuttavia, questo è ciò che pensa una parte della dottrina, mentre la maggioranza degli studiosi (Campobasso compreso) e la giurisprudenza sono per l’applicazione dell’articolo 2332 anche alle società di persone, in forza dell’autonomo rilievo giuridico dell’attività effettivamente svolta, sia dalle società di capitali che di persone, senza soffermarsi sulla personalità giuridica. →L’applicazione dell’art. 2332 alle società di persone comporta l’operatività della sentenza di nullità come causa di scioglimento, con conseguente validità degli atti precedentemente posti in essere, la mancata liberazione dei soci dall’obbligo dei conferimenti, l’apertura del procedimento di liquidazione che porta all’estinzione solo dopo aver soddisfatto i creditori e la possibilità di sanatoria della nullità, tramite deliberazione unanime dei soci per le modificazioni dell’atto costitutivo volte ad eliminare la causa di nullità. 12. – La partecipazione dei soci agli utili e alle perdite Tutti i soci devono partecipare agli utili e alle perdite delle società di persone, sebbene sia liberamente determinabile la misura in cui ciascuno deve parteciparvi, che non è detto sia proporzionale ai conferimenti. Art. 2265: fissa, per le società di persone e per tutte le società lucrative, il divieto di patto leonino, il quale consiste nell’escludere uno o più soci dalla partecipazione a utili o perdite: tale patto è nullo, al pari di criteri di ripartizione convenzionali, ossia stabiliti nel contratto, mirati al raggiungimento del medesimo risultato. ❖ Nulli sono anche i patti parasociali volti allo stesso scopo, sebbene in tal caso occorra la “mancanza di una giustificazione causale”, affinché si possa configurare appunto un negozio (il patto) in frode alla legge (che violi il divieto di patto leonino), perché in caso contrario l’accordo resta valido (pensiamo ad un socio che rinuncia agli utili, girandoli ad un altro socio, per sanare un proprio debito nei confronti dello stesso). →In ogni caso “nullo” è soltanto il patto leonino, non il contratto di società o la singola partecipazione, il che comporta l’applicazione di criteri legali di ripartizione di utili e perdite identici a quelli previsti nell’ipotesi in cui l’atto costitutivo nulla disponga al riguardo: l’art. 2263 prevede infatti che nel silenzio del contratto, le parti spettanti ai soci in utili e perdite siano proporzionali ai conferimenti, mentre se neppure il valore di questi ultimi è indicato, le parti si presumono uguali. • Qualora sia stata indicata solo la parte di ciascuno nei guadagni (o solo nelle perdite), si presume che nella stessa misura quel socio debba partecipare alle perdite (o ai guadagni). • La parte spettante al socio d’opera, qualora non risulti da contratto, viene determinata dal giudice secondo equità (art.2263 comma 2 c.c.). Nelle società semplici il diritto del socio al percepimento degli utili nasce con l’approvazione del rendiconto, predisposto dagli amministratori alla fine di ogni anno, mentre nelle società in nome collettivo, dato l’obbligo di tenuta delle scritture contabili, occorre redigere il bilancio d’esercizio secondo i criteri stabiliti per le società per azioni (oltre al bilancio consolidato nell’ipotesi in cui tutti i soci siano società di capitali) e solo dopo l’approvazione all’unanimità nasce il diritto di ogni socio a percepire gli utili: è l’art. 2262 a prevedere l’insorgenza di tale diritto dopo l’approvazione di rendiconto e bilancio. • Diversamente da ciò che vedremo per le società di capitali, dunque, la maggioranza dei soci non può deliberare l’autofinanziamento della società, ossia la non distribuzione totale o parziale degli utili con reinvestimento nella stessa società, in quanto per fare ciò è necessaria l’unanimità: l’interesse del singolo prevale su quello del gruppo. Per quanto concerne le perdite, che ricordiamo essere “minusvalenze del patrimonio netto rispetto al capitale sociale”, esse incidono direttamente sul valore di ciascuna partecipazione, riducendone proporzionalmente il valore, il che comporta il rimborso di una somma inferiore al valore originario del conferimento in sede di liquidazione della società. • Le perdite, pertanto, possono ricadere sui soci illimitatamente responsabili solo in sede di liquidazione, in quanto prima di quel momento esse hanno un rilievo sostanzialmente indiretto, impedendo la distribuzione di utili successivi fino al reintegro del capitale o alla riduzione dello stesso. 13. – La responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali Nella società semplice, a norma dell’art. 2267, delle obbligazioni sociali risponde la società con il proprio patrimonio, il quale rappresenta la garanzia primaria ma non esclusiva dei creditori, dato che assieme alla società rispondono anche “personalmente e solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci”. →Questo significa che i soci che hanno agito direttamente rispondono sempre in via sussidiaria delle obbligazioni sociali, ossia dopo che il patrimonio della società sia risultato insufficiente, mentre gli altri soci possono, con patto sociale portato a conoscenza di terzi con mezzi idonei, essere esclusi da tale responsabilità. • Limitazione o esclusione della solidarietà, tuttavia, non sono opponibili ai terzi che non ne hanno avuto conoscenza. La responsabilità solidale e personale di tutti i soci, dunque, si configura nella società semplice come principio derogabile. Tale principio, invece, appare inderogabile nel caso delle società in nome collettivo. L’art. 2291 infatti dispone: “Nella società in nome collettivo tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali. Il patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi”. • Tuttavia, anche qui la responsabilità dei soci sarà sussidiaria, in quanto garanzia primaria resta quella offerta dal patrimonio sociale. In entrambe le società, invece, i nuovi soci sono chiamati a rispondere anche per le obbligazioni sociali antecedenti all’acquisto della qualità di socio, così come l’ex socio, divenuto tale per esclusione, recesso o morte, resta responsabile per le obbligazioni anteriori allo scioglimento del proprio legame sociale (in caso di morte, ovviamente, restano obbligati i suoi eredi). ❖ Addirittura, il socio uscente rimane responsabile anche per le obbligazioni successive allo scioglimento nell’ipotesi in cui i terzi abbiano ignorato senza colpa tale circostanza, continuando a ritenerlo socio, sempre che si tratti di società semplice o collettiva irregolare. Nel caso di società in nome collettivo regolari, infatti, l’opponibilità ai terzi dello scioglimento del rapporto sociale resta soggetta al regime di pubblicità legale delle modificazioni dell’atto costitutivo, motivo per cui la vicenda deve essere iscritta nel registro delle imprese e da quel momento non è ammessa ignoranza da parte di terzi. →Si ritiene che tale regime valga, oggi diversamente che in passato, anche per le società semplici esercenti attività agricola, le quali sono soggette dal 2001 all’iscrizione nel registro con efficacia di pubblicità legale. Dall’iscrizione dello scioglimento, inoltre, decorre anche il termine annuale entro cui l’ex socio può essere dichiarato fallito in seguito al fallimento della società. 14. – Responsabilità della società e responsabilità dei soci Nella società semplice e nella società in nome collettivo i creditori sociali hanno di fronte a sé più patrimoni su cui soddisfarsi: il patrimonio della società e il patrimonio dei singoli soci illimitatamente responsabili → Responsabilità della società e responsabilità dei soci non sono però sullo stesso piano (Segue il principio dell’autonomia patrimoniale delle società di persone: I soci sono responsabili in solido fra loro ma sono responsabili in via sussidiaria rispetto alla società in quanto godono del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale. → I creditori sociali sono cioè tenuti a tentare di soddisfarsi sul patrimonio della società prima di poter aggredire il patrimonio personale dei soci. Tale beneficio opera però diversamente a seconda del tipo di società considerato: ➢ Società semplice: il creditore sociale può rivolgersi direttamente al singolo socio illimitatamente responsabile e sarà questi a dover invocare la preventiva escussione del patrimonio sociale, indicando “i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi”. ➢ Società collettiva irregolare: medesima disciplina della precedente, fermo restando però la responsabilità solidale ed illimitata di tutti i soci. ➢ Società collettiva regolare: il beneficio di escussione è “più intenso” → opera automaticamente: non possono pretendere il pagamento del singolo socio se non dopo l’escussione del patrimonio sociale → Quest’ultima è perciò condizione per l’esercizio dell’azione contro il singolo socio: è necessario che abbia infruttuosamente esperito l’azione esecutiva sul patrimonio sociale. →Ricorrendo le condizioni per poter agire contro i soci, il creditore sociale potrà chiedere a ciascuno di essi il pagamento integrale del proprio credito, dato che i soci sono obbligati in solido fra loro. → Il socio che ha pagato, potrà a sua volta esercitare azione di regresso verso gli altri soci, secondo la misura della partecipazione di ciascuno nelle perdite. -Nel caso la società sia di tipo collettivo regolare, potrà rifarsi direttamente verso la società stessa. È frequente nella pratica che i creditori sociali più forti si facciano rilasciare dai soci specifiche garanzie personali, per sottrarsi alle lungaggini della preventiva escussione del patrimonio sociale in caso di inadempimento → Si è in passato dubitato di tali garanzie, oggi sussiste però l’interesse del creditore a tali garanzie e tanto basta per riconoscerne la validità. 15. – I creditori personali del socio Per quanto concerne i creditori personali dei soci, essi non possono in alcun modo aggredire direttamente il patrimonio sociale, né tantomeno compensare eventuali debiti verso la società con i crediti vantati nei confronti dei singoli soggetti che ne fanno parte. ❖ Ciò nonostante, il creditore particolare del socio può far valere i propri diritti sugli utili spettanti al proprio debitore e può compiere atti conservativi sulla quota allo stesso spettante in caso di liquidazione, come ad esempio un sequestro. →Nelle società semplici e collettive irregolari, inoltre, il creditore può chiedere anche la liquidazione della quota del suo debitore, in qualsiasi momento, qualora riesca a provare che gli altri beni del socio sono insufficienti a soddisfarlo: in tal caso il socio viene escluso di diritto dalla società ed entro tre mesi dalla domanda il creditore riceve una somma di denaro corrispondente al valore della quota del socio escluso, almeno che non venga deliberato lo scioglimento della società ed in tal caso il creditore dovrà attendere la liquidazione della stessa. Per quanto riguarda le società in nome collettivo regolari, invece, il creditore particolare del socio non può chiedere la liquidazione della quota finché dura la società, tenendo presente quella che è la scadenza prevista nell’atto costitutivo. Anche in caso di proroga, infatti, il creditore ha diritto ad ottenere la liquidazione della quota: A. se la proroga è espressa e viene iscritta nel registro delle imprese: il creditore deve opporsi giudizialmente entro tre mesi dall’iscrizione della delibera, ottenendo la liquidazione della quota entro tre mesi dalla sentenza di accoglimento dell’opposizione. B. se la proroga è tacita (L’attività di impresa continui con il consenso di tutti i soci per fatti concludenti) si applica la disciplina della società semplice: con possibilità del creditore di chiedere la liquidazione della quota del suo debitore in qualsiasi momento dimostrando l’insufficienza del restante patrimonio. Se l’amministratore viene nominato con atto separato, invece, è revocabile anche se non sussiste giusta causa, seguendo le norme sul mandato. • A chiedere la revoca della facoltà di amministrare, se sussiste giusta causa, può essere in ogni caso ciascun socio, anche non amministratore. Chiariamo da subito che la qualità di amministratore non ha nulla a che vedere con il fatto che il soggetto sia anche socio: si tratta di due rapporti distinti e separati, che danno vita all’acquisto di diritti e doveri diversi. →Per quanto riguarda gli obblighi e i diritti degli amministratori, la legge prevede che essi siano regolati dalle norme sul mandato, anche se il rapporto di amministrazione non è un rapporto di mandato, in quanto conferisce poteri ben più ampi rispetto a quelli del mandatario, che incontra i limiti degli atti di ordinaria amministrazione, o all’institore, che non può alienare o ipotecare beni immobili sociali, anche se l’amministratore rimane sempre un gradino al di sotto dell’imprenditore, data l’impossibilità di modificare l’attività sociale. →L’amministratore può svolgere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale e ha il dovere di tenere le scritture contabili, redigere il bilancio di esercizio e provvedere agli adempimenti pubblicitari. →È inoltre responsabile, solidalmente con gli altri amministratori, verso la società, con conseguente obbligo di risarcire i danni, qualora non riesca a dimostrare di essere esente da colpa: legittimati ad agire sono tutti coloro che hanno la rappresentanza legale della società. →Gli amministratori, inoltre, sono responsabili anche verso i singoli soci se hanno procurato agli stessi danni in via diretta e immediata. In caso di fallimento della società gli amministratori vanno incontro a determinate sanzioni penali. Per il rapporto di amministrazione vige la “presunzione di onerosità”, per cui a coloro che amministrano dovrebbe spettare un compenso, almeno che essi non figurino come soci d’opera il cui compenso è la partecipazione agli utili e il cui conferimento è rappresentato dal loro compito, oppure nell’ipotesi in cui tutti i soci siano amministratori o ancora nel caso in cui dell’attività svolta si è tenuto conto nell’atto costitutivo riconoscendo una partecipazione agli utili più elevata. 20. – I soci non amministratori I soci non amministratori delle società di persone, benché non possano gestire in alcun modo la società di cui fanno parte, hanno ampi poteri di informazione e controllo, potendo avere notizie dello svolgimento degli affari sociali dai soci amministratori → potendo consultare il rendiconto delle operazioni già compiute o quello annuale e potendo prendere visione di tutte le scritture contabili. Inoltre, sebbene come singoli i soci amministratori non possano intromettersi nell’attività decisionale di chi ha il potere gestorio, essi lo possono fare come gruppo, quantomeno nell’ipotesi di amministratore unico nominato con atto separato: se gli altri soci possono revocare la nomina anche senza giusta causa, è logico pensare che essi possano anche pretendere dei comportamenti positivi dallo stesso soggetto. 21. – Il problema dell’amministratore estraneo Nelle società in accomandita semplice non è possibile per i soci nominare un amministratore esterno. → Lo stesso si può dire per la società semplice, in quanto ciò potrebbe essere un espediente per eludere il principio della responsabilità personale ed illimitata dei soci. →Non si può dire altrettanto, tuttavia, nell’ipotesi della società in nome collettivo: in tal caso, infatti, tutti i soci sono comunque illimitatamente responsabili, indipendentemente da chi ha agito e dal fatto che egli sia amministratore interno o esterno. Quindi nelle società collettive i soci possono nominare anche un terzo quale amministratore della società, ma chiariamo da subito che essi non perdono il potere di direzione: il terzo altro non è che un mandatario generale con più ampi poteri, che deve sempre rispettare le direttive dei soci e la cui nomina può essere revocata liberamente anche se designato nell’atto costitutivo. 22. – Il divieto di concorrenza La legge impone ai soci delle sole SNC, ma non a quelli delle società semplici, all’interno dell’art. 2301 lo specifico divieto di porre in essere, per conto proprio o altrui (quindi anche come amministratore) attività concorrente con quella della società e di partecipare come soci illimitatamente responsabili ad altra società concorrente. → Il divieto non ha carattere assoluto e può essere rimosso dagli altri soci. ❖ Tra l’altro vige soltanto se il socio pone in essere attività concorrente, il che vuol dire che egli può tranquillamente svolgere attività d’impresa, anche con medesimo oggetto sociale se le circostanze escludono l’esistenza di un rapporto concorrenziale, così come è libero di acquistare la qualità di socio limitatamente responsabile di altra società. →La violazione del divieto è motivo di esclusione del socio. 23. – Le modificazioni dell’atto costitutivo Nella società semplice e nella società in nome collettivo “il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente” Art. 2252. →In mancanza di diversa pattuizione, l’interesse del singolo socio a che siano mantenute inalterate le basi organizzative originariamente convenute trova perciò piena tutela. ❖ Nessun patto contrattuale e nessun aspetto della disciplina legale integrativa è modificabile senza il consenso di tutti e quindi di ciascun socio (fatte salve le deroghe previste dalla riforma del 2003 a riguardo della trasformazione / fusione / scissione che prevedono approvazioni a maggioranza, calcolate secondo la quota di partecipazione del singolo socio) → [Vedi Cap. 20]. Trasferimento della quota sociale: fra le modificazioni del contratto sociale rientrano anche i mutamenti nella composizione della compagine sociale → Anche per il trasferimento tra vivi e mortis causa della partecipazione sociale, in forza del rapporto fiduciario (intuitu personae) che intercorre tra i soci, è necessaria l’approvazione di tutti gli altri soci, che può essere comunque data preventivamente stabilendo la libera trasferibilità tra vivi o agli eredi delle quote già all’interno dell’atto costitutivo. Nella società in nome collettivo le modificazioni dell’atto costitutivo sono soggette a pubblicità legale e finché non sono state iscritte nel registro delle imprese non sono opponibili ai terzi (a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza). → La modificazione è tuttavia perfetta e produttiva di effetti indipendentemente dall’iscrizione. Nella società in nome collettivo irregolare le modificazioni dell’atto costitutivo devono essere invece portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei e non sono opponibili a coloro che le abbiano senza colpa ignorate. ❖ Quest’ultimo era anche il regime per le società semplici → Oggi per quelle esercenti attività agricola la recente previsione dell’iscrizione nel registro delle imprese porta queste a seguire la medesima disciplina delle società in nome collettivo. L’art. 2252, tuttavia, prevede che possano essere gli stessi soci, all’interno dell’atto costitutivo, a prevedere che per una modifica dello stesso non sia necessaria l’unanimità ma l’accordo della sola maggioranza: i poteri modificativi del 50% + 1 dei soci, in questo caso, incontrano comunque dei limiti dettati dai principi generali di buona fede nell’esecuzione del contratto e di rispetto della parità di trattamento fra i soci, con l’impossibilità, giusto per fare un esempio, di porre solo a carico di alcuni soci l’obbligo di nuovi conferimenti. 24. – Metodo collegiale e principio maggioritario In alcuni casi, lungo tutta la nostra trattazione, ci siamo imbattuti in norme che prevedevano la necessità di adottare una decisione all’unanimità da parte dei soci, come nel caso di modifica dell’atto costitutivo, in norme che richiedevano una decisione della maggioranza “per quote di interesse” dei soci, come nell’ipotesi di conflitti tra amministratori in regime di amministrazione disgiunta, e ancora in norme che prevedevano la decisione a maggioranza “per teste”, come per l’esclusione di un socio. ❖ Abbiamo incontrato, però, anche tutta una serie di casi in cui il legislatore non precisa se la decisione dei soci debba essere unanime o avvenire a maggioranza ed occorre pertanto stabilire se la regola all’interno delle società di persone sia la maggioranza o l’unanimità, per capire quale di conseguenza debba ritenersi l’eccezione da specificare volta per volta, ad opera del legislatore o delle parti. →In realtà, all’interno delle società di persone, non esiste una regola a cui si contrappone un’eccezione, bensì esistono due regole distinte e separate con un autonomo campo di applicazione: ➢ Il principio del consenso unanime va rispettato in tutti i casi in cui la decisione tocca le “basi organizzative” della società (pensiamo alla revoca della nomina del socio amministratore nominato nell’atto costitutivo o al cambiamento del metodo di amministrazione), salvo per ciò che concerne la deroga introdotta nel 2003 per le operazioni di fusione, scissione e trasformazioni in società di capitale, per cui occorre solo la maggioranza; ➢ Il principio maggioritario per quote di interesse, invece, trova applicazione quando si tratta di decisioni inerenti alla gestione dell’impresa, anche se l’atto costitutivo non dice nulla a riguardo (pensiamo alla nomina e alla revoca degli amministratori per atto separato). →Un altro punto importante su cui il legislatore tace riguarda la modalità con la quale la volontà del gruppo si deve formare: va osservato il metodo collegiale (o assembleare), con conseguente convocazione dei soci, riunione, discussione e votazione, oppure è sufficiente raccogliere il consenso di tutti e, in caso di decisione a maggioranza, il consenso del 50% + 1 dei soci senza neanche informare gli altri che comunque sarebbero in minoranza e pertanto ininfluenti? ❖ Secondo una parte della dottrina il metodo assembleare, nelle società di persone, sarebbe pressoché inutile, essendo necessarie soluzioni più celeri e data l’assenza di personalità giuridica. ❖ Secondo altri studiosi, invece, il metodo assembleare sarebbe previsto nel nostro ordinamento anche in ipotesi di gruppi senza personalità giuridica (associazioni non riconosciute, comunione ecc.) e sarebbe l’unico a consentire di raggiungere una decisione ponderata, risultando pertanto necessario quantomeno per le decisioni di maggior rilievo a maggioranza. →Secondo l’autore Campobasso la seconda tesi è più condivisibile, sebbene il mancato rispetto del metodo assembleare comporti solo effetti obbligatori ed interni, senza pregiudicare i terzi, altrimenti si pone il problema di quale regime d’invalidità applicare (quello delle associazioni? Della comunione? ecc.) in caso di inosservanza del metodo in questione. D. Scioglimento del singolo rapporto sociale 25. – Scioglimento del singolo rapporto e scioglimento della società Si ha scioglimento del singolo rapporto sociale in caso di morte, recesso o esclusione del socio. Il principio osservato in materia è quello della conservazione della società, secondo cui lo scioglimento del singolo rapporto non determina lo scioglimento della società, almeno che la specifica partecipazione non fosse essenziale, valutazione che spetta ai soci rimasti, i quali devono definire i rapporti con il socio uscente o con gli eredi del socio defunto, liquidando la quota. →Sono i soci a decidere se continuare o porre fine alla società. 29. – La liquidazione della quota In qualsiasi caso di scioglimento del singolo rapporto sociale, il socio uscente o gli eredi di quello defunto hanno diritto alla liquidazione del “valore” della quota entro 6 mesi dal giorno dello scioglimento o entro 3 mesi nell’ipotesi di richiesta del creditore particolare: notiamo che si parla di “valore” della quota, il che implica che non spettino i beni conferiti, anche qualora siano ancora presente nel patrimonio sociale. • Il valore in questione, tuttavia, deve tener conto dell’intera situazione patrimoniale della società e quindi anche delle operazioni in corso e dell’avviamento dell’azienda sociale, nonché di utili e perdite, potendo essere anche negativo (in tal caso al socio uscente o agli eredi non spetta alcunché). →Socio uscente ed eredi, come abbiamo già detto, rimangono responsabili personalmente verso i terzi per le obbligazioni sorte prima dello scioglimento. E. Scioglimento della società 30. – Le cause di scioglimento Art. 2272: individua le cause di scioglimento della società semplice, valide anche per la collettiva: ➢ Decorso del termine fissato dal contratto sociale, almeno che non vi sia proroga tacita (per comportamenti concludenti) o espressa da parte dei soci. ➢ Conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo:nella seconda ipotesi deve trattarsi di impossibilità definitiva di continuare l’attività sociale. ➢ Volontà di tutti i soci: salva la possibilità per l’atto costitutivo di prevedere che lo scioglimento possa essere deciso anche dalla maggioranza degli stessi. ➢ Mancanza sopravvenuta della pluralità dei soci: se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita. ➢ Altre cause previste dal contratto sociale. Per le sole società in nome collettivo sono cause di scioglimento anche il fallimento e il provvedimento con cui viene disposta la liquidazione coatta amministrativa. →Tutte le cause operano automaticamente ed ogni socio può chiederne l’accertamento in giudizio, sebbene lo scioglimento operi dal momento in cui la causa si è verificata. 31. – La società in stato di liquidazione Il verificarsi di una delle suddette cause di scioglimento determina il passaggio dalla fase di “gestione attiva” a quella di “liquidazione” della società, il che nelle società collettive comporta la comunicazione di tale situazione negli atti e nella corrispondenza. ❖ Tuttavia, non si ha estinzione immediata della società, in quanto occorre prima soddisfare i creditori sociale e provvedere all’eventuale distribuzione del residuo attivo (eventuale perché non è detto che residui alcunché). →Durante il periodo in cui la società verte in stato di liquidazione i poteri degli amministratori sono di gran lunga limitati, dovendo gli stessi attenersi ai soli “affari urgenti”, sebbene atti non urgenti possano essere ratificati o autorizzati dagli altri soci. →Allo stesso tempo i liquidatori, che subentrano agli amministratori, non possono intraprendere nuove operazioni se non nel caso in cui siano autorizzati dai soci, altrimenti ne risponderanno personalmente e illimitatamente. Durante lo stato di liquidazione i creditori sociali devono attendere la normale scadenza per ottenere i pagamenti, mentre i creditori dei singoli soci non possono più ottenere la liquidazione della quota, dovendo attendere il termine del procedimento per potersi rifare sulla quota liquidata ai singoli. →Resta salva la facoltà dei soci, all’unanimità, di revocare lo stato di liquidazione, con ritorno della società alla normale attività di gestione. 32. – Il procedimento di liquidazione Legislatore: sancisce la libertà delle parti di definire, nell’atto costitutivo o al momento dello scioglimento, le modalità con cui lo stesso si deve svolgere → piena libertà per ciò che concerne la disciplina convenzionale del procedimento di liquidazione. ❖ La disciplina del procedimento legale di liquidazione è invece contenuta negli artt. 2275-2283 per la società semplice e negli artt. 2309-2312 per quanto riguarda la società collettiva. Il procedimento in questione inizia con la nomina all’unanimità (salvo diversa previsione dell’atto costitutivo) dei liquidatori, che in caso di disaccordo vengono nominati dal tribunale. →La revoca può avvenire per giusta causa, sempre ad opera dei soci all’unanimità o attraverso decisione giudiziaria: • Nella Snc e di recente anche nella società semplice è prevista la necessità di iscrivere nel registro delle imprese nomina e revoca dei liquidatori, mentre per la società irregolare tali vicende devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei e non sono opponibili a coloro che senza colpa le hanno ignorate. I liquidatori devono accettare la nomina e possono anche essere terzi non soci: "Essi prendono il posto degli amministratori, dai quali ricevono beni, documenti sociali e conto della gestione per il periodo successivo all’ultimo rendiconto, e insieme ai quali redigono l’inventario o anche detto bilancio di apertura della liquidazione, da cui risulta lo stato attivo e passivo del patrimonio e attraverso il quale si esaurisce il compito degli amministratori, dato che viene fissato il momento oltre il quale gli stessi non sono più responsabili”. Compito dei liquidatori è quello di regolare tutti i rapporti collegati all’attività sociale ed è per tal motivo che essi hanno il potere di compiere tutti gli atti necessari affinché venga ultimata la liquidazione. • Anzitutto per procedere al pagamento dei creditori sociali essi possono chiedere ai soci il versamento dei conferimenti ancora dovuti, sempre se i “fondi disponibili” non sono sufficienti, così come possono richiedere le somme ulteriormente necessarie rispettando la partecipazione di ciascun socio alle perdite. I liquidatori, come già anticipato, non possono intraprendere “nuove operazioni”, per tali intendendosi manovre che non sono in rapporto di mezzo a fine rispetto all’attività di liquidazione, altrimenti si espongono ne rispondono personalmente e solidalmente nei confronti dei terzi, mentre il vincolo non sorge per la società, salvo in caso di mancata conoscenza senza colpa dello stato di liquidazione per le sole società irregolari. • Un altro divieto che sorge in capo ai liquidatori è quello inerente l’impossibilità di ripartire tra i soci i beni sociali prima che tutti i creditori siano soddisfatti, il che espone i liquidatori stessi a responsabilità civile e penale. La prima cosa da fare, dunque, è estinguere i debiti sociali, anche alienando in massa i beni aziendali. →Dopo tale fase e soddisfatti tutti i creditori, si passa alla restituzione dei beni concessi in godimenti, nello stato in cui si trovano, salvo i casi di perimento o deterioramento dovuti agli amministratori per cui è prevista la possibilità di agire contro gli stessi, oltre che di ottenere il risarcimento del danno da parte del patrimonio sociale. ❖ Una volta restituiti i beni in godimento va ripartito tra i soci l’eventuale attivo patrimoniale residuo, provvedendo anzitutto al rimborso del valore nominale dei conferimenti e ripartendo l’eccedenza, qualora esista, in proporzione alla partecipazione dei soci nei guadagni. →Per la società semplice non è prevista alcun procedimento particolare di chiusura della liquidazione, mentre nella Snc è d’obbligo per i liquidatori provvedere alla stesura del BILANCIO Finale di liquidazione, in cui viene esposto il conto economico (entrate e uscite) e la situazione patrimoniale finale (denaro in cassa ed eventuali beni in natura), e del piano di riparto, inerente alla proposta di divisione dell’attivo residuo tra i soci. →Bilancio sottoscritto dai liquidatori e piano di riparto vanno comunicati tramite raccomandata e si intendono approvati se non vi è impugnazione nel termine di 2 mesi dalla comunicazione; ❖ in caso di impugnazione del bilancio e del piano, invece, i liquidatori possono chiedere l’esame separato delle questioni riguardanti l’uno e l’altro documento. 33. – L’estinzione della società Al procedimento di liquidazione segue l’estinzione della società, non essendo necessario che i liquidatori ripartiscano l’attivo residuo dei soci, come invece avviene nelle società di capitali. ❖ Nelle società collettive irregolari la chiusura del procedimento di liquidazione coincide con l’estinzione, sempre che si sia provveduto a soddisfare realmente tutti i creditori, altrimenti la società risulterà ancora esistente. ❖ Nelle società collettive regolari e nelle società semplici, invece, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese, perché è solo con la stessa che la società può dirsi estinta, e ciò nonostante possano esserci creditori sociali insoddisfatti. →I liquidatori provvedono anche a depositare presso terzi indicati dalla maggioranza dei soci scritture contabili e documenti non spettanti agli ex soci e che devono essere conservati per 10 anni. La cancellazione può essere anche disposta d’ufficio quando l’ufficio del registro delle imprese ravvisi: ▪ Mancanza di attività per tre anni consecutivi; ▪ Mancanza del codice fiscale; ▪ Irreperibilità presso la sede legale; ▪ Mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi; ▪ Decorrenza del termine di durata senza proroga espresso o tacita. La cancellazione è dunque condicio sine qua non l’estinzione non avviene. Dopo tale atto formale, invece, la società non esiste più e gli eventuali creditori insoddisfatti potranno agire, a norma dell’art. 2312, nei confronti dei singoli soci, illimitatamente e personalmente responsabili, o anche dei liquidatori se possono dimostrare che gli stessi abbiano violato il divieto di ripartizione dei beni sociali prima del soddisfacimento di tutti i creditori. 34. (Segue) – Il fallimento della società estinta I creditori della società in nome collettivo possono infine chiedere il fallimento della società entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese. → D. Lgs. N. 5 2006: che ha riformulato l’Art. 10 L. Fallimentare, allo scopo di adeguarlo alla giurisprudenza della corte costituzionale: ❖ Benché il punto non sia pacifico, si deve ritenere che in base alle nuove regole per le società irregolari, possono essere dichiarate fallire senza limiti di tempo dopo la cessazione dell’attività d’impresa. → [Vedi Cap. 3.8 Libro I]. Per quanto riguarda l’attività esterna, invece, l’accomandante può essere dotato del potere di rappresentanza della società, in forza di una “procura speciale per singoli affari”: il potere di direzione, in tal caso, rimane agli accomandatari, mentre devono essere specificati gli affari per cui l’accomandante può trattare e che può concludere. → Non può mai agire, invece, come procuratore generale o institore. Se l’accomandante viola il divieto di immistione, come già anticipato, perde il beneficio della responsabilità limitata, rimanendo esposto illimitatamente e solidalmente con gli accomandatari per tutte le obbligazioni sociali, oltre che al fallimento. →Egli, tuttavia, non diventa in alcun modo un socio accomandatario. Per quanto concerne le specifiche obbligazioni nate proprio dall’atto di immistione dell’accomandante, invece, trovano applicazione i principi generali della rappresentanza, motivo per cui la società resta vincolata solo se vi era regolare procura o se l’operato dell’agente viene ratificato successivamente dagli amministratori, altrimenti responsabile è solo l’accomandante che ha operato al pari di un rappresentante senza poteri, senza possibilità di rivalsa verso la società o gli accomandatari. →Ultima sanzione per l’accomandante che ha violato il divieto è l’esclusione dalla società, impossibile però se l’atto che ha violato il divieto di immistione viene ratificato o autorizzato dagli amministratori. 5. – Il trasferimento della partecipazione sociale. Per il trasferimento della quota degli accomandatari tramite atto tra vivi è necessario il consenso di tutti i soci, accomandanti e altri accomandatari. → Per il trasferimento mortis causa della stessa, invece, è necessario il consenso anche degli eredi. Nel caso degli accomandanti, invece, è libero il trasferimento mortis causa, per cui non occorre consenso da parte dei superstiti, mentre se avviene tramite atto tra vivi, è necessario il consenso di tanti soci che rappresentino la maggioranza del capitale sociale. →Il tutto se l’atto costitutivo non prevede diversamente (disciplina derogabile). 6. – Lo scioglimento della società. Il punto che più di tutti caratterizza la società in accomandita semplice è sicuramente rappresentato dalle due categorie di soci, gli accomandanti e gli accomandatari → È ovvio che la SAS si sciolga, oltre che per le altre cause già viste per le società collettive [Vedi Cap. 2.30 IMP.], anche se “entro il termine di sei mesi non viene ripristinata la categoria di soci venuta meno”, qualora siano rimasti solo accomandanti o solo accomandatari. ❖ Se durante tale periodo ci sono solo accomandatari, allora l’attività continua normalmente, anche se la duplice categoria deve essere ugualmente ripristinata. Se, invece, ci sono solo accomandanti, essi devono nominare un amministratore provvisorio, la cui gestione si deve limitare all’ordinaria amministrazione, in quanto andando oltre egli inizia a rispondere illimitatamente per le obbligazioni sociali. →Una volta trascorsi i sei mesi, se la duplicità non è stata ristabilita e nello stesso tempo non è stato avviato il procedimento di liquidazione, la sas si trasforma in una collettiva irregolare, con l’applicazione della relativa disciplina di minor favore. →Per la liquidazione e l’estinzione valgono le stesse norme già esaminate per le SNC regolari, con l’unica differenza che una volta intervenuta la cancellazione dal registro delle imprese, i creditori insoddisfatti possono rifarsi sugli accomandanti SOLO nel limite di quanto dagli stessi ricevuto a titolo di quota di liquidazione, perché essi godevano del beneficio della responsabilità limitata. 7. – La società in accomandita irregolare. Se l’atto costitutivo della società in accomandita semplice non viene iscritto nel registro delle imprese, la società non è invalida ma opera come irregolare, con conseguente applicazione di una diversa disciplina. ❖ Permane la differenza tra accomandanti e accomandatari, con conseguente limitazione della responsabilità dei primi, ma il divieto di immistione degli accomandanti assume carattere assoluto, dato che l’accomandante non può agire in nome della società neanche in forza di una procura speciale. Per il resto si applica la disciplina della collettiva irregolare: ➢ I creditori sociali possono agire direttamente nei confronti dei soci illimitatamente responsabili (accomandatari) e incombe su questi ultimi l’onere di chiedere la preventiva escussione del patrimonio sociale, indicando i beni sui quali rifarsi. →Viene meno, dunque, l’operatività automatica del beneficio di escussione operante nella collettiva e nell’accomandita regolari. ➢ I creditori particolari dei soci, inoltre, possono sempre chiedere la liquidazione della quota del loro debitore, provando l’insufficienza degli altri beni personali del socio, diversamente da ciò che avviene nell’accomandita regolare durante la durata del contratto. ➢ Opera, infine, la presunzione secondo cui il socio che agisce, anche se accomandante, abbia la rappresentanza della società anche in giudizio. Capitolo IV – La Società per Azioni. 1. – Nozione e caratteri essenziali. La società per azioni è una società di capitali in cui: • Per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio → Art. 2325.1. • La partecipazione sociale è rappresentata da azioni → Art. 2346.1. Dunque, la società per azioni si distingue, tra le società di capitali: ▪ sia dalla società in accomandita per azioni dove, benché le quote siano rappresentate da azioni, vi è una particolare categoria di soci, accomandatari, responsabili solidalmente ed illimitatamente con la società per le obbligazioni della stessa; ▪ sia dalla società a responsabilità limitata, dove vi è autonomia patrimoniale perfetta ma le quote dei soci non possono essere rappresentate da azioni né possono costituire oggetto di offerta al pubblico. →Analizziamone i caratteri essenziali: ➢ Anzitutto la società per azioni gode di personalità giuridica, essendo autonomo centro di imputazione, soggetto di diritto formalmente distinto dalle persone dei soci e godendo di autonomia patrimoniale perfetta: solo la società può essere qualificata come imprenditore ed è sempre quest’ultima ad essere soggetta alla disciplina propria dell’attività d’impresa. ➢ I soci, godendo la società per azioni di autonomia patrimoniale perfetta, sono tenuti solo ad eseguire i conferimenti promessi e sono essi, quindi, a decidere quale parte del proprio patrimonio personale intendono esporre al rischio d’impresa. →L’autonomia patrimoniale perfetta, dunque, fa sì che i creditori della società possano rifarsi solo ed esclusivamente sul patrimonio della stessa: anche se il legislatore ha dettato una disciplina a tutela dei creditori inerente l’effettività e l’integrità del capitale sociale, oltre che l’informazione contabile periodica sulla situazione patrimoniale e sui risultati economici della società. ➢ A fare da contrappeso alla responsabilità limitata dei soci, inoltre, vi è l’organizzazione di tipo corporativo propria della società per azioni, basata sulla compresenza di tre organi: l’assemblea, l’organo di gestione e l’organo di controllo. Il singolo socio non ha poteri di amministrazione e di controllo: egli si limita, col proprio voto proporzionato alla quota di capitale sottoscritto ed al numero di azioni possedute, alla designazione dei membri dell’organo amministrativo e di quello di controllo: ❖ Tali membri, dunque, sono del tutto distinti dalle persone dei soci e rispondono, tanto in sede civile quanto in sede penale, dei danni arrecati alla società in seguito a violazione dei propri doveri. ❖ L’assemblea dei soci, inoltre, decide a maggioranza: si tratta di una “maggioranza per capitale”, in quanto il peso del singolo socio è determinato dal numero di azioni possedute e dal capitale sociale sottoscritto. Sono coloro che detengono la maggioranza di capitale e che, pertanto, rischiano maggiormente a prendere le decisioni di maggior rilievo. ➢ L’ultimo carattere essenziale della società per azioni è sicuramente determinato dal fatto che le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da “partecipazioni-tipo omogenee e standardizzate”, ossia azioni di uguale valore e che conferiscono uguali diritti. 7. – L’atto costitutivo: forma e contenuto. Per l’atto costitutivo sono previsti dei requisiti di forma e di contenuto. Per quanto concerne la forma è richiesto, sotto pena di nullità, che l’atto costitutivo sia redatto tramite atto pubblico: può trattarsi di un contratto o, a partire dalla riforma del 2003, di un atto unilaterale, data la possibilità di costituire una società per azioni da parte di un unico socio fondatore. Per quanto concerne il contenuto dell’atto costitutivo è l’art. 2328 a prevederne i requisiti: 1) Cognome e nome dei soci o denominazione (nel caso di società), data e luogo di nascita o Stato di costituzione, sede o domicilio e cittadinanza dei soci e dei promotori, numero delle azioni assegnate a ciascun socio; 2) Denominazione e comune dove si trova la sede della società, con indicazione di eventuali sedi secondarie. La scelta della denominazione è del tutto libera, benché debba prevedere l’indicazione “società per azioni” e non possa essere simile o identica ad altra società concorrente (“sede sociale” è lo stabile principale) 3) Oggetto sociale: si tratta del tipo di attività economica che la società intende svolgere. Possono essere indicate anche più attività, tra cui spicca una ritenuta come principale (non può essere generica) → Il Lgs. del 2003 vuole che questo sia ben definito, per far fronte ai problemi di identificazione che sorgevano in precedenza; 4) Ammontare del capitale sottoscritto e versato → Oggi 25% (100% se la SPA è unipersonale). 5) Numero e valore nominale delle azioni, modalità di emissione e circolazione delle stesse; 6) Valore attribuito a crediti e beni conferiti in natura, ammesso che esistano; 7) Norme inerenti alla ripartizione degli utili, indicazione necessaria solo in caso di modifica della disciplina prevista dalla legge; 8) Benefici eventualmente accordati a promotori e soci fondatori, nei limiti già descritti; 9) Sistema di amministrazione adottato, numero degli amministratori e loro poteri, con l’indicazione di quali amministratori hanno potere di rappresentanza della società; 10) Numero dei componenti del collegio sindacale; 11) Nomina dei primi amministratori e sindaci (oppure dei componenti del consiglio di sorveglianza), così come dell’eventuale soggetto che deve esercitare il controllo contabile; 12) Importo globale delle spese per la costituzione della società: indicazione necessaria perché la regolazione della SPA è durevole nel tempo → gli amministratori devono essere consapevoli di quanto sta accadendo nella costituzione della società. 13) Durata della società, la quale può essere anche a tempo indeterminato. →Il difetto di uno di questi elementi legittima il rifiuto del notaio alla stipulazione dell’atto costitutivo → Lo statuto è parte integrante dell’atto costitutivo e per allegato si intende che il notaio ne ha data integrale lettura (se no l’atto diviene nullo). 8. – Le condizioni per la costituzione. L’art. 2327 prevede che la società per azioni debba avere un capitale minimo di € 50’000, salvo il caso in cui leggi speciali non prevedano capitali minimi diversi per determinati modelli societari. L’art. 2329, poi, prevede che per procedere alla costituzione della società per azioni occorra: ▪ La sottoscrizione per intero del capitale sociale; ▪ Il rispetto delle disposizioni inerenti i conferimenti; ▪ La sussistenza delle autorizzazioni governative e delle altre condizioni previste da leggi speciali per società che hanno un particolare oggetto sociale. Tali requisiti devono esistere al momento della stipulazione dell’atto costitutivo ed in mancanza il notaio non può provvedere alla stessa: ❖ È lo stesso notaio, poi, che deve provvedere, entro 20 giorni dalla stipulazione dell’atto costitutivo, a richiedere l’iscrizione nel registro delle imprese. 9. – Gli effetti della stipulazione dell’atto costitutivo. La stipulazione dell’atto costitutivo, tuttavia, non è idonea, da sola, a costituire la società per azioni, essendo necessaria l’iscrizione nel registro delle imprese, anche se dà vita ad una serie di effetti immediati e preliminari. ❖ Anzitutto i contraenti sono vincolati a costituire la società e non possono ritirare il proprio consenso, se non nel caso in cui non si possa addivenire alla costituzione della società per fatti a loro non imputabili. ❖ Le somme date in conferimento rimangono vincolate alla costituzione della società e vengono consegnate agli amministratori solo qualora questi possano provare l’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese. ❖ I sottoscrittori hanno diritto a ricevere indietro le somme in questione solo se la società non viene iscritta nel registro delle imprese dopo 90 giorni dalla stipulazione dell’atto. →Infatti, è dopo 90 giorni che l’atto costitutivo perde la propria efficacia. →Se non provvede il notaio a depositare l’atto costitutivo presso il registro delle imprese, se ne occupano gli amministratori, altrimenti può provvedervi ogni socio a spese della società. 10. – Il controllo notarile. →Prima: tribunale → omologazione + controllo di legalità sostanziale. →Oggi tale compito spetta al notaio: anche il notaio, dunque, svolge un controllo di legalità sostanziale inerente alla conformità alla legge della costituenda società: il notaio non deve accertare se l’atto sia valido o meno, ma se la società è o meno conforme alla legge, andando anche oltre la regolarità formale dell’atto costitutivo e la verifica della mancanza di cause di nullità. 11. – Iscrizione nel registro delle imprese. Si procede all’iscrizione nell’ufficio del registro delle imprese. → L’ufficio in questione, diversamente dal notaio, esegue un mero controllo di regolarità formale della documentazione. È con l’iscrizione nel registro delle imprese che la società per azioni può dirsi costituita, che essa prende vita, acquistando la personalità giuridica. 12. – Le operazioni compiute prima dell’iscrizione. Possono essere poste in essere delle operazioni in nome della società costituenda, di una società, dunque, che ancora non esiste. L’art. 2331.2 prevede, a tal proposito, che per le “operazioni compiute in nome della società prima dell’iscrizione siano illimitatamente e solidalmente responsabili verso terzi colo che hanno agito”. ❖ Sono, altresì, responsabili anche i soci fondatori, o il socio unico fondatore, che hanno autorizzato il compimento delle operazioni. →Prima dell’iscrizione della società nel registro delle imprese, inoltre, è vietata l’emissione delle azioni se non nel caso di costituzione per pubblica sottoscrizione. 13. – La nullità della società per azioni. L’intero procedimento costitutivo della società, così come lo stesso atto costitutivo, possono essere viziati e presentare determinate anomalie: l’ordinamento, però, reagisce in due modi diversi a seconda che si tratti di un’anomalia antecedente o successiva all’iscrizione nel registro delle imprese. ❖ I vizi precedenti all’iscrizione nel registro delle imprese sono quelli riguardanti la “nullità generale dei contratti” di cui all’art.1418 del codice (mancanza di uno dei requisiti del contratto, illiceità della causa ecc.). La situazione cambia quando la società è stata del tutto costituita tramite l’iscrizione nel registro delle imprese: non si tratta più di ritenere nullo un semplice contratto, ma occorre intervenire su una società - organizzazione che si è già costituita e che, pertanto, è entrata in contatto con terzi ponendo in essere la propria attività. ❖ Occorre, dunque, applicare una differente disciplina legislativa, inerente alla nullità scioglimento della società, definendo però l’attività già svolta: è di ciò che si occupa l’art. 2332 in tema di “nullità della società per azioni iscritta”, articolo rivisto nel ‘69 e poi nel 2003, che ha ridotto da otto a tre le cause di nullità. La società per azioni può essere dichiarata nulla solo nei casi tassativamente elencati da tale articolo, ossia nelle ipotesi di: ▪ Difetto della forma di atto pubblico nella stipulazione dell’atto costitutivo; ▪ Illiceità dell’oggetto sociale (attenzione, non l’impossibilità dell’oggetto, che al massimo può dar luogo allo scioglimento); ▪ Mancanza nell’atto costitutivo e nello statuto della denominazione della società, dell’indicazione dei conferimenti o dell’ammontare del capitale sociale o dell’oggetto sociale. [Prima della riforma del 2003 erano cause di nullità anche: la mancanza dell’atto costitutivo; l’incapacità di tutti i soci fondatori; la mancanza di più fondatori; il mancato versamento iniziale dei conferimenti in denaro; la mancanza di omologazione del tribunale]. →Per ciò che concerne gli effetti della nullità dobbiamo chiarire che, mentre la nullità del contratto di società, antecedente all’iscrizione nel registro delle imprese, ha efficacia retroattiva e travolge tutti gli effetti prodotti da tale contratto, “la dichiarazione di nullità della società per azioni non pregiudica gli effetti degli atti compiuti in nome della società dopo l’iscrizione nel registro”: si tratta di tutti gli atti compiuti, sia verso i soci, sia verso terzi, tanto in caso di buona fede degli uni e degli altri, quanto nell’ipotesi di conoscenza della causa di nullità. →I soci, poi, non sono liberati dall’obbligo dei conferimenti, né possono ripetere i conferimenti già eseguiti, almeno fino a quando non siano soddisfatti i creditori della società. IMPORTANTE: {Quindi la dichiarazione di nullità della società iscritta non riguarda l’attività eventualmente svolta, operando come una causa di scioglimento della società, quindi solo per il futuro, e si differenzia dallo scioglimento di una società valida solo per il fatto che i liquidatori vengono nominati dal tribunale nella sentenza che dichiara la nullità, il cui dispositivo viene iscritto nel registro delle imprese} → Infine, mentre la nullità di un qualsivoglia contratto risulta insanabile, quella della società è sanabile ad opera dei soci, addirittura in caso di illiceità dell’oggetto sociale: notiamo, quindi, come l’obiettivo sia quello di preservare l’esistenza della società stessa (l’atto costitutivo rivisto andrà iscritto nel registro delle imprese prima della che avvenga l’iscrizione della sentenza che dichiara la nullità). →L’azione di nullità rimane, comunque, imprescrittibile e la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, così come può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Diversa è l’ipotesi della nullità della singola partecipazione del socio, che tra l’altro non travolge l’intera società, ma può essere al massimo causa di scioglimento per l’impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale. ❖ Decorso il termine di 60 giorni, i creditori sociali preesistenti non possono più far valere alcun diritto sul patrimonio destinato né sui frutti da esso derivanti, salvo che per la parte spettante alla società. ❖ Da un altro punto di vista dobbiamo specificare che la società risponde con il solo patrimonio destinato delle obbligazioni nascenti dallo specifico affare: i creditori, in tal caso, non si potranno rifare sul patrimonio generale della società. →Per ogni patrimonio separato vanno tenuti appositi libri e scritture contabili, così come all’interno del bilancio vanno indicati i beni ed i rapporti inerenti ciascun patrimonio, con separato rendiconto in allegato al bilancio. →Se la società ha emesso strumenti finanziari di partecipazione all’affare, deve obbligatoriamente tenere un libro indicante le caratteristiche di tali strumenti, i possessori ed i vincoli ad essi relativi, così come allo stesso tempo è previsto che si formi un’assemblea speciale con un “rappresentante comune”, al fine di tutelare i possessori degli strumenti finanziari (azioni individuali sono consentite anche ai singoli possessori degli strumenti finanziari, salvo che tali azioni non siano incompatibili con le deliberazioni dell’assemblea di categoria). Una volta che l’affare è concluso o che è sfumato in quanto impossibile, gli amministratori redigono un “rendiconto finale”, da depositare presso l’ufficio del registro delle imprese: se risultano ancora esserci dei creditori insoddisfatti, essi possono chiedere, mediante raccomandata da inviare alla società entro 90 giorni dal deposito, la liquidazione del patrimonio destinato. →Se nessun creditore particolare, tra l’altro, chiede la liquidazione del patrimonio separato, esso confluisce nel patrimonio generale, fatta salva la possibilità per gli stessi creditori di rifarsi sullo stesso nel limite del patrimonio separato. 17. (Segue) – I finanziamenti destinati (Art. 2447 decies). La seconda modalità di costituzione di un patrimonio separato è il contratto di finanziamento di uno specifico affare con previsione che al rimborso totale o parziale del finanziamento siano destinati, in via esclusiva, tutti o parte dei proventi dell'affare stesso. ❖ Il contratto deve precisare gli elementi essenziali dell’operazione, ossia: lo specifico oggetto, le modalità ed i tempi di realizzazione, i costi ed i ricavi previsti, i beni strumentali necessari per la realizzazione ed il relativo piano finanziario, indicando la parte coperta dal finanziamento e quella a carico della società. →In questa ipotesi alla società viene concesso un finanziamento, da rimborsare con i proventi dell’affare nel tempo massimo stabilito dal contratto, decorso il quale nulla è più dovuto al finanziatore. ❖ Dal contratto può risultare anche il potere del finanziatore di esercitare dei controlli sull’esecuzione dell’operazione, così come è raccomandabile, per il finanziatore stesso, che la società presti delle garanzie inerenti l’esecuzione del contratto e la concreta, nonché tempestiva, realizzazione dell’operazione. Ma in questa operazione dov’è che si forma il patrimonio separato? → Il patrimonio separato è formato dai proventi dell’affare e dai relativi frutti. →A partire dalla pubblicità del finanziamento destinato, i beni oggetto di separazione patrimoniale, al pari di quelli strumentali all’operazione, non sono più aggredibili dai creditori preesistenti della società, che possono, per i secondi, esercitare solo azioni conservative. ❖ Allo stesso modo il finanziatore non può agire sul patrimonio generale della società, salva l’ipotesi di garanzia di rimborso parziale da parte della società, altrimenti non avrebbe senso definire questa operazione come finanziamento separato, configurandosi come un semplice finanziamento. →Se sopravviene il fallimento della società, il finanziatore può partecipare al fallimento per le somme non riscosse, almeno che il curatore non opti per continuare nella realizzazione dell’operazione, assumendone i relativi oneri. C. I conferimenti 18. – Conferimenti e capitale sociale. Conferimenti: sono i contributi dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della società, la cui funzione essenziale è quella di assicurare alla stessa un capitale di rischio iniziale per lo svolgimento dell’attività d’impresa (funzione produttiva dei conferimenti). →I conferimenti, dunque, formano il patrimonio iniziale della società ed il loro valore esprime la cifra del capitale sociale nominale, ossia quello di cui i soci non possono disporre durante la vita della società (funzione vincolistica) e che funge da riferimento per i diritti dei vari azionisti (funzione organizzativa) → IMPORTANTE. Per quanto riguarda le società per azioni è prevista un’apposita disciplina, assente nelle società di persone, in materia di conferimenti, al fine di garantire che gli stessi vengano “effettivamente acquisiti” dalla società e che il valore assegnato dai soci ai conferimenti sia veritiero. ❖ Di regola, quindi, a ciascun socio dovrebbe spettare un numero di azioni proporzionale alla quota di capitale sociale sottoscritta, per un valore non superiore al suo conferimento. →Tuttavia, tale principio è derogabile, in quanto ciò che interessa è che il valore dei conferimenti rispecchi l’ammontare globale del capitale sociale, essendo possibile una ripartizione delle azioni non proporzionale al conferimento di ciascuno (anche se non è possibile assegnare azioni a chi non ha effettuato conferimenti). Gli scopi perseguiti dalla disciplina dei conferimenti rimangono, come già anticipato, due: 1. Effettiva acquisizione dei conferimenti stessi; 2. Effettività del loro valore. 19. – I conferimenti in danaro. Nella società per azioni (Art. 2342) i conferimenti devono essere effettuati in denaro, se non è diversamente previsto dall’atto costitutivo. ❖ Tra l’altro, per evitare che l’attivo patrimoniale della società sia inizialmente composto da soli crediti verso i soci, gli stessi hanno l’obbligo di versare, in fase di costituzione della società, il 25% dell’ammontare globale dei conferimenti presso una banca (il 100% del conferimento se si tratta di società unipersonale). ❖ Una volta costituita la società, gli amministratori hanno il diritto non solo di prelevare quel 25% già versato, ma di chiedere, in qualsiasi momento, il residuo dei conferimenti ai vari soci, i versamenti ancora dovuti → Solo in tal caso, infatti, le azioni possono considerarsi interamente liberate, in quanto è stato versato l’intero ammontare dei conferimenti. →Tuttavia, anche le azioni non interamente liberate sono trasferibili, sebbene debbano essere “nominative” ed il titolo azionario debba indicare i versamenti ancora dovuti: in caso di trasferimento delle azioni, infatti, l’obbligo di versamento dei conferimenti si trasferisce all’acquirente, al socio attuale. ❖ Se il socio non esegue il pagamento delle quote dovute, versando quindi in uno stato di mora, egli non può esercitare il diritto di voto e contro lo stesso, invece della semplice azione giudiziaria volta ad ottenere l’adempimento, può essere promossa una più celere vendita coattiva delle azioni appartenenti al socio moroso. ❖ Decorsi 15 giorni dalla pubblicazione della diffida in Gazzetta Ufficiale, gli amministratori possono offrire tali azioni agli altri soci ed in mancanza di offerte collocarle in vendita presso banche ed intermediari abilitati. ❖ Se nessuno le acquista, gli stessi amministratori, ancora alternativamente alla normale azione giudiziaria, possono dichiarare decaduto il socio, trattenendo i conferimenti già versati, salvo poi chiedere il risarcimento dei danni. →Da questo momento, le azioni confluiscono nel patrimonio della società, che può rimetterle in vendita entro l’esercizio in cui è stata pronunciata la decadenza, ma se non riesce a collocarle deve procedere all’annullamento delle stesse, riducendo per l’ammontare corrispondente il capitale sociale, non essendo possibile creare una discrepanza tra lo stesso e le ripartizioni in azioni. →I conferimenti diversi dal denaro, invece, devono essere liberati integralmente al momento della sottoscrizione, anche se possono verificarsi ugualmente casi di mancata attuazione: si dibatte, in tal caso, sulla possibilità di utilizzare la procedura accelerata di esclusione del socio inadempiente, di cui abbiamo parlato. 20. – I conferimenti diversi dal danaro. Differentemente da ciò che avviene per le società di persone, nelle società per azioni non ogni entità economica può essere conferita alla società: l’art. 2342 prevede, infatti, che “non possano formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi”. ❖ Sarebbe difficile fornire una valutazione oggettiva delle stesse e garantirne l’apporto reale al capitale sociale. →Per quanto riguarda, invece, i beni in natura ed i crediti dei singoli soci, essi possono formare oggetto di conferimenti solo se vengono integralmente liberati al momento della sottoscrizione: ciò vuol dire che la società ne deve acquistare la titolarità e la piena disponibilità al momento della propria costituzione e non in seguito. ❖ Ecco perché le cose generiche, future o altrui non possono essere conferite, in quanto il consenso del conferente, che per esempio ne entrerà in possesso solo in futuro, non è sufficiente per far acquisire il bene alla società. →È ammissibile il conferimento di diritti di godimento, in quanto in tal caso la società acquista l’effettiva disponibilità del bene ed è in grado di trarne tutte le utilità e ciò è sufficiente affinché le azioni vengano integralmente liberate al momento della sottoscrizione. →Anche le prestazioni di dare suscettibili di valutazione economica oggettiva ed immediata possono considerarsi come conferimenti validi ed efficaci: se, per esempio, un socio ha un diritto di brevetto per un’invenzione industriale può benissimo decidere di girarlo alla società a titolo di conferimento, in quanto si tratta di valori immateriali, iscrivibili in bilancio ed imputabili a capitale. 21. (Segue) – La valutazione. Al fine di assicurare una valutazione oggettiva e veritiera ai conferimenti diversi dal denaro, in natura o di credito, e per evitare che ad essi venga assegnato un valore nominale superiore a quello reale, è previsto un apposito procedimento di valutazione, diviso in più fasi: →La prima fase di questo procedimento consiste nella presentazione, da parte di chi effettua il conferimento in natura o di credito, di una relazione giurata di stima di un esperto designato dal tribunale del luogo in cui ha sede la società: all’interno di tale relazione l’esperto deve attestare il valore del conferimento come pari a quello attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale; la stessa relazione va allegata all’atto costitutivo e rimane depositata presso l’ufficio del registro delle imprese → La mancanza della stessa non comporta né la nullità della società, né la nullità del conferimento. ❖ Il valore assegnato al conferimento all’interno della stima ha, però, solo carattere provvisorio, in quanto entro 180 giorni dalla costituzione della società gli possono controllare il valore e procedere alla revisione della stima. Nel frattempo, le azioni rimangono depositate presso la sede della società e sono inalienabili. →La seconda fase, dunque, è quella di revisione della stima: se il valore dei beni o dei crediti risulta inferiore di oltre 1/5 rispetto a quello per cui avvenne il conferimento, la società deve ridurre proporzionalmente il capitale sociale e annullare le azioni scoperte. In realtà, però, tale revisione va comunicata al socio, il quale ha dinanzi a sé diverse alternative: ▪ Impugnare la revisione della stima, fatta dagli amministratori, dinanzi all’autorità giudiziaria; Capitolo V – La Azioni. 1. – Nozione e caratteri. Le azioni sono le quote di partecipazione dei soci nella società per azioni: si tratta di quote di partecipazione omogenee e standardizzate, liberamente trasferibili e, almeno di regola, rappresentate da documenti, i titoli azionari, che circolano secondo la disciplina dei titoli di credito. Il capitale sottoscritto nelle SPA viene diviso, infatti, in un numero predeterminato di parti di identico ammontare (criterio astratto-matematico), ciascuna delle quali costituisce un’azione ed attribuisce identici diritti nella società e verso la società → L’azione, dunque, rappresenta l’unità minima di partecipazione al capitale sociale e l’unità di misura dei diritti sociali. È perciò indivisibile, tanto che se più soggetti diventano titolari della medesima azione, essi devono necessariamente nominare un rappresentante comune per l’esercizio dei diritti spettanti (art.2347.1). →Tuttavia, in relazione all’ammontare del capitale sottoscritto, ciascun socio diventa titolare non di un’unica quota di partecipazione, ma di tante quote per quante sono le azioni sottoscritte, distinte ed autonome rispetto alle altre possedute dallo stesso soggetto. →I caratteri essenziali delle azioni, quindi, sono i seguenti: ▪ Circolazione in forma cartolare; ▪ Libertà di trasferimento; ▪ Uguaglianza di valore e di diritti; ▪ Indivisibilità. →Possiamo considerare le azioni sotto tre profili diversi: 1. Parti del capitale sociale; 2. Complesso unitario di diritti in cui si sintetizza la partecipazione sociale; 3. Titoli circolanti. A. Azioni e Capitale Sociale 2. – Il valore delle azioni. Art. 2348.1: “Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti” → devono rappresentare un’identica frazione del capitale sociale nominale. Dobbiamo prendere in considerazione quattro definizioni diverse di “valore”: valore nominale delle azioni, valore di emissione, valore reale (o anche detto valore di bilancio) e valore di mercato. 1. Si definisce valore nominale delle azioni la parte di capitale sociale che ciascuna di esse rappresenta, espressa in cifra monetaria: se il capitale sociale è di 1 milione di euro, esso può essere diviso in centomila azioni da 10 euro, dove “10 euro” è il valore nominale. →Le azioni, in realtà, possono essere emesse con valore nominale o senza indicazione del valore nominale, ma non possono essere emesse, contemporaneamente, azioni di entrambi i tipi. →Per le azioni con valore nominale lo statuto deve prevedere non solo il capitale sottoscritto, ma anche il valore nominale di ciascuna azione ed il loro numero complessivo. ❖ Il valore nominale è insensibile alle variazioni di patrimonio sociale, in quanto rimane invariato nel tempo e può essere modificato solo rivedendo l’atto costitutivo e prevedendo un maggior frazionamento o il raggruppamento di più azioni. →Nelle azioni senza valore nominale, invece, lo statuto deve prevedere solo il capitale sottoscritto ed il numero di azioni emesse: in questa ipotesi il diritto di voto ed il diritto agli utili del socio, ossia la sua partecipazione al capitale sociale, sono espressi in percentuale: • tuttavia, anche le azioni senza valore nominale esprimono la frazione di capitale sociale da ciascuna rappresentato, in quanto è sempre possibile dividere l’ammontare del capitale per il numero di azioni, sebbene in tal caso non si parli di indicazioni in cifra monetaria. →Tanto per le azioni con valore nominale quanto per quelle senza valore nominale, vige la regola secondo cui non è mai possibile che il valore complessivo dei conferimenti sia inferiore all’ammontare globale del capitale sociale. 2. Qui è necessario introdurre il concetto di valore di emissione di un’azione, ossia il “prezzo che l’azionista deve pagare alla società per poterla sottoscrivere”: un’azione può essere emessa alla pari, se viene pagata per quella che è la parte di capitale sociale che rappresenta ed in tal caso valore di emissione e valore nominale coincidono; oppure può essere emessa in sovrapprezzo, ossia per somma superiore al valore nominale. →Non è possibile, invece, emettere le azioni per somma inferiore al loro valore nominale, ossia facendole pagare meno di quanto valgono, applicando un valore di emissione più basso del valore nominale, in quanto in tal caso si creerebbe una discrepanza tra capitale sociale e conferimenti. 3. Si definisce valore reale delle azioni il valore che si ottiene dividendo il patrimonio netto della società per il numero di azioni: →è un valore, quindi, variabile a seconda delle vicende economico-patrimoniali, dato che quanto più aumenta/diminuisce il patrimonio tanto più sale/scende il valore reale delle azioni (sono direttamente proporzionali). ❖ Il valore reale delle azioni può essere accertato contabilmente tramite il bilancio d’esercizio (ecco perché viene definito anche come valore di bilancio). 4. Si definisce valore di mercato delle azioni quello risultante, giornalmente, dai listini ufficiali nel momento in cui le azioni sono ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato (borsa valori): →il valore di mercato indica il prezzo di scambio delle azioni in un determinato giorno e non coincide con il valore reale, ossia quello riferito al patrimonio, in quanto il primo tiene conto delle prospettive economiche future e di altre variabili, motivo per cui l’andamento delle quotazioni esprime il valore effettivo delle azioni. 3. – L’indivisibilità delle azioni. Essendo le azioni, come abbiamo detto, l’unità minima di partecipazione, esse sono indivisibili (Art. 2347). → È proprio per tal motivo che il legislatore prevede, in caso di comproprietà indivisa tra più soggetti delle medesime azioni, che essi provvedano a nomina un rappresentante unico, non potendo esercitare alcun diritto sociale singolarmente. ❖ Qualora non provvedano, le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti, anche perché essi rispondono solidalmente verso la società delle obbligazioni proveniente dalle azioni, oltre che per il versamento dei conferimenti. 4. – Frazionamento e raggruppamento di azioni. Tanto nell’ipotesi di azioni con valore nominale, quanto in quella di azioni senza valore nominale, una delibera di modifica dell’atto costitutivo può decidere per il frazionamento o per il raggruppamento delle azioni esistenti. ➢ Con il frazionamento delle azioni viene ridotto l’originario valore nominale delle stesse: per un capitale sociale di 1000 euro (tener presente che il capitale sociale delle SPA non può essere inferiore a 50'000 euro), se prima si avevano 100 azioni del valore nominale di 10 euro, adesso si hanno 200 azioni del valore di 5 euro. ➢ Con il raggruppamento delle azioni viene aumentato l’originario valore nominale delle stesse: per un capitale sociale di 1000 euro, se prima si avevano 100 azioni del valore nominale di 10 euro, adesso si hanno 50 azioni del valore di 20 euro. Lo stesso ragionamento vale per le azioni senza valore nominale, senza però l’indicazione delle cifre monetarie. B. La Partecipazione Azionaria 5. – L’uguaglianza dei diritti. Ogni singola azione, rappresentando una partecipazione sociale, attribuisce al suo titolare un complesso di diritti e poteri di natura amministrativa (Es: diritto di voto nelle assemblee), patrimoniale (Es: diritto agli utili) e di natura amministrativo-patrimoniale. L’espressione del rapporto di partecipazione sociale tramite azioni comporta l’uguaglianza dei diritti e l’autonomia delle azioni. L’uguaglianza dei diritti, però, è solo relativa e oggettiva, non assoluta e soggettiva: la possibilità di creare “categorie di azioni fornite di diritti diversi”, infatti, testimonia la relatività dell’uguaglianza, che va rispettata nell’ambito di ciascuna categoria: →Uguali diritti, poi, sono assicurati al titolare di ogni azione, ma occorre tener conto del numero di azioni possedute da ogni socio, il che dà luogo ad un maggior potere derivante dall’esercizio di maggiori diritti, testimonianza del fatto che l’uguaglianza sia oggettiva e non soggettiva. Esistono, infatti, tre categorie di diritti esercitabili dal socio: 1. Diritti indipendenti dal numero di azioni possedute: chi possiede un’azione, in tal caso, ha una posizione identica a chi ne possiede 1000, in quanto diritto indipendente dal numero di azioni, come avviene per il diritto di intervento in assemblea o di denuncia al collegio sindacali; 2. Diritti spettanti a chi possiede una determinata percentuale del capitale sociale: stiamo parlando del diritto di chiedere la convocazione o il rinvio dell’assemblea, del diritto di denuncia al tribunale o di impugnazione delle deliberazioni assembleari invalide. →Tutti diritti definiti come “diritti della minoranza”, in quanto esercitabili da chi detiene anche solo una parte del capitale sociale, contro la maggioranza, contro chi detiene la maggior parte delle azioni. ❖ Si tratta di diritti garantiti per permettere una maggiore partecipazione/vigilanza dei soci minoritari alla vita della società e nei confronti della maggioranza, motivo ispiratore della riforma delle società quotate del ’98; 3. Diritti spettanti ad ogni azionista in proporzione al numero di azioni possedute: stiamo parlando del diritto di voto, del diritto agli utili ed alla quota di liquidazione, di quello alla liquidazione della quota in caso di recesso, del diritto di opzione o di quello di assegnazione gratuita di azioni. Tutti diritti spettanti anche ad un solo socio ma in forza del numero di azioni di cui egli è titolare. È proprio nell’ultima categoria di diritti che riscontriamo la disuguaglianza soggettiva degli azionisti: chiunque ha un’azione può esercitare il diritto di voto, dice l’autore Campobasso, ma chi ha 1000 azioni esercita 1000 voti ed ha maggior potere, giustamente e legittimamente perché ha investito, e quindi rischiato, di più rispetto agli altri ed ha il potere di imporre la propria volontà, sempre all’interno di margini legali (principio capitalistico). ❖ Tuttavia, nelle ipotesi in cui entri in gioco un interesse pubblico di particolare rilevanza, è possibile una deroga al principio capitalistico secondo cui chi più ha rischiato deve avere più potere. 6. – Unità ed autonomia delle partecipazioni azionarie. Abbiamo già accennato al fatto che le azioni debbano considerarsi come autonome: l’autonomia è data dal fatto che chi sottoscrive o acquista più azioni non è titolare di una singola partecipazione ma di una pluralità di partecipazioni azionarie. ❖ Questo vuol dire che il socio può disporre in modo autonomo e separato delle singole azioni, vendendone o concedendone in usufrutto o pegno solo una parte. →Dalla disciplina del 1974, rigida riguardo al contenuto ed alla misura minima dei privilegi riconosciuti alle azioni di risparmio, si è passati nel 1998 ad una disciplina molto più flessibile, che, pur stabilendo che tali azioni sono privilegiate sotto il profilo patrimoniale, pone comunque nelle mani dell’atto costitutivo la determinazione di contenuto, condizioni, limiti, modalità e termini del privilegio e del suo esercizio. Resta salvo il diritto di opzione, ossia il diritto di ricevere per i possessori di azioni di risparmio, in caso di aumento del capitale sociale a pagamento, altre azioni di risparmio della medesima categoria o, comunque, azioni di risparmio di altra categoria, azioni privilegiate o azioni ordinarie. A tutela degli azionisti di risparmio è prevista un’organizzazione di gruppo, consistente nell’assemblea speciale, la quale delibera sulla nomina/revoca del rappresentante comune, sull’azione di responsabilità nei suoi confronti, sulla transazione delle controversie con la società, sulla costituzione di un fondo comune necessario per tutelare i propri interessi e sull’approvazione delle delibere dell’assemblea generale che pregiudicano i diritti della categoria, ed il rappresentante comune, il quale deve curare l’interesse degli azionisti di risparmio e dare attuazione alle delibere della relativa assemblea, nonché assistere alle assemblee generali della società e impugnarle se pregiudizievoli per la categoria, diversamente dai singoli azionisti di risparmio che non possono farlo. 10. – Le azioni a favore dei prestatori di lavoro. L’art. 2349 del codice contempla la possibilità di garantire una partecipazione dei lavoratori alla gestione e ai risultati della società, attraverso l’acquisto della qualità di soci o l’assegnazione di strumenti finanziari partecipativi. Le azioni a favore dei prestatori di lavoro sono azioni speciali tipiche che permettono ai dipendenti della società o di società controllate, laddove lo statuto lo preveda, l’acquisto della qualità di soci attraverso l’assegnazione gratuita di azioni, possibile solo in presenza di utili regolarmente accertati, i quali vengono imputati a capitale (quindi il capitale sociale cresce) tramite una delibera dell’assemblea straordinaria e per l’importo corrispondente vengono emesse nuove azioni “speciali” assegnate ai singoli dipendenti (gratuitamente), la cui forma, il modo di trasferimento e i diritti spettanti saranno stabiliti dalla società. ❖ Si tratta di un’operazione a carattere eccezionale, in quanto l’assegnazione gratuita di azioni ai prestatori di lavoro è possibile solo in presenza di un sacrificio del diritto degli azionisti all’assegnazione di azioni gratuite emesse dalla società. Può trattarsi, altresì, dell’acquisto di azioni a pagamento di nuova emissione da parte dei prestatori di lavoro della società, di società controllanti o controllate, i quali versano un prezzo predeterminato: l’operazione è possibile solo tramite l’esclusione o la limitazione del diritto di opzione degli azionisti sulle azioni di nuova emissione. ❖ In tal caso occorre una delibera dell’assemblea straordinaria se le azioni riservate ai dipendenti non superano 1/4 delle azioni di nuova emissione o, nelle sole società quotate, l’aumento non ecceda l’1% del capitale. ❖ La delibera, superati tali limiti, deve essere approvata da oltre la metà del capitale sociale in ogni convocazione. ❖ La società può anche spingersi oltre, prestando garanzie o concedendo prestiti a favore dei dipendenti per consentire agli stessi l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni. La società, sempre con delibera dell’assemblea straordinaria, può assegnare ai propri dipendenti o a quelli di società controllate degli strumenti finanziari partecipativi diversi dalle azioni, forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso possono essere previste norme particolari riguardo alle condizioni di esercizio dei diritti attribuiti, alla possibilità di trasferimento ed alle eventuali cause di decadenza o riscatto. 11. – Le azioni di godimento. Le azioni di godimento costituiscono una categoria di azioni speciali “tipiche”. La loro emissione è volta a garantire la parità di trattamento degli azionisti nel momento in cui si verifica un evento particolare, quello della riduzione reale del capitale sociale: ❖ in tale ipotesi, un numero di azioni proporzionale alla quota di capitale da ridurre viene sorteggiato ed annullato ed ai titolari di tali azioni viene rimborsato il solo valore nominale; ❖ dato che il valore nominale potrebbe essere inferiore, specie in futuro, al valore reale delle azioni, a tali soggetti vengono assegnate delle azioni speciali, appunto le “azioni di godimento”. Si tratta di azioni “postergate” per quanto concerne i diritti patrimoniali, in quanto al momento della ripartizione degli utili i titolari di azioni di godimento possono prendervi parte solo dopo l’assegnazione alle altre azioni di un dividendo pari all’interesse legale sul valore nominale; ❖ allo stesso modo, in caso di ripartizione dello stato attivo di liquidazione, i titolari di azioni di godimento possono partecipare allo stesso solo dopo il rimborso agli altri soci del valore nominale delle loro azioni. Le azioni di godimento, salva diversa disposizione dello statuto, non attribuiscono diritto di voto, e di conseguenza nemmeno diritto di intervento in assemblea e di impugnazione delle delibere invalide (No diritti amministrativi). Tuttavia, tali azionisti conservano il diritto di opzione. 12. – Azioni e strumenti finanziari partecipativi. Dalla riforma del 2003: al fine di consentire l’acquisizione di apporti patrimoniali che non possono formare oggetto di conferimento e che perciò non sono imputabili al capitale sociale è possibile per la società emettere strumenti finanziari partecipativi, del tutto distinti rispetto alle azioni ordinarie o alle categorie speciali di azioni. Chi possiede tali strumenti finanziari partecipativi non è un azionista e possiede solo diritti patrimoniali o anche amministrativi, con esclusione del diritto di voto nell’assemblea generale, salva la possibilità di votare su argomenti specifici. I titolari di tali strumenti possono nominare un componente indipendente del consiglio di amministrazione o di quello di sorveglianza oppure un sindaco → Rimane necessaria l’assemblea ed il rappresentante comune. C. La Circolazione Delle Azioni 13. – I titoli azionari. I titoli azionari, anche detti certificati azionari, sono documenti che rappresentano le quote di partecipazione nelle società per azioni non quotate o comunque non diffuse tra il pubblico in maniera rilevante, trasferibili secondo la disciplina dei titoli di credito. →Lo statuto della società non quotata può prevedere la possibilità di non emettere titoli azionari, rendendo trasferibili le azioni tramite la sola cessione del contratto. I certificati azionari devono indicare (Art. 2354.3): ▪ Denominazione e sede della società; ▪ Data di stesura dell’atto costitutivo e data della sua iscrizione nel registro delle imprese, nonché l’ufficio dove è avvenuta l’iscrizione; ▪ Valore nominale del titolo o, in caso di azioni prive di valore nominale, il numero delle azioni e l’ammontare del capitale sociale (lo abbiamo già detto in precedenza); ▪ Versamenti parziali dei conferimenti per le azioni non liberate integralmente; ▪ Diritti ed obblighi derivanti dal titolo; ▪ Eventuali limitazioni alla circolazione. →I titoli vanno firmati da un amministratore, anche tramite riproduzione meccanica, sebbene autenticata. I certificati azionari possono essere definitivi, con validità duratura nel tempo, o provvisori, valevoli in attesa del rilascio di quelli definitivi o per determinate operazioni. →Gli stessi titoli azionari possono essere semplici, nel momento in cui rappresentano un’azione, o multipli, se ne rappresentano più di una: nel caso di quelli multipli può essere chiesto il frazionamento, mentre nel caso di quelli semplici è possibile il raggruppamento di titoli di taglio minore in titoli multipli. Ai titoli azionari è collegato un “foglio cedole”: le cedole sono dei tagliandi numerati progressivamente e contrassegnati dal nome della società e consentono di esercitare i diritti collegati al titolo senza l’esibizione dello stesso, semplicemente distaccando e consegnando alla società il tagliando. 14. – Azioni e titoli di credito. Le azioni, nonostante le opinioni non concordi in dottrina e giurisprudenza, sono da considerarsi dei veri e propri titoli di credito causali, in quanto emessi in base ad un determinato rapporto causale e, pertanto, soggetti alla disciplina generale dei titoli di credito. I titoli azionari svolgono una duplice funzione: o La funzione di trasferimento: in forza del principio di autonomia in sede di circolazione, in quanto chi acquista in buona fede il possesso del certificato azionario non è soggetto a rivendicazione, neanche qualora lo abbia acquistato da altro soggetto che lo ha rubato al reale proprietario; o La funzione di legittimazione: in forza della quale il possessore, nei rapporti interni con la società, non è tenuto a provare la proprietà del titolo e la qualità di socio, dato che possiede il certificato azionario. →I titoli azionari, però, non attribuiscono al possessore un diritto letterale, ossia determinato solo sulla base di quanto è scritto nel documento: si parla, in tal caso, di letteralità incompleta o per relationem. →Se, però, per i titoli di credito vale la regola dell’astrattezza del diritto cartolare o autonomia in sede di emissione, in forza della quale al terzo portatore del titolo non sono opponibili le eccezioni personali fondate sul rapporto causale che ha dato luogo all’emissione, per i titoli azionari le cose vanno diversamente: in quanto la tutela dell’acquirente delle azioni CEDE dinanzi alla salvaguardia dell’integrità del capitale sociale. In base a quanto abbiamo appena detto, possiamo capire come la “società possa opporre “erga omnes” eventuali vizi del procedimento di creazione delle azioni” e come “possa opporre al terzo acquirente l’intervenuto annullamento del titolo azionario non risultante dal documento”. →Al possessore del certificato azionario, però, non si possono opporre eccezioni basate sui rapporti personali col dante causa (ossia colui che ha venduto/ceduto il titolo), almeno che non entri in gioco l’esigenza di tutelare l’integrità del capitale. È per tutti questi motivi che le azioni sono ritenute titoli di credito causali. 15. – Azioni nominative e azioni al portatore. Art. 2354.1: Le azioni possono essere: ▪ Nominative: ossia recare il nome del titolare; ▪ Al portatore: mantenendo l’anonimato. →Tutto ciò a scelta dell’azionista: sebbene sia lo stesso codice a prevedere tale disciplina, un regio decreto pone tutt’oggi l’obbligo di “nominatività” dei titoli azionari, venuto meno per le sole azioni di risparmio. 16. – La legge di circolazione delle azioni. Circolazione delle azioni nominative: devono indicare il nome del titolare, persona fisica o giuridica, che deve risultare tanto dal titolo stesso quanto dal libro dei soci: si tratta della doppia intestazione, il cui mutamento è necessario in caso di trasferimento, pertanto rendendo imprescindibile la cooperazione della società emittente. La costituzione in pegno può avvenire anche consegnando il titolo, tramite la “girata in garanzia”, anche se è sempre necessaria l’annotazione nel libro dei soci per la produzione degli effetti. Per le azioni gravate da vincoli immesse nel sistema di gestione accentrata e per i vincoli reali o giudiziari sulle azioni già immesse nel sistema, nonché per quelle dematerializzate è dettata un’apposita disciplina sostitutiva dell’annotazione sul titolo. Per quanto riguarda i diritti sociali relativi ad azioni gravate da vincoli, il “diritto di voto” competa al creditore pignoratizio o all’usufruttuario o al custode in caso di sequestro di azioni: tale diritto dev’essere esercitato senza ledere gli interessi del socio, consultandolo in caso di delibere di rilevante importanza, altrimenti si va incontro al risarcimento del danno. ❖ Gli altri diritti amministrativi spettano disgiuntamente al socio e all’usufruttuario/creditore pignoratizio, mentre in caso di sequestro competono tutti al custode. Il diritto di opzione spetta solo al socio, così come le nuove azioni sottoscritte vengono considerate “Libere da vincoli”, appartenendo allo stesso e non direttamente all’usufruttuario o al creditore pignoratizio. →Gli utili distribuiti dalla società, infine, spettano al titolare del diritto frazionario ed alle azioni di nuova emissione per aumento (gratuito) del capitale si estendono i vincoli di usufrutto, pegno e sequestro. 19. – I limiti alla circolazione delle azioni. In tema di circolazione delle azioni vige la regola generale secondo cui “le azioni sono liberamente trasferibili”. La libera trasferibilità, però, incontra limiti o esclusioni tanto legali, ossia stabilite dal legislatore, quanto convenzionali, laddove pattuite dai soci. →Tra i limiti legali ritroviamo: ▪ L’impossibilità di alienare le azioni prima del controllo di valutazione nel caso di azioni liberate con conferimenti diversi dal denaro; ▪ L’impossibilità di alienare le azioni con prestazioni accessorie e le azioni di società fiduciarie e di revisione senza il consenso del consiglio di amministrazione; ▪ Limiti riguardanti partecipazioni di controllo o rilevanti. →Tra i limiti convenzionali, invece, dobbiamo attuare una distinzione tra quelli stabiliti dall’atto costitutivo, definiti come limiti statutari, e quelli non contenuti nello stesso atto, chiamati patti parasociali. ❖ I limiti scaturenti da patti parasociali vengono definiti “sindacati di blocco”, in quanto evitano che un soggetto non gradito ai soci entri a far parte della compagine sociale: in caso di violazione di tale patto, avendo esso effetto solo tra i soci contraenti, la vendita di azioni è del tutto valida, salvo il risarcimento dovuto dal socio inottemperante. ❖ Diversamente, i limiti statutari, ossia quelli contemplati nell’atto costitutivo, godono di efficacia reale, in quanto opponibili a terzi e validi per i futuri soci. →Può trattarsi di clausole statutarie che escludono del tutto la circolazione delle azioni, per un massimo di 5 anni, o di clausole che la limitano, per cui è lasciata ampia libertà ai soci nella formulazione delle stesse all’interno dell’atto costitutivo, sebbene le più importanti siano le clausole di prelazione, quelle di gradimento e quelle di riscatto. La clausola di prelazione impone al socio, che intende alienare le proprie azioni, l’obbligo di offrirle preventivamente agli altri soci, preferendoli così a terzi a parità di condizioni. →Tale clausola può addirittura contemplare i criteri per determinare il prezzo di acquisto o la possibilità di rivolgersi ad un arbitratore in caso di disaccordo (prelazione impropria). →L’azionista che intende vendere le proprie azioni, di conseguenza, deve formulare una proposta d’acquisto indirizzata ai soci beneficiari ed in caso di inottemperanza a tale obbligo, avendo le clausole statutarie efficacia reale, il trasferimento a terzi è inefficace, dando luogo al legittimo rifiuto della società di iscrivere il terzo nel libro dei soci ed al diritto di riscatto delle relative azioni. Le clausole di gradimento possono essere di due tipi: 1) Clausole con le quali vengono richiesti, all’acquirente di azioni, determinati requisiti 2) Clausole che subordinano il trasferimento al “placet”, ossia all’approvazione, da parte di un organo sociale: sono definite come di “mero gradimento”, sono state molto criticate in passato, sino a che il legislatore non ha deciso per la loro inefficacia nel 1985 e per l’assoggettamento a determinate condizioni nel 2003. →L’attuale disciplina legislativa, infatti, prevede che tali clausole possano essere contemplate nell’atto costitutivo solo nell’ipotesi in cui sia possibile, in caso di rifiuto del placet da parte dell’organo sociale, il recesso dell’alienante o l’acquisto a carico della società o degli altri soci. Le clausole di riscatto, infine, permettono alla società o agli altri soci, nel momento in cui si verificano determinati eventi quali la morte dell’azionista o la mancata esecuzione delle sue prestazioni accessorie, di riscattare le azioni, pagando un valore di rimborso incline alle disposizioni in tema di recesso dell’azionista. →Diversamente dal passato, quando era prevista l’unanimità per l’introduzione o la rimozione delle clausole limitative, oggi è necessaria una delibera dell’assemblea straordinaria, fatto salvo il diritto di recesso dei soci non d’accordo con tale scelta (dissenzienti). D. Le Operazioni della Società sulle Proprie Azioni 20. – La sottoscrizione. Le operazioni delle società sulle proprie azioni, ossia le operazioni di sottoscrizione e acquisto di azioni proprie possono comportare una serie di problemi e rischi inerenti l’integrità del capitale sociale, rendendo possibile l’elusione dell’obbligo di eseguire i conferimenti, rischi per l’organizzazione societaria, data la massa di diritti di voto in mano agli amministratori. →È per questi motivi che il legislatore ha sempre guardato con sfavore a tali operazioni, modificando la disciplina più volte, da ultimo con la riforma del 2003. Art. 2357 quater: la società non può sottoscrivere le proprie azioni, né in sede di costituzione, né tanto meno nel caso di aumento del capitale sociale: ❖ non si può dar luogo né ad una sottoscrizione diretta, compiuta in nome della società, né ad una sottoscrizione indiretta, compiuta da terzi in nome proprio ma per conto della società. ❖ In tutte queste ipotesi, infatti, la società si ritroverebbe ad essere creditrice di sé stessa, creando un incremento del capitale sociale nominale senza un aumento del capitale reale, originando incertezze sulla consistenza del patrimonio sociale (capitale sociale = patrimonio netto). Qualora un’operazione di auto-sottoscrizione venga ugualmente posta in essere, essa è comunque valida: le azioni si intendono sottoscritte da chi ha violato il divieto, quindi in caso di sottoscrizione diretta dai promotori o dai soci fondatori dagli amministratori salva la possibilità di dimostrare di essere esenti da colpa: ❖ mentre in caso di sottoscrizione indiretta le azioni si considerano sottoscritte dal terzo che ha agito, senza alcuna possibilità di rivalsa sulla società. →Tutti questi soggetti, quindi, sono tenuti a versare i conferimenti, essendo titolari di azioni ancora non liberate. La sola parziale deroga alla regola generale d’impossibilità di sottoscrizione delle proprie azioni da parte della società si ha nel momento in cui viene esercitato il diritto di opzione sulle azioni proprie detenute dalla società (Introdotta nel 2003 ed eliminata nel 2010). 21. – L’acquisto di azioni proprie. L’acquisto di azioni proprie (sebbene possa risultare pericoloso), qualora siano quotate in borsa, può essere utile al fine di stabilizzare le quotazioni ed evitare manovre speculative, così come può tornare utile come forma di investimento delle eccedenze disponibili. L’acquisto di azioni proprie, quindi, non è vietato in modo assoluto, se non nel caso delle SICAV, ma è sottoposto a determinate condizioni fissate dall’art. 2357 (Modificato nel 2008 e 2009) →Ecco le condizioni per tali acquisti: a. le azioni proprie devono essere acquistate con somme non eccedenti gli utili distribuibili e le riserve disponibili, così come risultanti dal bilancio, in quanto in caso di somme eccedenti tali utili e riserve si avrebbe riduzione del capitale reale, toccando il patrimonio netto corrispondente al capitale sociale e alla riserva legale violando il vincolo di indisponibilità dello stesso; b. Le azioni acquistate devono essere interamente liberate, per evitare che la società diventi creditrice di sé stessa per i conferimenti ancora dovuti; c. Occorre, per l’acquisto, l’autorizzazione dell’assemblea ordinaria, fatta salva la discrezionalità degli amministratori (Acquisto = atto di gestione → Spetta agli amministratori). L’assemblea, tuttavia, è chiamata a fissare: ▪ Numero di azioni acquistabili; ▪ Durata non superiore a 18 mesi per la quale vale l’autorizzazione; o Corrispettivo minimo e massimo. d. Le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non possono acquistare azioni con valore nominale eccedente la quinta parte del capitale sociale, tenendo conto anche delle azioni possedute da società controllate; e. Le sole società con azioni quotate in borsa, infine, possono acquistare azioni proprie secondo le modalità stabilite dalla Consob, al fine di trattare in maniera eguale gli azionisti. →Ma a quali sanzioni vanno incontro le società che, nell’acquisto di azioni proprie, non rispettano tali condizioni? Anzitutto, gli acquisti restano validi, sebbene gli amministratori vadano incontro a sanzioni penali. ❖ Tali azioni, però, vanno alienate entro un anno dal loro acquisto, altrimenti devono essere annullate, procedendo alla riduzione del capitale sociale. Alla medesima disciplina, poi, sono soggetti gli acquisti effettuati tramite società fiduciarie o per interposta persona: la società, per eludere le condizioni citate, non deve avvalersi di terzi. Sono previste, tuttavia, delle deroghe alle condizioni poste dalla legge per l’acquisto di azioni proprie, dei “casi speciali” (Art. 2357 Bis): a) Se l’acquisto di azioni proprie avviene, dopo una delibera assembleare, al fine di dar luogo alla riduzione del capitale sociale, ossia acquistandole e poi annullandole, va rispettato la sola condizione inerente alle modalità di acquisto per le società quotate, mentre le altre condizioni non valgono. b) Se le azioni speciali vengono acquistate per rimborsare un socio recedente, laddove sia stato impossibile vendere le azioni ad altri soci o a terzi, va rispettata la sola condizione inerente l’impiego di utili e riserve disponibili. c) In caso di azioni acquistate a titolo gratuito, comunque interamente liberate, così come in caso di acquisto di azioni proprie per effetto di fusione, scissione o successione universale, così come nell’ipotesi di acquisto per esecuzione forzata al fine di soddisfare un credito della società, le condizioni di cui abbiamo parlato non si applicano, salvo quella inerente il limite della quinta parte del capitale sociale (che vale, però, per tutte le SPA e non solo per quelle quotate), ed il termine per l’alienazione passa da un anno a 3 anni. Lo scopo è quello di rendere note le reali posizioni di potere in assemblea ed infatti si tiene conto, nel calcolo delle percentuali che abbiamo citato, solo del capitale rappresentato da quote o azioni che, direttamente o indirettamente, attribuiscono il diritto di voto: non si tiene conto, dunque, della azioni di risparmio, così come, al contrario, si prendono in considerazione le azioni in riferimento alle quali il soggetto dichiarante, pur non essendone titolare, detiene il diritto di voto. →Vanno computate anche le partecipazioni potenziali, ossia quelle già emesse e che possono formare oggetto di acquisto, per esempio in base al diritto d’opzione. →È la Consob, ovviamente, a stabilire termini, modalità e contenuto delle comunicazioni, in mancanza delle quali, oltre ad andare incontro a sanzioni pecuniarie, comminate tanto in caso di partecipazioni in società quotate quanto nell’ipotesi di partecipazione in società non quotate, il socio di una società quotata perde anche il diritto di voto, che rimane sospeso, ovviamente solo per le partecipazioni eccedenti il 2% (quelle per cui è prevista la comunicazione). È esonerato dall’obbligo di comunicazione il Ministero dell’economia per le partecipazioni detenute tramite società controllate, in quanto i relativi obblighi gravano sulle stesse. →Una disciplina simile a quella inerente l’obbligo di comunicazione dettata per le società quotate vale anche per le società non quotate che operano in settori di particolare interesse economico e sociale: o le società bancarie, quelle d’intermediazione mobiliare (SIM); o le società di gestione del risparmio (SGR) e quelle di investimento a capitale variabile (SICAV); o le società di assicurazione. In questi casi la comunicazione, oltre che alle società partecipate, va inoltrata anche alla Banca d’Italia, alla Consob e all’Isvap (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private), tutti organi che possono impugnare le deliberazioni assembleari nei casi in cui il voto dell’obbligato sia stato determinante per il raggiungimento della maggioranza. 2. – L’acquisto di partecipazioni rilevanti in società quotate. Per l’acquisto di partecipazioni di controllo in società quotate vanno rispettate determinate regole fissate a partire dalla L.149/1992 ed oggi contenute negli articoli dal 101-bis al 112 del Tuf. →Precedentemente al 1992, invece, la situazione era totalmente diversa e c’era una minor trasparenza per operazioni di questo tipo: chi intendeva acquistare partecipazioni di controllo poteva benissimo accordarsi col gruppo di comando di una società, senza passare dalla borsa, pagando le azioni ad un prezzo maggiore rispetto a quello di mercato. In caso di opposizione da parte del gruppo di comando, non disposto a cedere le proprie azioni ma privo della maggioranza delle stesse, si potevano avere due ipotesi differenti: ▪ La cosiddetta “scalata ostile”, tramite la quale l’interessato acquistava in borsa un numero elevato di azioni della società bersaglio nel tempo, celandosi dietro all’anonimato fino al raggiungimento dell’obiettivo; ▪ Un’uscita immediata allo scoperto tramite l’assalto alla società “bersaglio”: l’interessato lanciava un’OPA (Offerta di Pubblico Acquisto) delle azioni di tutti i soci, il che poteva dar luogo ad un’OPA concorrente da parte del gruppo di comando, all’acquisto di azioni proprie sul mercato, all’aumento del capitale sociale, il tutto volto a scoraggiare il soggetto e a rimanere al comando → e si proseguiva così ad una vera e propria “battaglia”. →La situazione è cambiata del tutto con l’emanazione della L.149/1992, la quale da un lato ha voluto porre in essere: • una vera e propria tutela della minoranza, garantendo la massima trasparenza nel passaggio di proprietà di partecipazioni di controllo in società quotate • ha dovuto assicurare la c.d. “contendibilità del controllo”, ossia la possibilità di chi intenda prendere il controllo della società stessa dato che la migliore gestione delle società per azioni quotate è interesse di tutti, non solo dei soci, ma dell’intera economia. È per tal motivo che la legge ha previsto che: L’unica procedura per l’acquisto di partecipazioni di controllo in società quotate sia quella dell’offerta pubblica di acquisto (OPA), resa in determinati casi addirittura obbligatoria, la quale deve comunque svolgersi nel rispetto di determinate regole inderogabili fissate dalla legge, a tutela tanto del mercato di borsa quanto dei destinatari dell’offerta. Partiamo, anzitutto, dai casi in cui l’OPA è obbligatoria per legge: inizialmente erano cinque (tre preventivi e due successivi), mentre dopo il 1998 diventarono solo due (OPA successiva e OPA residuale), per poi rimanerne uno solo dopo l’attuazione della XIII direttiva CE, ossia quello dell’OPA successiva totalitaria di cui all’art.106 Tuf. Deve lanciare l’OPA successiva totalitaria chiunque detenga, grazie all’acquisto a titolo oneroso di azioni, direttamente o indirettamente, una partecipazione superiore al 30% dei titoli che attribuiscono diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie riguardanti la nomina o la revoca degli amministratori o del consiglio di sorveglianza: in sostanza, si tratta di un numero di titoli (il 30%) il cui possesso permette di influenzare la gestione della società (non contano, dunque, le azioni “che non sono titoli”, come quelle di risparmio, prive di diritto di voto). ❖ L’offerta pubblica di acquisto va fatta entro 20 giorni dal superamento della soglia del 30% e riguarda la totalità dei titoli quotati ancora disponibili in circolazione, quelli residui, anche quelli appartenenti a categorie rispetto alle quali non era stato compiuto alcun acquisto. ❖ L’offerente deve pagare, tra l’altro, un prezzo minimo pari al prezzo più elevato pagato nei dodici mesi anteriori all’OPA per l’acquisto di titoli della medesima categoria, mentre se non ha acquistato titoli del genere il prezzo minimo è quello medio ponderato di mercato degli ultimi 12 mesi. →Il corrispettivo dell’OPA può essere costituito, in tutto o in parte, anche da titoli (offerte pubbliche di scambio o miste): ❖ Se l’acquisto di azioni non supera il 30% dei titoli non è obbligatoria alcuna offerta pubblica di acquisto per i titoli rimanenti e la partecipazione può essere acquistata liberamente tanto sul mercato quanto a trattativa privata. ❖ Tuttavia, l’obbligo sussiste anche nel caso in cui il 30% sia detenuto da soggetti che agiscono in concerto tra loro, per tali intendendosi quelli che cooperano sulla base di un accordo al fine di ottenere o mantenere il controllo della società emittente, o coloro legati da rapporti individuati dalla legge, come nel caso di un “patto parasociale”. Vi sono delle ipotesi, poi, in cui è la Consob a definire se l’obbligo di lanciare l’opa totalitaria sussista o meno, come nel caso di acquisto indiretto di una partecipazione superiore al 30% in una società quotata → indiretto perché è stata acquistata una partecipazione di controllo in un’altra società capogruppo non quotata o una partecipazione di controllo superiore al 30% in una capogruppo quotata, il cui patrimonio è costituito PREVALENTEMENTE da titoli emessi da quella quotata bersaglio. Se un soggetto non vuole sostenere il peso, comunque consistente, di un’OPA totalitaria, può optare per un’OPA volontaria preventiva volta ad acquisire una partecipazione superiore al 30%, la quale può essere totale o parziale. ❖ L’OPA preventiva totale riguarda tutti i titoli della società bersaglio e non incontra alcuna condizione, tant’è che l’offerente può liberamente fissare il prezzo di acquisto. ❖ L’unico limite, semmai, è costituito dal fatto che qualora l’offerta preveda un corrispettivo in titoli, l’offerente è tenuto a proporre in scambio titoli quotati o pagamento in contanti. Diversa è l’ipotesi di “OPA preventiva parziale”, la quale deve avere ad oggetto almeno il 60% dei titoli di ciascuna categoria. L’esenzione dall’OPA successiva totalitaria, in questo caso, può essere autorizzata dalla Consob se: 1. Offerente e persone che agiscono in concerto con lo stesso non abbiano acquistato, nell’anno precedente, partecipazioni nella società bersaglio in misura superiore all’1%; 2. Vi è l’approvazione dell’offerta da parte degli azionisti di minoranza indipendenti della società bersaglio osservando la procedura di whitewash, ossia escludendo dalla decisione le partecipazioni dell’offerente, delle persone che agiscono in concerto con lui e del socio di maggioranza (anche relativa se la sua partecipazione supera il 10%). →L’offerente è comunque tenuto a lanciare l’OPA successiva totalitaria se nell’anno successivo alla chiusura dell’OPA preventiva acquisti altre partecipazioni in misura superiore all’1%, violando di fatto il “principio di parità di trattamento degli azionisti” o se l’assemblea deliberi una fusione o una scissione. È esonerato dall’obbligo di OPA successiva totalitaria chiunque detenga il 30% dei titoli in seguito ad un’offerta pubblica di acquisto o di scambio totalitaria o parziale. →Le altre esenzioni vengono disciplinate dalla Consob nei casi comunque previsti dalla legge in cui il superamento del 30% non comporta l’obbligo di offerta successiva, perché non ne ricorrono i presupposti o perché risultano neutri ai fini della tutela degli azionisti di minoranza, ossia nelle ipotesi di: ▪ Acquisti a titolo gratuito o per successione ereditaria; ▪ Presenza di soci che, anche congiuntamente, già detengono il controllo di diritto della società; ▪ Operazioni dirette al salvataggio di imprese in crisi; ▪ Trasferimenti di partecipazioni tra società dello stesso gruppo che si risolvono in semplici operazioni di riassetto azionario; ▪ Cause indipendenti dalla volontà dell’acquirente (ipotesi dell’esercizio del diritto di opzione); ▪ Operazioni di carattere temporaneo; ▪ Fusioni e scissioni. →Se tali operazioni sono state approvate dall’assemblea della società che dovrebbe essere bersaglio dell’OPA con il metodo del whitewash. Vi sono poi due casi di cui all’art.108 TUF di obbligo di acquisto residuale (inerente l’acquisto dei titoli ancora in circolazione), per cui l’OPA non è più necessaria: ➢ L’offerente che, a seguito di offerta pubblica totalitaria, viene a detenere una partecipazione pari almeno al 95% del capitale rappresentato da titoli (azioni con diritto di voto) della società bersaglio, è obbligato ad acquistare i restanti titoli da chiunque ne faccia richiesta, in modo tale che i soci di minoranza possano cedere le proprie azioni data la maggioranza schiacciante dell’altro socio; ➢ Il soggetto che viene a detenere, con OPA o in altro modo, una partecipazione superiore al 90% del capitale rappresentato da titoli quotati della società bersaglio ha l’obbligo di acquistare i restanti titoli quotati, almeno che non ripristini, entro 90 giorni, un flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni. →L’obbligo di acquisto residuale, in sostanza, permette agli azionisti di minoranza l’uscita dalla società ad un prezzo equo il che fa sì che l’andamento delle negoziazioni risulti pregiudicato dalla mancanza di un adeguato flottante, ossia di azioni diffuse tra il pubblico. Il corrispettivo per l’acquisto residuale viene indicato dalla Consob ed occorre precisare che devono essere i soci di minoranza a decidere di vendere i propri titoli, o meglio, a far valere il diritto di cederli, tranne che nel caso in cui, a seguito di OPA totalitaria preventiva o successiva, l’offerente abbia acquisito più del 95% del capitale rappresentato da titoli ed abbia dichiarato, nel documento di offerta, di volersi avvalere dello “squeeze-out”: 4. – Limiti all’assunzione di partecipazioni rilevanti. In linea generale l’acquisto di partecipazioni rilevanti in società per azioni o da parte di società per azioni è del tutto libero. →Tuttavia, anche qui incontriamo due tipi di limitazioni: 1. Quelle inerenti l’assunzione di partecipazioni di controllo o rilevanti, da chiunque detenute, “in società che operano in particolari settori”. 2. Quelle riguardanti l’assunzione di partecipazioni “da parte di società di capitali”, così come previsti dalla disciplina delle partecipazioni incrociate e dall’art.2361 del codice (Vedi Cap. 5). Per quanto riguarda le limitazioni del primo tipo, esse riguardano per lo più società bancarie e assicurative → L’acquisizione di titoli o quote di banche deve essere autorizzata dalla Banca d’Italia nel caso di partecipazione superiore al 10% del capitale con diritto di voto o, comunque, nel caso di influenza notevole o controllo della banca stessa (compresi gli incrementi di partecipazione). ❖ È venuto meno, tuttavia, il “principio di separatezza fra banca ed industria” che impediva, a chi svolgeva attività d’impresa in settori diversi da quello bancario e finanziario, di possedere partecipazioni di controllo in banche. →La violazione delle disposizioni inerenti l’autorizzazione della Banca d’Italia comporta sanzioni penali, sospensione del diritto di voto relativamente alle azioni per cui manca l’autorizzazione, la possibilità di impugnare, anche da parte della Banca d’Italia entro il termine di 180 giorni, le decisioni assembleari in cui la partecipazione non autorizzata è risultata determinante per il raggiungimento della maggioranza. Fra i limiti all’assunzione di partecipazioni rilevanti rientrano anche le clausole statutarie, le quali fissano limiti massimi ai possessi azionari dei singoli soci, per evitare che si formi un numero ristretto di azionisti di controllo. ❖ Tale previsione è espressamente prevista dal legislatore per le società controllate dallo Stato (limite del 5% del capitale), operanti nei settori dei servizi di pubblica utilità, bancario e assicurativo. →Il superamento dei limiti comporta il divieto di esercitare il diritto di voto. La clausola statutaria è immodificabile per un periodo di tre anni, ma viene meno in caso di OPA totalitaria o avente ad oggetto almeno il 75% delle azioni ordinarie. 5. (Segue) – Le partecipazioni modificative dell’oggetto sociale. Le partecipazioni a responsabilità limitata. La seconda tipologia di limitazioni riguarda, invece, l’assunzione di partecipazioni “da parte di società di capitali”: l’assunzione di queste partecipazioni in altre società, benché possa essere consentita dallo statuto, è comunque vietata “se per la misura e per l'oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l'oggetto sociale determinato dallo statuto”. ❖ Ciò significa che se dalle partecipazioni acquisite scaturisce una modifica dell’oggetto sociale da parte degli amministratori, l’assunzione risulta invalida, in quanto la modifica non segue ad una deliberazione dell’assemblea straordinaria, come invece previsto dalla legge. Si parla, in tal caso, di divieto di assunzione di partecipazioni modificative dell’oggetto sociale, il quale, tuttavia, non risulta operante nei confronti delle società Holdings (o capogruppo), ossia quelle la cui attività consiste proprio nell’assunzione di partecipazioni in altre imprese, in via esclusiva o quantomeno principale. →Il divieto, invece, grava sulle “società operative”, quelle che svolgono un’attività propria in un determinato settore produttivo, le quali possono comunque acquisire partecipazioni in altre imprese, tuttavia senza modificare sostanzialmente il proprio oggetto: in sostanza possono avere solo partecipazioni di minoranza e non di controllo in società che operano nello stesso settore, trasformandosi in holding mista (anche se la dottrina non è del tutto convinta di tale impossibilità). 6. (Segue) – Le partecipazioni reciproche. Un altro limite all’assunzione di partecipazioni rilevanti da parte di società in altre imprese è costituito dalla disciplina delle partecipazioni reciproche: le stesse si configurano nel momento in cui una società A sottoscrive il capitale di una società B e viceversa, dando luogo ai medesimi rischi che abbiamo esaminato nell’ipotesi di sottoscrizione di azioni proprie. ❖ Il capitale sociale nominale di entrambe le società, infatti, aumenta senza che i rispettivi capitali reali vengano incrementati, attribuendo semplicemente, ad ognuna delle due società, un pacchetto di voti da gestire nell’altra. A tal proposito l’art. 2360 dispone “È vietato alle società di costituire o di aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azioni” →Si tratta di un divieto assoluto, che non sopporta eccezioni e che comporta la nullità di entrambe le sottoscrizioni, sebbene non vieti l’assunzione di partecipazioni tramite una società controllata, così come non preclude la possibilità di sottoscrizione non reciproca di azioni. →È proprio per colpire queste fattispecie escluse dall’art. 2360 che il D.lgs.315/1994 ha introdotto l’articolo 2359 - quinquies, il quale dispone: “La società controllata non può sottoscrivere azioni o quote della società controllante”, né direttamente, né tramite terzi. La violazione del divieto non comporta la nullità della sottoscrizione, bensì l’imputazione ex lege delle azioni ai soggetti che hanno agito, amministratori non esenti da colpa o terzi. → Nel caso di sottoscrizione dei terzi, gli amministratori NON esenti da colpa rispondono solidalmente della liberazione delle azioni. Quindi anche in questo caso dovrebbero essere contemplati limiti qualitativi (somme utilizzabili) e quantitativi (ammontare massimo) come per l’acquisto di azioni proprie, sebbene ciò sia avvenuto, tra l’altro parzialmente, solo a partire dal 1994, dando attuazione ad una direttiva europea. →L’attuale disciplina prevede che: ➢ L’acquisto reciproco di azioni è possibile senza alcun limite quando non vi è rapporto di controllo tra le due società e nessuna delle due è quotata in borsa; ➢ L’acquisto reciproco incontra dei limiti quantitativi (ammontare massimo delle azioni acquistabili) e qualitativi (somme utilizzabili per l’acquisto) e del tutto identici a quelli stabiliti per l’acquisto di azioni proprie, nel caso in cui l’incrocio venga realizzato tra “controllante e controllate”. →L’acquisto da parte di una società controllata di azioni o quote della controllante, anche tramite terzi, viene considerato ex lege come effettuato dalla controllante stesso, risultando come acquisto di azioni proprie, il che dà luogo ai limiti che abbiamo già descritto per questa fattispecie: ▪ Impiego di somme non eccedenti gli utili distribuibili e le riserve disponibili; ▪ Acquisto solo di azioni liberate interamente; ▪ Autorizzazione all’acquisto da parte dell’assemblea ordinaria della controllata; ▪ Valore nominale delle azioni acquistate non superiore al 20% del capitale della controllante; ▪ Divieto di esercizio del diritto di voto delle controllate nelle assemblee della controllante. →In violazione di tali limiti le azioni devono essere alienate entro un anno dall’acquisto oppure si deve procedere al loro annullamento da parte della controllante, riducendo il capitale sociale della stessa e rimborsando alla controllata il valore delle azioni annullate → In caso di inerzia dell’assemblea della controllante a ciò provvede d’ufficio il tribunale, su richiesta degli amministratori o dei sindaci. ➢ L’acquisto reciproco incontra dei limiti quantitativi (ma non qualitativi), in forza dell’art.121 Tuf, nel caso in cui, benché non esista un rapporto di controllo tra le società interessate, una delle due abbia azioni quotate: se sono quotate entrambe, l’incrocio non può superare il 2% del capitale con diritto di voto / se è quotata una sola delle due società, la società quotata non può avere più del 10% del capitale della società non quotata, e quest’ultima non può superare il 2%. →Se i limiti indicati vengono oltrepassati da entrambe le società, la società che ha superato il limite successivamente non può esercitare diritto di voto per le azioni in eccedenza rispetto alla percentuale consentita e deve alienare l’eccedenza entro 12 mesi, altrimenti la sospensione del diritto di voto si estende all’intera partecipazione, ossia anche alla parte legittimamente posseduta. Capitolo VII – I Gruppi di Società. 1. – Il fenomeno di gruppo. I problemi. Secondo quanto abbiamo appena detto, quindi, le società per azioni sono libere di sottoscrivere o acquistare azioni o quote di altre società di capitale, sebbene nel rispetto di determinati limiti. →È questo lo strumento di gran lunga più importante con il quale si realizzano i gruppi di società. Per gruppo di società si intende un’aggregazione di più imprese societarie formalmente autonome ed indipendenti, ma assoggettate tutte alla direzione unitaria di una società capogruppo/madre (termine tecnico Holding), che direttamente o indirettamente le controlla, esercitando sulle stesse un’influenza dominante al fine di perseguire uno scopo unitario, il cosiddetto interesse di gruppo. ❖ Siamo difronte ad un’unica impresa sotto il profilo economico cui corrispondono più imprese sotto il profilo giuridico → I gruppi di società sono molto diffusi, in quanto è tramite gli stessi che operano le imprese di grande e grandissima dimensione, a carattere nazionale e multinazionale. Si possono avere: • Gruppi a catena: in cui ogni società ne controlla un’altra (la società A controlla la società B che controlla la società C e così via); • Gruppi stellari o a raggiera: in cui la società madre controlla contemporaneamente tutte le altre. →Il fenomeno dei gruppi di società è favorito dai vari legislatori nazionali, così come dal diritto comunitario e da quello internazionale: ❖ ma tanto a livello interno quanto esterno può dar luogo ad una serie di problemi che toccano non solo la disciplina delle società, ma anche quella tributaria o quella inerente alla concorrenza, in quanto il perseguimento di un fine unitario tramite la cooperazione di diverse realtà giuridiche è difficilmente controllabile ed accertabile. →Occorre, dunque, una disciplina legislativa volta ad evitare che i legami esistenti all’interno di un gruppo alterino l’integrità patrimoniale delle singole società ed il corretto funzionamento degli organi decisionali e soprattutto un’accurata informazione generale sul gruppo. →Ignorato totalmente dal codice del ’42, il fenomeno di gruppo manca ancora oggi di una disciplina organica ad esso dedicata, sebbene non manchino norme che disciplinano il controllo societario ed i singoli rapporti fra società controllanti e controllate, nonché norme relative “all’attività di direzione e coordinamento di società” (riforma del 2003). 2. – Società controllate e direzione unitaria. Società controllata: nozione → Art. 2359 c.c. / Art. 93 TUF. Definizione generale: per società controllata si intende una società che, direttamente o indirettamente, si trova sotto l’influenza dominante di un’altra società (detta controllante) in grado di indirizzarne l’attività. →L’art. 2359 prevede tre casi in cui si ha “controllo” di società: 1) È controllata la società in cui la controllante dispone della “maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”, ossia di più della metà delle azioni con diritto di voto in tali assemblee, di fatto potendo esercitare un’influenza dominante nominandone gli amministratori (controllo di diritto); 2) È società controllata quella in cui la controllante dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria, sebbene si tratti di partecipazione al capitale “minoritaria”, anche se in grado di determinare le deliberazioni (controllo di fatto); 3) È società controllata quella che, in forza di particolari vincoli contrattuali, risulta sotto l’influenza dominante dell’altra parte contrattuale, della società controllante. Esempio: la società A fornisce materie prime prodotte in esclusiva alla società B, di fatto potendo assoggettare quest’ultima alle proprie decisioni (controllo contrattuale). Anzitutto la riforma ha introdotto l’obbligo, per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento, di motivare adeguatamente le decisioni di amministratori o assemblea ispirate da un interesse di gruppo, indicando ragioni e interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione. Sotto il profilo economico è stato previsto che i rimborsi dei finanziamenti concessi alle società controllate dalla capogruppo vengano postergati rispetto al soddisfacimento degli altri creditori, al fine di evitare che un eccessivo indebitamento danneggi questi ultimi. Infine, le società e gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento, qualora agiscano nell’interesse proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società soggette a tale attività, sono tenuti ad indennizzare direttamente i soci delle società figlie per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale e i creditori delle stesse per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio sociale. ❖ Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette (si tiene conto, pertanto, dei vantaggi compensativi che derivano dall’appartenenza al gruppo). ❖ Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo (amministratori e dirigenti della capogruppo) e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio (per esempio le altre società del gruppo). →Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento. →Nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria della società danneggiata, l'azione spettante ai creditori (ma non quella dei soci) è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario. →La riforma del 2003, infine, ha previsto il diritto di recesso dei soci delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento qualora sopraggiungano eventi riguardanti la capogruppo che determinino un mutamento delle originarie condizioni di rischio dell’investimento nelle controllate. 5. – Il gruppo insolvente. Ma che succede se una delle società figlie diventa insolvente o entra in crisi proprio in forza della politica unitaria di gruppo? Ad oggi manca un’apposita disciplina legislativa per il gruppo insolvente, così come nessuna norma specifica è dettata per l’ipotesi di “fallimento” di una società figlia, sebbene un trattamento unitario del gruppo insolvente o in crisi è previsto per “l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi”, la “liquidazione coatta amministrativa delle società fiduciarie e di revisione” e la “crisi dei gruppi bancari”. Se un’impresa del gruppo viene dichiarata insolvente e sottoposta ad amministrazione straordinaria (procedura madre), alla “medesima procedura” vengono contemporaneamente assoggettate tutte le imprese del gruppo in stato di insolvenza, quand’anche non ricorrano i requisiti per l’ammissione all’amministrazione straordinaria e purché presentino “concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico” o quantomeno risulti opportuna le “gestione unitaria dell’insolvenza nell’ambito del gruppo”. →E ciò avviene anche qualora sia già stato dichiarato il fallimento delle stesse, il quale viene convertito in amministrazione straordinaria, sempre che non sia già esaurita la liquidazione dell’attivo. →Si tratta, in sostanza, del principio di uniformità delle procedure, il quale abbraccia anche i gruppi con all’interno società fiduciarie o di revisione, nonché i gruppi bancari, anche se in quest’ultimo caso occorre che sia la capogruppo ad essere sottoposta a liquidazione coatta o amministrazione straordinaria per estendere tali procedure alle altre società, perché se la crisi riguarda una di queste (e non la capogruppo) le altre imprese rimangono assoggettate alla procedure previste dalle norme di legge ad esse applicabili. ❖ L’uniformità delle procedure, tuttavia, non comporta un accertamento unitario dello stato di insolvenza, che rimane distinto per ciascuna società, prendendo in considerazione la situazione patrimoniale delle stesse. ❖ Non vi è, inoltre, confusione dei patrimoni e resta ferma l’autonomia patrimoniale, rispondendo le singole società delle proprie obbligazioni, compresa la capogruppo che non risponde in solido delle obbligazioni delle società figlie. →L’uniformità comporta soltanto identità degli organi e della gestione delle imprese insolventi: gli organi della procedura madre sono preposti anche alla procedura aperta a carico delle altre imprese del gruppo: • il commissario straordinario predispone uno specifico e distinto programma di cessione o ristrutturazione per ciascuna impresa nell’ipotesi in cui esistano concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico; • mentre è necessario un programma integrativo di quello approvato all’interno della procedura madre se mancano le prospettive in questione e l’ammissione alla procedura sia stata determinata solo dall’opportunità di gestire unitariamente l’insolvenza del gruppo. Al fine di assicurare la reintegrazione del patrimonio delle società figlie ed a consentire il ristoro dei danni subiti dalle stesse per effetto della politica unitaria di gruppo sono stati previsti alcune norme specifiche: a. Revocatoria fallimentare aggravata: si allungano i termini per l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari per gli atti posti in essere con altre imprese del gruppo, anche non insolventi. Il termine di 1 anno anteriore alla dichiarazione dello stato di insolvenza diventa di 5 anni e quello di 6 mesi diventa di 3 anni; b. Denunzia al tribunale: il commissario giudiziale, quello straordinario ed il curatore di un’impresa dichiarata insolvente possono proporre la denunzia al tribunale per gravi irregolarità nei confronti di amministratori e sindaci di altre società del gruppo, diventando, in caso di accertamento delle irregolarità denunciate, amministratori giudiziari della società in questione; c. Responsabilità di gruppo: in caso di direzione unitaria del gruppo, gli amministratori della controllante che hanno abusato di tale direzione rispondono in solido con gli amministratori delle società insolventi dei danni da questi causati alla società stessa in forza dell’attuazione delle direttive di gruppo. 6. – Le lettere di patronage. Se non viene accertato un abuso di attività di direzione e coordinamento da parte della società controllante, essa non può essere chiamata a rispondere dei debiti delle società controllate, lasciando di fatto i creditori delle stesse privi di tutela, almeno che la società madre non abbia rilasciato loro delle specifiche garanzie reali o personali. Tra esse vanno ricomprese le “lettere di patronage”, ossia quelle dichiarazioni della capogruppo, di solito rilasciate a banche per favorire il finanziamento delle controllate, sostitutive delle tradizionali garanzie personali (fideiussione e firme cambiarie). →Tali documenti si distinguono: ▪ Lettere deboli: quando contengono semplici dichiarazioni inerenti la solvibilità della controllata o la partecipazione della controllante nella stessa; ▪ Lettere forti: quando includono l’impegno della società madre a fornire alla controllata mezzi finanziari per onorare le proprie obbligazioni. →Le lettere forti, pur non costituendo delle vere e proprie obbligazioni fideiussorie, fungono da fonte di responsabilità in caso di inadempimento, configurandosi come promesse del fatto del terzo o garanzie personali atipiche. Capitolo VIII – L’Assemblea. 1. – Gli organi della SPA. All’interno delle società per azioni è necessaria la presenza di tre distinti organi, a ciascuno dei quali la legge attribuisce determinati poteri e competenze: 1. L’assemblea dei soci: organo con funzioni deliberative sulle decisioni di maggior rilievo della vita sociale, ma non inerenti alla gestione dell’impresa; 2. L’organo amministrativo: si occupa della gestione dell’impresa sociale e gode di ampi poteri decisionali, oltre ad avere la “rappresentanza legale” della società ed il compito di attuare le delibere assembleari sotto la propria responsabilità; 3. L’organo di controllo interno: vigila sull’amministrazione della società. Il codice civile del ’42 prevedeva un solo sistema per l’amministrazione ed il controllo basato sulla presenza di due organi di nomina assembleare: 1) L’organo amministrativo, composto da un amministratore unico o da un consiglio di amministrazione; 2) Il collegio sindacale, con funzioni di controllo del rispetto della legge e dello statuto ed inizialmente anche di controllo contabile. →Con la riforma del 1998 inerente alle società quotate e l’estensione di tale disciplina, nel 2003, a tutte le società per azioni, è stato previsto l’affidamento del controllo contabile ad un organo esterno alla società: il revisore contabile o società di revisione. →Il sistema tradizionale di amministrazione e di controllo, dunque, prevede due organi interni, (amministratori ed il collegio sindacale) ed un organo esterno (il revisore o società di revisione). →La riforma del 2003 ha introdotto, accanto a quello tradizionale, altri due sistemi: I. Il sistema dualistico: in cui controllo e amministrazione sono esercitati da un consiglio di sorveglianza e da un consiglio di gestione, il primo nominato dall’assemblea e a cui spettano alcuni compiti che nel sistema tradizionale sono affidati all’assemblea stessa (come l’approvazione del bilancio) ed il secondo nominato dal consiglio di sorveglianza; II. Il sistema monistico: in cui amministrazione e controllo sono esercitati rispettivamente dal consiglio di amministrazione, di nomina assembleare, e da un comitato per il controllo sulla gestione, che sorge all’interno del consiglio di amministrazione: in tal caso, dunque, abbiamo un organo dentro l’altro (ecco perché il sistema viene definito monistico). →Anche per le società che adottano questi due nuovi sistemi è previsto, comunque, il controllo contabile esterno. →I componenti degli organi di amministrazione e di controllo, in ogni caso, sono responsabili sia civilmente che penalmente della “legalità dell’attività sociale”, nonché del rispetto da parte dell’assemblea delle norme di legge poste a salvaguardia del patrimonio sociale, unica garanzia dei creditori. →Tutti gli organi citati, in ognuno dei sistemi, sono necessari e le loro funzioni risultano in larga parte inderogabili, non modificabili neanche dall’autonomia statutaria o dall’assemblea, sebbene sia possibile attribuire alcuni compiti dell’assemblea agli amministratori. →Per quanto riguarda la struttura dell’organo amministrativo è riconosciuta ampio spazio all’autonomia privata: in tutti i sistemi, per fare un esempio, è possibile che l’organo amministrativo deleghi gran parte dei suoi compiti ad un “comitato esecutivo” o a degli “amministratori delegati”. [Analizziamo, in questo capitolo, uno degli organi necessari: l’assemblea.] 4. – Costituzione dell’assemblea. Validità delle deliberazioni. Per quorum costitutivo si intende la parte del capitale sociale che deve essere necessariamente rappresentata nell’assemblea affinché la stessa sia validamente costituita. Per quorum deliberativo si intende la parte del capitale sociale che si deve esprimere a favore di una determinata deliberazione/decisione affinché questa sia approvata. Nel computo del quorum “costitutivo”: • Non si tiene conto delle azioni istituzionalmente prive del diritto di voto (Es. azioni di risparmio, azioni a voto limitato o di godimento senza voto) • Mentre vanno conteggiate quelle per cui il voto è occasionalmente sospeso (azioni di soci in conflitto di interessi, azioni di società controllate, quelle del socio moroso, quelle per cui è stata omessa la comunicazione di cui all’art.120 TUF ecc.), che però non vengono computate ai fini del quorum deliberativo (quindi la maggioranza necessaria per l’approvazione si riduce). →Anche le azioni di chi si astiene dal voto volontariamente vengono computate per il quorum deliberativo (salvo il caso di conflitto di interessi). Sono previsti quorum diversi per l’assemblea ordinaria e per quella straordinaria. ➢ L'assemblea ordinaria: o In prima convocazione è regolarmente costituita con la presenza di almeno la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta delle azioni che hanno preso parte alla votazione, conteggiando anche gli astenuti come voto contrario. o In seconda convocazione non è previsto un quorum costitutivo e l'assemblea delibera a maggioranza assoluta delle azioni dei votanti. ➢ L’assemblea straordinaria: la disciplina varia a seconda che la società faccia ricorso o meno al mercato del capitale di rischio. -Società che non fanno appello al MCR: o In prima convocazione non è previsto esplicitamente un quorum costitutivo. Tuttavia, l'assemblea delibera con il voto favorevole di tanti soci che rappresentano più della metà del capitale sociale (non solo del capitale intervenuto in assemblea) ed è quindi necessario che gli azionisti intervenuti rappresentino almeno tale quota (quorum costitutivo indiretto: metà del capitale sociale). o In seconda convocazione, l'assemblea è regolarmente costituita con la partecipazione di oltre 1/3 del capitale sociale e delibera con il voto favorevole dei 2/3 del capitale rappresentato in assemblea → Vedi Tabella. -Società che fanno ricorso al MCR: o In prima convocazione occorre la presenza di almeno la metà del capitale sociale; o Mentre in seconda convocazione occorre oltre 1/3 del capitale sociale (quorum costitutivi). →L'assemblea straordinaria delibera con maggioranza di almeno i 2/3 del capitale rappresentato, sia in prima che in seconda convocazione. L’autonomia statutaria può prevedere solo maggioranze più elevate per l’assemblea ordinaria di prima convocazione e per l’assemblea straordinaria → mentre per l’assemblea ordinaria di seconda convocazione lo statuto può prevedere delle maggioranze più elevate ma non per le delibere essenziali inerenti l’approvazione del bilancio e la nomina delle cariche sociali. ❖ Neanche lo statuto, però, può prevedere il consenso unanime dei soci o maggioranze tanto elevate da equivalere all’unanimità, che rischierebbero di paralizzare la vita della società. ❖ Lo statuto, infine, può prevedere ulteriori convocazioni oltre la seconda (terza, quarta ecc.), tanto dell’assemblea ordinaria quanto di quella straordinaria, alle quali si applicano le disposizioni previste per la seconda convocazione. →Per le convocazioni oltre la seconda dell’assemblea straordinaria delle società che fanno ricorso al MCR il quorum costitutivo si riduce ad almeno 1/5 del capitale sociale, fermo restando il quorum deliberativo di almeno i 2/3 del capitale rappresentato in assemblea. Nelle sole società che fanno appella al mercato del capitale di rischio, inoltre, il D. Lgs. 27/2010 ha previsto che lo statuto possa sostituire le “diverse convocazioni con quorum progressivamente ridotti” con un’unica convocazione alla quale applicare direttamente le maggioranze più basse, ossia quelle richieste per l’assemblea ordinaria di seconda convocazione e per quella straordinaria nelle convocazioni successive alla seconda. 5. – Svolgimento dell’assemblea. Verbalizzazione. L’assemblea è presieduta dalla persona indicata nello statuto o, nel silenzio dello stesso, eletta con il voto della maggioranza dei presenti (“per teste”) → È assistito da un segretario (eletto stesso modo) →Il presidente dirige i lavori dell’assemblea, facendo in modo che si svolgano in modo ordinato e nel rispetto del regolamento approvato dalla stessa adunanza o previsto statutariamente, verifica la legittimazione ad intervenire dei soci presenti e la loro identità, dichiara aperta e chiusa la seduta… ❖ Questi sono tutti poteri propri del presidente, attribuiti allo stesso dalla legge o dallo statuto. ❖ Accanto ad essi, però, vi sono i c.d. poteri derivati, non regolati dalla legge e rimessi alla discrezionalità dell’assemblea: stiamo parlando delle scelte inerenti al sistema di votazione, lo scioglimento della riunione e la sua sospensione… ❖ Anche il dibattito in assemblea è gestito dal presidente, che può prevedere un tetto temporale massimo per ogni intervento o togliere la parola ai soci che si dilungano eccessivamente. →Al presidente può essere richiesto, e da egli deve essere concesso, il “rinvio” dell’adunanza di non oltre 5 giorni, da parte di tanti soci rappresentanti 1/3 del capitale sociale presente in assemblea, al fine di consentire agli stessi di informarsi sugli argomenti posti in discussione. ❖ Col tempo si sono moltiplicate le norme volte ad assicurare l’informazione pre-assembleare in occasione di delibere di particolare rilievo (pensiamo all’approvazione del bilancio), imponendo agli amministratori di depositare presso la sede sociale specifici documenti informativi. La scelta dei sistemi di votazione è libera, sebbene non sia concepibile il voto segreto, in quanto non sarebbe possibile individuare i soci in conflitto di interessi e quelli dissenzienti ai fini dell’impugnazione della delibera e del recesso. →La delibera deve essere accompagnata dal verbale, redatto dal segretario o dal notaio (è necessario che sia redatto da quest’ultimo per le assemblee straordinarie), il quale viene trascritto nel libro delle adunanze e delle deliberazioni assembleari, tenuto dagli amministratori. • Esso deve indicare la data dell’adunanza, le materie affrontate, l’identificazione dei soci partecipanti ed il capitale rappresentato, il risultato delle votazioni e l’identificazione di soci favorevoli, astenuti o dissenzienti. 6. – Il diritto di intervento. Il diritto di voto. Il diritto di intervento in assemblea compete a tutti coloro ai quali “spetta il diritto di voto”, ossia azionisti con diritto di voto e soggetti legittimati alla votazione pur non essendo soci, come i titolari di diritti frazionari (usufruttuario e creditore pignoratizio). ❖ Anche i soci con voto “sospeso”, essendo computati per i quorum costitutivi, possono prendere parte all’assemblea, diversamente dagli azionisti senza diritto di voto. ❖ All’assemblea prendono parte anche i membri degli organi di amministrazione e controllo e ai rappresentanti degli azionisti di risparmio, degli obbligazionisti e dei titolari di strumenti finanziari di partecipazione ad uno specifico affare. L’accertamento del diritto di intervento in assemblea, a partire dal D. Lgs. 27/2010, avviene diversamente a seconda che si tratti di società non quotate o società le cui azioni sono negoziate in mercati di strumenti finanziari: →Nelle prime la titolarità del diritto di voto (e quindi d’intervento) deve sussistere nel giorno stesso dell’adunanza e va dimostrata esibendo all’ingresso il certificato azionario o, nell’ipotesi di azioni dematerializzate o inserite in un sistema di gestione accentrata, tramite una comunicazione alla società dell’intermediario. ❖ Lo statuto può contemplare misure volte ad impedire l’alienazione delle azioni in prossimità dell’assemblea, al fine di evitare cambi di maggioranza a sorpresa o manovre speculative. →Nelle società quotate, invece, accanto alle esigenze di organizzazione per tempo delle operazioni assembleari e di prevenzione di manovre speculative, nasce anche l’interesse degli investitori a continuare ad operare sulle azioni, motivo per cui il diritto di intervento spetta, immodificabilmente, a chi nel settimo giorno feriale precedente l’adunanza in prima o unica convocazione risulti, nei conti degli intermediari che provvedono a darne comunicazione alla società, titolare del diritto di voto (sistema della data di registrazione). ❖ Anche dopo tale data le azioni sono alienabili, ma legittimato al voto resta l’alienante e non in qualità di rappresentante dell’acquirente, bensì sulla base della precedente legittimazione, mentre chi ha acquistato le azioni risulta come assente all’assemblea e pertanto legittimato al diritto di recesso o all’impugnazione della delibera. 7. (Segue) – La rappresentanza in assemblea. Gli azionisti possono partecipare alle assemblee direttamente o tramite un rappresentante: a tal proposito è prevista una disciplina legislativa valida per tutte le società per azioni (Art. 2372), con l’aggiunta di ulteriori limiti per le società non quotate, ed una disciplina alternativa alla prima per le sole società quotate contemplata nel Tuf. I soggetti con diritto di voto (azionisti / legittimati) possono farsi rappresentare nell’assemblea. →Nelle società che non fanno ricorso al MCR lo statuto può limitare o escludere tale facoltà. • La delega va conferita per iscritto, anche se non non deve obbligatoriamente risultare da scrittura privata autenticata, e la società deve conservare i relativi documenti. • Non può essere rilasciata col nome in bianco del rappresentante, il quale a sua volta può farsi sostituire solo se la delega lo prevede (nelle società non quotate va indicato anche il nome del sostituto). • Società ed enti possono delegare solo dipendenti o collaboratori. La delega è sempre revocabile. Ulteriori limitazioni sono previste per le sole società non quotate: anzitutto vi sono dei divieti soggettivi, dal momento che la rappresentanza non può essere conferita a soggetti che, direttamente o indirettamente, sono sotto l’influenza del gruppo di comando, ossia membri degli organi di gestione e controllo, dipendenti della società, società controllate o soggetti espressione di queste ultime (amministratori, dipendenti, membri dell’organo di controllo). Sono previsti, altresì, dei limiti numerici alla rappresentanza nelle società non quotate: in quelle che non fanno ricorso al MCR un singolo soggetto non può rappresentare più di 20 soci, mentre in quelle che vi fanno ricorso il limite dei soci “rappresentabili” da un’unica persona cresce in funzione del valore del capitale sociale. ❖ La riforma del 2003 ha previsto che per le società che fanno ricorso al MCR la delega possa riguardare solo la singola assemblea, anche nelle convocazioni successive alla prima, ma la norma non si applica nei casi in cui sia stata conferita una procura generale o ad un proprio dipendente da parte di società ed enti. 9. – I sindacati di voto. I sindacati di voto sono patti parasociali, veri e propri accordi, in forza dei quali più soggetti decidono di concordare preventivamente il modo in cui votare all’interno dell’assemblea. →Può trattarsi di sindacati di voto occasionali o permanenti, ed in questo secondo caso possono essere a tempo determinato o indeterminato, nonché totali, qualora riguardino tutte le delibere assembleari, o parziali, nell’ipotesi in cui riguardino solo determinate votazioni. ❖ Il modo in cui votare può essere stabilito all’unanimità o a maggioranza ed il sindacato di voto può configurarsi come una vera e propria associazione non riconosciuta, con un proprio apparato organizzativo. →Tali sindacati, però, hanno aspetti positivi, permettendo al gruppo di comando di dare stabilità alle scelte inerenti la società ed al gruppo minoritario di difendersi adeguatamente, ed aspetti negativi, potendo causare la cristallizzazione del gruppo di controllo, il quale senza disporre della maggioranza del capitale, può comunque determinare la maggioranza richiesta, ai fini del voto, nelle assemblee → eludendo in un certo senso il principio maggioritario, in quanto la decisione viene presa prima delle assemblee stesse, che rimane solo formalmente rispettato. →Tuttavia, essendo un patto tra soci, il sindacato di voto ha effetto solo tra gli stessi, non essendo rilevante per la società che un socio si sia discostato dall’indirizzo di voto concordato prima. →Al contrario il sindacato di voto produce effetti negativi per la società nel momento in cui vi è conflitto di interessi tra uno o più soci e la società: in tal caso dei voti sindacati occorre tener conto quando occorre valutare, a norma dell’art. 2373, la “prova di resistenza”, ossia quanto il voto sindacato sia stato determinante nella delibera comportante un danno potenziale alla società. ❖ Si è discusso molto, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, sulla liceità e sulla validità dei sindacati di voto: l’autore Campobasso, in realtà, sottolinea come la libertà di votare in un determinato modo sia propria del soggetto, il quale può addirittura “vendere” un proprio voto in cambio di un beneficio economico, in quanto ciò non tocca in alcun modo il funzionamento delle maggioranze previste dalla legge al fine di assumere le delibere. ❖ Ciò che conta, continua l’autore, è la “trasparenza delle situazioni di potere” che i sindacati concorrono a determinare ed è proprio questa la prospettiva seguita dalle riforme del ’98 e del 2003 → regolando la durata dei sindacati di voto e assicurandone la pubblicità. -Nelle società non quotate sono regolati (Art. 2341 Bis) i patti parasociali che hanno ad oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano (sindacati di voto), ed anche gli altri patti stipulati al “fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo delle società”. E cioè: i sindacati di blocco; nonché i patti per l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante (c.d. sindacati di gestione o di controllo). -La disciplina delle società quotata (e delle società che le controllano) ha riguardo agli stessi tipi di accordi, nonché ai patti per l’acquisto concertato di azioni, ai patti volti a favorire o contrastare un’OPA, ed ai patti di semplice consultazione. → In sostanza sono compresi tutti i patti che incidono o possono incidere sugli assetti di potere nella società. I patti parasociali, anzitutto, non devono rispettare alcuna forma specifica. • Qualora siano a tempo determinato, però, non possono avere durata superiore a 5 anni (3 per le società quotate), sebbene rimangano rinnovabili alla scadenza (qualsiasi termine superiore, in ogni caso, viene riportato a 5 o a 3 anni). • I patti a tempo indeterminato possono essere stipulati, ma è previsto il recesso con un preavviso di 180 giorni. È contemplato anche il recesso senza preavviso, anche in caso di patti a tempo determinato, sebbene solo nell’ipotesi in cui gli azionisti intendano aderire ad un’OPA totalitaria o ad un’offerta preventiva parziale. I limiti di durata non si applicano ai “patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione e nello scambio di beni o servizi e relativi a società non quotate interamente possedute dai partecipanti all’accordo”, proprio per favorire accordi consortili di lunga durata. ❖ Per quanto riguarda, invece, la pubblicità di tali accordi, occorre sottolineare che essa vale solo per le società con azionariato diffuso tra il pubblico, con una diversa disciplina a seconda che la società sia quotata o meno. →Se si tratta di società non quotate che fanno appello al mercato del capitale di rischio, i patti parasociali devono essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea, oltre che trascritti nel verbale di assemblea, poi depositato presso l’ufficio del registro delle imprese. L’omessa dichiarazione (occhio, non la comunicazione alla società) rende impugnabile la delibera e sospende il diritto di voto per le azioni a cui il patto si riferisce. →Se si tratta, invece, di società quotate (o loro controllanti) i sindacati di voto e gli altri patti parasociali devono essere comunicati, entro 5 giorni dalla stipulazione, alla Consob ed alla società quotata, pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana e depositati presso il registro delle imprese del luogo dove ha sede la società, mentre non occorre la dichiarazione in apertura di assemblea: in caso di violazione di tali norme i patti sono nulli, si va incontro a sanzioni pecuniarie ed i soci aderenti sono liberi di votare come credono. 10. – Le deliberazioni assembleari invalide. In forza del dettato legislativo del codice del ’42 le delibere assembleari potevano essere nulle o annullabili: la nullità, però, veniva vista come sanzione eccezionale, da applicare nella sola ipotesi di delibera avente oggetto impossibile o illecito → nel caso di vizi procedurali si aveva la semplice annullabilità della delibera, da impugnare entro 3 mesi altrimenti non più contestabile. →Se questo era il detto del codice, però, la giurisprudenza, al fine di tutelare la posizione dei soci di minoranza, il più delle volte assenteisti e disinteressati, aveva dato luogo ad una terza categoria di invalidità, quella delle delibere inesistenti, che si configuravano nel caso in cui il vizio di procedimento fosse stato tanto grave da non poter parlare di delibera invalida, ma di non delibera, ossia inesistente del tutto per mancanza dei requisiti minimi. →La riforma del 2003 ha eliminato la terza categoria di cui abbiamo parlato, riconducendo le varie fattispecie all’interno della nullità o dell’annullabilità. Annullabilità: è sempre la regola in tema di deliberazioni non conformi alla legge o allo statuto, mentre la nullità è prevista in soli tre casi tassativi previsti dall’art. 2379. Rientrano nella categoria delle delibere annullabili, un tempo considerate inesistenti: a. Quelle in cui vi è stata partecipazione di persone non legittimate (azionisti senza voto), ma solo laddove tale partecipazione abbia determinato l’irregolarità della costituzione dell’assemblea (prova di resistenza); b. Quelle in cui siano stati conteggiati erroneamente voti invalidi, determinanti per il raggiungimento della maggioranza; c. Le delibere il cui verbale risulti incompleto o inesatto, quanto impediscono l’accertamento di effetti e contenuto delle delibere stesse. L’impugnativa può essere proposta solo da soggetti individuati dalla legge: soci assenti, dissenzienti o astenuti, amministratori, consiglio di sorveglianza e collegio sindacale, rappresentante comune degli azionisti di risparmio ed in alcuni casi anche la Consob, la Banca d’Italia e l’ISVAP. ❖ Non compete, invece, tale legittimazione ai soci che hanno votato a favore della delibera, a quelli titolari di azioni senza voto o ai terzi creditori sociali. →Non ogni socio con diritto di voto, tra l’altro, ha diritto ad impugnare la delibera: per le società che fanno appello al mercato del capitale di rischio, possono impugnare la delibera solo gli azionisti rappresentanti l’uno per mille del capitale sociale, mentre nelle società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio occorre la rappresentanza del 5% del capitale, sempre che lo statuto non preveda riduzioni od esclusione di tale requisito. ❖ Ai soci non legittimati all’impugnativa compete il risarcimento del danno per delibere non conformi alla legge o all’atto costitutivo, sebbene essi debbano provare l’ammontare del danno, oltre che il nesso di causalità. L’azione di annullamento va esperita dinanzi al tribunale del luogo in cui ha sede la società e non è più necessario, diversamente che in passato, il deposito di almeno un’azione, mentre è fondamentale che l’impugnante dimostri il possesso delle azioni al tempo dell’impugnazione e che lo mantenga durante il processo, altrimenti può aver luogo solo il risarcimento e non l’annullamento. ❖ Per evitare azioni volte a danneggiare la società, il tribunale può prevedere che l’impugnante presti idonea garanzia per l’eventuale risarcimento, così come è previsto che solo il tribunale possa prevedere la sospensione della delibera, non sospesa dalla sola proposizione della domanda. ❖ Per evitare contrasti tra giudicati, le impugnative inerenti alla medesima delibera vanno istruite congiuntamente e decise con unica sentenza. →Sono fatti salvi i diritti di terzi acquistati in buona fede ed anche quelli acquistati in mala fede, qualora sia intervenuta una nuova delibera volta a sanare i vizi della prima, la quale ha effetto sanante retroattivo, sicché il giudizio procede solo inerentemente alle spese giudiziali. 11. (Segue) – Le deliberazioni nulle. Sempre al fine di esorcizzare la categoria delle delibere inesistenti, è stata ampliata la categoria delle delibere nulle ed è stata ridisegnata la disciplina della nullità, alleggerendola e sempre privilegiando la sopravvivenza delle delibere. La nullità si ha nei soli tre casi contemplati dall’art. 2379: 1. Delibera con oggetto o contenuto impossibile o illecito, ossia contrario a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume. →Si ha nullità anche quando la delibera ha oggetto lecito (per esempio approvazione del bilancio) ma contenuto illecito (esempio bilancio falso). Inoltre, si ha nullità solo se la delibera è contraria a “norme imperative che tutelano un interesse generale o lo stesso rapporto esistente all’interno della società, o il patrimonio della stessa”, mentre la nullità non si produce, nonostante la delibera sia illecita, qualora vengano violate norme imperative dettate a tutela del singolo socio o di gruppi di soci”; 2. Mancata convocazione dell’assemblea: la convocazione, però, non è mancante e non produce nullità della delibera nell’ipotesi di irregolarità dell’avviso che consente comunque di conoscere la data ed il luogo dell’assemblea; allo stesso tempo non può esercitare l’azione di nullità che, anche in un secondo momento, ha dato il proprio assenso allo svolgimento dell’assemblea nonostante la mancata convocazione; 3. Mancanza del verbale: il verbale non è “mancante” se contiene la data e l’oggetto della deliberazione, oltre alla sottoscrizione del presidente dell’assemblea o del presidente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza e del segretario/notaio incaricato della stesura. La nullità, nel caso di mancanza del verbale, è sanata con effetto retroattivo se viene steso un verbale precedentemente alla successiva assemblea. La nullità delle delibere può essere fatta valere da “chiunque vi abbia interesse” e può essere rilevata d’ufficio dal giudice →Il rapporto di amministrazione non può essere configurato come un rapporto di mandato generale, data l’autonomia ed i poteri previsti, oltre al fatto che essi sono attribuiti da norme inderogabili; tuttavia, non è possibile neanche parificare gli amministratori agli imprenditori, perché essi gestiscono comunque un’impresa altrui, oltre al fatto che vengono nominati e revocati dall’assemblea. 3. – Il rapporto assemblea – amministratori. Art. 2364 N. 5: l’assemblea è chiamata a decidere “…sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti”. →Allo stesso tempo l’art. 2380 Bis prevede che “La gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale”. ➢ Entrambe le norme, dunque, riconoscono a due organi diversi un potere gestorio: mentre nel caso dell’assemblea, però, si tratta di una competenza delimitata e specifica, riguardante in poche parole i soli atti previsti dalla legge (come l’approvazione del bilancio o la nomina/revoca degli amministratori), nel caso degli amministratori si tratta di una competenza generale, ossia inerente tutti gli atti necessari non riservati all’assemblea e utili per il conseguimento dell’oggetto sociale. →Il potere degli amministratori, di conseguenza, si configura come un potere proprio e non derivato, tant’è che essi non hanno bisogno in alcun modo di rivolgersi all’assemblea per svolgere il proprio compito, neanche in caso di operazioni pericolose, né tanto meno l’assemblea può essere chiamata a rispondere, a differenza degli amministratori, civilmente o penalmente dei danni arrecati al patrimonio sociale. La competenza degli amministratori incontra solo il limite di quella assembleare nei casi previsti dalla legge, ossia per le operazioni comportanti una sostanziale modifica della società stessa, del suo oggetto sociale. La disciplina è inderogabile anche da parte dello statuto, il quale può al massimo prevedere l’autorizzazione, da parte dell’assemblea, degli atti di gestione degli amministratori, su proposta degli stessi e senza a loro sostituirsi, in quanto l’organo assembleare non può mai avere competenza generale ed esclusiva su tali atti. 4. – Nomina. Cessazione della carica. I primi amministratori sono nominati all’interno dell’atto costitutivo, mentre successivamente competente alla nomina è l’assemblea ordinaria. →Un componente indipendente del consiglio di amministrazione può essere nominato da coloro che posseggono strumenti finanziari partecipativi. ❖ Allo stesso modo, nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può riservare ad enti pubblici o allo Stato la nomina di uno o più amministratori o sindaci, in forza della partecipazione nel capitale sociale. ❖ Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, invece, allo Stato o agli enti pubblici può essere addirittura riservata l’assegnazione di strumenti finanziari partecipativi, che comporta la nomina di un amministratore indipendente e di un componente dell’organo di controllo. →In queste due ipotesi gli amministratori sono soggetti alla disciplina già esposta, sebbene possano essere revocati solo dagli enti pubblici che li hanno nominati. Le clausole statutarie non possono mai prevedere che la nomina degli amministratori sia sottratta alla competenza assembleare, così come non possono consentire un innalzamento dei quorum deliberativi previsti per la nomina di tali cariche, mentre possono prevederne una riduzione. Vi sono poi dei sistemi di votazione (voto di lista, voto scalare, voto limitato ecc.) ideati al fine di consentire ai gruppi di minoranza una rappresentanza nel consiglio di amministrazione: ❖ nelle società quotate è obbligatorio che la compagine minoritaria sia rappresentata da un proprio amministratore e a tal fine il legislatore ha previsto l’adozione del voto di lista, il quale prevede che vengano presentate delle liste di candidati e che ogni socio possa votare per una sola lista; in conseguenza a ciò vengono nominati amministratori (facenti parte del consiglio) coloro votati maggiormente in ciascuna lista. ❖ Per poter presentare delle liste occorre una partecipazione minima al capitale sociale, la quale però non deve superare il limite di 1/40 del capitale o la diversa misura fissata dalla Consob. Il numero degli amministratori è fissato dallo statuto, il quale si può limitare a fissare numero massimo e minimo, lasciando all’assemblea l’indicazione del numero preciso. ❖ Gli amministratori possono essere soci o non soci, ma pur sempre persone fisiche, dotate dei requisiti di onorabilità fissati per i sindaci con regolamento del ministro per la giustizia. ❖ Almeno un componente del consiglio di amministrazione (due, se il consiglio ha più di 7 membri) deve essere un amministratore indipendente, chiamato a vigilare anche sugli amministratori delegati, il quale deve essere in possesso dei requisiti di indipendenza fissati per i sindaci e di ulteriori requisiti previsti dallo statuto. Sono cause di ineleggibilità alla carica di amministratore: ▪ L’interdizione; ▪ L’inabilitazione; ▪ Il fallimento; ▪ La condanna ad una pena che comporta l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici. Tra le cause di incompatibilità con la carica di amministratore troviamo, invece, l’esercizio di un’attività lavorativa come quella di impiegato civile dello Stato o di avvocato, così come la titolarità di cariche di Governo o di membro del Parlamento: in questi casi, però, la delibera di nomina non è invalida, in quanto il soggetto è chiamato a scegliere. La durata della loro carica non può superare i 3 esercizi, sebbene sia rinnovabile. Cessano dall’ufficio prima della scadenza del termine: a. Gli amministratori il cui incarico è stato revocato dall’assemblea, i quali hanno diritto al risarcimento del danno se non vi è giusta causa; b. Gli amministratori che presentano le proprie dimissioni; vengono meno quindi per rinuncia; c. Gli amministratori che decadono dall’ufficio (decadenza), se sopravviene una causa di ineleggibilità o se si perdono i requisiti di indipendenza (nel caso di amministratori indipendenti di società quotate); d. Gli amministratori deceduti (morte). →Il legislatore si preoccupa, poi, di evitare la paralisi dell’attività dell’organo amministrativo nel caso in cui si verifichi una delle cause di cessazione dall’ufficio sopra esposte. ❖ Anzitutto è prevista la cosiddetta prorogatio: gli amministratori il cui ufficio cessa per scadenza del termine vengono sostituiti solo dopo l’accettazione della nomina da parte dei nuovi amministratori. ❖ In caso di “rinuncia” all’ufficio, l’amministratore deve darne comunicazione al consiglio di amministrazione ed al presidente del collegio sindacale: tale rinuncia ha effetto immediato se rimangono in carica la maggioranza degli amministratori (si ha prorogatio nel caso contrario). Nei casi in cui la cessazione dell’ufficio dipenda da morte dell’amministratore e decadenza dall’ufficio stesso, vanno prese in considerazione tre ipotesi: A. Se rimane in carica la maggioranza degli amministratori di nomina assembleare, allora si dà luogo alla cosiddetta cooptazione, ossia sono i superstiti a nominare i sostituti, con delibera consiliare approvata dal collegio sindacale, i quali restano in carica sino alla successiva assemblea; B. Se viene a mancare più della metà degli amministratori di nomina assembleare, i superstiti devono convocare l’assemblea affinché provveda alla nomina di nuovi amministratori, in carica sino alla scadenza del termine previsto per quelli già nominati (i superstiti); C. Se vengono meno tutti gli amministratori o l’amministratore unico, il collegio sindacale convoca con urgenza l’assemblea per ricostituire l’organo amministrativo, svolgendo nel frattempo la “gestione ordinaria”. →Tuttavia, la disciplina è derogabile da parte dello statuto, specie in merito alla regola di cooptazione, già di per sé eccezione al principio di competenza assembleare alla nomina degli amministratori. →Lo statuto può prevedere anche la clausola “simul stabunt simul cadent” (come insieme staranno insieme cadranno), prevedendo la cessazione di tutti gli amministratori e la ricostituzione dell’intero organo amministrativo nell’ipotesi di cessazione anche di un solo amministratore. 5. – Compenso. Divieti. Gli amministratori, per lo svolgimento della propria attività, hanno diritto ad un compenso (Art. 2389) → determinato dall’assemblea ordinaria o direttamente dallo statuto (nel sistema dualistico dal consiglio di sorveglianza). ❖ Tale compenso può consistere, in tutto o in parte, in una partecipazione agli utili della società o nel diritto di sottoscrivere azioni di futura emissione a prezzo predeterminato (stock options), anche se in questa ipotesi è necessario che l’assemblea straordinaria abbia deliberato l’esclusione del diritto di opzione degli azionisti. ❖ Nelle società quotate ed in quelle non quotate, con strumenti finanziari diffusi tra il pubblico, va rispettata, inoltre, la disciplina inerente i “piani di compensi basati su strumenti finanziari”, esposta a pagina 29 di questa dispensa. →Anche il compenso dei membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo è stabilito dall’assemblea, all’atto della nomina, o direttamente dall’atto costitutivo. ❖ Per gli amministratori con particolari cariche (come gli amministratori delegati), invece, il compenso è stabilito dal consiglio di amministrazione (no dall’assemblea), sentito il parere del collegio sindacale e si tratta di remunerazione ulteriore rispetto a quella prevista perché il soggetto fa parte del consiglio di amministrazione. → Se il compenso non è stato determinato, provvede l’autorità giudiziaria su ricorso dell’amministratore. In capo agli amministratori, inoltre, gravano determinati divieti: o Non possono assumere la qualità di soci a responsabilità illimitata in società concorrenti; o Non possono esercitare attività concorrente per conto proprio o altrui; o Non possono essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, se non previsto dall’atto costitutivo o autorizzati dall’assemblea. →In questi tre casi gli amministratori vanno incontro alla revoca dell’ufficio per giusta causa, dovendo anche il risarcimento dei danni, laddove arrecati. →Le società quotate devono indicare, nella relazione sulla gestione allegata al bilancio, le partecipazioni detenute dagli amministratori, anche in società controllate, nonché quelle detenute dai coniugi e dai figli minori. →Gli amministratori, infine, non possono acquistare, vendere e compiere altre operazioni su strumenti finanziari della società, sfruttando informazioni tratte dalla propria posizione privilegiata, altrimenti vanno incontro a sanzioni penali. →La società può anche scegliere di avvalersi di rappresentanti negoziali diversi dagli amministratori, quali direttori generali, che fanno pur sempre parte dell’organizzazione interna, o procuratori generali esterni, nominati dagli amministratori stessi o dall’assemblea. In ogni caso, viene tutelato moltissimo l’affidamento di terzi riguardo agli atti posti in essere da chi gode del potere di rappresentanza: ➢ è, infatti, inopponibile a terzi di buona fede la mancanza di potere rappresentativo dovuta ad “invalidità” dell’atto di nomina. →Se quest’ultimo è stato iscritto nel registro delle imprese, le cause di nullità e annullabilità non possono riguardare i terzi, almeno che non si provi la conoscenza da parte degli stessi delle cause in questione; ➢ allo stesso modo anche la violazione dei limiti ai poteri di rappresentanza da parte degli amministratori è inopponibile a terzi, anche se tali limiti sono stati pubblicizzati, almeno che non si provi che l’amministratore abbia agito per danneggiare la società (Es: in caso di accordo fraudolento tra l’amministratore ed il terzo), mentre è insufficiente la malafede del terzo. →Sebbene prevista dalla disciplina comunitaria, all’interno del nostro ordinamento non è mai stata inserita la disposizione inerente l’impossibilità della società di opporre a terzi di buona fede l’estraneità all’oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società, definiti come atti ultra vires: in poche parole, se l’amministratore compie un atto che non rientra nell’attività di impresa, la società resta comunque vincolata verso terzi, almeno che non riesca a provare che gli stessi abbiano agito volutamente a danno della società; si tratta, infatti, di limiti statutari che non devono interessare a terzi. Al contrario, invece, qualora vi siano dei limiti legali del potere di rappresentanza, gli atti posti in essere in violazione di tali limiti dagli amministratori sono opponibili a terzi (pensiamo agli atti stipulati dall’amministratore in conflitto di interessi): in questi casi l’atto è annullabile su richiesta della società, sempre che si possa dimostrare almeno la riconoscibilità del conflitto, con l’ordinaria diligenza e perizia, da parte del terzo. 10. – La responsabilità degli amministratori verso la società. Gli amministratori, per gli atti compiuti così come per quelli omessi, sono civilmente responsabili: ▪ Verso la società; ▪ Verso i creditori sociali; ▪ Verso i singoli soci o terzi. Responsabilità verso la società (Artt. 2392 - 2393). Quella degli amministratori è un’obbligazione di mezzi (obbligazione che prevede condotte la cui corretta e diligente esecuzione non è detto produca il risultato desiderato) e non un’obbligazione di risultato. →Per tale motivo gli amministratori sono responsabili solo nel momento in cui non adempiono i doveri ad essi imposti dalla legge o dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico o dalle loro specifiche competenze, mentre non sono responsabili per i risultati negativi della gestione non imputabili alla diligenza generale o professionale: ❖ in sede di accertamento della responsabilità, infatti, il giudice non entra nel merito delle scelte dell’amministratore inerenti l’opportunità e la convenienza di un affare, ma si limita a verificare l’osservanza di obblighi di condotta. →Ovviamente se ci sono più amministratori essi rispondono solidalmente dell’intero danno, almeno che non si tratti di funzioni specificamente attribuite ad uno o più amministratori. →Anche in presenza di funzioni delegate, tuttavia, sebbene il codice non preveda più il “dovere generale di vigilanza” (l’art.2381.3 prevede per gli amministratori senza delega soltanto specifici obblighi che abbiamo già visto: valutare l’adeguatezza dell’assetto societario, frutto del lavoro degli organi delegati; esaminare piani strategici, industriali e finanziari elaborati; valutare in linea generale la gestione); è comunque imposto a tutti gli amministratori di agire in modo informato (comma 6 art.2381) e di adempiere i propri obblighi con la diligenza del buon professionista (art.2392 comma 1), il che comporta il dovere di sollecitare informazioni e chiarimenti da parte degli organi delegati e di verificare le informazioni fornite. ❖ Ciò significa che non sempre la presenza di funzioni delegate esonera gli altri amministratori da responsabilità solidale. Essi, tra l’altro, sono sicuramente responsabili nel momento in cui erano a conoscenza di atti pregiudizievoli degli organi delegati e non hanno fatto nulla per impedirli. ❖ In sostanza, tutti gli amministratori devono impedire o limitare, per quanto è possibile, l’attività dannosa degli organi delegati, altrimenti sono chiamati a rispondere di culpa in vigilando, avendo però diritto di regresso nei confronti dei primi. Gli amministratori, tuttavia, sono esonerati da responsabilità nel momento in manca l’elemento della colpa: se essi hanno dissentito da una determinata decisione, dissenso che risulta dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, o se del proprio dissenso hanno dato comunicazione immediata per iscritto al presidente del collegio sindacale, essi non hanno alcuna colpa e non sono responsabili. Solo l’assemblea ordinaria ed il collegio sindacale a maggioranza dei 2/3 possono deliberare l’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori: in caso di delibera assembleare l’ufficio dell’amministratore cessa in quel momento se la decisione inerente l’azione di responsabilità viene presa da tanti soci rappresentanti almeno 1/5 del capitale, altrimenti occorre una nuova convocazione per la revoca. →Possiamo notare, però, come vi sia in tal caso una tutela minima dei soci minoritari: la maggioranza in assemblea è tenuta dal gruppo di comando, che ha nominato gli amministratori, al pari della maggioranza nel collegio sindacale, di nomina assembleare e per tale motivo la decisione di agire in giudizio contro gli amministratori può essere presa solo se è venuto meno il rapporto fiduciario tra gruppo di comando e amministratori, mentre la minoranza rimane impotente a riguardo, anche nelle ipotesi di società quotate dove i sindaci devono essere eletti in parte anche dal gruppo di minoranza, in numero però insufficiente a promuovere l’azione. Le cose cambiano soltanto in caso di fallimento, dissesto, liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria (procedure concorsuali), in quanto in tal caso legittimati ad agire sono il curatore fallimentare, il commissario liquidatore o quello straordinario. →Tuttavia, una minima tutela per le minoranze esiste anche per le società in bonis (in utile): se la società rinunzia all’esercizio dell’azione di responsabilità o giunge ad una transazione con gli amministratori, occorre una delibera dell’assemblea in cui non ci deve essere il voto contrario di una minoranza rappresentante 1/5 del capitale sociale (1/20 per le società che fanno appello al mercato del capitale di rischio), altrimenti rinunzia e transazione non hanno effetto. Le riforme del 1998 (valida solo per le società quotate) e del 2003 (che ha esteso tale disciplina a tutte le S.p.A.) hanno previsto una più energica tutela della minoranza: i soci che rappresentano almeno il 20% del capitale sociale (1/40 per le società che fanno appello al mercato del capitale di rischio) possono decidere di esperire l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, tramite uno o più rappresentanti comuni, volta però non al risarcimento del danno, ma al reintegro del patrimonio sociale: la società, tuttavia, viene comunque chiamata in giudizio e, se la domanda viene accolta, è tenuta a rimborsare agli attori le spese di giudizio non a carico degli amministratori. →L’azione sociale di responsabilità, in ogni caso, può essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione della carica dell’amministratore. Ricordiamo che la responsabilità degli amministratori viene configurata come una responsabilità da inadempimento di preesistenti obbligazioni (contrattuale) e non da illecito extra-contrattuale, pertanto gravando sull’attore (la società) solo l’onere della prova inerente l’esistenza del danno imputabile all’inadempimento degli amministratori e non la colpa degli stessi, mentre dimostrare l’inesistenza della colpa o del nesso di causalità tra inadempimento e danno compete agli amministratori. 11. (Segue) – La responsabilità verso i creditori sociali. Art. 2394: gli amministratori sono responsabili anche nei confronti dei creditori sociali solo per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale: ❖ l’azione può essere esperita dai creditori solo nell’ipotesi in cui il patrimonio sia divenuto insufficiente al soddisfacimento dei propri crediti (quindi può capitare che gli amministratori siano responsabili verso la società ma non verso i creditori). Legittimati ad agire sono i singoli creditori sociali: sebbene la legittimazione spetti solo al curatore fallimentare, al commissario liquidatore o a quello straordinario in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria. ❖ Anche in questo caso, come abbiamo visto prima, si tratta di “inadempimento degli obblighi posti dalla legge a carico degli amministratori” (conservazione integrità patrimonio sociale) e pertanto non possiamo parlare di illecito extracontrattuale: dolo e colpa non devono essere dimostrati. Tuttavia, il danno subito dai creditori riguarda anche un danno alla società, motivo per cui i creditori rimangono insoddisfatti nel momento in cui l’azione risarcitoria sia già stata esperita dalla società, o vi sia stata “transazione”, con consequenziale reintegro del patrimonio sociale, anche se la transazione può essere impugnata tramite azione revocatoria. • In caso di “rinunzia”, invece, i creditori possono esperire la propria azione, data che il patrimonio non è stato reintegrato. • L’azione dei creditori si prescrive in 5 anni, i quali decorrono dal giorno in cui viene riscontrata l’insufficienza del patrimonio o dal giorno in cui i creditori potevano averne conoscenza tramite l’ordinaria diligenza. La domanda in dottrina, però, è la seguente: quella dei creditori è un’azione diretta ed autonoma? O si tratta di un’azione surrogatoria a norma dell’art. 2900? La risposta a questa domanda delinea due situazioni diverse: 1. Nel caso di azione diretta ed autonoma, infatti, gli amministratori non possono opporre ai creditori le eccezioni opponibili alla società ed i creditori ricevono direttamente il risarcimento fino alla concorrenza del proprio credito; 2. Nel caso di azione surrogatoria, invece, tutte le eccezioni opponibili alla società possono essere opposte ai creditori ed il risarcimento spetta alla società, in quanto il patrimonio viene incrementato dando luogo ad un beneficio solamente indiretto per i creditori. →La tesi maggiormente condivisa è quella dell’azione diretta ed autonoma e ne consegue che i creditori non siano obbligati a citare in giudizio anche la società, così come la sospensione della prescrizione dell’azione sociale, finché gli amministratori restano in carica, non opera per l’azione dei creditori sociali.
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