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Riassunto "Geografia e letteratura. Piccolo manuale d'uso" -Marengo, Sintesi del corso di Geografia

Riassunto dettagliato di Marengo M., Geografia e letteratura. Piccolo manuale d'uso, Bologna, Pàtron, 2016.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 12/12/2020

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Scarica Riassunto "Geografia e letteratura. Piccolo manuale d'uso" -Marengo e più Sintesi del corso in PDF di Geografia solo su Docsity! RIASSUNTO GEOGRAFIA E LETTERATURA (Marengo) Introduzione L’opposizione letteratura alta e letteratura popolare non è così sentita in Italia. In altri paesi la classificazione è netta fra autori classici e altri. (ex ‘roman de terroir’ popolare francese). Concetto di TERROIR è un concetto polisemico, rimanda alla dimensione del tempo e definisce il senso della relazione al luogo. Il ‘prodotto del terroir’ si riferisce a un bene prodotto in un luogo e ad un bene associato a un luogo. CAPITOLO 1: GEOGRAFIA E LETTERATURA, STORIA DI INCONTRI E SCAMBI RECIPROCI 1. L’approccio geo-letterario L’approccio geo-letterario affonda le sue radici nella geografia umanistica e ancor prima, nella geografia sperimentale dell’immaginario proposta da John Wright e da lui nominata ‘geosofia’. La Seconda guerra mondiale cambia e sconvolge radicalmente i rapporti uomo- terra. Nel 1953 per la prima volta si citano in un congresso ‘questioni di geografia letteraria’, termine nuovo che permette il riconoscimento di un campo di studi non ancora esplorato. Secondo Tissier, gli incontri geografia e letteratura nascono dalle conoscenze e preferenze personali della letteratura da parte dei geografi. Si tratta di opere letterarie spesso molto diverse fra loro, ma che permettono di offrire un interessante contributo alla pedagogia e alla geografia. Questo tipo di utilizzo della letteratura ha dominato l’approccio geo-letterario a lungo; il riferimento ai luoghi è centrale nell’analisi geografica di un’opera letteraria e il romanzo ‘localizzato’ permette di cogliere con sensibilità fatti che la scienza semplifica e deforma nelle sue operazioni di classificazione. Chevalier sottolinea il ruolo centrale della letteratura regionale e del romanzo popolare del terroir. Se le ambientazioni regionali della letteratura ‘alta’ hanno costituito un filo conduttore nell’illustrazione di concetti e fenomeni geografici, non si può dire lo stesso per quelle della letteratura ‘popolare’. Chevalier rimane ancora l’unico ad aver suggerito l’utilità della letteratura minore nelle riflessioni geografiche. Claval insite sui limiti della letteratura regionale e sull’uso dello spazio come sfondo. Successivamente il romanzo si è fatto sempre più attente al contesto di ambientazione: dal romanticismo al naturalismo si può notare un incremento nella preoccupazione dell’esattezza delle descrizioni. Ma il tema regionale diviene essenziale solo a fine secolo, quando i francesi sono alla ricerca di radicamenti profondi per definire la loro identità. Nel XX secolo, il contesto serve più a creare l’ambientazione psicologica o drammatica che ricordare i fondamenti delle grandi collettività. 1.2 LA GEOGRAFIA UMANISTA E LA GEO-LETTERATURA Anni ’60: la rivelazione e l’urgenza delle questioni ecologiche e ambientali hanno portato a una rivoluzione contro i metodi quantitativi della geografia di quel tempo. Da ciò nacquero 2 correnti: - Geografia radicale implicazioni politiche; - Geografia umanista vuole essere la risposta a una geografia scientifica troppo astratta, dogmatica e meccanicistica e limitata nel suo approccio. Il suo postulato fondamentale è “lo spazio vissuto è il mondo dell’esperienza immediatamente precedente a quello delle idee scientifiche”. Y Fu Tuan elenca 3 approcci della geografia al testo letterario: 1. Come tipo di relazione ed esperienza umana suggerisce al geografo cosa cercare es. spazio sociale 2. Come opera realizzata rivela percezioni ambientali e valori di una cultura, il geografo che è storico delle idee; 3. Come tentativo di equilibrare oggettivo e soggettivo la verità dell’invenzione va al di là della realtà dei fatti: la realtà immaginaria può trascendere o contenere più verità della realtà fisica o quotidiana. La verità letteraria ha una propria universalità. Il testo diventa elemento fondamentale e non più solo fonte di informazioni: per mezzo della letteratura la vissuta esperienza dei rapporti sociali diventa viva e vitale. Dickens, Verga mostrano relazioni tra società e territorio. Saviano con ‘Gomorra’ è un esempio moderno. Del testo letterario si analizza e interpreta il messaggio territoriale che l’autore veicola attraverso la sua capacità di fissare nei luoghi e nei paesaggi dei significati pensati. Testo elemento fondamentale nei sistemi simbolici connessi alle relazioni uomo/ambiente. Dagli anni ’90 in poi il campo della geografia letteraria si ritaglia definitivamente uno spazio nell’ambito geografico. 1.3 LO SPATIAL TURN Spatial turn fenomeno transdisciplinare delle scienze sociali enunciato da Edward Soja nel saggio Postmodern Grographies. Indica un movimento che tende a modificare la percezione e la rappresentazione dello spazio nel rapporto tra cultura, politica e società. In un’epoca segnata dallo spatial turn, in cui lo spazio si tramuta in metafora miliare nella letteratura, prendono forma alcune correnti: - Corrente della geo-critica considera la geografia sia come disciplina che come metodo. È un metodo di analisi transdisciplinare che situa spazio, luoghi e funzionamenti geografici al centro. Prospettiva geocentrata, approccio al testo letterario che non parte da sé ma da un luogo. - Corrente della geo-poetica concepita da Kennet White anni 80, non è geografia e non è letteratura, ma un suo attraversamento (-trans). È una teoria e pratica transdisciplinare che viene applicata a tutti gli aspetti della vita e della ricerca. Si pone al di là sia della geografia che della letteratura, poiché le congiunge. GEOGRAFI E LETTERATURA Il geografo canadese Marc Brosseau descrive 4 approcci geo-letterari: 1. La letteratura come complemento di uno studio di geografia regionale uso della geografia come semplice ornamento o fonte di informazione; 2. La letteratura come trascrizione dell’esperienza dei luoghi ambito più utilizzato dalla geografia umanistica. 3. Supporto critico della realtà o dell’ideologia dominante riguardo alla gestione del territorio collegato alla geografia radicale o critica. 4. La ricerca di un confronto tra approcci geografici e letterari nell’individuazione ed analisi di fenomeni spaziali in letteratura. CAPITOLO 2: LE CAMPAGNE EUROPEE FRA TRADIZIONI ANCESTRALI E NUOVE RURALITA’ Le campagne sono state oggetto di interesse di numerosi scrittori (es. Letteratura campestre dell’800 francese con George Sand, realismo/verismo/naturalismo lasciano tracce importanti nel mondo della ruralità). Questa letteratura è classificata come popolare ed è costituita da saghe e romans de terroir. Si considerano l’importanza del terroir1 che spesso dal punto di vista spaziale coincide con il finage, territorio comunale. Il romanzo localizzato permette di cogliere con grande sensibilità fatti che la scienza semplifica e si limita a classificare. Le finzioni letterarie conducono all’essenza delle campagne e alla scoperta degli elementi fondanti del mondo agricolo e rurale, profondamente mutato nell’ultimo secolo, a cui ci si rivolge alla ricerca delle proprie origini sociali e culturali. L’analisi delle opere letterarie consente di cogliere le trasformazioni dei paesaggi, delle società, delle tipologie di produzione e le trasformazioni dovute alla meccanizzazione e all’industrializzazione dell’agricoltura. L’agricoltura delle tradizioni culturali e colturali Nel cogliere le trasformazioni dei paesaggi, della società, delle aziende agricole e i modi di conduzione con le trasformazioni dovute alla meccanicizzazione e all’industrializzazione dell’agricoltura nell’Italia del 20° secolo, aiutano Federigo Tozzi (il podere, con gli occhi chiusi), Cesare Pavese (la luna e i falò), Claude Michelet (j’ai choisi la terre) e Gianni Celati (narratori delle pianure, verso la foce). Questi autori permettono di cogliere i processi di cambiamento e le peculiarità dei contesti rurali italiani ed europei. Si può ricostruire il percorso del podere a partire dalle descrizioni realiste e talvolta crudeli di TOZZI e MICHELET: In Italia dominava ancora il podere condotto con contratti a mezzadria. I poderi erano porzioni di estese fattorie, proprietà di notabili o figure di alto rango sociale a volte provenienti dal mondo urbano. Queste proprietà suddivise in poderi erano gestite da contadini o da braccianti giornalieri (vendemmia, mietitura…) la povertà regnava nella vita dei contadini e vi era l’abitudine di prendere in affido bambini orfani o abbandonati per poter beneficiare di un sussidio. La povertà giustificava piccoli furti ai raccolti a danno dei proprietari per migliorare la qualità della loro alimentazione. Anche il bracconaggio era diffuso. Alle grandi proprietà e ai poderi si affiancavano le piccole proprietà familiari, grazie a strategie matrimoniali, caratterizzate dalla frammentazione che rendeva difficile il lavoro agricolo. Modi di lavoro nell’agricoltura pre-industriale [Ne parlano Pavese, Tozzi, Michelet] Vi era la subordinazione delle attività agricole alle fasi lunari (raccontata da Pavese ne La luna e i falò). Fino al dopoguerra l’agricoltura tradizionale ha mantenuto un’organizzazione policolturale che ha contribuito a modificare i paesaggi. Una delle caratteristiche della policoltura in Italia era la ‘piantata’ o ‘vite maritata’ i cui filari erano sostenuti da alberi da pioppo, gelsi (allevamento dei bachi da seta come reddito integrativo), ciliegi e cotogni. Filari distanti tra loro e inframezzati da 1 spazio geografico delimitato dove una comunità umana ha costruito un sapere intellettuale collettivo di produzione fondato su un sistema di interazioni tra ambiente fisico e biologico, un insieme di fattori umani. altre colture. Si andrà con gli anni e i climi differenti a concentrarsi sulle specificità colturali di una determinata zona, a passare quindi alla monocoltura (es. vigneti specializzati delle Langhe descritti da Pavese e divenuti sito UNESCO nel 2014). La letteratura ha saputo, a volte meglio degli scritti scientifici, descrivere e rappresentare le fasi salienti del lavoro nei campi. Una delle più raccontate è la mietitura: fondamentale nell’economia della famiglia contadina e intere famiglie erano coinvolte nell’attività. Il grano arso modifica sensibilmente il paesaggio. Un’altra attività fondamentale: il fienaggio, senza tale risorsa il bestiame non sopravviveva all’inverno in attesa dei pascoli della primavera. Il rischio di temporali poteva far marcire il fieno e vanificar il duro lavoro contadino. Strumenti di lavoro tradizionali e prime innovazioni [Ne parlano Tozzi, Michelet, Pavese] Strumenti da lavoro manuali: zappa, vanga, falce e anche animali come bovini ed equini utilizzati come forza motrice per attrezzi agricoli in pianura. Le vacche da lavoro erano una delle ricchezze delle campagne europee e non solo. Il rispetto per gli animali, oltre che il timore di rovinare lo strumento di lavoro impediva loro di sfruttarle all’infinito. Oltre ai buoi anche i cavalli da tiro erano utilizzati come forza motrice per gli attrezzi agricoli. La situazione mutò nei primi decenni del 1900 con la riduzione della fatica degli agricoltori e l’introduzione dei primi attrezzi meccanici: le falciatrici, trebbiatrici a vapore. Si utilizzava oltre al letame, il concime universale. Nacquero i primi consorzi agrari che consigliavano gli agricoltori nelle scelte da fare in colture e attrezzature. Tutto ciò ha permesso il passaggio da agricoltura di sussistenza ad agricoltura di mercato. Dall’inizio del XX secolo hanno iniziato a utilizzare non solo il letame (concime universale) ma anche fertilizzanti esotici, un’altra tecnica innovativa oltre alla rotazione agricola e le nuove attrezzature. Nell’organizzazione familiare del lavoro, gli animali erano spesso compito delle donne (compreso il pascolo condiviso con i bambini): allevamento di animali da cortile, bachi da seta, ingrasso dei maiali. Alla cura degli animali si aggiungeva anche il lavoro domestico. In alcuni periodi dell’anno, era possibile integrare l’alimentazione familiare grazie ad animali catturati con la caccia e la pesca. Le botteghe, le fiere, i mezzi di trasporto [Ne parlano Tozzi e Michelet, anche Pavese] Le campagne europee hanno potuto contare sulla presenza di borghi rurali in grado di offrire i servizi essenziali alla popolazione. Il centro di questi borghi erano spesso empori- locande che permettevano l’acquisto di beni indispensabili nella quotidianità. Non mancavano innovazioni volte ad aumentare il prestigio e la centralità del borgo come le fiere, dove si mostravano specificità non solo commerciali ma anche ricreative e culturali. Il bestiame era il centro degli interessi e degli scambi ma vi erano anche compravendita di attrezzature agricole. Le fiere erano occasione di festa, di affari e anche di matrimonio. Il loro potere d’attrazione sulle popolazioni contadine non era poi così diverso dalle feste (soprattutto quelle religiose). Lo svuotamento delle campagne [Ne parlano Michelet e Celati] I mutamenti della prima metà del 20° secolo, la meccanicizzazione dell’agricoltura, i conflitti mondiali e i conseguenti mutamenti socio-economici incentrati sui processi di industrializzazione, sono alcune delle ragioni che hanno contribuito allo svuotamento delle campagne. Nel periodo tra le due guerre mondiali, la mentalità dei giovani era così cambiata che molti decisero di non investire le loro energie nelle aziende agricole familiari: così le campagne persero buona parte dei giovani in età lavorativa. Inoltre, in mezzo secolo il livello d’istruzione degli abitanti delle aree rurali era passato dall’alfabetizzazione alimentare alla laurea in agronomia. Sono cambiamenti sostanziali che sono stati facilitati da un certo pdv anche dalla mobilità (collettiva): la ferrovia ha assicurato lo spostamento di persone e merci verso i centri urbani sostituendo le littorine(automotrici) che sopravvissero nelle pianure. Il secondo dopoguerra fu tragico per le campagne, la desertificazione demografica porta alla chiusura di numerose attività. Per chi continua a stare nelle campagne i venditori ambulanti rappresentano spesso gli unici fornitori (essenziali per gli anziani non in grado di spostarsi nei centri urbani). In alcuni casi sono sopravvissuti gli empori, che vendono merce di ogni genere (ex. drogherie). Una delle funzioni venuta a meno è quella del parroco: scomparsi, in pensione o divenuti anch’essi ambulanti. Anche i luoghi di socializzazione o culturali sono venuti meno nelle campagne, dalle locande e le osterie, ai cinema, fino all’arrivo nelle case di radio e televisione e di svago culturale in seguito. L’abbandono delle terre difficili [Ne parlano Michelet e Celati] La desertificazione demografica e la progressiva riduzione funzionale dei centri rurali ha causato l’abbandono di molti terreni agricoli (in particolare collinari e montani). Il tempo e la manodopera necessari alla coltivazione manuale delle terre non esistono più; la situazione è diversa per gli appezzamenti pianeggianti, in cui è possibile coltivare la terra senza l’ausilio di mezzi meccanici, ma anche qui i cambiamenti sono stati pesanti: anche le cascine ricche della pianura padana mancano di gente e funzioni. A fermare in parte l’esodo umano e l’abbandono delle terre agricole è il trattore (1930- 1940) che porta verso una produzione industriale dell’agricoltura. La meccanizzazione ha aperto la strada all’agricoltura intensiva e all’aumento dell’estensione della proprietà, che si è trasformato in un abbandono dei sistemi colturali usuali. La PAC (Politica Agricola Europea) ha condizionato fortemente gli agricoltori e l’unico modo per sopravvivere ai cambiamenti imposti e ottenere risultati soddisfacenti era la ricerca del prodotto di nicchia di elevata qualità. La ricerca della qualità era spesso in contrasto con l’agricoltura industriale che obbliga a modificare lo sguardo sulle campagne. Valorizzazione delle aree rurali: i nuovi abitanti [Ne parlano Michelet e Pavese] I nuovi abitanti delle campagne sono coloro che decidono di lavorare nei centri urbani come pendolari, risiedendo nelle campagne dove non producono ricchezza. L’immigrazione (nonostante non è sempre stata percepita come opportunità dai residenti) ha permesso il mantenimento nelle aree rurali delle scuole elementari, delle locande. L’oggetto geografico isola e le categorie concettuali ad essa collegati vanno analizzati attraverso 2 casi letterari specifici: Ces messieurs de Saint-Malo (Saga dei signori di Saint-Malo) di Bernard Simiot, caso di letteratura popolare francese, e L’isola di Arturo di Elsa Morante. Aiutano a comprendere la complessità dei processi di apertura/chiusura delle realtà insulari e dei loro abitanti. In analisi sono poste le due isole di Saint-Malo e Procida. SAINT-MALOMentre l’isola francese ha da subito manifestato un’apertura verso la dimensione marittima, dove la costa ha avuto un ruolo importante solo in un rapporto di subordinazione nei confronti del mare, così non è stato per Procida. PROCIDA L’isola dell’arcipelago campano caratterizzata da fertili terreni vulcanici ha perso progressivamente la sua dimensione marittima, tanto da essere quasi inglobata nella terraferma. L’isola finisce per esistere soprattutto in funzione della terraferma, caso contrario al precedente. SAINT-MALO Questa città-isola compare citata negli scritti di molti autori famosi: Hugo, Nerval, Flaubert, Zola, Balzac, Chateubriand, Apollinaire, Stendhal, Proust, Maupassant, Gide. Nel caso qui analizzato, la trilogia di B. Simiot, Ces messieurs de Saint-Malo, a partire dagli anni 80 ha conosciuto un enorme successo popolare e propone in versione letteraria la descrizione dei processi spazio-temporali che hanno dato vita alla città di Saint-Malo. Simiot crea una messa in scena in cui le spazialità immaginarie contribuiscono a costruire un modello di territorialità costiera bretone, più precisamente malouine. Tali dimensioni si possono sintetizzare in una serialità concentrica che procede dall’interno (micro-spazio dell’isola/terroir) all’esterno (oceani). La messa in scena dell’autore permette di individuare 4 tipi di spazialità immaginaria concentrica progressiva, che sottolineano il ruolo progressivamente svolto dall’isola negli anni: 1- Dimensione locale, insulare e iléenne, intesa come chiusura nei confronti del vicino retroterra; 2- Dimensione atlantico-costiera, con la costruzione delle reti arcipelagiche che rendono Saint-Malo uno degli snodi irrinunciabili della rete marittima locale 3- Dimensione esagonale, costruita in progress, grazie/a causa delle ascese o dei fallimenti economico-finanziari degli armatori e capitani malouins. 4- Dimensione corsara, Saint-Malo è stata un luogo centrale della course d’Etat. 5- Dimensione oceanica e internazionale, dalla nascita della Compagnia delle Indie Orientali, colonizzazione, commercio triangolare, contrabbando grazie alle ‘patenti’ e ai viaggi di scoperta. Dimensioni locale e atlantico-costiera La dimensione locale riguarda le spazialità quotidiane di personaggi che si definiscono attraverso la costruzione delle loro identità. Vi domina una concezione di iléité intesa come chiusura nei confronti della costa e del retroterra malouin. Questa è una caratteristica fondatrice della città-isola. Nonostante dal 16° secolo vi siano stati interventi per collegare la lingua di sabbia del Sillon alla terraferma in modo permanente, è rimasta forte la memoria dell’insularità. In età proto-storica l’isola non era che una terra circondata da paludi. Grazie all’innalzamento progressivo del livello del mare l’isola si formò. L’isolamento, anche se temporaneo e legato alle maree, e la mancanza di un vero e proprio retroterra hanno obbligato i malouins a trovare strategia di sopravvivenza nel loro quotidiano. Saint-Malo è riuscita a mantenere la sua nomea per secoli anche se malgrado la linea del Sillon che la collegava alla terraferma, l’isola e il sentimento di iléité ad essa collegato rimanevano sempre forti. La dimensione locale e quella costiera si sono costruite in progress: Saint- Malo nei secoli è principale snodo di una rete arcipelagica particolare, dove i nodi dell’arcipelago sono sia terrestri che marittimi. Altri nodi importanti sono situati sulla costa atlantica francese come le città portuali Nantes (rivale storica con cui si trovano accordi matrimoniali fra gli abitanti), La Rochelle, Rouen, Port Louis (relazioni prettamente marittime). La rete arcipelagica si è ampliata per ragione economiche verso la Spagna. Motivazioni commerciali erano sempre alla base dei rapporti fra i malouins e le altre città. Pesca e commercio sempre attività fondamentali. La dimensione esagonale e oceanica La dimensione esagonale si è definita a causa delle ascese o dei fallimenti economico-sociali di diverse generazioni di armatori malouins. Essa rappresenta le relazioni burrascose fra Saint-Malo e i re di Francia. Lontano dal potere centrale esso perde importanza, prestigio e forza contrastiva, si fa astratto e il suo valore svanisce. Nonostante i contrasti fra il potere e l’isola la peculiarità marinara degli abitanti veniva comunque riconosciuta. La nascita della Compagnia delle Indie Orientali fornisce ai capitani di Saint-Malo la spinta per ampliare il proprio campo d’azione. Essi hanno intrapreso rotte esotiche e processi di colonizzazione, utilizzando spesso patenti reali di esplorazione, incrementando le loro fortune. L’isola è stata per molto tempo luogo centrale della course d’Etat: il capitano diventava capitano-corsaro e l’attività di pirateria era legalizzata dalla corona francese. Tale attività era l’orgoglio della città-isola e oltre alle ricchezze si sono trasmesse numerose leggende che hanno rafforzato il sentimento di iléité grazie al coraggio dei malouins. Più che alle rotte esotiche e le patenti di esplorazione, Saint-Malo deve la nomea ai suoi corsari, grazie ai quali il sentimento di ileite si è potuto coltivare con cura e si è potuto utilizzare in strategie di marketing cultural-territoriale che perpetua ancora questa peculiarità caratteriale della città. Da quanto emerso di Saint-Malo dalle narrazioni di Simiot, l’isola rocciosa e inospitale, divenuta penisola e poi terraferma, ha sviluppato nei secoli relazioni reticolari imponenti, soprattutto sul versante marittimo-oceanico. Il versante continentale è sempre rimasto un passo indietro, coinvolto solo in funzione dei bisogni marinari della città e dei suoi capitani. Il reticolo terrestre-continentale nazionale e internazionale si è definito in base ai bisogni e alle strategie degli armatori-finanzieri: acquisizione di titoli nobiliari, di cariche amministrative, di patenti di corsa o scoperta. Vivere in un’isola non significa vivere in un mondo chiuso, ma su di una riva, interfaccia che cerca lo scambio, il contatto, la circolazione. L’isola necessita di una ‘via d’uscita’: la questione è di ordine profondamente culturale; l’isola ha bisogno di alleati esterni, restando tuttavia al centro del mondo per sé stessa. Le relazioni terra-mare di Saint-malo possono essere sintetizzate in 3 fasi: 1. Fase minerale dalla sua fondazione fino al Medioevo. Isola-scoglio, isola-fortezza imprendibile sono all’origine della frattura terra-mare che dura nel tempo e nella memoria locale; 2. Fase corsaradal 15° secolo alla Restaurazione (1814-1830). È la fase del grande sviluppo economico, urbano e demografico di Saint-Malo. Contro il potere reale; 3. Fase vernacolare  dalla fine del 19° secolo ad oggi. La frattura dovuta all’iléité non è che un elemento stereotipato integrato alla memoria locale. L’elemento fondatore principale dell’identità territoriale malouine è costituito dall’opposizione liquido-solida. La finzione letteraria ha permesso di meglio evidenziare tale opposizione, contribuendo a diffondere l’immagine di città ‘quasi-isola’ i cui contenuti immaginari sono più pregnanti di quelli concreti, e la cui forma rinvia di continuo a una realtà romanzata vera e viva. L’ISOLA DI ARTURO- PROCIDA La storia dell’isola di Procida si intreccia con quella del restante arcipelago campano (Capri e Ischia) e la costa. Rispetto alle isole vicine, Procida ha una morfologia pianeggiante con un rilievo ed è costituita da complessi vulcanici e falesie. Nel romanzo, l’isola costituisce l’alter ego di Arturo, il protagonista. Grazie a questa scelta, attraverso il racconto e le vicende di Arturo, si è in grado di ricostruire il ritratto dell’isola, nell’insieme delle sue specificità morfologiche, fisico-climatiche, demografiche e socio- economiche. Il protagonista fa comprendere che le sue peculiarità fisiche sono condivise in buona parte con le altre isole partenopee; le caratteristiche climatiche e la posizione geografica sono favorevoli. Con queste premesse ci si potrebbe aspettare un’isola paradisiaca, al contrario dell’isolotto roccioso di Saint-Malo MA le vicende umane hanno deciso altri percorsi evolutivi, fatti di incursioni, epidemie, fughe e migrazioni, attività che non riescono a prosperare e il ‘cordone ombelicale ufficiale’ con la costruzione di un carcere la resero instabile e subordinata alla costa l’isola diventa involontariamente ‘quasi penisola’, perdendo la sua autonomia e opportunità di sviluppo future. Dall’apertura ancestrale alla chiusura ottocentesca Se le condizioni fisico-climatiche sono quasi paradisiache nelle rappresentazioni romanzesche e attraverso lo sguardo di un adolescente che dalla sua isola non è mai uscito, un po’ meno lo è la sua posizione aperta ad incursioni ed epidemie. Nel 1600 l’isola era molto popolata ma le epidemie diffusosi dalla terraferma (peste del 1544) e la posizione aperta a frequenti attacchi barbari spingevano gli abitanti a lasciare l’isola. Molti si recavano a Napoli nella speranza di un lavoro. Tra invasioni, migrazioni e epidemie emerge il carattere schivo e riservato dei procidani che li rende schivi ai cambiamenti e chiusi nei confronti dell’altro. In quei posti era diffusa l’endogamia e una resistenza alle innovazioni fondata su pregiudizi ed usi arcaici. Le invasioni giustificano la costruzione di una cittadella nella sua parte più alta, dominata da un castello circondato da imponenti mura (metafora della chiusura dei procidani). Le descrizioni della Morante rendono bene l’idea di un tipico borgo costiero mediterraneo arroccato, con le caratteristiche simili alle medine, tra povere costruzioni e sotterranei salvifici. Quello di Procida è un porto di servizio e costituisce la ‘via di fuga’ ufficiale dell’isola. Le attività economiche dei procidani Il caso delle alpi occidentali italo-francesi Per i Romani la conquista delle Alpi non coincideva con la definizione di una frontiera ma con il controllo di un’ampia zona sensibile, ricca di passaggi e importante per la libera circolazione tra i versanti. Le Alpi in Europa sono considerate “terre di frontiera” e sono di per sé aree di transito (anche tra ‘mondi’ diversi) e sono state in passato modellate dalla trasumananza. I movimenti di apertura/chiusura hanno favorito l’incontro, lo scambio, la circolazione di gente all’interno della regione frontaliera. Le Alpi occidentali ci fanno capire come la territorialità aperta offra il proprio spazio alla compresenza di confini potenzialmente infiniti, ma effimeri (non necessariamente persistenti nel tempo), mobili (capaci di spostarsi) e ubiqui (capaci di manifestarsi ovunque). I confini del potere e quelli delle autorità si presentano dunque con il carattere della puntiformità, mobilità e potenziale ubiquità. Anche nel Medioevo le Alpi erano elemento di frontiera e non di confine, esse non rappresentavano separazione ma punto di contatto per commercio e scambi. In tempi recenti e dopo gli accordi di Schengen hanno cambiato i concetti di confine. Le Alpi Occidentali hanno sa sempre rappresentato il concetto di porta ‘socchiusa’, zone di contatto in grado di garantire un dialogo fra popolazioni, forse un dialogo acceso ma pur sempre un contatto sociale, culturale ed economico. Liminalità montane e letterarie Gli autori che descrivono al meglio le questioni liminali delle Alpi Occidentali sono Francesco Biamonti (Vento Largo, L’angelo di Avrigue, Le parole la notte) e Jean Giono (L’ussaro sul tetto Jean Le Bleu). Le Alpi occidentali sono l’oggetto delle loro descrizioni, descrizioni che esplicitano numerosi dei possibili contenuti delle categorie concettuali di confine e frontiera. Attraverso le loro rappresentazioni è possibile ricostruire i processi territoriali ed economico-sociali che hanno contribuito alla definizione di un’identità territoriale e culturale peculiare di questa regione transfrontaliera. La linea di confine moderna nel tratto ligure delle Alpi taglia innumerevoli percorsi antichi come le strade del sale o i percorsi della transumanza (migrazione dei pascoli dalle zone di pianura a quelle montuose e viceversa) ad es. il cancello del Passo della Morte. Gli ultimi cambiamenti politici in Europa hanno portato alla scomparsa o alla trasformazione di alcuni confini, da materiali a virtuali. La zona frontaliera, come il confine lineare in essa contenuto, costituiscono degli entre-deux, spazi culturali dove i “nativi” hanno imparato ad attribuire nomi peculiari a luoghi, cose e persone, che hanno permesso scambi leciti e illeciti tra i due versanti del confine italo-francese. Gli abitanti della frontiera si sono adattati alle continue oscillazioni e mutamenti dei confini e definito regole per poter interagire con gli outsiders. La frontiera come generatore di attività economiche e scambi culturali La maggior parte delle regioni transfrontaliere hanno espresso identità culturali peculiari. Per le Alpi occidentali, Boyer e Palmero con le loro ricerche e riflessioni hanno categorizzato le territorialità frontaliere attraverso i concetti di zone-tampon e cuneus comune. Le categorie da loro definite raccontano una commistione di genti e di culture, italiane e francesi ma anche genovesi e savoiarde in passato, che si sono contese e hanno siglato accordi per poter utilizzare i pascoli d’altura, praticare l’agricoltura nelle terre verticali terrazzate. Biamonti argomenta in maniera chiara ed efficace cosa hanno costruito gli insiders attraverso i secoli: l’economia della zona trasnfrontaliera è stata incentrata per secoli sulle attività tipiche di quest’area di montagna mediterranea povera e poco redditizia ma in grado di garantire un redito di sussistenza agli autoctoni. Si basa su coltivazioni di lavanda, olivi, boschi di lecci, commercio del carbone ma soprattutto la pastorizia. I pastori incrociavano spesso venditori di merci ambulanti, i colporteurs che cercavano di convincere a vendere anche i loro prodotti (merci rare per quotidianità scarne, come prodotti di merceria, candele, fiammiferi), per ottenerne un guadagno. Gli insiders delle Alpi hanno anche trasportato merci di contrabbando, mestiere da sempre di frontiera. Altra attività di frontiera: i passeurs, che lavoravano transitando le persone da un versante all’altro. Le traiettorie transfrontaliere I passaggi di montagna sono spesso impervi, franosi a cui poeti e scrittori hanno dato largo spazio nelle loro descrizioni, ad esempio l’incipit di Jean le Bleu di Jean Giono. Senza i passeurs locali, oggi, i valichi per i clandestini sono divenuti pericolosi e spesso i ‘vecchi clandestini’ sono diventati i ‘padroni’ delle frontiere, e sfruttano la loro posizione. Gli abitanti della frontiera Gli abitanti della regione transfrontaliera (descritti da G.Bersani come rustici, schiavi e a volte aggressivi), si possono distinguere tra vecchi abitanti, che sono stati in grado di adattarsi, e i nuovi, che possono essere divisi in 2 categorie: - I nuovi arrivati quasi sempre stranieri, portatori di lingue, culture, e usi diversi; - I temporanei utilizzano il no men’s land della frontiera alla ricerca di rifugio e modi di vita ‘alternativi’. I residenti non si sono mai sentiti sicuri a causa di questi movimenti continui. Nella loro memoria è impressa la violenza dei ‘barbareschi’ che arrivavano. Ad es. i rivoluzionari e i carbonari che sfuggivano ai Savoia, chi sfuggiva agli obblighi del Fascismo… ma talvolta i locali si distinguono per i loro gesti solidali, legati ad una solidarietà trascorsa. Attualmente a transitare sono persone impegnate in percorsi migratori che riescono a trovare lì un rifugio temporaneo. Nature e culture delle montagne del mare Attraverso gli estratti dei romanzi e le riflessioni degli scrittori è stato possibile evocare un’idea del modo in cui il passaggio delle Alpi può essere rappresentato. È tuttavia necessario soffermarsi sullo stretto rapporto natura-cultura alla base della maggior parte delle rappresentazioni paesaggistiche contemporanee. Ogni luogo, per la sua identità che deriva da una peculiare connessione fra i fenomeni in atto e quelli già avvenuti, costituisce un microsistema territoriale dotato di autonomia. Prima di essere un paesaggio da contemplare, il territorio è sistema materiale da usare perché costruito come valore d’uso. Il paesaggio nasce quando c’è un’intersezione tra uno sguardo e un territorio materuale. I paesaggi culturali sono peculiari in quanto modellati da un’economia di sussistenza e dall’ingegnosità degli abitanti dei luoghi, che hanno saputo sfruttare a fondo le risorse locali. Talvolta le opere letterarie regalano delle descrizioni non geografiche ma in grado di sintetizzare pagine di riflessioni scientifiche: Ex. il cane del contrabbandiere in Vento largo di Biamonti, simbolo di una frontiera peculiare e di genti che, a forza di volerla addomesticare per soddisfare i propri bisogni, sono diventate anche loro peculiari così come i loro animali.
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