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Riassunto Geografia umana e culturale, prof. Cristiano Giorda, libro consigliato Geografia e Antropocene, Giorda, Sintesi del corso di Geografia

Sintesi completa del libro Geografia e Antropocene per il corso Geografia umana e culturale

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 23/02/2021

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Scarica Riassunto Geografia umana e culturale, prof. Cristiano Giorda, libro consigliato Geografia e Antropocene, Giorda e più Sintesi del corso in PDF di Geografia solo su Docsity! GEOGRAFIA E ANTROPOCENE UOMO, AMBIENTE , ED UCA ZIONE A cura di Cristiano Giorda INTRODUZIONE ALL’ANTROPOCENE. Cristiano Giorda, Michele Bandiera “L’Antropocene rappresenta la morte pubblica dell’idea moderna della natura separata dalla società” (Lorimer, 2012) Il concetto di Antropocene sta assumendo un rilievo sempre maggiore nel dibattito scientifico. È stato introdotto per la prima volta negli anni Ottanta del Novecento dal biologo Eugene Stoermer, ma ottenne maggiore successo negli anni 2000 quando fu utilizzato dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen. I due studiosi per Antropocene intendevano la pervasività dell’attività umana nei processi biologici che avvengono sulla Terra e che caratterizzano il pianeta in quanto essere vivente. È necessario marcare l’inizio di una nuova fase geologica, il cui segno distintivo è l’impatto irreversibile delle trasformazioni impresse dall’azione umana all’ambiente terrestre. L’umanità è quindi da qui considerata come una forza geologica. L’Antropocene è occasione di studio di diversi settori disciplinari, dalle scienze della natura alle scienze umane. Per la geografia è argomento di ricerca sia teorico-metodologica, riguardante le trasformazioni della superficie terrestre dall’interazione tra società e natura, ma anche empirica dato che ci si interroga sui modi di considerare e gestire il capitale ambientale e su come governare i sistemi territoriali. È inoltre coinvolta l’educazione geografica, cioè la ricerca di risposte culturali al problema di come abitare il pianeta di fronte ai rapidi processi di cambiamento in atto. A livello internazionale si fa riferimento alla Carta Internazionale dell’Educazione Geografica (1992, riscritta nel 2016) e alla Dichiarazione di Lucerna sull’educazione geografica allo sviluppo sostenibile (2007) in cui si propone un approccio sistemico che considera il sistema Terra come risultato delle interazioni fra diversi sistemi tra cui quello umano. L’Antropocene raccoglie in sé molti temi connotati da una dimensione territoriale e che richiedono riflessioni a scale diverse e l’analisi dei geografi è quindi necessaria. PARTE PRIMA: ANTROPOCENE, GEOGRAFIA, EDUCAZIONE GEOGRAFICA 1. PICCOLO LESSICO PER UNA SCRITTURA GEOGRAFICA DELL’ANTROPOCENE. Cristiano Giorda 1.1 Se una notte d’inverno un geografo dell’Antropocene Il campo di studio dell’Antropocene è molto vasto, multidisciplinare e transdisciplinare. È una materia nuova che rifugge dai vecchi, richiede un diverso linguaggio e un sistema di rappresentazione che superi la logica cartografica e le dicotomie tra uomo e natura che hanno costituito un punto fisso nella visione del mondo negli ultimi secoli. 1.2 Addomesticazione (domesticazione) «Cosa fa un geografo? È un erudito che conosce la posizione dei mari, dei fiumi, delle città e dei deserti» (Il piccolo principe). In realtà il geografo ha il compito di ascoltare la percezione che chi abita il mondo ha del mondo stesso e poi raccontarla. Il senso del luogo non è dato solamente da una descrizione oggettiva dei luoghi, ma anche dalle emozioni e percezioni dell’uomo che abita o osserva il luogo. Tutti questi aspetti sono fondamentali, ma troppo mutevoli ed effimeri per comparire in una carta geografica. L’Antropocene ci invita a riflettere tramite nuovi modelli sul rapporto di addomesticazione che si è instaurato tra uomo e natura. 1.3 Cambiamento Al centro del racconto dell’Antropocene c’è il cambiamento: il cambiamento di luoghi e territori, risorse e politica, spazi e corpi, clima ed economia, ambiente e società. Per la geografia la sfida è quella di riportare i cambiamenti dalla scala globale a scale intermedie e locali e riuscire a trovare relazioni tra questi vari frammenti. 1.4 Capitalocene L’idea di Jason W. Moore è quella che gran parte della crisi ambientale sia causata dai modelli di produzione e consumo capitalistici. La sua tesi sulla crisi ecologica mette in risalto non tanto la dialettica tra natura e uomo, ma piuttosto quella tra natura e società. La critica che si può muovere a questa lettura è che tende a normalizzare il concetto di Antropocene come si trattasse di processi già noti e trascuri gli aspetti che vanno oltre la geologia e la critica politica al capitalismo. 1.5 Clima La storia dell’umanità è stata profondamente influenzata dal clima tanto che le comunità hanno sviluppato adattamenti culturali e tecnologie in grado di migliorare la propria esistenza in rapporto a esso. L’Antropocene ha ricordato che l’Olocene, il segmento di era Cenozoica e di periodo Quaternario nel quale ci troviamo, è stato connotato soprattutto dal clima. Durante l’Olocene infatti si sono sviluppate condizioni molto favorevoli alla specie umana che hanno reso possibile la domesticazione di piante e animali, l’invenzione di città, l’esplosione demografica e lo sfruttamento di combustibili fossili per produrre energia. Il deve essere studiato in relazione alle comunità umane trattando l’adattamento, l’interazione e la reciproca trasformazione. Il clima da fattore naturale sembra diventare un elemento sempre più legato alle azioni umane ed è uno dei fattori geografici più mutevole e impattante sui processi di territorializzazione. animali, botaniche, varietà di virus e batteri. Si può pensare all’inizio anche con la domesticazione di piante e animali, circa 10 o 12.000 anni fa, o con i primi passi degli ominidi nella Rift Valley. 1.17 Osservatore Il concetto di Antropocene richiede una rivalutazione della nostra posizione di osservatori. La Dichiarazione di Lucerna sull’Educazione geografica allo sviluppo sostenibile (2007) include l’antroposfera nel sistema Terra. Da questo consegue che la natura è in perenne cambiamento e che non è più completamente separabile dall’azione umana. I due oggetti dell’osservazione non sono distinguibili, i cambiamenti sono il risultato di una coevoluzione. L’osservatore acquisisce un ruolo attivo, infatti attraverso l’osservazione e la successiva rappresentazione agisce come trasformatore della realtà in atto. La rappresentazione non è solo il modo in cui l’uomo vede la Terra, ma anche uno dei modi in cui la trasforma e controlla. La carta geografica non è la realtà, ma il disvelamento di un immaginario inconscio con cui pensiamo il mondo e lo trasformiamo. 1.18 Realtà/fiction Esistono diversi approcci allo studio dell’Antropocene, ognuno con i suoi limiti. Si può sfruttare un approccio scientifico operativo, volto a studiare i processi e a individuare le possibili azioni umane che possano essere in grado di diminuire gli effetti negativi dell’alterazione del sistema Terra. Questo però gli aspetti culturali, sociali, politici ed economici che hanno contribuito alla trasformazione del pianeta. Per altri l’Antropocene è una fiction, che individua l’uomo come attore principale e si ambienta in scenari globali e locali. Questa visione sembra rappresentare una mediazione tra l’approccio scientifico e le interpretazioni filosofiche, politiche ed economiche. Concentrandosi eccessivamente sulla narrazione e sulla sua comunicazione si potrebbero però relativizzare i rischi concreti. Infine, esiste una visione totalmente politica che vede l’Antropocene come una conseguenza diretta del capitalismo e della globalizzazione. 1.19 Territorio/territorializzazione L’Antropocene ha una dimensione globale, ma si differenzia nei diversi contesti locali. È necessario “territorializzare” l’Antropocene, cioè studiarlo nei luoghi e sistemi territoriali. Essendo ormai impossibile distinguere l’ambiente dall’uomo, per effettuare cambiamenti è necessario inserirsi nelle strutture con cui le società umane lo hanno modificato e lo stanno controllando, come l’economia, la politica, la società e la cultura: tutto ciò si raccoglie nel concetto di territorio. Il territorio individua interpretazioni e rappresentazioni di un ibrido nato dalle relazioni tra ambiente e specie umana. Non esiste territorio senza Antropocene, quindi si può retrodatare l’inizio dell’Antropocene a prima della Rivoluzione Industriale. 1.20 Uomo-Ambiente Dal momento che natura e uomo sono diventati inscindibili non è più possibile spiegare la natura e la società da sole come se fossero autonome. I manuali scolastici della scuola primaria insegnano ancora a distinguere in un paesaggio gli oggetti naturali da quelli artificiali, ma con l’Antropocene distinguere queste due categorie è sempre più difficile e forse nemmeno utile. 2. IL PAESAGGIO GEOGRAFICO NELL’ANTROPOCENE. Fabio Parascandolo, Marcello Tanca 2.1 Paesaggi geogenici e paesaggi antropogenici Il paesaggio è un indicatore delle trasformazioni innescate negli ecosistemi terrestri dalle pratiche di produzione tipiche del capitalismo avanzato. Con “paesaggio dell’Antropocene” si allude alla nascita di specifici paesaggi che recano in sé i segni lasciati dall’umanità, che possiede mezzi non paragonabili a qualunque altra specie presente sul pianeta. Questi nuovi paesaggi hanno proprietà mai riscontrate in nessun altro momento della storia naturale o umana. I geografi cercano nel paesaggio una testimonianza visivamente esemplare del cambiamento storico. Per capire il rapporto che lega paesaggio e Antropocene dobbiamo considerare due fattori: rispetto agli ecosistemi naturali non umani, i biomi antropogenici prodotti dall’interazione umana (colturale e sociale) con la biosfera hanno un’estensione nettamente maggiore; i biomi antropogenici prodotti dall’interazione umana con la biosfera danni vita a sistemi misti composti da insediamenti umani ed ecosistemi naturali, “mosaici eterogenei”. È proprio a questi mosaici che dobbiamo porre attenzione se vogliamo assegnare al paesaggio il valore di indicatore visivo. Pensare all’Antropocene come una nuova era geologica che ha impatti fortissimi sul paesaggio permette di svalutare due posizioni: quella che fa dell’Antropocene qualcosa che c’è sempre stato; quella che vede l’Antropocene come un punto di rottura di un equilibrio che per secoli avrebbe mantenuto integri gli ecosistemi terrestri. Entrambe le visioni negano la natura dinamica del paesaggio, inoltre dati empirici dimostrano che le prime trasformazioni della biosfera terrestre sono retrodatabile alla comparsa delle società agrarie del Neolitico (12000-10000 a.C.). Le modalità con cui avvengono le interazioni tra gli esseri umani e gli ecosistemi sono due: l’incorporazione, che porta a un mosaico di eterogeneità basato sulla compresenza e l’interazione metabolica di biomi geogenici e di biomi antropogenici; la sovrascrittura che porta a un paesaggio in cui viene completamente meno la continuità con il passato. Teoricamente può essere considerato un paesaggio dell’Antropocene solo quello totalmente sovrascritto. 2.2 Appunti per un repertorio essenziale di paesaggi antropocenici Il paesaggio, come testimonianza dell’Antropocene, costituisce un’icona immediatamente riconoscibile dei cambiamenti intervenuti sui processi biogeofisici. Il paesaggio è un punto di partenza per la ricerca. Esempi di paesaggi o territori antropocenici: 1. Paesaggi a carattere urbano ambientale: Paesaggio di una favela a Rio de Janeiro, Brasile. Secondo i dati della prefettura del 2016 questa favelas, la più grande del Brasile, composta da comunità isolate e complexos più grandi, è costituita da un numero totale di 1.019 favelas con una popolazione di 60.000 abitanti. Quasi un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il territorio è perlopiù sotto il controllo di bande delinquenziali. 2. Paesaggi di monoculture biotiche adibite al trattamento della materia vivente con funzioni di approvvigionamento alimentare: Feedlots in America. Per soddisfare l’enorme richiesta di carne si persegue un modo di produrre totalmente non sostenibile e che risulta essere una delle cause del cambiamento climatico per l’eccessivo consumo di energia da fonti fossili, di acqua, di sostanze di sintesi e mangimi a base di cereali. 3. Paesaggi di monocolture abiotiche adibite al trattamento di materia inanimata: Centrale elettrica a carbone a Rogowiec, Polonia. Le centrali elettriche di Polonia e Germania sono le più inquinanti e sono causa del 30% delle emissioni di mercurio in Europa. Il carbone è il combustibile più inquinante, oltre ad essere dannoso per la salute è la prima fonte di emissione di anidride carbonica. 2.3 Paesaggi antropocenici e paesaggi metabolici. Quale storia, quale futuro? La colonizzazione della biosfera da parte della tecnosfera è avvenuta a partire dalla Rivoluzione Industriale con modalità che si sono manifestate sul paesaggio. Una riconversione ecologica della società sarà possibile solo rivalutando completamente il modo in cui la civiltà globale si rapporta al mondo naturale, ricordando il carattere irriducibilmente geografico dell’attività umana. Oggi si hanno due tendenze: la prosecuzione dei processi di tecnificazione del paesaggio alimentati dalle esigenze di crescita economica e tecnica (business as usual); la ricerca di un agire sociale e territoriale-paesistico che miri a soddisfare le esigenze degli esseri umani, ma preservando la salubrità metabolica del vivente e dei suoi sistemi naturali di sostegno. Questa tensione dialettica permette di evidenziare le specificità di paesaggi artigianali- biodegradabili-rinnovabili e industrializzati-non biodegradabili-non rinnovabili. Guardando il passato è facile notare le numerosissime trasformazioni che hanno mutato le fattezze di un luogo, spesso accompagnate da grandi acquisizioni in termini di redditi monetari e benessere economico. È mancata però la consapevolezza del prezzo da pagare a lungo termine, infatti numerose sono le sconfitte subite dal vivente planetario e da alcune comunità umane. Per pensare invece a un agire territoriale più lungimirante è necessario soffermarsi sulla diversità che caratterizza le località in cui i residenti manifestano slanci verso il recupero di territori viventi. 3. EDUCARE (GEOGRAFICAMENTE) ALL’ANTROPOCENE. UNA PROPOSTA DI AGENDA A PARTIRE DALLA CARTA INTERNAZIONALE SULL’EDUCAZIONE GEOGRAFICA. Matteo Puttilli 3.1 Come abitare il mondo oggi? La sfida educativa dell’Antropocene Il concetto di Antropocene risulta essere ricco e interdisciplinare e comprende letture diverse riguardo il complesso rapporto tra umanità e ambiente. La sfida legata all’Antropocene diviene quella di riportare al centro della discussione che cosa significhi abitare un mondo in cui l’uomo partecipa pienamente ai processi di trasformazione del pianeta e da lì dedurne anche le implicazioni etiche, politiche, sociali ed economiche. La geografia può cercare di formare soggetti consapevoli e responsabilizzati. 3.2 L’Antropocene nella Carta internazionale sull’educazione geografica La Carta internazionale sull’educazione geografica (CIEG) del 2016 è un documento promosso dalla Commissione sull’Educazione Geografica dell’Unione Geografica Internazionale (UGI). È il più recente documento internazionale riguardante l’educazione geografica e sebbene non compaia mai il termina Antropocene offre numerosi spunti di riflessione sul tema. Da Il contributo della Geografia all’educazione (2016), il cuore del CIEG, ricaviamo quattro punti fondamentali: il riconoscimento di società e ambiente come due sfere che operano congiuntamente nella trasformazione della Terra, da cui la visione dell’Antropocene come una nuova epoca in cui l’uomo partecipa ai cambiamenti globali, base dell’approccio geografico; la non omogeneità e non univocità dell’azione trasformativa dell’uomo sulla Terra, 4.3 Antropocene: tempo di cambiamento e luogo di incontro Il riconoscimento dell’Antropocene nell’analisi geocronologica richiede il riconoscimento di un limite a scala globale che testimoni il passaggio tra due momenti della storia della Terra diversi tra loro per i cambiamenti irreversibili nella biosfera e nella geosfera terrestre. Per ricercare dei segnali antropici si stanno analizzando aspetti: evolutivi e funzionali. Per giungere a una collocazione cronologica più precisa si è concordi sulla necessità di una sintesi dei due aspetti, da cui consegue anche la necessità di convergenza di tutte le discipline delle scienze del sistema Terra. Vi sono diverse ipotesi: ipotesi dell’Antropocene precoce: inizio circa 5.000 anni fa; ipotesi culturale dell’Antropocene: inizio nel 1610 CE; ipotesi della bomba nucleare: inizio nel 1964. L’avanzare delle conoscenze permetterà in futuro di individuare l’ipotesi di inizio Antropocene più adeguata, in questa sfida la geografia svolgerà un ruolo centrale grazie alla sua formazione interdisciplinare. 5. CAMBIAMENTO CLIMATI E ANTROPOCENE: VERSO UNA RICONFERMA O UNA NUOVA FASE? Marco Bagliani, Antonella Pietta A seconda di come le nostre società reagiranno al cambiamento climatico nei prossimi anni, sarà possibile capire se l’umanità entrerà in una nuova fase, più positiva, dell’Antropocene, o se si riconfermerà come forza distruttrice. 5.1 Antropocene e cambiamento Crutzen nel 2002 sulla rivista “Nature” definisce per la prima volta l’Antropocene, come una nuova era iniziata con l’avvento della Rivoluzione industriale. L’Antropocene viene considerato come la causa di numerose modifiche ambientali a scala planetaria, tra cui il riscaldamento globale oggi causato soprattutto dalle emissioni di gas serra, dovute all’utilizzo di combustibili fossili. L’analisi di Ruddiman, Early Antrhropogenic Hypotesis, si concentra sulle variazioni di metano e biossido di carbonio nell’atmosfera nel periodo che va dalla Rivoluzione agricola a quella industriale. L’autore evidenzia che già 8-9.000 anni fa, agli inizi dell’agricoltura, la pratica di tagliare e bruciare le foreste per acquisire zone coltivabili, ha portato all’aumento di circa 40 ppm di biossido di carbonio e che la pratica di irrigazione legata alla risicultura nel Sud-Est asiatico, databile a circa 5.000 anni fa, ha portato all’aumento di circa 250 ppb di concentrazione di gas. Di recente si è cercato di sintetizzare le due teorie, dividendo l’Antropocene in tre momenti distinti: Antropocene propriamente detto, fatto iniziare con la Rivoluzione industriale; Paleoantropocene, che va dalla Rivoluzione agricola a quella industriale; fase precedente, in cui non si riscontra nessuna influenza umana. Dal punto di vista spaziale il cambiamento climatico si presenta come un fenomeno particolarmente esteso, che può definirsi globale. Infatti, ogni azione locale che possa avere effetto sugli equilibri climatici, induce variazioni regionali, ma va comunque a influenzare il bilancio energetico globale. 5.2 Il cambiamento climatico L’Intergovernmental Planet on Climate Change (IPCC), l’ente internazionale creato nel 1988 dall’Organizzazione meteorologica mondiale e dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), nel suo quinto rapporto sostiene che il riscaldamento del pianeta Terra è inequivocabile, infatti: «dalle profondità oceaniche fino alla cima della troposfera l’evidenza di aria e oceani più caldi, di ghiaccio che fonde e di mari che si innalzano, tutto punta inequivocabilmente a un fatto: il mondo si è riscaldato dalla fine del XIX secolo». Il riscaldamento climatico, cioè lo spostamento del sistema climatico da una situazione di equilibrio a una con temperatura differente, può verificarsi per cause naturali o antropiche. Quelle naturali sono: i cambiamenti di quantità di energia emessa dal Sole, variazioni dell’orbita terrestre, caduta di meteoriti, eruzioni vulcaniche. Le cause antropiche sono quelle che hanno una maggiore incidenza, le principali sono le emissioni di gas serra le emissioni di aerosol e polveri e i cambiamenti di destinazione d’uso dei suoli. I gas serra, presenti in piccolissime quantità nell’atmosfera terrestre, sono in grado di trattenere la radiazione infrarossa in uscita dalla Terra, trattenendo il calore all’interno. I principali gas serra sono: biossido di carbonio, metano, protossido di azoto e in minori quantità il tetrafluorometano, l’esafluorometano di zolfo e altri alocalburi. La concentrazione atmosferica di biossido di carbonio è aumentata del 49% dalla Rivoluzione industriale a causa dell’utilizzo di combustibili fossili, della deforestazione e delle reazioni chimiche connesse alla produzione di cemento. La concentrazione di metano è aumentata del 158%, le fonti di emissione naturale sono le aree umide e paludose e le zone a permafrost quando si degradano, mentre le cause antropiche sono soprattutto legate ad agricoltura e allevamento. La contrazione di protossido di azoto è aumentata del 23%, circa i due terzi di queste emissioni sono naturali, derivanti dai terreni ricoperti di vegetazione, il restante terzo è legato alla lavorazione agricola dei campi concimati, alla gestione del letame e gli scarti animali, alla produzione di fertilizzanti azotati e alla combustione di biomasse e combustibili fossili. Esiste un grande divario emissivo tra gli Stati, mentre quelli a più basso reddito mostrano emissioni dai settori agricolo e forestale, gli altri hanno emissioni elevate per la produzione di energia e trasporti. 5.3 Le politiche per il cambiamento climatico Vi sono due tipi di politiche, la prima è di mitigazione, volta cioè a eliminare le cause del riscaldamento globale, la seconda è di adattamento, finalizzata a limitarne gli effetti. Vi sono cinque periodi chiave per le politiche di mitigazione: 1. Nel 1988 viene istituito l’IPCC. Nel 1992 viene adottata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), con obiettivo la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra nell’atmosfera a un livello tale da escludere qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico. Viene introdotto un principio di equità legato alle responsabilità, che sono comuni, ma differenziate e alle capacità di intervento dei singoli paesi. 2. Nel 1997, durante la Terza Conferenza delle Parti a Kyoto si giunge al Protocollo di Kyoto che prevede limitazioni solo per i paesi industrializzati, non per quelli in via di sviluppo, che devono impegnarsi a riportare le proprie emissioni a livelli del 1990 e a mantenerle tali per il quinquennio 2008-2012. 3. Post-Kyoto, si ha una fase di crisi e transizione. Ci si sposta verso un approccio meno vincolante basato su impegni a base volontaria da parte dei singoli Stati, aumentando il peso degli attori subnazionali. 4. Accordo di Parigi nel 2015, il cui obiettivo è quello di mantenere il riscaldamento planetario entro il limite massimo dei 2 C°, ma con l’impegno a puntare a 1.5 C°. I paesi sviluppati dovranno passare da una fase di stabilizzazione a una di riduzione delle emissioni, anche i paesi in via di sviluppo dovranno cercare di ridurre o limitare le proprie emissioni. L’accordo prevede che ogni paese autodefinisca i propri target di riduzione delle emissioni, con un meccanismo di obiettivi crescenti. Prevede inoltre una serie di revisioni con cadenza periodica; 5. Implementazioni future (vedi 5.4). Le politiche di adattamento climatico prevedono invece un processo dinamico in cui le società rispondono a cambiamenti determinati dalla natura del fenomeno climatico, socioeconomici, tecnologici, culturali, legislativi, politici, istituzionali, gestionali, di governance. Le azioni di risposta hanno una dimensione transcalare, dall’Accordo di Parigi «le parti riconoscono che l’adattamento è una sfida globale affrontata da tutti con dimensioni locali, subnazionali, nazionali, regionali, e internazionali secondo una visione a lungo termine». 5.4 Le future azioni di mitigazione: come fermare il riscaldamento globale? Gli impegni di tipo volontari assunti dai singoli paesi secondo l’Accordo di Parigi non sono sufficienti a mantenere la temperatura al di sotto dei 2 C°. Secondo l’IPCC ci sono due possibili strade per provare ad affrontare il problema del riscaldamento globale: politiche di mitigazione tradizionali, in cui si dovrebbero attuare azioni capaci di portare a una forte riduzione di emissione di gas serra, fino a una situazione di azzeramento, ma vi sono forti resistenze e inerzie da parte di soggetti politici ed economici; modifica di aspetti del funzionamento climatico attraverso soluzioni altamente tecnologiche con tecniche geoingegneristiche. Tali soluzioni sono riassumibili in due categorie. La prima è la Carbon Dioxide Removal, che prevede la diretta sottrazione di 𝐶𝑂 . Sfrutta metodologie che sono ancora in fase di sviluppo che comporterebbero alti costi economici, consumi di risorse materiali, suolo ed energia e generazione di impatti ambientali e sociali. I diversi metodi sono: afforestazione e riforestazione; soil carbon sequestration; enhanced weathering e ocean alkalinization; ocean fertilization; bioenergy with carbon capture and storage; direct air carbon dioxide capture and storage. La seconda tecnica è quella da Solar Radiation Modification il cui scopo è quello di abbassare la temperatura terrestre sia diminuendo l’energia globale in entrata, tramite la riduzione della luce solare che raggiunge la superficie terrestre, sia aumentando quella in uscita dal sistema Terra, rendendo l’atmosfera più trasparente alla radiazione infrarossa verso l’esterno. Vi sono quattro metodologie: stratospheric aerosol injection; marine cloud brightening; cirrus cloud thinning; ground-based albedo modification. Tali metodologie hanno obiettivi molto difficili da raggiungere e inoltre sono tecniche molto complesse studiate per ora solo dal punto di vista teorico. Alcune di queste tecniche potrebbero anche causare effetti negativi globali e irreversibili perché andrebbero ad agire sui meccanismi fisici di funzionamento del sistema climatico globale. 5.5 Conclusioni. Verso una nuova fase di Antropocene o verso una sua riconferma? Vengono illustrati tre possibili scenari di sviluppi futuri. Il primo, definito business as usual, in cui si hanno riduzioni delle emissioni progressive, lenti o nulle che porterebbe entro la fine del secolo a un intervallo di stime di riscaldamento superiore ai 2 C°, ma anche ai 4 C°. Si avrebbe una riconferma delle dinamiche che hanno portato l’uomo, al centro dell’Antropocene, ad essere considerato una forza geologica distruttiva. Il secondo scenario vede l’umanità impegnata in un’accelerazione delle politiche di mitigazione per una veloce diminuzione delle emissioni, fino al loro azzeramento. È un’ipotesi molto speranzosa che porterebbe a una nuova fase dell’Antropocene, il Neoantropocene, in cui l’uomo è visto come una forza in grado di agire responsabilmente a livello planetario per cercare di limitare i danni. Il terzo scenario vede invece impegnate le nuove tecnologie di Carbon Dioxide Removal e di Solar Radiation Modification, che puntino a mantenere la temperatura in limiti accettabili pur non abbassando i livelli di gas serra, sebbene queste teorie attualmente non siano ancora applicabili e possano avere effetti collaterali dannosi. 6. LE MIGRAZIONI E L’ANTROPOCENE. Fabio Amato 6.1 La centralità delle migrazioni internazionali Il tema delle migrazioni costituisce un problema altamente divisivo nella politica, si tratta di un processo estremamente articolato e spazialmente diffuso. Negli ultimi decenni diversi fattori hanno causato la conversazioni, ricordo l’atmosfera e il carattere dei luoghi», il pensiero autobiografico porta a una riflessione sull’Antropocene, concetto che nasce da un confronto tra passato e presente con un’immaginazione del futuro. Nell’immaginario geografico di entrambi gli autori la Russia diviene il luogo che incarna i pensieri sull’”altrove”, torna a essere centrale la dimensione di irriducibilità spaziale fondata sulla profondità fisica della distanza. La Russia è realmente una terra immensa sterminata ed estesa dai confini europei a quelli dell’Oriente («ha il compito di tradurre l’Asia per l’Europa»). Nella riflessione sull’Antropocene è necessario il recupero del concetto di selvaggio. In H. Grimaud questo si vede nel suo interesse per il mondo animale, nella fattispecie per il mondo dei lupi, che incarnano la dimensione selvaggia. S. Tesson citando Élisée Reclus scrive che la vera sfida del futuro risiede nel riappropriarsi della dimensione selvaggia nascosta nella natura umana. Dalla relazione tra umanità e mondo animale consegue una riflessione sul rapporto che può sussistere tra un individuo o una comunità e la natura e quindi il concetto di abitare. H. Grimaud, pianista, nella sua osservazione percepisce e descrive il paesaggio circostante attraverso gli aspetti sonori della spazialità, il suono diventa una chiave per la comprensione dei paesaggi. S. Tesson riflette invece sull’impronta ecologica che le nostre case e il nostro stile di vita hanno sul territorio, elogia una capanna la cui traccia è facilmente reversibile e i cui materiali sono biodegradabili. Parallelamente si ha l’elogio per l’immobilità un privilegio nell’Antropocene contraddistinto dalla facilità degli spostamenti. Una delle caratteristiche dell’Antropocene è lo sfruttamento indiscriminato delle risorse della natura da parte dell’uomo, questo si manifesta anche nella perdita del senso estetico, che denota un malessere esistenziale. Per recuperare una visione più ampia della vera bellezza esistente sulla Terra bisogna rifiutare la visione antropocentrica a cui ormai si è abituati. Molto spesso l’immaginazione dell’Antropocene è legata a un filone distopico in cui si hanno scenari apocalittici che fanno leva sulla paura e la necessità di un cambiamento per scongiurare il peggio. Come scrive H. Grimaud «Ci vorrebbe uno stimolo ben più forte del timore per cambiare il mondo, per migliorarlo. La bellezza, l’amore ed anche il rischio», alla base del cambiamento non può esserci la paura, ma deve esserci un apprezzamento e una valorizzazione nei confronti delle forme di vita non umane e degli equilibri ecologici. 7.4 Prospettive didattiche per l’utilizzo della letteratura nello studio dell’Antropocene L’insegnamento della letteratura insieme a quello della geografia può essere uno strumento efficace per l’analisi di tematiche così complesse. La letteratura offre un repertorio di immagini e informazioni, ma consente anche uno sguardo critico sui processi in corso. 7.5 Conclusioni Il successo del termine Antropocene e la sua comprensione sono dovuti a una sempre maggiore sensibilità verso le problematiche ecologiche che hanno anche rilevanza nel paesaggio mediatico e ideologico contemporaneo. L’auspicio è quello di sviluppare un maggior senso di responsabilità nel prendere quelle decisioni che saranno in grado di influenzare la società negli anni a venire. PARTE SECONDA: CASI E LUOGHI DELLA GEOGRAFIA DELL’ANTROPOCENE 8. FIGURE DELL’ANTROPOCENE NEGLI OLIVI DI PUGLIA. Michele Bandiera Si analizzano le vicende riguardanti la proliferazione del batterio Xylella fastidiosa in Puglia, come manifestazione di alcuni caratteri dell’Antropocene. 8.1 La Puglia come giardino. La piantagione, forma e distanza estetica L’olivo è centrale nell’economia, nell’identità, nelle tradizioni, nella vita sociale e nella storia della Puglia. La monocoltura è una forma caratteristica dell’agricoltura moderna in cui si organizza lo spazio nel modo più efficiente in un’ottica produttiva. Secondo Donna Haraway, la piantagione è un esempio di semplificazione ecologica, di sfruttamento, di alienazione e di dominio in cui si hanno forme di schiavitù lavorative sia per le persone che per le piante. Definisce Plantationocene questa era delle piantagioni. Le distese di olivi in Puglia si possono considerare come monocultura? Storicamente si può ricondurre il paesaggio pugliese a un approccio monoculturale e di piantagione per il sistema intensivo con sfruttamento della manodopera e lo sviluppo di patogeni che in passato hanno segnato la produzione agricola. Sarebbe però riduttivo fermarsi a questa analisi della territorializzazione dell’olivicoltura. Il paesaggio in cui ci si imbatte è “pezzato” a sia per le diverse pratiche che vengono adottate sia dal punto di vista estetico (campi rossi o campi verdi, la diversa forma e colore delle radici, il tronco e la chioma). Ogni pratica agricola porta con sé un sapere antico legato anche ai prodotti finali che si vogliono ricavare (prodotto a fine alimentare, in passato per lubrificante di macchine tessili o per l’illuminazione o il sapone). Queste pratiche sono tramandate da generazioni e l’olivo assume un ruolo centrale nei ricordi di moltissimi pugliesi e anche l’eredità di pochi olivi assume un significato profondo. Oggi l’olivo in Puglia identifica una forma di resistenza alla ragione moderna e quindi anche a un’organizzazione di olivicoltura intensiva. Dal 2008 a partire dalla zona di Gallipoli iniziano a manifestarsi i primi fenomeni di disseccamento, nel 2013 i ricercatori del CNR identificano il batterio Xylella fastidiosa a cui nel 2017 viene attribuito il carattere patogeno legato ai disseccamenti. 8.2 Ibridi sulle rovine della capitale Uno degli elementi distintivi dell’Antropocene è la distruzione di habitat di specie viventi, una conseguenza di questo processo è l’emergere di forme di vita nomadi che si adattano a condizioni diverse e si insinuano in ciò che rimane di gruppi specie, cioè equilibri tra umani e non umani su un territorio, stravolgendoli. Il batterio Xylella fastidiosa è uno di questi attori clandestini, che è stato indicato dalla direttiva dell’Unione Europea come un organismo da quarantena nei confronti dei quali è necessario applicare un iter legislativo per limitarne la proliferazione. Originalmente era creduto un virus, con il tempo si inizia a discreditare questa ipotesi e solo nel 1987 si riesce a isolare il genoma di questo batterio. Dal suo isolamento si sono identificate diverse forme patologiche che ha scaturito in diverse parti del mondo e si è visto come sia stato in grado di adattarsi velocemente a diverse condizioni climatiche ibridandosi geneticamente a seconda delle relazioni in cui si inserisce tra piante e insetti vettori. La diffusione della Xylella è molto legata ad alcune aree climatiche tra cui il bacino mediterraneo. Delle quattro subspecie del batterio che sono state identificate, la fastidiosa, la multiplex, la sandy e la pauca, in Italia è stata ritrovata una sottospecie della pauca. Un elemento decisivo nella proliferazione di questo batterio è la piantagione monoculturale, dove lo stesso tipo di pianta, moltiplicata per milioni, vive a stretta distanza Questo è un esempio di come natura e cultura si mischiano creando un ibrido. Gli ibridi sono sia locali che globali, come la Xylella che può fare affidamento nei suoi spostamenti dei continui movimenti di piante. Siamo costretti a considerare la fine della Natura e l’esistenza di sistemi multinaturali; vi è una nuova condizione in cui l’azione dell’uomo è generatrice di nuove interazioni e ambienti fin ora sconosciuti. Sebbene nell’Antropocene l’uomo abbia acquisito potere, ha allo stesso tempo anche perso controllo. 8.3 Disumani camaleontici - not (only) human anymore La storia dell’olivo è strettamente legata a quella dell’uomo fin dall’antichità. Già nell’Odissea troviamo riferimenti a questa pianta ed è rilevante la capacità e il ricorso alla tecnica come strumenti per trasformare il tronco di un olivo, abilità che rendono Ulisse un eroe molto umano. L’olivo ha territorializzato molte ed eterogenee dimensioni dell’umanità mediterranea: ha un ruolo centrale nell’escatologia cristiana, ma anche nella tradizione ebraica. Inoltre, nell’antica Grecia l’olio è sempre stato sfruttato come unguento, come alimento, come energia per l’illuminazione e lo stesso è avvenuto nell’Impero Romano dove l’olio costituiva la base alimentare della dieta grassa, fino alle invasioni barbariche quando il grasso vegetale è stato sostituito da quello animale. La cultura mediterranea legata all’olivo si mostra come una forma di deterritorializzazione dell’umano e la forma attuale degli olivi come forma di deterritorializzazione dell’olivo. 8.4 Conclusioni La malattia provocata dalla Xylella ha permesso di riflettere sulle politiche della vita e su quelle della morte in relazione alle pratiche che interessano il territorio. Nel processo di riparazione dei danni provocati dal batterio sarà fondamentale il modo in cui le emozioni, l’estetica, le norme e le tradizioni regionali si ri-orienteranno. La relazione tra umanità e olivi in Puglia ha dato forma alla natura e alla cultura di questo territorio. Queste relazioni si innestano anche nelle pratiche quotidiane e nelle conoscenze che le costituiscono, nei processi di produzione della conoscenza e in quelli di attribuzione di valore racchiusi in un’azione che si può definire politica. 9. GLI UOMINI E LE FORESTE NELL’ANTROPOCENE. Giacomo Zanolin «Gli esseri umani dipendono dagli alberi quasi quanto dai fiumi e dal mare, a essi ci lega un’intima relazione culturale e spirituale, ma anche fisica: un vero scambio di ossigeno e anidride carbonica.» (Wildwood: A Journey Throught Trees, Roger Deakin). I boschi e le foreste sono risultanti da un’antica interazione tra le esigenze dei gruppi umani e la capacità delle specie vegetali di adattarsi al mutamento delle condizioni ambientali. L’uomo si è sempre servito dei boschi, sfruttandone le risorse o strappando a essi spazi funzionali ad altre attività economiche come spazi agricoli o aree urbane. La storia del rapporto tra uomini e boschi è segnata da fasi di forestazione, deforestazione e riforestazione, legati, dal punto di vista geografico, ai processi di territorializzazione, deterritorializzazione, riterritorializzazione. 9.1 Cenni teorici sull’Antropocene Grazie gli studi di Zalasiewicz si definisce l’Antropocene come l’epoca geologica successiva all’Oleocene. Le teorie riguardanti la data d’inizio dell’Antropocene sono molteplici. È evidente che l’uomo abita e trasforma i boschi fin dall’antichità e oggi non esistono che pochi lembi isolati di superficie terrestre in cui i boschi possono considerarsi completamente naturali. Una tra le teorie è quella definita Early Anthropogenic Hypotesis che data l’inizio dell’Antropocene con la Rivoluzione agricola neolitica. Da questa posizione si può dedurre lo studio del rapporto tra l’uomo e i boschi non tanto in termini di impatto ambientale, ma come relazione tra entità naturali, che comprendono anche l’uomo, che da quando coesistono sulla Terra interagiscono biologicamente e culturalmente. Il rischio però è quello di svuotare il concetto di Antropocene facendolo coincidere con l’Olocene. nell’area di una consistente popolazione di lupi non è frutto di una visione romantica della wilderness, ma dipende proprio dai confini esclusivi della Riserva. Questo è un esempio di come sfruttare efficacemente l’azione umana nella natura nell’Antropocene, sviluppando progetti territoriali che, grazie all’aumento delle conoscenze scientifiche, favoriscono gli interessi sia delle comunità antropiche che della natura. La Riserva della Biosfera Transfrontaliera UNESCO Gerês/Xures che comprende il Parco nazionale Peneda-Gerês (Nord de Portogallo) e il Parco naturale Baixa Limia-Serra do Xurés (Sud della Galizia) è un esempio di come i valori naturalistici di boschi e foreste possano essere usati per promuovere progetti politici e territoriali e di come sia importante ricordare la forma ibrida dei fenomeni terrestri legati all’Antropocene. Il Parco nazionale Peneda- Gerês, avviato nel XX secolo, ha portato alla costruzione di un paesaggio tipicamente alpino, identificato in seguito come la montagna portoghese per eccellenza, diventato elemento simbolico identitario. Attraverso un imponente lavoro culturale durante la dittatura di Salazar si è portato avanti un processo di identificazione nazionale. Il Parco naturale Baixa Limia-Serra do Xurés, in continuità con il Parco nazionale, ma separato dal confine nazionale, è nato negli anni Novanta per volontà del governo autonomo gallego, che aspirava ad affermare la propria autorità, simbolica e istituzionale con un’area protetta che replicasse quella portoghese. La Riserva della Biosfera Transfrontaliera UNESCO Gerês/Xures è stata istituita nel 2009 e dovrebbe in teoria sfruttare i valori naturalistici per promuovere un principio di unità tra i popoli al di là dei confini statali. In realtà il confine è rimasto una linea di demarcazione molto forte, infatti l’assenza di fondi dedicati alla gestione transfrontaliera rendono inattuabili i progetti per una concreta coesione territoriale. 9.5 Conclusioni Dallo studio dell’Antropocene capiamo che l’atteggiamento predatorio dell’uomo e la sua capacità di generare squilibri negli ecosistemi forestali ha raggiunto una dimensione globale, da qui la necessità di una nuova dimensione etica che consenta alternative al sistema economico e sociale attuale. Non possiamo più pensare di continuare a sfruttare le risorse del pianeta senza ritegno perché altrimenti si rischia di non averle più a disposizione nel futuro. È fondamentale capire che nell’Antropocene non possiamo più considerare la separazione tra uomo e natura come un confine netto, ma è necessaria la consapevolezza della natura ibrida degli ecosistemi da cui non possiamo più pensare di autoescluderci. 10. L’UOMO STA MANGIANDO LA TERRA? SISTEMI DEL CIBO NELL’ANTROPOCENE. Giacomo Pettenati L’evoluzione storica dei sistemi di cibo è strettamente connessa all’impatto dell’uomo sugli equilibri planetari e quindi alla nascita dell’Antropocene. Ne sono esempio l’enorme crescita delle terre coltivate, l’incremento della popolazione di animali da allevamento, la riduzione di stock ittici a causa della pesca e l’impatto dei fertilizzanti a base di azoto che alterano gli equilibri dei cicli biogeochimici. 10.1 La produzione di cibo verso e nell’Antropocene Il giornalista Michel Pollan nel saggio Il dilemma dell’onnivoro analizza le trasformazioni delle grandi pianure dell’Iowa in seguito all’insediamento dei coloni provenienti da Est nel XIX secolo, concentrandosi sulla diffusione dell’agroindustria cerealicola negli anni Cinquanta del secolo scorso. Gli impatti ambientali della monocoltura incidono su tutte le componenti dell’ambiente e su luoghi anche molto lontani dalla produzione. La produzione intensiva in quell’area ha prodotto una trasformazione radicale delle tre componenti della Terra: litosfera, con la degradazione dei suoli; idrosfera, con l’aumento dei nitrati che hanno mostrato conseguenze anche nel Golfo del Messico (2.000 km distante); biosfera, la sostituzione delle specie originarie con la monocoltura di mais ha avuto effetti sia su vegetali che su animali. L’atmosfera invece ha avuto conseguenze globali, l’agroindustria cerealicola e l’allevamento intensivo che sostiene fanno uso di combustibili fossili che rappresentano una delle maggiori fonti di gas serra. I maggiori impatti ambientali derivanti dalla produzione di cibo agroindustriale e globalizzata sono: la trasformazione dello strato di sedimenti che ricopre le terre coltivabili, ridotto in estensione e spessore dall’erosione e fortemente degradato e inquinato per l’uso di sostanze chimiche; effetti sulla qualità e quantità delle risorse idriche; impatti sull’atmosfera attraverso la diffusione di agenti inquinanti ed emissione di gas serra; la trasformazione di molti ecosistemi naturali con conseguente riduzione di specie naturali, animali e vegetali, e riduzione della biodiversità agraria. L’impatto del sistema alimentare globale sulla biosfera si manifesta anche in modifiche del DNA di specie animali e vegetali, sebbene l’utilizzo degli OGM sia ancora fortemente limitato le filiere agroindustriali globali e i mercati nordamericani sono ampiamente occupati da prodotti geneticamente modificati. 10.2 Cibo, capitalismo e Antropocene: una lettura critica Vi sono diverse teorie sull’inizio dell’Antropocene. È stato studiato come diversi ambiti dell’azione umana (popolazione totale urbana, numero veicoli a motore, utilizzo di acqua, consumo di fertilizzanti, consumo di carta…) siano aumentati a ritmi velocissimi a partire dagli anni Cinquanta. Nel 2015 queste variabili socioeconomiche sono state messe in relazione con variabili ambientali (concentrazione atmosferica di biossido di carbonio e metano, temperatura della superficie terrestre, acidificazione degli oceani, concentrazione di nitrogeni nelle aree costiere…) e si è mostrata una correlazione tra diffusione del sistema produttivo industriale e trasformazione antropogenica degli equilibri ambientali. A partire dal secondo dopoguerra la produzione e distribuzione di cibo hanno subito diverse trasformazioni, fino a quella che Philiph McMichael ha definito l’inizio di un nuovo “regime del cibo” in cui si ha la globalizzazione commerciale e produttiva, il rafforzamento del ruolo del capitale transizionale nell’industria e nelle filiere del settore agroalimentare e il ruolo crescente delle biotecnologie. Nella teoria dei “regimi” si sviluppa il sistema di cibo globalizzato e deterritorializzato. Viene messo in luce il ruolo dell’economia capitalistica in questo sistema cibo, che è caratterizzato da geografie diseguali: vi sono regioni caratterizzate da queste dinamiche di produzione intensiva, altre invece che hanno sistemi produttivi di piccola scala, in alcuni casi sullo stesso territorio possono coesistere entrambe le pratiche. Non tutti i sistemi sociali e i modelli economici impattano sull’ambiente nello stesso modo, ma è il capitalismo ad avere un ruolo centrale (da qui la definizione di Jason Moore di Capitalocene). Le logiche delle economie capitalistiche sono caratterizzate dalla concentrazione del potere nelle mani di pochi attori economici, da catene del valore lunghe, da una netta separazione tra produttori e consumatori e da un approccio predatorio nei confronti delle risorse ambientali. L’economia di piantagione si pone su queste basi (Donna Haraway Plantationocene). Le ricadute ambientali dell’attività umana sono globali, ma le pressioni e i benefici di questi sistemi non sono distribuiti in modo omogeneo sulla Terra. 10.3 Conclusione. Come si mangia nell’Antropocene? Si stima che la popolazione globale raggiungerà i 10 miliardi nel 2050, senza un cambiamento radicale dei sistemi cibo su scala globale la Terra andrà oltre i limiti della sostenibilità in modo irreversibile e pericoloso. La EAT (Lancet Commision on Food, Planet, Health) ha pubblicato nel 2019 il rapporto Food in the Anthropocene: The EAT-Lancet Commision on Healthy Diets from Sustainable Food system in cui propone nuove strategie per garantire diete salutari e sistemi del cibo sostenibili a tutti gli abitanti della Terra nel 2050, fondate sul cambiamento delle diete individuali e sulla transizione dei sistemi produttivi verso una maggiore sostenibilità ambientale basata su criteri scientifici. Il tema dell’accesso al cibo da parte di tutti è parte delle politiche internazionali e del dibattito scientifico, con lo sviluppo di concetti come sicurezza alimentare e diritto al cibo attraverso politiche che hanno solo riprodotto il sistema produttivo insostenibile che è alla base delle diseguaglianze globali. Sono molte le proposte per praticare sistemi produttivi alternativi fondati sulla sovranità alimentare, sulla de-mercificazione del cibo, sul cibo come bene comune e su economie del cibo sviluppate al di fuori del dominante capitalismo neoliberalista. 11. PERCHE’ UN MUSEO DELLE TECNOLOGIE DELL’ANTROPOCENE? Frank Raes 11.1 Perché un museo? Il Museo delle Tecnologie dell’Antropocene presenta una collezione per indagare l’Antropocene attraverso oggetti e abbinamenti anche inconsueti con cui il visitatore può interagire. 11.2 Qualche cenno storico e filosofico Nel Museo si osservano molte istituzioni della Modernità, che tendono a descrivere il nostro tempo e il nostro mondo come ordinato e sotto controllo, quando è ormai evidente che viviamo in un mondo complesso e caotico. Il Museo segue il concetto di Modernità elaborato dal filosofo francese Bruno Latour che ipotizza che la Modernità sia stata solamente una costruzione teorica e che nella pratica “non siamo mai stati moderni”. Serve dunque resettare questa teoria affinché possa gestire i nostri problemi collettivi. È necessario un nuovo approccio, una nuova narrazione e una nuova cultura. Molti paragonano la non-Modernità dei nostri tempi con ciò che regnava nel Rinascimento, periodo tumultuoso e innovatore che ha segnato la transizione dal pensiero medievale a quello moderno. Come è avvenuto nel Rinascimento, anche oggi si dovrebbe investire nella creatività. 11.3 Le stanze delle meraviglie del Rinascimento Il Rinascimento, soprattutto quello europeo del Cinquecento, è stato segnato da sconvolgimenti politici, sociali e religiosi, ma è anche stato il secolo delle meraviglie. Nascono le Wunderkammern, stanze delle meraviglie con lo scopo di assorbire e mostrare tutte le novità, si raccoglieva qualunque cosa bizzarra, vera o inventata. Il bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605) oltre a collezionare voleva sistematizzare e ricomporre il sapere anche descrivendo ogni oggetto. La prima divisione era quella tra naturalia e artificialia, cioè opere della natura e opere dell’uomo, con un approccio innovativo che lasciava fuori Dio come spiegazione e soluzione dei problemi. La divisione tra uomo e natura è diventata una base fondamentale del sapere moderno. 11.4 Siamo moderni? Sì e no… La cultura moderna si basa sulla separazione tra natura e uomo. A ciò è connessa l’idea di una natura infinita, molto più grande di noi, come fosse un palcoscenico. Un’altra è quella tra scienza e politica: la scienza, finché libera, si occupa di produrre conoscenze e potenzialità, ma è la politica che decide come e se usarle. Un aspetto della Modernità è sollevato dall’enclitica di Papa Francesco Laudato si’, in cui si dice che con la divisione tra scienza e politica, lo scienziato è diventato sempre più efficiente perché non si deve interrogare se le sue invenzioni sono utili o necessarie per il benessere della collettività, di questo aspetto infatti si occupa la politica che promette crescita e profitto a condizione che l’apparato scientifico continui a produrre merci per il consumo. Questa narrazione della storia Moderna fatta da divisioni non combacia più con la realtà.
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