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Riassunto giovanni vitolo storia medievale, Sintesi del corso di Storia Medievale

sintesi periodo medievale

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 03/08/2015

Stefania.Marciano
Stefania.Marciano 🇮🇹

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Scarica Riassunto giovanni vitolo storia medievale e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Riassunto del libro storia medievale Giovanni Vitolo Capitolo 1: il mondo ellenistico – romano e la diffusione del cristianesimo La vicenda complessiva dell'impero romano ha una sorprendente somiglianza con quella di altri grandi organismi politici del tempo. A crearli furono popoli proveniente dalle steppe euroasiatiche e definiti dagli storici “indoeuropei”, per indicare appunto l'area in cui si stabilirono definitivamente. Rozzi e culturalmente meno evoluti rispetto alle popolazioni già territorialmente stabilizzate, a volte ne presero il posto, ma in genere si fusero con esse, dando vita a nuove civiltà rurali e venendo a trovarsi a contatto immediato con popolazioni seminomadi. Partendo dal mediterraneo e procedendo verso est, il primo di questi grandi organismi è la Persia, comprendente all'incirca gli attuali Iraq e Iran nonché buona parte dell'Afghanistan e del Pakistan. Conquistata da Alessandro Magno nel 331 ac, passò verso la metà del III secolo ac sotto il dominio dei Parti, cavalieri – pastori nomadi di lingua indoeuropea. Trasformatisi in sedentari, essi diedero vita a un potente impero che fu per secoli in lotta con quello romano per il dominio della Siria, dell'Armenia e della Mesopotamia. La contesa divenne più aspra con l'ascesa al trono nel 224 dc della dinastia dei Sasanidi (dal fondatore Sasan) ed ebbe fine solo all'inizio del VII secolo. Un altro grande impero fu quello della Cina il quale, grazie a Shih Hwang – Ti conobbe un vasto impero fortemente accentrato, in lotta sia contro le famiglie dell'aristocrazia terriera sia contro le razzie degli Unni dell'attuale Mongolia, che premevano dal nord. Per difendere il paese dalle incursioni, Shih Hwang – Ti fece costruire nel 215 ac la Grande Muraglia. Il limes segnava la separazione tra due sistemi di vita e due diversi equilibri tra uomo e ambiente. Da un lato, il mondo delle foreste e delle grandi valli fluviali dell'Europa Centrale e Settentrionale, dove i Germani, che pure avevano superato il nomadismo e l'economia basata sulla caccia e sulla raccolta di frutti spontanei, continuavano a spostarsi periodicamente da una radura all'altra, sotto la guida di capi militari e inquadrati in strutture sociali assai semplici. Dall'altro lato un mondo imperniato sulle città e abitato da popolazioni inquadrate in sistemi socio – culturali assai più complessi. Il mondo delle città non era una creazione tipica dei romani, essi ebbero piuttosto il merito di estendere a tutta l'aria mediterranea e anche a regioni che non ne facevano propriamente parte, come la Gallia Settentrionale, la Britannia e la parte più interna delle Regioni Balcaniche, elementi caratteristici della civiltà ellenistica, che erano stati assimilati conquistando tra II e I secolo ac i regni di Macedonia, Egitto e Siria. Il periodo compreso tra il I e il II secolo dc vide non soltanto una grande diffusione della cultura, ma anche la diffusione tra le classi meno abbienti della scrittura, in precedenza patrimonio esclusivo delle persone di cultura, dei membri dei collegi sacerdotali e dei funzionari dell'apparato pubblico. In questo periodo, inoltre, sotto la spinta di nuovi bisogni di carattere spirituale entrò in crisi definitivamente la religione ufficiale di tipo politeistico, che già da tempo si stava rivelando inadeguata a reggere il confronto sia con le nuove correnti filosofiche sia con i nuovi culti a finalità salvifiche provenienti dall'Oriente. Essi venivano professati in apposite associazioni e offrivano ai propri adepti disposti a seguire pratiche di espiazione e a produrre un forte impegno morale, la redenzione dal male e dal dolore dell'esistenza, e quindi la salvezza individuale (culto di cibele, religione del dio mitra, religione del dio sole di emesa, culto di iside e di osiride). Peculiare nel mondo romano fu piuttosto l'aspra concorrenza che si fecero per lungo tempo le varie religioni a carattere salvifico. All'inizio sembrò che dovessero trionfare il culto di cibele e quello del dio mitra, che ebbero grandissima diffusione anche negli ambienti della corte imperiale, arrivando, il secondo, al punto di diventare quasi la religione ufficiale dell'impero. Ma il processo non giunse a compimento e il mitraismo fu soppiantato definitivamente dal cristianesimo nel corso del IV secolo. Se ciò avvenne, non fu tanto per la scelta che a favore di quest'ultimo fece Costantino, quanto piuttosto come ha osservato Giovanni Tabacco, per la difficoltà di conciliare l'esuberanza dei riti e delle pratiche orgiastiche di quei culti con l'equilibrio intellettuale e morale che caratterizzava la formazione culturale delle élites cittadine. Lo stesso cristianesimo, prima diffuso all'interno delle comunità giudaiche sparse per il mondo e ai livelli sociali più bassi, divenne maggioritario solo quando si fu liberato dai toni apocalittici e da ogni forma di potenziale contestazione delle evidenti ingiustizie, la schiavitù innanzitutto, che caratterizzavano la società del tempo. A conferirgli un carattere rassicurante per il ceto dirigente romano concorreva anche il tipo di organizzazione che già nel corso del I secolo si diedero le comunità cristiane e che poggiava non più su apostoli itineranti dotati di grandi carismi, ma su una stabile gerarchia sacerdotale, formata da presbiteri (anziani) e vescovi (sorveglianti), coadiuvati da diaconi (assistenti), i quali si occupavano soprattutto dell'assistenza ai poveri e della gestione dei beni della comunità. Il merito di aver reso universale il messaggio cristiano, facendolo uscire dall'ambito della Palestina, spetta soprattutto, anche se non esclusivamente, a Paolo di Tarso. Per oltre trent'anni egli fu il punto di riferimento delle diverse comunità cristiane sparse per l'impero, visitandole direttamente o facendo giungere loro esortazioni e ammaestramenti attraverso le sue “lettere”, che costituiscono la prima sistemazione dottrinale del messaggio evangelico. La sua predicazione si svolse soprattutto nelle città, il che non sorprende, considerato il carattere eminentemente urbano della società romana. La conseguenza fu che le campagne restarono legate ai loro culti tradizionali. Di questo i cristiani ebbero subito consapevolezza, coniando per coloro che rifiutavano il messaggio di salvezza, il termine pagano, che vuol dire appunto “contadino”. Il cristianesimo dovette affrontare la difficile prova delle persecuzioni, che risultano tanto più strane se si considera che l'impero romano era in genere tollerante in materia di religione. In realtà la diffidenza verso i cristiani era di natura politica e nasceva principalmente dal fatto di essere stati in origine assimilati agli ebrei, i quali più volte si erano ribellati all'impero. Successivamente essa si fece sempre più forte e sfociò in ostilità aperta man mano che apparivano sempre più evidenti i segni di una crisi di enormi dimensioni. Tale fu quella che tra II e III secolo investì le fondamenta stesse della società romana e dalla quale si cercò di uscire, accettando sia l'intervento dello stato in ogni settore della vita economica e sociale sia il carattere sacrale del potere imperiale operazione, quest'ultima, che risultava inaccettabile ai cristiani i quali rifiutavano qualsiasi forma di venerazione religiosa nei riguardi degli imperatori. All'origine della crisi, più nota in occidente, c'erano da un lato, lo sviluppo abnorme delle città, nelle quali si era venuta concentrando una quota di popolazione troppo momento battezzato, fu indotto a riunire nel 325 a Nicea quello che viene considerato il primo concilio ecumenico, cioè universale. In quella occasione la dottrina di Ario fu condannata all'unanimità, ma ciò avvenne non tanto per le capacità di persuasione dei vescovi antiariani, quanto piuttosto per le pressioni dell'imperatore. Questi voleva ad ogni costo salvaguardare la pace religiosa soprattutto in Asia Minore, l'unica parte dell'impero in cui già in quel momento il cristianesimo aveva conquistato la maggioranza della popolazione. Quello che sarebbe potuto apparire come un fatto episodico era destinato invece a diventare l'inizio di un processo che vide procedere parallelamente da un lato la formazione di una nuova ideologia imperiale che assegnava all'imperatore la suprema responsabilità nella difesa dell'ortodossia, e dall'altro l'elaborazione definitiva di una dottrina, che a questo punto può dirsi effettivamente cattolica, cioè dichiarata valida per la chiesa universale. È da questo momento che si può legittimamente parlare di eresie, cioè di dottrine che si oppongono a verità proposte come tali dalla chiesa. Ma l'arianesimo, sconfitto nell'ambito dell'impero, era destinato a tornare prepotentemente alla ribalta e a giocare, soprattutto in occidente, un ruolo politico fondamentale nei primi secoli del medioevo. Esso fu infatti recepito, attraverso missionari orientali, dalle popolazioni germaniche, che ne fecero un elemento della propria identità culturale. Venne anche coinvolta la figura di Maria. I nestoriani volevano chiamarla non “madre di dio” (theotòkos), ma “madre di cristo” (christotòkos) per evitare ogni possibilità di confusione tra la persona umana e la persona divina del cristo. Essi infatti erano convinti che le due persone erano rimaste distinte, anche se si erano congiunte su un piano puramente morale. Un punto fermo nella contesa, che tuttavia non valse a sanare le discordie, fu posto dal Concilio di Calcedonia del 451, che dichiarò cristo vero dio e vero uomo, dotato di due nature distinte ma inseparabili. I più violenti oppositori di questa soluzione furono i monofisiti di Alessandria d'Egitto, secondo i quali l'umanità e la divinità di cristo si fondono in una sola natura. Contemporaneamente si andava sperimentando una forma di vita cristiana che si presentava come distacco totale dalla società. Essa sembrava destinata a restare ina una situazione di marginalità, ma si rivelò nei secoli seguenti una delle forze più vive nel plasmare la società del medioevo. Il fenomeno del monachesimo non era peculiare del monde ellenistico – romano essendo stato da tempo sperimentato da tempo in altre società evolute nelle quali il desiderio di realizzare l'incontro dell'anima individuale con dio aveva portato alcuni spiriti eletti a interrompere i rapporti normali con la società e intraprendere una vita di acesi e di penitenza. Il monachesimo cristiano nacque in Egitto nel III secolo. Nella fase iniziale, la sua caratteristica principale è una totale sfiducia verso ogni speculazione intellettuale nonché da una grande rozzezza di costumi e dalla ricerca di una completa solitudine, per realizzare la quale si trovano i più fantasiosi espedienti. Ad esempio, alcuni si stabilivano in tombe vuote di necropoli abbandonate, in luoghi senza finestre o senza tetto, per patire la sofferenza della continua esposizione alle intemperie, ma probabilmente i più fantasiosi furono i cosiddetti dendritai, menzionati da scrittori greci, i quali si stabilivano in cima ad un albero, o gli stiliti, in cima alle colonne. A questi esempi estremi, ben presto si affiancarono forme meno aspre di esperienza monastico e, grazie al diffondersi del cenobitismo ad opera di Pacomio, fu promossa la creazione di monasteri, sia maschili sia femminili, in cui l'ascesi era praticata in maniera moderata e tollerabile e in cui tutto era regolato. Su questa linea, è da ricordare Basilio, vescovo di Cesarea, in Cappadocia, nell'attuale Turchia. A partire dal 378, egli non fondò un vero e proprio ordine basiliano, ma si limitò a promuovere la fondazione di monasteri, sia in luoghi appartati sia in città. A essi indirizzò le sue regole, che non costituiscono un vero e proprio codice di leggi, bensì una serie di indicazioni e di ammaestramenti per i cristiani che vivevano in comunità e che egli visitava frequentemente. Benedetto da Norcia fu il fondatore e abate del monastero di Montecassino. Per esso scrivesse intorno al 540 una regola, che era soltanto una delle tante esistenti e che egli stesso non considerava né perfetta né definitiva, tanto è vero che consigliava di leggere anche altri testi normativi e di edificazione, tra cui le regole di Basilio. Tale regola dovrebbe essere stata scritta tra il 530 e il 560 in una zona tra Lazio, Umbria e Campania, o comunque in una zona soggetta all'influenza della chiesa di Roma. L'originalità consiste nella capacità di Benedetto di utilizzare l'eredità del passato alla luce della sua esperienza diretta e quindi della sua conoscenza dell'animo umano per cui tutte le norme sono improntate a grande moderazione e realismo, e ai monaci non si chiede mai nulla di eccessivamente gravoso. Capitolo 2: l'occidente romano – germanico Il mito della razza pura: il primo contatto con i romani avvenne nel II secolo ac, quando i cimbri e i teutoni, partendo dalla Danimarca, si spinsero fino in Spagna, in Gallia e in Italia, dove furono sconfitti da Mario (113 – 101 ac). La conquista della Gallia da parte di Cesare rese definitivo il contatto tra romani e germani, che si fronteggiavano dalle due rive del reno, destinato a segnare il confine tra i due sistemi di vita fino al 406, fino al tempo cioè del balzo definitivo dei germani verso le regioni del mediterraneo. Non è da credere però che, mentre il mondo romano attuava tutte le sperimentazioni politiche, sociali e culturali, i germani restassero immobili nella loro barbarie. Accadde invece che agli scontri e alle scorrerie si alternassero gli scambi commerciali e che il contatto con la civiltà romana stimolasse il progresso dell'agricoltura e della lavorazione dei metalli. Ma per cogliere la portata di questa evoluzione, è opportuno prima delineare il mondo dei germani quale ci appare dal “de bello gallico” di Cesare del 51 ac e dalla “germania” di Tacito del 98 dc. Nei 150 anni che separano i due testi la civiltà germanica aveva già subito un'evoluzione, ma non di portata tale da alterarne i valori fondamentali e le caratteristiche di fondo riconducibili in sostanza al rapporto assai mobile con l'ambiente e al primato delle virtù guerresche, per cui erano dediti prevalentemente alla caccia e alla guerra. Allevatori di bestiame, praticavano anche l'agricoltura ma con metodi assai primitivi che portavano all'impoverimento del terreno e quindi al non poter essere più coltivato. Di qui i continui spostamenti alla ricerca di nuove terre. Spostamenti che resero a un certo punto insufficienti i territori originari nonostante una densità di popolazione inferiore rispetto a quella dell'impero romano. L'acquisizione di nuove terre non provocava però tensioni e scontri all'interno della comunità, dato che non esisteva proprietà fondiaria e la distribuzione delle terre veniva fatta ai clan e non ai singoli. A livello individuale, la proprietà più ambita era il bestiame. L'organizzazione della società ruotava tutta intorno alla guerra, dal momento che il popolo germanico è per definizione un popolo di uomini in armi, ai quali aspettava in ultima istanza la decisione sui problemi più importanti. L'unica gerarchia esistente era quella dei duces, capi militari riconosciuti tali per prestigio guerriero, ma anche per la potenza magico – sacrale delle stirpi cui appartenevano. Potenza magico – sacrale la quale faceva sì che il valore militare tendesse a trasmettersi ereditariamente nelle stesse famiglie, i cui membri erano chiamati adalingi, vale a dire nobili. Essi avevano in tempo di pace un ruolo di carattere arbitrale, solo in occasione di guerre i loro poteri si rafforzavano, ma erano pur sempre soggetti al controllo di un consiglio di anziani e all'approvazione dell'assemblea del popolo in armi. Nonostante il loro prestigio, essi non si consideravano né erano considerati superiori agli altri uomini liberi, essendo fondamentalmente il popolo germanico un popolo di uguali che praticava una sorta di democrazia diretta. L'unico strumento per emergere era la capacità, fondata sul valore in guerra, di aggregare introno a sé un certo numero di giovani guerrieri, gruppo che gli autori latini chiamavano comitatus. Il gruppo in origine si scioglieva dopo ogni impresa, ma negli anni che separano Tacito da Cesare tende a stabilizzarsi. All'origine di questa evoluzione c'era chiaramente l'influenza della civiltà romana, tant'è che i germani stavano iniziando a conoscere questa civiltà sia attraverso gli scambi commerciali sia attraverso l'ingaggio, sempre più frequente, di gruppi di guerrieri da parte dell'autorità imperiale. La penetrazione dei germani occidentali nel territorio dell'impero romano si faceva sempre più consistente. Già a partire dal I secolo il loro rapporto si rivelò indispensabile sia per il reclutamento delle legioni da schierare a difesa dei confini sia per il popolamento delle regioni periferiche rimaste spesso spopolate proprio in conseguenza delle continue incursioni dei germani. Risultato: agli inizi del III secolo la presenza germanica all'interno dell'esercito era a questo punto prevalente, avviandosi a lambirne anche i vertici attraverso l'ascesa di elementi barbarici ai più alti gradi della gerarchia militare e poi di quella politica, senza però che questo bastasse a contenere la sempre crescente pressione lungo i confini. Eppure nonostante la cristi interna, di cui i germani erano un elemento aggravante e non la causa prima, il crollo non ci fu. L'impero riuscì a superare il momento critico accogliendo nelle regioni lungo il confine del Reno tribù di Franchi, Alamanni e Burgundi e respingendo lungo il Danubio gli assalti dei goti i quali, sconfitti nel 269 dall'imperatore Claudio II, per circa un secolo non furono più un pericolo. Si tese anzi a ridurne l'aggressività favorendone la conversione al cristianesimo ad opera del vescovo goto Ulfila o Vulfila il quale, intorno al 341, tradusse in gotico ampi brani della bibbia, dando così per la prima volta dignità letteraria a una lingua germanica. Ma quando sembrava che tra mondo romano e mondo germanico fosse stato raggiunto un equilibrio, un evento esterno impresse un'accelerazione improvvisa al corso della storia ovvero l'arrivo dalle steppe asiatiche degli unni. Popolazione turco – mongola, travolsero nella loro spinta vero occidente prima gli alani, intorno al 370 e poi gli ostrogoti e i visigoti, i quali erano però legati all'impero di Attila avevano invaso la Gallia e minacciavano l'Italia. Infatti Ezio riuscì nel 451 a batterli sui campi catalunici, presso Troyes, alla testa di un esercito formato in gran parte da visigoti e burgundi. Nel 452 Attila penetrò in Italia attraverso il Friuli, distruggendo Aquileia i cui abitanti cercarono rifugio nelle isole della laguna, dando vita così al primo nucleo di quella che sarà poi Venezia. La sua marcia si arrestò sul Mincio, dove gli andò incontro papa Leone I in qualità di ambasciatore di Valentiniano III. La tradizione cristiana attribuisce lo scampato pericolo a un miracolo operato dal pontefice. Probabilmente il ritiro di Attila nacque invece dal timore di un attacco di Costantinopoli ai suoi immensi domini che diventano sempre più vulnerabili man mano che crescevano d'estensione. Dopo la scomparsa di Attila, l'impero degli unni si sfaldò. 454 Ezio fu ucciso dallo stesso Valentiniano, il quale a sua volta cadde l'anno dopo per mano di due seguaci di Ezio. La loro scomparsa creò ai vertici dello stato una situazione sempre più confusa con il succedersi veloce di imperatori privi potere effettivo. Un personaggio importante fu Odoacre il quale, dopo aver deposto nel 476 l'ultimo imperatore ovvero il giovanissimo Romolo Augustolo rimandò a Costantinopoli le insegne imperiali dichiarando di voler governare quello che restava dell'impero d'occidente in nome dell'imperatore d'oriente con il solo titolo di patrizio. Nello stesso tempo assunse il titolo di re degli eruli, degli sciti e degli altri germani che avevano sostenuto il suo colpo di stato. Re ostrogoto educato alla corte di Costantinopoli il quale nel 489, per incarico dell'imperatore Zenone preoccupato per l'espansionismo di Odoacre in Dalmazia, Teodorico portò in Italia il suo popolo. L'aristocrazia e l'episcopato cattolico si volsero subito dalla sua parte anche perchè Teodorico mostrò subito di voler operare in pieno accordo sia con l'aristocrazia sia con la chiesa cattolica, che prese sotto la sua protezione, pur essendo egli ariano al pari del suo popolo. Con gli ostrogoti era la prima volta che si stanziava in Italia un intero popolo e che si operava un trasferimento di terre di grandi dimensioni sempre in base al principio dell'ospitalità dai proprietari romani ai guerrieri germanici. L'operazione però non fu traumatica perchè il declino demografico a cui avevamo assistito (nel 452 Italia e Spagna furono colpite dalla peste) faceva aumentare la disponibilità di terre. Inoltre non si instaurò la dominazione degli ostrogoti sulla popolazione romana ma si realizzò la coesistenza di due comunità con distinti ordinamenti giuridici e unite soltanto nella figura di Teodorico, re della sua gente e vertice dell'apparato politico – amministrativo romano, in quanto titolare della carica di prefetto in Italia. I goti erano gli unici ad avere il diritto – dovere di portare le armi, mentre i romani, rigorosamente esclusi dall'esercito, formavano una comunità distinta che continuava a vivere secondo il diritto romano. La compresenza di due ordinamenti giuridici nell'ambito dello stesso organismo politico costituiva una novità per l'Italia ma non per le altre regioni dell'impero perchè in esse la pratica dell'ospitalità aveva comportato l'introduzione di quella che oggi i giuristi chiamano la personalità del diritto, consistente nella possibilità per un gruppo etnico di vivere secondo le proprie leggi all'interno di un territorio regolato dal leggi diverse (in questo caso quelle romane). Nuove o almeno singolari erano invece la lucidità e la determinazione con le quali Teodorico perseguì il disegno di tenere distinte le due comunità, richiamando in vita una vecchia legge romana del 370 che vietava i matrimoni tra romani e barbari e sostenendo l'arianesimo un elemento essenziale dell'identità culturale del suo popolo. Ma il sogno di Teodorico si infranse tuttavia contro le resistenze sia del mondo germanico sia di quello romano. Su gran parte del primo era riuscito all'inizio a imporre una specie di protettorato con accordi e alleanze matrimoniali, che gli avevano consentito di legare a sé franchi, vandali, visigoti, burgundi e turingi ma la sua politica estera si scontrò con un analogo progetto egemonico concepito dal re dei franchi, Clodoveo. Contemporaneamente si complicavano i rapporti anche con il mondo romano e non tanto per l'espansionismo di Teodorico nel Balcani arrivando a conquistare la Pannonia e stabilendo il suo protettorato sulla Dalmazia, quanto piuttosto in seguito al ristabilirsi di una piena intesa tra papato e imperatore d'oriente in merito all'applicazione delle decisioni del concilio di Calcedonia. Nacque un clima di diffidenza, che portò Teodorico a vedere complotti ovunque. Nel 526 scomparve e nel 535 l'imperatore Giustiniano dava inizio alla riconquista dell'Italia nell'ambito di un più vasto progetto di riconquista dell'intero occidente. Inizialmente i franchi si formarono in un gruppo unitario da tanti piccoli aggregati nel IV – V secolo. A partire dal 482 furono via via inglobati nel dominio di Clodoveo, re dei franchi salii e iniziatore della dinastia merovingia, detta così dal nome del suo forse mitico fondatore Meroveo. Nel 486 viene eliminata l'ultima presenza romana in Gallia, il regno di Siagro con capitale Soissons e Clodoveo si volse con estrema decisione contro le altre popolazioni germaniche della Gallia, ponendole sotto la propria tutela o scacciandole dai loro territori come avvenne con i visigoti ai quali tolse l'Aquitania. Trovò un ostacolo soltanto nel re degli ostrogoti, Teodorico, il quale intervenne a difesa dei visigoti e degli alamanni. Ciononostante alla sua scomparsa, nel 511, Clodoveo controllava, ad esclusione della Provenza, tutta la Gallia romana e anche una fascia di territori al di là del Reno. I suoi immediati successori inglobarono nei loro domini anche i territori dei turingi (513), il regno dei burgundi (533) e la Provenza (536). Alla base di questi successi c'era il dinamismo militare dei franchi ma anche la collaborazione con la colta e ricca aristocrazia gallo – romana e con l'episcopato cattolico. Alla scomparsa di Clodoveo, però, il regno fu diviso in parti uguali tra i figlie, come se fosse stato un bene privato. La suddivisione fu tra la Neustria, l'Austrasia, l'Aquitania e la Borgogna. Questo sistema di successione portò a conflitti fratricidi, facendo interrompere l'espansionismo franco, che sarà ripreso e solo nell'VIII secolo una volta ristabilita, con Pipino il Breve, una direzione politica salda e unitaria. Capitolo 3: l'oriente romano – bizantino e slavo Mentre in occidente si veniva faticosamente ma in maniera abbastanza veloce delineando una nuova realtà attraverso la fusione di elementi di civiltà germanica e di quella romano – cristiana, la parte orientale dell'impero mostrava una sorprendente capacità di resistenza di fronte a pressioni esterne e a tensioni interne. Inoltre in oriente l'aristocrazia non godeva di una schiacciante superiorità sociale nei confronti del resto della popolazione e per giunta non formava una classe rigidamente chiusa. L'11 maggio 330 Costantino inaugura la nuova capitale sul bosforo, dandole il suo nome, in quanto concepita fondamentalmente come un monumento a sé stesso, Costantinopoli che conobbe un vero e proprio boom già con il figlio, Costanzo II, configurandosi inevitabilmente come concorrente di Roma. Questa del resto era in declino quale sede del potere dato che dopo Massenzio, il quale vi risiedette stabilmente dal 306 al 312, gli imperatori preferirono a causa prevalentemente dei loro impegni militari spostarsi da una città all'altra. Si stabilirono poi definitivamente nel 404 al tempo di Onorio nella più sicura Ravenna. Mentre però le altre città che erano state sedi provvisorie di governo (Treviri, oggi Trier in Germania, Sirminio nei Balcani, Milano) per quanto abbellite non avevano acquisito dignità di capitale e non erano state dotate di quelle strutture e di quei servizi che rendevano del tutto particolare la città di Roma. Costantinopoli fu attrezzata ben presto a imitazione di Roma. - istituzione del senato da parte di Costanzo II - creazione dell'annona civica per la distribuzione del grano - dotazione di un ippodromo corrispondente al circo massimo di Roma direttamente collegato al palazzo imperiale per facilitarvi l'ingresso dell'imperatore che vi appariva a scadenze fisse secondo un rituale che finì col rendere sempre più grande il distacco tra il sovrano e il popolo, trasferendo il primo su un piano di sacralità e circondandolo di un alone di mistero. La sacralizzazione del potere era il risultato anche dell'esaltazione del ruolo dell'imperatore quale difensore della genuina dottrina cristiana e in quanto tale responsabile della salvezza del popolo cristiano. Tutto quindi spingeva verso una progressiva divaricazione tra occidente e oriente, e della trasformazione di quest'ultimo in forza politica autonoma. Tappa fondamentale di questo processo fu la divisione dell'impero tra Arcadio e Onorio alla scomparsa di Teodosio nel 395 anche se la questione che fece esplodere tutto fu la questione barbarica perchè mentre in occidente ci si stava orientando verso un pieno inserimento dei germani nell'esercito e nei quadri dello stato, in oriento si affermò una netta posizione di chiusura nei loro confronti e si attuò una politica sistematica di dirottamento verso occidente dei visigoti e degli altri germani orientali che diventavano sempre più inquieti sotto la pressione degli unni. Capitolo 4: l'Italia tra Bizantini e Longobardi Giustiniano nel 535 aveva avviato la riconquista dell'Italia inviando un esercito al comando del generale Belisario e Nareste. La prima fase della guerra si concluse nel 540 con la conquista di Ravenna e la cacciata dei goti oltre il po. La guerra riprese nel 542 con un'offensiva dei goti che si concluse con la loro sconfitta e l'uccisione del loro sovrano Totila nella battaglia di Gualdo Tadino (552), dopo qualche mese venne sopraffatta la resistenza degli ultimi irriducibili al comando dei quali vi era il successore di Totila, Teia sconfitto in battaglia alle falde del Vesuvio. Gli ultimi nuclei di resistenza vennero scovati nel 555 sugli appennini. La riconquista bizantina fu accompagnata dal tentativo di restaurare gli antichi rapporti sociali e di dare al territorio un nuovo assetto sulle basi della prammatica sanzione che Giustiniano emanò nel 554 su richiesta di papa Virgilio. Gli atti emanati da Teodorico furono sembrava dover decidere le sorti dell'occidente in Arabia prendeva il sopravvento una civiltà che avrebbe reso la propria nazione la più potente del mondo civilizzato allora conosciuto. Secondo la tesi di Pirenne gli arabi crearono in Europa una situazione completamente nuova mettendo fine all'unità del mediterraneo e provocando in occidente una crisi del commercio, la scomparsa delle città e la nascita di un'economia interamente agraria. Indubbiamente gli arabi portando il loro durissimo attacco all'impero bizantino riducendone fortemente il raggio d'azione, crearono un vuoto politico nel mediterraneo centro-orientale concedendo cosi una maggiore libertà alla chiesa di Roma. La penisola arabica situata tra Asia e Africa era, come oggi, sostanzialmente un tavolato desertico dove solo Oman e Yemen godevano di precipitazioni. I letti dei fiumi che anticamente scorrevano in Arabia erano usati come piste transdesertiche. Anticamente la parte centro settentrionale dell'Arabia era abitata da tribù di beduini nomadi che praticavano l'allevamento, il commercio carovaniero e la razzia; erano presenti anche tribù di sedentari. Queste tribù erano indipendenti l'una dall'altra. La parte meridionale dell'isola godette invece di un maggior livello di civiltà a causa del crocevia commerciale che si riscontrava in quella zona. La maggioranza della popolazione, composta da beduini era inquadrata in tribù, la tribù stessa era il quadro sociale di riferimento. All'interno della tribù venivano prese tutte le decisioni di carattere collettivo, alla guida vi era un capo elettivo assistito da un consiglio e da un giudice. Il quadro religioso era caratterizzato dalla prevalenza del politeismo, gli arabi meridionali tendevano verso un culto animistico, mentre quelli del nord adoravano divinità varie sottomesse ad una suprema, Allah. In questo contesto intorno al V secolo la città della Mecca divenne un'importante centro commerciale e religioso, in questa città nacque Maometto tra il 569 e il 571. Nato da una famiglia benestante e rimasto orfano in tenera età fu allevato da uno zio e sposò una ricca vedova migliorando così la sua posizione economica, questo gli consentì di dedicarsi alla riflessione religiosa. Nel 610 quando aveva poco più di quarant'anni gli apparve l'arcangelo Gabriele che gli annunciò di essere l'apostolo di Allah. All'inizio Maometto esitò ma finalmente nel 613 dietro l'incoraggiamento della moglie diede inizio ad una predicazione tra l'indifferenza dei Quaraishiti. Il suo messaggio all'inizio non metteva in discussione il politeismo ma puntava al riconoscimento di Allah come unico vero dio ed a far atto di sottomissione alla sua autorità, introduceva inoltre l'idea di giudizio finale e il dovere di esercitare la solidarietà verso il prossimo e verso i poveri in particolare. Il pericolo che l'islam venisse assimilato al politeismo indusse Maometto a rompere gli indugi e ad attaccare i culti idolatrici suscitando le ostilità del ceto dirigente timoroso di perdere i propri proventi ricavati dai pellegrinaggi della Kaaba. Maometto comunque continuò la sua opera di proselitismo definendo il rituale della preghiera che il credente doveva recitare rivolto verso Gerusalemme. Nel 622 la posizione di Maometto divenne insostenibile, infatti dopo aver ricevuto fedeltà incondizionata dalla tribù della madre fuggì dalla mecca fino alla città della famiglia materna che cambiò il nome in Medina. Questa fuga per i seguaci di Maometto rappresentò l'inizio di una nuova era. Nel 624 Maometto mutò il punto di riferimento per la preghiera da Gerusalemme alla Mecca, contemporaneamente ne accentuò il carattere esclusivistico dichiarando l'islam unica vera fede, istituendo anche il mese di digiuno (ramadan). Il pensiero di Maometto che veniva precisato nel corso del tempo venne raccolto dopo la sua morte (avvenuta nel 632), dopo circa vent'anni, nel libro sacro del Corano. La lingua usata fu quella più comunemente usata dai poeti arabi. I principali pilastri della fede scritti nel corano sono i seguenti: • Doppia professione di fede • La preghiera • Il ramadan • Pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita • Elemosina legale (un decimo del reddito) alcuni sostengono anche l'esistenza di un sesto pilatro. • La guerra santa Ad integrazione del corano venne posta la Sunna cioè, la raccolta della tradizione comportamentale di Maometto in determinate occasioni che diventerà la base del diritto mussulmano. Il messaggio di Maometto accoglieva aspetti non marginali della società e della cultura araba. La razzia, la poligamia, la schiavitù, il pellegrinaggio e il culto della pietra nera. A differenza di quanto accadeva nel passato Maometto riorganizzò la società eliminando il particolarismo e concentrando tutto intorno ad una figura sia politica che religiosa. Quando Maometto arrivò a Medina si fece costruire una casa che divenne luogo di aggregazione e di preghiera, qui Maometto iniziò ad attirare gran parte delle genti cittadine. Nel frattempo i continui attacchi alle carovane provenienti da la Mecca da parte dei mussulmani di Medina costituivano una seria minaccia per l'economia della Mecca. I Quraishiti dopo fortune alterne con le armi si convertirono all'islam e aprirono a Maometto le porte della città (gennaio 630) da allora crebbe di continuo il numero delle tribù beduine che si convertirono all'islam. Alla morte di Maometto ci fu un contrasto tra i suoi seguaci per designare un sostituto (califfo) che avrebbe dovuto reggere la comunità secondo lo spirito di Maometto. La scelta cadde su Abu Baku suocero ed uno dei primi seguaci del profeto, alcune tribù beduine non riconoscendo la sua autorità abbandonarono completamente l'islam. Il califfo reagì con forza ripristinando già nel 633 il suo dominio su tutta la penisola arabica lanciando addirittura le truppe in direzione dell'Iraq. La scomparsa del califfo nel 634 riaprì la questione della successione che fu risolta per qualche decennio grazie al sistema elettorale. La vera rottura si ebbe quando la sede del califfo venne spostata a Kufa, nel basso Iraq, facendo perdere alla Mecca e Medina il loro ruolo politico. Il califfo Alì si mantenne al potere grazie alle armi dei suoi seguaci (sciiti) contrapposti alla maggioranza dei mussulmani ortodossi, detti sunniti. Le lotte per la successione non frenarono lo slancio espansionistico islamico che in poco più di vent'anni spazzò via l'impero persiano e amputò all'impero bizantino la Siria e l'Africa del nord. Il governo di un territorio cosi vasto mostrò subito l'inadeguatezza dell'ordinamento sociale dell'età pre - islamica. L'uguaglianza dei mussulmani stabilita dal corano si dimostrò subito solo teorica, in quanto la tribù di Maometto aveva acquistato un ruolo egemone. Dopo la morte di Maometto ci fu un risveglio dei clan famigliari e il sistema tribale fu esaltato in guerre di conquista condotte da eserciti reclutati su basi tribali. I non arabi convertiti vennero all'inizio dell'VIII secolo assunti nell'esercito e pagati con regolare salario, formando comunità distinte rispetto alle popolazioni sottomesse, stabilendosi in accampamenti provinciali. Per il governo dei territori conquistati fu necessario provvedere ad un apparato amministrativo che fu in gran parte ereditato dalla precedente dominazione bizantina e persiana. A capo di ogni provincia fu posto un governatore assistito da un corpo di guardie, da un giudice e da un supervisore finanziario. Il califfato in questo contesto raccolse grande potere e si rafforzò come se fosse una monarchia ereditaria. La stabilizzazione del potere coincise con una di concime veniva compensata con tecniche alternative quali il rovescio, il debbio ecc. Il più frequentemente utilizzato era il maggese, ovvero il riposo del terreno dopo ogni raccolto che veniva inserito in una rotazione biennale delle colture. Questo riposo forzato che doveva essere fatto esercitare al terreno costringeva il contadino a non approfittare mai completamente del terreno che coltivava, di cui pressoché mai ne era proprietario. Questa usanza derivava dall'ultimo periodo della tarda antichità nel quale i proprietari terrieri iniziarono ad insediare i loro schiavi nelle terre dotandoli di una casa. Lo schiavo doveva provvedere al suo mantenimento e corrispondere al padrone una parte del raccolto e di beni in natura di solito nel periodo natalizio. Dopo qualche decennio, con la perdita progressiva dell'autorità imperiale, i piccoli proprietari terrieri si rivolsero ai grandi signori locali rinunciando alle loro terre e cedendole al signore, riprendendole poi in affitto dietro pagamento di un canone. Conseguenza di questo fenomeno fu l'articolazione tra terre date in concessione e terre amministrate direttamente dal signore tramite amministratori di fiducia. Il colono sotto la protezione di un signore di solito oltre al canone pagava un corrispettivo in giornate lavorative da prestare nel terreno sotto diretto controllo del signore. Questa economia prese il nome di economia curtense. Durate l'economia curtense il proprietario assumeva sempre di più il ruolo di un signore in quanto ai contadini era necessaria oltre che una dipendenza economica anche una dipendenza "sociale"; il signore infatti aveva sui suoi dipendenti potere giurisdizionale e militare. L'economia altomedievale viene detta economia naturale in quanto basata principalmente sull'agricoltura e praticamente priva di rapporti commerciali, con una circolazione monetaria assai ridotta. In Europa le monete erano fatte d'argento dato che le monete in oro venivano usate per gli scambi con l'oriente, anche se nonostante l'impoverimento l'Europa era sempre in grado di esportare qualcosa in oriente. Capitolo 7: l'impero carolingio e le origini del feudalesimo Alla morte di Clodoveo un progressivo indebolimento attraversò il regno dei Franchi e l'Europa vide così il sorgere di quattro entità statali in lotta per l'egemonia: La Neustria, l'Austrasia, l'Aquitania e la Borgogna. Nel corso del VII secolo la lotta per l'egemonia si restrinse alla sola Austrasia e Neustria. Di questo contrasto non erano protagonisti i sovrani dei due regni, bensì i signori di palazzo, detti maggiordomi, di entrambe le parti. Si imposero alla seconda metà del VII secolo i Pipinidi dell'Austrasia, artefici delle fortune della famiglia fu Pipino II. Suo successore fu il figlio, Carlo Martello il quale, ristabilì il potere franco in frisia, alemannia e turingia. Si occupò in seguito dell'Aquitania sotto la pressione degli arabi, che sconfisse nel 732 divenendo noto come campione della cristianità. La morte del re merovingio Teodorico IV lasciò il trono vacante permettendo a Carlo Martello di comportarsi come un sovrano, divise il regno tra i due figli Carlomanno e Pipino il breve i quali ripristinarono la monarchia merovingia elevando al trono il re fantasma Childerico III. Nel frattempo seguivano con interesse l'attività missionaria intrapresa da Bonifacio, un monaco aglosassone, in stretto accordo con papa Zaccaria. Nel 747 Carlomanno abdicò per ritirarsi in un monastero lasciando campo libero al fratello Pipino il quale, dopo aver rinchiuso Childerico in un convento si fece acclamare re facendosi poi ungere con olio santo da Bonifacio. L'approvazione del papato rispetto al potere di Pipino gli conferì una connotazione sacra. Verrà consacrato nuovamente insieme ai due figli Carlomanno e Carlo nel 754 dal pontefice Stefano II. La famiglia di Pipino il breve si era circondata di clientele sia militari che politiche, riuscendo ad armare anche una vasta schiera di cavalieri per la nuova tattica di combattimento ad urto. La nuova macchina bellica franca diede il via all'espansionismo; il primo a farne le spese fu il re longobardo. Dopo che Roma chiese aiuto a Pipino iniziò una spedizione militare nel 755 alla fine della quale il nuovo re longobardo Desiderio, si vide costretto ad attuare una politica meno bellicosa. Il nuovo corso della politica longobarda fu sancito dal matrimonio dei figli di Pipino con le figlie di Desiderio. La pace durò per circa quindici anni durante i quali scomparvero Pipino e Carlomanno, Carlo rimasto solo ed unico sovrano, ripudiò la moglie e la scacciò insieme alla vedova di suo fratello. Desiderio mosse allora guerra contro i territori da poco consegnati al papato, il nuovo pontefice chiese l'aiuto franco e Carlo Magno, una volta sconfitto Desiderio e poi il figlio, nel 774 cinse la corona di sovrano dei longobardi. Nel 776 nella penisola vennero immessi duchi e vassalli franchi per assicurare al sovrano maggior controllo. Gli anni successivi alla conquista del regno longobardo furono scossi da guerre; all'inizio la spedizione in Spagna, la rivolta dei sassoni, la conquista della frisia e della Baviera e la seconda spedizione in Spagna. Nel 799 il pontefice Leone III che era stato aggredito ed imprigionato durante una processione, venne liberato da due messi franchi e portato da Carlo Magno a cui il papa chiese aiuto. Venne riaccompagnato a Roma sotto scorta. Carlo lo seguì giungendo il 24 novembre 800. Visto che la nobiltà romana era ostile al papa ed il pontefice era accusato di adulterio e spergiuro venne convocato un concilio, durante il quale Leone III giurò la propria innocenza e venne riabilitato. Carlo Magno venne incoronato il 25 dicembre 800 imperatore dei romani. In oriente la promozione a imperatore di Carlo non fu presa bene, esplose un vero e proprio conflitto che terminò solo quando, nell' 812, l'imperatore bizantino riconobbe il titolo imperiale di Carlo in cambio della cessione dell'Istria e della Dalmazia e la rinuncia a qualsiasi pretesa franca su Venezia. Carlo affidò vaste zone dei territori conquistati a conti e duchi, mentre le zone di frontiera furono affidate ai marchesi i quali, erano responsabili anche della loro difesa. Per tenere sotto controllo i duchi vennero insediati un gran numero di vassi dominici ovvero funzionari fedeli direttamente al re. L'amministrazione dell'impero faceva capo al palazzo, nella corte erano tre le figure di riferimento • L'arcicappellano • Il cancelliere • I conti palatini La corte inoltre era mobile, garantendo pertanto un collegamento con le realtà locali. Carlo Magno cercò inoltre di dare omogeneità all'impero emanando i capitolari ovvero leggi formate da brevi articoli emanate nel corso di assemblee annuali. I capitolari riguardavano principalmente diritto pubblico e diritto ecclesiastico. Frequenti furono gli interventi legislativi in campo economico, sia per migliorare l'apparato fiscale, sia per proteggere le popolazioni rurali ed i piccoli proprietari fondiari che costituivano ancora la base del popolo e dell'esercito. Si tentò anche di riportare ordine nel settore monetario, vista la scarsità d'oro si diede spinta al conio di monete d'argento. La moneta circolante divenne allora il danaro, quotato 12 a 1 rispetto al soldo. Carlo si impegnò anche a continuare l'opera di restaurazione ecclesiastica intrapresa da Bonifacio estendendola a tutto l'impero. La chiesa franca elaborava la concezione di un impero operante in unità d'intenti con l'autorità papale in quanto l'imperatore aveva la responsabilità della scelta dei vescovi. L'imperatore era consapevole che aver buoni vescovi significava stabilità nel governo in quanto la popolazione era saldamente inquadrata dal potere ecclesiastico. Carlo riformò anche i monasteri che in questo periodo erano decaduti a causa dell'affievolirsi della disciplina interna, l'imperatore, per arginare con la concessione della corona al re magiaro Stefano I da parte di papa Silvestro II. Contemporaneamente l'Europa cristiana era aggredita dai saraceni. Gli arabi dopo aver conquistato la Sicilia esaurirono la loro spinta offensiva ma nonostante questo continuarono i loro attacchi all'occidente sotto forma di razzie, obiettivi di queste erano le città e le abazie. Spesso l'unico modo per fermarli era versare loro sostanziosi contributi in denaro mentre le iniziative armate ebbero risultati alterni. All'inizio dell'anno mille però tutto il mondo cristiano passò al contrattacco, nondimeno però, alcuni gruppi di pirati mussulmani rimasero in attività ancora per tutto il XII secolo. Le regioni dell'Europa risparmiate da magiari e saraceni furono investite dai normanni che dalla scandinavia partirono in direzioni diverse. La tattica bellica per quelli che si diressero in Europa era simile a quella dei saraceni così, per tentare di farli diventare sedentari, Carlo il semplice diede al loro capo, Rollone, la Normandia come feudo. I normanni allora nell'arco di cinquant'anni assicurarono al territorio un forte inquadramento politico attraverso rapporto vassallatico-benefici. I sovrani dei regni nati dalla dissoluzione dell'impero carolingio tentarono di dare un assetto difensivo ai loro territori ma il teatro bellico era cambiato, il nemico, almeno all'inizio non puntava a conquiste stabili ma alla mera razzia, per cui colpiva di sorpresa per poi ritirarsi. Fu inevitabile perciò coinvolgere nella difesa sempre di più le forze locali autorizzando la costruzione di castelli ed altre opere difensive. Molto spesso i signori locali prendevano l'iniziativa e fortificavano i loro castelli senza l'autorizzazione regia. Il signore locale che si era imposto per ragioni militari agli uomini protetti dal suo castello si attribuiva anche incarichi di natura giuridica e legale. Non di rado all'interno del castello sorgeva una cappella per l'assistenza religiosa, il castello si andava quindi configurando come organismo politico completo. Il modo in cui veniva esercitato il potere in questo signorie sorte più o meno abusivamente viene espresso come allodalizzazione del potere in quanto era gestito alla stregua di un bene privato. Il castello assunse due realtà diverse ovvero il castello propriamente detto configurato come struttura abitata dal castellano in cui gli abitanti del villaggio circostante vi si rifugiavano solo in caso di pericolo, ed il villaggio fortificato circondato da mura all'interno delle quali il signore si faceva costruire una residenza fortificata. Inoltre si venne ristrutturando nuovamente la rete viaria dato che la popolazione veniva contraendosi nei centri fortificati. Si andò riorganizzando per lo stesso motivo il territorio amministrato dalla chiesa che venne a coincidere con il territorio del castello. Il X secolo fu un secolo di ferro in quanto ci fu in questo periodo un'estrema frantumazione del potere dato che le signorie locali si trovarono in conflitto per stabilire chi avrebbe dovuto far valere la propria autorità sui contadini appartenenti a corti diverse ma che trovavano protezione nelle fortificazioni di un altro signore. Il vassallaggio aveva assunto ruoli completamente diversi in quanto da ricompensa che aveva un carattere di impegno futuro il feudo aveva ora carattere decisivo. Anche la fedeltà assumeva ora una commisurazione in base al feudo. Veniva rafforzata la tendenza a considerare in feudo un bene ereditario anche attraverso la promulgazione di leggi apposite. Questa tendenza portò alla formazione di una vasta rete politica in cui ognuno era vassallo di qualcuno e signore di qualcun' altro fino al vertice della piramide che era rappresentata dal re. La dissoluzione dell'impero carolingio causò oltre alla crisi del potere politico anche la crisi di quello ecclesiastico. In non poche diocesi i vescovi dedicarono più tempo all'esercizio dei loro poteri signorili piuttosto che all'attività religiosa, inoltre offrivano in feudo proprietà della chiesa in cambio di servigi di natura militare. Inoltre il potere religioso si trovò in contrasto con la natura laica del patrimonio in quanto i proprietari delle chiese imponevano il chierico al vescovo che poteva opporsi solo in caso di manifesta indegnità del candidato. Diventando praticamente indispensabile il sostegno delle istituzioni ecclesiastiche nelle vite di imperatori e sovrani essi cominciarono ad imporre i loro vescovi alla guida delle rispettive diocesi e di grandi monasteri. Al controllo dei laici non si sottraevano nemmeno i vertici della cristianità in quanto con la constitutio romana il papa doveva prestare giuramento di fedeltà all'autorità imperiale. Capitolo 9: l'Italia tra poteri locali e potestà universali Nel X secolo l'Italia si configurava in maniera particolare, su di essa trovavano scontro le concezioni politiche universali e particolaristiche in quanto era sede dell'influenza di due imperi, quello franco e quello bizantino. Il problema principale per queste lotte era la presenza del papato che pur essendo presente nel Lazio ed Umbira rivendicava la supremazia universale ed un proprio ambito politico. Il regno d'Italia era stato attribuito nell'887 a Berengario contro cui due anni dopo si levò Guido che lo sconfisse ottenendo cosi la corona di imperatore che passò alla morte di Guido al figlio Lamberto. Per favorire Berengario intervenne il re di Germania Arnolfo il quale attraverso papa Formoso fu riconosciuto re dai feudatari italiani e venne incoronato imperatore nel 894. Arnolfo verrà colto da una paralisi subito dopo l'incoronazione lasciando così campo libero a Lamberto che comunque scomparirà nel 898. Berengario cercò anche di porre un freno all'invasione ungara ma dopo essere stato sconfitto in battaglia la sua posizione si indebolì finché non gli si contrappose Ludovico di provenza anch'egli incoronato imperatore. Berengario riuscì a sconfiggere Ludovico nel 905 e nel 915 dopo aver cacciato i saraceni ed aver reso sicura Roma venne sconfitto dal nuovo erede al trono Rodolfo di Borgogna. Rodolfo però tenne il trono solo per due anni dopo infatti lo cedette ad Ugo di Provenza che lo tenne ininterrottamente fino al 946. La sua volontà di dare contenuto effettivo al titolo di re d'Italia provocò i malumori della feudalità italiana che attraverso il re di Germania Ottone I contrappose ad Ugo il marchese di Ivrea Berengario. Ugo fu sconfitto e nel 950 scomparso Lotario, Berengario di Ivrea poté cingere la corona. L'anno dopo iniziarono le prima difficoltà in quanto la vedova di Lotario (figlio di Ugo) Adelaide, chiese aiuto al re di Germania il quale sposò Adelaide stessa e scese in Italia facendo atto di sottomissione alla feudalità insieme a Berengario di Ivrea che conservò il regno in qualità di vassallo. Berengario però che si venne creando contro il movimento iconoclasta. Il culto delle immagini era sempre stato malvisto dalle provincie più orientali dell'impero, le quali erano le più influenzate dai culti islamici ed ebraici che condannavano l'idolatria. Quando salì al trono Leone III il movimento raggiunse la corte. Egli con un decreto del 726 proibì il culto delle immagini. Il papa Gregorio III nel 731 scomunicò l'imperatore e i suoi sostenitori, questo decreto ebbe come risultato anche la riduzione del potere dei monaci. Con l'avvento al trono di Costantino VI la situazione si fece più complicata, specie quando a detenere il potere fu la madre Irene, che, sembrò intenzionata ad abbandonare la precedente politica in quanto venne nominato patriarca di Costantinopoli un iconodulo. Tre anni dopo il VII concilio di Nicea (787) condannò l'iconoclasmo come eresia. La reggenza di Irene tuttavia provocò dei malumori in occidente in quanto non era riconosciuta dal papato e questo provocò il considerare il trono d'oriente come vacante. Carlo Magno una volta incoronato imperatore era desideroso di intraprendere relazioni diplomatiche con l'impero bizantino ma dovette aspettare fino all'812 per vedere riconosciuto il suo titolo dall'imperatore Michele I. Con Leone V si ebbe il ritorno al potere della corrente iconoclasta. La contesa verrà poi risolta da Michele III nell'843 quando verrà riabilitata la liceità del culto delle immagini. Intanto il pericolo arabo si era di molto ridotto, lo stabilizzarsi della situazione portò alla rinascita dei grandi poderi fondiari senza tutelare gli interessi dei piccoli proprietari. Il problema verrà arginato alla fine del X secolo con l'introduzione di leggi atte a favorire le piccole proprietà. Queste norme però rallentarono soltanto il meccanismo di impoverimento dei cittadini di ceto basso e dei contadini che tendevano a porsi sotto la protezione di un signore. Questi episodi però non possono essere catalogati come una forma di feudalesimo bizantino in quanto lo stato risultava sempre presente a differenza di quanto avveniva nelle campagne europee. In occidente si sviluppò un grande rapporto tra potere imperiale e patriarcato in quanto l'imperatore era considerato il diretto rappresentante di Dio in terra. La compenetrazione tra i due poteri avvenne sempre all'insegna dell'egemonia imperiale. Al rafforzamento dell'autorità imperiale contribuirono anche i successi militari della seconda metà del X secolo. Il controllo completo sull'area balcanica venne riportato da Basilio II nel 1014. La cristianizzazione delle popolazioni slave e delle popolazioni bulgare era sempre avvenuta in contrasto con la chiesa di roma che tentava di ampliare la propria area di influenza attraverso i missionari. Il contrasto esplose quando la chiesa bulgara tentò di mantenersi del tutto autonoma. Il patriarcato era allora occupato da Fozio che era stato nominato dall'imperatore e non era riconosciuto dal papa. Dopo un violento scambio di missive nell'867 Fozio scomunicò il pontefice. La questione venne accantonata dopo la deposizione di Fozio decisa dal concilio di Costantinopoli che decise inoltre di sottomettere la chiesa bulgara a quella di roma. Ad abbassare la tensione tra la chiesa di Roma e quella di Costantinopoli contribuì la crisi del papato del X secolo. La situzioane precipitò nel 1049 quando il papa Leone IX rivendicò il primato della sede romana nella chiesa universale. A Costantinopoli era patriarca Michele Cerulario, fiero oppositore del primato papale. Il patriarca ordinò nel 1053 la chiusura di tutte le chiese di rito latino. L’imperatore Costantino X era interessato a trovare un compromesso perciò fu inviata da Roma una delegazione che però fallì la missione di mediazione il 15 luglio del 1054 quando entrambe le parti scomunicarono i rispettivi vertici. Lo scisma non fu sentito in maniera traumatica specialmente perchè la chiesa di Roma e quella bizantina andavano sempre di più diversificandosi già da tempo ed in maniera naturale. L’elemento che più pesò fu l’orientamento fortemente monarchico che assunse il papato tra l’XI ed il XII secolo per cui, i teologi bizantini sostennero che fosse la chiesa di Roma ad allontanarsi dall’ortodossia dei primi concili ecumenici. I successi dell’impero avevano portato alla ripresa delle attività commerciali e la moneta bizantina risultava forte nei mercati internazionali, le città erano anche sede di un’intensa attività culturale ed artistica che vide in primo piano gli imperatori stessi. L’opera culturale raggiunse il suo apice nell’XI secolo. Quando la civiltà bizantina aveva raggiunto il suo massimo splendore si stagliavano all’orizzonte i segnali di un rapido declino: con la fine della dinastia macedone esplosero vari scontri per il potere tra l’alta burocrazia e i proprietari fondiari, sul fronte esterno era salito il livello di minaccia che rappresentavano i turchi che dopo aver conquistato Baghdad si volsero all’occidente ed all’Egitto. Alla fine dell’XI secolo il pericolo maggiore venne però dai normanni dell’Italia meridionale che cacciarono i bizantini dall’Italia ed invasero l’Albania puntando alla conquista di Costantinopoli. L’imperatore Alessio Comneno chiese aiuto a venezia per sconfiggere i normanni concedendo ai veneziani di poter commerciare con tutte le città dell’impero senza dover pagare i dazi che gravavano invece sugli operatori locali. I veneziani divennero in breve tempo padroni dell’economia bizantina. L’impero nel corso del XII secolo si andava configurando come un’appendice di Venezia in quanto la pressione fiscale e la svalutazione della moneta si fecero sempre più gravi. Capitolo 11: incremento demografico e progressi dell'agricoltura nei secolo XI – XIII All’inizio dell’anno mille la popolazione europea era di nuovo in aumento, ovunque era in atto una messa a frutto maggiore delle terre agricole e le città riprendevano il loro ruolo di sedi per gli scambi commerciali, vi era inoltre un aumento della durata media della vita. L’unico paese che possiede un documento attestante l’aumento della popolazione risulta l’Inghilterra attraverso il domesday book. Un altro fenomeno di grandi dimensioni che coinvolse l’Europa fu l’ampliamento dello spazio coltivato. In questo periodo si ebbe il sorgere delle cosiddette villenuove, ovvero villaggi di nuova fondazione creati per valorizzare zone disabitate. Nel corso del XII secolo vennero fondati nuovi ordini monastici che desiderosi di riscoprire lo stile di vita monastico si stabilirono spesso in zone scarsamente popolate; intorno a loro però si stabilivano molto spesso contadini desiderosi di vivere secondo la saggia guida dei monaci creando così intorno ai monasteri dei veri e propri insediamenti. Una delle opere di bonifica più massive è da ricercare nei paesi bassi, i coloni con la costruzione di dighe e di canali di drenaggio riuscirono a bonificare quelle terre ed a renderle anche molto produttive dato l’aumento della popolazione in quella zona. In Spagna il ripopolamento fu strettamente legato alla riconquista dei territori da parte dei cristiani. In Europa centrale i vari signori spinti sia dalla crescita demografica sia dal desiderio di ampliare i propri domini iniziarono a far varcare i confini delle loro signorie dai coloni per espandersi nei territori che furono la culla dei popoli emigrati nei secoli precedenti. Le genti di queste terre vennero convertite, furono costruiti monasteri per sradicare ogni forma di paganesimo. L’origine della spinta coloniale è certamente da ricercare nell’incremento demografico nelle terre già coltivate, i signori delle terre degli emigranti infatti si trovavano costretti a patteggiare con le popolazioni locali le quali riuscirono spesso a strappare ai loro signori diversi diritti. Le modifiche che incalzavano nell’economia delle curtis modificarono le curtis stesse dove più dove meno, inoltre, a causa della maggiore libertà di cui godevano i contadini si andarono delineando delle differenze nette. La crescita demografica fu resa possibile grazie alle nuove tecniche agricole come l’uso dell’aratro pesante che rese possibile arare più in profondità i terreni bonificati. Contribuì alla rinascita agricola obiettivo, era quello di tutelare i propri membri e i loro interessi a tutti i livelli. Capitolo 13: lo sviluppo dei centri urbani e le origini della borghesia Le città furono a partire dall'XI secolo una componente fondamentale della storia europea, anche se conto. L'urbanizzazione in Europa non era avvenuta in maniera uniforme quindi nelle aree marginali dell'ex impero romano le città scomparvero del tutto e nelle aree interne persero di importanza o vennero abbandonate. La sopravvivenza di molti centri urbani dipese dalla presenza del vescovo, che faceva mantenere al centro cittadino una certa importanza. Nell'Italia meridionale la situazione era assai diversa; le città, pur risentendo della crisi demografica dei secoli precedenti erano inserite in un contesto commerciale più ampio ed erano quindi popolate dai ceti artigiani e produttivi. Diversa era invece la situazione nell'Italia centro-settentrionale dove le città come Venezia, Pisa e Genova erano proiettate verso il futuro al livello politico e sociale. Diventeranno queste le potenze marinare in Italia pronte anche a delle relazioni commerciali con l'oriente. In questo contesto ebbero un ruolo importante i vescovi i quali sempre più spesso assumevano poteri paragonabili a quelli dei funzionari pubblici specialmente a partire dal X secolo. La funzione temporale delle curie vescovili contribuì al ritorno della nobiltà nelle città, che a sua volta contribuì al ritorno di una componente produttiva e dei vassalli. Nel corso dei secoli X – XI le comunità cittadine si resero conto del loro potere esautorando del tutto il vescovo. Comunque anche in questa fase rimase evidente che il ceto dirigente era formato dalla classe mercantile. La rinascita urbana coinvolse anche la Francia meridionale e la Germania, in queste regioni più che altro si assistette alla fondazione di nuove città. I modi in cui questo avvenne furono fondamentalmente due: O un signore fondava un centro fortificato nei pressi di una zona di mercato o un gruppo di mercanti creava un proprio insediamento nei pressi di un castello o di un'abazia. Questi nuovi insediamenti presero il nome di borghi. Le città del nord della Germania all'inizio del trecento fondarono una lega mercantile denominata Lega Anseatica. Il reticolato urbano si presentava sempre più largo mano a mano che ci si spostava verso est. In Inghilterra la dominazione romana non aveva lasciato insediamenti di tipo urbano per cui si dovette aspettare il XIII secolo per assistere ad opere di urbanizzazione. Le città intorno al trecento erano rappresentate da vari casi in cui raggiungevano una popolazione di 100.000 abitanti, poi venivano le grandi città che si aggiravano intorno ad una popolazione di 50.000 unità; più numerose erano le città medie tra 15 e 30mila abitanti. Una crescita cosi massiccia delle città non è imputabile solo all'aumento della popolazione ma anche alla massiccia ondata migratoria proveniente dalle campagne. Tale ondata era provocata dalle nuove opportunità che le città offrivano. La popolazione urbana assunse un nuovo status giuridico in quanto non era soggetta ai vari signori feudali delle campagne, era anche diverso il tipo di lavoro che i cittadini svolgevano rispetto al lavoro di campagna. Si veniva delineando una società più ricca ed articolata nella quale le persone che si occupavano del lavoro della terra e della preghiera erano la maggior parte della popolazione ma nella quale coloro che erano impiegati nel credito e nel commercio venivano ad occupare un ruolo di crescente importanza. Prese così vita la società tripartita, che durerà fino alla rivoluzione francese. Era composta da oratores (ecclesiastici) bellatores (combattenti) laboratores (rustici). Le città manifestarono una tendenza autononistica tra il XI e il XII secolo, in alcuni casi fu totale mentre in altri l'autonomia fu solo amministrativa e non politica. Nella Francia del nord si assistette alla nascita dei comuni per iniziativa dei cittadini sotto la guida di personaggi eminenti. I cittadini prestavano giuramento di pace per mantenere la concordia nella città e per limitare gli arbitri dei signori, poi si avviavano trattative con i signori per avere la concessione di una carta di comune nel caso in cui le trattative non fossero andate a buon fine non si faceva di solito attendere molto una rivolta armata. Il signore in alcuni casi concedeva la carta di comune a patto che la città mantenesse dei funzionari a lui fedeli. Capitolo 14: il rinnovamento della chiesa e la riforma religiosa A seguito della crisi delle istituzioni politiche e religiose l'ordinamento ecclesiastico si era trovato privo del potere politico e non riusciva a fermare le ingerenze dei laici all'interno delle nomine pontefice e cardinalizie, non riusciva inoltre a sopperire al livello culturale dei monaci e chierici che continuavano a sottrarre i beni della chiesa per trasmetterli ai propri vassalli od alle proprie famiglie. Gli aspetti della crisi del X secolo erano collegati tra loro in quanto i metodi clientelari con i quali venivano reclutati davano origine alla corruzione e all'ignoranza. Era molto comune specie nell'Italia meridionale che i chierici vivessero in concubinato e che indirettamente trasmettessero ai loro figli illegittimi delle proprietà ecclesiastiche. Il fatto che agli uomini di chiesa venisse concessa un'importanza elevata comportava che le loro manchevolezze venissero percepite come più gravi; ma il fatto che la chiesa disponesse di un vario arsenale culturale diede il via ad un massiccio movimento riformatore. I primi segni di cambiamento si ebbero nei monasteri, nei quali era sempre stato attivo un movimento di riflessione teologico che portò già nel X secolo alla sperimentazione di nuove forme di vita monastica. L'esperienza più fruttuosa fu quella del monastero di Cluny in cui l'abate coordinava un certo numero di monasteri nella zona ed era soggetto direttamente all'autorità papale senza passare dal vescovo, garantendo quindi all'abate una certa autonomia; vennero aboliti i lavori manuali per lasciare più spazio ai monaci per la preghiera e le funzioni liturgiche. Un costume caratteristico della prima età cristiana tornò in voga nel X secolo e nel mille, l'eremetismo, questo fenomeno diede vita alla fondazione addirittura di ordini monastici basati sull'eremetismo, come i certosini. Alcuni di questi ordini poi si evolveranno negli ordini mendicanti. Un'altra componente della riforma fu il ripristino delle comunità canonicali, dimenticate dopo Ludovico Il Pio, nel X-XI secolo ci fu un cambio di tendenza, tra l'altro la promozione della vita comune del clero era prova dell'adesione del vescovo al movimento riformatore. Dall'XI secolo si poté parlare di un vero e proprio movimento canonicale. Le comunità canonicali o canoniche regolari non sono da confondere con le comunità monastiche in quanto i monaci non erano chierici. Prenderanno abitualmente i voti dal XII secolo. Il clero simoniaco e concubinario era sempre più criticato sia dai laici sia da alcuni predicatori itineranti che predicavano di rifiutare i sacramenti da loro amministrati. Questi contestatori furono detti paratini ed andarono incontro alla scomunica. I costumi corrotti vennero criticati anche dai movimenti popolari. Per riformare totalmente la chiesa era necessario che il movimento di riforma avesse un coordinatore, questo ruolo venne preso in un primo tempo dal potere politico, prima di passare nelle mani del papato. Imperatori come Enrico III cercarono di ridurre il potere dei vescovi corrotti per poi volgere l'attenzione nel 1046 alla chiesa di Roma che a causa del contrasto tra famiglie romane aveva in se ben tre papi, Enrico III li depose tutti e fece eleggere il suo candidato che prese il nome di Clemente II. Il nuovo papa dichiarò decaduti gli ecclesiastici colpevoli di simonia. Nello stesso tempo tra gli intellettuali riformatori si sviluppò il pensiero che per riformare completamente i costumi della chiesa era necessario interrompere le ingerenze dei laici negli affari della chiesa. Il nuovo papa Leone IX riunendo intorno a se i maggiori esponenti del mondo riformatore proclamò più volte una condanna per la simonia. Una battuta d'arresto alla sua attività riformatrice fu causata dallo scontro Urbano II acquisto quindi l'iniziativa isolando in maniera sempre più grave sia Clemente III che Enrico IV. Il successore di Urbano, Pasquale II seguì una politica rigorista cercando ad un certo punto, col consenso del nuovo imperatore Enrico V di far rinunciare la chiesa ai suoi beni terreni, nel 1111 venne raggiunto un accordo in tal senso ma nel giro di pochi giorni a causa delle forti opposizioni da ambo le parti un concilio sconfessò il papa che ormai in balia dell'imperatore fu costretto ad incoronarlo e a concedergli la facoltà di consacrare i vescovi. L'anno successivo un nuovo concilio annullò la concessione e nel 1116 scomunicò l'imperatore. Venne partorito perciò un concordato nato su una concezione che da tempo veniva discussa, ovvero che i vescovi fossero nominati dal papa ma che l'imperatore avesse dovuto investire i vescovi delle varie autorità politiche. Per cui venne stipulato nel 1122 tra l'imperatore Enrico V e il pontefice Callisto II il concordato di Worms. Il concordato venne ratificato l'anno successivo dal primo concilio ecumenico tenutosi in occidente, il concilio del Laterano, nel quale venne formalizzato il primato di Roma all'interno della cristianità. Venne anche ribadita l'esclusione dei laici da ogni ingerenza nei confronti del clero. Nel 1139 il concilio riservò capitoli specifici per l'elezione dei vescovi. Tutto questo portò ad un potenziamento dell'apparato burocratico dell'amministrazione vaticana, iniziarono a fluire rendite sia dai patrimoni fondiari che dalle tasse pagate dagli stati vassalli, oltre che le rendite ottenute tramite l'obolo di san Pietro, ovvero pagate da quei sovrani che avevano ottenuto la corona dal pontefice. La legazione divenne un'importante strumento di governo nello stato pontificio, i legati inizialmente inviati temporaneamente presso un sovrano per un motivo particolare in seguito sostituiti od affiancati con legati permanenti, il cui potere venne sempre più ampliato fino a che i legati divennero veri e propri rappresentanti del papa a tutti gli effetti. Ben presto la santa sede riuscì a diventare il punto di riferimento per tutta la politica europea che portarono via via il papato alla ierocrazia. Capitolo 15: rinascita culturale e nuove esperienze religiose La crisi della dinastia carolingia che comunque aveva contribuito ad una rinascita culturale attuata per elevare la cultura del clero, spostò il centro culturale dalla corte ai monasteri. La Germania tentò di continuare la tradizione ma nell'XI secolo i monasteri si erano aperti all'influenza francese. In Italia meridionale il collegamento col mondo greco e con quello bizantino-arabo portava una vivace attività culturale. In Italia settentrionale nello stesso periodo era in atto una rinascita del diritto romano attraverso lo studio del corpus iuris civilis di Giustiniano. La Francia fu l'unica nazione in cui la ripresa culturale riguardò tutti i settori. Il fenomeno di rinascita culturale venne accelerandosi nel XII secolo, fino all'XI secolo infatti solo i grandi monasteri avevano svolto un ruolo culturale di rilievo. A metà del XII secolo erano in piena fioritura i nuovi ordini religiosi che però contribuirono solo in parte al progresso culturale in quanto il loro obiettivo era l'ascesi spirituale. Un ruolo decisamente più importante spettò alle cattedrali che erano pienamente inserite nelle città allora in piena crescita. Le scuole nelle cattedrali erano gestite dai vescovi che conferivano ai maestri la licenza per insegnare ma non rilasciavano alcun titolo riconosciuto. Nel XII secolo si assistè alla nascita delle università che all'inizio si configurarono come una sorta di corporazione di studenti e professori. Le università produssero programmi di studio, decisero i compensi da riservare ai professori e le modalità per il sostegno degli esami ed il conseguimento della laurea. Le facoltà erano quattro: arti, diritto, medicina e teologia. La facoltà di teologia però non era presente ovunque in quanto i vari papi cercarono di riservare il monopolio all'ateneo di Parigi. La nascita delle università modificò radicalmente le condizioni di produzione dei libri, fino ad allora infatti erano visti come beni di lusso. Il problema venne risolto dalle università che attraverso una commissione approvava i testi che venivano forniti agli editori i quali si impegnavano a venderli a prezzi accessibili. La lingua della cultura era sempre stata il latino che però la popolazione media non era più in grado di comprendere. Tra i secoli XI e XII si asisstè alla diffusione di opere scritte in lingua volgare nata dall'evoluzione del latino con le varie parlate locali. Grande prestigio in questo periodo lo acquistarono i notai che a causa del loro mestiere erano costretti a produrre atti in entrambe le lingue. Altri protagonisti della vita cittadina erano i mercanti che avevano una mentalitàdecisamente razionale. Con l'apertura a tutti delle scuole inoltre vi fu l'aumento delle persone alfabetizzate e l'immissione sul mercato di una nuova tipologia di opere dal costo assai basso. Nel XII secolo si poté assistere ad una laicizzazione della cultura quando anche i laici erano diventati fruitori di ospedali e confraternite. Si trattava di un fenomeno di massa, in questo periodo infatti vi fu il proliferare di parecchie eresie. Per controllare questa stragrande formazione di ordini religiosi la chiesa tentò di imporre loro la completa sottomissione ai vescovi. Grande clamore ebbe l'ordine francescano che predicava uno stile di vita completamente nuovo molto differente rispetto a quello della chiesa dell'epoca. La chiesa comunque cercò di porre un freno agli ordini mendicanti in quanto i francescani si erano diffusi ovunque in modo capillare. Capitolo 16: rapporti feudali e processi di ricomposizione politico - territoriale L'impero e l'Italia dei comuni. Il ritrovato dinamismo e fioritura culturale portò ben presto ad una crescita demografica per la quale era necessario una grande opera di dissodamento. Per realizzarlo era necessario superare il problema del particolarismo politico e del continuo stato di guerra. Una prima risposta venne dato dalla fondazione del movimento della pace di dio per il quale i vescovi organizzarono grandi assemblee nelle quali predicavano la protezione delle categorie più sensibili puntando il dito contro i violatori della pace che di solito erano signori feudali proprietari di castelli. Ben presto oltre a proteggere dalla guerra determinate categorie di persone ed i beni della chiesa si arrivò a garantire una maggiore sicurezza proibendo qualsiasi attività bellica la domenica e durante le feste religiose. L'intervento della chiesa per disciplinare il ceto dei cavalieri ovvero la figura del combattente per l'ideale cristiano al servizio della chiesa, avvenne in un contesto di divisione sociale tra oratores, bellatores e laboratores che raccoglieva diverse forzature. Però effettivamente coloro che combattevano a cavallo si distinguevano nettamente da coloro che erano disarmati (inermes), infatti i cavalieri stavano prendendo coscienza della propria particolare condizione sociale e giuridica. Infatti i suoi membri godevano di vari privilegi: erano esenti dal pagamento delle tasse per le Nel 1154 Federico era già in Lombardia dove indisse un'assemblea alla quale si presentarono gli ambasciatori di Milano sperando di comprare con una grossa somma di denaro i loro diritti regi (la città li esercitava da tempo) e la signoria su Como e lodi. Federico rifiutò l'offerta mettendo la città al bando privandola di tutti i diritti. Non sentendosi in grado di imporre la propria volontà con la forza si limitò a distruggere tortona nel 1155 dirigendosi poi verso Roma. Qui prima di cingere la corona imperiale abbatté il regime comunale che contestava il potere temporale dei papi tornando in Germania nello stesso anno. Nel 1158 scese nuovamente in Italia alla testa di un grande esercito, quindi convocò una seconda assemblea alla quale invitò quattro famosi giuristi con il compito di indicare con precisione all'imperatore quali fossero i diritti regi. Stilarono una lista molto lunga che fu inserita nella costituzione sulle regalie, c'è da dire che gran parte dei diritti che erano riservati all'imperatore i comuni li esercitavano già da diverso tempo. L'imperatore si occupò anche dei distretti pubblici dove rivendicò la dipendenza dal potere regio e ne proibì la divisione, per quanto riguardava i beni allodiali nei quali era concesso l'esercizio delle signorie locali si stabilì che i proprietari potevano continuare a detenerli a patto di ottenere il bene placido dell'imperatore instaurando con lui un rapporto di tipo feudale. Federico inviò ovunque messi imperiali per risquotere omaggi dalle città e dai signori locali, questo movimento per la restaurazione del potere imperiale portò alla formazione di un vasto movimento di opposizione di cui facevano parte oltre che numerosi comuni anche il papa Alessandro III. La reazione imperiale fu durissima in quanto il papa fu costretto a fuggire in Francia e gli fu contrapposto l'antipapa Vittore IV. Milano fu assediata e rasa al suolo nel 1162. Nel 1164 si assisté alla formazione della Lega Veronese e poco dopo a quella Cremonese fino ad arrivare nel 1167 alla formazione della Lega Lombarda alla quale si collegò Alessandro III, la città di Alessandria fu chiamata così in suo onore. Federico Barbarossa concentrò i propri sforzi per conquistare Alessandria ma dovendo far fronte ai problemi interni sorti in Germania dovette abbandonare l'assedio però fu raggiunto nel 1176, durante il viaggio di ritorno a Legnano dagli eserciti della Lega che lo sconfissero. Conscio dei progressi militari assai scarsi decise di puntare ad una soluzione diplomatica giungendo ad un accordo con il papa secondo cui avrebbe abbandonato l'antipapa e restituito alla chiesa di Roma i territori e le regalie di cui si era impadronito, Alessandro III si impegnò a sua volta a fare da mediatore con i comuni italiani con i quali però si giunse solo ad una tregua di sei anni. Nel 1183 a Costanza fu possibile giungere ad un trattato di pace che in sostanza era un compromesso. Se da un lato si salvaguardava il principio secondo cui tutti i poteri pubblici derivavano dall'imperatore, dall'altro garantiva ai comuni le regalie di cui godevano da tempo e il diritto di costruire fortezze ed associarsi in leghe. I comuni si impegnarono a versare una tantum un'indennità più un tributo annuo, a corrispondere all'imperatore il fodro e a consentire il ricorso al tribunale imperiale contro le sentenze emanate da giudici cittadini. I consoli eletti dal popolo dovevano ricevere ogni cinque anni una formale investitura da parte dell'imperatore. Le concessioni fatte a Costanza che erano destinate solo ai comuni della Lega Lombarda furono ben presto acquisite da tutti i comuni, che vennero così inseriti nell'impero come organismi politico-amministrativi pienamente legittimi. I comuni ne approfittarono durante la lunga crisi dell'autorità imperiale a seguito della morte del Barbarossa e del figlio Enrico VI per consolidare le loro istituzioni ed avviare una sottomissione del contado (1197). Il vescovo fu estromesso da qualsiasi potere politico, le città furono dotate di edifici pubblici, di solito costruiti lontano dalla cattedrale, e di uno statuto. Per la sottomissione del contado si resero necessari diverso strumenti, i detentori di fortezze dovettero riconoscersi vassalli del comune e risiedere un periodo dell'anno in città mentre con i signori più potenti il comune stipulava patti di alleanza sotto forma di ingaggi militari del signore stesso. Un altro strumento fu la fondazione dei borghi franchi ovvero insediamenti fortificati i cui abitanti godevano di particolari facilitazioni fiscali ed aiuti di vario genere. La novità più significativa di questa nuova fase fu la sostituzione del governo consolare con un governo del podestà. La volontà della nobiltà di restare un gruppo chiuso iniziò a produrre successivamente un contrasto tra la nobiltà stessa ed il popolo. Per rendere superiore a queste due categorie il governo della città venne appunto designato il podestà. Molto presto tra le due categorie riesplose la violenza specie dalla parte della nobiltà che aveva iniziato a riunirsi in clan pronti a prendere le armi alla prima occasione, i clan a loro volta si univano in confederazioni dette "Societates Militum" che a volte formavano nei gruppi contrapposti di guelfi e ghibellini. I guelfi davano il loro sostegno al partito filopapale, mentre i ghibellini erano sostenitori di un più saldo legame col potere imperiale. Dalla parte del popolo la situazione non era meno complicata visto che era tenuto insieme unicamente dalla necessità della lotta contro la nobiltà e bastava che la tensione calasse perché esplodessero subito lotte intestine in quanto il ceto era molto eterogeneo. Comunque tutte queste categorie diedero vita ad un'associazione chiamata Societas Populi. La situazione era quindi una divisione della giurisdizione e la formazione di diversi centri di potere. Il complicarsi della vita politica portò poi al fenomeno del fuoriuscitismo ovvero l'espulsione dalla città della parte perdente che non di rado formava un comune legandosi a comuni rivali della città d'origine con la cui collaborazione a volte riuscivano a tornare al potere. Nei comuni dove prese il sopravvento il popolo si formò una sorta di sistema bicamerale in quanto il popolo non sciolse la societas populi. Il potere militare del podestà venne affidato alla figura del capitano del popolo. I governi popolari però non tutelando le classi inferiori, le spinsero all'alleanza con la nobiltà. Ebbero inoltre atteggiamenti punitivi verso la vecchia classe dirigente del cui apporto avevano quasi sempre bisogno. Espressione della politica antinobiliare del fine duecento furono le leggi antimagnatizie nelle quali si vietava ai grandi esponenti dell'antica aristocrazia di accedere alle cariche più importanti. Nonostante tutto i governi popolari furono quelli che consentirono la maggiore partecipazione e democrazia nella vita politica del medioevo. L'affrancamento dei servi della gleba che in passato veniva visto come un grande segno di evoluzione sociale fu solo un'abile manovra fiscale in quanto i servi essendo considerati proprietà dei loro signori non pagavano alcuna imposta. A questo c'è da aggiungere la crescente pressione fiscale che il comune attuava nei confronti del contado affiancata dallo sfruttamento della classe borghese. Capitolo 17: la diffusione dei rapporti feudali. L'Inghilterra, il mediterraneo e le crociate I rapporti feudo-vassallatici ebbero la loro massima diffusione nei secoli XI-XII grazie ai cavalieri normanni che avevano esportato il sistema feudale in luoghi dove non era stato applicato precedentemente. I normanni poterono mantenere il territorio in maniera più salda rispetto ai franchi in quanto al sistema feudale avevano aggiunto la tradizione militare vichinga e la loro fedeltà. L'espansione territoriale normanna comunque non si concentrò sull'Inghilterra invece che sulla desiderosi di ritagliarsi un dominio personale si fermavano lasciando agli altri il compito di proseguire. Essi erano territorialmente vassalli del regno di Gerusalemme, che venne affidato, a Goffredo di Buglione che in segno di umiltà assunse il titolo di Avvocato del Santo Sepolcro. A lui successe l'anno seguente il fratello Baldovino che assunse il titolo di Re. Egli cercò di consolidare il suo regno con la conquista della costa e la stretta dei legami con quei cavalieri che avevano rinunciato a fare ritorno a casa a cui il sovrano aveva affidato de feudi. A questi si aggiungevano quelli che in via temporanea giungevano in terra santa ed erano invogliati a rimanervi con la promessa di feudi. Il sistema feudale non valse però a interrompere le faide interne alla nuova classe dominante. In tali condizioni si rivelò prezioso l'aiuto degli ordini monastico-militari i cui membri oltre ai tradizionali voti di castità, povertà ed obbedienza si impegnavano a combattere gli infedeli ed a difendere i pellegrini e gli oppressi. Inoltre le città marinare insediarono delle vere e proprie colonie costiere facendo proliferare il commercio con il regno di Gerusalemme. La situazione cambiò agli inizi del XII secolo grazie all'emiro di Mosul e Aleppo il quale esercitò una forte pressione sui crociati che si dimostravano particolarmente impreparati, nel 1144 infatti cadde Edessa, dopo questo evento Bernardo di chiaravalle organizzò una nuova crociata mobilitando i più potenti sovrani dell'occidente: l'imperatore tedesco Corrado III, il re di Francia Luigi VII ed il re di Sicilia Ruggero II. Questi sovrani però perseguivano obiettivi diversi causando il completo fallimento dell'iniziativa. La riscossa completa la ebbero i mussulmani con Salah-al-din il quale rendendosi completamente indipendente da Baghdad creò un proprio sultanato. Nel 1187 sconfisse i franchi ad Hattin e tre mesi dopo conquistò Gerusalemme provocando una mobilitazione grandissima in occidente. Questa volta scesero in campo Federico Barbarossa, Riccardo cuor di leone e Filippo Augusto di Francia. Questi erano i protagonisti della scena politica europea. I risultati furono nuovamente assai scarsi, Federico Barbarossa perse addirittura la vita durante l'attraversamento di un fiume nel 1190. La terza crociata si concluse nel 1192 con risultati assai scarsi conquistati solo da Riccardo cuor di leone. Già da un anno era sul trono imperiale Enrico VI che era sposato con Costanza d'Altavilla, ultima erede del re di Sicilia morto nel 1189. Il figlio illegittimo di Ruggero II gli contestò il possesso del regno normanno ma ciò non impedì all'imperatore di impadronirsene. Intravedendo i suoi progetti di espansione alcuni stati mussulmani insieme ai regni di cipro e Gerusalemme gli omaggiarono tributi, ma i suoi ambiziosi progetti cessarono con la sua morte avvenuta nel 1197. Visto che la morte dell'imperatore impediva ai cristiani in terra santa di riconquistare una posizione di preminenza il pontefice Innocenzo III si fece promotore di una grande crociata che si diede il duplice obiettivo di riconquistare Gerusalemme e di riportare la chiesa orientale sotto la chiesa di Roma. Inoltre la posizione di Venezia all'interno del regno bizantino si stava facendo più invadente fino a volersi trasformare addirittura in una egemonia di tipo politico oltre che di tipo commerciale. L'occasione venne quando i crociati radunatosi nel 1202 a Venezia ottennero dal doge il trasporto gratuito in terra santa a patto che le truppe crociate si fermassero a Zara per aiutare i veneziani a riprenderne il controllo. Conquistata zara i capi crociati furono convinti dal doge a puntare direttamente alla conquista di Costantinopoli tanto più che il pretendente al trono, Alessio aveva promesso lauti compensi, partecipazione alla crociata e l'unificazione delle due chiese. I crociati presero Costantinopoli nel 1203 mettendo Alessio sul trono che tuttavia non fu in grado di placare l'ostilità della popolazione e l'avversità nei confronti della chiesa di Roma. I crociati quindi assunsero direttamente il controllo saccheggiando Costantinopoli nel 1204, fondando l'impero latino d'oriente spartendosi vari feudi. L'impero latino d'oriente si dimostrò subito una costruzione politica assai debole in quanto i sentimenti antioccidentali e antiromani finirono col diventare sempre più forti e finirono col far naufragare le speranze di Innocenzo III di riunificare la chiesa. Inoltre i genovesi erano desiderosi di ripristinare la situazione come era precedentemente alla quarta crociata e l'occasione avvenne nel 1264 quando Genova strinse un patto con Michele Paleologo che nello stesso anno salì al trono dando il via alla dinastia dei paleologi. Le frontiere però erano sempre pressate dai nemici come turchi e serbi. Innocenzo III non si era rassegnato all'idea di unificare la chiesa e quindi poco prima di morire bandì la quinta crociata. La quinta crociata partì nel 1217 guidata dal re d'Ungheria, si concluse nel 1221 dopo una serie di inutili operazioni belliche sul delta del Nilo. L'ultimo sovrano ad essere un fautore delle crociate fu Luigi IX di Francia che guidò la sesta e la settima crociata. La prima iniziò nel 1248 e finì nel 1254 con la cattura del re e dell'esercito, la seconda finì nel 1270 ancora prima di partire a causa della peste che uccise lo stesso sovrano. Con la morte di Luigi IX muore anche l'idea di crociata in quanto la crociata condotta da Federico II pur avendo riportato Gerusalemme in mano cristiana l'aveva privata delle proprie difese per un accordo col sultano locale. Capitolo 18: la ripresa della lotta tra papato ed impero e le monarchie dell'Europa occidentale La seconda metà del XII secolo vide una decisa evoluzione del papato in senso monarchico. Il ruolo politico del papato era stato esaltato anche dalle varie dispute tra comuni e impero nelle quali, in più di una occasione il papato ebbe funzioni di mediatore. Il pontefice Innocenzo III si dichiarò vicario di Cristo e definì la monarchia come la luna che brilla di luce riflessa dal sole, in questo caso il sole era rappresentato dal papato. Il primo intervento riguardò il regno di Sicilia che la chiesa considerava un suo feudo già da molto tempo. Il papato ebbe anche sotto la sua tutela Federico II a cui conferì la corona regia nel 1208, nello stesso tempo approfittava del trono imperiale vacante per rafforzare le proprie posizioni. La chiesa fu anche arbitra della lotta per la successione al trono imperiale. La scelta infine cadde su Ottone di Brunswick che riconobbe i diritti della chiesa e venne incoronato imperatore nel 1209. Dato che Ottone si dimostrò meno docile del previsto e che puntò ad impadronirsi del regno di Sicilia, Innocenzo III lo scomunicò bollandolo come traditore ed il re di Francia Filippo Augusto promosse una coalizione contro di lui. Gli altri stati europei prestarono a Innocenzo III l'omaggio feudale. Tra la quarta e la quinta crociata il pontefice ne aveva indetta una molto particolare in quanto riguardava i "Cattivi Cristiani". L'attenzione del papa si concentrò particolarmente sui catari eretici presenti nel sud della Francia che destavano la preoccupazione della chiesa. Erano anche presenti nella città di Albi che faceva parte della contea di Tolosa, che godeva di grande autonomia al punto che la monarchia francese aveva autorità solo nominale. Il fatto che i catari trovassero protezione alla corte di Tolosa, spinse Innocenzo III a mettere in moto un grande meccanismo politico, fornendo ai re francesi la possibilità di recuperare i propri domini. Nel 1208 a causa dell'assassinio di una legato papale venne bandita una crociata contro i catari e contro Raimondo di Tolosa, considerato loro protettore. La crociata ebbe subito ritorno dovette quindi fronteggiare l'esercito crociato più una rivolta di baroni pugliesi fino al raggiungimento di un compromesso nel 1230 a Ceprano, dove venne stipulata la pace. L'imperatore rinunciò ai diritti sull'elezione dei vescovi e riconobbe al clero meridionale l'immunità e l'esenzione dal pagamento delle imposte. Dopo aver ingoiato questo boccone amaro l'imperatore poté concentrarsi sul consolidamento del proprio regno e nel 1231 emanò le costituzioni di Melfi nelle quali diede al regno un ordinamento giuridico simile a quello romano ed a quello normanno. Dotò il regno di una grande rete difensiva composta anche di fortezze che si preoccupò di mantenere sempre in perfetta efficienza. La sua politica in Germania fu un po diversa in quanto li si preoccupava più che altro a conquistarsi i favori dei principi. Emanò comunque nel 1235 la costituzione di pace imperiale. L'ultimo soggiorno di Federico in Germania fu in occasione della ribellione del figlio la cui eredità venne trasferita al fratello Corrado. Nel 1237 ritenne di essere militarmente in grado di affrontare la lega lombarda. Nel 1238 sconfisse l'esercito della lega ma impose condizione di pace eccessivamente dure che sortirono l'effetto contrario, incoraggiando le città alla resistenza. Il papa Gregorio IX ostile alla politica di Federico si sarebbe alla lunga, certamente unito alle città della lega. Il pontefice infatti si adoperò per riunire i potenziali nemici di Federico in una coalizione. Intanto l'imperatore era stato colpito da una nuova scomunica. Gli ultimi anni di vita di Federico furono terribili, fu dichiarato decaduto dal soglio imperiale e contro di lui si scagliarono gli eserciti di tutta Europa che per un po Federico fu in grado di contenere. Federico mori nel 1250 facendo scomparire con lui una delle personalità più forti del medioevo. La dinastia sveva si susseguì al dominio del regno e dell'impero per un altro decennio ma il papa, ostinato ad eliminare gli svevi dalla scena politica scagliò contro di loro Carlo D'Angiò che nel 1266 sconfisse Manfredi. A differenza del declino che la morte di Federico aveva portato in Germania, nel regno di Sicilia la sua morte ed il cambio di dinastia portò una nuova opera di consolidamento dello stato. Si deve ora parlare della Reconquista spagnola, che non fu come si credeva un'indomita marcia verso sud. Il primo focolaio di resistenza ai mussulmani viene individuato nelle Asturie agli inizi del VIII secolo. Si trattava di regioni montagnose in cui i califfi compivano soltanto incursioni militari. Un maggiore attivismo degli stati cristiani è documentato fra il IX ed il X secolo anche se solo raramente si ebbero vere e proprie campagne militari in quanto il più delle volte si trattava di incursioni a scopo di razzia o per proteggere gli uomini impegnati nel ripopolamento dei territori. Per questo vennero costruiti castelli e altre opere di fortificazione. Fra il X e l'XI secolo il movimento assunse maggior vigore a seguito della crisi del califfato di Cordova. Nel 1031 la reconquista assunse il duplice scopo di conquista militare e di colonizzazione, assumendo poi nel corso dell'XI secolo il carattere quasi di una crociata. I regnanti cristiani non mancavano di fare appello alla crociata quando si trovavano in difficoltà ma dimostravano di non volere sterminare od obbligare al trasferimento la popolazione mussulmana, in quanto era interessati sopratutto ad una sottomissione politica ed all'ottenimento di tributi annuali. Nelle regioni dove erano più numerosi infatti, conservavano le loro leggi ed il diritto di professare liberamente la propria religiose anche se per ovvi motivi di sicurezza nelle grandi città furono imposte restrizioni alla loro permanenza. Questo clima di tolleranza deluse profondamente i cavalieri venuti dall'estero. Agli inizi del XI secolo la situazione politica in Spagna era più o meno suddivisa cosi: Regno di Leon, Contea del Portogallo, Regno di Navarra, Regno di Castiglia e Regno di Aragona. Il movimento espansivo riprese verso la fine del XII secolo e nel 1212 l'avanzata cristiana risultava incontenibile. Verso la metà del XIII secolo la reconquista poteva dirsi completa in quanto ai mussulmani era rimasti solo i territori di Granada. Lungo il confine le incursioni che avevano caratterizzato la parte iniziale della reconquista non cessarono mai. Fu operato un processo di colonizzazione dei territori conquistati ad opera principalmente della grande nobiltà, che dopo l'incessante guerra contro i mori si poneva l'obiettivo di consolidare i propri territori. Capitolo 19: le origini della Russia e dell'Impero Mongolo Tra l'VIII ed il IX secolo i pirati-mercanti provenienti dalla scandinavia detti variaghi o vichinghi, si mossero lungo le due principali vie commerciali. Le popolazioni slave chiamarono Rus questi stranieri. Verso la metà del IX secoo i Rus iniziarono ad imporsi sulla popolazione locale, fondando il principato di Kiev ed aggregando a loro tribù di slavi dell'est. Il principato strinse fiorenti accordi commerciali con l'impero bizantino, questi prolifici rapporti uniti al lavoro dei missionari bizantini portarono il principe Vladimir I di Kiev alla conversione al cristianesimo che approfittò di questo avvenimento per unire intorno a se le tribù sotto un dio comune. Il successo di questo conversione fu grandissimo per i missionari bizantini. Dalla metà dell'XI secolo il principato di Kiev entrò in una fase di decadenza a causa del declino delle vie di comunicazione che causarono una diminuzione significativa del commercio, questo fu in parte dovuto anche ai continui attacchi protratti dalle tribù stanziate tra il mar nero ed il mar Caspio. Un altro fattore di debolezza era rappresentato dalle lotte dinastiche. L'invasione dei mongoli era destinata a travolgere vecchie e nuove formazioni politiche. I mongoli in origine non erano altro che un gruppo di tribù nomadi che grazie all'abilità politica di Gengis Khan secondo la tradizione, si sarebbero fuse fino a formare una nazione stretta in un unico sovrano e soggetta ad una sola legge. Questo ricorda l'opera di maometto con gli arabi, ma la velocità con cui i mongoli riuscirono ad aggregarsi fu sorprendente. Gengis Khan si comportò in maniera molto duttile nei confronti delle popolazioni assoggettate, quelle che si sottomisero spontaneamente non subirono danni ma trassero profondi vantaggi economici. Quelle che opposero resistenza vennero distrutte o decimate. Dopo che fu passata la furia distruttiva dell'orda si iniziarono a notare i primi sintomi del superamento dello stile di vita nomade, imponendo ai territori conquistati una prima forma di rudimentale amministrazione. Venne persino fondata una capitale nei pressi dell'attuale Ulan Bator. Nello stesso anno si consolidò il ruolo politico e militare delle figure che erano vicine a Gengis Khan, per quanto la società si fosse via via gerarchizzata restò sempre molto presente una sorta di carattere egualitario. La morte di Gengis Khan non fece placare lo slancio espansivo dei mongoli che completarono la conquista della cina, della corea e della Persia arrivando fino a Cracovia e Breslavia. L'avanzata in Europa cessò nel 1242 ma continuò verso sud - ovest anche se nel 1260 si ritirarono sconfitti dai turchi. L'espansionismo si arrestò a causa delle rivalità sempre più accese tra i discendenti di Gengis Khan che fomentarono anche tendenze separatiste. Si formarono così quattro imperi: l'impero degli ilkhan, il khanato di chagatay, l'impero del gran khan e l'orda d'oro. Il maggiore degli imperi era quello del gran khan che raggiunse il suo massimo splendore sotto Kublai che tentò anche di assoggettare il Giappone. Grazie ai costumi ed agli stili di vita cinesi che erano molto più raffinati di quelli mongoli, i costumi mongoli iniziarono a migliorare. Il papa Innocenzo IV inviò dei missionari al Gran Khan dopo aver sentito di una sua possibile conversione al cristianesimo, queste missioni non diedero però alcun frutto poiché i mongoli stavano avvicinandosi sempre di più ai cinesi. Oltre ai missionari, i mercanti si misero nuovamente ad attraversare la via della seta. Marco Polo restò ben 17 anni alla corte del Gran Khan guadagnandosi la sua fiducia e la sua amicizia. L'ultimo impero nato dalla divisione delle conquiste di Gengis Khan fu l'orda d'oro, i cui abitanti e governanti si convertirono all'islam intrattenendo stretti rapporti con l'Egitto e l'Asia minore. Questa particolarità religiosa portò ad un piccolo livello di tensione tra l'orda d'oro e le popolazioni cristiane che restarono vassalli dei mongoli ma che nel loro territorio godevano di piena autonomia religiosa. Il protettorato mongolo non influì nemmeno sulla politica interna dei principi russi che continuarono le loro lotte interne per l'egemonia. Nel 1380 la popolazione russa si schierò contro i tartari ma il loro successo fu vanificato quando i tartari furono in grado di riprendere l'offensiva, riuscendo nel 1382 a saccheggiare mosca. Occorre nominare altre due formazioni politiche presenti nel territorio russo: il grande regno polacco Lituano ed il principato di Novogorod. Capitolo 20: l'Europa tra crisi e trasformazione iniziando a riconoscere i pieni poteri ai re all'interno dei rispettivi regni. Questa corrente incontrava però grandi ostacoli quali l'opposizione del papato, che vedeva messo in discussione il suo ruolo di regolatore supremo della vita politica della cristianità occidentale e dall'inasprirsi dei conflitti che facevano sentire la necessità di un'autorità superiore. Il problema del ruolo di impero e papato si venne chiarendo agli inizi del trecento grazie ad un rapido susseguirsi di eventi. Il primo ebbe come protagonista Filippo il bello, re di Francia ed il papa Bonifacio VIII. Il papa aspramente contestato per la sua reticenza in ambito riformatore, dal 1300 in poi portò a compimento una serie di iniziative per ripristinare il vuoto centrale del papato. In quell'anno indisse il giubileo. I rapporti tra il pontefice e il re di Francia furono all'inizio molto tesi in quanto Filippo aveva imposto delle tasse al clero senza l'autorizzazione della santa sede. Il tutto venne risolto con un compromesso, autorizzando Filippo a imporre tasse al clero in caso di grave necessità; l'invio di Carlo di Valois a Firenze in veste di paciere doveva servire come coronamento dell'accordo ma a seguito dell'imprigionamento del vescovo di Saisset da parte di Filippo, il conflitto riesplose. Il pontefice revocò la concessione fatta al sovrano, e di fronte alla sua caparbietà emanò nel 1302 la bolla "unam sanctam" con la quale riaffermava la sottomissione al pontefice di ogni creatura umana e di conseguenza di ogni autorità politica. Filippo il bello da parte sua non aveva nessuno intenzione di sottomettersi all'autorità pontificia e per questo fece tradurre il pontefice davanti ad un tribunale francese per giudicarlo. Il papa venne raggiunto da un manipolo di francesi nel suo palazzo di Anagni ma la popolazione insorse e con l'aiuto dei rinforzi giunti da Roma il papa venne liberato (1303). Nessuna conseguenza ci fu per Filippo ma anzi con la morte di Bonifacio e il trasferimento della sede papale ad Avignone da parte di Clemente V si trovò a poter esercitare un'influenza diretta sul papato. Il Germania dopo la morte di Federico II il particolarismo si era accentuato. Enrico VII divenuto re di Germania cercò di far coincidere di nuovo con questo titolo quello imperiale ma fallì e dovette ritirarsi a vita privata. Il suo successore Ludovico il bavaro non curandosi della scomunica infertagli da Giovanni XXII scese a Roma e si fece incoronare Imperatore nel 1328 da Sciarra Colonna, rappresentante del popolo romano. I principi tedeschi nel 1338 stabilirono che il titolo di imperatore andava attribuito al re di Germania incoronato ad Aquisgrana. Il nuovo imperatore Carlo IV con la bolla d'oro del 1356 diede sanzione definitiva della volontà dei principi tedeschi, decidendo inoltre su chi fossero gli elettori del re. Con questo atto rinunciava alle pretese di potere universale andandosi a configurare come uno stato decisamente germanico. In Inghilterra era in cantiere il consolidamento del potere monarchico e una riorganizzazione dello stato. Dopo la concessione della magna charta da parte di Giovanni senzaterra, Enrico III cercò via via di privare il popolo delle concessioni. Il risultato fu una rivolta che portò a concessioni maggiori e ad un rafforzamento delle istituzioni sancite dalla magna charta. Si formò quindi il parlamento articolato nelle camere di Lord e Comuni. La contemporanea opera di consolidamento statale in corso sia in Francia che Inghilterra si scontrava con la paradossale condizione della monarchia inglese rispetto a quella francese. Il re francese del resto era impossibilitato ad esercitare i propri diritti di signore su un vassallo tanto potente (il re inglese risultava vassallo del re francese). Nacque un conflitto tra i due regni destinato a protrarsi dal 1294 al 1475. Agli eventi svoltisi dal 1337 al 1453 si suole dare il nome di Guerra dei cent'anni. Il conflitto iniziò per la discussa successione al trono di Francia alla morte di Carlo IV. Edoardo III pretendente al trono sbarcò in fiandra dove era in corso una rivolta nel 1337 e si proclamò re di Francia. La prima fase della guerra vide una netta prevalenza degli inglesi con cui i francesi giunsero alla pace nel 1360. Edoardo rinunciava ai suoi diritti sulla corona francese in cambio della cessione di un terzo dei territori francesi. Le ostilità ripresero nel 1369 vedendo questa volta la vittoria delle truppe francesi. Gli inglesi furono cosi costretti ad abbandonare la maggior parte dei territori acquisiti. Dal 1380 sia la dinastia francese sia quella inglese vennero scosse da violente tensioni e lotte dinastiche che portarono all'alleanza tra Enrico V e il duca di Borgogna contro il re di Francia. Il sovrano inglese sbarcò in Normandia e vinse nel 1415 le truppe nemiche puntando direttamente su Parigi. Carlo VI caduto in mano ai nemici fu costretto ad accettare il trattato di Troyes nel quale diseredava il figlio trasferendo il diritto di successione ad Enrico V al quale dava in moglie la figlia. Un fatto inatteso segnò la riscossa francese, Giovanna D'Arco si fece affidare da Carlo VII un esercito col quale iniziò una marcia di liberazione della Francia. Giovanna venne però catturata, processata per eresia e condannata al rogo nel 1431. Scomparsa Giovanna non si arrestò la riscossa francese anche grazie alla defezione del nuovo conte di Borgogna. Nel 1453 le operazioni sostanzialmente cessarono, gli inglesi rimanevano padroni solo della piazzaforte di Caleis. Durante il lungo conflitto che vide opposte Francia ed Inghilterra vennero affinate nuove tecniche militari, come l'utilizzo dell'arco lungo e la possibilità di usare i cavalieri come fanteria pesante. Venne ridimensionata insieme con la cavalleria il ruolo della feudalità e venne smentita la credenza sull'inettitudine militare delle masse contadine. Entrambe le monarchie inoltre desinarono sempre una maggiore quantità di denaro all'ingaggio di fanti, spesso stranieri. In questo frangente la fanteria svizzera svolse un ruolo rivoluzionario dato che per sopperire all'inferiorità rispetto alla cavalleria avevano sviluppato una sorta di falange che permetteva di muovere come strumento offensivo anche senza la cavalleria. L'avvento del cannone portò poi ad un indebolimento dei ceti baronali che non erano più in grado di ribellarsi. Le fortificazioni però non persero di valore che vennero restaurate in funzione delle nuove tecniche militari. Come conseguenza di tutto questo la nobiltà dovette rassegnarsi a militare nell'esercito regio visto che solo i sovrani ormai potevano permettersi il mantenimento di un esercito stabile. In Francia grazie al sentimento nazionale che si era formato nel corso della guerra Carlo VII potè intraprendere riforme amministrative e finanziarie per consolidare l'attività regia. Il figlio Luigi XI intraprese una politica antifeudale che portò sotto la diretta amministrazione regia moltissimi terreni. La situazione in Inghilterra era molto diversa, l'aristocrazia era diventata arbitra del potere perciò esplose una guerra civile (guerra delle due rose 1455-1485) che portò sul trono possibile grazie anche al deciso appoggio papale ed anche del sostegno degli uomini d'affari toscani che in cambio ottennero facilitazioni doganali oltre a feudi e cariche. Comunque l'avvento della dinastia angioina coincise con una grande accelerazione dell'economia meridionale e dell'emergere di napoli come piazza economica di prim'ordine. A questo si aggiunse una ritrovata nascita culturale, seguita da un'innovazione edilistica ed urbanistica. L'epoca d'oro di Napoli coincise con il regno di Roberto il saggio. La conquista del meridione da parte degli Angiò portò ad una stabilizzazione della situazione politica in tutta la penisola poiché portò allo sviluppo delle autonomie comunali che al nord si erano già sviluppate nei secoli precedenti. All'interno di questo comuni furono frequenti le lotte di classe, motivo dei conflitti furono principalmente le ripartizioni del carico fiscale sulla base della valutazione del patrimonio. Spesso i nobili per rivendicare una superiorità sul popolo si rifiutavano di pagare le imposte che tra l'altro crescevano via via che il bisogno finanziario del comune cresceva. Un altro argomento di discussione era la ripartizione delle cariche elettive che i nobili cercavano sempre di monopolizzare. Nonostante le discordanze il ruolo dei comuni nello stato angioino crebbe sempre di più. Con l'avvento al trono di Giovanna I nel 1343 si aprì per la casa d'Angiò un periodo di crisi in quanto il re d'Ungheria avanzando pretese sul trono del regno di Sicilia invase il regno nel 1348 puntando su Napoli. Gli ungheresi si ritirarono nel 1352 consentendo alla regina di avviare una grande opera di restaurazione. La crisi dinastica tuttavia era ben lontana da una soluzione, Giovanna I non aveva eredi diretti e questo portò il nipote Carlo III ad invadere Napoli, Carlo III era esaltato come padrone d'Italia ma morì assassinato nel 1386 dopo aver tentato di cingere la corona d'Ungheria. Il figlio Ladislao si concentrò sui domini italiani allora sconvolti dalla guerra civile. A lui successe Giovanna II che adottò come figlio e successore il re d'aragona Alfonso V. La Sicilia non tornò in mano agli angioini ma rimise sotto un ramo collaterale della dinastia aragonese che si trovò in una posizione di debolezza nei confronti della nobiltà siciliana visto il costante impegno militare in cui erano impiegati. La monarchia risultava essere in completa balia del baronaggio. Con l'avvento di Pietro IV il regno venne riunificato dopo uno scontro con dei baroni ribelli e fu dotato di un parlamento, venne cosi instaurato un collegamento tra monarchia e poteri locali. La Sicilia ormai ridotta ad un viceregno nonostante la sua economia fosse in rapida ripresa rimase definitivamente legata agli aragonesi che restarono sul trono. La Sicilia pervenne al Alfonso il magnanimo e tramite il pagamento di una ingente somma di denaro fu conquistato il regno di Napoli. Per il regno di Napoli si combatté nuovamente dal 1435 quando Giovanna ed il figlio adottivo Luigi morirono. Alfonso fu sconfitto e fatto prigioniero dal conte di Milano Filippo Maria Visconti con in quale però strinse un'alleanza grazie alla quale riprese la conquista del regno, finché nel 1442 conquistò Napoli. La ricostituzione del regno di sicilia contribuì al nuovo disegno di politica economica di Alfonso che avviò tra l'altro un'opera di rinnovamento e razionalizzazione delle strutture politiche potendo avere di rimando un rapido controllo delle sue risorse. Capitolo 23: chiusure oligarchiche e consolidamento delle istituzioni in Italia centro- settentrionale Le istituzioni comunali si caratterizzarono per la loro perenne instabilità. La causa era la dinamica sociale nuova che portava anche all'ascesa di famiglie nuove ed al tentativo da parte di categorie sociali, fino ad allora ai margini della società, di allargare i propri spazi "democratici". I comuni dal canto loro si mostrarono incapaci di dotarsi di saldi ordinamenti sociali. Le instabilità appaiono in via di superamento nel corso del '300 quando le istituzioni comunali presero una piega in senso signorile. Il passaggio da signoria a comune non avvenne bruscamente, i primi esempi di signorie si possono trovare in Italia settentrionale, il primo a Ferrara, per poi espandersi fino alla signoria dei Medici a Firenze. Le vie verso il governo signorile si erano aperte anche dove il popolo aveva raggiunto il potere. Rimaneva però sempre pilotato dall'aristocrazia e dal popolo grasso. In Italia la formazione delle signorie coincise con una serie di tentativi espansionistici che contribuirono a semplificare il quadro politico italiano attraverso la formazione di organismi politici più vasti. L'espansionismo del resto era parte integrante della politica signorile poiché i signori giungevano al potere attraverso una rete di contatti anche esterna al comune. In Italia centro- settentrionale intorno al tre-quattrocento si formò la tendenza ad operare formazioni politiche di carattere regionale, significativo fu il caso di Firenze che nel 1421 controllava quasi tutto il territorio dell'attuale toscana e buona parte del litorale. In questo clima di crescente espansione territoriale anche lo stato della chiesa mirava a costituirsi dei saldi domini. Il punto di partenza fu l'antico patrimonium petri ovvero i territori di bisanzio che i re franchi avevano donato ai pontefici nel corso del VIII secolo. Questi domini però non avevano mai costituito una coerente dominazione politico- territoriale a causa del proliferare di diversi centri di potere e dei diritti che gli imperatori rivendicavano sulle loro terre. La situazione si andò risolvendo quando all'inizio del duecento con la crisi imperiale gli imperatori abbandonarono ogni pretesa sulle terre papali. Si cercò di trasformare il dominio papale in governo effettivo dividendo il territorio in sette provincie ognuna amministrata da un rettore che deteneva diversa autonomia. Con il trasferimento del papato ad Avignone però le cose per Roma peggiorarono in quanto fu in balia della signoria locale. Dopo la breve esperienza a Roma di Cola di Rienzo, il potere pontificio venne ripristinato in maniera magistrale dal legato pontificio Egidio di Albornoz che emanò tra l'altro le cosidette costituzioni egidiane che diedero allo stato pontificio una configurazione destinata a durare fino al 1816. I modelli di organizzazione politica erano sostanzialmente tre: Quello dei visconti, quello fiorentino e quello veneziano. I visconti avevano inglobato nel loro dominio un numero elevato di comuni ma omogeneizzare il tutto fu ritenuto impossibile per cui i comuni vennero lasciati in vita come amministrazioni territoriali dello stato. stata spostata da Roma ad Avignone. La nuova sede papale subì la pesante influenza della corte francese, tutti i papi del periodo avignonese furono di origine francese, come la maggior parte dei cardinali nominati. La tranquillità di Avignone contribuì allo sviluppo dell'organizzazione della curia, il nascere del nuovo apparato burocratico-amministrativo consentì ai pontefici di accentrare in loro il controllo della chiesa , anche la nomina di vescovi e abati maggiori dei monasteri divenne esclusiva competenza papale. Questo nuovo sistema si era reso necessario per sottrarre la chiesa dalle ingerenze delle comunità locali. D'altro canto anche i vescovi restarono scontenti poiché si vedevano privati dei loro benefici derivanti dalla loro condizione. Dato che il papato si occupava anche di materie in ambito giurisdizionale, i tribunali curiali iniziarono a produrre documenti di ogni genere. Vennero regolamentati diversi uffici come la cancelleria o la camera apostolica che si occupava della gestione delle finanze. Tutto questo si pose quindi come coronamento di secoli di sviluppo della monarchia papale che comunque nel periodo avignonese subì una forte accelerazione. Dato che la chiesa aveva quasi abbandonato il suo ruolo di guida spirituale per acquistarne uno prettamente temporale, iniziò ad attirarsi l'inimicizia di molti illustri personaggi del tempo. La reazione papale fu dura, anche i disobbedienti, non strettamente correlati alla dottrina furono dichiarati eretici, come nel caso dei ghibellini italiani. Già nel concilio di Lione del 1274 si era cercato di limitare la fondazione di nuovi ordini religiosi, specialmente se si trattava di ordini mendicanti. Venne imposto agli ordini nati dopo il 1215 di non accettare nuovi membri, imponendo altresì ai restanti membri di trasferirsi presso ordini già approvati dalla santa sede. Gli apostolici non accettarono l'imposizione e vennero perseguitati come eretici. Il nuovo leader degli apostolici, Dolcino, dotato di una profonda preparazione biblica elaborò una concezione più complessa della salvezza, che prevedeva la distruzione della chiesa carnale di Bonifacio VIII. Per sfuggire alle persecuzioni Dolcino e i suoi seguaci si rifugiarono in Valsesia dove le sue file si ingrossarono per l'affluire di nuovi seguaci dall'Italia centro-settentrionale. La lotta operata dai dolciniani ha indotto a vederla come la prima lotta di classe anche se i dolciniani non avevano idea di questo ma miravano soltanto alla costituzione di una chiesa più uguale e giusta. Nel 1357 tuttavia un esercito promosso da Clemente V distrusse gli ultimi nuclei di resistenza dolciniana. In Europa un altro uomo era destinato ad attirarsi l'ira del pontefice, Giovanni Wyclif che tradusse la bibbia in inglese e criticò la mondanizzazione della chiesa predicando un ritorno alla povertà alla quale si univa anche la critica ad elementi fondamentali della dottrina, come la scomunica o le decime. I suoi discepoli detti lollardi diffusero la dottrina anche se il suo pensiero fu condannato come eretico. Nonostante tutto il movimento si esaurì nel corso del quattrocento. Altro eretico fu Giovanni Hus che riprese le teorie di Wyclif ribadendo la critica al mondanismo e alla piega monarchica. Hus fu condannato al rogo come eretico nel 1415. Nel frattempo erano maturati i tempi per un ritorno della chiesa a Roma, la tranquillità di Avignone però trattenne i pontefici per ancora qualche tempo. Il ritorno definitivo del papato a Roma si ebbe nel 1377 con Gregorio XI che si fece precedere da bande armate e da un suo legato. Contribuirono ad accelerare il ritorno del papato a Roma furono anche le incursioni nel territorio provenzale perpetrate da truppe sbandate che erano impegnate nella guerra dei cent'anni. Il papato attraversò un periodo scismatico a partire dal 1379 anno in cui venne eletto l'antipapa Clemente VII che si pose in antagonismo nei riguardi di Urbano VI. Lo scisma non si risolse così presto come si era creduto inizialmente, il riconoscimento della curia divenne per i regnanti europei un argomento di lotta politica. In questo clima il prestigio della dignità sacerdotale si abbassò ulteriormente, donando nuova linfa alla lotta contro la corruzione della chiesa. Per sbloccare la situazione venne convocato un concilio universale a Pisa nel 1409 dove vennero deposti entrambi i pontefici, Gregorio XII e Benedetto XIII e dove venne eletto Alessandro V. Tuttavia il concilio non fu riconosciuto e ai due pontefici se ne aggiunse un terzo. Anche se il concilio di Pisa non era stato organizzato al meglio rimase convinzione che fosse proprio il concilio lo strumento necessario per risolvere il problema. Promotori di questa iniziativa furono Giovanni XXIII, successore di Alessandro V e l'imperatore di Germania Sigismondo. Il concilio venne riunito a costanza nel 1414, vi parteciparono numerosi canonisti e principi. Nel 1415 si giunse al decreto Haec Sancta secondo il quale il concilio universale derivava il suo potere direttamente da dio avendo autorità anche sul pontefice. Venne successivamente deposto il pontefice pisano e poi Benedetto XIII. Gregorio XII si dimise spontaneamente. Dopo un conclave di brevissima durata venne eletto Martino V. Venne anche decretato che il concilio universale dovesse essere convocato ogni dieci anni e Martino pur mostrando il suo scarso entusiasmo convocò un concilio a Pisa nel 1423 per affrontare i temi della riforma della chiesa. I lavori si chiusero di nuovo con un nulla di fatto. Dopo sette anni dal 1431 fu convocato un secondo concilio a Basilea che stabilì di ridimensionare i poteri del papato e di ridare alle diocesi locali la loro autonomia. Il papa, contrario a tali riforme bloccò il concilio per trasferirlo in Italia ma i conciliarsi più radicali non obbedirono e processarono Eugenio IV dichiarandolo decaduto. Venne designato come successore Felice V. La successione ebbe però vita breve e nel 1449 venne nuovamente riconosciuta l'autorità del pontefice romano Niccolò V. L'esperienza del concilio di Basilea aveva insegnato ai principi che la strada migliore per il rafforzamento dei loro poteri era di stabilire dei trattati con il papato per delimitare chiaramente le rispettive sfere di influenza. In cambio del riconoscimento della superiore autorità papale si chiedeva la possibilità di tassare i beni ecclesiastici, il controllo delle cariche più importanti e la competenza dei tribunali civili in materia ecclesiastica. In Francia si sviluppò in questo periodo una chiesa nazionale detta gallicana. Superata la crisi dei concilio, il papato si concentrò sul recupero del terreno perduto; anzitutto il pontefice Pio II stabilì che l'autorità suprema della cristianità restava il papato e non il portando avanti la guerra per altri tre anni. Il clima fu nuovamente scombussolato dalla caduta di Costantinopoli e dal successivo appello del papa contro i turchi. Venezia mise fine alla guerra per concentrarsi sui suoi domini orientali che sarebbero stati quelli più interessati dall'avanzata turca. Si giunse quindi alla pace di lodi, firmata nel 1454 che sancì la definitiva ascesa di Francesco Sforza come Duca di Milano ed il riconoscimento delle conquiste venete in Lombardia. Per rendere più stabile la pace Milano, Venezia e Firenze diedero vita alla Lega Italica che venne estesa l'anno seguente al papa, al re di Napoli e a Borso D'Este. La Lega aveva lo scopo di impedire qualsiasi tipo di tentativo espansionistico ai danni degli stati aderenti. L'accordo aveva durata di venticinque anni e contemplava anche la formazione di un esercito comune la difesa che però non venne mai realizzato. Delineando un quadro degli stati italiani dopo la pace di Lodi troviamo Venezia, concentrata sulla difensiva dei propri interessi commerciali e dei suoi possedimenti orientali. Venezia perse nel 1470 l'isola di Eubea ma acquistò Cipro dall'ultima regina. Il rapporto con i turchi risultò sempre estremamente precario all'interno di un accordo che prevedeva per i veneziani libertà di commercio in cambio del pagamento di tasse doganali non troppo gravose. A Milano Francesco Sforza non era più pressato dai veneziani, potendo cosi iniziare ad impegnarsi affondo per ottenere consensi per la sua dinastia e rafforzare il proprio potere. Operava attivamente al livello diplomatico per creare un asse con Firenze e Napoli da porre a difesa degli equilibri italiani, favorì all'interno del suo dominio la ripresa dell'attività agricola e manifatturiera. Con l'avvento al potere del figlio Galeazzo Maria iniziarono le prime difficoltà che culminarono con il suo assassinio nel 1476. Il potere dopo un breve conflitto dinastico venne reclamato da Ludovico il Moro. Tra Milano e Venezia stava il Marchesato di Mantova retta dai Gonzaga che dopo aver esteso i propri domini verso il lago di Garda dovette faticare non poco per mantenersi in equilibrio nel difficile clima politico italiano. In una situazione simile si trovavano gli Estensi di Ferrara, Modena e Reggio, da tempo soggetti alla pressione veneziana che ottenne vaste conquiste grazie alla pace di Bagnolo stipulata nel 1484 a seguito di un conflitto esploso per contrastare la politica nepotista di Sisto IV. Si trova inoltre nel settentrione il principato di Trento, i Marchesati di di Saluzzo, Monferrato e Ceva e la Contea di Asti, tutti retti da dinastie di origine feudale. Il Ducato di Savoia gravitava nell'orbita della Francia almeno fino al 1478 quando ne divenne un effettivo dominio. La Repubblica di Genova si presentava molto debole dato che aveva evitato di assumere impegni militari seri per concentrarsi sulla sua politica commerciale non rifiutandosi in alcun periodo di essere dominata da francesi, milanesi o dal pontefice. Altre città ad aver mantenuto ordinamenti comunali furono Siena, Lucca e Bologna, quest'ultima però alla fine cadde come dominio dello stato pontificio. Roma o meglio lo stato pontificio vide riconosciuta la propria sovranità in buona parte della Romagna alla quale comunque fu lasciata molta autonomia a varie realtà comunali. Nella politica italiana della metà del quattrocento Firenze grazie ai suoi governanti esercitò il suo dominio su un'area paragonabile alla metà del territorio complessivo di Venezia. Il merito fu della politica estera attuata dai Medici. La politica estera medicea venne caratterizzata da un costante opportunismo per frenare i vari pericoli espansionistici da Venezia, da Milano e dal Regno di Napoli. L'inizio del potere Mediceo fu caratterizzato dal quasi nullo riconoscimento formale al loro potere che si reggeva in piedi grazie alla solidità economica della famiglia. I Medici puntarono quindi alla "manomissione" delle entità comunali già esistenti non avendo la forza per abolirle totalmente. Proprio per questa mancanza di legittimità non mancarono famiglie che considerando i giochi ancora aperti non mancavano di organizzare congiure. L'origine della calda situazione fiorentina era da ricercare nella politica nepotistica di Sisto IV che pretendeva dai Medici il denaro per riscattare Imola e darla in signoria al nipote. Al rifiuto dei Medici il pontefice si rivolse la famiglia dei Pazzi che accettarono di versare la somma richiesta ed organizzarono una congiura con la collaborazione di Girolamo Riario che vedeva dei Medici un ostacolo alla sua espansione in Romagna. La congiura fu fissata per il 26 aprile 1478. il risultato fu l'assassinio di Giuliano De Medici e il ferimento di Lorenzo, la reazione popolare portò all'uccisione di molti dei Pazzi e dello stesso arcivescovo Salvati. La reazione papale non si fece attendere, Lorenzo De Medici venne scomunicato e Firenze venne dichiarata interdetta. Il papa inoltre dopo aver portato dalla sua parte il Re di Napoli e Siena sconfisse Firenze presso poggio imperiale. Lorenzo allora si recò a colloquio con il Re di Napoli col quale strinse alleanza lasciando quindi solo il papa, che non poté far altro che venire a patti, firmando un accordo nel 1480 che prevedeva il ritorno allo status quo e l'annullamento dell'interdetto su Firenze. L'alleanza con Milano e Napoli resse assai bene specie durante la rivolta dei baroni nel meridione, alla quale aderirono personaggi di altissimo livello. Innocenzo VIII nonostante la pazienza di Re Ferrante di trovare una soluzione diplomatica, non esitò a ricorrere alle armi chiedendo anche l'aiuto di Venezia. La diplomazia di Lorenzo il Magnifico era in piena attività per bloccare il dilagare del conflitto giungendo quindi alla pace nel 1486 nella quale il Re si impegnava a pagare un contributo regolare alla chiesa in segno di vassallaggio, a perdonare i baroni ribelli e ad accettare l'invio di un legato pontificio che avrebbe dovuto occuparsi dei rapporti con i feudatari. Re Ferrante però ottenuto l'obiettivo di dividere il fronte avversario punì tutti i personaggi in vista che parteciparono alla rivolta facendoli arrestare e giustiziare dopo un sommario processo. Con la morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492 si chiuse per l'italia un periodo dove era possibile risolvere rapidamente i vari conflitti. Con l'avvento al potere di Lorenzo il Magnifico l'Italia aveva raggiunto il massimo del suo elevamento culturale iniziato verso la fine del trecento da uomini letterati come Coluccio Salutatio Leonardo Bruni che prendendo esempio da Francesco Petrarca di diedero grande fervore per recuperare le opere di scrittori classici. Il loro scopo era quello di superare la mentalità medievale e riaccostarsi alle opere classiche per comprenderne il vero significato. Proprio in questo periodo, il medioevo venne considerato come un periodo negativo nel suo complesso poicé conobbe una decadenza in tutti i campi del sapere. L'ideale della nuova cultura umanistica si proponeva di riprendere il colloquio con gli autori antichi per farne nuovi modelli di formazione di imitazione. Questo periodo vide anche la nascita della filologia ovvero del metodo critico nell'esame dei testi antichi e di ogni forma
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