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Riassunto "Gli attrezzi del narratore" di Alessandro Perissinotto, Sintesi del corso di Scrittura Tecnica

Riassunto del manuale "Gli attrezzi del narratore" di Alessandro Perissinotto

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 17/01/2023

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Scarica Riassunto "Gli attrezzi del narratore" di Alessandro Perissinotto e più Sintesi del corso in PDF di Scrittura Tecnica solo su Docsity! 1 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE INTRODUZIONE Cos’è la narratologia? La narratologia è la disciplina che studia il modo e il motivo per cui i romanzi, i racconti, le fiabe, ecc... prendono una certa forma: studia come sono fatte le narrazioni a prescindere da ciò che contengono. Il narratologo studia il prodotto per risalire al processo. Nello studio dei processi narrativi non si possono trovare risultati univoci, ad una domanda si possono dare decine di risposte diverse a seconda degli aspetti che si prendono in considerazione. La narratologia aiuta a narrare? Conoscere le teorie narratologiche non è indispensabile per scrivere dei buoni romanzi, ma in molti casi può dare una mano. La semiotica della narrazione non serve per inventare storie, ma viene in aiuto quando ti poni questioni del tipo: e adesso come continuo? Che voce narrante uso? In che punto della storia devo svelare dato segreto? La narratologia non si è mai sviluppata come disciplina progettuale, ma come strumento analitico: se crei racconti e vuoi usarla nel modo giusto devi fermarti di tanto in tanto e analizzare semioticamente quello che hai scritto, valutando gli effetti di senso che le tue parole creano. PARTE PRIMA: LA TRAMA 1.1 La trama: un concetto ambiguo La trama e la storia non sono la stessa cosa: la storia è fatta sì di azioni, ma anche dei personaggi che le compiono, degli sfondi entro i quali si muovono e delle ragioni che li inducono a muoversi; la trama invece è il semplice racconto condensato dei fatti che accadono in una storia. Alcuni scrittori sostengono che avere una trama non è indispensabile per iniziare a scrivere un romanzo. Ciò nondimeno, la trama è la cosa che ci sembra più naturale conservare di una storia. Una sequenza è logica perchè i fatti che precedono sono la causa dei fatti che seguono, mentre è temporale perchè segue il succedersi degli eventi uno dopo l’altro. La trama è l’ordine logico-temporale o quello che ci viene presentato dalle pagine del volume? L’uno e l’altro, quello di trama è un concetto troppo vago per la narratologia; in semiotica del testo, infatti, si parla di fabula quando ci si riferisce all’ordinamento logico- temporale, e di intreccio quando si vuole indicare la successione degli eventi così come essa viene presentata al lettore. 2 1.2 Lo strutturalismo Gli strutturalisti sono stati i primi ad ipotizzare che esistessero regole compositive comuni alla base dei vari racconti. E sono proprio queste regole condivise tra le varie narrazioni ad autorizzarci a parlare di narratologia e di tecniche della narrazione. Una tecnica è una sorta di esperienza codificata e riutilizzabile, essa assume significato solo se, una volta appresa, io la posso utilizzare di nuovo. Se ogni racconto fosse un’entità a sè, se non avesse nulla in comune con gli altri, le tecniche della narrazione non potrebbero essere riutilizzate e non sarebbero tecniche. L’idea di fondo dello strutturalismo e quella di trovare un modello attraverso il quale descrivere il funzionamento di tutte le narrazioni. Come se immaginassimo l’esistenza di un unico scheletro narrativo che i vari autori rivestono di parole, situazioni e personaggi diversi (la stessa fiaba raccontata da persone diverse). L’obbiettivo degli strutturalisti è quello di individuare il modello generale della narrazione. 1.3 I motivi Dividere in porzioni i contenuti della narrazione e poi parafrasarli è il primo passo per riuscire a svincolarsi da essi, a pensare alle strutture, all’ossatura del racconto. Generalizzando sempre di più una porzione di testo arriviamo a creare un motivo, una delle basi dell’analisi strutturale del racconto grazie alle sue 3 caratteristiche fondamentali: a) i motivi sono le unità minimali della narrazione, cioè sono dei “microracconti”; b) i motivi possono concatenarsi tra loro per dare vita a racconti complessi; c) i motivi sono sufficentemente generali per ritrovarsi in forme analoghe all’interno di narrazioni diverse. Scomporre un racconto in unità minimali ci consente di non guardare più all’opera come se fosse un blocco unico, bensì di analizzarla pezzo per pezzo cogliendo le relazioni che ogni parte intrattiene con le altre. Comprendendo che il romanzo è fatto di microracconti interconnessi tra loro possiamo parcellizzare il lavoro. Il fatto che i motivi migrino da un racconto a un altro, permette di riflettere non solo sulla singola storia, ma in generale sul modo in cui si costruiscono le storie. 1.4 Intreccio e fabula La trama è il risultato dell’unione organica di una serie più o meno ampia di motivi, noi conferiamo a questi motivi due forme di organizzazione: la fabula e l’intreccio. La fabula è la trama di una narrazione i cui accadimenti sono disposti nell’ordine cronologico del loro fittizio accadere. L’intreccio è la trama di una narrazione i cui eventi sono disposti nell’ordine arbitrario, magari non cronologico, deciso dall’autore, una sorta di viaggio avanti e indietro nel tempo della narrazione. Fabula ed intreccio coesistono perchè il racconto oltre che nella forma dell’intreccio fissato dalla sequenza immutabile delle pagine, si riformula e si dispiega nella rielaborazione identica a quella che l’autore aveva fatto per scrivere quella stessa storia. 5 oggetto da desiderare). Ma perchè vi sia desiderio è necessario che vi sia qualcuno che lo renda desiderabile: questo qualcuno è il Destinante. Il ruolo del Destinatario e del Soggetto tendono a coincidere e può anche capitare che il ruolo del Destinante sia del tutto implicito. L’Opponente è colui che ostacola il Soggetto nel suo disegno di impossessarsi dell’Oggetto, l’Opponente è un anti-Soggetto che mira a conquistare lo stesso Oggetto desiderato dal Soggetto. L’Aiutante sarà colui che aiuterà il Soggetto a congiungersi con l’Oggetto. 1.8 Un modello universale: Greimas e il programma narrativo Una storia è riconducibile a un programma strutturato in tre fasi: INIZIO (un soggetto disgiunto da un oggetto di valore), SVILUPPO (il soggetto opera per congiungersi all’oggetto di valore), FINE (il soggetto si congiunge all’oggetto di valore). Questo programma viene chiamato programma narrativo di base. Ma le storie sono molto più complicate di quanto non lo sia il programma narrativo di base. A complicarle sono i vari programmi narrativi d’uso, ovvero quei programmi che servono al soggetto per congiungersi con altrettanti oggetti di valore intermedi, grazie ai quali si congiungerà all’oggetto di valore finale. In tutto questo non abbiamo considerato il ruolo dell’Opponente e ci siamo limitati ad osservare i programmi narrativi del Soggetto, ma è evidente che anche l’anti-Soggetto ha un suo preciso piano e che questo piano interseca quello del soggetto. Nello stesso modo in cui il Soggetto cerca di avvicinarsi all’Oggetto, l’anti-Soggetto tende ad allontanarlo vuoi perchè anch’egli mira allo stesso Oggetto, vuoi perchè il suo vero Oggetto è l’infelicità del Soggetto, cioè il suo perenne stato di disgiunzione dall’Oggetto di valore. In una struttura di narrazione priva di lieto fine è il programma narrativo di base dell’anti- Soggetto a giungere a compimento in maniera duratura impedendo che avvenga la stessa cosa per il programma narrativo del Soggetto. Quando decidiamo di costruire strutturalmente una storia dobbiamo quindi pensare a mettere in campo almeno due programmi narrativi di base in competizione tra loro, due programmi d’azione, l’uno del soggetto, l’altro dell’anti-Soggetto, che si sfidano costantemente. Per ognuno di questi programmi narrativi di base dovremo poi pensare ad un certo numero di programmi narrativi d’uso, in modo da complicare sufficientemente il racconto. 1.9 Il voler-fare, il saper-fare e il poter-fare: la teoria delle modalità Il racconto è un susseguirsi di azioni motivate da una logica interna e mirate a uno scopo. Nella struttura del racconto ci sono dunque degli attanti che agiscono, cioè che fanno delle cose. Ma, affinchè le azioni siano davvero motivate, il verbo fare deve essere accompagnato da altri verbi modali quali sapere, volere e potere. Il destinante, all’origine del racconto, attribuendo valore a un oggetto, inculca nel soggetto un voler-fare, cioè un voler operare in modo da congiungersi con quell’oggetto. Il racconto non si chiede perchè il destinante sia in grado di generare un volere. 6 Il voler-fare produce il programma narrativo di base, ma non basta a giustificare le singole azioni, non basta a dar loro una logica. Un soggetto dotato del solo voler-fare appare assolutamente velleitario; c’è bisogno che egli possieda anche un saper fare. Acquisito il saper-fare, il soggetto deve conseguire il poter-fare. Quindi il soggetto vuole, sa e può fare le azioni che gli competono per il raggiungimento del suo obbiettivo e per lo sviluppo della narrazione. PARTE SECONDA: IL MONDO POSSIBILE DEL RACCONTO 2.1 Nonna Papera può cucinare il tacchino? I mondi possibili Ogni volta che si inventa una storia, si crea un mondo possibile che non è quello reale anche se può assomigliargli molto. La semplice introduzione di personaggi di invenzione all’interno di un contesto reale è sufficiente a trasformare il mondo della storia in un mondo possibile più o meno distante da quello reale. La sola condizione per narrare senza dare vita a un mondo possibile è quella di raccontare una storia vera senza alterarne assolutamente nulla, ma a quel punto siamo nell’ambito della biografia o della cronaca. Un mondo possibile si definisce per un insieme di regole che lo caratterizzano; in ambito narrativo, queste regole stabiliscono quali comportamenti, quali azioni e quali ambientazioni possono essere creduti dal lettore e quali vengono rigettati come incoerenti. Esistono due tipi di mondi possibile: 1) i mondi possibili realistici, quelli dove vigono le stesse regole del mondo reale e del tempo nel quale si colloca la storia; 2) i mondi possibili non realistici (fantastici), quelli dove vigono regole diverse da quelle del mondo reale. L’attribuzione di un mondo possibile alla categoria del realistico o del fantastico, dipende dall’enciclopedia del lettore, cioè dall’insieme di conoscenza, credenza ed esperienze che egli mette in gioco per interpretare testi. La fondazione di mondi possibili di tipo realistico non pone eccessivi problemi; per costruire un romanzo dove i personaggi condividano gli atteggiamenti proposizionali basta che mi guardi intorno, per costruire un romanzo storico dove i personaggi condividano gli atteggiamenti proposizionali della loro epoca mi sarà sufficiente leggere un buon quantitativo di libri di storia. Anche nei mondi possibili non realistici gran parte delle regole sono quelle del mondo reale, solo che in essi è consentito introdurre elementi non realistici: l’importante è che l’autore renda questi elementi fantastici coerenti con gli altri. Talvolta, l’elemento irrealistico irrompe sulla scena del mondo possibile di tipo realistico come indispensabile elemento di contrasto; è il caso delle storie che introducono elementi soprannaturali in situazioni più o meno ordinarie. 2.2 Mi credi se ti dico che...? Il contratto di veridizione Con contratto di veridizione, o patto finzionale, si intende l’accordo che si stabilisce tra il narratore e il lettore in virtù del quale quest’ultimo “sospende l’incredulità” e assume come vero ciò che il narratore sta per raccontargli. Generalmente si stabilisce nei primi passaggi 7 del racconto attraverso la descrizione di luoghi, personaggi e le loro attitudini; il patto viene mantenuto stabile lungo tutto il corso della narrazione. La prima cosa che l’autore si preoccupa di fare è quella di far capire al pubblico il tipo di mondo in cui la storia si svolge. Le cose si complicano quando si imbocca la via del surreale o comunque si decide di combinare tra loro elementi reali ed elementi fantastici. Tutto il discorso sul contratto di veridizione ci consegna un metodo fondamentale per l’attività di narratori, ci avverte dell’importanza dell’inizio della storia come luogo fondamentale per la nostra attività di narratori, ci avverte dell’importanza dell’inizio della storia come luogo di fondazione del mondo possibile, come luogo in cui si conquista la fiducia del lettore, una fiducia che non va tradita e che va mantenuta attraverso la coerenza dei personaggi e degli eventi. 2.3 La coerenza narrativa A seconda che la narrazione si collochi all’interno di un mondo possibile di tipo realistico o di tipo fantastico variano i vincoli di coerenza che l’autore deve rispettare. 2.3.1 Coerenza nei mondi possibili realistici In uno scenario simil-reale i vincoli di coerenza imposti alla storia sono gli stessi che la realtà impone alla vita quotidiana. È importante ricordare che basta un piccolo particolare sbagliato per denunciare la finzione narrativa come tale, cioè per interrompere la sospensione di incredulità del lettore. Il lettore di solito accetta la natura fittizia delle storie narrate, ma a tutto c’è un limite. Non solo esistono lettori che non sono al corrente del fatto che l’autore sta inventando e che quindi gli chiedono conto delle cose non vere, ma ogni lettore in base alla propria enciclopedia fissa un confine personale tra le menzogne accettabili e quelle non accettabili. La narratologia ci indica che per ogni testo esiste un lettore modello che è in grdo di interpretare correttamente il testo e di non mettere in crisi il contratto di veridizione. Ancora una volta però i fatti dimostrano che la semiotica non è una scienza esatte e che l’abilità degli autori nello stabilire un rapporto empatico tra personaggi e lettori è tale da far dimenticare a questi ultimi ogni ansia di verosimiglianza. Ma non confondiamo il reale con il realistico, il vero con il verosimile: non solo ciò che è verosimile non è necessariamente vero, ma neanche ciò che è vero è sempre verosimile. 2.3.2 coerenza nei mondi possibili fantastici L’aver creato un mondo possibile fantastico non ci esime dall’affrontare i problemi di verosimiglianza, anzi ci pone in una situazione ancora più scomoda, perchè mentre le regole fondative del mondo reale ci sono note e ci è sufficiente rispettarle e farle rispettare ai nostri personaggi, quelle del mondo che abbiamo inventato devono essere costruite ex- novo. In questo caso ad imporre i vincoli non sono più le leggi del mondo naturale quelle della società, qui prevalgono le leggi della narrazione e quelle dell’efficacia narrativa. La prima regola da seguire quando si imbocca la strada del fantastico è che nel mondo possibile non tutto è possibile, che, qualunque sia la nostra ambientazione, esisteranno sempre delle condizioni ostanti per limitare la gamma d’azione dei personaggi. 10  Variabile: quando vari episodi della narrazione sono visti, ciascuno, attraverso un diverso personaggio;  Multipla: quando uno stesso episodio della narrazione è visto attraverso lo sguardo di molti personaggi. 2.7 come scegliere il narratore e il punto di vista La scelta del narratore, così come quella del punto di vista, è cruciale per l’esito del racconto. Non ci sono risposte definitive a tutte quelle domande che potremmo porci sull’argomento, ma possiamo mettere in luce alcuni effetti delle diverse scelte sulla percezione de racconto da parte del lettore. 2.7.1 Il narratore extradiegetico onniscente Il narratore onnisciente (come abbiamo visto, forzatamente extradiegetico) non ci pone troppi problemi di legittimazione a narrare e non ha limiti a ciò che può raccontare. Con un narratore extradiegetico possiamo alternare la narrazione di due scene che stanno accadendo contemporaneamente (es. Una macchina ferma su dei binari e un treno che avanza verso essa) per generare tensione e suspense. Un altro vantaggio del narratore onnisciente è dato dalla possibilità di esporre gli aspetti interiori di ogni personaggio, non solo i pensieri, le sensazioni e i desideri razionali, ma anche l’inconscio, anche ciò che il personaggio non sa di se stesso, del suo passato e del suo futuro. Questa opportunità da modo di conferire una dimensione corale alla narrazione: ogni personaggio ha, in linea di principio, il diritto di partecipare completamente alla rappresentazione. Il narratore rappresenta, però, un filtro tra il personaggio e il lettore; ciò che quest’ultimo percepisce non sono i pensiere del personaggio, bensì i pensieri del personaggio riportati da una terza persona più o meno “trasparente”. 2.7.2 Il narratore omodiegetico e autodiegetico La figura del narratore onnisciente nonostante sia impercettibile, in talune circostanze la terza persona in luogo della prima può creare distacco. Dunque, quando avvertiamo la necessità di un contatto diretto tra il lettore e il personaggio principale, possiamo adottare il narratore autodiegetico. Naturalmente, i limiti del narratore autodiegetico sono speculari rispetto a quelli del narratore extradiegetico: chi narra in prima persona conosce bene se stesso, ma non altrettanto bene gli altri personaggi; chi narra in prima persona è testimone diretto dei fatti che vede, ma non di tutti i fatti che condizionano la storia. Con il narratore autodiegetico si affaccia il problema del rapporto con il tempo della storia. Se la vicenda si è già conclusa il lettore non può prendere in considerazione l’ipotesi della morte del protagonista (salvo cambiare il narratore alla fine o fare narrare da una situazione di post mortem). 11 Infine c’è la questione della verosimiglianza del contatto tra narratore e lettore. Anche questo fa parte di quella finzione letteraria , tuttavia, vi è anche chi, scegliendo il narratore autodiegetico, decide di abbattere quest’ultimo muro di artificiosità. 2.7.3 Altre possibilità Oltre ai due estremi del narratore extradiegetico e del narratore omodiegetico è possibile mediare tra queste due istanze con una gamma di soluzioni enunciative intermedie. Il narratore multiplo: moltiplicare il numero dei narratori può servire a superare i limiti del singolo narratore interno, senza rinunciare a quell’immediatezza che nasce da un rapporto diretto personaggio-lettore. Una soluzione classica è quella della doppia voce narrante ( i due, o più, personaggi principali raccontano a turno la storia, dal proprio punto di vista). Il ricorso al narratore multiplo può poi prevedere un alternarsi di narratore interno e di narratore esterno più o meno onnisciente. Ma possiamo, alternativamente, conservare un narratore esterno e onnisciente, che però si cala profondamente nel punto di vista dei vari personaggi fin quasi annullarsi in loro. Un discorso diretto o indiretto si dice legato quando è introdotto dal narratore attraverso verbi come : dire, affermare, gridare, chiedere, ecc... Il discorso libero ci porta direttamente al soliloquio: una conversazione che un personaggio fa tra sè e sè. Questa tecnica narrativa è venuta assumendo un’importanza sempre maggiore nella letteratura moderna ed è divenuta fondamentale per il romanzo psicologico. PARTE TERZA: IL DISCORSO 3.1 Oltre la trama c’è di più (ancora su Roland Barthes) Nella trama noi collochiamo le idee creative, mentre col discorso noi avviamo l’atto comunicativo che ci permette di trasmettere queste idee agli altri. Da giovani lettori quando leggiamo un qualunque racconto, il testo ci appare come una superficie uniforme e ci sembra che la lettura debba consistere in un’esplorazione puntuale di ogni millimetro quadrato di superficie, secondo una progressione necessariamente lineare. Man mano che la nostra competenza letteraria aumenta, ci accorgiamo però che la nostra comprensione del racconto non diminuisce in maniera significativa saltando alcune parti di testo, mentre diventa impossibile omettendo la lettura di altre. Tutto ciò significa intuire, in modo un po’ ingenuo, che la superficie del testo non è poi così omogenea e che le sue disomogeneità sono dovute al fatto che la superficie stessa non è autonoma, ma è sorretta da una struttura che in essa lascia tracce più o meno visibili. Il fatto che alcuni segmenti possano essere saltati senza compromettere la comprensione della trama, non indica però che il racconto possiede delle parti prive di significato, ma che esso non è uniformemente significante. Un’immagine un po’ meno intuitiva di questi aspetti ce la fornisce la classificazione delle unità del racconto operata da Roland Barthes. Nel già citato saggio introduttivo all’analisi 12 strutturale del racconto, Barthes individua nel discorso del racconto quattro diversi tipi di unità: i nuclei, le catalisi, gli indizi e gli informanti. A queste quattro diverse tipologie corrispondono altrettante funzioni nell’economia comunicativa della narrazione. 3.1.1 Nuclei e catalisi I nuclei e le catalisi sono quelle parti del livello superficiale del testo che forniscono al lettore indicazioni per l’avanzamento della trama, mentre gli indizi e gli informanti contribuiscono a creare quello sfondo sul quale l’azione contenuta nella trama si svolge. Il miglior modo per comprendere cosa siano i nuclei è quello di introdurre il concetto di “bivio”; un nucleo è un contenuto testuale che apre una biforcazione nel percorso della narrazione, si può procedere in un modo oppure in un altro e la scelta effettuata avrà pesanti conseguenze sul proseguimento della vicenda. È un po’ come se la superficie del racconto, invece di essere piana, presentasse dei punti , là dove la struttura lascia le proprie tracce, uniti tra loro da parti di riempimento, da un tessuto testuale che potremmo chiamare connettivo. Neppure le catalisi sono inutili, esse mantengono il contatto con il destinatario e influiscono ovviamente sul discorso. La catalisi contibuisce a creare un tempo della narrazione che può contribuire alla trama stessa e ad una sua migliore percezione. 3.1.2 Indizi e informanti Molti dei passaggi che compongono un racconto non contengono dati che segnalano uno spostamento nella catena di eventi, bensì elementi che consentono di meglio comprendere modi e motivi di quella concatenazione di eventi che trova espressione altrove. Abbiamo dunque tutta una serie di indizi che ci agevolano nel compito di ricostruire la realtà fittizia creata dal racconto. Anche qui però abbiamo delle differenze. Le operazioni di ricostruzione effettuate a partire da questi indizi non sono tutte egualmente semplici e immediate. Qui il lettore non avanza alcuna ipotesi interpretativa, ma prende semplicemente nota di alcune affermazioni come informazioni relative al quadro oggettivo di riferimento, come effetti di realtà che situano la trama in un contesto specifico. Barthes distingue quest’ultimo tipo di elementi dagli indizi e li chiama informanti. In rapporto ai veri indizi, il grado di funzionalità è inferiore; servono ad autenticare la realtà del referente, a radicare l’invenzione nella realtò , a creare l’illusione referenziale per la quale ciò che leggiamo ci sembra vero. Gli informanti danno forma al mondo possibile del racconto. 3.1.3. Accelerazioni e frenate: questioni di ritmo In un racconto dobbiamo, dunque, scrivere dei brani dotati, dal punto di vista dell’economia narrativa, di significati diversi; scriveremo passaggi funzionali (momenti di svolta) e passaggi referenziali (descrizione fine a se stessa). I significati narrativi tendono a concentrarsi in pochi punti ben determinati (nuclei) e a distribuirsi in misura molto più ridotta e via via decrescente in catalisi e indizi. Più uniforme è invece la distribuzione dei significati referenziali: il fatto che gli informanti abbiano una
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