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Riassunto "Gli studi di storia delle religioni" Spineto, Schemi e mappe concettuali di Scienza delle religioni

Riassunto libro "gli studi di storia delle religioni" di N. Spineto

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 02/10/2023

Syria.Marongiu
Syria.Marongiu 🇮🇹

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Scarica Riassunto "Gli studi di storia delle religioni" Spineto e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Scienza delle religioni solo su Docsity! Capitolo 1 - Prima della storia delle religioni 1.1 Riflessioni settecentesche J.F Lafitau: 1724, Usi e costumi dei selvaggi americani comparati agli usi e costumi dei primi tempi. Paragona le usanze dei nativi americani con quelle degli antichi greci, la credenza in un essere superiore è una rivelazione originale e avrebbe subito un processo di degradazione, Le somiglianze tra indiani d'America e greci deriverebbero quindi da una radice comune a partire dalla quale ha luogo una trasmissione culturale. Giambattista Vico: 1725, mito non come prodotto della volontà da parte di popoli di spiegare i misteri della natura costruendo figure divine a propria immagine, ma piuttosto mito come forma di percezione della realtà differente da quella razionale. Umanità attraversa tre fasi di sviluppo: quella del puro sentire (gli uomini spaventati dai fulmini alzano gli occhi al cielo e danno ad esso il nome di Giove), quella della fantasia (costruiscono il mito e la poesia creando l’alterità della fantasia in contrapposizione alla lucida ragione) e quella della ragione. Due correnti nella metà del ‘700: Charles de Brosse che utilizza la parola “feticismo” per designare genericamente una venerazione rivolta a cose animate e inanimate che nasce da paura e ignoranza (religione egizia antica ma anche Nigrizia); Nicolas Bergier che, invece, riconduce alle religioni un’esigenza dettata non solo da paura e ammirazione, ma anche dalle altre emozioni della ragione spiegando quindi il feticismo come conseguenza di una credenza ingenua che vede le cose come fossero animate da spiriti. Abraham Anquetil-Duperron: formulerà per primo la teoria secondo cui sia esistita una grande rivoluzione del genere umano (concetto che successivamente verrà chiamato da Karl Jaspers “età assiale”). In essa si individuerà un punto di svolta e di non ritorno nel quale si pongono le basi delle religioni universali e si definiscono le categorie fondamentali attraverso le quali l’umanità, prendendo consapevolezza dell’essere, del sé e dei propri limiti, penserà nei millenni successivi. 1.2 Il XIX secolo: sensibilità romantica e nuove scoperte Nasce la linguistica comparativa, che si esercita principalmente nei confronti delle lingue indoeuropee, compaiono diversi studi sul mondo indiano e sorgono importanti contributi allo studio del sanscrito. È pero Franz Bopp a proporre un confronto sistematico fra lessico, strutture grammaticali e morfologiche delle lingue indoeuropee, concludendo che queste lingue dovessero avere un antenato comune. Attraverso lo studio dei miti nasce anche la mitologia comparata, riguardo la quale è importante citare il pensiero secondo cui i miti debbano essere studiati filologicamente tenendo conto in maniera primaria della cronologia e del fatto che derivino da eventi reali come le migrazioni. Johann J. Bachofen: teorizza il Muttermacht (=diritto materno) che spiega ipotizzando che la forma più arcaica di civiltà, denominata eterismo, sia stata caratterizzata da una promiscuità sessuale generale, a cui corrisponde, uno stato di anarchia sul piano giuridico, uno stato di agricoltura vegetale spontanea sul piano economico e uno stato di riferimento alla terra sul piano religioso. L’insostenibilità di questa situazione porta ad un primo ordine sociale, imposto dalle donne, caratterizzato da armonia. Segue ad esso una fase di diritto paterno, più violenta, in cui predominano divinità legate alla luce del sole. 1.3 Il XIX secolo: positivismo ed evoluzionismo Nel corso dell’Ottocento si impongono le idee positiviste: nascono dalla fiducia del progresso dell’umanità instillata dalle scoperte scientifiche e tecniche proponendo un programma di conoscenza razionale e senza residui del mondo religioso. Tra i maggiori esponenti ricordiamo Auguste Comte: il quale distingue una fase teologica (divisa a sua volta in feticismo come culto di oggetti naturali, politeismo come culto di oggetti spiritualizzati e personalizzati, e monoteismo), una fase metafisica e una fase scientifica; Herbert Spencer: a lui si deve la formulazione di una teoria generale dell’evoluzione come passaggio dal meno coerente al più coerente, inoltre ritiene che all’origine della religione si trovi l’idea che l’io non finisca dopo la morte. Capitolo 2 - Gli studi di storia comparata delle religioni diventano una disciplina scientifica: la storia delle religioni nelle istituzioni 2.1 La Svizzera e l’Olanda: storia delle religioni e teologia Perché nascesse la storia delle religioni come disciplina scientifica occorreva che lo studio delle religioni si affrancasse dai presupposti confessionali ed è nei Paesi Bassi che un simile processo si attua per la prima volta. Le cattedre storico-religiose si sganciano così dalla dimensione teologica grazie all’interesse che il dibattito religioso rivestiva in un paese nel quale diverse confessioni religiose erano compresenti. 2.2 La Francia: cattedre, istituzioni e musei L’impulso dato dai Paesi Bassi agli studi di storia delle religioni si fa sentire ben presto anche in Francia. Anche qui il contesto culturale è caratterizzato da un processo di laicizzazione dello stato e dell’istruzione. 2.3 Il Belgio e la Gran Bretagna: storia delle religioni e interessi coloniali I casi di Belgio e Gran Bretagna consentono di mettere in evidenza un altro elemento che favorisce la nascita della storia delle religioni: l’interesse per le culturale altre promosso dalla politica coloniale. Il fatto che la Gran Bretagna fosse all’epoca la massima potenza coloniale del mondo, contribuisce a spiegare anche come il paese divenga la culla della nascita dell’antropologia. D’altra parte, se la volontà di espansione commerciale e politica fuori dall’Europa rende urgente la necessità di conoscere le culture altre e facilita l’imporsi degli studi comparativi, non si può dire che tali studi siano necessariamente funzionali alle politiche coloniali. 2.4 La preponderanza degli studi di storia del cristianesimo in Germania In Germania dalla fine XIX secolo fino agli anni 1925-1930 è attivo un orientamento che ritiene che per comprendere i punti nodali della storia del cristianesimo antico occorra studiare l’area culturale vicino-orientale tenendo conto non solo del mondo biblico, ma soprattutto della religione tardo-ebraica, e prendendo in considerazione le analogie con il mondo “pagano”. Per questa scuola lo scopo della comparazione è trovare le somiglianze tra fatti religiosi limitrofi per una migliore comprensione del cristianesimo. C’è da tenere a mente che gli insegnamenti storico- religiosi in Germania erano impartiti all’interno delle facoltà teologiche di Stato, mai abolite, a differenza di quanto avviene in Olanda e Francia. Adolf Harnack sostenne che lo studio di ebraismo e cristianesimo abbracci già un arco evolutivo completo durante il quale ogni ordine di fenomeno religioso è rappresentato, per cui, secondo lui, chi conosce il cristianesimo conosce già tutte le religioni. 2.5 L’Italia: ragioni di un ritardo In Italia la prima cattedra di aprirà soltanto nel 1923. Le ragioni di questo ritardo risiedono innanzitutto nella mancanza di un dibattito culturale verso le idee della nuova disciplina. Nonostante il fatto che anche in Italia si giunga, come in Olanda, all’abolizione delle facoltà teologiche, non permette comunque alle cattedre di interesse non precipuamente teologico di essere mantenute. Inoltre la presenza di una politica coloniale poco rilevante, insieme con altre ragioni di ordine culturale generale, fanno sì che le ricerche etno-antropologiche si sviluppino in maniera limitata, mentre hanno maggiore fortuna quelle demologiche. 2.6 Gli altri Paesi In Ungheria, Danimarca, Svezia e Finlandia sono attivati altri corsi. Un interesse verso la storia delle religioni si manifesta anche oltreoceano: ad Harvard, Chicago e Tokyo sorgono cattedre di Religioni comparate. Capitolo 3 – La formazione di un metodo 3.1 Il contesto culturale Questa nuova disciplina nasce dalla volontà di affrancare lo studio delle religioni dalle prospettive confessionali (una presa di distanza dalla teologia), dall’interesse per le confessioni diverse dalla propria e dall’attenzione rivolta alle culture altre in contesti coloniali. 3.2 La filologia comparata indoeuropea: Friedrich Max Müller Max Müller si occupa prevalentemente di terminologia e di testi sacri delle civiltà appartenenti al ceppo indoeuropeo. Studia così, in primo luogo, i nomi degli dèi che, attraverso un’ampia comparazione, collega all’osservazione dei fenomeni naturali e degli astri. Si citano le sue considerazioni riguardo la parentela tra il nome del dio vedico del cielo Dyauh, lo Zeus greco, Juppiter latino, e la figura germanica Tyr, i quali farebbero tutti riferimento alla luminosità: così dall’esperienza della luminosità si passerebbe al termine che la indica e quindi alla credenza in un dio che la incarna, secondo un processo che dai nomi arriva agli dèi. Ma così spiegando l’attribuzione di un nome Franz Boas si oppone a un principio cardine del modello evoluzionista: quello secondi cui i fatti culturali simili vanno ricondotti a cause universalmente identiche. Boas insiste invece sulla necessità di una ricerca sul campo indirizzata ad aree culturali specifiche studiate nel loro contesto e quanto più possibile dall’interno, tenendo conto della prospettiva storica (particolarismo storicistico) e dei contatti fra culture. L’idea che la somiglianza fra idee, credenze, pratiche, manufatti presenti in società diverse non dipenda da una “invenzione contemporanea” che presuppone una parallelismo evolutivo, ma piuttosto da contatti fra culture (prenderà in nome di diffusionismo). 5.2 La crisi dell’idea dell’uniformità del “primitivo”: la scuola storico-culturale o dei cicli culturali Lo sviluppo della scuola storico-culturale nasce da Freidrich Ratzel il quale riteneva che le somiglianze riscontrate tra popolazione molto diverse e lontane tra loro derivassero da precisi contatti storici. Lo studioso elabora dunque un metodo d’indagine peculiare fondato sull’esame dei manufatti, che sono classificati in base alla loro forma, e le cui somiglianze e differenze morfologiche gli consentono di rintracciare fonti comuni e rapporti di parentela. Il fine divenne quello di individuare nelle civiltà “primitive” differenti cicli storico-culturali attraverso la comparazione dei manufatti per poi tracciare delle mappe che chiariscono la diffusione nello spazio. La presenza di uno stesso motivo in due aree diverse può poi condurre all’idea che esista un’area precedente dalla quale le due aree dipendono, oppure che abbia avuto luogo una trasmissione dall’una all’altra. Il presupposto è che le somiglianze tra i dati non possano provenire da un processo di creazione parallelo e indipendente, e dunque che ogni similitudine sia la conseguenza di contatti effettivi e, quindi, di un diffusionismo. 5.3 L’evoluzionismo capovolto: Andrew Lang, Wilhelm Schmidt e il monoteismo primordiale Wilhelm Schmidt e Anrew Lang rinvengono tra le credenze degli aborigeni australiani la presenza dell’idea di un essere onnisciente connotato secondo caratteristiche monoteiste: un dato che metteva in questione uno dei pilastri dell’impostazione evoluzionista, quello che collocava il monoteismo dopo il politeismo, e quindi una fase avanzata del processo di evoluzione dell'umanità. Un duro colpo era stato inferto ai principi evoluzionisti, ma se Lang si era limitato a presentare alcuni casi di studio individuati in un’area circoscritta che potevano costituire un’eccezione, Schmidt intendeva invece estendere la portata delle sue idee e dimostrare che il monoteismo è la forma di religione primordiale. Secondo Schmidt i primitivi possiedono l’idea di un dio dai tratti monoteistici e, se si è potuto credere in precedenza che l’animismo venisse prima del monoteismo, è solo perché ha avuto luogo una “devoluzione”, una corruzione e un offuscamento della verità delle origini. Schmidt diventa l’etnologo ufficiale della Chiesa cattolica, le sue idee sono accolte nei manuali come un argomento che prova l’esistenza di Dio. 5.4 Il funzionalismo e il tramonto dell’idea di “sopravvivenza” Le teorie funzionaliste spostano l’accento dallo studio delle origini e della storia di una società a quello dello strutture sociali. A questo proposito si devono citare principalmente Alfred R. Radcliffe-Brown e Bronislaw Malinowski. Si occupano del sistema sociale come struttura con un suo funzionamento, si tratta di una ripresa del modello biologico dell’organismo, alla cui vita contribuiscono, ognuna con il suo ruolo, le parti di cui è composto. Le idee dei due studiosi minano un altro concetto cardine dell’etnologia evoluzionista: la nozione di “sopravvivenze”. Infatti se ogni componente di una società ha la sua funzione, non possono esistere le sopravvivenze intese come residui di altri sistemi non integrati in quello attuale. Infine Malinowski si concentrerà sullo studio miti, i quali sostiene essere la “carta di fondazione” di una società siccome nascono per giustificare certe situazioni, certe istituzioni, e l’organizzazione della stessa società attraverso una narrazione della loro origine. 5.5 Nuovi paradigmi filosofici Wilhelm Dilthey distingue in modo radicale gli oggetti i metodi della conoscenza storica da quelli della conoscenza naturale. Se le scienze della natura hanno lo scopo di spiegare, le scienze dello spirito sono dotate di un metodo differente e autonomo fondato sul comprendere. Rudolf Otto sostiene che il divino sia collocato in una sfera misteriosa che custodisce l’essenza, la verità delle cose. Esistono secondo la sua prospettiva degli a priori attraverso i quali l’essere umano sperimenta la realtà che lo circonda. Il concetto di sacro che si trova al centro della prospettiva ottiana dice: il sacro è il “totalmente altro”, qualcosa di irriducibile alle conoscenze e alle esperienze umane, non sensibile ma neanche intelligibile, e cioè impossibile da cogliere con i sensi e con la ragione. Si tratta perciò di una realtà altra rispetto a tutto quello che noi possiamo pensare e dire, al di là delle nostre rappresentazioni e delle nostre conoscenze e che quindi per la sua irriducibilità al pensiero razionale è qualificato come mistero. Non si tratta, in altri termini, di cogliere tramite gli strumenti conoscitivi comuni, quali intuizione o intelletto, una certa realtà, ma di compiere una esperienza che avviene con modalità proprie. 5.6 Storia delle religioni ed esoterismo Il “pensiero tradizionale” del fenomeno esoterico consiste nella credenza dell’esistenza di una tradizione unica primordiale, spirituale e metafisica, che non fa parte del mondo umano ma è oggetto di una rivelazione il cui contenuto può comparire in tradizioni esoteriche e religiose particolari, ma in maniera parziale e talvolta degradata. Una delle caratteristiche del pensiero tradizionale è la concezione ciclica del tempo e la convinzione che il momento attuale si trovi alla fine di una fase di decadenza. Capitolo 6 – Le scienze della religione 6.1 La sociologia della religione di area francese L’interesse di Durkheim è rivolto alla ricerca delle forme elementari, cioè più semplici, e quindi originarie, della religione. Definisce la religione come un sistema solidale di credenze di relative pratiche rivolte a cose sacre e che uniscono in una stessa comunità morale (chiamata chiesa) tutti coloro che vi aderiscono. Il punto di riferimento riguarda il fatto che la religione comporta una differenza fra la realtà ordinaria (profano) e un altro livello di realtà (sacro). Il sacro costituisce dunque l’espressione simbolica della forza della coscienza sociale. Attraverso i rituali collettivi, ad esempio, si conferma e rinnova il senso d’identità di una società e l’appartenenza al gruppo viene vivificata e rafforzata. In questo la religione si distingue dalla magia, che non lega, non unisce chi la pratica. Marcel Mauss sottolineano la problematicità nel disporre i differenti generi di sacrificio in un ordine cronologico ed evolutivo in modo che vengano presentati come un divenire storico, cosa che veniva fatta dagli evoluzionisti fino a quel momento. Mettono il luce la precarietà di tutta la costruzione intellettuale delle prospettive evoluzioniste in un periodo in cui erano ancora dominanti. I due studiosi procedono con l’analisi di testi nei quali il sacrificio è documentato in maniera dettagliata e ricca di particolari e cercano di definire i tratti generali dei ritti sacrificali per identificare un sistema, uno schema, un meccanismo utile a sistemare e interpretare i fatti religiosi. In questo modo applicano la comparazione, e questa ricerca porta all’individuazione del procedimento comune dei sacrifici: esso consiste nello stabilire una comunicazione tra il mondo sacro e il mondo profano mediante l’intermediario di una vittima (cosa consacrata nel corso della cerimonia). Tramite la vittima, infatti, il sacrificante rimane al riparo, gli dèi prendono la vittima invece ci prendere e ciò permette ai due mondi di entrare in comunicazione pur rimanendo distinti. Sono molteplici gli altri studi di Mauss che avranno un particolare rilievo nelle ricerche storico-religiose, come quelli sulla magia, sulla preghiera, sul tempo e sul dono. In particolare parlerà di dono come “fatto sociale totale”, ovvero come fatto che mette in moto, in certi casi, la totalità della società e delle sue istituzioni e, in altri, soltanto un gran numero di istituzioni. I fatti sociali totali ci dicono qualcosa su tutte le componenti della società e riguardano ogni ambito di essa (politico, economico, giuridico…). Mauss fa riferimento in particolar modo a due complessi rituali: - il kula, scambio simbolico di doni presso le isole Trobriand che consiste nello scambio di oggetti non utili sul piano pratico i quali non possono essere conservati, ma devono circolare siccome non è il possesso ma il contatto a garantire la diffusione della loro virtù (la loro circolazione garantisce relazioni sociali e anche matrimoniali) - il potlatch, pratica dei nativi americani nelle quali acquista più prestigio – e quindi una posizione migliore nelle gerarchie sociali – chi consuma una quantità maggiore di beni. Vuole dimostrare come il dono costituisca una modalità di scambio primaria con una logica simbolica al centro della quale si trova l’obbligo di donare, ricevere e ricambiare mantenendo rapporti di reciprocità. Lucien Léevy-Bruhl insiste sul fatto che il meccanismo mentale dei primitivi non coincida con quello che ci è familiare. Esiste, per lui, una “mentalità primitiva” qualitativamente diversa dalla nostra, che è definita prelogica, in quanto precede il modo di pensare logico. Essa segue invece la legge secondo la quale gli oggetti della nostra esperienza non sono separati o divisi tra loro come ci appaiono, ma hanno legami nascosti e misteriosi, mistici. Un esempio lo si trova in Nuova Guinea, dove si stabilisce una relazione tra coccodrilli e stregoni tale che lo stregone diventa il coccodrillo senza però confondersi con esso. Arnold Van Gennep dedicò gran parte dei suoi studi ai riti di passaggio. Il trascorrere delle vita comporta spesso il passaggio da uno stato all’altro, ad esempio con la nascita, idiversi stadi dell’infanzia, l’entrata del bambino nella società, la pubertà, il matrimonio, la gravidanza, il concepimento, la morte. In tutti i rituali che accompagnano tali momenti Van Gennep riconosce la presenza di una struttura comune, caratterizzata da tre fasi: la prima è quella della separazione, caratterizzata dall’allontanamento fisico, o dall’abbandono di quanto era proprio del modo di vivere passato; la seconda è la fase di margine o liminare, un periodo intermedio nel quale il soggetto non è più quello che era e non è ancora quello che sarà, e durante il quale si sperimentano prove fisiche e morali e si ricevono insegnamenti; la terza è la fase della reintegrazione, che comporta l'acquisizione definitiva del nuovo ruolo, e quindi il rientro nella società con uno status differente. I riti mettono in atto una dinamica simbolica che ha a che fare con la morte (alla situazione precedente) e la rinascita (in una situazione nuova). Il programma dell’istituzione “Il Collège de sociologie” si propone di studiare le scienze sociali applicandole all’analisi della società contemporanea, più che di quelle primitive, sottolineando la presenza attiva del sacro nella società e negli atti di vita quotidiani. 6.2 Sociologia di area tedesca Gli studi di area tedesca provengono principalmente dalle idee di Karl Marx il quale considerava l’aldilà come una consolazione proposta ai lavoratori per la loro situazione attuale di sfruttamento, la carità come uno strumento per lavare la coscienza agli sfruttatori e in generale la religione come “oppio dei popoli” e quindi strumento di una consolazione illusoria. Friedrich Engels parlerà di “religioni naturali” che nascono dall’ignoranza nei confronti dei fenomeni naturali e studierà del cristianesimo delle origini mettendo in evidenza gli elementi che ha in comune con il socialismo. Troeltsch differenzierà, invece, tre tipologie: della chiesa, della setta e della mistica. La prima, a cui si appartiene per nascita, si adatta al mondo e aspira all’inclusione di tutti tutti. Alla setta invece si appartiene per scelta, inoltre essa nasce staccandosi dalla chiesa e non fa compromessi con la società. La mistica infine consiste nella riduzione a interiorità e immediatezza del mondo di idee che diventa possesso puramente interiore e personale dell’anima. Max Weber si concentrerà sui concetti di “tipo ideale”, “carisma” ed “etica economica della religione”. Quanto al primo, Weber si pone un problema metodologico: al fine di studiare efficacemente le esperienze umane dobbiamo ricorrere a concetti che riducano la complessità dei dati. La soluzione che propone consiste nell’introduzione della nozione di “tipo ideale”, essa prevede la selezione di alcuni fenomeni particolari che consideriamo rilevanti e il collegamento di essi attraverso un’operazione che comporta la selezione di uno o alcuni dei tanti punti di vista che possiamo avere. Una volta costruiti il tipo ideale lo si impiega come griglia per leggere la realtà e se ne utilizza così la sua utilità nello studiare i fenomeni. Il secondo punto è il “carisma”, parola di origine cristiana che viene impiegata a indicare i doni dello Spirito Santo. Questi possono essere doti straordinarie come la capacità di compiere guarigioni, la capacità di svolgere un compito all’interno della comunità come governare, la vocazione ad un genere di vita… Per lui si tratta quindi di una qualità straordinaria attribuita ad una persona che viene riconosciuta come dotata di forze eccezionali, magari inviata da Dio, e quindi portatrice di un valore esemplare. Queste particolari qualità vengono, così, riconosciute dal gruppo di seguaci che si formerà intorno ad essa, dando vita ad un movimento in cui il gruppo aderisce alla “causa” e condivide la “missione” della guida. Si tratta di un potere fragile che, talvolta, dopo la morte del fondatore, si trasforma in un’istituzione. L’ultimo concetto weberiano è quello di etica economica delle religioni. Per Weber fra religione ed economia esiste un’interdipendenza. Le credenze e le dottrine religiose sono infatti in grado di fornire impulsi pratici all’azione. In questo consiste appunto l’etica economica delle religioni: certe rappresentazioni religiose inducono costumi, forme di comportamento che determinano schemi psicologici e culturali ai quali conseguono risultati economici. Lo studioso cerca le origini dello spirito capitalistico e costata che il capitalismo è emerso nel XVI-XVII secolo in ambiti in cui la professione di fede di riferimento era quella calvinista. Spiega tutto ciò attraverso due concetti: il fatto che secondo questa fede la salvezza non nascesse dai meriti che si acquisiscono per le opere di bene compiute in vita, ma è piuttosto un dono di Dio; il fatto che Dio ha già deciso dall’eternità chi giungerà alla salvezza (concetto di predestinazione). Quindi chi è stato scelto dal Signore è oggetto della sua benedizione, e il successo economico è visto come segno di questa benedizione (segno che gli conferma di essere salvati). Da questo concetto ne deriverebbe lo stimolo a lavorare per produrre ricchezza e ad abbandonare al sovrappiù e ai piaceri non necessari nella quotidianità per concentrare tutti i propri sforzi nello svolgimento del lavoro al fine di avere sempre più successo. Attraverso questa logica il mondo diventa qualcosa di interamente controllabile tramite strumenti razionali, per cui non è più espressione di quelle “potenze imprevedibili e misteriose” che aprivano la strada alla magia e alla religione. 6.3 La psicologia della religione figura di riferimento (Gesù, Mosè…). O anche le idee a proposito del mito, in cui Pettazzoni si pone il problema d’individuare, in civiltà che non possiedono il termine, la presenza di racconti mitici. Ritiene quindi che i miti siano racconti che costituiscono la carta di fondazione di un gruppo sociale, e un racconto mitico è vero solo quando è riconosciuto come fondante da parte di una società. Nel momento in cui non è più creduto, perde il suo valore di verità e, se non scompare, permane sotto altre forme, come quella della favola. O, infine, le intuizioni riguardo la religione dell’Uomo, la quale ha come punto di riferimento la tensione verso una salvezza personale da conseguirsi fuori dalla storia in un ambito sovrannaturale, e la religione dello Stato, la quale non è rivolta al mondo ultraterreno ma è fondata su coerenza, impegno morale e disponibilità al sacrificio e alla morte per i propri ideali. Queste idee sono sottese dalla convinzione che la religione costituisca una risposta alle esigenze esistenziali dell’umanità. Capitolo 8 – Dalla fine della seconda guerra mondiale alla metà degli anni Ottanta 8.1 Caratteri generali del dibattito internazionale Per dare un’idea dei dibattiti sul metodo che si sono svolti negli anni che ci interessano possiamo prendere spunto dai congressi: quello del 1950 e del 1955 continuano seguendo le linee tracciate dagli studiosi precedenti, con un’impostazione fondamentalmente storico-filologica; in quella a Tokyo del 1958 comincia invece ad essere presente il problema della mutua comprensione tra occidente e oriente; al congresso di Marburgo nel 1960 Raphael Judah Zwi Werblowsky insiste sulla necessità di focalizzare lo studio su fatti empirici e demandare il discorso intorno al valore assoluto delle religioni ad altri campi del sapere autonomi e indipendenti come teologia e filosofia; al congresso di Claremont nel 1965 Wilfred Cantwell Smith ritiene che il termine religione non debba essere impiegato siccome, per lui, il concetto non ha un significato univoco poiché viene usato sia per riferirsi all’esperienza interiore del rapporto essere umano-Dio, che per esprimere esteriormente tale rapporto attraverso miti, riti, credenze. Egli propone dunque di ricorrere a un apparato concettuale diverso, che distingua le due componenti: la fede personale e la tradizione cumulativa; al congresso di Turku del 1973 Lauri Honko nota come il problema del rapporto tra fenomenologia e storicismo non sia più attuale in quanto le metodologie storiche hanno avuto la meglio, l’elemento nuovo, invece, è per lui il ruolo sempre più preponderante delle scienze umane e in particolare dell’antropologia. Intatti i momenti di incontro e scambio con l’antropologia sono frequenti, e spesso proprio gli antropologi che si sono dedicati in maniera quasi esclusiva agli studi sulle religioni hanno esercitato una forte influenza sulle ricerche storico-religiose; uno dei temi sul quale, negli ultimi decenni, il dibattito metodologico si sofferma è infine il rapporto fra studio delle religioni e scienze. Michel Meslin parlerà del divino come alterità, il quale sottende per lui ogni religione, tenendo in considerazione però che l’esperienza religiosa ha al suo centro l’essere umano e non può che essere frutto di una cultura particolare e di un contesto proprio. Bisogna quindi considerare le diverse tradizioni e le comunità che le forgiano, studiando la storia delle religioni come un’antropologia religiosa in ottica comparativa che sintetizza i vari approcci scientifici al fatto religioso. 8.2 Il circolo Eranos Il circolo Eranos, indipendente da qualunque condizionamento accademico, diventa uno dei centri propulsori di una certa idea di storia delle religioni. La sua principale attività consiste nell’organizzare un convengo annuale al quale partecipano alcuni fra i maggiori studiosi di storia delle religioni del tempo. Il principale animatore degli incontri è Carl Gustav Jung. I frequentatori del circolo condividono l’idea di una cultura che non sia frammentata nei settori disciplinari che coltivano gli specialisti ma che nasca dal confronto e dallo scambio di esperienze e ricerche riguardanti i diversi campi del sapere. Gli interessi di Jung sono rivolti a indagare una dimensione della sfera inconscia che non riguarda i vissuti personali, ammessi o rimossi che siano: quella dell'inconscio collettivo. Universale ed ereditario, l'inconscio collettivo si sarebbe formato mano a mano che l'umanità preistorica, di fronte alle esperienze cui era confrontata, ha foggiato modelli di comportamento primari ed elementari. Si tratta degli archetipi, che sono schemi/modelli originari. Nella prospettiva junghiana il simbolo o archetipo è un segno che rimanda a significati non conoscibili del tutto, cioè non completamente riducibili alla ragione. Ogni essere umano conosce il processo si individuazione, che è la costruzione progressiva della propria identità. Tale costruzione comporta in primo luogo un adattamento alle esigenze della vita sociale, che passa, ad esempio, attraverso la selezione delle caratteristiche appartenenti a un genere sessuale a discapito di quelle dell’altro. La definizione dell’identità personale avviene quindi, in un primo tempo, a prezzo della messa ai margini di tutta una serie di componenti del nostro essere che vanno sacrificate ma di cui si avverte la mancanza. Nel processo d’individuazione le componenti mancanti possono venire recuperate con lo scopo di giungere della realizzazione del sé, che avviene attraverso la riunione della totalità di tutte le dimensioni dell’essere poiché si tratta di riannodare un rapporto con sfere dell’esperienza proprie di ciascuno ma respinte nell'inconscio. L’universalità dell’inconscio collettivo dalla prospettiva degli studi sulle religioni si presta a fornire una base psicologica alla somiglianza dei simboli e alla legittimità della comparazione. Kàroly Kerényi pone come punto di partenza il tema dell’esperienza. Alcune esperienze della vita, del mondo e del sé rivelano qualcosa di inquietante, enigmatico, insondabile. In questo senso di mistero si trova, secondo Kerényi, la traccia del divino. Il fenomeno religioso consiste appunto nel “rivelarsi di qualcosa di divino” in cui, però, non ci troviamo difronte all’incontro tra due entità determinate, cioè l'essere umano da un lato e gli dèi dall’altro, con il conseguente problema di capire se i protagonisti dell’incontro siano sostanze che esistono entrambe, oppure uno dei due sia una proiezione e invenzione dell’altro, se di tratti quindi di due soggetti, o di un soggetto e un oggetto, o di due oggetti. Ciò che è primario è invece la relazione, la quale crea una globalità di cui fanno parte sia “soggetto” che “oggetto”. Si spiega, in questo quadro, l’idea del divino proposta dallo studioso: gli dèi vengono visti come “forme dell’essere” senza che avvenga la manifestazione di un essere poiché l’essere di trova proprio nell’atto del suo mostrarsi, atto che viene definito “evento”. L’evento del diventare manifesto del divino è concepibile ma irrappresentabile, quindi l’esperienza primaria dell’incontro con il divino costituisce un vissuto che non è oggetto di analisi poiché i fatti religiosi che studiamo vengono dopo: non possiamo dunque compiere un’analisi dell’esperienza originaria ma solo di fatti religiosi specifici. Lo studioso distinguerà, poi, il “mito genuino” dal “mito tecnicizzato”. Il primo ha un carattere intuitivo, spontaneo, disinteressato e comunitario e, nel momento in cui non è più direttamente vissuto e si oggettiva, diventa mitologia. Il secondo nasce dalla forte potenzialità emotiva e comunicativa del mito, la quale può risultare uno strumento politico utile se manipolato. Henry Corbin sostiene si possano distinguere tre livelli di realtà: il mondo fisico sensibile, fenomenico, terrestre; il mondo soprasensibile; il mondo delle pure intelligenze degli arcangeli. Ai tre universi corrispondono sia tre facoltà conoscitive (sensi, immaginazione e intelletto), che tre componenti dell’essere umano (corpo, anima e spirito). All’immaginazione, facoltà conoscitiva del mondo soprasensibile, si devono però riconoscere un carattere pienamente obiettivo e reale siccome non consiste in giochi retorici né allegorie, ma ha un autentico potere rivelativo in quanto chiave di lettura per quella dimensione intermedia. 8.3 La fenomenologia della religione Claas J. Bleeker intende porre in luce il significato religioso dei fenomeni, la loro struttura e la loro dinamica prestandosi ad un dialogo più ravvicinato con le prospettive storiche e più distanziato da quelle filosofiche. Geo Widengren pone il problema di come mettere in rapporto la metodologia storica e quella fenomenologica sostenendo che occorre tenerle distinte. Condivide inoltre il principio secondo cui il mito è il testo che accompagna l’azione sacra e deve essere dunque studiato all’interno della pratica culturale con lo scopo di individuare il mito e modello rituale delle civiltà antiche. Ake Hultkrantz definisce la fenomenologia della religione come lo studio sistematico delle forme di religione classificando e investigando concezioni religiose, riti e tradizioni mitiche da punti di vista comparativi di tipo morfologico-tipologico. Suoi scopi sono la ricerca di funzioni e strutture dei fenomeni, la comprensione del significato di un fenomeno religioso all’interno della cultura di riferimento. Mircea Eliade, per lui la storia delle religioni è una disciplina autonoma in quanto possiede un oggetto proprio e irriducibile ad altro. Eliade considera il sacro come qualcosa di totalmente altro rispetto alle conoscenze e alle percezioni che possiamo avere. Di fronte ad esso si trova l’essere umano, contrassegnato da limitatezza e finitezza. La religione nasce dall’incontro tra il sacro che si rivela e l’essere umano che ne fa esperienza. L’incontro può avvenire solo se qualche cosa svolge il ruolo di mediatore: si tratta del simbolo. Nelle diverse tradizioni religiose i simboli presentano somiglianze che fanno pensare a modelli comuni ai quali si conformano e tali modelli sono definiti “archetipi” e hanno carattere universale. Eliade è interessato il valore schematico di mediatore fra sacro e infinita molteplicità dei simboli di questi archetipi. L’esperienza religiosa non caratterizza una fase dello sviluppo della coscienza (evoluzionismo), ma fa parte della struttura stessa dell’essere umano e attraverso la conoscenza delle produzioni religiose dell’umanità si scoprono sempre nuove potenzialità di manifestazione del sacro. Il compito dello studio delle religioni deve essere quello di raccogliere i significati che le singole culture attribuiscono ai simboli e cercare, dietro ad essi, il senso universale che possiedono in quando espressioni del rapporto fra umanità e divinità. Secondo Eliade il rapporto fra l’umanità e il sacro si è declinato nella storia in diversi modi. Nelle religioni “tradizionali” è centrale il concetto di “terrore della storia” che porta a negare il divenire per cercare di ancorarsi a qualche cosa di saldo, eterno e atemporale. In queste civiltà, inoltre, il cosmo è costituito da simboli come acqua, montagne, alberi, sole, luna… come luoghi in cui il sacro si rivela. L’ebraismo avrebbe determinato una rottura nei confronti dell’universo arcaico, in quanto il sacro vi si esprime attraverso la storia, che quindi viene valorizzata. Il cristianesimo sviluppa ulteriormente questo tema con l’idea di un Dio che si incarna in una dimensione storica, ma mantiene comunque una valorizzazione simbolica delle realtà naturali. Nel mondo contemporaneo, infine, la storia è spogliata, secondo lui, di quel significato divino che aveva determinato la sua valorizzazione e diventa autonoma. Il campo di specializzazione storica di Eliade è quello dell’India, si dedica a ricerche sullo yoga, sullo sciamanesimo, sull’iniziazione e anche sull’alchimia. Una crisi particolarmente acuta della fenomenologia classica comincia ad essere sensibile a metà degli anni Settanta. Oltre alla ripresa dei temi fenomenologici classici si registrano diversi tentativi di una rifondazione della fenomenologia in tempi moderni che tenga conto delle critiche che si sono esposte e le superi. 8.4 Gli orientamenti storici L’oggetto primario delle ricerche di Angelo Brelich è il mondo classico, greco e romano, studiato attraverso una comparazione attenta alle civiltà orali. Il suo metodo insiste sull’idea della comparazione “differenziale”. Se l’interesse delle fenomenologie è rivolto alle analogie tra fatti, credenze e simboli, per Brelich la funzione primaria del metodo comparativo è di individuare le differenze fra le varie culture. Rimane comunque il fatto che ogniqualvolta si compara la diversità, si stagliano sul fondo delle analogie. Per giustificare l’esistenza di tali somiglianze Brelich ricorre all’ “unita della storia umana”, cioè alla teoria secondo cui il primo gruppo umano compare in una certa zone della terra e in una determinata epoca, e a partire da quel centro le culture si diffondono in una complessa rete di relazioni, incontri e scambi. Alcuni tratti culturali possono essersi però formati in una fase talmente remota da essere diffusi dappertutto, in quanto probabilmente precedenti la divisione (ad esempio i riti di passaggio). Quanto all’oggetto della disciplina, il concetto di religione è nato e si è sviluppato nel seno della civiltà post-classica e per poterlo impiegare scientificamente occorre evitare di trasformarlo in una cosa che esiste sono da qualche parte e darne una definizione funzionale. Brelich parte dall’esame di casi concreti che riguardano ambiti classici di studio della disciplina e, così facendo, costruisce una teoria degli esseri sovrumani, del mito e del rito che sbocca in una teoria della religione di genere. Riguardo gli esseri sovrumani si riferisce, ad esempio, ai signori degli animali presenti nelle civiltà di caccia e raccolta in cui, per procurarsi il cibo, dovevano instaurare relazioni con il signore presentandogli delle offerte. In questo modo si consente un controllo su quel che altrimenti sfuggirebbe alla presa da parte dell’uomo: all’essere sovrumano si delega il compito di affrontare l’incontrollabile attribuendogli il ruolo di protettore. Il miro è considerato come un racconto fondante della società: il suo scopo non è quello di spiegare qualcosa né di rassicurare o consolare, ma quello attribuire significato a eventi importanti della vita umana o di un gruppo radicandoli a un fondamento che si trova in un tempo al di là della storia. Ogni mito fa quindi riferimento alle origini: dovendo giustificare l’esistenza di una realtà, illustra una situazione primordiale diversa da quella attuale, durante la quale quella realtà ancora non esisteva o era differente da come è oggi e mostra come essa è venuta alla luce. L’ultimo caso è quello del rito: la pubertà, ad esempio, è un evento puramente biologico che ha luogo indipendentemente dalla volontà di chi la vive e del suo gruppo, ma se viene ritualizzata assume un significato umano, e quindi diventa oggetto di controllo da parte della società. Quest’ultimo caso esplicita forse ancora più chiaramente degli altri la funzione che Brelich attribuisce alla religione, che è di ricondurre alla portata dell’uomo ciò che è umanamente incontrollabile. La prima preoccupazione di Ernesto de Martino è stata quella di fondare un’etnologia storicista. Si allontanerà però dal suo primo punto di riferimento, Croce, rendendosi conto dei limiti della sua prospettiva. Infatti De Martino sosterrà che il tema della realtà dei poteri magici non può essere affrontato senza porre tra parentesi il sistema concettuale della civiltà europeo-occidentale. Non si limita però a questo: suggerisce che la realtà stessa è culturalmente costruita, per cui abbiamo a che fare con due realtà diverse. Le esperienze magiche hanno dunque, presso culture altre e anche presso certi settori della nostra, una loro verità, che non è quella della ragione occidentale ma si fonda su un differente approccio al mondo e, dunque, su un modo diverso di costruire il mondo stesso. De Martino pone all’origine delle credenze e delle idee religiose delle civiltà orali il rischio di non esserci, cioè di perdere la propria presenza nel mondo (=vivere nel mondo superando il mero dato biologico e dando un significato a ciò che si fa, non subisce solo le situazioni nelle quali è coinvolto ma è in grado di conferire loro un significato). Ora, la presenza, così caratterizzata, non è ancora stabilita nelle società primitive, la presenza/l’esserci è un processo e non un dato di fatto, e questo la rende fragile. I momenti critici dell’esistenza la mettono in forse e comportano il rischio forme di sapere forte. Il postmoderno privilegia le disconnessioni, le frammentazioni, le ibridazioni, una prospettiva che va contro i codici dominanti e si presenta come anticonvenzionale. Per cercare di cogliere n maniera più precisa le conseguenze del clima post-moderno sul piano delle storia delle religioni occorre prima precisa la nozione di modernità alla quale ci riferiamo. Il concetto di modernità è infatti a sua volta discusso e controverso. Per Havieu- Léeger la modernità si può declinare secondo tre assi: il primo è costituito dalla progressiva razionalizzazione, cioè dall’imporsi delle interpretazioni razionali delle realtà che conseguono ai progressi tecnici e scientifici; il secondo consiste nell’autonomia dell’individuo e del cittadino che tende a non cercare il fondamento della propria vita individuale e sociale al di fuori di sé stesso, in qualche cosa di superiore, ma piuttosto nella propria ragione, nella propria libertà di scelta; il terzo è la separazione del religioso dal politico: se nella civiltà antiche la dimensione religiosa pervade tutta l’esistenza umana, la modernità pare confinare la religione in una sfera particolare e ben delimitata dell’esperienza. La modernità, legata a questo tre processi, conduce alla secolarizzazione, ovvero il processo tramite il quale settori della società e della cultura sono stati sottratti all’autorità delle istituzioni e dei simboli religiosi. Già negli anni Settanta, comunque, emergono i segni di quella che è parse un’inversione di tendenza tutt’ora in corso. Si è dunque cominciato a parlare di postmoderno e di post-secolare. 9.2 La crisi dei paradigmi di scientificità La crisi della modernità ha toccato anche la maniera di intendere l’attività di ricerca. Il paradigma moderno si può dire fosse caratterizzato dalla fiducia nella possibilità di giungere a un sapere storico-critico e la messa in discussione di tale impostazione è legata a diversi fattori culturali. 1) Il primo è una critica alla formulazione dell’idea della conoscenza come immagine mimetica della realtà, ovvero il principio secondo il quale la verità consiste nella corrispondenza dell’intelletto che conosce e della cosa conosciuta. Ad esempio Thomas Kuhn mette in discussione l’idea del progresso scientifico come accrescimento cumulativo di conoscenze e l’idea che esistano criteri oggettivi che consentano di valutare la scientificità di un enunciato. Quanto agli studi sulle religioni, da tempo non si considerava più sostenibile la pretesa di giungere a una conoscenza oggettiva, senza residui delle realtà storiche e sociali. È stata ad esempio presentata una formulazione del problema secondo la quale la verità non è soggettiva né oggettiva, ma intersoggettiva, nel senso che rispecchia le convinzioni condivise di chi fa parte di un certo gruppo. La conseguenza di questa affermazione è che i diversi contesti sociali fanno storia delle religioni ciascuno a modo suo. 2) Il secondo tratta del principio secondo il quale il linguaggio non descrive la realtà, ma ha un ruolo strutturante nei suoi confronti. Questa idea implica un interesse crescente nei confronti dello studio delle formulazioni linguistiche che, nel campo delle ricerche religiose, comporta la necessità di tenere conto delle critiche della filosofia analitica al linguaggio religioso e, sul piano della pratica della ricerca, l’insistenza sull’importanza del lessico e su tutta una serie di problemi linguistici, primo fra i quali quello della traduzione. Determina quindi una crisi dei tradizionali criteri di validità storica. 3) Il terzo riguarda l’imposizione in antropologia della distinzione fra l’ “etico” e l’ “emico” che differenzia uno studio svolto dall’interno e dall’esterno di un dato complesso culturale. Questa opposizione tende ad essere considerata come una contrapposizione fra approccio confessionale (religiologico, teologico) e aconfessionale. Assume sempre maggiore importanza nella misura in cui ogni approccio che si voglia distaccato e neutrale può assumere, in quanto “esterno”, i tratti di qualcosa di “imposto dall’esterno” e quindi irrispettoso della diversità e dell’autonomia del suo oggetto. Tutto ciò conduce ad una forte revisione dei metodi e delle pratiche di ricerca. 9.3 Le prospettive post-strutturaliste: Foucault e Derrida Foucault propone l’idea che sia fondamentale per capire società e coscienza, andare al di sotto della loro superficie per cogliere il “sistema” che le sottende. Ogni cultura è governata da un ordine per epistemi, ovvero l’insieme delle griglie concettuali inconsce e anonime che stanno alla base dei molteplici saperi di una certa epoca, dei quali costituiscono il sottofondo comune. Le epistemi mutano senza che la mutazione abbia un senso teleologico, abbia un carattere evolutivo e sia, in fin dei conti, spiegabile. Portare alla luce le epistemi significa compiere un’operazione archeologica. Alla fine si scopre che quel che rende l’uomo possibile è in fondo un insieme di strutture di cui non è il soggetto. Parlerà poi anche di come ogni società sia costituita da rapporti di forza e di come il potere sia appunto la molteplicità dei rapporti di forza immanenti al campo in cui si esercitano. Lo stato è, secondo Foucault, sovrastrutturale in rapporto alle reti di potere, al punto che non si può distinguere semplicemente dominanti e dominati dal momento che ciascuno fa parte al contempo dell’una e dell’altra categoria. Derrida critica la tradizione “logocentrica” che ha dominato il pensiero occidentale. Questa è caratterizzata dalla centralità della presenza a sé stessi come caratteristica della coscienza e dalla centralità del soggetto. Occorre invece cercare di pensare al di fuori di questi canoni e Derrida suggerisce strategie per farlo. Il linguaggio parlato è naturale e spontaneo e presuppone la presenza di chi parla; la necessitò del linguaggio scritto nasce nel momento in cui questa presenza non c’è: volontà di sostituire la cosa assente naturale con qualcosa di artificiale che ne costituisca il supplemento. L’artificiale rompe con la natura e così risulta pericolo e ambiguo. Noi non abbiamo a che fare con la presenza ma con questi supplementi artificiali. Il segno scritto, così, sta al posto della parola parlata e quindi diverge da essa e la differisce. Il testo è un tessuto di tracce mai riconducibili ad una presenza. Leggere un testo comporta l’uso di una strategia decostruzionista che consiste nello smontare il discorso che è stato costruito: ciò dà origine agli orientamenti decostruttivi. Tra gli studiosi di questo orientamento ricordiamo Bruce Lincoln che studia le religioni come produzioni ideologiche finalizzate a scopi politici, sociali ed economici, cercando di mostrare le dinamiche attraverso le quali esse sono funzionali a sostenere oppure a contestare lo status quo sociale. Ciò lo porterà a leggere la presenza di fatti religiosi simili nelle diverse culture senza ricorrere al diffusionismo o a strutture astoriche, ma considerando le somiglianze come risposte indirizzate a situazioni di tensione sociopolitica. Questi nuovi orientamenti del dibattito portano l’attenzione verso le civiltà oppresse dalle pratiche di potere occidentali e verso le categorie sociali marginalizzate. 9.4 Orientalismo, studi post-coloniali e studi di genere L’attenzione rivolta verso le realtà marginalizzate della cultura occidentale e lo studio delle aree marginali rispetto ai sistemi sociali o religiosi dominanti hanno assunto ulteriore rilievo. Edwars Said studia alcuni testi provenienti da quella che viene chiamata “orientalistica” in ambito britannico e francese. Lo fa partendo dal presupposti che sono stati i discorsi occidentali a creare l’Oriente, e lo hanno fatto con lo scopo di ridurlo ai propri parametri, l’orientalismo è quindi il modo occidentale per esercitare la propria influenza e il proprio predominio sull’Oriente che in fin dei conto non ci dice nulla a proposito delle civiltà altre, ma riguardo l’immaginario occidentale. Un predominio che è prima di tutto coloniale, ma ha un valore culturale più generale. Le sue ricerche sono state determinanti per lo sviluppo degli studi post-coloniali, i quali sviluppano l’idea che l’incontro con i soggetti appartenenti a culture diverse dalla propria consenta agli antropologi anche di esplorare la propria, e che esista una pluralità di mondi, ognuno con la sua realtà e le sue leggi, che l’antropologo non deve interpretare tramite le sue categorie scientifiche occidentali, ma deve entrare in essi e venirne trasformato. Sempre negli anni settanta subiscono un rinnovamento, in risposta allo stesso clima culturale, gli studi delle donne e sulle donne. Margared Mead, ad esempio, tramite ricerche sul campo presso popolazioni indigene del pacifico mostra l’importanza dell’educazione nel plasmare la differenza sessuale. Francoise Héritier che ritiene che il pensiero umano funzioni secondo categorie binarie: quella che oppone maschie e femminile nasce da constatazioni elementari dell’esperienza e si traduce in una griglia interpretativa generalmente presente. Gayle Rubin che distinguerà il sesso, come elemento biologicamente e anatomicamente connotato, e il genere, come costruzione sociale che elabora le categorie di maschile e femminile stabilendo identità e ruoli. In generale in queste prospettive post-strutturaliste il genere è considerato come espressione di rapporti di potere e quindi di gerarchie. Alla base, comunque, si trova una griglia di lettura della realtà che è androcratica e da ciò nasce l’esigenza di una critica radicale che smonti queste costruzioni sociali, con la necessità di proporre un pensiero delle donne sulle donne. A questa si associa la volontà di riscoprire, nei testi della civiltà androcratica, le tracce di un femminile che divenne “invisibile”. La religione, quale contribuisce alla produzione della discriminazione femminile e dà un supporto al mantenimento delle gerarchie sociali, può, d’altra parte, rappresentare per le donne uno spazio alternativo in cui esercitare un’autorità che non sarebbe altrimenti ammissibile. Gli orientamenti femministi laici tendono a leggere la religione come un insieme di pratiche e rappresentazioni funzionali al dominio androcratico, soprattutto per quanto riguarda la tradizione ebraico- cristiana. 9.5 La critica dei concetti e delle categorie La critica decostruttiva consiste nello smontare un concetto per metterne in luce le componenti e i meccanismi. Ivan Strenski ricerca dei condizionamenti socioculturali che hanno determinato la costruzione del sapere. I concetti di mito, religione, sacro e molti altri sono ridiscussi e l’intera storia delle religione può essere considerata come una serie di teorie che costruiscono il loro oggetto secondo esigenze di vario genere, da quelle coloniali a quelle accademiche. Quanto al termine religione, si rileva il fatto che esso nasce in un preciso ambito culturale, quello romano, si sviluppa all’interno del mondo cristiano, che gli attribuisce significati conformi al suo modo di pensare e per spiegare realtà diverse dal proprio sistema di valori. Così, si costruisce artificialmente una religione anche in sistemi culturali nei quali non esiste un termine che ne ricopra l’esatta area semantica. Insomma, attribuire agli altri una religione e poi studiarla significherebbe sovrapporre forzatamente le nostre categorie concettuali a realtà che funzionano diversamente facendo loro violenza e condannandoci a fraintenderne le caratteristiche. Jonathan Z. Smith parla di come la religione sia esclusivamente una creazione della ricerca dello studioso. È creata per gli scopi analitici dello studioso dai suoi atti immaginativi di comparazione e generalizzazione. La religione non ha una sua esistenza al di fuori dell’accademia. Un secondo concetto degli studi sulle religioni che viene de-costruito è quello del mito. Marcel Detienne mostra l’impossibilità di riconoscere nel mito un genere letterario o un tipo di racconto specifico. Strenski sostiene che non esista il mito ma un prodotto chiamato mito, se esiste un prodotto esiste anche l’industria che lo fabbrica e questa fabbricazione dipende da bisogni, esigenze, richieste dettate dal contesto storico e culturale. Dell’uso del concetto mito si è dunque contestata la legittimità al di fuori della cosiddetta cultura occidentale, dove esso assume un valore polisemico a mutevole a seconda dei momenti storici, delle categorie di persone che lo impiegano, delle esigenze cui risponde. La parola mito diventa un involucro vuoto, pronto ad essere riempito secondo gli interessi di una società o anche di uno studioso. Un altro termine oggetto di studio è “sacro”. Esso è stato messo in questione per le valenze trans-storiche che gli vengono assegnate. Infine si parlerà della comparazione, in cui le principali obiezioni sono che: appiattisce le differenze culturali dando un’impressione di falsa uniformità che mortifica le peculiarità dei singoli contesti; la storia comparata delle religioni è troppo descrittiva e poco interpretativa, si limita infatti a trovare somiglianze e differenze senza saperne analizzare e spiegare le cause. 9.6 Caratteristiche del dibattito Il primo dato da sottolineare tra i profondi mutamenti è lo spostamento del baricentro delle ricerche dall’Europa ai paesi extraeuropei, con una evidente centralità degli Stati Uniti. Tra le maggiori caratteristiche degli studi recenti ci sono l’accresciuto interesse per le questione metodologiche e lo sviluppo della ricerca storiografica. Infine va menzionata l’insistenza su questioni attuali come il rapporto fra religione e politica, fra religione e violenza, fra religione e mass media, fra religione e ambiente, fra religione e istanze etiche e sistemi giuridici. 9.7 Neuroscienze e “scienze cognitive della religione” Settore che presenta prospettive numerose e molto diverse. Ricordiamo Ioan Petru Culianu che con i suoi studi ritaglia, all’interno della disciplina, un campo di indagine specifico in cui ha avuto un peso rilevante l’insegnamento di Darwin. Non è pero all’evoluzionismo culturale che si riferiscono gli studi cognitivi, ma alla rilettura di alcuni punti chiave della prospettiva darwiniana. Innanzitutto viene ripresa l’idea che i comportamenti degli esseri viventi siano selezionati sulla base della loro funzionalità a rispondere alle esigenze dell’ambiente. Esiste inoltre una continuità fra la specie umana e le altre specie animali, che si esprime non solo sul piano fisico ma anche su quello mentale dei comportamenti. Lo studioso scrive che le proprietà universali delle menti umane è probabile impongano forti costrizioni cognitive sull’ordine e l’organizzazione delle rappresentazioni sociali. Ma cosa contraddistingue all’interno di queste impostazioni ciò che è religioso dal resto? La risposta sta nell’approccio immediato alla realtà che avviene attraverso organi di senso tipico delle idee religiose, nella loro appartenenza all’esperienza ordinaria, dal fatto che esse per spiegare le cose della vita ricorrano a entità extra-umane e processi non osservabili. Le idee religiose, per sopravvivere ed essere trasmesse, non devo andare in maniera radicale contro l’intuizione, ma mettere insieme elementi contro-intuitivi e intuitivi. Si tratta allora di capire come sia stato possibile che comportamenti apparentemente non funzionali allo scopo siano siano stati selezionati dall’evoluzione, e una delle teorie più quotate sostiene che la religione sia un “effetto collaterale”: le religioni non nascono da bisogni adattivi, ma derivano secondariamente da sistemi cognitivi elaborati per altri scopi, come sopravvivere. D’altra parte Richard Dawkins considera le credenze e gli atteggiamenti religiosi alla stregua di prodotti indiretti di processi cognitivi propri
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