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Riassunto - Golem. Tutto quello che dovremmo sapere sulla scienza, Dispense di Sociologia della Scienza

Tale documento è il riassunto relativo al libro scritto da Harry Collins e Trevor Pinch. È stato scritto cercando di mantenere la base pensata dagli autori. L'attenzione è stata rivolta ai punti più importanti del discorso, cercando, allo stesso tempo, di fornire gli elementi necessari per inquadrare il contesto di ogni controversia discussa.

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 28/06/2024

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Scarica Riassunto - Golem. Tutto quello che dovremmo sapere sulla scienza e più Dispense in PDF di Sociologia della Scienza solo su Docsity! Sociologia della Scienza IL GOLEM Che cos’è la scienza? È un golem. Una creatura mitologica ebraica, potente, che obbedisce ai nostri ordini ma che è maldestra. Nella lingua Yiddish proveniente dal ghetto dell’est Europa, “goilem” è una metafora x indicare un qualunque goffo idiota che non conosce né la propria forza né la portata della sua goffaggine ed ignoranza. Sulla fronte c’è riportato in ebraico la parola EMETH che significa verità, è la verità che lo muove ma non è detto che la conosce. Uno dei concetti più importanti del libro è: “regresso dello sperimentatore”. CAPITOLO 1 CONOSCENZA COMMESTIBILE: IL TRASFERIMENTO CHIMICO DELLA MEMORIA Tra gli anni 50’ e 70’ era diffusa l’idea per la quale un giorno saremmo stati in grado di costruire la nostra memoria in maniera molto meno faticosa del solito. James V. McConnell e Georges Ungar erano convinti di poter dimostrare, attraverso esperimenti su vermi e ratti, che la memoria era immagazzinata in componenti chimiche che potevano essere trasferite da un animale all’altro, con tutti i vantaggi conseguenti. I vermi: I primi esperimenti che McConnell condusse erano sui vermi (platelminte). Lo scienziato come prima cosa insegnò ai vermi ad inarcarsi quando esposti ad un fascio di luce. Per fare ciò espose i vermi ad una fonte luminosa per 3 secondi e, nell’ultimo secondo, anche ad una scossa elettrica. I vermi che dopo la ripetizione di questo processo, inarcavano il loro corpo alla sola esposizione della luce si consideravano “addestrati”. In seguito, attraverso diversi esperimenti come, sezionamento dell’animale, somministrazione di carne “addestrata” ad animali non addestrati, cercò di provare l’idea per la quale la memoria potesse essere trasferita chimicamente. Alcuni di questi portarono a dei risultati soddisfacenti. Ma per diverse ragioni sia di carattere tecnico che specifiche dello stesso McConnell non vennero accettate. Dal punto di vista tecnico le più importanti erano legate alla distinzione tra addestramento e sensibilizzazione, e ai fattori di disturbo e ripetibilità. La prima verteva sulla capacità tecnica da parte degli scienziati di saper condurre gli esperimenti per/ Nel primo caso l’opposizione sosteneva che i vermi non potevano essere addestrati e si trattava solo di renderli più sensibili, invece, per McConnell esisteva una profonda differenza che poteva essere ripetuta solo attraverso una grande capacità tecnica da parte degli scienziati (quindi non sempre). Nel secondo caso i molti fattori che vennero categorizzati come disturbanti e variabili (primo tra i quali le conseguenze della sbavatura dei vermi) da McConnell, categorizzate, dall’opposizione, come scuse per giustificare la non ripetibilità delle scoperte iniziali. Invece, dal punto di vista personale, McConnell era uno scienziato insolito, che non rispettava la convenzione scientifica. Fra i suoi atti non convenzionali il più importante è stato la fondazione di “The Worm Runner’s Digest”, una rivista della quale si servì per rispondere alle numerosissime lettere da parte di studenti di scuola superiore che, data la sua semplicità, ripetevano l’esperimento e ponevano a McConnell questioni su di esso. Inoltre, in questa rivista c’erano anche delle vignette e burle a sfondo scientifico. Ciò mise in cattiva luce McConnell e i suoi esperimenti. Nel tentativo di salvarsi dalle cattive considerazioni, fondò un’altra intervista, più seria, sulla base della prima “The Journal of Biological Psychology” che però fu fallimentare. Nella conclusione di questi esperimenti le critiche sulla capacità tecnica si dissolsero, considerando come fattore determinante per la riuscita degli esperimenti sui vermi, al pari di quelli condotti sui mammiferi (ratti). I ratti: Lo scienziato che più di altro contribuì agli esperimenti sul trasferimento di conoscenza da un animale ad un altro fu Georges Ungar. I primi esperimenti che fece volevano mostrare che si poteva trasferire la tolleranza alla morfina e che si poteva trasferire l’assuefazione ad un determinato stimolo (suono campana). Le pubblicazioni dei risultati non vennero accolti dalla comunità scientifica del 66’ che già si presentava divisa per via dei precedenti esperimenti sui vermi. Le sperimentazioni più famose di Ungar sono quelle del 67’. In questi esperimenti, i ratti dovevano scegliere se entrare in una scatola illuminata o in una buia. La preferenza dei ratti è per quella buia ma una volta qui venivano rinchiusi e sottoposti ad una scarica elettrica x 5 secondi. Tra il 65 e il 75 Ungar e il suo team di scienziati ricavarono una serie di risultati promettenti, dato che su 128 esperimenti condotti, solo 23 ebbero esito negativo. Purtroppo, ciò non bastò per dimostrare la credibilità dei suoi esperimenti alla comunità scientifica. Oltre a ciò, Ungar non godeva di rispettabilità e di fama oltre, così come l’istituto di ricerca di provenienza. Il dibattito sul trasferimento di memoria tra i mammiferi si fece più acceso quando si aggiunse la Standford University. Quest’ultima voleva replicare gli esperimenti di Ungar al fine di dimostrarne la fondatezza. Le differenze tra gli esperimenti condotti da Goldstein (dirigente esperimenti Standford) e da Ungar erano molteplici, le più importanti riguardavano la differente interpretazione dei risultati ricavati, le tipologie di misurazione (come il discorso sulla “latenza”) e gli oggetti utilizzati per l’esperimento. Ungar riteneva il lavoro di Goldstein nettamente lontano dal suo. Nonostante questo, acceso dibattito, Ungar continuò con i suoi esperimenti. Il suo obbiettivo era quello di isolare, analizzare e sintetizzare molecole attive. Concentrando le sue ricerche sull’esperimento denominato “paura del buio”, Ungar cominciò ad estrarre una sostanza che divenne famosa con il nome di Scotofobina. Però, anche tali esperimenti non arrivarono ad una conclusione definitiva, la Scotofobina era una sostanza difficile da reperire e della quale si sapeva ancora troppo poco. Successivamente, addestrò 17.000 pesci rossi dai quali estrasse 750g di materia cerebrale, ma questa era ancora insufficiente a identificare la struttura chimica delle presunte sostanze condotti dai suoi oppositori non rispettassero tutti i parametri di quello originario (primi tra altri l’”altitudine” e la “minima schermatura possibile”), concludendo che la prova dell’esistenza del vento d’etere era ancora molto forte. Altre prove della relatività, suffragavano l’idea che la teoria della relatività fosse corretta, così i risultati di Miller persero di significato. Le nozioni di “anomalia” è utilizzata in due modi in ambito scientifico: x descrivere un dato fastidioso “la trascureremo, è solo un’anomalia”; x indicare un problema serio “sono state riscontrate serie anomalie nella teoria esistente. I risultati degli esperimenti di Michelson erano inizialmente visti come seri problemi x la teoria dell’etere. Tali risultati negativi si trasformarono in scoperte, quando la teoria della relatività iniziò ad acquisire consensi. In seguito, i risultati ottenuti da Miller vennero considerati come un dato fastidioso, una seccatura che occorreva giustificare. Quindi, il significato di un risultato sperimentale dipende anche da ciò in cui le persone sono pronte a credere. Michelson e Morley non avrebbero potuto dimostrare la relatività, poiché addirittura nel 63’ alcuni esperimenti mostravano risultati non ancora chiari. Nel 1919 c’erano solo due persone che comprendevano la teoria della relatività generale: Einstein ed Eddington (ciò si basava su una battuta di Eddington). La teoria della relatività generale implica che per via dell’effetto del campo gravitazionale la luce che proviene dalle stelle dovrebbe essere deviata. Di conseguenza, la posizione occupata dalle stelle dovrebbe apparire spostata rispetto a quella in realtà occupano. Secondo Newton di 0,8 secondi d’arco, secondo Einstein di 1,7 secondi d’arco (1 sec arco = 1/3600 di grado). In scienza le previsioni riguardanti un determinato oggetto di studio per diventare delle teorie, devono essere confermate attraverso prove sperimentali. Nel caso delle teorie di Einstein ed Eddington, tale prova venne meno: le previsioni e le teorie si unirono assieme in un circolo vizioso di mutue conferme. Eddington decideva quali risultati dovevano essere considerati come dati sperimentali e quali come rumore, sulla base delle previsioni della teoria di Einstein e, le previsioni di Einstein vennero accettate solo perché le osservazioni di Eddington sembravano confermarle. L’esperimento di Eddington consisteva nel confrontarne la posizione delle stelle nel cielo con la loro posizione apparente quando la radiazione luminosa da queste emessa transita in prossimità del bordo del sole. In situazioni normali, la grande luminosità del sole impedisce di osservare le stelle ad esso vicine, tranne che durante un’eclisse solare. L’entità dello spostamento veniva valutata attraverso delle fotografie. Esse dovevano essere scattate nella stessa regione di cielo, in presenza ed in assenza del sole. È un esperimento molto complesso che richiede la massima accuratezza e la ripetizione delle stesse condizioni nelle fotografie di confronto e durante l’eclisse. Alcuni delle variabili che dovevano essere monitorate erano: la differenza di lunghezza focale, tra telescopio caldo (foto eclissi – giorno) e telescopio freddo (foto confronto – notte); le fotografie devono essere fatte con un’esposizione lunga, dai 5 ai 30 secondi; il telescopio deve essere mantenuto al contempo stabile e allo stesso tempo mobile (x compensare il moto di rotazione della terra), a sua volta la non-trasportabilità di telescopi in grado di fare tutto ciò implica l’utilizzo di celostati che, essendo composti a loro volta da parti meccaniche, rappresentano un’ulteriore fonte di errore. In generale, per questo esperimento intercorrevano variabili che potevano essere calcolate, altre solamente stimabili, altre sconosciute. Le osservazioni vennero eseguite da due squadre: A. Crommelin e C. Davidson a Sobral in Brasile, con un telescopio astrografico e uno da 10cm; Eddington e il suo assistente a Principe un’isola nell’Africa occidentale, con un telescopio astrografico. Le vennero divise tra quelle di buona e cattiva qualità e in base ai secondi d’arco. Le uniche che avevano una buona qualità erano quelle scattate a Sobral con il 10cm che mostravano un valore medio di 1,98 sec arco. Esse furono le uniche che vennero considerate come dati sperimentali, le altre vennero quasi completamente ignorate. Eddington giustificò questa posizione affermando che le uniche affidabili erano le foto del 10cm di Sobral, in quanto le altre erano affette da un errore sistematico (sopra la media). Eddington riuscì a spuntarla scrivendo gli articoli di rassegna, nei quali trascurò deliberatamente le altre fotografie. In contemporanea agli esperimenti di Eddington, vennero fatte delle rilevazioni con l’Astronomer Royal che confermarono quanto osservato da Eddington. A questo punto la comunità scientifica doveva decidere quali considerazioni tenere e quali ignorare, affinché si potesse concludere che tali osservazioni avevano evidenziato un preciso risultato numerico. Ricordiamo che le possibili opzioni erano tre: assenza di deviazione, deviazione di Newton, deviazione di Einstein; oltre a queste tre c’erano altre posizioni che all’epoca vennero escluse dalla retorica scientifica. Il fatto è: i risultati diedero ragione a d Einstein in maniera inequivocabile? No. Ma appunto si decise di non considerare tutte quelle voci fuori dal coro che mettevano in discussione la teoria di Einstein. Sebbene ci siano altre ragioni per credere nella fondatezza della previsione di Einstein, la prova della deviazione della luce stellare da parte del sole, almeno fino al 52’, era non decisiva o indicava un valore troppo alto per accordarsi con la teoria. Eppure, il 19’ rimane una data fondamentale nella storia della relatività. È forse perché la scienza ha bisogno di momenti decisivi nella verifica per mantenere la sua immagine eroica? Niente di tutto ciò che è stato detto fino ad ora vuole affermare che Einstein avesse torto. Ma è doveroso riconoscere che cosa furono esattamente questi esperimenti: descrivere i fatti secondo lo schema di una deduzione quasi logica di una previsione teorica, seguita poi da un tentativo di diretta osservazione, è assolutamente sbagliato. Gli esperimenti di Michelson-Morley e quelli di Eddington hanno in comune il fatto che sono sostenuti e allo stesso tempo sostengono la teoria della relatività, senza la quale ci sarebbe conflitto nei risultati ottenuti sia in un esperimento che nell’altro. Tale teoria era divenuta ancora più fondamentale quando si passò ad interpretare le osservazioni di Miller del 25’. Successivamente, venne confermata anche teoria del red shift. La teoria di Einstein implicava che anche la luce proveniente dal sole dovesse subire l’influenza nel campo gravitazionale del sole steso, in modo tale che tutte le lunghezze d’onda fossero traslate leggermente verso l’estremità rossa dello spettro. Secondo John Earman e Clark Glymour: “il red shift trovò conferme perché persone autorevoli furono d; accordo nello sbarazzarsi di buona parte dei risultati osservativi. Essi lo fecero in parte perché credevano che la teoria fosse corretta; e credevano che la teoria fosse corretta almeno in parte perché credevano che le spedizioni britanniche x le osservazioni durante l’eclisse l’avessero confermata. E le spedizioni effettuate in occasione dell’eclisse confermavano la teoria solo se una parte delle osservazioni veniva trascurata, e le discrepanze fra le osservazioni rimanenti, ignorate.” In sostanza, la relatività non fu una verità a cui si era costretti sulla base della logica inesorabile di una serie di esperimenti cruciali, bensì perché c’era l’unanimità della comunità scientifica nell’essere d’accordo della sua validità. Nelle loro considerazioni, Glymour ed Earman conclusero: “questa singolare sequenza di motivazioni potrebbe causare sufficiente disperazione a coloro che vedono nella scienza un modello di obiettività e razionalità. Questo atteggiamento dovrebbe essere mitigato considerando che la teoria in cui Eddington credeva, poiché la riteneva affascinante e completa – e prob. xche’ pensava che il mondo ne avrebbe tratto vantaggio se fosse stata vera – questa teoria, per quanto oggi ne sappiamo, incarna ancora la verità sulla natura di spazio, tempo e gravità.” CAPITOLO 3 IL SOLE IN PROVETTA: LA STORIA DELLA FUSIONE FREDDA Il 23 marzo 1989 due chimici dell’Università dell’Utah, Martin Fleischmann e Stanley Pons annunciarono alla stampa di aver realizzato in una provetta la fusione (utilizzare una reazione di fusione come quella della bomba a idrogeno per generare potenza in maniera controllata), ciò innescò in ambito scientifico l’equivalente di una corsa all’oro. Era considerato un esperimento dalla facile fattibilità: gli elementi previsti erano facili da reperire e il suo svolgimento non sembrava richiedere chissà quale capacità tecnica o ambiente particolare. Era composto da un becher di acqua pesante, un elettrodo di palladio, il catodo, e un elettrodo di platino, l’anodo, inoltre venne aggiunto un po' di sale all’acqua pesante che fungeva da conduttore. Lo svolgimento prevedeva di applicare un basso voltaggio per un periodo di tempo di varie centinaia di ore ed ecco che mediante il processo fusione, viene generata una quantità di potenza in uscita, superiore a quella di entrata. Per un certo periodo sembrava che la fusione fredda fosse possibile, tanto che i due chimici si affrettarono a depositare l’esclusiva dei diritti, ricevettero dall’università dello Utah un finanziamento di 5 milioni e ne fecero richiesta per altri 25 al Congresso dell’Energia, persino il presidente G. Bush era tenuto al corrente degli sviluppi. Ma successivamente cominciarono a farsi avanti dei dubbi sulla correttezza dell’esperimento. Durante la riunione dell’American CAPITOLO 4 I GERMI DEL DISSENSO: LOUIS PASTEUR E LE ORIGINI DELLA VITA Con il termine “generazione spontanea” facciamo riferimento a quella dottrina per la quale, in condizioni appropriate, la vita può aver origine dalla materia inanimata. Ebbene è su queste basi che nella Francia del diciannovesimo secolo nacque il dibattito sull’origine della vita. Tale dibattito si concentrava su due questioni: era possibile che la vita si originasse continuamente da materia sterile? Quando le sostanze contenute in una beuta ammuffiscono, è perché esse sono state contaminate da forme di vita esistenti che si sono diffuse e moltiplicate, o è forse che la vita nasce di nuovo ogni volta entro quella ricca fonte di nutrimento? Oggi, noi sappiamo che la vita può nascere solo dalla vita. Questa consapevolezza l’abbiamo acquisita nel tempo attraverso una serie di contributi scientifici, primo dei quali, furono gli esperimenti condotti nel 1860 da Louis Pasteur. La sua notorietà deriva dall’aver smentito il modello della generazione spontanea della vita e per il dibattito che si creò con il collega Felix Pouchet. Gli esperimenti per verificare tale assunto sono concettualmente semplici. Essi prevedono l’utilizzo di beute contenenti sostanze organiche (latte, acqua fermentata, infusioni di fieno…), che vengono sottoposte a bollitura per distruggere le forme di vita esistenti e per espellere attraverso il vapore l’aria al loro interno, per poi venire sigillate. Se rimangono sigillate non compaiono segni di vita al loro interno, se viene immessa aria al loro interno cominciano a crescere le muffe. Pasteur sosteneva che se l’aria immessa nella beuta non fosse stata contaminata e di conseguenza priva di esseri viventi, la muffa non poteva crescere. Nel diciannovesimo secolo il processo di bollitura era considerato un buon procedimento di sterilizzazione, quindi attraverso il quale eliminare la vita presente all’interno di un fluido (cosa che oggi sappiamo non essere valida x tutte le sostanze). Allo stesso modo, non si sapeva che cosa rendeva contaminata l’aria o all’opposto cosa la rendesse sterile. Con questa conoscenza parziale, gli scienziati attivi su questo tema condussero una serie di esperimenti, adoperando diverse tecniche che si pensava riuscissero a rendere l’aria sterile. Pasteur dal canto suo si servì di “beute a collo di cigno” (beute dal collo molto stretto che potessero imprigionare polvere e quindi batteri). Un numero cospicuo di questi esperimenti, compresi quelli di Pasteur, presentava la formazione di putrescenza. Ciò portò Pasteur a definire potenzialmente contaminata tutta l’aria che dava origine alla vita nelle beute. Felix Pouchet a contrario di Pasteur sosteneva la generazione spontanea. Il problema per entrambi gli scienziati era riuscire ad isolare il contenuto nelle beute dall’aria contaminata, per risolvere questo problema si pensò all’impiego di mercurio. Così nei suoi primi esperimenti Pouchet immerse le beute in una vasca di mercurio ed attraverso gorgogliamento introduceva aria creata appositamente (cons. sterile). Anche in questo caso i risultati degli esperimenti si dimostrarono positivi alla produzione di putrescenze. Per Pasteur il risultato positivo ottenuto dal collega era da imputare alla sua imprecisione, che aveva quindi portato l’immissione di aria impura, piuttosto che una prova della generazione spontanea. In seguito, Pasteur aggiunse che, sebbene l’aria introdotta fosse stata sterile, era il mercurio ad essere contaminato e che quindi si sarebbero ugualmente create muffe. Ciò gli servì per spiegare il fatto che nel 90% degli esperimenti (sotto mercurio) da lui condotti, si verificava la formazione di putrescenze, anche se all’epoca non conosceva l’origine della contaminazione. Quindi, Pasteur non accettò quei risultati come una prova a sostegno dell’ipotesi della generazione spontanea, tant’è che non resi pubblici i risultati. In altre parole, quello che successe era che Pasteur era così fermo nella sua opposizione all’ipotesi della generazione spontanea che preferiva credere a qualche sconosciuto difetto nel suo svolgimento dell’esperimento, piuttosto che pubblicare i risultati ottenuti. Quello che stava facendo era presentare una caparbia ostinazione di fronte alla verità scientifica, l’opposto di quello che idealmente si considererebbe l’atteggiamento che uno scienziato dovrebbe avere. In seguito, Pasteur iniziò un’altra serie di esperimenti. Essi prevedevano l’utilizzo di beute con imboccature forgiate e allungate a fuoco, un’infusione di lievito in acqua e zucchero che veniva fatta bollire ed una volta che l’aria fuoriusciva mediante vapore, le beute venivano sigillate. In seguito, Pasteur portò le beute in luoghi situati a diverse altitudini, ruppe l’estremità del collo attraverso l’utilizzo di pinze sottoposte alla fiamma ed una volta entrata l’aria del luogo prescelto sigillò di nuovo a fuoco il collo delle beute. Così osservò che nella maggior parte delle beute esposte all’aria in luoghi comuni si producevano muffe, mentre in quelle esposte all’aria in alta montagna solo 1 su 20 presentava segni di formazioni di muffa. In seguito, Pouchet ripite l’esperimento sui Pirenei. Egli a differenza di Pasteur riscontrò in tutte e otto le beute utilizzate, la creazione di putrescenze. Pouchet dichiarò di aver seguito tutte le indicazioni e precauzioni di Pasteur, eccetto il fatto che egli aveva utilizzato una lima sterilizzata sulla fiamma invece delle pinze per aprire le beute. Nella Francia del diciannovesimo secolo, le dispute scientifiche erano risolte da apposite commissioni dell’Academie des Sciences con sede a Parigi. Nel caso del dibattito Pasteur-Pouchet vennero istituite due commissioni, in entrambi i casi tutti i membri si presentarono ostili alle idee di Pouchet e alcuni annunciarono le loro conclusioni ancor prima di aver esaminato gli argomenti delle due parti in causa. La seconda, istituita nel 1864 Pouchet e i colleghi cercarono di cambiare o termini di svolgimento della prova, invano. Convinto che non sarebbe stato in grado di ottenere un onesto ed equo trattamento Pouchet si ritirò. È facile comprendere come mai Pouchet si sia ritirato. Oltre alle convinzioni della commissione, Pasteur poteva dichiarare che gli esperimenti condotti da Pouchet erano stati alterati dalla scelta di aver utilizzato una lima, piuttosto che delle tenaglie. La lima nello sfregare contro le pareti della beuta avrebbe potuto introdurre dei frammenti di vetro che contaminati in un modo o in un altro sarebbero caduti nell’infusione andando a dar vita a sostanze organiche all’interno della beuta. Quindi, possiamo pensare che il comprensibile cedimento nervoso di Pouchet di fronte a questa costrizione di natura tecnica lo abbia salvato da un più grande insuccesso. È interessante notare che oggi sembra che, se Pouchet non si fosse perso d’animo, forse non avrebbe perso la sfida. Una differenza tra Pouchet e Pasteur consisteva nella natura del mezzo colturale utilizzato: lievito per Pasteur; fieno per Pouchet. Prima del 1876 non si sapeva ancora che le infusioni di fieno permettono la sopravvivenza di una spora che non si elimina facilmente con la bollitura. Mentre la bollitura distrugge qualunque forma di vita all’interno di un’infusione di lievito. L’interpretazione moderna suggerisce che gli eventi relativi alle infusioni di fieno avrebbero parlato, persino ad una commissione pregiudiziale. Gli autori non ci credono. La commissione avrebbe trovato un modo per confutare, spiegandoli, i risultati di Pouchet. Ciò è motivato da un fatto: all’epoca si pensava che il darwinismo si basasse sull’idea della generazione spontanea, un attacco a tale teoria, nello stesso anno in cui fu istituita la seconda commissione, venne dal segretario della Academie Des Sciences, il quale si servì del fallimento dell’ipotesi della generazione spontanea, condotta da Pasteur, come sua personale argomentazione. Quindi Pasteur venne accolto non solo come colui che aveva assestato il colpo finale alla teoria dell’evoluzione ma anche come colui che aveva sconfitto l’ipotesi della generazione spontanea. Oggi conosciamo una serie di elementi che avrebbero potuto intralciare lo svolgimento degli esperimenti di Pasteur. Esistono numerose spore, oltre a quelle del fieno, resistenti al trattamento di bollitura di 100ºC. Per essere sicuri che un fluido organico sia completamente sterile è necessario riscaldarlo sotto pressione ad una temperatura di circa 160ºC, e/o sottoporlo ad un ciclo di riscaldamenti e raffreddamenti ripetuti. Pasteur fu considerato un grande scienziato ma il suo atteggiamento somiglia poco all’ideale di comportamento scientifico tratteggiato nei testi moderni. CAPITOLO 5 UNA NUOVA FINESTRA SULL’UNIVERSO: LA MANCATA RIVELAZIONE DELLE ONDE GRAVITAZIONALI Nel 1969 il Professor Joseph Weber dell’università del Maryland dichiarò di aver trovato una prova dell’esistenza di grandi quantità di radiazione gravitazionale proveniente dallo spazio. Negli anni seguenti, gli scienziati cercarono di sottoporre a verifica le affermazioni di Weber, nesso riuscì a trovarne conferma. Nel 1975 pochissimi scienziati credevano nelle rilevazioni di Weber. La teoria della relatività generale stabilisce che i corpi massivi in movimento producano onde gravitazionali. Il problema è che tale radiazione è estremamente difficile fin all’inizio che Weber avesse torto. Garwin agì in base a questa convinzione perché la considerava fondata. Così si assicurò che alcuni degli errori di Weber ricevessero ampia diffusione durante una conferenza e scrisse una lettera indirizzata ad una rivista divulgativa di fisica. Senza l’intervento di Garwin e del suo gruppo è difficile immaginare in che modo la controversia sulle onde gravitazionali si sarebbe potuta risolvere. Tale contributo ha rappresentato uno dei modi per uscire dal circolo del regresso dello sperimentatore. Dopo l’intervento di Garwin gli esperimenti di rilevazione di onde gravitazionale, cessarono. Riportare un risultato sperimentale non è sufficiente per dare credibilità ad una teoria. Se tale dichiarazione deve essere presa seriamente in considerazione da altri scienziati, anche solo allo scopo di confutarla, allora deve essere presentata in maniera sufficientemente chiara e con grande abilità. In questo senso Garwin è stato più abile di Weber. Tornando al discorso sul regresso dello sperimentatore, ciò che ha rappresentato l’intervento di Garwin è una soluzione alla controversia sulle onde gravitazionali. Prima c’era molta incertezza, dopo, ogni cosa era stata chiarita: gli intensi flussi di onde gravitazionali non esistono. CAPITOLO 6 LA VITA SESSUALE DELLE LUCERTOLE DALLA CODA A FRUSTA David Crews è professore di zoologia e psicologia all’Università del Texas, i suoi lavori sono considerati estremamente interessanti dai biologi. Oggetto dei suoi studi è il mondo sessuale dei rettili. Uno dei suoi più importanti lavori è quello sul serpente corallo giarrettiera. In tale studio Crews ha potuto osservare come il comportamento sessuale e la fisiologia di questa specie di serpente si sono adattati alle richieste che l’ambiente artico del Canada occidentale gli ha sottoposto. Enfatizzando il ruolo dell’ambiente, Crews ha preso posizione in uno dei più vecchi dibattiti in ambito biologico: natura contro influenza ambientale. In ambito scientifico la fama di cui uno scienziato gode, svolge un ruolo centrale. Prima della controversia che si è generata su uno studio che Crews fece su una particolare specie di lucertola, egli era un affermato e rinomato scienziato. Dove, in ambito scientifico tale fama la si guadagna, andando ad elaborare teorie, facendo esperimenti, intervenendo in maniera pro positiva, su questioni teoriche che vengono considerate fondamentali in un determinato ramo di studi (es. teoria della relatività in fisica). È per questo motivo che nel momento in cui fece alcune affermazioni piuttosto insolite circa il comportamento sessuale delle lucertole dalla coda a frusta, che venne considerato e non il contrario (come tante altre teorie di scienziati non affermati; che, seppur giuste, dato che non godono di autorevolezza non vengono cagate). Ciò che egli teorizzò è che un inusuale rituale di comportamento di Cnemidophorus (lucertele dalla coda a frusta) fosse collegato e parte integrante della loro attività sessuale. Cnemidophorus è una specie di lucertola atipica poiché si riproduce per partenogenesi, quindi senza l’ausilio della fecondazione delle uova da parte del maschio. Ciò che osservò Crews era che qualche volta montavano l’una (femmina attiva) sul dorso dell’altra (femmina passiva), comportandosi proprio come le altre lucertole dotati di attività sessuale. Tutti i biologi convenivano sull’esistenza di questo fenomeno. Invece, ciò su cui erano in disaccordo era il significato da attribuire a queste osservazioni. Come già detto prima Crews e Fitzgerald, il suo assistente, tale rituale rappresentava un chiaro collegamento all’attività sessuale ed un importante scoperta sulle specie partenogenetiche. Invece, altri scienziati si dimostrarono scettici e in disaccordo con le idee di Crews. Orlando Cuellar e C.J. Cole, due dei più importanti scienziati che si occupavano di questa specie di lucertole ritenevano che Crews non avesse osservato nulla di particolare e che tale rituale era innaturale e frutto della condizione di cattività. Quindi, oggetto del dibattito era stabilire se il comportamento delle lucertole fosse un artefatto, dovuto alla condizione di affollamento da cattività, o, invece, un aspetto essenziale del comportamento riproduttivo. Il dibattito che scaturì riguardava questioni come: competenza vs. incompetenza (questa questione portò, con il passare del tempo, all’aumento dello spazio dedicato alla sezione “metodologia” negli articoli pubblicati dalle due parti); esperienza vs. inesperienza del settore (il gruppo di opposizione si riteneva più esperto nel campo, rispetto a Crews considerato un esordiente); accuratezza vs. superficialità (alcuni di questi elementi solitamente non compaiono nei tradizionali resoconti delle ricerche effettuate. Questo in quanto il ruolo dello scienziato viene considerato come intermediario, il cui compito è quello di riportare ciò che succede in natura. Per questo tali elementi vengono solitamente evitati o minimizzati dagli articoli scientifici tradizionali. Quindi, che lo si voglia o no anche questi fanno parte della scienza. Ciò che semplicemente accade durante le controversie è che essi diventano visibili). Ma nessuno di questi fornì delle argomentazioni sufficienti a concludere la controversia. Ciò in cui si ritrovavano i ricercatori era ancora una volta una situazione di regresso dello sperimentatore. A questo punto una doverosa osservazione è da fare circa le diverse modalità di gestione della controversia, in ambito fisico e in ambito biologico. In ambito fisico c’è più possibilità di fare esperimenti, i quali vengono utilizzati per mettere a fuoco le ragioni del dibattito; in ambito biologico c’è meno possibilità di fare esperimenti e l’attenzione è rivolta alla ricerca delle prove di cui è in difetto la parte avversa. La più importante prova negativa all’interno del dibattito sulle lucertole era che nessuno aveva assistito ad una pseudocopulazione (rituali di acc.) delle lucertole nel loro habitat naturale. Durante il corso di un dibattito può succedere che alcuni dettagli che prima non vengono presi in considerazione, dopo svolgono un ruolo centrale. Tale situazione si è presentata anche nel corso di questo di dibattito nel: numero di “morsi d’amore” e nel movimento verso l’alto delle zampe delle lucertole passive. In entrambi i casi i due gruppi si sono comportati come da copione, mostrando l’atteggiamento tenuto nel corso di tutta la controversia: Cuellar-Cole andando a contestare quanto avanzato dalle affermazioni di Crews; Crews andando a ritorcere le critiche avanzate verso il suo lavoro, contro i suoi avversari. Come si è risolta questa controversia? Con una parità o in altre parole il regresso dello sperimentatore non si è risolto. Quindi, alla domanda: le lucertole della specie Cnemidophurus manifestano davvero la pseudocopulazione e se sì, essa è significativa per la loro riproduzione? Non c’è ancora una risposta. CAPITOLO 7 ANALISI DEL CUORE DEL SOLE: LA STRANA STORIA DEI NEUTRINI SOLARI MANCANTI La teoria dell’evoluzione stellare presuppone che la fonte di energia di una stella sia fornita dalla fusione nucleare che si genera al suo interno. Inoltre, essa fornisce diverse spiegazioni riguardo alle diverse transizioni nella vita della maggior parte delle stelle. Per astronomi e astrofisici, la teoria dell’evoluzione è oggi data per scontata nella stessa misura in cui lo è la teoria evoluzionistica di Darwin per i biologi. Nel 67’ Ray Davis cercò di rilevare i neutrini solari: particelle subnucleari prodotte dalla fusione nucleare all’interno del nostro sole. A differenza di altre particelle presenti nel sole, i neutrini interagiscono in scarsa misura con la materia, ciò li permette di compiere il tragitto dal nucleo del sole alla terra in soli 8 minuti. Quindi, essi ci forniscono una prova diretta della fusione termonucleare che avviene all’interno del sole. L’esperimento condotto da Davis rispetto ha avuto un esito che suscita perplessità. I flussi previsti di neutrini non si sono trovati. Un test che era considerato il coronamento delle verifiche sull’attendibilità della teoria dell’evoluzione stellare ha invece prodotto sconcerto e costernazione. Il neutrino è un elemento particolarmente affascinante per gli sperimentatori, poiché è una delle particelle più sfuggenti e quindi stimolanti da scoprire. L’esperimento prevedeva l’utilizzo di un grande serbatoio riempito con un solvente ricco di cloro (tetracloroetilene), delle dimensioni di una piscina da nuoto olimpionica, sepolto in profondità in un cunicolo di una miniera abbandonata. Ogni mese Davis dragava questa cisterna alla ricerca di un isotopo radioattivo del neo-elemento radioattivo (argo) prodotto dalla reazione di assorbimento dei neutrini incidenti da parte del cloro. Prima di questo strumento, Davis ne aveva progettato uno in scala più piccola (2500l) che aveva usato per una misurazione vicino ad una centrale nucleare. Da questa misurazione si rese conto che il suo strumento era solamente in grado di rilevare neutrini ad alta energia. Così, William Fowler direttore del gruppo di ricerca di astrofisici nucleari del Kellogg Radiation Laboratory del Cal Tech, stava osservando con molto interesse il lavoro condotto da Davis. In una delle misurazioni di Fowler vennero rilevati neutrini ad alta energia, così Fowler avvertì immediatamente Davis ed iniziò così la collaborazione con il Cal Tech. Tale collaborazione venne intermediata quando uno studente di post dottorato di Fowler, John Bahcall arrivò sulla scena. Egli era un fisico teorico il cui compito nel progetto consisteva nel coordinare le energie degli scienziati del Cal Tech, assieme ai quali determinare la previsione del numero di neutrini che Davis avrebbe dovuto misurare. moderna. La figura sperimentatrice di Davis racchiude le doti di sincerità, prudenza e modestia. Tuttavia, per ripetere un argomento abituale, nessun esperimento è mai definitivo, e possono sempre essere trovate delle scappatoie da parte di uno scienziato critico e dotato di determinazione. Nel 76’ tale scienziato si identificò con l’astrofisico Kenneth Jacobs. Egli affermava che era più probabile che l’argo venisse imprigionato da qualche parte, fornendo così una spiegazione per quel basso livello di intensità registrato. I dubbi di Jacobs erano legittimi in riferimento alla logica che era alla base degli esperimenti di taratura di Davis. Gli esperimenti di taratura, per definizione presentano sempre delle differenze rispetto a ciò che accade nel corso di un vero esperimento. Di conseguenza un esperimento di taratura sarà convincente tanto più la rilevanza di tali differenze sembra piccola, cosicché la taratura è il più possibile somigliante all’evento reale, ma il sembrare piccolo è un fenomeno variabile. Nonostante ciò, Davis eseguì il test molto complesso a cui è generalmente attribuito il ruolo di escludere l’ipotesi dell’imprigionamento. Non sappiamo se Jacobs ha potuto contestare nuovamente i risultati di Davis, in quanto ha perso l’incarico all’università e abbandonato la scienza. La schiacciante reazione ai risultati di Davis è stata la contestazione di una o più delle complicate catene di assunzioni riguardanti la fisica nucleare, l’astrofisica e la fisica del neutrino, che sono alla base della previsione teorica del flusso di neutrini. Nel 78’ sono stati pubblicati più di 400 articoli che proponevano “soluzioni” al problema del neutrino solare. Una delle soluzioni più accreditate è quella dell’ “oscillazione del neutrino”. Negli anni, il risultato di Davis è stato sempre pari ad un terzo della migliore previsione teorica. Dal momento che ci sono tre tipi di neutrini e l’esperimento di Davis è sensibile ad uno solo di questi, la proposta è che i neutrini siano prodotti in un determinato stato all’interno del sole ma che oscillino fra i loro tre possibili stati nel corso del lungo viaggio verso la terra, cosicché Davis riesce a rilevare solo una quantità di neutrini pari ad un terzo del segnale previsto. A posteriori, la teoria dell’evoluzione stellare non è stata modificata. Il risultato dell’esperimento sul neutrino solare è stato considerato una anomalia; per il momento, qualcosa da accantonare. Sebbene nessuna delle spiegazioni proposte abbia ancora raggiunto il consenso di qualità di soluzione, esse sono interessanti perché rivelano un sottofondo di dubbi e incertezze che riguarda persino i settori della conoscenza in apparenza meglio consolidati. L’esperimento di Ray Davis è stato un esperimento sulla natura della scienza. In cui per un momento gli scienziati, dati i risultati sconcertati ottenuti da Davis, hanno pensato l’impensabile, esplorato l’inesplorabile, tagliando i legami con la scienza ordinaria e sono stati a vede “che cosa succede se…”. Se prendiamo sul serio ogni suggerimento allora quasi tutte le cose che diamo per scontate vengono messe in discussione. In questo mondo del “che cosa-se” il sole non sfrutta più la reazione di fusione nucleare per ottenere la sua fonte di energia; i neutrini oscillano; il sole sperimenta periodi di rimescolamento, l’argo viene imprigionato… La scienza del “che cosa-se” non è scienza convenzionale. Il mistero dei neutrini solari ci lascia con questi interrogativi: se gli scienziati possono, in determinate circostanze, pensare l’impensabile, che cosa impedisce loro di farlo come prassi? Gli autori ipotizzano che se la risposta non risiede nella Natura, la quale per giunta impone un limite molto inferiore a quello che si può comunemente immaginare, allora non è una questione che riguarda la cultura scientifica. E ancora, secondo gli autori, la scienza funziona a modo suo, non spinta da un obbligo assoluto imposto dalla Natura, ma perché noi facciamo la scienza a modo nostro. CONCLUSIONI METTERE ALL’OPERA IL GOLEM È impossibile separare la scienza dalla società, eppure rimanendo legati all’idea che esistono due distinte sfere di attività si contribuisce a creare quell’immagine autoritaria della scienza così familiare alla maggior parte di noi. In scienza se qualcosa non funziona è sempre un “errore umano”, che ha permesso al problema di presentarsi. Infatti, compito delle commissioni d’inchiesta è d’indagare e scovare questo errore umano. Invece, secondo gli autori del libro l’ “errore umano” va diritto verso il cuore della scienza, perché il cuore è fatto dell’attività umana. Quando le cose vanno male, non è perché l’errore umano si sarebbe potuto evitare ma perché le cose potranno sempre andare male in qualunque impresa umana. Non si può chiedere a scienziati ed esperti in tecnologia di elevarsi dalla loro natura di “esseri umani”. Questa visione della scienza (quella degli autori) vorrebbe influire sul metodo scientifico di quelle discipline che cecano di imitare il modo di precedere delle scienze naturali altamente prestigiose, e su quegli individui e quelle organizzazioni che vorrebbero distruggere le scienze appena nate per essere venute meno ad un ideale smarrito. Le scienze sociali hanno ultimamente accolto delle insolite discipline scientifiche, come la parapsicologia, sollevando il timore che settori scientifici marginali possano prendere il sopravvento. Si è originato un movimento “anti-scienza minore” i cui membri si assumono il compito di sgonfiare tutto ciò che non rientra nelle regole fondamentali del vero metodo scientifico. Dove è volto a disilludere il pubblico riguardo ad informazioni infondate, questo impegno è degno di ammirazione, ma lo zelo di questi “vigilantes” invade anche aree con le quali essi non hanno niente a che fare. In Inghilterra un mago ha informati un autorevole scienziato, direttore di un famoso istituto di Parigi, che le sue idee erano ridicole. Il motivo di questo attacco non consisteva nei metodi utilizzati dal professore, ma nella disciplina a cui egli aveva scelto di dedicarsi: l’omeopatia. È importante che questi comitati di vigilanza non diventino così potenti da schiacciare tutto ciò che è insolito nel mondo scientifico. Il loro compito è salvaguardare la gente comune dai ciarlatani. Se l’omeopatia non può essere dimostrata sperimentalmente, spetta agli scienziati, che conoscono i rischi della ricerca di frontiera, mostrare perché. Lasciare questo compito ad altri equivale ad incitare un diverso tipo di golem, un golem che potrebbe distruggere la scienza stessa. Gli “esperti della psicologia di massa”, come potremmo chiamarli, sembrano pensare che se la persona della strada sa più cose di scienza – situazione opposta al conoscere di più sulla scienza – riuscirà a prendere decisione più responsabili su cosa preferire tra miniere di carbone o più centrali nucleari, più cereali o fiumi più puliti… quindi a chi assegnare il proprio voto. È strano che costoro la pensino così; questo fatto va annoverato fra i grandi inganni della nostra epoca. Siamo d’accordo con gli “esperti della psicologia di massa” che i cittadini abbiano bisogno di essere sufficientemente informati per esprimere il loro voto su questioni tecniche, ma l’informazione richiesta non riguarda il contenuto della scienza; riguarda la relazione fra gli esperti da una parte e gli uomini politici, i mezzi di comunicazione, e il resto di noi dall’altra. Mutare l’opinione del ruolo politico della scienza e della tecnologia è il principale obiettivo di questo libro. La scienza è la conoscenza di esperi non la conoscenza assoluta. Attualmente (quando il libro è stato scritto) il sistema giudiziario britannico è scosso da una serie di annullamenti di sentenze legali relative ad attentati dinamitardi compiuti dall’IRA. Uomini e donne sono stati imprigionati per molti anni, solo perché venisse scoperto poi che la “prova” in base alla quale erano stati condannati era, per usare il gergo giudiziario “indiziaria”. In altre parole, la prova cruciale era costituita da nitroglicerina trovata sulle mani degli indiziati. Il problema è il test non è infallibile. I periti non informarono della possibilità di questi responsi erroneamente positivi, né quale fosse la probabilità di incidenza. La scienza legale ha perso credibilità a causa di questi errori. Ciò che è peggio, è che un grand numero di cittadini innocenti sia stato ingiustamente rinchiuso in carcere per molti anni. Finché si pensa che la scienza produca certezze, sembra improprio considerare le prove scientifiche come qualunque altra prova giudiziaria. Il problema è che nel caso riportato prima, come in tanti altri, non è stato considerato necessario disporre di due versioni della prova: una dell’accusa e una della difesa. Tipicamente, in Inghilterra, solo il pubblico ministero incarica i periti e fornisce le conclusioni scientifiche. Ma come abbiamo visto negli scandali delle bombe, una prova giudiziaria contestata è come una qualunque priva scientifica contestata; è come la scienza descritta in questo libro. Contestabile. Invece, nel sistema legale americano le cose vanno completamente nella direzione opposta. Nelle mani di un abile avvocato qualunque prova giudiziaria può essere smontata. I dubbi sulla natura e sull’attendibilità delle prove possono sempre essere sollevati. Ma da questo non segue che una prova giudiziaria non debba avere alcun peso. Nel giudicare il peso di una prova giudiziaria dobbiamo applicare le regole ordinarie che applicheremmo se stessimo valutando una discussione fra esperti. Alcuni esperti avranno più credibilità di altri e alcuni non avranno affatto credibilità.
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