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Riassunto: Guida alla storia del cinema italiano (Brunetta), Sintesi del corso di Storia Del Cinema

Riassunto completo del manuale del professor Brunetta, compresi anche i nomi dei registi con titoli e date dei loro film.

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016
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Scarica Riassunto: Guida alla storia del cinema italiano (Brunetta) e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! Guida alla storia del cinema italiano 1-L’era del muto “La presa di Roma” di Filetto Alberini è il primo film italiano, oggi ne conosciamo un grand numero di elementi e possiamo confermare il fatto che fosse un prodotto spettacolare, accurato nella ricostruzione, celebrativo e didattico e un evento che rende reale e verosimile la finzione, come fosse un romanzo storico. Completamente diverso dal film sopracitato è il cinema ambulante: i baracconi ambulanti invadono l’Italia nel primo decennio del Novecento e sono da considerare come i primi “messaggeri” dei Lumiere, che si diffondono a macchia d’olio in tutta Europa. La tradizione dello spettacolo d’arte affonda le sue radici nella commedia dell’arte, tra feste popolane e il richiamo delle masse. La crisi degli spettacoli ambulanti si avverte già alla fine del decennio. Nel 1908 viene aperto il primo Cinematografo Splendor a Torino, dove le sale sono accessibili a chiunque diventando il passatempo onesto di tutte le classi sociali. Tuttavia si lega inizialmente solo alle realtà locali, con un orgoglio campanilistico che sarà un danno per il suo sviluppo futuro. Tra i 1905 e il 1912 infatti la produzione nazionale vive una profonda crisi che risente della congiuntura internazionale, ma superata questa fase si aprirà un periodo ricco di innovazione e competitivo. L’esempio di Filetto Alberini diventa trainante: il numero di prodotti e la spinta all’esportazione fanno dell’industria cinematografica un punto notevole dello sviluppo industriale. Stefano Pittalunga è il primo vero imprenditore moderno, in grado di elaborare un progetto di concentrazione verticale, ed otterrò un grande sostegno governativo per l’industria cinematografica. Le capitali del cinema inizialmente sono quattro: Torino, Roma, Milano e Napoli. Il policentrismo produttivo si spiega con facilità in un’Italia divisa da barriere economiche e sociali, tanto che da subito la fisionomia delle prime case di produzione appare legata al territorio. La guerra mondiale fungerà poi da spartiacque, spostando il grosso della produzione solo a Roma. La Film d’Arte italiana dal 1912 decide di affrontare storie moderne, drammi familiari ed economici, con una morale ancora molto ottocentesca. Dal 1909 si inizia a parlare di crisi delle case di produzione: cambiando le strategie della produzione internazionale, i primi interventi delle autorità religiose di denuncia si scatena la corsa all’imitazione, le case di produzione si copiano tra loro (Quo Vadim? e Gli ultimi giorni di Pompei). Nel 1912 i cataloghi della maggior parte delle case di produzione hanno ormai fissato le caratteristiche dei propri prodotti, divisi per genere, lunghezza e hanno cominciato a pubblicizzarli in maniera differente. Vengono messe a punto le prime vere strategie di produzione, distribuzione e di mercato. Il biennio che precede la guerra segna la fase di maggior espansione e consolidamento delle strutture quando l’industria Italiana gode del massimo splendore negli Stati Uniti. I mercati internazionali iniziano a chiudersi all’alba della guerra, creando una profonda crisi in Italia. Il cinema italiano dei primi anni, più che in altri paesi, prima di essere una chiave d’accesso alla modernità è fatto di restaurazione culturale, con viaggi nella storia e nella cultura del paese. Il cinema diviene una sorta di iperlinguaggio dove si possono trovare letteratura, arte, teatro, storia, musica e melodramma insieme. Dalle sale cinematografiche italiane escono titoli come “Otello” “Giuditta e Oloferne”, “Amleto”, “Pia de’ Tolomei”. Nell’impostare la loro politica produttiva ed editoriale le case suddividono i titoli secondo una rigida gerarchia di stili e livelli, creando da subito stereotipi, la cinematografia italiana investe sui modelli alti, e si sviluppa con rapidità e caratteristiche bene individuate, grazie alla trasposizione di tutte le scritture letterarie. Nasce una nuova figura: il salariato intellettuale che sintetizza le grandi opere da portare al cinema. Enrico Guazzino è il primo vero autore del cinema italiano capace di porsi problematiche di orchestrazione di masse, di costruzione d’immagine, di organizzazione di spazio, sintassi narrativa, valorizzazione di elementi scenografici. La produzione delle case romane e torinesi si orienta sempre più verso i film storici, per conquistare lo spettatore universale: il genere storico diventa così centrale nella produzione, oltre a trasmettere un’immagine vincente della cultura e della storia italiana, serve anche a supportare l’ideologia nazionalista necessaria per l’Italia in guerra (Quo Vadis? Cabiria, Marcantonio e Cleopatra). Nerone di Maggi, 1909, è 1 l’archetipo del genere storico, anche se i codici dominanti sono ancora quelli teatrali. Per i film storici la cinepresa diventa una vera e propria macchina orientata in senso antiorario, e come genere permette enormi possibilità espressive per ciò che concerne la luce, la mobilitazione delle masse e la scoperta della funzione drammatica e della pluralità significante dello spazio, megalomania scenografica. Comunque l’immaginazione figurativa. l’utilizzazione cosciente dello spazio come soggetto e parte centrale della storia non sono di sicuro facili conquiste. Il peso della scenografia teatrale è difficile da lasciar andare, ed è proprio grazie al genere storico che questo diventa possibile. Quo Vadis? di Guazzoni, consente per esempio a tutto il sistema narrativo e spettacolare di compiere un grande balzo in avanti: i personaggi sono liberi sullo schermo e viene esaltata una dialettica individuo/folla del tutto nuova. La storia diventa una sottotraccia, mentre in primo piano troviamo le passioni e le vendette dei personaggi. Tra il 1913 e 14 il genere si impone a livello mondiale. Anche se lo standard era già molto alto Cabiria riesce a superarlo, grazie alle didascalie di D’Annunzio, grazie alla qualità delle innovazioni (carrello, e primo piano), ma anche per la complessità dell’intreccio. Le comiche non sono mai diventate di forte impatto in Italia: il cinema comico raccoglie tutte le scorie che tutti gli altri generi e stili non desiderano affermare. Al contrario delle comiche americane, Keaton e Chaplin, in Italia, anziché fare la parodia di una società industrializzata ma imperfetta, si esibisce la scalata sociale del dandy. La parodia così si confonde in maniera vistosa con il desiderio. I film comici mostrano una società in rapida trasformazione, con nuove regole e codici da rispettare. Il lessico gestuale di riferimento è quello del dandy, adatto ai ritmi e alle parodie del circo, mostra quanto siano sottili i confini tra il cinema e le forme di spettacolo anteriori ad esso. Per i momento il cinema comico non sembra voler ottenere una propria autonomia espressiva, e deve tutto alla capacità di parodiare e ridicolizzare l’imperfezione della società borghese. Fanno eccezione 4 film: Pinocchio, Le avventure straordinarissime di Saturnino Farandola, La paura degli aerei nemici, L’uomo meccanico, dove la comicità si avvicina più a quella americana. Nel cinema italiano degli anni a cavallo della guerra si assiste ad una rapida affermazione e sostituzione, con il supporto dei corpi delle dive, del potere dei sentimenti e delle passioni a quello degli eserciti e della forza militare: la passione, fatale e selvaggia, diventa un nucleo centrale del cinema. Il divismo cinematografico, che trova in Italia un habitat ideale in cui svilupparsi, affonda le radici nella cultura europea, figlio di una metamorfosi e della contaminazione tra letteratura, teatro, musica e arte. Il divismo è un fenomeno non previsto che si diffonde a grandissima velocità e diventa fondamentale per conferire al cinema il ruolo di spettacolo-guida, modificando il pensiero e il comportamento collettivo. Muove i suoi primi passi in Italia con “Ma l’amor mio non muore!”, con Lydia Borelli che diventa subito una vera e propria diva. Le dive attivano una serie di fenomeni nuovi: la loro icona si sostituisce nell’immaginazione popolare a quelle più distanti e indistinte di coloro che, agli occhi delle grandi masse, appaiono come uomini-simbolo: come la vita inimitabile di D’Annunzio. Gli uomini diventano figure sfocate davanti all’infinto numero di Dive. Ci sono varie categorie di Dive: - la belle dame sans merci, la femme fatale, la vamp - la femme de nulle part, la bella sconosciuta - la donna demoniaca, come la Carmen - la donna che gestisce il proprio corpo come una piccola impresa - la donna madre - la donna alla “Ofelia” che soffre per amore ed è pronta a sacrificarsi - la donna farfalla, libera di esprimersi attraverso il linguaggio del corpo Emilio Ghione è uno dei due attori (l’altro è Bartonolome Pagano, Maciste di Cabiria)che riesce a raggiungere nel periodo della guerra fama e successo non inferiore alle dive. La sua recitazione ha una carica simbolica che prevale su quella realista diventando famoso per la sua maschera di “Za la Mort”, soprattuto ne “I topi grigi”. Verrà presto affiancato da una compagna, Kelly Sambuchi, Za la vie. Dal 1913 diventa anche regista, ambientando le proprie storie in paesaggi di squallida periferia, con un uso della luce duro e violento. 2 alla letteratura e al cinema americano come ad un modello forte a cui ispirarsi e decide di assumere un’identità verista alla Verga. La Repubblica di Salò non portò sostanziose novità al mondo del cinema. 3- Dal neorealismo alla dolce vita A causa della guerra, in pochi mesi il sistema produttivo italiano passa da essere “a quota massima” a zero. Nel neorealismo si vede la volontà di rinascita dalle ceneri del paese, e si vede nella nascita dell’Associazione nazionale industrie cinematografiche e affini (anica), che serve a rappresentare gli interessi dei produttori, distributori e esercenti del paese. Agli occhi di tutti il cinema italiano diventa simbolo della volontà di un paese di riscattarsi. Cinecittà è diventata un luogo per ricoverare i profughi, quindi inagibile, e set sbucano dove capita. I grandi registi, De Sica, Antonioni e poi Fellini diventano anche testimonil della vita auspicabile per gli italiani, facendo da apripista per il boom economico. I film d’autore ani 40-50 trasmettono una serie di modelli e valori culturali ideali che hanno aiutato l’Italia a fare cinema anche nei momenti più difficili della sua storia. Dall’America non vengono aiuti in campo cinematografico, l’Italia deve rialzarsi completamente da sola, l’unica perciò chiede sin dal 1946 di inserire il cinema nei trattati commerciali europei e si prodiga a varare dei progetti di legge per proteggersi dall’invasione americana. Nel 1951 viene stipulato un accordo con le case di produzione americane che regola un numero massimo di film statunitensi per il mercato italiano, e che una parte dei guadagni venga reinvestita per finanziari film italiani, allo stesso modo l’Italia stipulerà accordi simili con i paesi europei, permettendo al neorealismo una grande diffusione. I film comici tornano in auge, più per la riconoscibilità dei volti degli attori che per la qualità, ma è necessario ricordare due grandi maestri di questi anni: De Risi e Comencini. Intanto nel 1958 nasce quasi a costo zero un nuovo filone: i peplum. Le fatiche di Ercole di Francisci infatti ottiene un enorme successo, con incassi dieci volte superiori alla produzione. Gustavo Lombardo è un produttore di grande spicco in questo periodo: punta al riconquistare il pubblico popolare, e la Lux intanto cerca di perseguire la politica dei bassi costi e rischi controllati, confezionando comunque prodotti d’autore di grande formalità culturale e formale. In particolar modo saranno i critici francesi ad amare il neorealismo, ma anche l’est europa e il sud america. Il cinema italiano che riprende il cammino afferma il bisogno di riappropriarsi dei poteri dello sguardo per muovere alla scoperta del visibile e inventare una parola adatta a raccontarlo, e più di tutto per trovare i punti di consulenza tra pathos e ethos, uno sguardo ecumenico, protagonisti che fanno parte di un’umanità fino ad allora invisibile ora posso avere una voce propria. Con il neorealismo i confini tra realtà e ciò che è visibile si affievoliscono, non esiste più distinzione tra pubblico e privato. A partire da Roma città aperta nasce un modo di guardare all’uomo e ai suoi rapporti interpersonali che influenzerà ben due generazioni a venire, ma il punto di vista dell’autore non corrisponde mai con quello dei personaggi, è semplicemente un deus ex machina. Tutto il sapere, le regole, i paradigmi spettacolari e rappresentativi sono azzerati. Rossellini insegna che chiunque può filmare inserendosi nel flusso della storia collettiva, isolandone dei momenti senza particolari costruzioni preliminari, obbligandoli a vedere immagini fino a prima fuori dalla scena. Zavattini e De Sica si muovono su una simile linea poiché teorizzano un cinema molto più spontaneo e ricco di soggetive, tuttavia riportano la regia in studio, preparando accuratamente le scene e la costruzione dell’immagine, lo sguardo dimesso rosselliniano sembra star stretto, e richiedono più pathos. Con Visconti invece nulla è mai spontaneo o naturale, tutto è frutto di una cultura visiva e figurativa, e il suo sguardo è molto influenzato dalla tradizione pittorica. Il cinema del dopoguerra racconta, in forma corale, le dinamiche e le trasformazioni nella vita degli italiani, nei comportamenti e nella mentalità collettiva. Luciano Emmer ha invece uno stile più alto e tragico, che punta alla completa dissoluzione del racconto, alla moltiplicazione delle storie e al loro fluire e mescolarsi in modo da rendere indistinguibile i vari racconti. Rossellini permette al cinema di liberarsi da quella tradizione letteraria, teatrale e figurativa che ne aveva condizionato il percorso fino al suo arrivo. Roma città aperta segna l’inizio del neorealismo, dove lo spettatore è costretto a vedere realtà finora occultate e tabù per lo più intollerabili. Il cinema inizierà così anche ad influenzare le arti maggiori. Ma mancanza di pellicola e ristrettezze 5 finanziarie costringono Rossellini ad inventare un determinato modo di lavorare. Non esiste nel film un’ideologia dominante ma il pieno rispetto delle diverse forze, a Rossellini interessa la gente comune e tutti quegli spazi vitali che l’uomo è chiamato a difendere. Con Paisà (1946) Rossellini è ormai già un regista affermato, e il film viene concepito per gli americani. La psicologia individuale viene sacrificata in funzione della costruzione di un quadro d’insieme, nel tentativo di offrire il senso di un itinerario geografico che diventa anche risalita morale. Germania anno zero trasmette invece una profonda crisi da parte dell’autore: chiusura a tutte le speranze, l’impossibilità di ricostruire sulle macerie. Con Ingrid Bergman gira Stromboli, Europa 51, Viaggio in Italia, La paura dove ci si interroga sulla solitudine individuale, sul vuoto esistenziale, sul silenzio di Dio. C’è in Rossellini una ricerca costante che lo spinge a guardare oltre. De Sica e Zavattini danno vita ad un’entità creativa e riescono a sondare il visibile nell’animo umano fino a profondità mai raggiunte. A partire da Sciuscià inizia la scalata alla perfezione, sempre accompagnata da una forte componente surreale. Con Ladri di Biciclette vincono l’Oscar come Miglior Film Straniero, riuscendo a far apparire drammatica e avventurosa una storia apparentemente insignificante. Con Miracolo a Milano Lavativi rivendica il potere dell’immaginazione, ma è con Umberto D che riescono a toccare la solitudine e la disperazione umana nel loro punto più profondo. Con Ciociara vinceranno nuovamente l’oscar . Visconti è l’ultimo ad entrare in gioco, ma si muove per conto proprio: nulla è casuale, nulla è spontaneo, ogni immagine è costruita con alternarsi di momenti lirici e drammatici, praticamente l’opposto di Rossellini. Il montaggio è in funzione al ritmo, l’immagine sempre piena, come se Visconti avesse paura del vuoto. Nei suoi film non è la struttura ed essere neorealista ma l’ambiente e i personaggi. Visconti smonta con crudeltà e forte senso moralistico la macchina dei sogni cinematografica. Con la scena iniziale di Senso, il neorealismo si lega nuovamente al melodramma, questo film rappresenta per il regista una sutura tra fili d’una trama e ordito culturale che l’esperienza neorealista aveva tenuto separati. Giuseppe de Santis è la personalità più rappresentativa, dalla quale is attendono subito capolavori: gusto per le visioni d’insieme, il racconto corale, i movimenti di macchina ariosi, la tensione verso una narrazione epicizzante. Riso Amaro segna il suo massimo successo dal punto di vista sia nazionale che internazionale: cultura alta e popolare si mescolano nella ricerca di un pubblico di massa, un’attenzione particolare al linguaggio del corpo e al suo rapporto con il paesaggio, con un esordiente Silvia Mangano. Con Roma ore 11 (1952) abbandona la descrizione del mondo rurale e racconta alcune storie di donne rappresentanti l’urbanizzazione in atto. Altri autori che hanno girato film neorealisti da ricordare sono: Blasetti (Un giorno nella vita, Prima comunione, Europa di notte) , Camerini ( Ulisse, La bella mugnaia), Lattuada (Luci del varietà, La lupa, La spiaggia), Mario Soldati (Le miserie del signor Travet), Luigi Zampa ( Viviere in pace, L’onorevole Angelina), Renato Castellani ( Mio figlio professore, Sotto il sole di Roma), pietro Germi ( Il testimone, Gioventù perduta). Il fenomeno divistico del dopoguerra presenta due aspetti continui ma distinti: il primo, si può lavorare sulla mimesi e sulla perfetta permeabilità e speculari tra schermo e platea, il secondo, oltre ai testi filmici anche altri media diventano fondamentali per l’identificazione dello spettatore. Inizialmente il cinema neorealista non si adattava assolutamente al divismo, ma con Riso Amaro e Silvana Mangano tutto cambia: i produttori italiani scoprono la commerciabilità all’estero delle dive italiane che trasmettono sottosviluppo e povertà decidono di puntare su questo momento di bellezza come bene nazionale valorizzando attrici come Gina Lollobrigida e Sophia Loren. Le dive degli anni 50 propongono canoni di bellezza fondati sull’eccesso dei doni di natura. Per gli uomini in percorso divistico è più difficile ma in questi anni vediamo la progressiva affermazione di Alberto Sordi e Marcello Mastroianni in primis, ma anche Gassman, Tognazzi e Manfredi. Il questi anni il genere cinematografico che sovrasta gli altri è il melodramma, a volte mescolato con elementi musicali, e raggiungerà il massimo di integrazione tra i vari livelli di melodramma. Con il neorealismo il visibile, grazie agli sguardi di Antonioni e Fellini, si scompone in varie dimensioni, non offrendo più alcuna certezza. I due autori scardinano le griglie e i condizionamenti che delimitano lo spazio inventivo e la costruzione del senso e dei significati del cinema dell’immediato dopoguerra e cercano di costruire opere non più misurabili con i metri delle teoriche e poetiche del neorealismo e realismo, vanno oltre al neorealismo classico. Antonioni si sofferma sulle avanguardie, la sua immagine è la controparte di quella viscontiana, Antonioni crea il vuoto 6 nello spazio che circonda i personaggi. Fellini invece pesca dal repertorio delle immagini d’inconscio, nella memoria e nei sogni. Fellini sin dai suoi primi film si dimostra capace di costruire una vera e propria cosmogonia a partire da esperienze e realtà circoscritte che si espandono in maniera indefinita. La dolce vita (1959) in questo senso è la vera svolta: inizia a compiere un vero e proprio action painitng, senza distruggere il proprio oggetto, il regista vi si immette in senso quasi fisico , lascia che le proprie energie vitali confluiscano nelle immagini, in un’opera che inaugurerà una nuova era. Durante la guerra fredda sono diffusissimi i pepla, sopratutto dopo Le fatiche di Ercole di Francisci, che con pochissimi soldi riuscivano ad incassare tantissimo, visti dal pubblico come una distrazione dal mondo esterno e i suoi drammi. Si diffonde anche un tipo di commedia, come la serie Pane, Amore e… di Comecini e Poveri ma belli di Risi, molto più matura, di stampo quasi goldoniano, che ottiene un grande successo sopratutto per la sua capacità di porsi in perfetta sintonia con i mutamenti in atto del paese, con lo spirito della ricostruzione, l’emergere del mondo giovanile, la richiesta di nuovi modelli di comportamento e di rapporti all’interno della società e di individuare nel mondo dei giovani la molla di cambiamento. Grazie ad Amidei, Age, Scarpelli, Scola e Maccari la comicità diventa il fulcro per raccontare la coesistenza tra vecchio e nuovo dell’identità dell’italiano medio. 4- Dal boom agli anni di piombo Nel 196’ la produzione italiana esulta per attivi in bilancio mai raggiunti prima, l’esportazione ha superato 1 20 milioni di dollari, gli incassi sono aumentati e il numero degli spettatori decresce meno del resto d’Europa, è la parabola di massimo splendore del cinema italiano. Si capisce che per valorizzare i prodotti nazionali è necessario tenere sempre più conto delle connessioni del singolo elemento nel quadro mondiale. Risulterà vincente l’idea di sfidare il cinema americano sul terreno dei western, fino alla seconda metà degli anni 70 l’italiana valorizzerà quasi tutti i generi. La recessione viene causata poco a poco dalla crisi economica e dal conseguente dimezzamento delle produzioni e degli spettatori. Ulteriore danno viene fatto dalla legge Corona del 1965 che sembra privilegiare l’Istituto Luce, volendo sottrarre ad alcuni tipi di produzione il monopolio. L’articolo 55 della legge, che regolamenta i rapporti cinema- televisione, causerà l’aggravarsi della crisi.Anno dopo anno il cinema perde il suo ruolo di bene di prima necessità, lasciando il posto alla televisione. I primi quattro titoli della classifica del 1960 sono: La dolce vita, Rocco e i suoi fratelli, La ciociara, Tutti a casa. Il cinema di genere fa emergere il talento di una serie di artigiani che già la critica straniera promuove al rango di grandi autori. Mai come in questi anni i produttori hanno investito, nascono maestri e discepoli e pubblico apprezza ogni prodotto. Cinecittà raggiunge il punto più creativo della sua storia. Se gli anni del dopoguerra si possono considerare di forte risemantizzazione del lessico visivo, a partire dalle forme più elementari, gli anni 60 sono quelli di maggiore sperimentazione, libertà e ricchezza linguistica ed espressiva. Tra i grandi esordienti di questi anni ricordiamo: Bertolucci, Olmi, la Wertmuller, Pasolini, Ferreri, i fratelli Traviani e Petri, Damiani, Scola, De Seta, Agostini, Orsini, Caprioli, Salce, Belloccio, Mingozzi, Vancini, Gregoretti, Montaldo, Bene; Baldi, Nelo Risi, Brass, Leone, la Cavani, Brusati, Corbucci, Magni, Enrico Maria Salerno. E a cavallo tra gli anni 60-70 altri come: Amelio, Greco, Citti, Faccini, Avati, Ponzi, Del Monte, Argento, Di Carlo, Ferrara, Giannarelli, Giraldi, Bevilacqua, Battiatao, Giordana, Breta, Bertolucci e Moretti. Questi esordienti credono nel film come opera d’autore cercando di realizzare il primo film in condizioni di massima libertà e controllo del processo creativo. Non solo immaginano la storia, la scrivono,la dirigono, ma sono anche in grado di fare gli operatori e montatori. Il personaggio-uomo entra in crisi, senza uscire di tutto dalla scena, ma tutto viene rimesso in discussione. Questi autori si servono del cinema per interpretare le indicazioni poetiche e teoriche o le forme del pensiero e delle manifestazioni artistiche europee più avanzate degli anni, ma vuole anche riaffermare il cinema come pratica politica e sociale. Grazie alle nuove condizioni storiche e politiche, nazionali e internazionali, si rivela sempre più forte e diffusa l’esigenza di rivisitare la storia recente, i nuovi personaggi sono le vittime o coloro i quali avevano sempre fatto da contorno. L’eredità del neorealismo si rivela vitale, ma si sente 7 mio!”), Orsini, crede che il cinema possa aiutare a modificare ala realtà (Uomini o no, Figlio mio, infinitamente caro… ).Eredi di De Sica e Zavattini: tutti gli autori di commedie, Squitieri, tematiche impegnative poilitoc-sociali. Eredi di Blasetti: Puccini, De santis, Pietrangeli (Adua e le campagne, Fantasmi a Roma) e LIzzani. Zampa è il più goliardico dei registi italiani che si sono serviti della commedia per raccontare stasi e dinamiche della società in cambiamento. Lattuada realizza 11 film negli anni 60 con un nuovo spirito che oscilla tra scopi educativi e influenze mediatiche ( Il mafioso, Oh serafina!” Renato Castellani due memorabili biografie (Vita di Leonardo, Giuseppe Verdi) Alla famiglia rosselliniana si possono assimilare: Olmi, sguardo ravvicinato, carico di partecipazione emotiva, rapido processo di trasformazione dell’Italia (Il posto, L’albero degli zoccoli), Paolo e Vittorio Traviani, cultura letteraria, brecht, montaggio intellettuale (Un uomo da bruciare, San Michele aveva un gallo, Sotto il segno dello Scorpione, La notte di San Lorenzo, Anna Karenina), Montaldo, forte motivazione politica, storie grandi e piccole (Agnese và a morire, Marco Polo). Giuseppe Ferrara è uno dei registi che ha sviluppato con più coerenza un tipo di cinema che cerca di muoversi lungo la storia italiana del dopoguerra tra organizzazioni mafiose, religiose e politica (il caso Aldo Moro, Segreto di Stato, Giovanni Falcone). Liliana Calvani uno degli autori più inquieti sia dal punto di vista tematico che stilistico e tra i più colti della sua generazione, storie dove la follia è protagonista (documentario Francesco D’Assisi, Oltre la porta, Al di là del bene e il male). Lina Wertmuller, senso dello spettacolo libero e gioioso, capacità di dominare gli stili che le permette di passare da commedia a dramma fa anche musical rock con pavone e celentano (Mimì metallurgico ferito nell’amore, Pasqualino Settebelezze). Alberto Bevilacqua tenta di varcare le dimensioni oniriche alla Fellini (Questa specie di amore, La donna delle meraviglie). Damiano Damiani , capace di raccontare in forma drammatica e spettacolare momenti e episodi dell’attività socio-politica italiana, linguaggio asciutto, a servizio della storia, privilegia l’azione drammatica, la denuncia e la corruzione, osa tutti i generi (Il giorno della civetta, La moglie più bella). Franco Brusati, dopo la Nouvelle Vague italiana con “il disordine” non riesce più a trovare un posto. Tinto Brass, poi diventerà uno dei più famosi nel filone erotico (Miranda, Capriccio, Monella) ma bisogna ricordarlo anche per Chi lavora è perduto, Il disco volante. Gli anni 60 rappresentano per Fellini la stagione della massima espansione creativa: opera d’arte, opera nell’opera con 8e 1/2 cerca di registrare all’interno del flusso creativo complessità, mistero, crisi, impotenza e potenza nel fare artistico entrando nelle proprie opere. Quanto più il disegno narrativo è ampio e complesso tanto più và oltre i modelli di coerenza e costruzione narrativa ordinata. Se negli anni 50 Fellini aveva travasato le forme di spettacolo popolare rendendole soggetti della narrazione, negli anni 60 il suo racconto diventa un enorme contenitore in cui si mescolano insieme forme alte e basse della cultura di massa. Le immagini fluiscono in modo tumultuoso, si accavallano, costruiscono il loro senso per accumulazione. La parola è un elemento aggiunto e la decodificazione dei significati viene lasciata alla libertà dello spettatore. Lo sdoppiamento della personalità viene ripreso in Giulietta degli spiriti, a colori, che gli permettono di sviluppare ancora di più l’inconscio. Satyricon, I clown, Roma, Amarcord: blocco di invenzione figurativa e narrativa che riunisce e celebra forme e figure simili e nuove dell’immaginario felliniano. Nei suoi ultimi film si ricopre di un velo funebre, fatto di addii e tristezza interiore: Prova d’Orchestra. Antonioni rispetto al gruppo neorealista si è buttato su terreni sconosciuti e ha modificato il rapporto tra figure e spazio, la percezione dei vuoti e dei pieni , grazie al suo spirito da pioniere si è mosso cercando di rimettere sullo schermo un patrimonio visivo e culturale tra i più eccentrici. Il cinema è sempre stato per Antonioni un ottimo mezzo per sintetizzare e riformulare poetiche teoriche e procedimenti della musica, dell’arte ed estetica contemporanea (L’avventura, la notte, L’eclisse, Deserto rosso, Blow-up, Zabrinski Point, Professione: reporter) Elio petri, uno dei registi che ha saputo evolvere e trovare una propria dimensione stilistica passando da un’intelligente messa a frutto iniziale dell’eredità del neorealismo alla sempre più libera manifestazione visionaria espressionista e grottesca. (L’assasino, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, La classe operaia và in Paradiso, Todo Modo). 10 Florestano Vancini, esordisce con La lunga notte del 43 e continuerà con il filone documentaristico. Gianfranco MIngozzi, và alla ricerca del confronto di sé e l’altro (La vita in gioco, Il sole che muore, La tarata). Ansano Giannarelli, principalmente documentari (Roma occupata, Sierra Maestra). Valerio Zurlini , storie melodrammatiche in un mondo poetico e figurativo (la ragazza con la valigia, Il deserto dei tartari). Pier Paolo Pasolini, il suo cinema esalta al massimo la cultura figurativa pulsante di umori e di energia esplodendo in più direzioni, la parola non basta ciò che lui esprime per immagini, i volti in primo piano, la realtà materiale di un’idea. Ignora tutto il linguaggio cinematografico, sentendosi quasi un pittore grottesco, Decameron, e con l’uso del colore le possibilità espressive si allargano ancora di più, La ricotta, nell’ultima fase preferirà il mito (Medea, Edipo re). Sergio Citti, vicino alle borgate di Pasolini (Casotto, Storie Scellerate). Bernardo Bertolucci, Prima della rivoluzione è il suo primo film d’autore, cinema colto, pieno di echi e suggestioni musicali, letterarie e cinematografiche. Ultimo Tango a Parigi è un’opera che attira subito l’attenzione della censura e viene praticamente condannata al rogo per le scene troppo esplicite. Grillo Pontecorvo, non molto prolifico, attirato dalle figure romantiche dei rivoluzionari, dei sovversivi e affronta tra i primi la rappresentazione del terrorismo (Kapò, la battaglia di Algeri). Marco Ferreri, scenari sempre più poveri di energia desiderante e energia vitale, ossessionate dalle possibili tragedie future, nei suoi film racconta in modo quasi grottesco la lotta di sopravvivenza della specie, uno dei registi più attenti alla mescolanza dei linguaggi, ai disturbi comunicativi (L’uomo dei cinque palloni, L’ape regina, la cagna, Diario di un vizio). Marco Belloccio esordisce con I pungi in tasca e successivamente La cina è vicina, carica montante della protesta giovanile, nuovi punti di riferimento rossi e neri in Cine e Sud America, temi anticostituzionali (Matti da slegare, Il gabbiano, In nome del padre). Salvatore Semperi esplora i vizi di famiglia nella repressione religiosa, prendendo poi una direzione più erotica e voyeristica (Grazie zia, Malizia). 5-Dagli anni 70 ad oggi Vengono prodotti tanti film, ma in ben pochi ripagano l’investimento, la moria del cinema si fa evidente: chiudono le sale e il numero di biglietti venduti cala vistosamente. Gli americani, in seguito ad una nuova strategia di mercato, ritirano i capitali del mercato italiano che avevano giovato a Cinecittà negli anni 50, la legge del 1965 incoraggia gli esordi, le coproduzioni con lo Stato calano a picco. Così la storia del cinema italiano fino ad oggi è diventata marginale rispetto al resto del mondo, inoltre influisce moltissimo anche la distribuzione di videocassette e film per la televisione che fanno diminuire l’immaginario collettivo italiano, enfatizzando quello americano.Si assiste ad un processo di disaffezione collettiva per i prodotti nazionali, che più o meno li rifiutano poiché assimilati a quelli televisivi. Alla fine degli anni 70 per far fronte alla crisi si tenta perfino un ritorno al divismo, ma con esiti non considerabili. La crisi viene aggravata dall’economia del paese e dalla lotta tra le reti televisive, che mandano ogni giorno film di ogni tipo, solo per “fare numero”. I grandi produttori, eccetto De Laurentis e Ponti, migrano, quelli che restano dovranno affrontare un mercato sempre più sfuggente e allergico ai film d’autore. Entrano in gioco Rai e Fininvest, che iniziano a comprodurre film con i grandi registi del decennio precedente. In questi anni l’Istituto Luce è l’unico a continuare a lavorare: unico produttore di film per ragazzi, oltre a finanziare le vecchie glorie del cinema italiano punta su grandi esordi come Avati, Placido, Scola Archibugi. Continua la sua attività documentaristica con “la storia d’Italia nel 20 secolo”, 80 documentari affidati a Quilici. Il cinema italiano è invisibile, privo di un habitat comune e interconnessioni ideali, stilistiche, culturali, l’unico investimento che i produttori sembrano voler fare è sulle commedie. Dal 1988 le televisioni inizieranno ad investire anche in opere d’autore oltre alle opere prime, fino alla fine degli anni 90 quando la legge 122 incoraggerà a produrre fiction. Anche il divario tecnologico aggraverà la crisi. 11 Bertolucci è l’ultimo grande regista ad assumere un ruolo di protagonista nel cinema internazionale, e tra il 1975 e 85 assistiamo al cambio generazionale, che non riuscirà a riportare sullo schermo le stesse storie e passioni dei “padri”. Nanni Moretti esordisce nel 1976 con un film girato in Super8 “Io sono autarchico”, ponendosi in palese scontro con la generazione dei padri, non criticandoli, ma come se la loro lezione fosse ormai completamente assimilata e superata, pronto a rifondare la regia italiana. Il paesaggio è segnato dalla perdita, ma non dalla sparizione della volontà di fare cinema. I due unici grandi riferimenti che restano sono Fellini e Bertolucci: il primo prende una linea più apocalittica (La nave và), per Bertolucci, da Novecento in poi, il paesaggio diviene protagonista, diventando uno dei pochi registi competitivi su piano nazionale (L’ultimo imperatore, Il tè nel deserto, Piccolo Buddha, Io ballo da sola, L’assedio.) Ad inizio anni 70 non muoiono soltanto i grandi registi neorealisti, Visconti, Rossellini, Pasolini, ma anche il Centro Sperimentale. La gestione di Rossellini, confusa dalle spinte rivoluzionarie del 68, si rivela disastrosa, lasciando gli studenti a loro stessi, a cercare lo spunto creativo senza solide basi. Nascono varie scuole in sostituzione al disfunzionale Centro Sperimentale: Ipotesi Cinema a Bassano fondata da Olmi avrà ottimi risultati come fucina d’idee. Il 68 anziché allargare gli orizzonti e la libertà cinematografica, crea una barriera quasi insuperabile: nonna’è più ricerca o spinta verso nuovi orizzonti, contaminazione tra i generi, nessun rischio in scelte linguistiche o espressive. I registi che si prendono qualche rischio in questo periodo sono pochi, ma sono anche gli unici a raggiungere il successo in sala: Faccini, Brenta, Baldi, Agosti, Salvatores. Negli anni 80, come aveva anticipato Pasolini, il cinema sarà completamente spoliticizzato, il trionfo del privato sul pubblico, tutto basato sull’esasperazione dell’individualismo, e non più come esseri umani in una collettività. La scalata del terrorismo diventa difficile da riportare sullo schermo e gli autori lo lasciano ai margini. La generazione post 68 ha come punto di riferimento Nanni Moretti (in arte Michele Apicella), attraverso lui passano tutte le mitologie, le parole d’ordine, le frustrazioni, i simboli di prestigio e i luoghi comuni di chi aveva scelto le forme di protesta più radicali (Palombella rossa, La messa è finita), diventa il rappresentate di un tentativo di riportare ordine nel panorama italiano. Gira film in modo autarchico, e apparentemente, sembra non avere familiarità con i registi italiani o stranieri, non si spinge oltre l’osservare la quotidianità piccolo-borghese, dimostrando di essere capace di risolvere in modo semplice elementi complessi. Accetta la sua condizione di piccolo-borghese che non rinuncia alle comodità, ma allo stesso tempo cerca la rivoluzione. Dagli anni 90 il suo cinema diventa più maturo, il regista resta al centro della scena, ma ha imparato a prendere in considerazione gli altri (Caro diario, Aprile, la stanza del figlio), toglie il superfluo, andando al nucleo delle persone. Roberto Faenza, diplomato al Centro, inizia come rivoltino dal 68 (Escalation, Forza Italia), e dagli anni 90 prende una piega più intellettuale. Pupi Avati, come Bertolucci, è il più interessato a ricostruire la memoria collettiva, fatta di gesti quotidiani, riti e mitologie della società piccolo- borghese, dove il protagonista viene solitamente sconvolto da un evento casuale o imprevisto, dove storie drammatiche e comiche si mescolano. Il suo realismo sembra sempre filtrato dalla memoria dei personaggi con un’aurea quasi magica. (Aiutami a sognare, Festa di laurea, Magnificat, Festival). Peter del Monte, Centro Sperimetale, esordisce con Irene Irene, autore con il dono della leggerezza che lavora sulla comunicazione attraverso gli sguardi, i silenzi e le atmosfere sospese. (Giulia e Giulia, Compagna di Viaggio, La ballata dei lavavetri). Mario Brenta produce un film ogni 10 anni, ricerca esasperata dell’essenzialità, del rigore (Robinson in laguna, Barnabo delle montagne). Emilio Greco, alti modelli di riferimento, dominio degli elementi di messa in scena, traduce in maniera originale e cinematografica la letteratura (L’invenzione di Morel, Un caso d’incoscienza). Fabio Carpi, cinema che cresce con il tempo, guadagna leggerezza, nettezza e profondità di visione, approfondisce i temi di arte e vita in conflitto, la giovinezza, meditazione sulla vecchiaia (L’età della pace, La prossima volta il fuoco, L’amore necessario). 12
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