Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto Homo Communicans, Sintesi del corso di Sociologia

Esame Ciofalo, Università Scienze della Comunicazione

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 26/12/2017

Fabio.Bizzarro
Fabio.Bizzarro 🇮🇹

4.3

(30)

12 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Homo Communicans e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! CAPITOLO I 1.1 – Il legame invisibile Il rapporto tra la comunicazione e la modernità è bidimensionale. Alcuni studiosi hanno sostenuto che sono gli strumenti comunicativi a modificare l’essenza della modernità, attraverso forme materiali del progresso: la comunicazione come fattore influente sulla modernità. Altri, considerando tale versione un determinismo tecnologico, hanno affermato, invece, che siano le nuove forme dell’agire sociale a generare la scintilla capace di innescare il processo di ricerca e di definizione di nuove modalità comunicative: la modernità come fattore influente sulla comunicazione. Oggi, questi due approcci teorici sono stati integrati, consentendo l’utilizzo di entrambi i punti di vista. Il termine modernità è la traduzione del latino “modernum”, ossia attuale, recente. Assume il significato di novità, in contrapposizione a ciò che è antico, superato. In realtà riassume in sé più valenze: - un percorso di sviluppo storico; - uno scenario sociale e culturale - i cambiamenti sul piano collettivo e individuale; - le innovazioni scientifiche o tecnologiche avvenute nel corso dei secoli. Questa parola indica, quindi, sia lo stato delle cose, sia il processo attraverso cui questo si concretizza. Quindi, la valenza riconducibile all’idea di nuovo crea un effetto illusorio. Ogni epoca storica, nel suo svolgersi, si percepisce come moderna, ma non per sempre: l’emersione di nuovi fenomeni che influiscono sulle strutture della vita sociale e culturale, produce nuove forme di modernità che, confrontate con il passato, appaiono più avanzate. Quest’idea di modernità, basata sul costante processo di miglioramento, è tipicamente occidentale e nasce alla fine del Settecento con l’Illuminismo, trasformandosi da essenza del presente a sinonimo di progetto e progresso. La modernità si realizza attraverso precise prerogative: - l’industrializzazione; - l’urbanizzazione; - la divisione del lavoro; - la burocratizzazione; - l’accumulazione della conoscenza; - la secolarizzazione. Con tale raggiungimento, l’Occidente cambia volto: la fede nel progresso diventa dominante nella cosiddetta età contemporanea. All’inizio dell’Ottocento, la comunicazione acquisisce rilievo nella dimensione della forza materiale e in quella della significatività simbolica, grazie al suo incorporamento in mezzi e pratiche. Inizia così ad assumere una pluralità di funzioni: consente il rafforzamento e l’istituzionalizzazione dell’opinione pubblica, democratizza la cultura e offre svago e intrattenimento. Per cui, il nuovo modello di organizzazione sociale che nasce da queste premesse segna la rottura con il passato (che immaginava la realizzazione di un mondo ordinato, razionale eliminando le differenze, le particolarità). 1.2 – C’era una volta... Prima che l’insieme di trasformazioni tecnologiche, industriali, sociali modificasse la realtà, l’organizzazione dei rapporti tra gli individui era regolata da un insieme di norme non scritte. Si tratta della società premoderna, in cui la comunicazione e i rapporti tra individui sono legati a tre aspetti fondamentali: - la natura circoscritta dei flussi e delle relazioni: è dovuta alla ristrettezza dei circuiti di scambio, derivante a sua volta dall’oggettiva povertà delle tecnologie disponibili e dalla scarsità di fonti comunicative autorevoli. Inoltre manca il concetto di opinione pubblica, poiché il potere è concentrato nelle mani dei sovrani, dei sacerdoti e di una cerchia ridotta di professionisti della scienza; - il carattere meccanico delle interazioni: le pratiche comunicative hanno un carattere automatico, privilegiando processi di tipo lineare, caratterizzati da messaggi dall’alto, con mancanza di feedback. Tali messaggi sono prescritti ed è assente la mobilità di ruoli e status. - la prevalenza della fonte sul ricevente: deriva da una legittimazione a priori della comunicazione, in cui i messaggi vengono costruiti all’esterno e poi diffusi nell’ambiente circostante, sulla base di una presupposta autorevolezza delle fonti. Mancano forme di scambio e l’ interpretazione del senso. Le uniche forme di aggregazione sono le riunioni nei mercati, nelle piazze, nei villaggi, oppure davanti ai totem religiosi, creando forme di interazione circoscritte e legate alle variabili spaziali e temporali del contesto che le accoglie. Nella società postmoderna, il soggetto è definito homo aequalis, caratterizzato da una spiccata idea del noi che lo lega al gruppo di appartenenza, ma ancora incapace di sviluppare un forte senso dell’io. Il medium elettivo è rappresentato dall’oralità; attraverso il linguaggio le capacità comunicative si moltiplicano: l’uomo può raccontare storie, formulare domande, conversare, creare universi immaginari. La parola assume anche un’importante funzione pubblica, ossia quella di tramandare la memoria della comunità. Questo assetto si mantiene fino alla fine del Medioevo. Il Rinascimento e in particolare l’avvento della società di corte, rivoluzionano costumi, mentalità, abitudini, relazioni sociali e gli equilibri di potere tra gli individui e le istituzioni nascenti. Con la società di corte prende avvio il processo di razionalizzazione da cui nasce il mondo moderno: l’aristocrazia si trasferisce a corte e il potere centrale si consolida: nasce un habitus più pacifico e addomesticato. La scalata sociale non è più relativa alla sola aristocrazia, ma anche i cavalieri curializzati, educati, acquisiscono modi di vita più civili e meno selvatici. Si affermano modelli di comportamento e stili di relazione che rivoluzionano il costume, creando un nuovo immaginario simbolico. L’uso delle posate e le buone maniere trasformano i cavalieri medievali, i quali sviluppano un tipo di autocontrollo che sostituisce all’aggressione fisica strategie di studio dell’avversario e introspezione psicologica. Ciò segna il passaggio dall’homo aequalis all’homo clausus: egli prende le distanze tra sé e gli altri e separa la sfera di azione individuale da quella collettiva. 1.3 – C’era una “svolta”… A partire dal Settecento si verifica una frattura pradigmatica che segna una netta discontinuità con il passato: l’avvento della modernità. Il progetto della modernità nasce con gli illuministi, in cui avviene una rivalutazione del ruolo dell’uomo all’interno del mondo; l’Illuminismo assume valore fondativo per tutte le categorie del moderno, poiché i fondamenti della modernità sono in sintonia con il motto “libertà, uguaglianza e fraternità” della Rivoluzione Francese e, soprattutto, con la fede nella ragione, la quale diventa elemento cardine dell’organizzazione moderna. La lotta degli illuministi verso le tradizioni e l’eredità del passato evolve in un’affermazione della razionalità strumentale: si tratta di concentrarsi sull’utilità economica e sull’efficacia dei mezzi per raggiungere gli obiettivi che ci si è prefissati. Habermas chiama progetto della modernità, ciò che si proponevano i grandi illuministi del XVIII secolo, cioè di sviluppare una scienza obiettiva, una morale e un diritto universali e un’arte autonoma secondo le rispettive logiche interne. Questa nuova idea di modernità crede nella linearità del progresso che conduce verso un futuro migliore, da cui non è possibile tornare indietro: la conoscenza è cumulabile, ma non reversibile, e più viene accumulato il sapere, più si è al riparo dagli errori del passato. La comunicazione diventa fondamentale per definire il cambiamento e permette all’uomo di riconoscersi sognatore attraverso i suoi mezzi, le tecnologie e le opportunità che gli offre. Nella comunicazione moderna, la cultura era statica e orientata a dialogare con un soggetto di forte identità, caratterizzato da un forte senso del privato e da una tendenza all’interiorizzazione e introspezione; nella comunicazione post-moderna o tardo moderna, si afferma invece una realtà dinamica, digitale, ipertestuale. L’ipertesto segna il passaggio verso una struttura “ad albero”, non più lineare, ma che esprime la compresenza di aspetti differenti. Quattro sono le categorie principali della comunicazione post-moderna: - interattività; - virtualità; - connettività; - immersione. CAPITOLO II 2.1 – La comunicazione come oggetto scientifico La comunicazione rappresenta l’oggetto di studio di una scienza che, nel corso del tempo, è riuscita a definire le proprie coordinate, sebbene la costruzione di un’identità chiara e univoca appare ancora oggi in corso di definizione. Ogni scienza deve essere in grado di definire il proprio oggetto di studio, ma questo si rivela un obiettivo difficile quando ci si allontana dalle scienze della natura (fenomeni naturali e materiali) per giungere alle scienze umane e sociali (realtà culturali e immateriali). Nasce un nuovo scenario: dal punto di vista del quadro teorico, si riconosce la natura flessibile e mutevole della scienza, la cui fragilità è testimoniata dalle profonde modifiche che ha subito il suo ruolo nel corso dello scorso secolo. Inoltre avviene una crisi delle regole e dei principi del sapere, che danno spazio al dubbio e il sospetto; la radicalizzazione dei concetti e delle categorie lascia il posto a una conoscenza più ecologica e dinamica: dalla formula aut-aut (contrapposizione ed esclusione) a et-et (possibilità, basata sulla contiguità e compresenza). Facendo la comunicazione parte delle scienze umane e sociali, presenta, nel nuovo scenario della vita quotidiana, alcune caratteristiche di mutevolezza ed imprevedibilità. A tale quadro si aggiunge l’aumento delle competenze dei fruitori e la pervasività dei media e la continua evoluzione tecnologica che radicalizzano le incertezze concettuali, moltiplicando i significati e le connessioni tra tecnica, cultura e vita quotidiana. Il termine comunicazione, dal punto di vista etimologico, riguarda lo scambio che avviene tra un numero variabile di soggetti; nel senso più recente, invece, le definizioni di comunicazione sono aumentate in modo esponenziale, ma tendono ad aggregarsi in due macro-aree: - la prima legata alla vita quotidiana, alle pratiche culturali, sociali e antropologiche; - la seconda caratterizzata dalla centralità dell’innovazione. Tra i molti saperi che si sono dedicati allo studio della comunicazione, emerge la sociologia: disciplina che più ha contribuito alla nascita delle scienze della comunicazione. Comunicazione e sociologia hanno elementi in comune: - interesse nei confronti dei processi di modernizzazione delle società contemporanee; - necessità di risolvere la dialettica individuo-società. Ma vi sono diversi nodi problematici: - rischio di produrre interpretazioni troppo generiche e valide solo sul piano teorico; per superare tale problema, nasce la necessità di assumere prospettive complementari e compresenti attraverso cui descrivere la società; - partecipazione dell’osservatore all’oggetto osservato, prendendo parte ai processi e alle relazioni che si propone di studiare; infatti in qualsiasi esperimento i due termini del rapporto si influenzano reciprocamente; - scarto tra dimensione collettiva (macro) e individuale (micro): le scienze della comunicazione hanno mostrato una certa ostilità per una prospettiva che tenesse conto contemporaneamente degli aspetti macro e micro comunicativi. Di questi ultimi si sono occupati la psicologia sociale o la sociolinguistica, mentre la progressiva creazioni di reti complesse ha indotto a porre l’attenzione sul versante macro-comunicativo, senza tener conto che all’interno di questi processi ad agire, interpretare sono gli essere umani. L’eterogeneità e la ricchezza dei significati assunti dalla comunicazione possono essere affrontate partendo da elementi riconoscibili, con lo scopo di far emergere tipi ideali (modelli interpretativi) indispensabili per orientarci e ridurre la complessità. 2.2 – Verso le scienze della comunicazione I problemi accennati prima riguardano da un lato lo studio della società in generale, e dall’altro lo studio della comunicazione, che si occupa delle dinamiche di interazione tra gli esseri umani. Questa complessità è dovuta al fatto che la comunicazione è divenuta prerequisito della società contemporanea: esiste un legame diretto ed essenziale tra le scienze della comunicazione e la società della comunicazione. In virtù di questa relazione, l’assetto sociale viene profondamente condizionato dalle pratiche e dai flussi di informazioni e relazioni che si sviluppano al suo interno. Lo studio della comunicazione trova origine negli Stati Uniti, dove la Communication Research inaugura una nuova tradizione di ricerca: l’obiettivo è quello di collocare lo studio dei fenomeni comunicativi all’interno di un frame che li renda percepibili, riconoscibili e analizzabili. La nascita dei media studies forma quindi un fondamentale punto di svolta nel campo scientifico, caratterizzato da: - nella prima fase: onnipotenza dei media, effetti a breve termine, società di massa e propaganda; - nella seconda fase: effetti limitati dei media, centralità dei gruppi sociali e relazioni interpersonali; - nella terza fase: effetti a lungo termine, ruolo dei media nei processi di socializzazione. Di quest’ultima fase, tra gli approcci più rivelanti emergono la teoria degli usi e gratificazioni (Blumer, Katz, 1974) e la teoria della coltivazione. La prima, si concentra sull’analisi delle motivazioni e dei bisogni che inducono gli individui all’adozione di particolari comportamenti culturali. La teoria della coltivazione, analogalmente, mette a punto una prospettiva per l’analisi dei flussi comunicativi, sottolineando come i più forti consumatori mediali possono correre il rischio di sovrapporre le forme della realtà mediata a quelle della vita concreta. 2.3 – Oltre il pensiero debole Per le scienze sociali e umane, la difficoltà di giungere a una visione unitaria diventa più evidente considerando la condizione del sapere nella società occidentale. Ne segue una crisi dei saperi alla base della coesione sociale, delle ideologie e la frammentazione dell’esperienza umana nella modernità liquida, che hanno favorito la diffusione di un eccessivo relativismo e di una de-oggettivizzazione della realtà, definibili pensiero debole. L’unica costante diventa il cambiamento e l’unica certezza, l’incertezza. Inoltre si avvalora l’idea che il mondo reale esista solo in virtù dell’azione interpretativa dell’individuo, in contrasto con il positivismo, che tendeva all’analisi e spiegazione dei fenomeni attraverso una logica causale. Esempio possibile è quello del film di Kurosawa, con l’effetto Rashomon: lo stesso evento (assassinio di un samurai) è oggetto di differenti versioni elaborate da diversi testimoni che sono tutti convinti di quanto hanno detto. Ciò sottolinea la scomposizione dell’ideale unicità dell’accaduto e la moltiplicazione delle prospettive nella società della comunicazione. Il pensiero debole, nato come tentativo di emancipazione delle pratiche comunicative, si è radicalizzato in alcune sue espressioni più rivelanti: - rischio della supremazia delle interpretazioni sulla realtà; - successo della retorica; - attribuzione di un potere superiore al più forte. In una società in continuo cambiamento, molti concetti derivanti dalla sociologia classica devono essere sottoposti a revisione e aggiornamenti dei loro significati, poiché hanno perso la loro capacità di comprendere e spiegare le forme della vita sociale, trasformandosi, usando il termine di Beck, in “categorie zombie”. Il percorso di revisione delle tipologie interpretative deve fondarsi da un lato sulla ricerca e dall’altro sulla sperimentazione di aggiornamenti e concetti teorici indispensabili a guidare le analisi empiriche. Il superamento del pensiero debole avviene con un nuovo pensiero complesso (Morin, 1990), che attraverso il dubbio, la capacità critica e l’incertezza si contrappone alle forme di eccessivo relativismo. 2.4 – La comunicazione tra scienza e immaginario Partendo dal pensiero complesso, prende forma un nuovo oggetto scientifico: l’immaginario. L’immaginario è un enorme archivio in cui si sedimentano i prodotti culturali, che non fanno necessariamente riferimento al reale. Il termine riconduce al concetto di immagine, in cui convivono due differenti nature, la realtà e la rappresentazione. Se da un lato l’immagine restituisce l’aspetto di qualcosa in assenza, dall’altro la capacità creativa delle immagini può rendere reale anche ciò che non lo è o, almeno, produrre degli effetti concreti. Per la loro doppiezza (ciò che rappresenta-ciò che vediamo) e ambiguità, le immagini sono considerate pericolose e sovversive, perché in esse risiede la possibilità di manifestare una volontà sovversiva nei confronti di ciò che è già dato. CAPITOLO 3 3.1 – Gli hashtag della comunicazione Che cos’è la comunicazione? Il termine fa riferimento a una pluralità di aspetti, fenomeni, oggetti riconducibili a un’unica idea generale. Per cogliere l’essenza di questa idea dobbiamo considerare una varietà di concezioni ipotizzando una loro possibile categorizzazione e una loro continua connessione. Precedenti studi hanno cercato di sistematizzarla tentando di mettere a punto diverse definizioni. Una definizione è una mappa, un’immagine concettuale di una particolare entità di cui viene fornita una rappresentazione sintetica valida sul piano astratto, ma suscettibile di critiche se riportata sul piano pratico. Tutto dipende dal fenomeno che prendiamo in considerazione: più esso ci appare complesso, più sarà relativamente semplice fornire una definizione efficace. In sostanza se è poco probabile riuscire a circoscrivere in maniera analitica un fenomeno, risulta più semplice sviluppare una riflessione volta a individuare, in maniera sintetica, alcune concezioni generali dell’oggetto di studio. Ed è qui che entra in gioco Twitter. Nasce nel 2006, con l’obiettivo di dotare i social network di un accresciuto potere informativo; agli utenti viene data la possibilità di fornire continui aggiornamenti, fondati su una restrizione della loro capacità espressiva. Infatti sono 140 i caratteri che possono essere utilizzati e che si adattano al ritmo frenetico di un mondo segnato dall’overload informativo e dalla ridondanza dei contenuti dei flussi comunicativi. Alla brevità si affianca un’altra dimensione centrale che permette a questo SNS di dialogare con altri ambienti simili: il link, il quale rimanda ad altri contenuti già pubblicati. Così, ogni tweet si trasforma nel nodo di una rete più ampia ed estesa, grazie al link che permette di destrutturare l’ambiente della rete e di creare flussi di contenuti. Per evitare che tutto ciò diventi caotico, è necessario utilizzare gli hashtag, uno strumento che consente di organizzare i messaggi secondo specifiche parole chiave. Utilizzando una serie di tweet, organizzati in una sequenza di hashtag, tentiamo di rispondere alla domanda iniziale creando una nuvola semantica di definizioni e concezioni. 3.2 - #comunicazionecomebisogno In quest’ottica, il pensiero umano e l’informazione non rappresentano più un elemento sovrastrutturale a fronte di fattori strutturali, ma diventano invece una risorsa potenzialmente inesauribile, che se adeguatamente utilizzata è in grado di sostituire tutte quelle risorse materiali di cui invece non abbiamo scorte a sufficienza. Non si può, però, sostenere che siano state annullate tutte le forme di disuguaglianza sociale e culturale. La possibilità di fruire dell’enorme mole di contenuti e prodotti rimane condizionata da due fattori tra loro inversamente proporzionali: se il costo delle tecnologie tende a scendere con la loro progressiva normalizzazione, le competenze richieste per l’utilizzo delle nuove tecnologie tendono ad aumentare. 3.5 - #comunicazionecomerelazione Due valenze del concetto di relazione: da un lato la socializzazione, cioè il processo di interiorizzazione di norme, valori, modelli di comportamento, che consentono all’individuo di entrare a far parte del mondo della vita; dall’altro lo scambio sociale, cioè il processo fondato su meccanismi di interazione e cooperazione con gli altri. Entrambe, tuttavia, si sono andate inarrestabilmente modificando, rendendo sempre più labili i confini fra questi due concetti. Così, alle tradizionali agenzie di socializzazione se ne sono aggiunte di nuove, conferendo all’individuo un ruolo sempre più attivo. Molte teorie sociologiche hanno cercato di analizzare la presunta dicotomia individuo-società. Le teorie funzionaliste hanno individuato che l’individuo agisce in funzione del mantenimento della coesione, della stabilità e dell’integrazione del sistema sociale. Il processo di socializzazione è inteso come un meccanismo di conoscenze, un flusso unidirezionale, volto a promuovere l’adesione a una determinata cultura. Altre impostazioni teoriche, come l’interazionismo simbolico, superano questa visione statica, valorizzando l’elemento della relazione sociale, e considerano la società come una fitta rete di legami basata su una costante alternanza dei ruoli. Così la società si pone come società degli individui e mediante lo scambio simbolico questi avviano la costruzione della relazione sociale. Il processo di modernizzazione riconfigura il rapporto individuo-società: - incremento della sfera relazione degli individui (evoluzione delle tecnologie comunicative e aumento dell’alfabetizzazione mediale dei fruitori); - affievolimenti della rigidità dei ruoli (genitore/figlio, moglie/marito) a favore di rapporti più dinamici e flessibili; - ruolo attivo del soggetto; - carattere negoziale e immediato del processo di trasmissione delle regole e dei valori. I SNS sono considerati come spazi riservati alla costruzione delle relazioni sociali, creando così una realtà mediale e un rapporto simbiotico degli individui con i mezzi di comunicazione. 3.6 - #comunicazionecomecultura Il concetto di cultura è trasversale e polisemico: un insieme di idee, simboli, significati, modelli di comportamento, ruoli, istituzioni, regole. La riflessione antropologica ha giocato un ruolo decisivo nello studio dei fenomeni e dei processi. Sono state individuate nel tempo più di duecento differenti definizioni del concetto di cultura, portando ad un graduale superamento di una visione etnocentrica della cultura occidentale. Anche in campo sociologico sono state elaborate diverse concezioni: l’insieme di produzioni materiali e immateriali, valori, abitudini, condivisi dagli individui che fanno parte della società. Lo studio dei fenomeni e dei processi culturali investe la quasi totalità delle sfere di vita del soggetto. La cultura si pone come un’attività quotidiana che si rende visibile grazie alla comunicazione e che tende alla propria auto-produzione. Con l’affermazione della società industriale, in cui i media hanno assunto un ruolo sempre più centrale, la progressiva appropriazione della realtà da parte degli individui è diventata, attraverso la costruzione di mezzi simbolici e materiali, sempre più diffusa e rapida. Importante è la differenza tra i concetti di kultur e civilisation. Kultur fa riferimento alle caratteristiche e al valore che attribuiamo ai prodotti culturali: sistemi di pensiero, concezioni religiose, opere d’arte. Civilisation considera l’atteggiamento degli individui nei confronti del mondo, anziché i risultati tangibili dei processi di produzione. La cultura assume la valenza di seconda natura dell’essere umano, che modella i comportamenti collettivi e quelli individuali, anche se gli individui non sono mai totalmente conformi ai modelli proposti, arrivando a forme di devianza per ridurre la distanza tra norma e desiderio. Così lo spirito del tempo di una società si concretizza riconfigurando il rapporto dinamico tra kultur e civilisation, in un continuo oscillare tra stabilità e fragilità, vita e forma. Oggi, i processi di cambiamento sono stati sostituiti da una metamorfosi senza soluzione di continuità, da una trasformazione di ambienti, soggetti, prodotti più difficili da osservare e comprendere; la comunicazione, quindi, conferisce alla cultura un ritmo di cambiamento nel segno di una iperproduzione di messaggi, testi, informazioni che rendono imprevedibile e complessa questa sfera della realtà. In altri termini, determinano un cambiamento della conoscenza. Conoscere vuol dire attribuire senso e significato a oggetti, fatti, fenomeni; il rapporto tra comunicazione e cultura costituisce la doppia via attraverso cui gli individui possono mettere in atto i loro scambi e attribuire loro un significato. La messa a punto di sistemi industriali di produzione dei contenuti ha amplificato la portata di tale processo. Dalla relazione tra pratiche di produzione, sistema culturale e processi di trasmissione ha origine il concetto di industria culturale. Si sono affermate diverse teorie sul rapporto industria-cultura. Alcuni studiosi si sono soffermati sull’emersione di nuove aree della cultura; l’industria culturale sarebbe in grado di produrre una cultura media, che unisce popoli differenti, le classi, le generazioni. In realtà, negli anni ’60, ci sono forti critiche verso una produzione che trasforma i tradizionali valori universalmente riconosciuti, opacizzando i confini consolidati: la cosiddetta midcult, che viene accusata di banalizzare la cultura elevata riproponendone una semplicistica. Concettualizzazioni più recenti considerano la cultura come frutto di una cooperazione tra creatori e consumatori, implicando meccanismi di produzioni e di distribuzione, legami sociali e comunicativi che mettano in contatto soggetti diversi in ambiti diversi. In questo modo il concetto di industria culturale viene sostituito con industrie culturali: un insieme di beni e servizi prodotti e riprodotti, immagazzinati e distribuiti con criteri industriali e commerciali, in un’ottica attenta alla peculiarità di ogni singolo mezzo e all’attività del pubblico. 3.7 - #comunicazionecomepotere I rapporti di potere nella sfera della micro-comunicazione sono condizionati da variabili economiche, sociali e culturali. Ogni atto comunicativo dipende dal rapporto esistente tra coloro che ne sono coinvolti e può essere definito come simmetrico o complementare. Simmetrico quando si tratta di uno scambio comunicativo in cui i soggetti coinvolti si trovano sullo stesso piano; complementare , invece, se gli attori sociali si trovano su piani diversi. Se consideriamo il piano della macro-comunicazione, nella comunicazione mediata e di massa si amplia il numero di fattori che determinano i rapporti di potere tra emittente e ricevente. I media studies, in particolare, riconducono l’analisi delle forme di potere prodotte dai mezzi di comunicazione allo studio degli effetti mediali. L’evoluzione dei media si può dividere in tre fasi: - Onnipotenza dei media: effetti a breve termine, società di massa, propaganda e influenza (teoria ipodermica, bullet theory); - Effetti limitati dei media: centralità delle relazioni sociali, processi selettivi (personal influence, usi e gratificazioni); - Effetti a lungo termine: ruolo dei media nei processi di socializzazione (spirale del silenzio). All’inizio del Novecento, il potere della comunicazione viene paragonato a un proiettile magico in grado di colpire sempre il suo bersaglio, inducendo i destinatari di un potenziale messaggio a eseguire in maniera automatica ciò che gli viene imposto. A quasi mezzo secolo di distanza il dibattito sugli effetti dei media non ancora si è esaurito, facendo maturare la convinzione che i media non siano in grado di esercitare la medesima influenza su tutti gli individui. Definendo rappresentazioni di una realtà, i media possono produrre diversi effetti: ordinare in funzione di un ipotetico criterio di importanza gli avvenimenti (agenda setting); dare l’impressione che esista una maggioranza di persone che condivide uno stesso punto di vista, a discapito di una minoranza che invece appare poco rappresentata (spirale del silenzio); produrre una deformazione nella percezione del mondo circostante, non derivante dall’esperienza diretta, bensì da quella mediata (coltivazione). Il potere mediale, però, si può esprimere anche attraverso la sua capacità di influenzare mondi che le sono estranei, cioè attraverso un meta-capitale mediale. I media esercitano potere su altre forme di potere e su altri campi, riuscendo a imporre le proprie regole e finalità. Le conseguenze possono essere anche differenti, quando si verifica una semplificazione e una banalizzazione dei contenuti veicolati. Una corretta comprensione delle conseguenze (ossia capire quali effetti hanno i media sulle persone) non può prescindere dalla considerazione delle modalità attraverso cui questi si concretizzano. Un altro livello del discorso riguarda il rapporto che la comunicazione intrattiene con il potere, non come soggetto attivo e proponente, ma come luogo in cui questo si produce e riproduce. I media occupano una posizione centrale dal punto di vista politico, in quanto costituiscono il luogo in cui il potere si produce e diffonde. Il potere che scaturisce dalla comunicazione, quindi, continua a rappresentare un obiettivo primario di tutti coloro che possono essere in grado di influenzare la scelta, la produzione e la distribuzione dei contenuti a tutti i livelli. Un’abilità unica che ci ha consentito di iniziare a elaborare associazioni di significato che hanno innescato un processo irreversibile: la socializzazione. La comunicazione si rivela uno strumento strategico per addomesticare la natura circostante e costruire legami sociali, al fine di rendere possibile la sopravvivenza e di ridurre l’incertezza. Non esiste un singolo habitat, ma una moltitudine di ambienti, la cui combinazione dà origine a una figurazione macro-sistematica: il multiverso. Esso presuppone il superamento dell’idea di un solo universo, a favore dell’ipotesi della coesistenza di più universi, capaci di racchiudere qualsiasi aspetto della realtà. Il multiverso comunicativo che caratterizza la società contemporanea è frutto di un processo di complessificazione della realtà naturale dell’uomo. In sintesi: l’uomo nasce in un ambiente che per essere abitato prevede lo sviluppo di forme di adattamento; una di queste è la comunicazione, che determina una modifica dello stesso ambiente in cui l’uomo si trova. L’adattamento dell’uomo all’ambiente in cui nasce determina, quindi, un processo di trasformazione dell’habitat stesso. Un esempio di questa complessità è rappresentata da Internet, che presenta tanto i vantaggi quanto le criticità della comunicazione stessa. I SNS, porzioni di una più vasta realtà (Internet), sono definiti da Lovink “walled gardens” (giardini recintati): piccoli mondi elitari (privati) fondati, in alcuni casi, sulla replicazione di tradizionali forme di disuguaglianza sociale e culturale. 4.3 – Comunicazione come habitus L’habitus è inteso come il rapporto bidirezionale tra un soggetto e la collettività cui appartiene; una connessione tra noi e il mondo. Il concetto di habitus ridefinisce la relazione tra individui e società, i quali stabiliscono un rapporto circolare, in cui le loro reciproche proprietà non sono né totalmente innate né completamente acquisite. La rappresentazione della realtà da parte degli individui deriva da disposizioni psichiche socialmente costruite, frutto di una continua negoziazione tra noi e la società. Consideriamo un aspetto della vita di tutti i giorni: l’abbigliamento. Il modo in cui vestiamo è determinato dal nostro gusto personale. Il gusto deriva, tuttavia, da una sorta di compromesso tra l’individuo e l’ambiente. La scelta dell’abbigliamento, infatti, può essere legata ad una serie di fattori, come la disponibilità economica, la volontà di seguire una moda, l’educazione ricevuta. Secondo Bourdieu, l’habitus può essere considerato una forma di ordine sociale incorporato attraverso la socializzazione; il risultato di un processo che orienta le possibilità di scelta e di azione dell’individuo. Più semplicemente, possiamo usare la definizione d’interdipendenza di Elias: il modo in cui l’io individuale e il noi sociale si modellano, attraverso una contaminazione reciproca, dà origine a specifiche configurazioni storico sociali (società medievale, di corte, della comunicazione…). Ogni individuo reca un’impronta specifica di queste configurazioni, condivisa con tutti gli altri soggetti appartenenti alla sua società. Utilizzare la categoria interpretativa dell’habitus, in sostanza, significa che gli individui sono contemporaneamente conio e moneta (Elias) del mondo sociale che li ospita e che hanno contribuito a costruire. La comunicazione acquisisce pienamente la valenza di habitus: la crescente pervasività dei media e la moltiplicazione delle occasioni di scambio delineano nuove forme di attualizzazione del rapporto tra individuo e collettività. Il concetto di società viene affiancato da quello di socialità, in quanto l’ambiente di vita, arricchito dalla comunicazione, si è trasformato in una fitta rete di relazioni e processi. L’uso intensivo dei mezzi di comunicazione ha coinciso con la continua emersione di nuove forme di azione e d’interazione; si tratta di una trasformazione interna all’architettura cognitiva del singolo e a quella contestuale della società: la comunicazione combina, nella forma di connettivo, l’individuale e il collettivo, modificando l’habitus da interdipendenza a connessione. L’espansione dei mezzi e degli ambienti comunicativi ci offre la possibilità di trasformare curiosità, interessi prima in opportunità di approfondimento, poi in occasioni di scambio e confronto, in cui assumiamo il ruolo di influenti o di influenzati, a prescindere dal nostro status, dalla posizione che occupiamo nel ciclo della vita. La comunicazione, oggi, fornendo un elevato numero di risorse (canali, contenuti), ridefinisce il nostro agire comunicativo e garantisce una più vasta capacità di azione, fino a tradursi in un nuovo statuto ontologico. Almeno tre sono le possibili criticità insite nelle nuove dinamiche comunicative: - incapacità di gestione dell’enorme flusso comunicativo, causata dal continuo essere connessi in scambi sempre più rapidi e istantanei; - paradossale contrazione delle capacità riflessive e cognitive, causata dal continuo utilizzo di tecnologie; - presentismo, ossia una tirannia del presente, causata dall’overload informativo. Anche consapevoli di queste problematiche, però, una soluzione percorribile non consiste in forme di disconnessione, bensì in una maggiore consapevolezza critica, ossia nella capacità di comprendere e orientare attraverso una connessione più cosciente il nostro ambiente, il nostro agire, noi stessi: il nostro habitus. 4.4 – Comunicazione come heimat Heimat è un vocabolo tedesco che non ha un diretto corrispettivo nella lingua italiana, ma ha una duplice interpretazione: - piccola patria (o patria d’origine): spazio fisico e simbolico, in cui l’individuo affonda le proprie radici e i propri affetti (famiglia, infanzia) e sperimenta i legami più prossimi; - seconda patria (o patria elettiva): luogo reale e simbolico, a cui l’individuo decide liberamente di appartenere attraverso una nuova colonizzazione dell’esperienza; essa rappresenta il mondo che l’individuo si sceglie da adulto e in cui decide di fermarsi. Heimat è il titolo della saga cinematografica del regista tedesco Edgar Reitz, che ripercorre la storia di una famiglia immaginaria nella Germania del XX secolo, dal 1919 ad oggi. Il primo e il secondo film si concentrano rispettivamente sul ritorno alla patria d’origine e sull’abbandono della terra natia. Il concetto di heimat è applicabile alla comunicazione nella sua duplice natura: la comunicazione è una patria d’origine, in quanto attività connaturata all’essere vivente da un punto di vista biologico (#comunicazionecomebisogno) e antropologico (relazione); è al contempo una patria elettiva, una destinazione individuale e simbolica (cultura), che l’individuo sceglie autonomamente a partire dalle proprie necessità e desideri. La comunicazione come heimat si fonda sulle scelte compiute dagli individui e sulle loro istanze di emancipazione; essa è sempre interconnessa alle condizioni sociali, tecnologiche e culturali della realtà in cui si sviluppa e non è esente dai rischi che ogni allontanamento dalla propria terra d’origine può comportare. L’innovazione tecnologica ha reso possibile l’integrazione tra i due aspetti di heimat comunicativi: fino a quando era disponibile una tecnologia limitata, tendeva a prevalere il primo (come patria d’origine); infatti la definizione di mass-medium deriva da una concezione legata ad un sistema di trasmissione basato su un ristretto numero di scelte e su un ruolo meno attivo del soggetto, a vantaggio di una più ampia condivisione degli stessi contenuti. Significativo è l’esempio costituito dalla televisione. Il passaggio da una dieta mediale povera ad una più ricca rappresenta simbolicamente il passaggio da un heimat intesa come patria d’origine ad un heimat come patria elettiva. La paleo televisione (in bianco e nero) ha costituito un enorme archivio condiviso di immagini e informazioni a cui gli italiani hanno attinto, riconoscendovi le proprie radici e appartenenze culturali (patria d’origine). La nascita delle tv private fino alle più recenti tecnologie mediali hanno avviato la costruzione di nuovi territori dell’abitare, dipendenti da volontà e scelte personali (patria elettiva). I social network e Facebook, in particolare, rappresentano il mondo in cui la comunicazione oggi è divenuta una heimat in cui i soggetti scelgono di abitare. Luoghi individuali e collettivi, che come ogni patria elettiva, presentano anche una serie di rischi dovuti all’incertezza, alla superficialità dei rapporti e all’inarrestabile contagio comunicativo. Tanto la televisione quanto Facebook costituiscono esempi a supporto della medesima idea: la comunicazione, divenuta ambiente (habitat) e nodo di connessione tra sfera individuale e collettiva (habitus), è anche l’essenza più profonda dello spazio che scegliamo di abitare e di quello in cui ci troviamo a vivere (heimat). Il prevalere di una dimensione o di un’altra dipende da diverse variabili: la nostra struttura psicologica, l’insieme delle nostre relazioni sociali, la qualità e la quantità delle nostre esperienze di vita. CAPITOLO V 5.1 – Nella società della comunicazione La società della comunicazione è il risultato di una serie di cambiamenti che hanno avuto luogo concretamente a partire dal Novecento, trasformando radicalmente le nostre vite. L’origine di questa concezione impone un viaggio a ritroso nel tempo, dal momento che deriva dall’evolversi dello stretto rapporto tra la modernità e la comunicazione. Dalla seconda metà del Novecento in poi, prende forma un mutamento che riguarda la società nel suo complesso: i modelli lavorativi e produttivi, le istituzioni e le agenzie di socializzazione e, in generale, gli standard di vita delle persone. L’industria perde il primato e nasce la società post- industriale, le cui caratteristiche principali scaturiscono dall’affermazione di un’economia basata sulla produzione di beni immateriali, dalla centralità del sapere come strumento per l’innovazione, dalla preminenza di una classe di professionisti e tecnici. Il fulcro vitale di questa nuova società è rappresentato dalla produzione di beni simbolici. Un ruolo primario viene ricoperto dalla tecnologia, considerata da un lato come la variabile determinante dei processi di cambiamento, dall’altro come fautrice di una sorta di postumanesimo. Il modello matematico-informazionale costituisce l’esempio più significativo: un modello semplificato del mondo attraverso cui è possibile spiegare eventi che possono accadere nella realtà. Il suo scopo è la risoluzione di problemi di trasmissione, al fine di garantire la migliore ricezione possibile del messaggio. Questo modello introduce due elementi di riflessione fondamentali: - la considerazione degli aspetti pragmatici relativi alla produzione degli effetti desiderati, sulla base di una specifica concezione secondo cui è sempre possibile stabilire criteri precisi nel processo di codifica del messaggio; - la dimensione della significazione che riguarda i livelli di congruenza tra il messaggio inviato e ricevuto, aprendo la strada alla concettualizzazione delle modalità di decodifica aberrante. La confluenza di cibernetica e teoria matematica dell’informazione dà origine a una visione ideologica, secondo cui è indispensabile combattere ogni tentativo di limitare la libera circolazione delle informazioni. Questa utopia segna una fase fondamentale delle scienze della comunicazione, traducendosi in un progetto etico e filosofico che si sviluppa su tre livelli: una società ideale, una nuova concezione antropologica dell’uomo, l’idea della comunicazione come valore. Nel sistema sociale non solo tutti gli esseri umani sono considerati aventi pari dignità, ma persino le macchine, nuovi attori intelligenti, acquistano un ruolo attivo e strategico. Soggetto di questa rivoluzione è l’homo communicans che ha il compito di colonizzare e abitare il territorio del mondo: uno spazio armonico, utopisticamente depurato dal conflitto. Un elemento trascurato è che la comunicazione non è mai neutra, ma al contrario i messaggi non arrivano quasi mai al destinatario nello stesso modo in cui sono pensati dalla fonte. Gli individui diventano nodi interconnessi nel nucleo di una grande rete: l’uomo comunicante è immerso nel flusso di scambi e relazioni che si svolgono nel mondo esterno, completamente privato della sua corporeità e spiritualità. Con il passare del tempo, alcuni tratti di questa visione utopistica procedono verso una normalizzazione, venendo interiorizzati all’interno di nuove teorie e modelli di spiegazione. La dimensione etica della comunicazione si fonda su tre principi morali fondamentali: la giustizia, che consiste nell’identica possibilità per tutti di usare il linguaggio per le proprie argomentazioni; la solidarietà, intesa come la disponibilità e l’apertura reciproca nel quadro di un obiettivo comune; la responsabilità, quale impegno alla soluzione dei problemi. La consapevolezza dell’impossibilità di realizzare un universo comunicativo in cui i messaggi fluiscano liberamente senza ostacoli alla circolazione o comprensione, pone l’accento sulla necessità di adottare un agire comunicativo. Esiste una distinzione fondamentale tra razionalità e soggettività: mentre i significati sono soggettivi, il processo comunicativo possiede una struttura razionale; pertanto le azioni comunicative rappresentano la forma più consapevole di umanità, distinguendosi dalle azioni strumentali, attraverso cui l’individuo agisce in modo strategico, mettendo in atto una volontà di dominio. La possibilità di una comunicazione più immediata e intima ha dissolto antiche barriere sociali, facendo posto a nuove forme di relazione e interazione, le quali sono differenziate e orientate a network multipli e fluidi. Così anche il tradizionale limite individuabile in un numero circoscritto di persone con cui un individuo può instaurare una relazione è stato enormemente amplificato dalla quantità di contatti garantita dalle attuali tecnologie comunicative. Due considerazioni: innanzitutto la struttura a rete non coincide necessariamente con una semplificazione dei rapporti, ma con la loro crescente complessità; in secondo luogo, il fatto che il paradigma relazionale abbia sostituito quello informazionale, ponendo l’accento sullo scambio e interazione, non significa che si sia realizzata un’utopia di una comunicazione trasparente: le relazioni sociali non rappresentano un fattore positivo in assoluto, ma possono configurarsi come cooperazione e come conflitto, come trasparenza e come menzogna. Parlare di una società della comunicazione non significa dunque propendere a favore di una visione utopistica, ma piuttosto riferirsi a uno stadio dell’evoluzione del rapporto tra uomo, natura e tecnologia, in cui la comunicazione è il fattore determinante. All’interno di questa realtà iperconnessa e ipercomplessa, l’homo communicans non presenta le stesse caratteristiche immaginate dalla cibernetica, piuttosto la sua natura è assimilabile a quella dell’homo complexus: unione di individualità, specie e società, capace di racchiudere un insieme di caratteristiche apparentemente contraddittorie, ma necessariamente coesistenti, di cui la comunicazione rappresenta un tratto distintivo. Nell’homo communicans, il dentro e il fuori coincidono, poiché l’uomo trae la propria identità dal rapporto con il suo habitat, in cui egli costituisce un nodo di azioni e reazioni. Interiorità ed esteriorità partecipano agli stessi processi di cambiamento. L’uomo comunicante è libero nella circolazione dei contenuti ma deve rispondere a logiche di mercato nella loro gestione e distribuzione. Tra questi due estremi esiste un’infinita gamma di sfumature, conoscenze, competenze, bisogni, soggetta a un confronto incessante con il fattore comunicazione. Possiamo sostenere che l’homo communicans possiede un’anima giovane e digitale, condividendo tutte le sfaccettature della comunicazione che abita, ma allo stesso tempo al suo interno resiste anche un’anima vecchia e generalista, che può mostrare un forte disagio nell’adattarsi alla velocità del cambiamento. L’homo communicans, quindi, riassume in sé lo slancio verso l’innovazione e la resistenza nei confronti del cambiamento, la ricchezza delle tante occasioni di interazioni e relazioni e la paura della solitudine, la crescente necessità di essere connesso e l’ossessione di non riuscirci. E’ tutto noi, in sostanza: una specie di/in evoluzione di cui ancora molto rimane da capire e scoprire.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved