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Riassunto I metodi - Quaglino (cap. 1-2-4-6-10-17-18-23-30-32), Sintesi del corso di Metodologia della ricerca

Riassunto I metodi - Quaglino (cap. 1-2-4-6-10-17-18-23-30-32)

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 14/05/2022

Antonio____
Antonio____ 🇮🇹

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Scarica Riassunto I metodi - Quaglino (cap. 1-2-4-6-10-17-18-23-30-32) e più Sintesi del corso in PDF di Metodologia della ricerca solo su Docsity! 1 FORMAZIONE: I METODI CAPITOLO 1: ACTION LEARNING Introduzione Qualcosa è profondamente mutato nell’universo della formazione degli adulti operanti nelle organizzazioni del nostro tempo. Le istanze del cambiamento hanno segnato, nelle indicazioni della ricerca, il transito dalla centralità dell’insegnare a quella dell’apprendere. Radici di un metodo In pochi casi come in quello di Reg. W. Revans l’ideatore e il primo sperimentatore di AL, un metodo educativo profondamente radicato nelle convinzioni etico-religiose del suo autore. L’idea germinale di AL si sviluppa a partire da tre fonti di ispirazione: la figura e l’attività paterna; le esperienze professionali manageriali di Revans antecedenti la sua attività di docente universitario; la spiritualità di quacchera e l’esperienza del Clearness Committe.  Il padre di Revans ricopriva il ruolo di Chief Ship Surveyor nel dipartimento della Marina mercantile. Al di là di tale descrizione della personalità del padre e dell’influenza profonda dei valori a essa connessi nella sua formazione personale e scientifica, Revans, discutendo le fonti dell’idea ispiratrice l’AL, sottolineò sempre il grande peso che ebbe la ricerca istruttoria condotta da suo padre nell’analizzare le cause del disastro del Titanic nel 1912: caso contente in sé tutti gli elementi istituzionali di AL.  Nel periodo 1944-1945 Revans operò come Chartered Mining Engineer in un’azienda mineraria. Revans ricordò per tutta la sua vita, quella esperienza come una straordinaria occasione per confrontarsi con il suo innato interesse nei confronti dei processi di apprendimento.  Revans è stato per tutta la sua vita membro del Christian Protestant Group, seguaci del quaccherismo, fede religiosa caratterizzata da principi di tolleranza e amore reciproci. Si può cogliere una stretta relazione tra la pratica quacchera del Clearness Commitee e quelli che in seguito, secondo la prospettiva revansiana di AL, saranno gli action learning sets. La pratica del Clearness Commitee è fondata sulla seguente convinzione: ogni essere umano affronta spesso problemi personali ardui nell’ipotesi di possedere risorse interne idonee a risolverli ma contemporaneamente di ospitare forza oscure ostacolanti i processi di consapevolezza per lo più attraverso processi inconsci, a tutto questo si accompagna la convinzione che il gruppo degli amici, dei colleghi e dei familiari potrebbe essere di aiuto, convinzione frenata dal timore che esporre a tale audience i problemi che angustiano possa essere occasione di giudizi e valutazioni. L’attività di un Clearness Commitee si struttura nei seguenti ruoli e processi: la focus person testimone del problema da affrontare e il gruppo di persone scelte (Committee) col quale confrontarsi; la dichiarazione al Committee della natura del problema; la gestione della riunione affidata a un chairman e lo scambio tra i membri del Committee e la focus person limitata a domande amichevoli, lontane da ogni curiosità inutile, attraverso le quali la persona interessata potrà rimuovere i suoi ostacoli interni alla comprensione delle problematiche che la preoccupano. Revans elabora e scrive i principi fondamentali di AL nel 1971 e definisce le istituzioni del metodo di AL nel 1980. Egli in quegli anni lancia la sua sfida attraverso una metodica, AL, ispirata da una forte attenzione al contesto, da una densa attenzione alle condizioni di esperienza del soggetto, da un primato, in altre parole della pratico Action learning: definizione e riferimenti operativi/esecutivi AL è un metodo di formazione degli adulti operanti nelle organizzazioni. Metodo è un sostantivo che deriva dal greco antico: methodos, via che conduce oltre. AL è un metodo innovativo di formazione operante nelle organizzazioni, capace, nell’intenzione di color che lo scelgono e lo propongono, di assistere i suoi “clienti” nell’affrontare meglio la sfida della complessità. “Metodo di formazione (relazionale) per adulti operanti in organizzazioni, a partire da un approccio al lavoro e allo sviluppo/apprendimento attraverso l'affrontare un progetto o un problema reale proposto da un committente e elaborato in setting educativi diversi, sempre caratterizzati dalla presenza di un gruppo di lavoro operante sia nel suo insieme che in alcuni più ridotti sottogruppi di lavoro (set di AL), con l'assistenza costante di uno specialista di formazione degli adulti, all'interno di un predefinito patrimonio di risorse temporali, da investire da parte dei partecipanti per l'adesione di AL, e budgetarie per eventuali richieste di assistenza/consulenza specialistica”. L’analisi della definizione proposta consente di individuare al suo interno una cascata interconnessa di riferimenti specific/peculiari di AL:  Riferimento sorgivo, centrale nell’orientamento all’agire, al lavoro dell’essere umano;  Si fonda sulla convinzione che non vi possano essere apprendimento e invenzione avulsi dal lavoro, dalla pratica quotidiana delle donne e degli uomini;  Riflette la circostanza che ogni apprendimento/cambiamento esige un’esposizione in direzione di uno squilibrio, di un sovvertimento di stabilità pre-conseguita;  Indica contemporaneamente come dal semplice fare non nasca, non possa nascere l’apprendimento. Per uncinare l’apprendimento, in altre parole per transitare dall’azione- lavoro all’esperienza-apprendimento, il lavoro, la partica vanno problematizzati attraverso lo sviluppo di una coscienza critica in grado di interrogarsi e di interrogare il mondo;  Anche nei processi di apprendimento e nei setting relativi, l’individuo singolo incontra la realtà dell’autonomia relazionale. Solo partecipando all’azione collettiva condivisa con altri essere umani, il soggetto singolo si costituisce e si articola come un sé, struttura peculiare dipendente dal riconoscimento di altri essere umani e capace di porgere a sua volta riconoscimento all’altro;  Concretizza in sé un’organizzazione nell’organizzazione, la metodica formativa AL fa dei partecipanti i membri di un’organizzazione a tempo con limiti temporali di durata predefiniti dall’istruzione che decide la partecipazione ad AL, concordati con l’istituzione committente e comunicati ai partecipanti. Componenti e dispostivi di action learning L’opportunità per i partecipanti può essere sinteticamente precisata nelle seguenti caratteristiche operative:  Il processo di apprendimento è favorito dalla ricerca di soluzioni operative proposte dai partecipanti a problemi reali e sentiti come rilevanti dall’organizzazione committente;  La problematica del brief proposto ai partecipanti è reale, complessa, capace di generare nei partecipanti un investimento intenzionale di investigazione e proposizione;  L’analisi del problema e la ricerca delle soluzioni alternative sono svolte all’interno di un piccolo gruppo, in una dimensione costantemente relazionale;  La ricerca operativa della soluzione del problema proposto e lo sviluppo dell’apprendimento sono processi paralleli, contemporanei e strettamente correlati in un rapporto sistemico-ricorsivo. I pilastri della struttura di AL: 1. La natura del problema proposto dal committente e affrontato dal gruppo di AL; 2. Il set di AL; 3. Il processo di lavoro “binoculare” volto alla ricerca della soluzione e al processo di apprendimento; 4. Il ruolo del facilitatore/trainer; 5. Il ruolo dello sponsor del progetto di AL. La natura del problema 5  Ricerca sul terreno e costruzione dell’ipotesi risolutiva: tale fase costituisce il cuore dell’intero processo di AL. Il gruppo di lavoro verifica attraverso la propria esperienza l’assioma fondamentale di AL, secondo cui “non c’è apprendimento senza l’azione, proprio perché non dovrebbe esserci azione senza apprendimento”. Durante tale fase dell’intero processo di AL, il gruppo di lavoro ha la possibilità di confrontarsi con la variabile tempo, variabile caratterizzante più di altre la specificità dell’esperienza organizzativa contemporanea. Il gruppo ha un budget temporale non ampliabile: questa è una risorsa ma anche un vincolo, è un’occasione di apprendimento nei confronti della falsità dell’esperienza temporale (time management) nella realtà organizzativa. Nella ricerca della soluzione del problema il gruppo AL, supportato dal facilitatore, ha l’opportunità di un confronto diverso con la variabile tempo. Nell’agire organizzativo quotidiano gli operatori subiscono un tempo puro, senza progettualità, da affrontare come un destino predefinito, invece in AL un’attenzione personale riconduce l’attenzione ad un punto centrale attraverso il quale si dispongono la prospettiva, la vista e l’ordine di ciò che esteriormente e interiormente c’è da vedere: “ L’attenzione personale conduce e assiste a concedersi, all’apertura sull’inatteso, l’attesa che è la parte inattesa di tutte le attese”, ciò può essere favorito da processi mentali caratterizzati da un saper sostare per un qualche tempo in spazi intermedi tra ignoranza e sapienza, ovvero la capacità di essere nell’incertezza, nei misteri, nei dubbi, senza lasciarsi andare a un’affannosa ricerca di fatti e ragioni. Tale prospettiva di ricerca sembra essenziale per la sfida posta a un gruppo di partecipanti di AL. Un soggetto organizzativo dotato di capacità negativa ha in essa la fonte generatrice di un particolare energia che lo conduce ad un agire specifico: armato di capacità negativa, può sostare nei territori dell’ambiguità e arrivare così ad una decisione più ricca, cogliendo il maggior numero di eventi positivi. Il gruppo di lavoro impegnato nella risoluzione del problema può chiedere l’assistenza di un consulente esperto di know-how: tale fase di lavoro assistita è molto rilevante all’interno del processo di apprendimento del gruppo che decide di aver bisogno di aiuto ed è esposto alla responsabilità di gestire tale opportunità che non si potrà ripresentare nuovamente all’interno delle ridotte possibilità offerte dal budget per la consulenza  Presentazione della proposta e confronto col committente In questa fase finale il gruppo di lavoro torna dal committente con la proposta risolutiva del problema e si confronta con la sua reazione (del committente). Il gruppo ora, esce dalla nicchia protettiva del set e ritorna nella realtà organizzativa confrontandosi con l’autorità ma l’occasione più vera di apprendimento di questa fase è il confronto del gruppo di lavoro col proprio prodotto: è essenziale che il gruppo sappia riconoscere il proprio prodotto e in esso riconoscersi, così da porre il gruppo davanti alla scoperta di un sé tanto inatteso quanto indistinto: ci si pone davanti a qualcosa che nelle fasi iniziali era un mistero. E’ in questa circostanza che il gruppo dovrebbe essere soccorso da quel sentimento di ambiguità in cui le opzioni sono lasciate sospese a causa della caduta della capacità dell’io di discriminazione, per predisporre la possibilità di effettuare altre scelte prima mai pensate o compiute da trasferire nell’organizzazione di cui i membri fanno parte. Il ruolo del facilitatore/trainer ha un ruolo di assistenza al gruppo di lavoro: la sua funzione si concretizza come una vera e propria process consultation (= processo di consulenza). Il facilitatore attraverso un’attività di contenimento garantisce lo sviluppo del processo di apprendimento stesso per garantire tali obiettivi di apprendimento può dedicare parte del tempo delle riunioni di gruppo all’analisi della dinamica di gruppo e convocare altre riunioni orientate all’analisi del processo. Il facilitatore non ha responsabilità in termini di contenuto o di risultato del lavoro, né di metodologia (sono responsabilità del consulente). Responsabilità del facilitatore sono: ➔ garantire un livello di informazione adeguata a mantenere il controllo del processo di apprendimento complessivo; ➔ fornire elementi di riflessione; ➔ assicurare una memoria storica dell’esperienza nell’ambito del gruppo. Il ruolo del tutor Rappresenta l’autorità dell’organizzazione committente il progetto di AL e presidia i confini dei rapporti con l’organizzazione committente nella fase di preparazione, garantendo al gruppo le risorse per lo svolgimento dell’esercizio e può facilitarne il contatto con il gruppo di lavoro AL. Durante lo svolgimento del progetto: ● garantisce la gestione di tutte le problematiche di natura “politica” poste dalla gestione del task ● garantisce al trainer delle eventuali occasioni di supervisione professionale ● garantisce la diffusione delle info sulle tappe istituzionali dell’attività ● verifica l’avanzamento dell’attività rispetto al piano iniziale mantenendo un rapporto continuo con il facilitatore ● gestisce, al termine del progetto, le problematiche di eventuale diffusione del prodotto del lavoro dei gruppi e di follow-up (=azione supplementare) dell’intervento. Action learning: una formazione oltre l’aula AL è una pratica educativa caratterizzata da un approccio attivo allo sviluppo manageriale:  AL sottolinea l’azione come territorio peculiare, privilegiato di apprendimento, andando oltre il processo sviluppato nel set rompe la monotonia di una ripetizione seriale di gesti sviluppati quotidianamente nell’organizzazione e ai quali raramente si offre un significato. AL consegue un’esperienza di apprendimento, collocando il processo educativo nell’azione di lavoro e dando a essa attraverso la visione binoculare (AZIONE/APPRENDIMENTO) dell’intero processo AL un significato oltre il fare e il perseguire obiettivi. AL si differenzia da una formazione impartita come un prodotto finito, poiché opera in una direzione opposta, nella quale la problematica del cambiamento, attraverso il processo della riflessività è tenuta costantemente presente e offerta all’attenzione dei partecipanti.  AL tramite la sua visione binoculare (AZIONE/APPREND) presenzia l’apprendimento e il processo di riflessione che tale apprendimento rende possibile; porta avanti contemporaneamente i due obiettivi testimoniando come nel suo approccio il processo riflessivo sia essenziale. L’azione-ricerca è un’occasione in grado di offrire ai partecipanti forme di riflessione, confronto, interscambio e colloquio con contributi anche esterni, tutti 7 orientati alla loro crescita e al loro apprendimento. Tra i due vertici del processo, azione- ricerca e apprendimento, esiste un rapporto ricorsivo, di mutua nutrizione.  E’ stato osservato come AL abbia un tratto distintivo nell’essere centrato sulla riflessione anticipatoria e retrospettiva sull’attività quotidiana. L’apprendimento si genera dall’interno generando energie per una ricerca e un apprendimento continuo La grande quantità di metodologie attive può essere compresa all’interno di un quadro di riferimento che presenta due variabili: 1. l’intimità della formazione con l’attività di lavoro: da una formazione coincidente con le pratiche di lavoro a una formazione completamente staccata da queste; 2. il livello di formazione dell’attività formativa rispetto a quella di lavoro: da un dichiarato esplicitante la scelta di una formazione collegata con le pratiche a un’assenza di tale dichiarato. AL sta all’interno dei contesti di Formazione esplicita sul campo: AL stimola una riflessione continua grazie all’operato del facilitatore: in questo modo la riflessione dell’azione è costantemente in primo piano. Il gruppo di lavoro AL resta in costante contatto e grazie ad AL i membri del gruppo hanno la possibilità di rileggere e riorientare i propri schemi mentali, le proprie esperienze, per stare all’interno dei cambiamenti organizzativi in atto. interpretarla, ricostruendone il significato ed il senso; (RENDERE L’ESPERIENZA OGGETTO DI RIFLESSIONE CRITICA) ● Sviluppare la capacità di soluzione dei problemi: sostenere l’adozione di modelli alternativi di pensiero, sulla tematica e sulla situazione in oggetto: la lettura del docente e degli altri partecipanti che possono avere conoscenza di altri aspetti della realtà organizzativa in cui si è giocato il caso, o che possono aver vissuto esperienze simili in contesti differenti, può aiutare a focalizzare aspetti differenti o a darne una lettura alternativa che può portare a una più efficace soluzione delle criticità analizzate; ● Favorire la consapevolezza per gli attori coinvolti, di possedere una visione parziale dell’evento critico accaduto e di poter trarre utilità dal cercare il confronto con altri attori organizzativi, con ruoli anche diversi. ● Portare alla luce conflitti interni ed esterni onde studiare strategie positive di governo del conflitto utili a stimolare il cambiamento del soggetto e del gruppo. (ANALIZZARE CONFLITTI E DIFFICOLTA’ IN UN AMBIENTE PROTETTO) ● Sviluppare la meta-competenza di apprendere ad apprendere, acquisire un metodo di lavoro, di analisi e diagnosi delle situazioni nonché un metodo di aiuto dell’elaborazione dei problemi degli interlocutori siano essi capi, colleghi, collaboratori ecc Ci si potrebbe interrogare sul confine tra formazione e consulenza si tratta in primis di definire la consulenza (= è la risposta ad una domanda rivolta a una persona, o a un gruppo, da una committenza per attivare un processo di sviluppo organizzativo; la formazione, invece, è un processo di produzione di apprendimento delle competenze individuali da ciò possiamo dire che: ● la formazione che utilizza l’auto caso in un percorso formativo è in toto sovrapponibile alla consulenza (in tal caso diventano delicati e cruciali i rapporti con la committenza che dovranno ispirarsi a quella deontologia professionale che gioca la sua partita nel triangolo delle tre C, (consulenza, clienti e committenza) e che vede nella fiducia la principale chiave interpretativa e condizione di efficacia rispetto alla sempre e solo potenziale ricchezza sinergica) ● la formazione che utilizza l’autocaso in un percorso formativo che vede la domanda della committenza non collegata a precisi obiettivi organizzativi è poco sovrapponibile alla consulenza; per esempio, la formazione interaziendale, l’attività formativa in corsi selezionati eventualmente proposti dalle funzioni del Personale e della Formazione o dai capi stessi. A partire da queste considerazioni si possono individuare alcune situazioni in cui si può rilevare particolarmente utile il ricorso all’autocaso, in particolare quando: ➔ la formazione accompagna processi organizzativi di cambiamento o ristrutturazione ➔ l’occasione formativa si rivolge a nuovi ruoli o funzioni o gruppi di lavoro in organizzazione; ➔ i cambiamenti in atto sono legati a conseguenze sul piano individuale, relativi a cambiamenti di ruolo ecc.. L’autocaso è adeguato a trattare con profondità tutte quelle questioni in cui più di altre è in gioco la storia personale dell’individuo. La gestione di un autocaso: la sua scrittura Lavorare con gli autocasi significa far impegnare i discenti in una preliminare 11 attività di scrittura scrivere è fare ricerca e ciò non è usuale nei partecipanti, riscontrare l’atteggiamento del ricercatore e il piacere di scrivere e di ri-vivere le proprie storie organizzative, specie se queste devono diventare materiali da rendere pubblici. Nell’autocaso chi è responsabile della progettazione va a cercare le storie dei partecipanti senza sapere in anticipo se incontrerà quella felice condizione delle storie che sono andate a cercare i partecipanti. Questa è la sola condizione che consentirà di aprire le porte dell’apprendimento chiuse dall’interno. Ciò, infatti, richiede prima la costruzione di un clima di gruppo d’aula in grado di rendere possibile la fiducia, sia per il ruolo di chi guida che per quello di chi è guidato. Sarebbe auspicabile annunciare, prima dell’incontro in aula, la possibilità del suo utilizzo e avvisare i discenti, attraverso una presentazione per iscritto della metodologia, a proporre le loro storie di vita, anticipandole al docente. Ciò al fine di sensibilizzare e di creare interesse e curiosità al metodo, allegando un piccolo strumento per la scrittura del proprio caso. L’impegno alla scrittura risulta fondamentale per due ragioni: 1. facilita il processo di fare memoria del passato 2. favorisce il compito narrativo successivo in aula E’ possibile fornire ai partecipanti una traccia che suggerisca e indichi i punti che potrebbero essere coperti, lasciando piena libertà di scrittura in termini di lunghezza della storia. Tra questi: ➔ il contesto e l’ambiente nel quale ha preso forma la storia che si vuole raccontare (DOVE SIAMO?). Si parte da qui, dall’organizzazione dal suo nome e dalla sua collocazione geografica. La scena: si stringe il campo descrivendo la situazione problematica identificata a partire dal fatto, dall’evento da cui tutto ha avuto inizio; si fissa il luogo esatto in cui si svolge la storia, le coordinate temporali, raccontando gli elementi che caratterizzano gli sfondi e i primi piani; ➔ gli attori coinvolti e la reazione dello scrivente con questi. I personaggi, in ordine di apparizione: dal capo ai colleghi, dai collaboratori ai clienti. I protagonisti: quanti sono e che cosa fanno, che cosa hanno detto o fatto in particolare. I comprimari: quelli che si muovono sullo sfondo e che condizionano la storia ➔ le aspettative personali e degli altri attori rispetto alla situazione, le sensazioni, i sentimenti e le emozioni reciproche ➔ lo stato d’animo dei protagonisti e dei comprimari: cosa provano e come lo manifestano ➔ le nostre strategie, i nostri obiettivi e le relazioni di chi sta intorno: cosa fanno e dicono gli altri ➔ i cambiamenti intercorsi sulla scena e nelle persone ➔ le conseguenze sul piano personale ➔ che cosa si poteva fare o dire e che invece non è stato detto/fatto ➔ che cosa ci si aspettava di diverso che invece non è accaduto ➔ altri dati significativi ➔ si tirano le somme alla ricerca della morale ➔ i materiali vivi scritti dal testimone o da altri durante lo snodarsi della vicenda raccontata e anche i documenti organizzativi formalizzati che l’hanno punteggiata Questa completa e generica traccia può essere ridotta o ampliata e personalizzata in base agli argomenti che si vogliono trattare. Può essere anche saggia scelta evitare di comunicare tale possibilità metodologica che potrebbe spaventare per l’impegno e l’intrusività. Uno strumento più semplice e più agibile è rappresentato dalle poche pagine dell’allegato di esempio che costituiscono una possibile variante di raccolta delle storie. Rappresenta anche un esempio di personalizzazione e focalizzazione: riferendosi ad un seminario sul tema della gestione dei collaboratori “difficili”, l’ultima pagina comprende un elenco di esempi di problematiche possibili da narrare. E’ un modo per facilitare il recupero nella memoria di una propria storia: non necessariamente si richiederà ai partecipanti di consegnare il materiale scritto. La gestione di un autocaso: dare la parola al narrante Nel caso l’invito fosse accolto il docente potrebbe organizzare una presentazione ordinata degli autocasi già disponibili, semplificandoli se fosse necessario, così che il caso sia complesso ma non impossibile; potrebbe inoltre invitare altre persone interessate a diventare protagoniste, presentando un problema legato agli obiettivi ed ai contenuti dell’attività didattica. il successivo passo si concentrerà sulla scelta della storia più rilevante per l’intero gruppo, identificata da una breve presentazione per spiegare il significato del titolo che ha dato al racconto nella fase di scrittura: si considerano le varie opzioni e si procede nella scelta di una o più storie che raccolgono il > interesse. Al fine di far diventare il protagonista della storia prescelta il vero cliente dell’intera classe consulente il setting potrebbe essere mutato collocando il narratore al centro dello spazio sarà compito del docente guidare poi la raccolta delle domande di approfondimento che i colleghi porranno al partecipante. Si procede poi alla discussione in plenaria fino a produrre le interpretazioni e le prescrizioni per il futuro. La gestione dell’autocaso: dall’analisi all’interpretazione attraverso l’osservazione e l’ascolto attivo La lettura preliminare del testo consiste nel processo iterativo di costruzione di ipotesi interpretative in attesa di quella cooperazione interpretativa che avrà luogo al momento di incontro con l’estensore del testo (il narratore) e con il suo gruppo di lavoro. La caccia linguistica al senso e al significato del testo prevede l’attenzione a diversi aspetti: ➔ i temi fondamentali: le questioni poste + rilevanti e le ragioni per cui sono percepite tali ➔ le metafore utilizzate ➔ le dimensioni emozionali ed affettiva ➔ l’intenzionalità e le aspettative ➔ la chiarezza, i punti oscuri e le ambiguità ➔ le omissioni e la reticenza (non il nero su bianco ma il bianco su nero) ➔ le strategie argomentative ➔ le ripetizioni e le insistenze ➔ le contraddizioni ➔ la meta-comunicazione = comunicazione di secondo grado relativa alla comunicazione stessa ➔ il livello di precisione o di confusione ➔ le cose date per scontate ➔ il livello di astrazione/concretezza ➔ le persone coinvolte e i loro ruoli ➔ gli aspetti istituzionali ➔ i riferimenti temporali Prima ancora di iniziare la lettura del testo bisogna ribadire le regole del gioco: 15 ● l’attivazione di un forum (nel quale depositare i materiali didattici e attraverso cui continuare a dialogare durante gli intermezzi) e di una classe virtuale con l’inaugurazione della quale si consolidano alcuni punti trattati e gli impegni di sviluppo definiti e presi da ciascuno. ● La possibilità per i partecipanti di usufruire di colloqui individuali di coaching o di counseling. ● La dove ci si sia resi conto di poter affrontare il problema analizzato attraverso un patto di alleanza formativo solo di alcuni soggetti al di fuori del setting d’aula si può proporre un approccio di questo tipo: VANTAGGI DELL’AUTOCASO: 1. Il vantaggio evidente è quello di realizzare il passaggio dalla teoria alla pratica, portando in aula la realtà così come viene vissuta dai partecipanti. 2. Altrettanto evidente è anche il coinvolgimento delle persone e dei loro capi, colleghi collaboratori RISCHI DELL’AUTOCASO: Difficoltà di mantenere un alto livello di efficacia se: 1. il partecipante-testimone non si mostra chiaro ed esauriente nell’esposizione; 2. il problema esposto non suscita interesse nei colleghi; 3. la situazione risulta essere limitante, poco ricorrente; 4. i partecipanti non sono esperti della materia e il problema affrontato richiede un certo livello di dominio teorico; 5. il livello di sicurezza psicologica dei partecipanti si rivela essere + basso di quello ipotizzato; 6. la situazione oggetto di analisi appare rigidamente difesa; 7. il partecipante/ testimone tende a difendersi e giustificare ciò che ha fatto perché si sente valutato e giudicato, non sostenuto; 8. la capacità del gruppo di porsi a confronto (= saper accogliere i rischi del gruppo e del formatore sul proprio operato) non di giudizio risulta bassa; 9. l’apertura del gruppo alla complessità, la capacità cioè di tollerare aspetti tra di loro diversi e contraddittori, è scarsa; 10. i partecipanti manifestano tra di loro un rapporto conflittuale e competitivo sino a quel momento sopito; 11. la dinamica interna è disturbata da frammentazioni o avversità forti; 12. il docente non si sente a suo agio; vi è poco tempo a disposizione; 13. i gruppi sono troppo numerosi. LIMITI DELL’AUTOCASO: 1. difficoltà per il docente di programmare una gradualità di situazioni e la completezza delle questioni che gli obiettivi dell’incontro formativo comporterebbero; 2. la possibilità che il partecipante aumenti progressivamente il livello delle proprie difese; 3. le distorsioni percettive personali degli avvenimenti raccontati; 4. la presunzione di considerare che la realtà raccontata sia stata espressa nella sua complessità e profondità; 5. il rischio della superficialità; 6. il mondo rappresentato è sempre frutto di una selezione; 7. il racconto orale falsa sempre la realtà, così come la scrittura. la verità andrebbe sempre ricercata nella sua interezza, non solo attraverso la ricerca di un consenso dialogico, ma con la presenza e la partecipazione attiva a tale dialogo da parte di tutti gli attori rilevanti nella vicenda analizzata. Nel caso si tratti di un gruppo appartenente a una stessa organizzazione i rischi sono decisamente ridotti. In tal senso si può affermare che l’autocaso è un metodo da privilegiare nella formazione in house. Il docente/consulente per l’autocaso la figura del formatore in questo caso è molto articolata: - è consulente - è docente - è animatore del processo - è agente di cambiamento - è agente di consapevolezza La difficoltà a cui spesso deve far fronte porta il formatore per l’autocaso a non suggerire mai questa metodologia. I vertici di osservazione da presidiare sono ben 3: quello organizzativo, quello di gruppo e quello individuale. Il vertice organizzativo è quello all’interno del quale può collocarsi l’evento formativo e quel sottosistema organizzativo oggetto dell’autocaso stesso: è un contesto spesso non analizzabile del quale però è necessario poter e saper leggere quella particolare rete di significati non espliciti che costituiscono tuttavia il tessuto (cultura organizzativa). Lo stesso autocaso è espressione di quel sistema di regole e delle dinamiche che attraversano l’agire organizzativo, rappresentandone un esempio solo una lunga esperienza sia di formazione sia di consulenza può dare spessore a un metodo assai rischioso dal punto di vista delle sfide che pone sia a livello delle dinamiche relazionali che vanno gestite sia a livello dei contenuti teorici. E’ importante imparare attraverso un metodo di analisi e di intervento che comprenda il proprio sé interno. Altra competenza del formatore ritenuta importante è quella dell’improvvisazione progettuale e alleggerimento di quella che potrebbe essere la pesantezza rappresentata dal carattere depressivo della scoperta del sé, delle proprie ambivalenze e contraddizioni: utile potrebbe essere alternare questo metodo con altri (come la visione di un film o di spezzoni). Dall’altra parte è richiesta non solo la leggerezza ma anche la severità: essere rigido nel non consentire che nel gruppo qualcuno non si impegni. 17 CAPITOLO 4: BUSINESS GAME Introduzione I business game (BG) sono degli ambienti di apprendimento che mettono a disposizione dei partecipanti e dei formatori un contesto dinamico ad alto grado di coinvolgimento, entro il quale i giocatori sono chiamati a prendere delle decisioni sufficientemente complesse riguardo a temi di gestione aziendale funzionali e interfunzionale, di sviluppo organizzativo e di posizionamento strategico. I BG implicano degli obiettivi da raggiungere e una struttura di gioco al tempo stesso né troppo semplice né eccessivamente complessa. Il punteggio via via conseguito nel gioco consente ai partecipanti di beneficiare di un feedback sulla propria performance ciò consente di apprendere attraverso il fare imparando dai successi e dagli errori in un ambiente protetto no blame and no shame (=nessuna colpa e nessuna vergogna). Quanto viene vissuto dai partecipanti nell’ambiente simulato consente loro di riflettere sulle alternative di possibili percorsi di miglioramento delle proprie competenze. I formatori devono essere capaci di scegliere il BG più adatto in rapporto alle finalità educative che si propongono: ci possono essere diverse situazioni e modalità di utilizzo dei BG la modalità + frequente avviene entro percorsi di formazione articolati secondo una struttura che comprende vari moduli e diverse metodologie didattiche: lezioni, studi di caso, role play, filmati ecc.. Per scegliere bene si deve tener conto delle finalità complessive del corso, della collocazione temporale della simulazione (inizialmente come icebreaker, e alla fine come strumento di sperimentazione e d’integrazione delle conoscenze acquisite durante il corso). Un altro fattore rilevante è che oggi la struttura dei BG risulta essa stessa modulare (risulta cioè possibile decidere a priori se prediligere lo svolgimento del numero completo delle giocate possibili oppure preferire un allestimento con un numero di giocate ridotto). E’ anche possibile che un intero corso sia costruito esclusivamente su un BG in questo caso bisognerà decidere quali spazi riservare alle riflessioni sulle esperienze vissute nell’ambiente simulato, ai collegamenti teorici e a quelli con le esperienze concrete di lavoro. Per poter scegliere in modo adeguato quale percorso formativo sviluppare impiegando un BG si deve tener conto dei rapporti intercorrenti fra teorie dell’apprendimento e processi di formazione attraverso ambienti simulati. Apprendere mediante i BG implica che i partecipanti si mettano in gioco assumendo precise responsabilità rispetto alla conquista di una performance elevata entro strutture di gioco qualificate da un certo grado di ambiguità e d’incertezza. Alla base dei BG c’è l’idea di imparare operando entro scenari complessi attraverso lo sviluppo non solo di competenze di analisi, di valutazione e di pensiero critico, ma anche quella di puntare sulla capacità di trasformare subito quanto deciso in azioni concrete (execution). Inoltre i BG consentono di costruire nuove interpretazioni condivise dalla realtà simulata facendo riferimento alla teoria costruttivista dell’apprendimento. Oggi i BG sono sviluppati dalle istituzioni educative la domanda e l’offerta di BG muove un grandissimo numero di prodotti con un discreto grado di differenziazione rispetto ai 3. l’accesso anytime and anywhere rende possibile l’impiego dei BG asincrono e personalizzato 4. i BG sono oggi flessibili riguardo al cambiamento dei parametri della struttura del gioco e alla scala 5. E’ possibile aumentare il realismo del gioco 6. internet consente di passare dai processi di comunicazione “faccia a faccia” a quelli virtuali o blended (= mescolato) L’era di internet rende disponibili dei BG + facilmente accessibili, di maggior semplicità d’uso e flessibili rispetto alle necessità pedagogiche. I business game di qualità: come riconoscerli? Esistono delle linee guida di caratteristiche che fanno sì che un BG favorisca delle dinamiche di apprendimento, e che lo rendono quindi di qualità: ● Area della rappresentazione: - deve offrire una rappresentazione realistica dello scenario del business reale, o quanto meno verosimile; - deve essere sufficientemente complesso e sfidante, ma non al punto di disorientare i formandi; - stabilendo un obiettivo da raggiungere, deve essere in grado di motivare il formando facendo leva sul suo bisogno di successo; ● Area dei contenuti: - deve offrire ei contenuti abbastanza ampi da stimolare apprendimenti non soltanto di nuove conoscenze, ma fornire degli stimoli importanti anche a livello di strategie di apprendimento e di messa in discussione di modelli mentali; - deve vertere su aree tematiche stimolanti tali da supportare la motivazione del partecipante a misurarsi con la simulazione; - deve offrire contenuti articolati, in modo da rendere il BG versatile così che risulti utilizzabile per il raggiungimento di un’ampia gamma di obiettivi di apprendimento ● Area dell’implementazione: - deve essere strutturato in modo tale che i risultati dipendano effettivamente dalle decisioni assunte dal formando, rendendo quest’ultimo responsabile del processo decisionale; - deve richiedere di applicare le teorie manageriali di riferimento in modo da stressare i processi cognitivi che si realizzano tra i partecipanti; - deve facilitare un processo di apprendimento learning by doing trasferibilità dell’apprendimento ai contesti reali; - deve garantire un contesto dinamico, attraverso l’introduzione progressiva di nuove sfide; - deve essere applicato sulla base di un’organizzazione esplicita dei tempi così da garantire il miglior mix tra le diverse fasi di analisi, presa di decisioni, discussione e riflessione; - deve essere testato in sessioni pilota. Le caratteristiche di un BG possono variare di complessità e di durata anche in funzione delle sue finalità pedagogiche. Un esempio a questo riguardo è il Beer Game. Apprendere mettendosi in gioco L’utilizzo dei BG in un percorso formativo offre l’opportunità di spostare la responsabilità dell’apprendimento dal formatore al partecipante, accrescendo la motivazione di questo rispetto al percorso di apprendimento. 21 Il BG introduce un setting di formazione centrato sulla partecipazione attiva del partecipante, sullo sviluppo di capacità di analisi del contesto e di successiva attribuzione di significati da cui poi derivano le decisioni di azione Partecipazione attiva e pensiero critico contribuiscono ad aumentare l’autoefficacia del partecipante cioè la convinzione di aver sviluppato la capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per raggiungere un determinato risultato e quindi di essere nelle condizioni di misurarsi con determinati compiti, attività ed obiettivi. Rispetto ai metodi formativi tradizionali (tipo l’analisi dei casi) il BG ha dimostrato di essere in grado di sviluppare in misura rilevante il livello di autoefficacia. I BG danno modo ai partecipanti di accrescere le proprie competenze decisionali riguardo alla formulazione e poi all’applicazione di quelle strategie aziendali complesse, difatti lo sviluppo di questa competenza è un’area elettiva di impiego dei BG, poiché si offre l’opportunità di misurarsi con l’applicazione di quelle conoscenze teoriche in un contesto protetto in cui l’errore non produce conseguenze ma anzi offre occasione di confronto ed apprendimento. i BG, infatti, sono utilizzati in percorsi di general management, in cui le conoscenze oggetto di sviluppo riguardano aspetti specialistici e funzionali ma anche sfide di coordinamento interfunzionale. Partecipazione attiva e pensiero critico sono quindi 2 dimensioni rilevanti caratterizzanti l’ambiente dei BG ed il loro utilizzo risulta particolarmente appropriato per sviluppare: - capacità di analisi - valutazione - scelta tra alternative L’utilizzo del BG può esprimere il massimo del suo potenziale in percorsi di apprendimento che poggiano sulle prospettive epistemologiche basate sul costruttivismo e sul pensiero sistemico nelle quali l’esplorazione della complessità e di soluzioni alternative al raggiungimento di un obiettivo costituiscono l’approccio metodologico didattico di riferimento. Per il costruttivismo: la scienza di forma in un processo di costruzione sociale e nel confronto tra individui e tra sistemi. Seguendo questa prospettiva ai partecipanti dei BG viene richiesto di guardare ai diversi significati possibili di ciò che via via emerge dalla realtà simulata per confrontare positivamente la propria opinione con quella degli altri formandi, allo scopo di costruire collettivamente dei significati socialmente legittimati dalla realtà. Risulta quindi necessario che essi sviluppino certe competenze quali: comunicazione, retorica e relazione. In conclusione, i BG strutturati secondo un approccio costruttivista-sistemico prefigurando ambienti di apprendimento orientati alla risoluzione di problemi. Qui i partecipanti vengono sollecitati a misurarsi con interpretazioni diverse in merito a ciò che è reale e ai significati associati alla realtà, ma anche a confrontare la propria opinione con quella altrui. Questo sollecita anche lo sviluppo di un ampio insieme di competenze comunicative, retoriche e relazionali, nonché di flessibilità di pensiero fondamentali per agire in modo efficace sia in contesti caratterizzati da complessità, eterogeneità, incertezza, sia in organizzazioni del lavoro centrare su collaborazione, team work e condivisione di conoscenza. La gestione efficace di un business game La gestione di un BG è costituita da diverse fasi: 1. il LANCIO: ha la finalità di introdurre il BG e di far sì che i partecipanti comprendano e possano utilizzarlo al pieno delle sue potenzialità. Le principali attività che il formatore deve svolgere durante questa prima fase riguardano la formazione di un clima favorevole all’utilizzo del BG a spiegazione degli obiettivi e delle finalità della simulazione, l’esplicitazione dei ruoli dei partecipanti e del formatore. Particolare attenzione va data alle eventuali differenze tra il contesto riprodotto e quello reale e alla spiegazione utile per gestire tali diversità. Tra i fattori di successo alla base di una conduzione efficace di questa fame vi sono: - l’impiego del formatore a fornire ai partecipanti tutte le info necessarie per porli nelle condizioni di operare entro lo scenario del BG - la capacità del formatore di assegnare ai partecipanti i ruoli sulla base di un criterio metodologicamente orientato - la competenza del formatore di contestualizzare le azioni che i partecipanti svolgeranno nel BG, fornendo una narrazione, una storia pregressa sufficientemente credibile, chiara e precisa - l’abilità del formatore di creare coinvolgimento da parte dei partecipanti rispetto al ruolo loro assegnato nel BG, anche creando associazioni con la loro realtà operativa. Tra le barriere che possono presentarsi al formatore nella fase di lancio è possibile evidenziare: - un’insufficiente preparazione del formatore rispetto ad una serie di dimensioni di contesto tale da non metterlo nelle condizioni di contestualizzare l’uso della simulazione e di fornire info di dettaglio - il fatto che i partecipanti agiscano il BG in maniera incongruente rispetto al concept programmato - il fatto che i partecipanti vengano impediti ad agire per effetto di un’eccessiva ansia da prestazione. Accanto a queste aree di attenzione, nella fase di lancio il formatore deve anche fornire tutte le info necessarie rispetto alle modalità d’uso e alla struttura del BG, che verranno testate nella fase successiva. 2. la GIOCATA DI PROVA: l’importanza di questa fase è tanto > tanto + è alto il grado di difficoltà del BG rispetto al contesto operativo reale di riferimento. E’ utile per sviluppare un certa confidenza di utilizzo, ma ha anche lo scopo di consentire ai partecipanti di sviluppare una consapevolezza in merito allo scenario d’azione e all’obiettivo che guiderà la loro attività. E’ opportuno prestare una particolare attenzione al grado di abilità e al livello di familiarità mostrato dai partecipanti nei confronti dell’utilizzo delle tecnologie, e alla creazione di un sufficiente livello di attenzione e di coinvolgimento rispetto all’obiettivo di questa fase. Occorre tener conto anche del grado in cui i partecipanti hanno già avuto esperienza di utilizzo del BG 25 Un “rituale di chiusura” può essere un buon modo per completare il BG e il relativo debriefing:  gestire le emozioni, per dismettere i ruoli assunti nel BG e per costruire un clima di facilitazione alla riflessione sull’esperienza formativa;  incoraggiare a condividere le percezioni, rispetto a quanto è accaduto nel BG, per ricordare i passaggi critici del gioco, sottolineare le differenze di strategia e di tattica impiegata dai partecipanti, richiamare gli obbiettivi di apprendimento;  presidiare il trasferimento, di quanto appreso con il BG nella realtà dei partecipanti, ricordare i comportamenti ripetuti frequenti, individuare similarità e differenze fra i partecipanti;  aiutare i partecipanti a individuare le lezioni apprese, attraverso il BG chiedendo loro quali sono stati le loro maggiori esperienze individuali e di gruppo durante la simulazione,  esplorare, mettendo in discussione alcuni aspetti della struttura del BG;  agenda del lunedì, aiutare i partecipanti a descrivere in modo concreto come intendono valersi di quanto imparato con il BG a partire da domani;  rituale di chiusura, valorizzare i risultati del lavoro svolto assieme. CAPITOLO 6: CASO Introduzione Cent’anni fa, nel 1913, il Journal of Educational Psychology pubblicava un editoriale sul successo del case Methods nelle scuole di legge e ne proponeva l’applicazione anche in ambito educati, per formare gli insegnanti. L’utile del metodo dei casi nella formazione ha verosimilmente una storia ancora più antica; infatti, per Wikipedia il case method è definito come “un metodo di insegnamento del diritto socratico e antidogmatico, il modello seguito dalle law school statunitensi, lo ritroviamo dunque in sistemi di common law. Così il metodo dei casi, sembra sia stato proposto inizialmente da Christopher Langdell, preside alla scuola di Legge di Harvard nel 1870, e che abbia influenzato la formazione dei giuristi americani: ancor oggi in questi atenei non si insegnano direttamente le regole generali della legislazione, ma si giunge a esse discutendo casi concreti, cosicché lo studente possa ricavare la regola generale del diritto a partire dai casi a essa correlati. Il metodo dei casi arrivò in Italia negli anni Cinquanta del secolo scorso, per iniziativa di grandi industrie che lo utilizzarono nei loro programmi di formazione, soprattutto manageriale. Nonostante il caso sia una simulazione della realtà, già all’epoca consentiva di affrontare temi complessi, difficili da trasferire unicamente attraverso le lezioni, rappresentando così una sorta di primo passo lungo la strada dell’imparare facendo. Definizione e tipologia Un caso è una descrizione più o meno breve di una situazione reale o immaginaria presentata con alcuni o molti dettagli presentata con alcuni o molti dettagli, può essere del tutto inventata o ricostruita a partire da dati reali; il metodo dei casi consiste dunque nel far analizzare ai partecipanti una situazione problematica che richiede una soluzione, sovente e non univoca. Il caso deve essere coinvolgente e dettagliato così da far emergere un’ampia gamma di opinioni sul problema, su ciò che ha causato la situazione o i comportamenti delle persone coinvolte, e quale migliore soluzione correttiva è possibile. L’approccio non è direttivo, con il docente che presenta il caso problematico agli studenti, da loro un tempo adeguato x studiarlo e crea poi un ambiente favorevole alla discussione di gruppo. A metà degli anni 80 il case study si basava sul principio che la formazione aziendale potesse trarre maggior risultati dai casi rispetto al metodo più tradizionale della lezione, ritenendolo più incisivo per trasmettere anche le norme organizzative e i criteri di comportamento richiesti dalle aziende. Il caso può far ragionare i partecipanti su elementi propri della cultura organizzativa poiché presenta un’esperienza specifica o un episodio problematico interno all’azienda e punta a renderlo generalizzabile, richiedendo ai partecipanti un processo di proiezione del sé per risolverlo. ad ognuno è richiesto di essere se stessi, ovvero di utilizzare il proprio bagaglio come elemento per arricchire la discussione e fornire chiavi di lettura differenti. L’utilizzo del caso rientra fra le metodologie attive, fondate sull’elaborazione dell’esperienza, e riconducibili ad una visione costruttivista, centrata sui soggetti. Tale approccio afferma che il soggetto è autonomo e consapevole, capace di costruire, elaborare e modificare la propria conoscenza in questa visione il caso diventa l’occasione per analizzare la situazione problematica ma anche per attribuire significati a ciò che 27 accade in essa per individuare i legami di causa-effetto presenti e per ragionare sulle soluzioni possibili e sulla loro realizzabilità. L’uso dei casi si colloca così ad un livello intermedio tra la lezione accademica e i metodi più attivi (role play, simulazioni, BG) fornendo un’alternativa alla lezione. Negli anni i casi sono stati distinti in alcune tipologie, a seconda dell’obiettivo che perseguono:  casi diagnostici: presentano una situa complessa, con molte variabili ed info e richiedono di formulare una diagnosi della situa, selezionando e interpretando i dati forniti. Questo tipo di casi punta a sviluppare la capacità di analisi critica, ovvero a far delineare ai partecipanti il quadro della situa e i suoi aspetti principali;  casi decisionali: descrivono una situa critica iniziale per la quale i partecipanti devono trovare la soluzione (unica) individuando le modalità + adeguate e prevedendo i rischi. Questo tipo di casi punta a migliorare la capacità di decisione e la rapidità decisionale dei partecipanti;  casi relazionali: riproducono situa di gestione delle relazioni e che non prevedono una soluzione unica e corretta prescindendo dalla logica del problem solving. Questo tipo di casi punta a sviluppare la capacità di affrontare problemi complessi e ad aumentare la consapevolezza della pluralità di strade possibili. Per questi casi vale la considerazione che il formatore e il partecipante sono ambedue soggetti osservatori che esprimono punti di vista di pari dignità e che, come tali, vanno raccolti e rispettati. Tipi di casi così diversi fanno intravedere un utilizzo diverso di questo metodo non solo a seconda degli obiettivi formativi, ma anche a seconda dei temi e dei docenti che li presentano in aula e della loro disponibilità e capacità di usarli. Obiettivi di apprendimento del caso La tipologia di casi è riconducibile agli obiettivi di apprendimento che riguardano lo sviluppo delle capacità intellettuali relative al problem solving. Si tratta quindi di trovare soluzioni a due categorie di problemi:  problemi che si basano su info e dati definiti o facilmente selezionabili, e che per essere risolti richiedono ragionamenti complessi e procedure analitiche, che conducono a soluzioni precodificato;  problemi che richiedono di adottare schemi di ragionamento + liberi e non codificati relativi ad approcci diversi che possono condurre ad una gamma di soluzioni ognuna col suo grado di valore; Questi due tipi di problemi richiedono modalità diverse di utilizzo del metodo: 1. nel primo si tratterà di individuare la risposta corretta ed univoca 2. nel secondo si dovrà adottare un ragionamento più complesso e meno codificabile e rientrano in questa categoria i casi che trattano di processi negoziali, gestione del personale, scelte strategiche di funzione o di impresa casi meno tecnici e più manageriali, che vogliono far confrontare i partecipanti con un livello di complessità assimilabile a quello della realtà organizzativa Altri studiosi considerano come obiettivi quelli di: ● fornire realismo all’esperienza indiretta; ● focalizzarsi su problemi concreti; ● sviluppare competenze di soluzione dei problemi; L’autore utilizza anche accorgimenti per favorire la discussione in aula, attribuendo dei ruoli ai partecipanti, tra cui la persona che apre il confronto, sintetizzando a tutti i punti chiave del caso, e le persone che poi presenteranno i primi piani d’azione, nati dalle discussioni in sottogruppo. Di particolare interesse è il ruolo del docente che si conferma non certo come un esperto con la soluzione corretta, ma come stimolatore della discussione. Dopo la fase di preparazione l’utilizzo dei casi in aula può variare secondo alcune opzioni: ● la prima, classica, consiglia di far procedere il caso da una lezione di inquadramento, ovvero di non utilizzare questo metodo all’inizio di un corso, x non confondere i partecipanti. Dopo un rapida lettura in plenaria, si suggerisce un fase di lettura individuale e annotazione delle osservazioni, poi una fase di discussione in sottogruppo, dove confrontarsi sulle differenze tra le analisi di ognuno, infine una fase di presentazione in plenaria, dove il docente amalgama e coordina le soluzioni. Questa opzione sembra consapevole coi casi chiusi o di carattere tecnico scientifico. ● la seconda prevede l’uso di casi dall’avvio del lavoro d’aula, le relative fasi di analisi individuale e discussione (sempre prima in sottogruppi e poi in plenaria) e si conclude con una lezione per sistemare quanto emerso e fornire i riferimenti di inquadramento teorico. ● la terza opzione prevede l’utilizzo dei casi come metodo unico di insegnamento, supportato ed equilibrato dalla fase di discussione successiva. Questa scelta può essere utilizzata anche con partecipanti non molto esperti e consente al docente di diluire i concetti di una lezione durante la fase di discussione. E’ importante aiutare i discenti a riconoscere e a far emergere gli elementi di apprendimento che rischiano di non essere facilmente evidenti. Le fasi concrete di utilizzo di un caso prevedono sempre: ● lettura individuale, con eventuale raccolta di punti chiave o questioni da chiarire; ● discussione svolta in sottogruppo, in cui si riprende l’analisi di ognuno e la si sintetizza x essere presentata; ● presentazioni delle conclusioni a cui sono giunti i gruppi in plenaria; ● relativa discussione in plenaria, anche per un confronto In caso il gruppo fosse ridotto si può richiedere una riflessione individuale scritta, letta e poi discussa Altre indicazioni riguardano l’attenzione a: - formulare attentamente le domande relative al caso; - favorire il coinvolgimento soggettivo dei partecipanti; - focalizzare la discussione sui fatti presentati: mai andare fuori tema; - favorire l’emergere dei punti di vista diversi, cioè di diverse percezioni rispetto allo stesso problema; - far sintetizzare quanto emerso dai partecipanti stessi; - far ragionare sugli apprendimenti e chiedere di esplicitarli. Dubbi, critiche e limiti al metodo dei casi (e qualche risposta) Quaglino individuava, i limiti del processo di apprendimento implicato dal metodo dei casi, “un processo di apprendimento che paradossalmente sembra promuovere maggiormente nell’esame della realtà operazioni di ricerca dell’errore o del colpevole, anziché di effettiva e approfondita analisi degli elementi e dei legami casuali. Critica frequente al metodo: il caso presenterebbe ai partecipanti tutte le info necessarie alla sua soluzione o per essere affrontato in modo efficace. I critici affermano che nella 31 realtà organizzativa è molto improbabile che ciò avvenga e di solito le situa problematiche si affrontano con dati molto scarsi o non facilmente reperibili in prima battuta; dunque, in aula un caso troppo completo di dati rischierebbe di far ottenere risposte stereotipate o semplicistiche. La risposta a questo tipo di critica ha condotto i formatori da un lato a progettare casi molto complessi, con ridondanza di dati e informazioni, da far selezionare ai partecipanti per cogliere quelli veramente utili e dall’altro a predisporre i cosiddetti incident o casi a più fasi. I casi a più fasi prevedono così di distribuire ai partecipanti la situazione critica e poche informazioni, di solito solo quelle che potrebbe avere a disposizione un soggetto nel ruolo organizzativo a cui si presenta il problema. Questo tipo di caso farebbe evidenziare ai partecipanti l’importanza della fase di raccolta delle informazioni, sottolineando la necessità di porre estrema attenzione all’esame preliminare dei problemi prima di cimentarsi nella loro soluzione, per evitare di dover ritornare più volte ad occuparsene; Vantaggi del metodo: tra i contributi a difesa del metodo dei casi c’è il lavoro di Garner che parla di “vitalità costante” di questo metodo, il metodo dei casi insegna agli studenti a come insegnare a se stessi il caso allena a ricercare fonti, fare confronti, costruire relazioni tra i concetti, formulare ipotesi, ragionare sulla loro validità riguarda una teoria dell’apprendimento che enfatizza il ruolo della narratività riflessiva. Le sue conclusioni ricordano in ogni caso l’importanza di: ● stabilire chiari obiettivi pedagogici; ● utilizzare metodi alternativi per raggiungere obiettivi diversi; ● aggiornare i casi proposti; ● e utilizzare formatori in grado di stimolare e consolidare l’apprendimento, con la loro “passione e competenza” rispetto ai casi e a quanto emerso dai partecipanti Limiti del metodo: limite che riguarda la necessità che i formandi abbiano qualche esperienza organizzativa che consenta loro di cogliere i vari livelli problematici e soprattutto di riuscire a individuare qualche possibile linea di intervento per affrontare e risolvere la situazione. Una critica nei confronti del metodo dei casi è ce questi dovrebbero essere così precisi e completi da risultare “di per sé” strumento di apprendimento. Una delle risposte a questa critica e al conseguente rischio di perfezionismo in termini di costruzione dei casi l’ha fornita Rosier indicando nella riflessione post discussione d’aula una parte essenziale del processo di apprendimento. Evoluzione del metodo dei casi “Real Time Case Method” si basa sul tradizionale metodo dei casi e richiede agli studenti di risolvere un problema presentato in forma scritta. La sua differenza consiste nella tecnologia che modifica le attività di apprendimento e i materiali del caso. Il nuovo caso si trasforma attraverso 2 strade principali: una copertura estesa (caso in tempo reale riguarda una singola organizzazione per un intero semestre o più) e un’interattività in tempo reale. Lo studente riceve una massa di dati e informazioni che riguardano l’organizzazione e il suo andamento lungo l’arco dei mesi considerati con scansioni settimanali e non solo le poche pagine di un caso tradizionale. Gli studenti interagiscono con l’organizzazione ponendo domande e considerazioni sugli argomenti di tipo decisionale dell’organizzazione. Le interazioni tra studenti e organizzazione di solito sono dirette, attraverso conferenze video, scambi di messaggi in chat e telefonate con il management aziendale. Si tratta di una modalità che arricchisce il metodo tradizionale dei casi, fornendo un’importante esperienza agli studenti, che possono vivere da vicino le vicende delle diverse funzioni di un’azienda, quasi come se vi operassero, e ciò grazie ai frequenti contatti con il management, pur se va considerato l’impiego elevato che richiede l’organizzazione e la necessità che essa sia disposta a un livello di apertura rispetto alle problematiche interne. Un’altra linea evolutiva riguarda l’insegnamento basato sui problemi, utilizzato per insegnare ai futuri medici, ma anche in ambito manageriale, e richiede la competenza di scrivere e presentare problemi articolati e non banali, affrontabili in aula e che consentano di giungere ad una gamma di possibili soluzioni. così da stimolare la riflessione sulle diverse possibilità di affrontare un problema Sul versante dell’insegnamento basato sui problemi si pone anche il metodo dei casi interrotti in cui il docente svela di volta in volta alla classe varie parti del problema, man mano che la discussione va avanti, con l’obiettivo di far cogliere ai partecipanti che il loro processo decisionale cambia dal tipo di info in loro possesso, e quanto diventa importante approfondire alcuni dati per decidere in modo efficace. In tal senso si può citare anche il metodo dei casi dialogici che si colloca nel filone di studi sull’apprendimento organizzativo e che tratta di conversazione generativa come caratteristica delle organizzazioni che apprendono. “Dialogic Case Method” gli autori presentano in aula lo stesso caso attraverso diverse possibili letture, a seconda della metafora organizzativa di riferimento, facendo analizzare il problema ad alcuni sottogruppi di partecipanti che giocano cari ruoli: - lo psicologo dell’organizzazione, che approfondisce gli aspetti di percezione e comunicazione - l’esperto di team, che analizza le dinamiche e processi di gruppo implicati dal caso - l’esperto di leadership, che lo affronta in termini di potere, politiche e leadership - il teorico dell’organizzazione, che lo legge considerando la struttura organizzativa e il sistema di controllo - il sociologo, che analizza gli aspetti cross culturali che il problema può porre. questo tipo di gestione del caso favorisce una discussione molto partecipata che però richiede un buon livello di capacità di ascolto e di analisi delle diverse letture da parte dei partecipanti. Un’altra linea del metodo dei casi riguarda la raccolta dei casi di successo e il loro essere più o meno allineati con la strategia organizzativa. Attraverso interviste e questionari si individuano i casi di successo (e di insuccesso) della formazione, intesi come singoli partecipanti o gruppi che sono stati in grado di applicare la meglio quanto trattato in aula. “Success Case Method” attraverso interviste e questionari si individuano i casi di successo o di insuccesso della formazione, intesi come singoli partecipanti o gruppo che sono stati in grado di applicare al meglio quanto trattato in aula. Questo metodo punta a far emergere le 35 ➔ sono tenuti in vita da un presupposto di fondo: la relativa libertà da vincoli organizzativi di tipo gerarchico; Questa schematica definizione di CdP, mette in evidenza il fatto che attorno alla pratica si strutturano aggregazioni sociali spontanee di attori che, nella pratica e attraverso la pratica, elaborano significati comuni, apprendono, costituiscono la loro identità soggettiva e collettiva. Un esempio appropriato potrebbe essere quello dei tecnici riparatori che nonostante siano a conoscenza di molte nozioni riguardo ai danni delle macchine e quindi conoscono molte tecniche di riparazione, spesso lavorano di fronte a nuovi malfunzionamenti per cui devono improvvisare e trovare tramite tentativi ed errori una nuova soluzione non scritta nei manuali. Una volta trovata ed appresa questa viene trasmessa in maniera informale ai colleghi, magari in mensa o in contesti extra-lavorativi che permettono la creazione di occasioni x raccontarsi queste esperienze di intervento particolarmente problematiche che hanno dato luogo a soluzioni innovative. attraverso questi racconti le conoscenze possono circolare dando luogo a fenomeni di apprendimento che dalla pratica hanno origine e alla pratica ritornano. La comunità di pratica tra progettazione e coltivazione Sull’onda del successo di questo indirizzo si è sviluppata una serie di varianti di questa prospettiva, orientate a spiegare in chiave applicativa l’intuizione originaria che nasce come schema descrittivo dei fenomeni di apprendimento locale, situato e basato sulla pratica La possibilità di promuovere, costruire e coltivare CdP in ambienti organizzativi determinati e a determinate condizioni è data in virtù di una forzatura del concetto originario. = torsione intellettuale tendente a ipotizzare la riproduzione ex nihilo (= dal nulla) delle condizioni che portano spontaneamente alla nascita di una CdP si intende riprodurre artificialmente le condizioni che portano a cooperare. La problematica a questo punto consiste nella creazione di un contesto che induca alla collaborazione in situazioni in cui la tendenza spontanea spingerebbe più alla ricerca individuale di soluzione dei problemi che alla condivisione e al sostegno reciproco. In questo contesto il punto di vista del management e il suo atteggiamento verso le CdP è decisivo poiché è in gioco l’interesse e la capacità di sostenere le dinamiche dell’apprendimento continuo nelle organizzazioni. Sul piano METODOLOGICO i possibili approcci ispirati alla prospettiva della CdP si muovono nell’ottica dell’intervento le cui configurazioni di metodo esibiscono tratti sempre più precisi, ’idea guida è quella di: ● Progettare: l’interesse e l’enfasi progettuale si concentrano sull’elaborazione di configurazioni ideali, contesti, modelli e strumenti per la facilitazione dei processi di apprendimento che possano trovare un ampio spettro di campi di applicazione. Questa tendenza combina modalità classiche di progettazione organizzativa e la messa a punto di dispositivi tecnologici online capaci di facilitare le interazioni a distanza assunti come il principale veicolo di incentivazione e sostegno della community. L’idea guida è quella di progettare e sperimentare strumenti e accorgimenti capaci di potenziare le relazioni e gli scambi allo scopo di estendere la circolazione della conoscenza e facilitare l’apprendimento. Si tratta di dispositivi che permettono ai membri della comunità di interagire (vicini o distanti) e di accedere a banche dati anche mediante criteri di ricerca avanzati. La ricerca continua finalizzata allo sviluppo di tali dispositivi è utile al potenziamento delle esigenze e delle dinamiche di cooperazione della community, ma è necessario sottolineare alcune criticità che possono derivare da un uso improprio del sistema: nessun dispositivo può risultare efficace se considerato come modello standard da estendere a qualsiasi contesto e a prescindere dal passaggio preliminare che è rappresentato dal riconoscimento; inoltre nessuno schema d’intervento di supporto può fare a meno della cooperazione. La seconda prospettiva metodologica che si è sviluppata a partire dalla svolta di Wenger concepisce: ● Intervento: si configura come sostegno agli attori della CdP nella loro attività di analisi dei problemi emergenti. Questa stilizzazione dell’intervento è tematizzata nei termini della coltivazione perché assume la vitalità della CdP e delle sue dinamiche come un processo autonomo col quale rapportarsi in modo non intrusivo. L’idea di coltivazione si distingue dalla progettazione nella misura in cui la sua azione rinvia a pratiche fondate su relazioni con un oggetto (i soggetti che si riconoscono nella comunità e nelle sue pratiche) dotato di autonomia e spontaneità mai del tutto riducibili agli obiettivi fissati di un approccio che evita ogni tipo di soluzione standardizzata di intervento per concentrarsi su pratiche di sostegno che mirano a stimolare tra i membri del gruppo capacità di individuazione e di analisi dei problemi che nella vita di comunità sono generati tanto dalle pratiche e dalle dinamiche relazionali interne, quanto dalle influenze provenienti dall’esterno e che possono determinare il progressivo indebolimento della comunità. Coltivare una comunità significa assumersi il compito di seguirla e accompagnarla, facilitandone i processi nella consapevolezza del fatto che essa segue il suo naturale ciclo di nascita, crescita e morte. Il ciclo di vita di una comunità si snoda lungo la traiettoria dei seguenti passaggi: 1. scoperta della comunità potenziale, ovvero l’avvio che è caratterizzato da reticoli sociali informali già esistenti i cui attori riconoscono l’interesse comune ad aggregarsi attorno ad una pratica e alle relative conoscenze da condividere 2. inizio della crescita (coalescing), nella quale comincia ad emergere il valore dell’insieme (cooperazione, condivisione ecc) e la sua vitalità 3. maturità, i cui tratti essenziali sono la consapevolezza identitaria del gruppo, l’attenzione a gestire i confini, la concentrazione sugli obiettivi, sull’organizzazione delle conoscenze acquisite e sul loro consolidamento 4. gestione che impegna i membri della community nella riflessione sull’uso delle conoscenze acquisite, in attività di governo dei problemi riguardanti le relazioni interne ed il presidio dei confini; 5. trasformazione della comunità ed è caratterizzata da fenomeni fisiologici di indebolimento della vitalità dell’insieme 6. nello stadio finale dello sviluppo di una comunità il cambiamento può assumere una varietà di forme: dalla dispersione del gruppo alla sua istituzionalizzazione in unità organizzativa formalizzata. 37 Muovendo da questi prerequisiti, il metodo del community development suggerito da Wenger si basa su alcuni principi e insieme di accorgimenti orientativi di cui tener conto nel lavoro di sviluppo e di sostegno di una comunità ben sapendo che le azioni alle quali essi rinviano sono spesso intrecciate tra loro, richiedono capacità combinatorie, flessibilità nel dosaggio degli elementi, creatività, improvvisazione. Una diversa prospettiva di metodo: promuovere, sostenere e aver cura delle comunità di pratica Un terzo punto di vista metodologico decisamente diverso da quello della progettazione ingegneristica, muove dall’ipotesi di Wenger ma si distanzia da essa non solo sul piano delle articolazioni procedurali, bensì anche e soprattutto su quello delle idea-guida dell’approccio. La prospettiva della coltivazione però è stata criticata nel suo impianto metodologico: la metafora della coltivazione tradisce un’interpretazione dell’intervento che rischia di essere l’esatto contrario di ciò che dichiara di voler essere. la coltivazione nella misura in cui si impegna nel compito di sostenere la crescita dell’organismo CdP, visto che c’è qualcuno da cui essa dipende per sopravvivere e svilupparsi. Coltivare significa anche indirizzare e determinare la direzione della crescita e rispetto a essa il soggetto (la CdP) perde autonomia e spontaneità. Tutte le attenzioni metodologiche dedicate ai processi legati al ciclo di vita della comunità rinviano a un intervento diretto da un soggetto esterno la cui azione è direttiva. E’ possibile sostenere che un modo diverso di concepire l’intervento nelle CDP sia quello ispirato all’idea della cura. ● Prendersi cura di una CdP significa riconoscerne l’autonomia e rispettarne i processi spontanei di autocostruzione. ● Prendersi cura significa promuovere occasioni riflessive grazie alle quali i soggetti stessi riconoscano i nodi delle dinamiche sociali del loro apprendimento proponendo e sperimentando le soluzioni di volta in volta individuate nel confronto tra loro e con le loro pratiche. ● Prendersi cura implica interventi sostenuti da spiccate competenze relazionali come la capacità di ascolto, di ricerca e di analisi, ma anche capacità maieutiche grazie alle quali sostenere le dinamiche autoprodotte delle CdP stimolando le attitudini riflessive dei loro membri sui processi di cui sono protagonisti, aiutandoli ad interrogarsi sul senso dell’azione collettiva e sui suoi effetti in termini di valore, di soddisfazione professionale, di identità soggettiva e di gruppo. ● Prendersi cura delle CdP significa lavorare sui fattori che consentono di rinnovare l’energia che alimenta la comunità. La cura non è che un modo redazionalmente fondato di accompagnare, facilitare e sostenere le dinamiche che caratterizzano la vita del gruppo identificato come una CdP. L’impegno relazione di colui che ha cura di una CdP si esprime attraverso la disponibilità ad accettare gli eventi di cui sono protagonisti i suoi attori senza tentare di influenzarli, si esprime attraverso una neutralità metodologica per l’oggetto della sua attenzione e si caratterizza nei termini della facilitazione dei processi autonomi di elaborazione e di autocostruzione del gruppo.  pratiche professionali riconosciute come rilevanti e promettenti, in riferimento a specifiche filiere operative;  ricognizione di istanze, indicazioni, suggerimenti mirati da offrire agli interlocutori istituzionali nella prospettiva delle nuove linee di programmazione allora in fase di elaborazione, In sintesi la serie degli interventi ha evidenziato spaccati di traiettorie professionali in corso di crescita, alle prese con sfide di trasformazione e cambiamento, nell’ambito di un sistema di FP in rapida e profonda evoluzione, anch’esso segnato, da un lato, da turbolenze e oscillazioni tra potenzialità e prospettive di costruzione, dall’altro da rischi di involuzione e incongruenza. Riteniamo utile richiamare alcune delle tematiche e delle retoriche circolanti che hanno intessuto gli scambi conversazionali funzionali ad assegnare senso allo spazio di lavoro avviato e di fatto a costituirlo, ri-precisando le condizioni di cornice riconosciute facilitanti la connessione tra investimento soggettivo e appartenenza alle organizzazioni di riferimento:  l’iniziativa proposta si definiva come la messa a disposizione istituzionale di uno spazio da sviluppare, senza la predeterminazione di un risultato o predefinite garanzie di esito, proprio perché legato al processo di co-costruzione sollecitata, relativa alla possibilità di intercettare un punto di vista non necessariamente identificato e sovrapposto con quello delle organizzazioni di appartenenza;  l’assunto alla base di tale proposta era il riconoscimento dell’evoluzione del sistema della FP, arrivato a un punto di snodo per cui è imprescindibile un confronto con i vari soggetti che lo compongono;  il contesto di riferimento vedeva già alcune scelte attuate che cercavano di premiare logiche evolutive, più che burocratiche;  c’era l’esigenza di una nuova visibilità del sistema FP e dei formatori e diventata di conseguenza determinante raccogliere il punto di vista dei soggetti su come stesse cambiando il sistema e su quali ipotesi avesse senso riarticolare la relazione tra regione e interlocutori in esso coinvolti.  Dunque era una scelta istituzionale ed espressione di un impegno chiaro quella di mettere a disposizione dei formatori momenti che si configurassero come luoghi di elaborazione, di pensiero e di ascolto, inaugurando una esperienza dove gli operatori riflettono su se stessi e sui loro futuri scenari. Gli snodi critici possono essere sintetizzati in tre punti- un primo snodo riguarda il tema dell’alleanza istituzionale, che raccoglie le variabili legate alla consapevolezza strategica dell’investimento sulle Cdp individuate e ritenute come probabili/potenziali e le concrete azioni e modalità avviate per la loro promozione e attivazione, conviene evidenziare:  Gli aspetti che hanno fondato la scelta a partire da una lettura del contesto di azione presente e della rappresentazione dei soggetti coinvolti/ da coinvolgere in quanto portatori di interesse;  Le aspettative legate all’investimento sui partecipanti e l’attuale esigenza/volontà di mantenere/rilanciare un’attenzione alla loro valorizzazione ed espressione;  Le iniziative legate al rapporto interno/esterno, la connessione con altri livelli, la creazione di spazi pubblici e privati, la realizzazione di eventi stimolo e di sollecitazione di interesse; 41  La modulazione della vicinanza/distanza della dimensione istituzionale all’iniziativa. Un secondo snodo attiene alla dimensione di processo dell’approccio formativo alle Cdp, in riferimento alla messa a fuoco dell’oggetto e all’avvicinamento alle pratiche dei soggetti, portare attenzione a:  Processo di individuazione degli oggetti di interesse;  Alla tenuta/spendibilità delle tracce di lavoro proposte;  All’adeguatezza del dispositivo di fatto realizzato;  Alle concrete forme di coinvolgimento. Un terzo snodo si riferisce alla dimensione della partecipazione, con riferimento alle variabili sociali che la caratterizzano e che rimandano agli aspetti relazionali sottesi ai processi di immaginazione e costruzione di significato comune, sono in gioco:  Forme adottate per sostenere relazione, fiducia, processi di negoziazione e condivisione;  Le modalità per alimentare vitalità e appartenenza;  La cura della visibilità dell’iniziativa. Da qui l’esigenza di considerare vantaggi e limiti sottesi all’assunzione dell’approccio qui proposto e alle sue condizioni di impiego. Il principale vantaggio risiede nell’opportunità di valorizzare la vicinanza ai contesti, intesi sia come luoghi fisici e sociali sia come matrici di significato attraverso cui si costruisce l’ordine della vita condiviso all’interno di un determinato sistema di azione. Il guadagno di tale vicinanza permette di cogliere le modalità di attribuzione di significato presenti in una situazione concreta, liberando le potenzialità di un’attenzione abduttiva ai molteplici segnali e indizi presenti, alle concrete modalità di soluzione di problemi rilevanti, alle forme di convivenza, al configurarsi di progetti così come al fronteggiamento di situazioni critiche. Diventa in tal modo realistica la possibilità di apprendere un contesto organizzativo, mediante una comprensione che passa attraverso momenti di relazione, di negoziazione di azioni, di confronto tra diversi punti di vista, di messa in comune di mappe differenti. Di qui anche il limite connesso all’essere coinvolti in tale processo di accompagnamento che da un lato comporta un costante e impegnativo esercizio di riflessione alla complessa regolazione delle asimmetrie di ruolo esistenti, alla consapevolezza relativa all’uso di proprie lenti e categorie di lettura, alle dinamiche relazionali che si influenzano e da cui si è influenzati, dall’altro riguarda la necessità di una attenta considerazione delle condizioni di sostenibilità e praticabilità di un tale approccio, la cui applicazione manualistica rischia di generare esiti tanto negativi quanto deleteri per gli effetti di disincanto e disillusione indotti negli attori organizzativi coinvolti. Potremmo concludere evidenziando la condizione paradossale che deve affrontare il formatore che voglia cimentarsi con l’impiego dell’approccio connesso al prendersi cura delle CDP: il loro carattere di emergenza spontanea e non programmabile che chiede il contemporaneo esercizio di una prefigurazione ma anche di un’attesa, di una sollecitazione ma anche di un’astensione, di un accompagnamento che moduli vicinanza non eccessiva e opportuno distacco, immersione nei contesti ma anche sguardo esterno di riflessione. CAPITOLO 17: E-LEARNING Introduzione Il termine e-learning designa, in senso tecnico, gli sviluppi metodologici di quella che Nipper chiamava “formazione a distanza di terza generazione”. Le prime due generazioni, in quella categorizzazione, facevano riferimento rispettivamente alla formazione per corrispondenza e all’impiego di supporti audiovisivi, nello specifico la telediffusione. L’avvento delle tecnologie web-based cambia completamente il quadro di riferimento: la distribuzione dei materiali di studio diviene istantanea, il feedback del corsista è in tempo reale, si può prevedere un’interazione tra chi partecipa al corso e chi lo gestisce. E’ da questo momento che si inizia a parlare di e-Learning. La e sta electronic e allude al supporto che la formazione trova, in questa modalità di lavoro, negli strumenti di comunicazione web-based. Apprendere attraverso tecnologie web dovrebbe essere e-ffective: l’efficacia deriva dalla possibilità del corsista di gestire tempi e luoghi della sua formazione, come dalla opportunità per chi eroga la formazione di operare il suo intervento senza sganciare la risorsa umana dall’esecuzione dei suoi compiti. La modalità in e-learning consente al corsista una relazione one to one con il proprio tutor e di vivere una dimensione fortemente partecipativa e collaborativa all’interno della community del corso, essa è anche e-motional. Rispetto all’e-learning, l’online learning indica attività di apprendimento in rete che appartengono all’area dell’educazione informale (ad esempio quando cerco contenuti nella rete). Quando invece si parla di online training, si fa riferimento a dispositivi tutoriali che in autoapprendimento consentono a chi li usa di addestrarsi a sviluppare abilità routinarie: molte volte anch’esso identificato con l’e-learning, l’online training ne rappresenta la declinazione più automatica ed economica. La geografia dei termini in gioco Blended learning Dal punto di vista della sua evoluzione l’e-learning è passato attraverso tre riconcettualizzazioni che hanno contribuito a ridefinirne e funzioni. La prima è quella che ha portato alla nascita del blended learning. 1) Blended learning: l’avvento del web e delle sue applicazioni aveva aperto una forbice tra la formazione d’aula tradizionale (che era solo brick) e la formazione web-based (solo click). La blended solution è “brick and click”, ovvero prende corpo in un percorso misto che si svolge in parte in aula, in parte online. La blended solution rende la soluzione graduale (si possono scegliere le ore di lavoro online) e consente di valorizzare il momento dell’aula che continua a mantenere la sua importanza soprattutto nei momenti chiave del percorso: l’inizio (con la socializzazione e il patto formativo), uno o + check intermedi (con gli screening in funzione della riprogettazione real time) e la conclusione (con il showdown dei prodotti, il debriefing e la definizione della follow up). Un esempio di organizzazione didattica di un corso in blended learning è relativo al progetto di formazione messo a punto da CREMIT per la formazione degli insegnanti di scuola in ospedale e istruzione domiciliare della Regione Lombardia. Il corso di articolava in 62/63 ore di lavoro formativo così suddivise: 16 ore d’aula, 8 pe ciascuna delle 2 giornate (la prima e l’ultima), 56/57 ore online distribuite tra la realizzazione delle e-activities richieste per ciascuno dei 4 sotto moduli di cui ogni modulo era composto e del project work di fine modulo. 45 Knowledge-building communities: coprono tutti quei casi in cui la formazione assume le forme della ricerca-intervento: come le comunità di pratica, queste devono produrre dei risultati che non siano conversazionali, ma sono organizzate e condotte in maniera rigida. metodologie: - Co-costruzione online definita la metodologia si tratterà di passare agli aspetti organizzativi macro-progettazione del percorso di formazione essa prevede la scelta del tipo di ambiente entro il quale le attività saranno svolte, la strutturazione in moduli dei contenuti e delle attività, il timing delle stesse. Ogni modulo di formazione in e-Learning è definito da un tema che può essere compreso tra due momenti di formazione: 1. di lettura e approfondimento dei contenuti 2. di svolgimento di attività Quanto al formato, il problema è di trans e crossmedialità: si tratterà di tradurre nel modo + adeguato alle specificità semiotiche dei media digitali i contenuti che si vogliono rendere oggetto di formazione. ciò significa lavorare sugli script per tradurre codici e lessici della pagina stampata in quella della pagina web o ripensare il senso multimediale quel che verosimilmente era pensato solo per il linguaggio scritto. Occorre prestare attenzione a che gli stessi contenuti possano essere fruiti sulle diverse piattaforme: lo smartphone, il PC, il tablet o per il mondo iOS, Android o Windows. Piattaforme Nel linguaggio corrente è entrata nell’uso l’espressione “piattaforma e-learning” per definire ciò che in termini tecnici più propriamente si chiama Learning Management System (LMS), o Content Management System (CMS), un ambiente al quale si accede mediante procedura di autenticazione che consente di svolgere tutte le funzioni utili alla formazione online: - delivery di materiali - agenda e avvisi - discussione - lavori in virtual group - assesment All’interno di una piattaforma e-Learning sono disponibili 3 zone di lavoro: 1. zona di documentazione: repository di materiali e relativa area di download; 2. zona di interazione: forum di servizio generali e forum tematici per la discussione dei contenuti della formazione animati dagli esperti di contenuto; 3. zona dedicata all’attività riflessiva: virtual group e aree di condivisione di materiale e link; Il vantaggio dell’adozione di una piattaforma è duplice: 1. possibilità di ingegnerizzare l’erogazione di formazione, riuscendo a far fronte anche a un numero alto di corsisti e a un numero elevato di corsi contemporaneamente 2. il controllo istituzionale che essa consente di esercitare sia sui processi di formazione che sulle attività di apprendimento I due possibili approcci all’adozione di una piattaforma: 1. formula proprietaria: la piattaforma viene sviluppata in proprio, il vantaggio sta nel poterla implementare e modificare a piacere, ma il lavoro di upgrade è costante e alla fine rischia di rivelarsi un’opzione + costosa rispetto all’altra poiché richiede la disponibilità continua di risorse dotate di competenze informatiche 2. formula non proprietaria: può essere di 2 tipi: - piattaforma commerciale, che prevede un canone annuo che comprende tutte le spese di customizzazione e upgrade - piattaforma open source (come Moodle) la cui adozione non ha costi, lasciando però a chi l’adotta il lavoro di customizzazione e la gestione materiale Learning project Il termine learning object (LO) E’ costituito da diversi elementi: ● Autoconsistenza: risponde ad una logica di modularità. Più è sganciato da altri contenuti meglio potrà essere riutilizzato all’interno di altri percorsi di formazione. In quest’ottica di componibilità, fa parte del lavoro dell’equipe di formazione la produzione di un numero sempre + ampio di Learning object così da alimentare il repository aziendale rendendolo rispondente ai diversi corsi che si tratterà di produrre ● Granularità: quanto deve essere grande un LO? Che peso gli si deve riconoscere? La logica retrostante è quella della costruzione. La conoscenza è fatta di atomi e molecole, si scompone e si ricompone. ● Metadatazione: un metadato è un dato di secondo livello, un’info relativa a un’altra info. La funzione di questi dati è di rendere ricercabili in maniera + facile ed efficace i contenuti. Esistono dei metadati a cui tutti si devono attenere per evitare di creare confusione. Nella formazione online il docente è l’autore dei contenuti, che sono resi motivo e spunto di attività dall’ e-tutor, da cui, tramite il tutoring e l’attività, si costruisce la comunicazione online nell’e-Learning. Comunicare: fare formazione online Nella formazione online, spesso il docente è l’autore dei contenuti. Quei contenuti vengono poi resi compatibili con i formati dell’e-learning attraverso il processo di Instructional design. Tutoring Profilo dell’e-tutor: Il tutor non deve essere uno specialista dei contenuti su cui la formazione si sta svolgendo: lo specialista di contenuto spesso serve, ma non gli si può 47 chiedere di svolgere il lavoro del tutor, che si definisce così come un professionista esperto, dotato di un particolare di competenze psicologiche, tecnologiche e formative. Volendone sintetizzare le modalità di lavoro, si possono indicare 4 attività di base: ● Organizzazione: il tutor partecipa alla progettazione del corso: spetta a lui il design dell’ambiente nel quale le attività si svolgeranno, la scelta di quali funzioni attivare, la definizione dell’aspetto dell’interfaccia utente. In corso d’opera, l’attività organizzativa prosegue in relazione alla raccolta dei flussi documentali, all’archiviazione dei prodotti della formazione, alla gestione degli scambi comunicativi all’interno o all’esterno della piattaforma. ● Facilitazione: nella fase iniziale di un percorso di formazione, il tutor dovrà supportare i corsisti nella conoscenza dell’ambiente, risolvere i loro problemi legati all’accesso o al cattivo funzionamento degli strumenti. Buona parte della sua attività sarà dedicata al trouble shooting: il corsista deve trovare in lui il punto di riferimento sicuro per la soluzione dei suoi problemi ● Moderazione: cuore dell’attività del tutor. In rete la comunicazione va gestita: la mancanza dei tratti sovra segmentali e del para verbale rende difficile l’attribuzione dei significati, può generare malintesi; spesso si generano derive conversazionali che portano la discussione off-topic; la leadership e il lurking (fenomeno di chi legge solamente quello che gli altri scrivono senza postare a sua volta) sono aspetti con cui sapersi confrontare. Per far fronte a questa complessità servono competenze relazionali sofisticate ● Scaffolding: al tutor spetta un lavoro specifico di supporto sia cognitivo che emotivo. Lo Scaffolding è una metafora edile che allude alla funzione delle impalcature destinate a circondare l’edificio fino a quando non ne avrà + bisogno. Il tutor fa Scaffolding quando interviene per: recuperare il corsista che rischi di diventare un drop-out precoce; motivare alla partecipazione; fornire indicazioni operative; suggerire soluzioni per sbloccare situa di stallo. Si tratta di una competenza fine che si pensa secondo una logica di fading: più il corsista diviene sicuro, meno lo scaffolder dovrà farsi presente. Learning activities Il fulcro del lavoro di apprendimento online è costituito dalle learning activities dei corsisti. Ne esistono di due tipi: la prospettiva è basata sul costruttivismo sociale che ritiene che l’apprendimento consista nel far esperienza in contesto, individua nella produzione di conoscenza attraverso il fare il momento costitutivo della formazione 1. E-activities: attività concentrate nel tempo che il corsista viene chiamato a svolgere online. Sono attività di questo tipo: la costruzione di uno strumento (tipo scheda o check-list), la partecipazione alla discussione in un forum, l’analisi guidata di un testo ecc. Queste attività possono essere svolte individualmente o in virtual group. 2. la seconda tipologia ha la specificità di riguardare attività che non si svolgono solo online ma che prevedono un percorso di andate e ritorno verso e dall’esperienza professionale. Sono attività di questo tipo quelle che richiedono al corsista non solo di costruire uno strumento attraverso il lavoro online, ma di testarlo nel suo contesto professionale riportando della discussione online i risultati di questa attività di testing. a seconda della variazione dei casi varia anche il lavoro richiesto al coach VALUTARE La possibilità di fare esperienza permette all’esercitazione di allontanarsi dai metodi tradizionali z trovare la sua collocazione tra gli strumenti definiti attivi avendo infatti la possibilità di attrarre l’attenzione, di attivare la partecipazione e divertire le persone coinvolte. L’esercitazione può essere considerata uno strumento di formazione attiva per le seguenti caratteristiche: ● immediatezza: il gioco è una delle prime e + antiche forme di apprendimento che chiunque ha praticato in un momento della propria vita; l’esercitazione è quindi un’attività le cui modalità di svolgimento sono generalmente intuitive e accessibili a chiunque ● sicurezza: le esercitazioni sono percepite come modalità non minacciose di interazione con altre persone, in quanto agite in ambienti protetti come l’aula e prive di conseguenze negative. La dinamica attivata dall’esercitazione crea un ambiente che non va considerato come valutativo del contenuto dell’azione esercitativa ma nella sua meccanica di apprendimento ● coinvolgimento: tutti i partecipanti si lasciano contaminare e si fanno prendere dalla componente ludica della dinamica delle esercitazioni e riescono ad esprimere forme di cooperazione e di interazione del tutto simili a quelle agite nella quotidianità ● pragmaticità: le esercitazioni permettono di mettere in pratica pratiche e comportamenti nuovi divenendo un vero e proprio allenamento. Attraverso l’abbassamento delle difese + razionali dei partecipanti, le esercitazioni permettono anche scoperte inaspettate di proprie attitudini e reazioni a situazioni + o - nuove ● novità: la grande varietà di esercitazioni permette al formatore di presentarsi in aula con materiale sempre nuovo, stupendo i partecipanti e attivandoli maggiormente. Le 51 esercitazioni creano un ambiente di apprendimento inventivo e creativo, specialmente se il formatore ha la possibilità di progettare e creare le sue esercitazioni con un simile spirito. Perché un gioco possa essere considerata un’esercitazione adatta alla formazione degli adulti deve essere un’attività che: ● Richiede ai partecipanti di assumere un ruolo diverso da quello al quale sono abituati: nella maggior parte delle esercitazioni, i partecipanti impersonano specifiche figure; tali ruoli possono essere interpretati da individui o da interi team e possono essere simili o differenziati, specifici o generali ecc. L’esercitazione comincia in uno scenario che descrive l’ambiente in cui i ruoli devono essere agiti e fornisce un obiettivo da raggiungere all’interno di tale scenario ● Simula situazioni critiche in cui occorre risolvere un problema o una criticità: ai partecipanti è richiesta una soluzione ad un problema che si è verificato nell’ambiente (sistema); il contenuto dell’esercitazione non riguarda l’attività lavorativa dei partecipanti, ma piuttosto il processo ● Utilizza l’esperienza dei partecipanti come parte fondamentale dell’apprendimento: data la grande varietà di possibili ambienti utilizzabili, qualunque esperienza pregressa dei partecipanti è utile al raggiungimento dell’obiettivo fornito dallo scenario. Per completare un’esercitazione non si richiede una competenza specifica ma piuttosto l’utilizzo delle proprie competenze generali e del proprio buon senso. Le dinamiche che si realizzano nello svolgimento dell’esercitazione sono quelle che si sviluppano in tutta l’attività lavorativa o nella vita dei partecipanti ● E’ coordinata e gestita da un facilitatore che detta le regole e ne verifica il rispetto: è necessaria una figura arbitro che osservi e raccolga dati per la fase successiva di analisi e rielaborazione degli apprendimenti. In sintesi le esercitazioni sono metodi didattici che sfruttano il loro appeal ludico per ottenere un diretto coinvolgimento dei soggetti nei processi di apprendimento, intesi come accumulo di informazioni e come presa di consapevolezza rispetto alle proprie competenze, alla capacità di farne uso e ai meccanismi di funzionamento delle persone in generale sul posto di lavoro. “I giochi non sono un apprendistato al lavoro, ma allenano in generale alla vita, aumentando ogni capacità di superare e far fronte agli ostacoli”. La struttura delle esercitazioni ha anche contribuito a modificare il ruolo del formatore che diventa co-formatore partner dei partecipanti nel processo di co-costruzione del percorso formativo le criticità delle esercitazioni emergono da una rilettura di alcune delle loro caratteristiche già esposte: ● distanza: le esercitazioni presentano un modello semplificato di realtà che non riesce a rendere la complessità del reale contesto quotidiano in cui operano i partecipanti; questa sensazione di lontananza può influire negativamente sulla percezione di efficacia dell’attività. ● leggerezza: il rovescio della medaglia dell’immediatezza e della sicurezza; il rischio è che i partecipanti prendano poco sul serio l’attività relegandola nel limbo di mero svago o distrazione ● logistica: alcune esercitazioni richiedono un certo sforzo di allestimento in termini di materiali e infrastrutture d’aula che non è sempre possibile avere. Inoltre diverse esercitazioni sono poco efficaci se realizzate con un grande numero di partecipanti, a causa della dispersione dell’attenzione e della difficoltà di gestione da parte del formatore. La vera difficoltà nell’utilizzare questo strumento dipende dal livello di fiducia che il formatore sarà riuscito a costruire con i partecipanti in mancanza di ciò il formatore rischia che le resistenze e le difficoltà insite nella rappresentazione e nell’analisi di quella che resta un’attività ludica si trasformino in una riprova dello scarso valore formativo dell’esperienza. Ciò significa che l’esercitazione non è uno strumento indipendente da chi lo utilizza, ma piuttosto il supporto a una precisa strategia formativa incentrata sull’esperienza e sulla collaborazione produttiva tra formatore/facilitatore e partecipanti. I possibili obiettivi formativi delle esercitazioni nella formazione degli adulti In prima istanza le esercitazioni venivano utilizzate con un carattere prettamente addestrativo ma con le varie evoluzioni avvenute nel tempo le esercitazioni hanno dimostrato il loro valore formativo nello stimolare una maggiore consapevolezza rispetto alle proprie abilità nell’affrontare certe situa di difficoltà e alla propria capacità di una + efficace gestione della propria emotività. Le esercitazioni cercano di raggiungere questi obiettivi didattici attraverso la richiesta fatta ai partecipanti di portare a termine una prestazione di natura intellettuale o pratica, come la produzione di oggetti reali. Le esercitazioni sono attività formative consistenti nella realizzazione di operazioni assimilabili ad alcune azioni organizzative, organizzate in forma +o - competitiva, da realizzarsi in un tempo dato e attraverso l’utilizzo di materiali forniti dal formatore o prodotti dai partecipanti stessi. Alcuni obiettivi:  stimolare l’utilizzo di approcci nuovi e diversi dall’analisi delle situa e alla risoluzione di problemi: alcune esercitazioni presentano situazioni problematiche in cui le soluzioni ovvie non solo fattibili: ai partecipanti è dato l’obiettivo di trovare nuove possibilità e di elaborare un nuovo metodo di analizzare e considerare tali criticità  aumentare la consapevolezza relativa al proprio modo di relazionarsi con gli altri: alcune esercitazioni permettono di sperimentare nuovi punti di vista, esplorando l’importanza di mantenere un atteggiamento aperto e recettivo nei confronti dei propri interlocutori  puntare l’attenzione sull’importanza di alcuni fenomeni sociali: alcune esercitazioni evidenziano le normali dinamiche intra ed extra gruppo; permettendo una riflessione approfondita sui punti di forza e le criticità dello strumento gruppo. La tipologia classica delle esercitazioni le classificava, oltre che rispetto al contenuto, anche per la struttura. Le esercitazioni venivano pertanto classificate in:  casi di discussione: l’esercizio consiste nella lettura della cronaca di un evento che i partecipanti devono analizzare e commentare insieme al docente 55 materia di discussione nella fase successiva di analisi (può avvenire anche con una videocamera, a patto che sia stato patteggiato con i partecipanti). L’utilizzo della videocamera può avere vantaggi e svantaggi:  è molto utile se il tema dell’esercitazione è l’interazione tra le persone, permette un’analisi + approfondita e fornisce ai giocatori l’occasione di rivedersi in azione  è una potenziale fonte di resistenza se il formatore non è riuscito a creare un clima di fiducia o non ha rassicurato nel modo adeguato i partecipanti che il materiale video registrato non lascerà mai l’aula. L’utilizzo della videocamera può aumentare le difese e diminuire la partecipazione. Una volta finito il tempo a disposizione il formatore ferma le attività, scioglie i gruppi di giocatori e osservatori e da inizio all’ultima fase. 3. Debriefing o Commento/analisi: momento più importante, quello in cui si passa dall’osservazione riflessiva alla concettualizzazione astratta. Si riflette sull’esperienza vissuta e si cerca di rileggerla, capirla e riutilizzarla in chiave razionale, spogliando l’esercitazione dalla sua parte ludica per far emergere gli aspetti interessanti utili ai fini dell’apprendimento e trasferibili nell’attività lavorativa. Le caratteristiche del commento sono:  tempo: il Debriefing dovrebbe occupare da un terzo a metà del tempo dell’intera esercitazione sebbene ogni caso sia diverso. E’ anche importante che un commento non duri + di 45-60 minuti per evitare di dare ai partecipanti la sensazione di sovra interpretare.  procedura: il formatore dovrebbe dare inizio alla discussione partendo dalle riflessioni dei giocatori per poi passare a quelle degli osservatori e solo dopo il formatore potrà fornire la propria analisi. Il Debriefing non è una lezione in cui si fornisce la soluzione dell’esercitazione ma una riflessione condivisa per aiutare i partecipanti a declinare ciò di cui hanno fatto esperienza rispetto alla loro realtà lavorativa e adattare gli spunti trovati a tali situa.  ricostruzione dell’evento: il primo passo è quello di creare un’immagine collettiva e condivisa di quel che è successo. E’ più utile che siano gli stessi giocatori a partire nella ricostruzione, per lasciare poi spazio agli osservatori. Questo livello è molto razionale e tende a limitarsi al successo del gioco, ma è indispensabile per avere una ricostruzione comune di quel che è successo, base necessaria per poter passare all’analisi + approfondita (es di domande: “cosa è successo durante l’esercitazione?” “quali sono stati i momenti + importanti?”). Il formatore può intervenire per riordinare ed evidenziare alcuni passaggi; potrebbe risultare utile la visione della videoregistrazione, ricordando a tutti che questa non vuole essere una correzione, ma uno spunto per afferrare meglio le interazioni e i dettagli che possono essere passati inosservati durante l’azione.  riflessione guidata sul contenuto relazionale- comportamentale: la formazione sui comportamenti organizzativi non può prescindere dall’analisi delle emozioni, perciò, il formatore stimolerà la consapevolezza dei partecipanti su ciò che l’esperienza ha mosso in loro: sono state messe in campo delle emozioni e delle dinamiche relazionali del tutto simili a quelle che si verificano sul posto di lavoro, nonostante sia stata solo un’esercitazione in un contesto protetto. (es di domande: “come vi siete sentiti durante lo svolgimento dell’esercizio?” “pensate di aver dimostrato le emozioni che avete provato?” “in che modo?”) Le domande possono essere anche considerate una forzatura, ma ciò è utile per stimolare un confronto senza scadere nella classica lezione frontale  passaggio dal gioco alla realtà: come trasferire gli apprendimenti nel proprio lavoro. E’ il passaggio + critico e delicato. Il formatore deve accompagnare i partecipanti nella messa a fuoco di quanto i comportamenti agiti durante l’esercitazione siano gli stessi che vengono agiti nella quotidianità lavorativa e nel riconoscere che le buone pratiche evidenziate possano rappresentare altrettante variazioni del corrispettivo comportamento professionale. (es di domande: “ci sono situazioni lavorative analoghe a quella di cui avete appena fatto esperienza?” “sarebbe possibile applicare alcune strategie relazionali che si sono rivelate efficaci durante l’esercitazione nella vostra realtà lavorativa?”). Come già sottolineato, la fase di Debriefing è il momento fondamentale per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi didattici. Avendo in mente questa considerazione, il formatore deve rendersi conto che questa discussione va gestita come una “scoperta” e non come una lezione. In altre parole i partecipanti “ci devono arrivare” spontaneamente accompagnati e non diretti dal formatore: la loro consapevolezza sui propri comportamenti così come sui possibili miglioramenti evidenziati, deve essere stimolata e i collegamenti devono essere completati da loro stessi. Alcuni esempi di esercitazioni Esercitazioni brevi: possono essere utilizzate in apertura del corso oppure dopo una pausa (caffè o pranzo) Esercitazioni medie: possono essere utilizzate a metà o alla fine di un percorso Esercitazione lunga: può essere svolta solo a metà di un percorso (guardare libro) 57 CAPITOLO 23: LEZIONE Introduzione Con il termine lezione, sovente accompagnato dall’aggettivo “frontale”, che viene aggiunto quasi ad accrescere la rudezza della situazione, ci si riferisce alla metodologia in assoluto più utilizzata, più diffusa e forse più antica. Credo che la lezione trovi il suo miglior contesto applicativo quando l’obiettivo è: - migliorare le conoscenze e le nozioni dei partecipanti; - migliorare la loro comprensione di concetti astratti e di principi generali Aspetti generali Nonostante le innumerevoli critiche di cui è fatta da tempo bersaglio, la lezione continua ad essere impiegata nelle aule di formazione di persone di ogni età, dalle elementari alle università della 3 età, passando dalle aule di formazione aziendale. La domanda che ci si deve porre è: “come fare a realizzare lezioni efficaci?”  Durata: è consigliabile che la lezione non si protragga eccessivamente nel tempo, pena un’alta probabilità di perdita di attenzione dei partecipanti dopo 20/30 minuti la fatica nei partecipanti comincia a farsi sentire e la concentrazione si riduce in modo significativo;  mezzi di comunicazione: la sola voce del docente non è abbastanza per garantire l’attenzione, è necessario quindi avvalersi di mezzi quali lavagne, pc, proiettori ecc.  necessità di non ridurre la lezione ad un monologo del docente: l’ascolto prolungato può diventare un impedimento all’attenzione e all’apprendimento. E’ necessario che vi sia una reale interazione tra docente e partecipanti. Preparare una scaletta La prima attività che un docente deve affrontare per preparare una nuova lezione è la creazione di una scaletta in cui sono segnati i punti principali di cui vuole trattare, e quelli che non è necessario toccare, nel tempo che ha a disposizione. Per fare ciò è necessario seguire alcuni criteri:  L’obiettivo didattico che ci si prefigge: cosa devono ricordare i partecipanti al termine della lezione;  Il livello di preparazione dei partecipanti sul tema in oggetto: quanto ne sanno già;  Il tempo a disposizione: è un vincolo entro cui stare e in cui rimodulare gli obiettivi effettivi. La sequenza degli argomenti Il docente, inoltre ha due possibilità da utilizzare per trattare i propri argomenti: 1. Classica e deduttiva: si introduce l’argomento partendo dai suoi presupposti, poi si illustrano i concetti base e infine si fanno degli esempi. Il materiale viene organizzato nel seguente modo: - presentazione dei principi generali attinenti alla materia oggetto della sua lezione - esame dei singoli punti in cui i principi generali possono essere scomposti, loro commento e loro analisi - eventuali esempi applicativi dei vari casi - conclusioni con eventuale richiamo ai principi generali esposti in apertura 2. Induttiva: si parte da un caso concreto, ci si chiede quale sia il motivo o la causa di quanto è accaduto, si costruiscono delle risposte e poi ri prova ad applicare tali risposte ad altre situa simili. In sintesi: ingenerano in alcuni partecipanti o in tutto il gruppo una forte reazione di contro dipendenza, e allora partono le obiezioni, le contestazioni, i “la nostra realtà è diversa”, oppure “lei non conosce il nostro contesto” ecc., e l’energia viene spostata dalla materia in esame alla contestazione e al conflitto. Competenza o potere? Su un estremo, che sempre per semplicità indico come positivo, ci stanno quei comportamenti che dimostrano il desiderio di mettere a disposizione il proprio sapere per condividerlo, mentre sull’altro estremo vi sono i comportamenti che fanno percepire al gruppo che il docente utilizza il proprio sapere come strumento per affermare se stesso e la propria indiscutibile superiorità. (guarda esempi) Quali sono i comportamenti all’estremo opposto, quello che ho chiamato “competenza”? Naturalmente non sono quelli che negano o nascondono il proprio sapere, giacché comunque una grossa parte della credibilità e della legittimazione del docente deriva proprio dal fatto che si presume vi sia un divario di preparazione e capacità sulla materia oggetto della lezione, ma sono quelli che dimostrano di voler mettere a disposizione il proprio sapere per condividerlo non in forma autoritaria e impositiva. (guarda esempi) Apprendimento o valutazione? Nel processo di apprendimento un ruolo molto importante è giocato dai feedback che le persone ricevono e quindi i modi che il docente utilizza per comunicarli divengono un fattore significativo del successo complessivo del processo didattico. Immaginando anche qui un dal negativo al positivo, possiamo continuum individuare sul primo estremo un insieme di comportamenti che esprimono con forza la valutazione che il docente dà dell’operato del singolo o del gruppo. (guarda esempi) Dopo numerosi interventi di questo tipo da parte del docente, si può facilmente instaurare nell’aula un clima assai competitivo, con frequenti comportamenti esibitivi da parte dei partecipanti, tesi a ottenere le gratificazioni del docente. Oppure, nel caso di predominio di feedback negativi e/o di stile aggressivo da parte del docente, facilmente si creano passività e atteggiamenti difensivi, tesi a evitare di incorrere nei rimproveri o nelle svalutazioni del docente. In ogni caso l’apprendimento ne risente in modo significativo. Come dare dunque feedback, visto che sono importanti? L’estremo opposto dell’immaginario che stiamo trattando continuum prevede un atteggiamento del docente teso a favorire l’apprendimento non tanto focalizzato sulle persone, ma molto centrato sui contenuti. (esempi) L’uso del tempo Credo che ogni docente abbia provato l’esperienza di trovarsi quasi alla fine del tempo disponibile per la sua docenza avendo svolto solo una parte ridotta del tema e avendo ancora una numero significativo di slide da proiettare e trattare. Infatti, quello del progettare dei contenuti eccessivi rispetto al tempo disponibile è uno degli errori in cui s’incappa più facilmente, soprattutto nelle prime esperienze. La mia ipotesi è che occorre privilegiare l’apprendimento e l’efficacia della didattica a scapito dell’efficienza. In pratica, la proposta è quella di cercare il più possibile di consentire ai 61 partecipanti di acquisire realmente i contenuti esposti, coi loro ritmi, coi loro dubbi, con le loro domande, con le loro trasposizioni alle realtà personali. E ciò a scapito del voler dire tutto ciò che ci si era messi in scaletta e del voler proiettare tutte le slide che ci si era preparati. Immaginando di costruire uno slogan su questo tema, esso potrebbe suonare così: “Meglio poche cose realmente apprese e fatte proprie piuttosto di tante cose solo ascoltate e presto dimenticate”. Attivare la partecipazione Nella scuola vi sono gli allievi, nella formazione degli adulti nelle organizzazioni vi sono i partecipanti. La differenza dei sostantivi utilizzati non è solo formale: con gli adulti il rapporto didattico deve essere differente. Come fare a innescare e favorire la partecipazione? Credo che i mezzi a disposizione del docente siano sintetizzabili in tre categorie:  l’atteggiamento complessivo;  le modalità che adotta per innescare confronti e animare discussioni;  le tecniche che adotta per rispondere a domande e per gestire le obiezioni. Sul primo aspetto già nei paragrafi precedenti si sono indicati i comportamenti che hanno maggiori probabilità di attivare una efficace dialettica tra docente e partecipanti: comportamenti che manifestano vicinanza, competenza e orientamento all’apprendimento invece di comportamenti che ingenerano distanza, che fanno percepire un desiderio di agire il potere, che innescano processi valutativi o svalutativi. Per quanto riguarda invece le modalità per aprire la discussione coi partecipanti, ritengo vi siano solo alcune osservazioni molto semplici da fare: il modo migliore è di chiedere al gruppo se vi sono delle domande e se tutto ciò che è stato esposto è chiaro. Un po’ più complesso è invece il tema della gestione delle domande e soprattutto delle obiezioni. Sulle prime, già si è suggerita l’utilità di limitarsi a rispondere senza aggiungere commenti o valutazioni sulla domanda o sulla persona che la pone o sui supposti motivi per cui viene posta. Più il docente risponde alle domande dei partecipanti, più è probabile che essi pongano anche successivamente delle altre domande, rendendo quindi sempre più attiva e partecipata la lezione. Dietro a tutto ciò sta un implicito importante: l’apprendimento è meno probabile se il gruppo sta passivo e in solo ascolto, ed è invece più probabile se le persone possono partecipare, discutere, confrontarsi e risolvere i loro dubbi man mano che affiorano alla mente. Le obiezioni hanno altresì una valenza psicologica differente: esse non sono fatte per sapere ma per contrastare. Una possibile conseguenza è che sovente il docente, a torto o a ragione, reagisce con un po’ fastidio, non del tutto efficacemente celato. Il suggerimento per il docente è quindi di prestare attenzione alle obiezioni, non solo per il potenziale che possiedono di innescare dei conflitti, ma anche per il loro significato diagnostico di un possibile disagio presente nell’aula. CAPITOLO 30: ROLE PLAY Introduzione Il termine role play, solitamente tradotto con “gioco di ruolo”, descrive un insieme di attività caratterizzate dal coinvolgimento dei partecipanti in situazioni in cui viene esercitata la possibilità di comportarsi “come se”. Il role play è dunque una tecnica di drammatizzazione di comportamenti di ruolo espressa attraverso una rappresentazione di situazioni prossime alla realtà. La messa in scena di tali situazioni prevede la presenza di un conduttore, di uno o più attori che impersonano un ruolo e di altri soggetti che fungono da osservatori. In genere, la tecnica prende avvio dall’esame di una situazione e dalla successiva simulazione delle relazioni correlate alla situazione medesima. L’agire drammaticamente una situazione, in una modalità sperimentale e protetta, consente di fare emergere comportamenti e atteggiamenti che resterebbero in gran parte sommersi privilegiando metodi focalizzati su contenuti di natura essenzialmente verbale e privi di coinvolgimento sul piano emotivo. Una definizione Nella formazione professionale si dicono tecniche di simulazione quelle che tentano di riprodurre in vitro, durante il setting di apprendimento, situazioni problematiche tipiche della vita di lavoro. Il role play rientra tra i metodi pedagogici “attivi” dove questo termine designa il coinvolgimento diretto dei soggetti nel processo di apprendimento attraverso la mobilitazione della loro esperienza unita alla conoscenza diretta delle situazioni simulate, inoltre evidenzia la relazione dinamica che caratterizza gli scambi tra formatore/discenti e discenti/discenti che la simulazione rende interattiva e interdipendente. E’ una tecnica di drammatizzazione di comportamenti di ruolo espressa attraverso una rappresentazione di situa prossime alla realtà la messa in scena di tali situa prevede la presenza di un conduttore, di uno o + attori e di altri soggetti che fungono da osservatori. La tecnica prende avvio dall’esame di una situa e dalla successiva simulazione. Il role play è considerato un metodo didattico che valorizza l’esperienza dei partecipanti. rientrano in questo metodo tecniche di simulazione che ricostruiscono aspetti della vita reale in condizioni controllate e in un contesto protetto, oscillando tra l’osservazione sul campo e gli esperimenti in laboratorio. Role play = tecniche di simulazione riprodotte “in vitro”, durante il setting di apprendimento, situa problematiche tipiche della vita di lavoro. Lo scopo di tale metodologia punta ad accrescere competenze relazionali con un livello di codificazione che in rapporto ai ruoli e ai comportamenti richiesti può essere più o meno accentuato sul piano della prescrittività e della strutturazione. “E’ una recita che avviene in presenza di una sceneggiatura allestita dal formatore dove il copione dipende dagli obiettivi di apprendimento e delle situa simulate” Il role play favorisce l’accesso all’imprevisto e all’imprevedibile. Role play e psicodramma: analogie e differenze  Il role play è la rappresentazione (messa in scena) che al racconto privilegia la drammatizzazione dei problemi indagati. Si ricorre alla drammatizzazione di una situa critica in un contesto protetto per far emergere le cause di eventi problematici. Il role play ha origine nello psicodramma moreniano, quale tecnica terapeutica creata dallo psichiatra e sociologo rumeno Jacob Moreno. 65 L’uso del Role play dipende da numerosi fattori, tra cui spiccano: ● la creazione di una situazione ambientale favorevole: è necessario allestire un ambiente sociale adeguato, raccogliendo info sul contesto, sulle relazioni, sui problemi che i soggetti percepiscono sono tutte informazioni necessarie per preparare il role play e per motivare i soggetti a mettersi in gioco. Una componente fondamentale da indagare prima del role play è la motivazione dei partecipanti a sperimentarsi nelle tecniche di simulazione. ● la capacità di fornire al gruppo le giuste informazioni: al gruppo dei partecipanti devono essere fornite info utili affinchè essi possano dare significato e direzione all’esperienza. E’ necessario spiegare le finalità e modalità di svolgimento del role play, rassicurandoli sul contenimento dell’intensità delle interazioni e sugli imprevisti che potrebbero derivare da situa di sovraesposizione relazionale. spetta quindi al conduttore spiegare le ragioni e trasmettere l’entusiasmo per mettersi in gioco. Non è da sottovalutare il fatto che il role play è un gioco di specchi in cui i soggetti apprendono qualcosa di sé attraverso l’altro. La messa in scena di situa produce accadimenti di portata emotiva tali da indurre cambiamenti nei soggetti sul piano dei comportamenti. E’ sempre meglio evitare di collocare il role play all’inizio di un seminario ma inserirli quando il gruppo ha già fatto esperienza di sé come gruppo in formazione e si è creato un buon clima. Conduzione Nel role play viene richiesto ad alcuni componenti del gruppo di svolgere il ruolo di attori, rappresentando personaggi in interazione fra di loro. Tutto ciò mentre i restanti componenti fungono da osservatori dell’evento simulato. Al termine il conduttore esplicita ed interpreta l’esperienza a beneficio di tutto il gruppo, focalizzando l’attenzione sui processi di comunicazione agiti all’interno del contesto rappresentato. 10 fasi della modalità di conduzione del role play: ● presentazione della metodologia didattica: è opportuno enfatizzare l’aspetto strumentale e non valutativo, illustrandone la valenza didattica e rassicurando i partecipanti riguardo alla riservatezza ● scelta del tema/problema: il formatore lo presenta come ciò che bisogna rappresentare nel role play al gruppo, evidenziando i collegamenti con il tema di apprendimento + generale. In altre situa, è lo stesso gruppo che sceglie il tema/problema da mettere in scena ● individuazione degli attori: dovrebbe avvenire su base volontaria ● assegnazione del compito al gruppo: ai diversi attori viene assegnato il copione che dovranno interpretare. Ogni attore studia poi la propria parte in modo autonomo, riflettendo sul ruolo secondo le istruzioni assegnate. I restanti membri del gruppo stabiliscono quali aspetti del role play osservare e in vista di quali risultati, grazie all’aiuto delle griglie di osservazione e delle schede di rilevazione ● warming up: il gioco ha inizio con questa fase che comprende quelle tecniche volte a riscaldare per far salire, cioè creare un clima stimolante che faciliti l’assunzione di un ruolo da parte degli attori, grazie al quale può prendere avvio il gioco. Il conduttore deve aiutare i soggetti a immedesimarsi nel ruolo risolvendo gli eventuali dubbi. Alcune principali tecniche: - Cluster warming up: il gruppo viene suddiviso in sottogruppi che dovranno discutere del tema proposto riscaldando il clima - Brevi sketch: si fanno giocare brevi e semplici scene in sequenza rapida, senza commento. L’obiettivo è di provare ad impersonare un ruolo - Interviste ai futuri attori: intervistare chi interpreterà un ruolo, chiedendo info del personaggio assegnatoli per aiutare la persona ad entrare nel personaggio - Scenetta dimostrativa: il conduttore recita una scenetta dimostrativa, per ilustrare con i fatti cosa sia una simulazione. Si può chiedere alle persone di commentare la scenetta. - La sedia vuota: il conduttore mette una sedia vuota e chiede alle persone di immaginare una persona con cui si hanno relazioni di ruolo. Dopo aver scelto una situa e dopo averla presentata si comincia un gioco che può iniziare con le parole di chi ha visto sulla sedia un ruolo particolare, oppure si danno istruzioni a un altro partecipante per ricoprire il ruolo e lo si fa sedere sulla sedia vuota. - La bottega magica: il conduttore gioco il ruolo di un proprietario di una bottega piena di elementi immaginari, valori, atteggiamenti, competenze ecc che possono essere scambiati con altri beni immateriali che il partecipante possiede o pensa di possedere. - Il buon ricordo: si propone di giocare un ricordo piacevole collegato alla propria esperienza passata ● messa in scena: della scena che avviene in acquario ovvero che gli attori recitano mentre gli altri osservano. Durante il gioco il formatore può intervenire con tecniche che arricchiscono l’esperienza, come: - la tecnica dell’a parte, in cui il protagonista esprime a parte ciò che prova - la tecnica del doppio, in cui un uso-ausiliare esprime, x conto dell’attore, ciò che questi sta provando in quel momento e che non riferisce mentre gioca - l’inversione dei ruoli, in cui il protagonista prende il ruolo dell’antagonista - la proiezione nel futuro, in cui il protagonista agisce immaginando di essere avanti nel tempo in situa nuove ● commento: al termine della recita attori e osservatori annotano le osservazioni personali, allo scopo di aprire la discussione di gruppo. Tutti sono invitati a intervenire. L’attore dovrà riferire quale fosse l’obiettivo che ha guidato la strategia comunicativa e le sensazioni provate, mentre gli osservatori riferiranno su quanto osservato dall’esterno. Il conduttore deve spiegare che divergenze di opinioni tra attori ed osservatori sono un fatto naturale utile per scambiare i punti di vista. In seguito al commento è possibile ripetere la simulazione per verificare l’applicabilità delle osservazioni emerse dalla prima simulazione. ● conclusioni: i commenti vengono portati a un livello di astrazione + generale, contestualizzandoli rispetto agli obiettivi didattici e sottolineando i comportamenti positivi e negativi e gli effetti che da questi ne sono derivati. ● cooling off: ha lo scopo di raffreddare l’esperienza, facendo uscire gli attori dal gioco e prendendo le distanze da ciò che è successo. I soggetti devono essere ricollocati nella realtà e non lasciati in uno stato di incertezza o con la sensazione di aver lasciato qualcosa in sospeso. In questo modo ogni problema irrisolto viene depositato e affrontato all’interno del setting. Il formatore deve invitare gli attori a domandarsi come si sentano a conclusione 67 dell’esperienza e se sia rimasto qualcosa in sospeso di cui vorrebbero parlare, formalizzandone la chiusura. ● debriefing: è lo spazio di riflessione sul gioco e può essere attuato attraverso una delle seguenti modalità: - riflessione e analisi sistematica, in cui i partecipanti vengono sollecitati a un processo sistematico di autoriflessione sull’esperienza - intensificazione e personalizzazione, in cui i partecipanti vengono sollecitati a rifocalizzare l’attenzione sulle loro esperienze individuali e sui significati sottostanti - generalizzazione e applicazione, in cui i partecipanti vengono sollecitati a riflettere sulla praticabilità a mutare l’esperienza individuale in altre esperienze Specialmente per i professionisti inesperti è utile possedere una check-list che permetta di monitorare il proprio lavoro attraverso delle domande: - Ho spiegato ai partecipanti gli obiettivi da raggiungere attraverso questa attività? - Ho scelto dei volontari quali attori? - Ho coinvolto? Progettazione Il lavoro di progettazione comprende la preparazione delle schede che guidano il formatore nella redazione dei copioni, nella messa in scena del role play e nella gestione delle osservazioni. La scheda progettuale generale deve contenere: - il titolo del role play; - gli obiettivi didattici; - le caratteristiche fondamentali della simulazione In particolare: ● Obiettivi: elementi di atteggiamento e comportamento che si prevede emergeranno dalla vicenda simulata e che dovranno essere osservati e poi analizzati nel setting formativo. Fungono da punti di riferimento per il progettista, poiché faciliteranno lo sviluppo dell’evento e la preparazione delle info per gli attori. ● Descrizione della vicenda simulata: viene presentata una descrizione sintetica della vicenda, partendo dalla trama (= successione di avvenimenti in un dato contesto) si costruiscono le istruzioni per gli attori attraverso alcune domande “dove accade” “quando accade” “a chi accade” ● Caratteristiche e compiti degli attori: vengono presentate le denominazioni dei ruoli agiti dagli attori distinguendo tra i ruoli principali e quelli secondari. Per ciascun ruolo è importante precisare caratteristiche personali, quali l’età, il genere ecc. E’ necessario definire i compiti assegnati i ruoli sulla base dei quali dovranno essere elaborate griglie operative, cioè le istruzioni, che sono composte d a due parti: lo scenario, che contiene le info sul contesto di sfondo della situa simulata, e le info che saranno consegnate ai singoli attori e che rappresentano il copione che può avere un differente grado di strutturazione relativamente al tipo di role play prescelto. Le info di scenario sono comuni a tutti gli attori, mentre ogni attore leggerà il proprio copione in modo riservate, per evitare che le modalità di azione siano concordate dagli attori prima di entrare in scena, falsando l’autenticità della rappresentazione. A seconda del grado di strutturazione del role play le istruzioni possono contenere un livello di dettaglio > o < circa gli aspetti comportamentali che si vogliono far emergere durante la Lo sviluppo delle TEL si sta legando sempre più alla diffusione dei dispositivi mobili (smartphone, tablet ecc.). Tali strumenti non solo stanno svincolando l’accesso alle risorse del web dai personal computer (rendendole di fatto accessibili in maniera ubiqua) ma sono in grado di ospitare tecnologie avanzate come molte delle soluzioni prima menzionate, candidandosi come “interfaccia privilegiata” dei processi di apprendimento. I serious game dal punto di vista didattico Dimensioni fondamentali Le dimensioni da tenere presenti rispetto all’utilizzo dei SG sono fondamentalmente quattro: 1. Gli utenti, ossia le caratteristiche degli individui in apprendimento; 2. Il contesto di riferimento, quello in cui è destinato a essere utilizzato lo strumento; 3. L’approccio educativo adottato, ovvero i modelli che dovrebbero stare alla base dell’apprendimento generato dal gioco. 4. L’ultimo elemento da considerare riguarda la rappresentazione del gioco, ovvero la forma che il gioco assume dal punto di vista grafico e concettuale. Mentre i primi tre elementi dello schema sono in realtà applicabili all’analisi di qualunque metodologia didattica, l’ultimo, la rappresentazione del gioco, costituisce un aspetto caratteristico dei SG. Questa dimensione può essere pensata a sua volta come composta da tre fattori fondamentali: la fedeltà, l’interattività e l’immersività.  La fedeltà riguarda il livello di realismo grafico del gioco ed è un elemento che sembra influenzare diversi fattori ed in linea generale sul processo di apprendimento.  L’interattività riguarda invece la capacità di un SG di fornire feedback rispetto alle azioni del giocatore. Un aspetto di particolare interesse in tal senso viene dal fatto che tali sistemi, garantendo maggiore realismo al gioco, sembrano capaci di suscitare risposte emotive da parte del giocatore e quindi di coinvolgerlo maggiormente nell’apprendimento.  Ultimo elemento chiave della rappresentatività riguarda la cosiddetta immersività, ovvero la capacità del gioco di attrarre l’attenzione del giocatore il più possibile le sue energie sul compito proposto. Dal punto di vista teorico il significato di “immersività” può essere riletto alla luce del concetto di “Flusso” (flow) elaborato da Csíkszentmihályi (1990) per descrivere quelle che l’autore definisce “esperienze ottimali”. Anche noto come trance agonistica, lo stato di flow caratterizza un individuo completamente assorto in un compito, focalizzato sull’obiettivo e intrinsecamente gratificato dalla sua stessa azione. Se le capacità di chi esegue il compito superano il livello di difficoltà di quest’ultimo, il risultato sarà una situazione di controllo, di relax o al limite di noia. Al contrario se la difficoltà del compito supera le capacità di chi lo esegue si produrrà attivazione, preoccupazione o ansia. Il canale dell’esperienza ottimale è appunto quello in cui difficoltà del compito e abilità di chi lo esegue restano in equilibrio. Il feedback formativo nei serious game L’elemento che maggiormente caratterizza i SG dal punto di vista formativo riguarda i feedback che sono in grado di fornire. Anche i SG devono tenere presenti tali dimensioni tuttavia, nel loro caso, i feedback devono necessariamente possedere una valenza formativa, ossia essere funzionali al raggiungimento di obiettivi di apprendimento. Esistono tuttavia delle linee guida che definiscono l’efficacia di un feedback formativo che vanno tenute presenti nella progettazione e nell’utilizzo dei SG. Il feedback di un SG può essere analizzato a tre differenti livelli: quello della forma, del tempo e del contenuto.  La forma di un feedback viene solitamente concepita in termini di specificità e complessità. Un feedback specifico è quello che offre informazioni su come migliorare una certa risposta piuttosto che indicare genericamente se tale risposta sia corretta o meno. 71 La complessità del feedback fa invece riferimento sia al livello di sintesi di quest’ultimo sia alla ricchezza delle informazioni che offre. Trattando di SG, una dimensione attribuibile alla forma che riteniamo particolarmente interessante è quella che scaturisce dalla distinzione tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita. La conoscenza tacita è un tipo di sapere che gli individui acquisiscono attraverso lo svolgimento di una certa esperienza, Al contrario, dunque, la conoscenza esplicita è quella dichiarata, ossia formalizzata in qualche modo per essere resa fruibile.  Una seconda dimensione che concorre a determinare l’efficacia del feedback è quella del tempo. Anche in questo caso i punti di vista sono diversi, tuttavia il concetto di flow sembra rappresentare un principio condiviso. In questo senso un feedback efficace dal punto di vista del tempo è quello che, riuscendo a fornire le informazioni che intende comunicare, non interrompe “l’esperienza ottimale” del giocatore. Come indicato dalla linea tratteggiata, maggiore è la complessità del feedback che si intende fornire e minore dovrà esser la sua frequenza.  Un modello che sembra più adeguato a descrivere i feedback dal punto di vista del contenuto è quello che distingue tra due categorie: valutazione ed elaborazione. Per valutazione intendiamo un giudizio circa la correttezza di una risposta in base a un criterio predefinito. Per elaborazione intendiamo invece la descrizione, la rappresentazione della risposta in base a un certo modello. All’interno di un SG la valutazione può assumere forme diverse, dalla semplice indicazione circa il raggiungimento (o meno) del risultato a forme più complesse che evidenziano quanto il risultato ottenuto risulti in linea con gli obiettivi. Valutazione ed elaborazione possono essere dosate per progettare il feedback più adeguato rispetto ai risultati che si intende raggiungere. È proprio l’unione di questi due elementi che rende un feedback realmente efficace. Un modo per bypassare tali difficoltà consiste nel far intervenire un facilitatore umano nel feedback, ma tale intervento rischia di annullare un importante valore aggiunto dei ovvero la possibilità di poter essere utilizzati come strumenti di learning. L’incremento della capacità di compiere elaborazioni di alto self livello in maniera indipendente dall’intervento umano è dunque un tema legato allo sviluppo della tecnologia e in particolare alla ricerca sull’intelligenza artificiale all’interno dei SG. Vantaggi dei serious game Descritta la natura e le principali caratteristiche dei SG cerchiamo ora di sintetizzare la loro specifica dal punto di vista educativo, ossia di focalizzare quelli che potremmo definire anche come vantaggi di questa metodologia.  Conoscenze/competenze: siano in grado di migliorare alcune funzioni come l’attenzione, la memoria e l’orientamento spaziale.  Motivazione: fattori quali l’interattività e l’immersività prima descritti rendono la motivazione all’apprendimento più robusta e costante.  Autoefficacia, sembra che attraverso le simulazioni virtuali sia possibile incrementar la capacità di automonitoraggio e di autoregolazione delle persone in dato contesto. Oltre alle opportunità riferite alla qualità dell’apprendimento generato ci sono poi altre caratteristiche che interessano soprattutto chi utilizza tali strumenti per progettare e realizzare attività formative. Anche qui è possibile individuare aspetti diversi:  Gestione della complessità;  Oggettività dei dati;  Individualità e socialità;  Trasversalità e innovatività; Serious game e paradigmi di apprendimento La grande flessibilità che caratterizza i SG, sia dal punto di vista progettuale che da quello applicativo, consente loro di supportare approcci educativi differenti. Non esiste dunque un paradigma di riferimento nell’utilizzo di tali strumenti ma è più corretto affermare che diversi modelli educativi possano essere ripensati alla luce delle potenzialità dei SG. Emerge quindi quella che viene chiamata trasversalità epistemologica dei sg:  Associazionismo, imparare significa sostanzialmente acquisire contenuti attraverso processi di rinforzo positivo o negativo. Secondo questa prospettiva insegnare un’abilità significa scomporla in comportamenti semplici che vengono man mano memorizzati attraverso la somministrazione di premi e punizioni.  Modelli gestaltici, secondo questo approccio l’apprendimento non è pensabile come semplice aggiunta di risposte a contenuti preesistenti. La psicologia della gestalt sottolinea l’importanza della sintesi, della capacità di dare un senso complessivo alle cose su cui si basa la comprensione alla realtà.  Modelli esperienziali, rientrano diverse interpretazioni dell’apprendimento che mettono in primo piano il ruolo dell’esperienza diretta rispetto alla creazione della conoscenza. Apprendere significa quindi agire in un certo contesto, riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni, generare concetti e modelli sulla realtà che poi vengono usati per sperimentare nuove risposte.  Modelli cognitivisti, Secondo il cognitivismo apprendere significa costruire schemi, modelli mentali della realtà. In maniera analoga a quanto avviene nei computer tali schemi presiedono l’elaborazione delle informazioni provenienti dall’esterno e determinano le risposte che vengono poi fornite. In altre parole consentono di fare analisi e sintesi e di prendere decisioni. Le ultime riflessioni nate in seno al cognitivismo valorizzano le influenze sociali nella costruzione di tali schemi che tuttavia restano centrali nella spiegazione dei comportamenti. Fedeltà, interattività e immersività possono fare in modo che i SG vengano vissuti come esperienze ricche e coinvolgenti. La possibilità dei SG di offrire feedback articolati e oggettivi rispetto ai modelli di ragionamento utilizzati per affrontare il gioco evidenzia infine le loro potenzialità all’interno del modello cognitivista. Attraverso un SG è possibile cioè simulare un problema e cercare di capire quali schemi di analisi vengono utilizzati per risolverlo. Sebbene l’uso dei SG non chiami necessariamente in causa un particolare paradigma di apprendimento, esiste un approccio che sembra oggi cogliere più di altri le specificità e le potenzialità formative di tali strumenti. Il costruttivismo non è identificabile come una teoria unitaria e coerente ma piuttosto come un insieme di riflessioni e contributi, che hanno preso corpo nei primi anni ’80, rintracciabili in ambiti differenti: antropologia, linguistica, matematica. Esiste quindi una frattura epistemologica fra cognitivismo e costruttivismo che aiuta a inquadrare meglio le priorità educative che quest’ultima impostazione pone in risalto.  Creazione e non riproduzione: il costruttivismo parte dal presupposto che la conoscenza venga creata dalla mente piuttosto che riprodotta a partire dalla realtà esterna. Gli individui sono visti come costruttori di realtà.  Interattività e azione: per consentire all’individuo di creare le proprie categorie è comunque necessario promuovere attività che lo portino a interagire attivamente con l’ambiente, a sperimentarsi nel confronto e nella costruzione;  Molteplicità e complessità: legare la creazione della conoscenza ai diversi soggetti significa ammettere una molteplicità di rappresentazioni e quindi un’immagine complessa, multiforme e articolata della realtà.  Collaborazione e condivisone, non dovendo più essere conforme alla realtà, la conoscenza valida è quella che viene negoziata e accetta, ovvero che nasce da processi di collaborazione e condivisione fra persone impegnate in un certo percorso di conoscenza. Un esempio di serious game: PalMA (guardare il libro)
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