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Riassunto Il Gattopardo, Appunti di Letteratura Italiana

Riassunto per tematiche , personaggi e trama. Preciso.

Tipologia: Appunti

2019/2020
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Caricato il 17/06/2020

maracaibo81
maracaibo81 🇮🇹

4.4

(41)

24 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Il Gattopardo e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! IL GATTOPARDO ‘SE VOGLIAMO CHE TUTTO RIMANGA COM’È, BISOGNA CHE TUTTO CAMBI’ Il Gattopardo è un romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che narra le trasformazioni avvenute nella vita e nella società in Sicilia durante il Risorgimento, dal momento del trapasso del regime borbonico alla transizione unitaria del Regno d'Italia, seguita alla spedizione dei Mille di Garibaldi. Dopo i rifiuti delle principali case editrici italiane (Mondadori, Einaudi, Longanesi), l'opera fu pubblicata postuma da Feltrinelli nel 1958, un anno dopo la morte dell'autore, vincendo il Premio Strega nel 1959,[1] e diventando uno dei best-seller del secondo dopoguerra; è considerato uno tra i più grandi romanzi di tutta la letteratura italiana e mondiale. Romanzo storico, romanzo sulla decadenza della nobiltà, e sulla morte, raccontato da un nobile. È anche un romanzo che medita sulla storia d’Italia, ma anche, criticamente, sulla storia del suo popolo (siciliano). Il cuore del romanzo è la fine di un’epoca, quella Borbonica, dove l’aristocrazia pian piano cede il posto e viene surclassata dalla borghesia, ricca, ambiziosa. Medita in modo critico sul popolo siciliano, pigro e sonnolento, una sonnolenza atavica, rassegnazione sotto il sole della Sicilia. La modernizzazione che sembra dover arrivare con l’annessione al Regno d’Italia, fallisce, perché i siciliani non ne sono troppo coinvolti e ne restano quindi estranei. Si parla quindi della questione meridionale: Tomasi di Lampedusa si interrogava a riguardo e dava la sua versione: popolo siciliano è pigro, sonnolento… Il plebiscito con il quale si decise di annettere la Sicilia al Regno d’Italia, in verità fu un broglio. Pochi erano i Siciliani che volevano questa annessione. Era favorevole la borghesia, classe sociale giovane e ambiziosa, che voleva qualcosa di più, voleva surclassare la nobiltà, e lo faceva anche grazie a matrimoni (borghesia aveva soldi e ricchezze, che i nobili siciliani non avevano più). Sullo sfondo c’è sempre la morte, è il leit Motiv del romanzo: la morte del soldato all’inizio del libro, la morte del Principe Salina, la morte di Tancredi, infine la morte di Bendicò (il cane). la vicenda si svolge in Sicilia nel 1860, all’epoca del tramonto borbonico. È di scena una famiglia della più alta aristocrazia siciliana, colta nel delicato momento del trapasso del regime. Il romanzo è centrato sul principe Don Fabrizio Salina della prestigiosa casata del Gattopardo che si trova ad affrontare i pesanti cambiamenti della società di allora. Il Gattopardo è l’animale simbolo sullo stemma dei Salina, ma individua anche il carattere del Principe Fabrizio, felino, elegante, maestoso, grande, veloce, intelligente. I LUOGHI DEL GATTOPARDO Palermo, dove il Principe vive con la famiglia. Donnafugata, dove il Principe ha la sua residenza estiva. Il Sindaco del Comune è Sedara, il padre di Angelica. TEMPI DEL GATTOPARDO Il romanzo è diviso in più parti, tra il 1860 e il 1910: Prima parte: maggio 1860, arrivo dei garibaldini in Sicilia. Seconda parte: agosto 1860, arrivo dei Salina a Donnafugata, Tancredi e Angelica si innamorano. Terza parte: ottobre 1860, Tancredi chiede allo zio di intercedere per lui con Sedara, per avere la mano di Angelica. Plebiscito falsato (Ciccio Tumeo ha votato no al plebiscito quindi voti falsati). Quarta parte: novembre 1860, racconta la vita da innamorati di Tancredi e Angelica, Chevalley arriva a Donnafugata. Quinta parte: parte incentrata su Padre Pirrone che torna a casa sua per l’anniversario della morte del padre e risolve una situazione difficile e imbarazzante che riguarda la sua famiglia, riportando la pace nella famiglia. Sesta parte: i Salina e i Sedara vanno al ballo della famiglia Ponteleone; Angelica fa il suo ingresso nell’alta società. Il principe si sente escluso dalla festa, critica i suoi amici, invecchiati, si sente egli stesso vecchio, finché Angelica non gli chiede di ballare. Settima parte: Don Fabrizio muore mentre è in una squallida camera di albergo, mentre stava andando a curarsi e mentre muore capisce di essere l’ultimo dei Salina, perché ormai Tancredi fa parte di un altro mondo, è un borghese. Ottava parte: una commissione vescovile va a casa delle donne Salina e attesta l’inaudicità delle reliquie delle tre sorelle rimaste zitelle. Concetta capisce di essere rimasta sola per causa sua e non degli altri, perché Tancredi la aveva amata fino a quando lei non lo aveva fatto allontanare. Infine, butta nella spazzatura il corpo impagliato di Bendicò, perché le ricorda ciò che ha perso nella sua vita. 1860: inizio, con lo sbarco dei garibaldini; 1862 quando Tancredi si sposa; 1883 quando il principe di Salina muore; 1910: il cinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia. PERSONAGGI: PRINCIPE FABRIZIO CORBERA DI SALINA È l’unico e vero protagonista del libro. Aristocratico coltissimo, è un uomo dall’apparenza molto autoritario, ma in realtà molto comprensivo ed intelligente. Fisicamente imponente ("Non che fosse grasso: era soltanto immenso e fortissimo; la sua testa sfiorava (nelle case dei comuni mortali) il rosone inferiore dei lampadari; le sue dita sapevano accartocciare come carta velina le monete di un ducato; e fra villa Salina e la bottega di un orefice era un continuo andirivieni per la riparazione di forchette e cucchiaini che la sua contenuta ira, a tavola, gli faceva spesso piegare in cerchio. Quelle dita, d’altronde, sapevano anche essere di tocco delicatissimo nel carezzare e maneggiare, e di ciò si ricordava a proprio danno Maria Stella, la moglie; e le viti, le ghiere, i bottoni smerigliati dei telescopi, cannocchiali e "ricercatori di comete" che lassù, in cima alla villa, affollavano il suo osservatorio privato, si mantenevano intatti sotto lo sfioramento leggero"), di carnagione chiara ("accendevano il colorito roseo") con occhi azzurri e capelli biondi ("il pelame color di miele") a causa dell’origine tedesca della madre ("Ma nel sangue di lui fermevano altre essenze germaniche ben più incomode per quel aristocratico siciliano, nell’anno 1860, di quanto potessero essere attraenti la pelle bianchissima e i capelli biondi"), è un grande appassionato di astronomia e matematica ("orgoglio e analisi matematica si erano a tal punto associati da dargli l’illusione che gli astri obbedissero ai suoi calcoli"), le uniche cose in grado di tranquillizzarlo e dargli conforto forse perché riescono ad isolarlo dall’inquieto mondo esterno (dice delle stelle: "Felicemente incomprensibili, incapaci di produrre angoscia" ). È sposato con Maria Stella dalla quale ha avuto sette figli: quattro maschi e tre femmine. È un feudatario e un grande proprietario terriero siciliano, fedele vassallo del re di Napoli, ma non di quello di adesso, bensì del suo predecessore ("Il Re, va bene. Lo conosceva bene, il Re, almeno quello morto da poco; l’attuale non era che un seminarista vestito da generale. E davvero non valeva molto."). È convinto che alla nobiltà siano assegnati alti compiti e doveri, anche se questa si deve dimostrare benevola verso la servitù e la povera gente. Lo sbarco di Garibaldi gli fa capire che la storia ha preso un cammino diverso: di qui la sua continua inquietudine, anche se il nipote Tancredi cerca di fargli capire che la rivoluzione va appoggiata va appoggiata dall’aristocrazia perché tutto ritorni poi come prima. Spina segreta di don Fabrizio è ritenere che quella di Garibaldi non è altro che una rivoluzione - commedia, in cui i contadini continueranno a zappare la terra come prima e i servi a servire, mentre dal tumulto degli avvenimenti uscirà una nuova classe sociale armata di denti e artigli; perciò si sente solo pur in mezzo agli aristocratici, ma è deciso a mostrarsi degno "gattopardo". Il principe perciò asseconda il nipote in questa sua scelta politica così come quando questi decide di sposare Angelica. Nei confronti dei processi storici in atto conserva sempre il suo sguardo distaccato, con il tipico atteggiamento di un aristocratico che osserva faccende che interessano il popolo, ma nella sua vitalità ancora vigorosa sente già oscuri presagi di morte. Il Principe Salina viene presentato come un uomo grande e forte; nel testo l'autore dice di lui che poteva tranquillamente stritolare le monete con le sue stesse mani, che però potevano anche essere delicatissime per maneggiare i suoi delicatissimi telescopi. Nel Principe si nota l'origine tedesca della madre dalla sua carnagione chiara e dal colore biondo dei suoi capelli. È sposato con Maria Stella dalla quale ha avuto sette li (quattro maschi e tre femmine) e che ha frequentemente tradito con donne più giovani, dalle quali otteneva la carnalità che la moglie non era in grado di offrirgli, perché troppo legata alla religione. La vita sua e quella della sua numerosa famiglia scorrono monotone e tranquille: per i familiari il Principe prova persino un lieve sentimento di disprezzo per la loro piattezza morale, con la sola eccezione di Tancredi, il nipote, preferito allo stesso primogenito Paolo per vivacità, imprevedibilità e prontezza di spirito: un vero, giovane Gattopardo, così com'era stato lui in passato. TANCREDI FALCONIERI È il nipote di don Fabrizio, della casata nobiliare decaduta dei Falconieri. Suo padre e sua madre sono morti e le sostanze della famiglia sono state prosciugate dal padre scialacquatore prima della sua morte. Il principe è il tutore del nipote e lo sente come un figlio, quel figlio che non ha mai avuto. Tra i due c’è un rapporto di estrema fiducia e amicizia che assomiglia proprio a quello che c’è tra un padre e un figlio. Lucido e spregiudicato, invece di difendere il regno borbonico, come sarebbe proprio di un aristocratico, preferisce unirsi ai garibaldini, avendo capito che, se si vuole che tutto rimanga com’è, occorre che tutto cambi. Il passaggio al nuovo regno d’Italia sarà quindi solo un amico di Tancredi, va a Donnafugata con lui, conosce Concetta, ne è interessato, la corteggia ma lei non lo considera. DON CICCIO TUMEO È fra le autorità che accolgono la famiglia Salina all'ingresso del paese. Vi è senza alcun diritto, ma vi è andato ugualmente quale amico e compagno di caccia di Don Fabrizio. Durante una di queste battute di caccia il principe gli richiede come abbia votato per il Plebiscito. La domanda lo coglie di sorpresa, ma dopo un momento di smarrimento con astuzia paesana fa notare che la richiesta è inutile, poiché a Donnafugata tutti hanno votato "sì", come hanno dimostrato i risultati delle votazioni. Dopo le nuove insistenze di Don Fabrizio, egli ammette di aver votato "no" per un debito di riconoscenza. Infatti, era stata la Regina Isabella, la spagnola, duchessa di Calabria, a farlo studiare e negli anni di maggior bisogno quando la madre chiedeva aiuto al Re, riceveva sempre cinque onze. Però qualcuno ha trasformato il suo "no" in un "sì": "Ero un fedele suddito, sono diventato un borbonico schifoso". Il principe, nell'intimo della sua coscienza, è costretto ad ammettere che don Ciccio Tumeo si è comportato più signorilmente di lui, provando per la prima volta una specie di ammirazione per l'amico. Una seconda volta don Ciccio viene sorpreso da una domanda a bruciapelo di Salina: che cosa si pensa di don Calogero Sedara a Donnafugata? Dopo aver riferito alcune notizie anche sulla moglie e la figlia del sindaco, per primo viene a conoscenza dell'imminente matrimonio di Tancredi con Angelica Sedara. Istintivamente questa volta manifesta la propria disapprovazione: "Questa, Eccellenza, è una porcheria! Un nipote, quasi un figlio vostro non doveva sposare la figlia di quelli che sono i vostri nemici e che sempre vi hanno tirato i piedi. Cercare di sedurla, come credevo io, era un atto di conquista; così, è una resa senza condizioni. È la fine dei Falconeri, e anche dei Salina" (pag.147). Tumeo subito si pente della propria schiettezza e angosciato desidererebbe che la terra si aprisse sotto i suoi piedi. La confidenza ricevuta ha però un prezzo da pagare: al ritorno dalla caccia, per impedirgli di rivelare la notizia del matrimonio di Tancredi, don Ciccio viene rinchiuso a chiave nella stanza dei fucili, fino al termine della visita di don Calogero. Tumeo va di nuovo a caccia col principe il mattino della partenza di Chevalley da Donnafugata. Assieme accompagnano l'inviato alla stazione di posta e don Ciccio " portava sulle spalle il doppio peso dei due fucili, il suo e quello di don Fabrizio, e dentro di sé la bile delle proprie virtù conculcate ONOFRIO ROTOLO: amministratore del palazzo di Donna Fugata. Uomo piccolo piccolo con una lunga barba bianca. Unico amministratore che non era un ladro. Uomo fedele, scrupoloso e onesto. Aspetta i Corbera davanti al palazzo e non in piazza come tutti, per consegnare le chiavi e la villa al principe. Dopo ispezione della casa parla al Principe dello stato degli affreschi e della villa e proprietà e poi racconta del Sindaco, che ormai ha possedimenti quanto il principe e la sua ascesa e il potere che ora ha. Il principe ha l’ossessione per l’immutabilità delle cose e Onofrio Rotolo è perfetto in questo. BASTIANA SEDARA: Mamma di Angelica, moglie di Calogero, bellissima donna ma cattiva madre e donna che non può vivere in società. MARIANNINA: Amante del principe, vive a Palermo. Il principe apprezza la sua spontaneità. FIGLI DEL PRINCIPE: Concetta, Caterina, Carolina, Paolo (primogenito, Duca di Querceta), Francesco Paolo, Giovanni (vive a Londra) e un altro maschio RAPPORTO FABULA – INTRECCIO : Nel romanzo prevale la fabula anche se a volte vi sono dei flash – back soprattutto nella parte terminale del racconto. Negli ultimi moduli Don Fabrizio prima e Concetta poi ripensano alla loro giovinezza narrandone alcuni episodi. NARRATORE E FOCALIZZAZIONE : Tomasi di Lampedusa è un narratore onnisciente (focalizzazione zero), che conosce in partenza il reale svolgimento dei fatti. Anche se egli a volte si limita a riportare semplicemente i fatti, spesso si trovano riferimenti ad avvenimenti futuri, come le anticipazioni su Angelica e Don Fabrizio. STILE E FIGURE RETORICHE Il romanzo è scritto in un registro medio – alto, che si adatta alle caratteristiche e alla posizione sociale dei personaggi. L’autore inoltre fa uso di digressioni, sommari ed ellissi infatti vi sono molti “salti temporali” anche di diversi anni. È una scrittura ricca, gradevole. Ci sono numerose figure retoriche quali similitudini, metafore e personificazioni presenti soprattutto nelle descrizioni di Don Fabrizio e della Sicilia. (es. quando il principe parla a Sedara per il matrimonio di Tancredi e Angelica, dice che doveva inghiottire un rospo… dopo aver parlato, il rospo era stato ingoiato, testa e intestini maciullati. Il principe le usa spesso, anche nel linguaggio comune. Ci sono poi molte descrizioni per immagini, come ad esempio per Angelica. Le figure retoriche servono ad arricchire la scrittura, è una delle figure che porta più diletto. Riferimenti biblici: Maddalena, penitente e bella biondona. OPERA D’ARTE CITATA NEL ROMANZO Proprio l’idea della morte è al centro dell’ekphrasis forse più nota e rilevante dell’intero romanzo; Don Fabrizio si è appartato nello studio di palazzo Ponteleone per qualche minuto di tregua dalla confusione e dal frastuono della festa: Si mise a guardare un quadro che gli stava di fronte: era una buona copia della “Morte del giusto” di Greuze. Il vegliardo stava spirando nel suo letto, fra sbuffi di biancheria pulitissima, circondato dai nipoti afflitti e da nipotine che levavano le braccia verso il soffitto. Le ragazze erano carine, procaci, il disordine delle loro vesti suggeriva più il libertinaggio che il dolore; si capiva subito che erano loro il vero soggetto del quadro. […] Subito dopo chiese a sé stesso se la propria morte sarebbe stata simile a quella: probabilmente sì, a parte che la biancheria sarebbe stata meno impeccabile (lui lo sapeva, le lenzuola degli agonizzanti sono sempre sudice, ci sono le bave, le deiezioni, le macchie di medicine…) e che era da sperare che Concetta, Carolina e le altre sarebbero state più decentemente vestite. Ma, in complesso, lo stesso. Il quadro racconta esplicitamente del Principe e della sua stessa morte (e indirettamente della sorte della stessa Concetta), anticipando in modo quasi premonitorio il contenuto delle parti restanti del romanzo: le pitture sono dunque chiaramente portatrici di verità, canali privilegiati per accedere ad essa, in modo diretto (come in questo caso), così come talora per allusioni e metafore. Jean-Baptiste Greuze, Le fils puni, olio su tela, 1778 (Appena fuori da palazzo Ponteleone la stessa immagine della morte, suggeritagli dalla copia del quadro di Greuze, viene ad essere riproposta dalla visione di un carro che porta un carico di buoi uccisi al macello,[43] circostanza anch’essa preannunciata durante il ballo, allorché il Principe paragona, in una delle tante similitudini tratte dal mondo animale, le donne-bertucce al bestiame che nottetempo è condotto al macello per le vie della città. Le bertucce, affacciatesi da subito nel romanzo attraverso gli affreschi della villa, svelano apertamente in questa parte finale della vicenda narrata come in fondo i loro sberleffi impudenti non fossero altro che una forma di ironica demistificazione delle illusioni di coloro che si credevano eterni, e quindi un implicito presagio di morte: di loro si ricorda non a caso Don Fabrizio morente, che tra le cose care ripensa «ai quadri dei feudi, alle bertucce del parato», gli uni e le altre espressioni pittoriche a diverso titolo mortifere, e ormai consapevolmente catalogate come tali dal Principe («queste tele ricoperte di terre e di succhi d’erba che erano tenute in vita da lui, che fra poco sarebbero piombate, incolpevoli, in un limbo fatto di abbandono e di oblio»).[44] Il Principe sa che quelle «povere cose» finiranno con lui, e che, per quelli che verranno dopo, esse non avranno lo stesso valore e lo stesso significato; non lo avranno gli arazzi, non lo avranno i quadri dei feudi, non lo avrà la fontana di Anfitrite che un destino tragicamente prosaico travolgerà presto,[45] ed è assai indicativo che questa distruzione imminente di tali testimoni iconografici di un intero modo di essere venga alla fine apertamente ricondotta ad una logica che con le immagini degli affreschi ha sempre a che fare: IASSUNTO La vicenda narrata nel libro "Il Gattopardo", scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel 1956, si svolge nella seconda metà dell’Ottocento e più precisamente dal maggio 1860 al maggio 1910 e narra la vicenda di una famiglia aristocratica siciliana in decadenza all’avvento di Garibaldi e dell’unione dell’Italia. Il libro è maggiormente narrativo, ricco di piccoli avvenimenti, e lascia poco spazio alla descrizione; descrive soprattutto le persone e la natura, che è quella siciliana: a parte le strade malandate, tutto il resto è stupendo: gli alberi, i paesini di case bianche colorate dal sole, lo stesso sole che asciuga i fiumi a ricordo delle quali restano solo i ponti sospesi. L’autore si esprime in terza persona ed è esterno alla vicenda, anzi postumo perché spesso fa confronti fra la realtà sua contemporanea e quella del romanzo; nonostante ciò, conosce il pensiero del protagonista: il principe Fabrizio Salina, ovvero il Gattopardo (che in realtà è soltanto il simbolo del casato ma potrebbe anche essere l’espressione della personalità del principe). Grande proprietario terriero siciliano, era un uomo all’apparenza molto autoritario, ma in realtà molto comprensivo ed intelligente. Fisicamente imponente, con occhi azzurri e capelli biondi a causa dell’origine tedesca della madre, era un grande appassionato di astronomia e matematica, le uniche cose in grado di tranquillizzarlo forse perché lo isolavano dal mondo esterno. Era sposato con Maria Stella, donna molto legata alla religione e spesso colpita da crisi isteriche. Da lei aveva avuto sette figli: quattro maschi e tre femmine. Il primogenito, Paolo, era un inetto, pronto a far capricci se gli mancavano le sue galoppate con i cavalli e geloso delle attenzioni che il padre rivolgeva al cugino Tancredi, il padre lo manda a vivere a Palermo durante arrivo dei garibaldini per non lasciare case vuote alla loro mercé. Prima di lui, già un altro figlio aveva lasciato la casa: Giovanni, il secondogenito, il più amato, il più scontroso, che all’inizio del libro già da due anni era scomparso e da una sua lettera si avevano notizie che era andato a lavorare come operaio a Londra. La figlia più amata era Concetta, in cui il principe vedeva l’impronta fisica e caratteriale dei Salina e perciò anche sua: l’acutezza e la testardaggine, la raffinatezza e la classe aristocratica. La vicenda comincia a Villa Salina presso Palermo, pochi giorni prima dello sbarco di Garibaldi in Sicilia. Il giorno narrato si apre e si conclude con la scena della recitazione del rosario, momento molto importante in cui tutta la famiglia si riuniva e per mezz’ora recitava le preghiere in una stanza in cui era impedito l’accesso a Bendicò, che è il cane di casa e a cui sono molto affezionati il principe, perché riusciva a infondergli buonumore, e Concetta, che alla sua morte lo imbalsamerà. Altro solenne momento era la cena, dove, nelle posate d’argento personalmente donate dal re Ferdinando e nei piatti, provenienti da vari servizi e perciò di diverse forme e colore, si può notare un antico sfarzo. Il principe dopo cena tradisce la moglie: scende a Palermo e va con una prostituta. Padre Pirrone, che era il prete di casa Salina, sapeva di queste scappatelle del principe e lo rimprovera di questa. Il prete, di origini rustiche perché proveniente da un paese della campagna palermitana, aveva due sorelle, ed era molto colto ed acuto, tanto che ritornando una volta al suo paese era riuscito a risolvere una lite causata da un possedimento tra famiglie sue parenti che durava da anni. La mattina fece la sua comparsa all'abitazione del Gattopardo, il suo tanto amato nipote Tancredi Falconieri. Egli era un bel giovane, noto soprattutto per le sue frequentazioni poco raccomandabili, ma era in ogni modo il pupillo di Don Fabrizio, che lo adorava forse anche più dei suoi figli. Era venuto a salutare la famiglia e a comunicare allo zione, così affettuosamente lo chiamava, che sarebbe andato a lottare, insieme a numerosi contadini, per la liberazione della Sicilia dai Borboni. Questa cosa inizialmente al principe non faceva certamente piacere, in quanto era sempre stato un leale feudatario e servitore dei Borboni, ma poi ripensandoci ritenne che non fosse una cosa malvagia che il nipote si impegnasse politicamente e chiese solamente che nella guerra non venissero toccate le sue proprietà. Il principe riteneva che l'unico modo per non cambiare le cose fosse quello di modificarle e quindi pensava che tutto sarebbe rimasto uguale: ognuno avrebbe continuato a fare il suo mestiere alla stessa maniera, solo sarebbe nata una nuova classe sociale che sarebbe diventata sempre più ricca e influente. Dopo questo momento la vicenda si sposta nella residenza stiva dei Salina, presso il feudo di Donnafugata, il preferito dal principe per il bellissimo palazzo e per la riverenza che gli riservavano gli abitanti del posto. Dopo uno spossante viaggio in carrozza di tre giorni, il principe con la famiglia e Tancredi, tornato dalla vittoriosa lotta per la liberazione d’Italia, ricevono una calorosa accoglienza. Il principe riceve però due scioccanti notizie: la prima che un borghese del posto aveva accumulato ricchezze pari alle sue: Don Calogero Sedàra, un esponente della nuova classe emergente; la seconda che Concetta era innamorata di Tancredi. Il padre non si rivelò assolutamente entusiasta, convinto che la figlia fosse troppo timida e riservata per diventare la compagna di un uomo così impegnato politicamente, come lo era suo nipote. Durante una cena che si tenne la sera fece la sua comparsa la figlia di Don Calogero, che stupì tutti non solo per la bellezza ma anche per la
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