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Riassunto Il Gattopardo film, Sintesi del corso di Storia E Critica Del Cinema

Riassunto del film Il Gattopardo per la materia Storia e Cinema

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 14/02/2022

Giodandre
Giodandre 🇮🇹

4.1

(6)

9 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Il Gattopardo film e più Sintesi del corso in PDF di Storia E Critica Del Cinema solo su Docsity! IL GATTOPARDO: DAL ROMANZO DI TOMASI DI LAMPEDUSA AL FILM DI VISCONTI SOMMARIO IL ROMANZO • Genesi, breve riassunto e definizione del genere • I personaggi • I luoghi • Il punto di vista del narratore IL FILM • La realizzazione e i protagonisti • Breve riassunto • Il punto di vista del regista IL ROMANZO E IL FILM • Somiglianze e differenze: - i contenuti - il capitolo I e la sua trasposizione cinematografica - il tempo del romanzo e il tempo del film - la resa del tema principale: il presentimento della morte IL ROMANZO Genesi, breve riassunto e definizione del genere Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896 - 1957), scritto in pochi mesi tra il giugno 1955 e il 1956 (un tempo breve, considerata l’ampiezza, ma certamente a seguito di una lunga meditazione interiore, confermata dalla testimonianza della vedova, secondo la quale il marito aveva già manifestato l’intenzione di comporre qualcosa diciotto anni prima di iniziare la stesura del Gattopardo!), fu proposto dall’autore alla Casa Editrice Einaudi, e per conto di questa rifiutato da Elio Vittorini. Fu invece pubblicato, nel 1958, per Feltrinelli, a cura di Giorgio Bassani: esso divenne un vero e proprio caso editoriale, perché ebbe un clamoroso successo di vendite (più di un milione di copie solo in Italia in pochi anni e ben quindici traduzioni all’estero) e di critica, che Tomasi però non conobbe, perché morì un anno prima della pubblicazione. Il romanzo, strutturato in otto capitoli (o "parti", come riporta il manoscritto), ciascuno dei quali introdotto da una breve didascalia riassuntiva, racconta una vicenda, ambientata in Sicilia, che comincia nel 1860 e che ha per protagonista il principe Fabrizio Corbera di Salina. La storia si sviluppa sullo sfondo dell'impresa dei Mille, momento cruciale del Risorgimento, di cui si mettono in evidenza i limiti: essa, infatti, determinò l'unità d'Italia, ma non realizzò una radicale trasformazione della struttura economica e sociale del Paese, anche perché in Sicilia il trasformismo della classe dirigente favorì l'immobilismo, dal momento che i nuovi potenti (la borghesia), che avevano deposto i vecchi (l’aristocrazia), non avevano alcuna intenzione né di migliorare né di cambiare la società, ma solo di impedire che i loro privilegi potessero essere toccati.Nel maggio 1860, dunque, dopo lo sbarco dei garibaldini in Sicilia, Don Fabrizio, principe di Salina, un aristocratico di antica nobiltà molto colto (è dedito agli studi di astronomia), assiste con distacco e con malinconia alla fine del suo ceto, perché ha compreso che la supremazia degli aristocratici è ormai inevitabilmente avviata ad un inesorabile declino, dal momento che gli amministratori e i mezzadri approfittano della nuova situazione politica per tentare la scalata al potere. Infatti quando, come tutti gli anni, il principe si reca con la famiglia nella residenza estiva di Donnafugata, scopre che il nuovo sindaco del paese è Don Calogero Sedara, un borghese arricchito di umili origini che ha fatto carriera in campo politico: è proprio lui il simbolo della nuova classe dirigente che prende il posto della vecchia aristocrazia. Altrettanto significativo è l’arrivo a Donnafugata di un funzionario piemontese, Aimone Chevalley di Monterzuolo, che offre a Don Fabrizio la nomina a senatore del nuovo Regno, nomina che il principe rifiuta sentendosi legato al "mondo vecchio" e immobile della sua Sicilia e non credendo nella possibilità di un progresso storico. Il prediletto nipote Tancredi, invece, un giovane esuberante ed entusiasta, aperto alle idee liberali, non la pensa così: egli, che in precedenza aveva corteggiato Concetta, la figlia maggiore del principe, rivolge ora le sue attenzioni ad Angelica, figlia di Don Calogero, che sposa, attratto non solo dalla sua vistosa bellezza, ma anche dal suo notevole patrimonio. La vita del principe continua sempre più monotona e sconsolata: la morte lo coglie in un’anonima stanza di albergo nel 1883, di ritorno da un viaggio a Napoli, intrapreso per sottoporsi a delle visite mediche. Nella sua casa resteranno, infelici custodi di inutili memorie, le tre figlie nubili, incattivite da un’esistenza chiusa e solitaria. Il Gattopardo è un testo troppo introspettivo - psicologico per essere considerato semplicemente un romanzo storico, ma troppo documentato sull'epoca dei fatti per essere ritenuto solo un romanzo psicologico. Lo stesso Tomasi in alcune lettere ad un amico, Guido Lajolo, si poneva il problema del genere della sua opera. Nella lettera del 31 marzo 1956 l’autore sottolinea che il suo romanzo “è di argomento storico: senza rivelare nulla di sensazionale cerca di indagare le reazioni sentimentali e politiche di un nobiluomo siciliano alla spedizione dei Mille e alla caduta del regno borbonico. Il protagonista è il Principe di Salina, tenue travestimento del principe di Lampedusa mio bisnonno. E gli amici che lo hanno letto dicono che il Principe di Salina rassomiglia maledettamente a me stesso. Ne sono lusingato perché è un simpaticone. Tutto il libro è ironico, amaro e non privo di cattiveria. Bisogna leggerlo con grande attenzione perché ogni parola è pesata ed ogni episodio ha un senso nascosto. Tutti ne escono male: il Principe e il suo intraprendente nipote, i borbonici e i liberali, e soprattutto la Sicilia del 1860.” E ancora, nella lettera del 2 gennaio 1957: “Non vorrei però che tu credessi che fosse un romanzo storico! Non si vedono né Garibaldi né altri: l'ambiente solo è del 1860; il protagonista, Don Fabrizio, esprime completamente le mie idee, e Tancredi, suo nipote, è Giò [il figlio adottivo di Tomasi]”. Insomma, all'interno del romanzo scorrono insieme tempo storico e tempo dell’esistenza di un uomo: se la componente storica non deve essere sottovalutata, la ricostruzione delle vicende della famiglia Salina nel contesto degli anni che vanno dal 1860 al 1910 non rappresenta però certamente il fine dell'opera. Il romanzo, infatti, concede poco all'oggettivismo documentario e naturalistico, perché prevalgono la ricostruzione familiare e autobiografica, la ricerca psicologica, i valori simbolici, quasi sempre legati alla figura del protagonista, col quale il narratore instaura un rapporto di identificazione, che induce a considerare il Gattopardo un romanzo storico sui generis, già pronto ad inaugurare la narrativa psicologica moderna. I personaggi Il personaggio attorno al quale ruota la storia del romanzo é Don Fabrizio. Egli è un quarantacinquenne molto alto, dalla pelle bianchissima, gli occhi chiari e i capelli biondi, caratteristiche dovute alle sue origini tedesche. E' un uomo molto forte: nel primo capitolo ci viene detto che le sue dita sanno accartocciare come carta velina le monete da un ducato e che le posate necessitano frequentemente di riparazioni a causa della sua ira trattenuta, che gli fa piegare forchette e cucchiai. Le sue dita, però, sanno anche accarezzare, perché Don Fabrizio non è né cattivo né crudele, ma orgoglioso, autoritario e rigido nella morale, tutti comportamenti in antitesi con quelli della società in cui vive, che pecca di scarsa coerenza morale sia nelle nuove componenti (la borghesia arrivista che cerca il successo con ogni mezzo) sia nelle vecchie (la classe aristocratica palermitana, che non ha la stessa coerenza e onestà morale e intellettuale del principe). Non solo: Don Fabrizio è dotato, a differenza di molti nobili, di un’ottima cultura e ha una spiccata propensione per le scienze matematiche, che applica all'astronomia traendone prestigiosi riconoscimenti pubblici. L'astronomia è molto importante per il principe perché riesce non solo a distoglierlo dalle occupazioni quotidiane, ma anche ad elevare il suo spirito ad una visione rasserenante dell'universo, facendogli dimenticare gli aspetti più meschini della vita e le preoccupazioni per la rovina del suo ceto, che egli osserva con rassegnazione. La consapevolezza dell’inevitabile e ormai avviata dissoluzione del suo mondo lo rende infatti scettico, di uno scetticismo che si manifesta in un gusto dissacratore delle cose, capace però anche di compassione: "il suo disgusto” dice il narratore “cedeva il posto alla compassione per tutti questi effimeri esseri che cercavano di godere dell'esiguo raggio di luce accordato loro fra le due tenebre, prima della culla, dopo gli ultimi strattoni. Come era possibile infierire contro chi, se ne è sicuri, dovrà morire?”. Intorno al principe si possono individuare due mondi diversi: il primo è quello della vecchia aristocrazia, di cui fa parte la sua famiglia (la moglie Maria Stella, le figlie Concetta, Caterina, Carolina e il figlio Paolo); il secondo è quello della nuova borghesia, a cui appartengono il sindaco di Donnafugata, Don Calogero Sedara, e la figlia Angelica. Tancredi, che ha uno stretto rapporto di affetto e di stima con il principe Fabrizio, che lo preferisce ai suoi sette figli, fa da tramite tra le famiglie Salina e Sedara: egli infatti riesce, con il suo matrimonio, ad unire due classi sociali differenti.All’immobilismo della visione del mondo del principe corrisponde, uguale e contrario, il comportamento di Tancredi: egli infatti, appena Garibaldi sbarca in Sicilia, corre ad arruolarsi con i garibaldini, nonostante la sua famiglia sia legata alla monarchia borbonica, perché capisce chi sarà il vincitore e vuole essere dalla sua parte. Ma anche questo spregiudicato pragmatismo appare, a ben guardare, la manifestazione esteriore di uno scetticismo molto simile a quello 312 votanti, 312 sì. Ma don Ciccio sa di aver votato no, memore dei benefici ricevuti dal regime borbonico: su quali basi si fonda, dunque, il consenso al nuovo Stato? Ma, dal momento che il Gattopardo non è solo un romanzo storico, nella trasposizione cinematografica Visconti lascia un notevole spazio anche all’espressione dell’intreccio tra vitalismo (inteso come attaccamento alla vita e capacità di goderne tutti gli aspetti gratificanti) e presentimento della morte che domina lo stato d'animo di Don Fabrizio: queste due pulsioni non sono tra loro in antitesi ma in un rapporto complesso, che fa del principe un personaggio quasi leopardiano. Per Don Fabrizio la vita è il desiderio e la continua aspirazione ad una serie infinita di appagamenti della più diversa natura, accomunati dal fatto che procurano la felicità; la morte, invece, è la fuga da un mondo che non solo delude queste aspirazioni ma dà, al loro posto, dolore, sofferenza e angoscia. Dunque quando l’uomo comprende che le sue aspirazioni sono destinate ad avere un appagamento rapido, fugace e saltuario, quando la sofferenza comincia ad avere la meglio sul piacere, appare naturale desiderare la morte e lasciare che ad illudersi siano i giovani, che ancora non hanno fatto questa tragica scoperta. Non è certo un caso che l'immagine di Tancredi appaia, per la prima volta, riflessa nello specchio posto davanti al principe, che nel nipote rivede un se stesso più giovane, ancora pieno di belle speranze. Lo specchio diventa infatti, nel film, lo strumento che permette di comunicare allo spettatore i pensieri del personaggio, che altrimenti resterebbero sconosciuti, giacché nella narrazione cinematografica, a differenza di quella romanzesca, non vi è un narratore in grado di svelarli al lettore. Per fare in modo di trasformare il codice verbale in codice visivo, all’inizio del film, in più di una scena, Visconti fa parlare zio e nipote in un gioco di specchi, in cui l’uno vede riflesso il volto o la figura dell’altro: in questo modo egli vuol far capire allo spettatore che i due personaggi sono complementari e inscindibili l’uno dall’altro. Il viso di Tancredi riflesso nello specchio in cui il principe si guarda mentre è intento a radersi sembra sostituirsi a quello di Don Fabrizio, come un presagio della sostituzione che avverrà sia nella vicenda personale dei due personaggi sia in quella che ciascuno dei due rappresenta nella storia: Tancredi è infatti il giovane Salina che sostituisce il vecchio Salina e l'uomo nuovo, il prototipo del trasformismo delle giovani generazioni dell'aristocrazia che si accingono a sostituire quelle vecchie, di cui il principe è uno degli ultimi baluardi. Nella scena del ballo questa sovrapposizione di volti scompare definitivamente: quando Don Fabrizio balla con Angelica, di cui anch’egli, come il nipote, avverte il fascino e la sensualità, si sostituisce per l’ultima volta al nipote, perché mentre per Tancredi il ballo è una speranza di avvenire felice, per il principe esso costituisce una sorta di definitivo addio ai piaceri della vita. Nel finale del film, infatti, sullo sfondo del grande ballo, Salina appare sempre piú isolato: contemplando un quadro che rappresenta La morte del giusto, egli sente la premonizione della propria fine e il declino di un'epoca. La commozione si legge nel suo volto riflesso in uno specchio; poi, con un movimento di macchina, Visconti segue il principe, isolato nella vastità del salone, che si allontana sul terrazzo, verso l'incerta luce dell'alba. In questo film, come già in Senso (1954), Visconti arricchisce il proprio stile registico con molteplici richiami alla tradizione del melodramma, per esempio inserendo nella colonna sonora diversi brani di Giuseppe Verdi (tra cui il celebre valzer - fino ad allora inedito - della sequenza del ballo, diretto dal maestro Nino Rota). La colonna sonora musicale ha un’importanza notevole: essa, che ha il compito di sostituire i monologhi e i dialoghi del romanzo, scandisce, infatti, il ritmo della narrazione e carica le atmosfere di suggestioni particolarmente intense. Interessante anche il ruolo assegnato alla scenografia e alle luci: la prima, che presenta un arredamento dai toni caldi e severi, esalta e mette in rilievo le figure dei protagonisti, le seconde sottolineano le espressioni e i gesti degli attori, aumentandone la forza espressiva. IL ROMANZO E IL FILM Somiglianze e differenze Visconti si ispirò spesso a testi letterari, che utilizzava, per lo più, come semplici canovacci, allontanandosene sia nella struttura che nel senso. Il Gattopardo costituisce, in questo senso, una vera e propria eccezione: Visconti fu infatti relativamente fedele, sia nei contenuti specifici che nella visione del mondo, al romanzo di Tomasi. Proprio questa fedeltà rende particolarmente significative le differenze: proviamo dunque ad analizzarle in dettaglio. I contenuti Visconti articola la narrazione in quattro blocchi narrativi (a Palermo, verso Donnafugata, a Donnafugata, il ballo) che corrispondono perfettamente a quelli del romanzo: alcuni episodi, però, pur essendo presenti nel romanzo, sono stati esclusi dal film, mentre altri sono innovazioni del film. Tra gli episodi omessi ci sono, per esempio, la visita di Padre Pirrone (il cappellano di casa Salina) al suo borgo nativo, San Cono, e le sue conversazioni politiche con i villani, in cui egli definisce il concetto di aristocrazia (cap.V): di questo episodio sopravvivono solo alcuni frammenti dell’incontro con i contadini (che viene però trasportato in un’osteria sulla strada di Donnafugata) perché Visconti non vuole allontanare troppo l’attenzione dello spettatore dal vero oggetto del suo interesse, la figura del principe. Nel film sono eliminati anche la sua morte (cap.VII) e gli episodi ad essa successivi: questa esclusione, dovuta, come anticipato, alla volontà di non raccontare le cose senza l’occhio del principe, non attenua il profondo senso di morte che percorre il film, anzi, lo potenzia e lo rafforza, lasciandolo come una minaccia incompiuta e latente che incombe sulla vita del protagonista. Al contrario sono invece introdotte delle immagini che descrivono la battaglia dei garibaldini e della popolazione contro i borbonici nelle vie di Palermo; sono presenti alcune allusioni alle fucilazioni dei disertori dell'esercito regio passati dalla parte di Garibaldi. Con questi motivi rivoluzionari e guerreschi, assenti nel romanzo, Visconti intende dare una maggiore concretezza allo sfondo storico del film, anche se gli episodi hanno un carattere evocativo - simbolico più che documentario. Ma l’aspetto più significativo è senza dubbio l’ampliamento della scena del ballo palermitano a palazzo Ponteleone, presente nel romanzo ma non nelle proporzioni assunte nel film: essa dura, da sola, più d’un terzo (46' su 181’) dello spettacolo (Visconti stesso, in un'intervista, parlò di "dilatazione iperbolica" dell’episodio). Questo accade perché il regista affida a questa scena il compito di concludere il film, ricomponendo i diversi motivi del romanzo (nel gran ballo, che allude alla vita, si muovono circolarmente, in un perpetuo movimento che non ha principio né fine, Pallavicino, Tancredi e Sedara, che rappresentano la Storia, Angelica, che incarna il fascino della giovinezza, e Don Fabrizio, che ricorda l’incombere della morte) ed anticipando con inquietanti segnali il corso futuro degli eventi (la relatività di tutto ciò che riguarda la vita dell’uomo di fronte all’inesorabile scorrere del Tempo). Il capitolo I e la sua trasposizione cinematografica Se si confrontano le sequenze del I capitolo del romanzo e quelle del film, si può notare che, anche in questo caso specifico, alcune sequenze del primo non compaiono nel secondo, che altre sono state aggiunte e che altre ancora occupano un posto diverso rispetto all'ordine in cui sono presentate nel romanzo. Il romanzoIl film Titoli di testa e palazzo dei Salina Il rosario. Presentazione del principe Il rosario. Voci dal giardino Il principe riceve la notizia dello sbarco dei Garibaldini (11 maggio). Crisi di pianto della principessa Il principe, passeggiando in giardino con il suo cane, Bendicò, ricorda che un mese prima è stato trovato il cadavere di un soldato, morto per il re In giardino: ritrovamento del soldato morto Il principe ricorda le udienze reali a cui ha partecipato Cena a villa Salina; ritratto della famiglia e ricordo di Giovanni, il figlio assente Viaggio verso Palermo del principe accompagnato da padre Pirrone, che lo invita a indurre a maggiore prudenza il nipote Tancredi; un posto di blocco; la casa della prostituta Mariannina in un ambiente malfamato Viaggio verso Palermo del principe accompagnato da padre Pirrone, che lo invita a indurre a maggiore prudenza il nipote Tancredi; un posto di blocco; la casa della prostituta Mariannina in un ambiente malfamato Il mattino dopo nella stanza da bagno: dialogo tra il principe e Tancredi; Tancredi annuncia che partirà per la guerra contro Franceschiello: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è bisogna che tutto cambi". La vestizione del principe Il mattino dopo nella stanza da bagno: dialogo tra il principe e Tancredi; Tancredi annuncia che partirà per la guerra contro Franceschiello: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è bisogna che tutto cambi". La vestizione del principe Il commiato di Tancredi dai familiari, che assistono alla partenza dalla terrazza; Concetta si commuove Nello studio: colloquio del principe col contabile e poi con Pietro Russo; in seguito il principe medita sugli eventi in atto, "soltanto un’ inavvertibile sostituzione di ceti" Nell'osservatorio con padre Pirrone: considerazioni di carattere morale e politico Nell'osservatorio con padre Pirrone: considerazioni di carattere morale e politico Il pranzo. Il principe intuisce le preoccupazioni di Concetta per Tancredi, ma ritiene che Tancredi "debba mirare più in alto, intendo dire più in basso". Simbologie culinarie (il "torrione minaccioso" della gelatina al rhum) Di nuovo in amministrazione: il principe controlla i "carnaggi" che gli ricordano il soldato trovato in giardino Colloquio tra il principe e il primogenito Paolo a proposito della scelta di Tancredi La lettera del cugino Màlvica sullo sbarco dei piemontesi Il Rosario Scontri a Palermo
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