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Riassunto completo Il Medioevo - Giovanni Vitolo, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto preciso e completo, basato su Il medioevo di Giovanni Vitolo. Copre tutti gli argomenti trattati nel libro, con numero di paragrafo e capitolo per rendere immediata la connessione con il paragrafo di riferimento.

Tipologia: Sintesi del corso

2013/2014

In vendita dal 25/07/2014

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Scarica Riassunto completo Il Medioevo - Giovanni Vitolo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! GIOVANNI VITOLO MEDIOEVO: I caratteri originali di un’età di transizione Il Medioevo: dalla polemica alla mitizzazione L’idea del Medioevo nasce con l’Umanesimo (XIV-XV secolo) quanto intellettuali e artisti presero consapevolezza di star vivendo un’epoca di grandi trasformazioni. L’orgoglio di vivere in questa epoca determinò vari atteggiamenti nei confronti dell’epoca precedente che fu da molti definita come media tempestas, media aetas, o medium aevum.  Gli umanisti francesi e tedeschi non considerarono negativamente i secoli del Medioevo perché in quel periodo erano nate le fondamenta delle loro nazioni;  i riformisti protestanti tedeschi evidenziarono invece come la Chiesa di Roma in quel periodo si era nettamente allontanata dai principi evangelici. Nel Settecento gli illuministi criticavano alcuni aspetti delle istituzioni politiche e sociali, considerate come residui della barbarie dell’età medioevale. Lo spirito polemico alimentò una ricca ricerca storica; molti eruditi individuarono nel Medioevo caratteri basilari anche del mondo moderno. Tra gli studiosi che svolsero studi interessanti vi furono: - Giambattista Vico: filosofo napoletano, nel testo Scienza nuova identificò nel Medioevo un’epoca caratterizzata da una mentalità precisa e da peculiari istituzioni sociali e politiche; - Ludovico Antonio Muratori: storico modenese, trovò un collegamento tra il pensiero illuministico con la cultura medioevale individuando in Italia una certa continuità nella tradizione culturale; - Francois-Marie Aoruet Voltaire: pensatore francese, propose un’interpretazione laica della storia poiché secondo lui uno storico doveva prima di tutto indicare l’apporto dato dagli uomini nelle varie epoche storiche; - William Robertson: pastore protestante inglese, oltre che cogliere le grandi trasformazioni della società dopo il Mille ebbe un vivissimo senso della continuità storica. Fu durante il Settecento che in Germania si superarono le polemiche sul Medioevo poiché: - per filosofi e letterati fu un’epoca di serenità spirituale; - per i cristiani fu il periodo in cui operò la forza creatrice dell’Europa; - per gli storici del diritto e dell’economia fu l’età in cui si organizzò l’economia tedesca. Anche in Italia si diede vita a un dibattito storiografico sul Medioevo; tale dibattito si concentrò sul rapporto tra latinità e germanesimo e sul ruolo svolto dal papato in quei secoli: - Machiavelli pensava che l’unificazione d’Italia non era stata resa possibile dalla presenza del papato; - Pietro Giannone e gli storici “neo-ghibellini” nel Settecento ripresero la teoria di Machiavelli caratterizzando negativamente l’operato del papato che in un certo senso ostacolò ogni tentativo di unificazione anche chiamando nel territori potenze straniere; 1 - storici “neo-guelfi” (Manzoni, Balbo, Capponi) videro nell’operato del papato medioevale aspetti positivi in quanto aveva custodito il patrimonio di Roma e la cultura latina. - Benedetto Croce fu un esponente degli storici cattolici-liberali (neo-guelfi); secondo lui l’unità d’Italia non era mai esistita ma erano esistiti i papi che avevano contrastato gli stranieri e appoggiato le leghe nazionali e i Comuni. Si può dire infine che il Medioevo nel corso del Settecento fu certamente rivalutato oltre che in Germania e in Italia anche in Francia e Inghilterra i cui pensatori evidenziarono il carattere legato al sentimento, all’irrazionale e alla fede di quell’epoca. Il Medioevo nella storiografia europea dell’Otto-Novecento La storiografia dell’Ottocento registrò notevoli progressi sul piano della ricerca scientifica e metodologica. Verso la metà del secolo prese sempre più vigore la corrente del Positivismo che voleva pervenire a una visione oggettiva della storia che poteva essere data soli dagli storici, studiosi specializzati e non pensatori o letterati. - Il tedesco Leopold Ranke fece suo questo pensiero eliminando ogni interferenze romantica dallo studio storiografico che doveva essere oggettivo per ricostruire i fatti come si erano davvero svolti; lo studioso inoltre fu il primo a dire che una fonte è più attendibile quanto più è vicina agli eventi in modo che il cronista non possa essere condizionato sapendo gli eventi della storia futura. - Sempre negli stessi anni in Germania si svilupparono le ricerche nell’ambito della storia del diritto e dell’economia; per il settore economico si cercò di individuare le forme dell’attività economica e la loro successione nel tempo. - Con Karl Marx e il suo materialismo storico si arrivò a una teorizzazione dello sviluppo delle attività economiche; egli individuò quattro modi fondamentali di produzione dei beni economici (asiatico, schiavistico, feudale e capitalistico- borghese) ai quali corrispondono altrettanti tipi di rapporti tra le classi sociali; per il Medioevo fu di certo la produzione di tipo feudale a caratterizzare l’economia. Le teorie di Marx rinnovarono la storiografia italiana in quanto gli storici le accolsero in modo più o meno integrale; Croce parlò di «Scuola economico-giuridica» avendo individuato nei suoi esponenti l’interesse comune per i problemi della storia delle istituzioni (feudalesimo, Comuni). Questa corrente di pensiero si divise in tre filoni: - il filone fiorentino, aperto all’adozione di schemi sociologici. Salvemini fece uno studio sulla lotta tra proprietari terrieri e popolano nella Firenze del Duecento; - il filone pisano, ostile a ricostruzioni sistematiche di tipo economistico e incline a vedere nei processi storici l’interazione dei fattori diversi. - il filone cattolico, con Rodolico coniugò l’interesse marxista per la storia dei ceti più umili con la sua sensibilità di origine cattolica. Oltre all’orientamento crociano e positivistico si ebbe anche un altro orientamento storico riguardante la medievalistica italiana, quello filosofico. L’Irrazionalismo medievale fu considerato espressione della crisi di valori che caratterizzò anche la società del primo dopoguerra. Un testo simbolo di questa corrente di pensiero è L’Autunno del Medioevo di Johan Huizinga del 1919; lo scrittore descrive la società alla fine del Medioevo come una civiltà al tramonto durante la quale gli uomini cercarono rifugio nei riti e nelle cerimonie. 2 - le arti e le corporazioni, organizzazioni di coloro che svolgevano lo stesso mestiere; riti religiosi, manifestazioni pubbliche (bandiere, gonfaloni, stemmi), eventi o oggetti per creare uno spirito di appartenenza.  La realtà del Medioevo era ricca di simboli.  Il mondo medioevale fu un mondo prevalentemente rurale.  La maggior parte delle persone traeva dalla terra i beni per la propria sussistenza e viveva seguendo regole dettate dalla consuetudine.  Nelle campagne spadroneggiavano i nobili che gestivano i loro feudi, e le persone che vi risiedevano, secondo le loro priorità.  Durante il Medioevo fu scarsa l’incidenza dello Stato.  La vita della società era regolata da strutture locali; lo Stato assicurava servizi minimi poiché la società medievale espresse una vitalità crescente che le permise di creare equilibri sempre diversi e dinamici e di funzionare anche senza l’intervento significativo di uno Stato.  Componenti sociali, politici, religiosi ed economici si combinarono spesso dando vita e situazioni diverse.  Tra il XIV e il XV secolo la società ha fatto un grande sforzo per darsi un ordinamento più stabile attraverso la creazione di istituzioni politiche ed ecclesiastiche in grado di poter operare in territori più vasti e diversificati. CAPITOLO 1: 1)La Trasformazione del mondo antico e l’inizio del Medioevo Il mondo ellenistico-romano e la diffusione del Cristianesimo 5 1.1. Nomadi e sedentari Nella fascia temperata dell’emisfero settentrionale alcuni popoli ebbero una storia simile a quella dei romani; furono popoli rozzi che diedero vita a civiltà rurali e vengono identificati dagli storici come popoli Indoeuropei. - Un grande organismo di questo tipo fu quello della Persia che nel 331 a.C. fu conquistata da Alessandro Magno e verso il III secolo a.C. dai Parti(anche se conservò impronte ellenistiche): cavalieri-pastori nomadi che rapidamente si abituarono alla vita sedentaria e crearono un grande impero(ad occidente comprendeva anche le valli del Tigri e dell’Eufrate; ad oriente una zona più arida e montuosa) che fu in lotta con quello romano per il dominio della Siria, dell’Armenia e della Mesopotamia. La contesa divenne più aspra con l’ascesa al trono nel 224 d.C. della dinastia dei Sasanidi(dal fondatore Sasan). L’impero dei Parti fu contrastato da popolazioni di razza mongola, provenienti dalle steppe dell’Asia centrale, quali i Sarmati, gli Unni Bianchi(o Eftaliti)e i Turchi. - Un altro grande impero travolto da questi popoli indoeuropei, più precisamente dagli Unni bianchi, fu quello dell’India settentrionale nel 470 d.C. Successivamente tale impero si sviluppò in una fiorente civiltà agricola e raggiunse il massimo splendore sotto la dinastia Gupta (IV-V sec.). Anche l’India(il re Kamishka mandò un’ambasceria a Traiano)si configura come una grande civiltà agricola, creata dagli Ariani, un popolo indoeuropeo di pastori ed allevatori, che si erano trasformati in contadini. - A partire già da due millenni a.C. in Cina iniziò a formarsi una grande civiltà agricola nella pianura alluvionale dell’Hwang Ho(il Fiume Giallo, che prende il nome dalla terra fertile che trasporta) che riuscì a superare molte difficoltà legate all’ostilità delle famiglie aristocratiche, alle continue minacce degli Unni. Dopo scontri tra nomadi e sedentari, la situazione si stabilizzò nel 246 a.C. quando venne creato un vasto impero ad opera di Shig Hwang-ti, detto “il Cesare Cinese”. Di tale impero resta la testimonianza della Grande Muraglia che per migliaia di KM difendeva i confini dell’impero. Il consolidamento della frontiera continuò con gli imperatori della dinastia Han(202 a.C.):vennero realizzate strade militari, fortificazioni ed insediamenti-accampamenti contadini-soldati lungo i confini, così come i Romani avrebbero fatto con le guarnigioni di limitanei lungo il corso di fiumi come il Reno e il Danubio (collocati lungo il limes, “confine”). Anche in Cina tra II e III secolo d.C. un periodo di aspre lotte sociali mentre ricominciano le incursioni devastatrici degli Unni dalla Mongolia. Il risultato fu la divisione dell’impero in tre regni e poi, una volta riprese nel 316 le grandi invasioni, la sua riduzione alle sole province meridionali sotto la dinastia Chi, mentre nelle fertili pianure settentrionali gli invasori crearono numerose dominazioni politiche. - I nomadi delle steppe asiatiche non si limitarono a spostarsi verso est (Persia, India e Cina) ma invasero anche l’Europa centrale, basti pensare ai Celti che erano presenti nella Germania renana e si spinsero nelle regioni balcaniche, in Gallia fino al nord Italia dove furono poi fermati dai Romani; ma poi finirono col fondersi con le popolazioni latine, in quello che Giovani Tabacco ha definito il connubio latino- celtico, volto a contenere le pressioni che i Germani, popolazione di lingua indoeuropea stanziati già nel secondo millennio a.C. nelle regioni dell’Europea settentrionale e centrale. - Al tempo di Traiano erano schierate lungo il Danubio dieci legioni. L’opera difensiva che però somiglia di più alla Muraglia cinese fu il vallo di Adriano, di 118 km, fatto costruire dall’imperatore Adriano tra il 122 e il 127 d.C. in Britannia che così fu tagliata in 2 parti. 1.2. Il mondo delle città Il limes separava due realtà molto diverse tra loro: da un lato c’era il mondo urbanizzato e organizzato dei Romani e dall’altro il mondo delle foreste e delle valli 6 fluviali dell’Europa centrale e settentrionale abitato da popolazioni nomadi che avevano una struttura molto semplice. Il merito dei Romani non fu tanto quello di aver creato le città ma piuttosto quello di aver esteso il modello urbano e la cultura ellenica a tutte le aree sotto il suo dominio. Questo fu possibile grazie ai numerosi scambi commerciali tra le zone del Mediterraneo e le altre aree romanizzate che favorivano anche scambi sociali e culturali. La città romana aveva una struttura precisa, inizialmente non avevano mura difensive che furono costruite solo dopo le prime minacce di invasioni; altre zone della città erano: - l’urbs: il centro cittadino dove si svolgevano tutte le funzioni amministrative, politiche e commerciali, - la civitas: territorio dove c’erano le abitazioni sia dei contadini che le grandi ville, - il suburbio: la zona intermedia tra il nucleo cittadino e la campagna dove si trovavano gli impianti artigianali, gli anfiteatri, le necropoli e ville lussuose, - la campagna: organizzata in un reticolo razionale di campi di forma geometrica. La società romana era caratterizza tata dalla presenza di una classe aristocratica che conducevano un agiato stile di vita grazie alle risorse che provenivano dalla costruzione dei grandi latifondi coltivati dagli schiavi. Tali uomini praticavano la filantropia, si esercitavano in dibattiti sulla letteratura e sulla filosofia infatti in ogni villa signorile si potevano trovare testi greci e latini(l’ unico esempio di biblioteca privata è la Villa dei papiri di Ercolano, sommersa dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.). Che i libri fossero importanti nello stile di vita aristocratico- borghese è dimostrato dal personaggio di Trimalcione nel Satyricon di Petronio il quale, per fare sfoggio di cultura, dichiara di avere una biblioteca greca ed una latina. Luciano scrisse un trattato dal titolo Contro un ignorante che si compra molti libri e Seneca ammonì i bibliofili semianalfabeti, per i quali i libri non erano strumenti di lavoro, ma ornamento delle sale da pranzo. 1.3. La diffusione del Cristianesimo Tra il I e il II secolo si verificò un interessante fenomeno: la diffusione della scrittura anche tra le classi meno abbienti; questo fenomeno fu accompagnato dall’arrivo di nuove dottrine orientali come lo Stoicismo e il Neoplatonismo che fecero entrare in crisi le religioni ufficiali basate sul politeismo. Tali dottrine cercavano di dare una risposta ai problemi relativi alla morte e al dolore cercando delle reali soluzioni nell’impegno morale e in una concreta religiosità interiore. - Verso il IV secolo tra le molte dottrine di questo tipo assunse una rilevanza particolare il Cristianesimo; questa dottrina inizialmente si era diffusa tra il comunità giudaiche, successivamente (sotto il dominio di Costantino) si allargò anche tra il popolo romano. - Il Cristianesimo incontrò il favore anche dei ceti dirigenti romani perché la sua organizzazione poggiava su una stabile gerarchia sacerdotale formata da presbiteri, vescovi e diaconi. - La diffusione del Cristianesimo fuori dalla Palestina fu merito dell’operato apostolico di Paolo di Tarso, chiamato anche “lì apostolo delle genti” poiché 7 comunità cristiane che furono assunte anche come finte giustificazioni per rivolte all’interno delle province romane. - Tale fu l’episodio legato al Donatismo, una contestazione religiosa nata in seno alla provincia africana che nascondeva però una contestazione etnico-sociale contro l’impero. - Nel V secolo i Siria e in Egitto oltre alle tendenze separatiste sorsero diatribe in riferimento al rapporto tra l’umanità e la divinità di Cristo. - Le tensioni religiose ebbero come argomento di scontro anche la figura di Maria; i Nestoriani, ad esempio, la chiamavano solo “Madre di Cristo” e non “Madre di Dio” poiché erano convinti della separazione tra la natura umana di Cristo e quella divina di Dio. Una soluzione a questo problema fu trovata a Calcedonia nel 451 quando si dichiarò Cristo vero Dio e vero uomo, dotato di due nature distinte ma inseparabili. 1.7. Le origini del monachesimo - Mentre si svolgevano questi dibattiti e l’apparato ecclesiastico delle Chiesa si andava consolidando prima in Oriente e poi in Occidente si sperimentò un altro modo di vivere gli ideali cristiani che si basava sul totale distacco dalla società. - Questa pratica al suo primo apparire sembrò marginale ma col passare dei secoli invece diventò una vera e propria forza che plasmò la Chiesa: il monachesimo. - Il fenomeno dell’eremitismo non nacque nel mondo ellenico-romano ma alcuni episodi di tal genere si erano già verificati in India dove i monaci buddisti vivevano girovagando e chiedendo al prossimo le risorse per il loro sostentamento. - Scopo degli eremiti era quello di poter giungere ad avere un incontro con Dio dopo un percorso di ascesi e penitenza. - Nel mondo greco esperienze di isolamento furono condotte dai filosofi e nel mondo giudaico dalle comunità degli Esseni e dai Terapeuti. - Il monachesimo cristiano nacque in Egitto nel III secolo ma nella sua maturità espresse in sintesi la maggior parte delle esperienze precedenti. - In un primo momento il monachesimo si diffuse soprattutto tra le classi sociali più basse; questi uomini nutrivano una completa sfiducia per tutti i ragionamenti intellettuali e decidevano di fuggire da ogni forma di civiltà rifugiandosi in luoghi solitari come caverne, tombe abbandonate e deserti, alcuni arrivarono alle scelte estreme di vivere stabilmente sulla cima di un albero (dendrìtai) o in cima a una colonna (stiliti). - A questa forma di esperienza estrema di ascesi si affiancarono presto nuove esperienze come quelle delle colonie di eremiti che vivevano non lontani gli uni dagli altri; successivamente nacque la prima forma di cenobitismo grazie a Pacomio che fondò a Gerusalemme un monastero dove chi avesse voluto avrebbe potuto condurre una vita ascetica caratterizzata dalla moderazione, dalla preghiera e dal lavoro. - Il vescovo di Cesarea, Basilio, ebbe inoltre una forte influenza sulla costituzione del monachesimo visto che promosse la fondazione di vari monasteri ma soprattutto perché scrisse delle Regole con l’intento di dare un ordinamento stabile alle comunità cenobitiche; un esempio è la nuova figura dell’abate che aveva il compito di guidare tutta la comunità e dare l’esempio agli altri monaci. 1.8. La diffusione del monachesimo in Italia e nel resto d’Occidente Le esperienza cenobitiche risultarono più adeguate ad essere accettate e assorbite dalla civiltà ricca e aristocratica dell’impero romano; in Occidente arrivarono velocemente le notizie delle nobili gesta degli eremiti e molti membri dell’aristocrazia 10 organizzarono dei vero e propri pellegrinaggi per andare a vedere questi uomini di persona e alcuni di loro – spesso le nobildonne- fondarono comunità latine in Palestina. Presto i monasteri furono costruiti anche in Occidente, una figura chiave per questa svolta fu Gerolamo il quale dopo aver studiato a Roma si fece battezzare e passò molto tempo da eremita in Siria. Ritornato a Roma divenne una guida per molte donne che conducevano uno stile di vita ascetico all’interno delle loro case. Dopo queste prime esperienze anche a Roma e in altre parti dell’impero furono costruiti monasteri e anche altri esponenti importanti esponenti della Chiesa appoggiarono tale fenomeno come Ambrogio di Milano e Paolino di Nola. Un’ultima, ma importante, esperienza di monachesimo in Italia è quella di Cassiodoro, collaboratore del re ostrogoto Teodorico che nel 540 si ritirò in Calabria dove fondò un monastero che non fu un luogo di ascesi bensì un centro di cultura dove si svolgeva un’attività si studio per cercare di conciliare cultura sacra e profana. Il suo obiettivo era quello di salvare l’antica cultura romana trapiantandola nei monasteri ma tale progetto non era realizzabile e non continuò dopo la morte di Cassiodoro. 1.9. Il monachesimo benedettino Il monachesimo benedettino costituisce il punto d’arrivo di tutte le esperienze di monachesimo in Occidente. San Benedetto fondò il monastero di Montecassino e ne scrisse la Regola che ebbe il merito di accogliere il meglio delle esperienze sia orientali che occidentali; elementi della sua Regola erano già presenti in altre Regole monastiche ma la regola benedettina è quella che ha saputo dare una sintesi più completa. Questa si basava: - sul lavoro manuale come elemento qualificante per la vita del monaco - su uno stile di vita incentrato sulla carità e la fraternità - su una grande moderazione della vita - su un equilibrio tra la vita attiva e la vita contemplativa: da qui la famosa Regola ORA ET LABORA. 11 CAPITOLO 2 l’occidente romano-germanico 2.1. Il mito della razza pura Tacito descriveva il popolo dei Germani: «Una razza pura senza mescolanze, che non assomiglia che a se stessa»; e su queste affermazioni si è basato il nazionalismo tedesco nato nel tardo Settecento. Studi recenti hanno però dimostrato che una comunità germanica originaria e omogenea culturalmente e linguisticamente non è mai esistita poiché i popoli germanici sono il risultato di numerosi rimescolamenti tra popolazioni indigene di origine indoeuropea. All’interno delle popolazioni germaniche si possono individuare tre gruppi: - quello settentrionale in Scandinavia e Dalmazia - quello orientale tra l’Order e la Vistola - quello occidentale nell’attuale Germania e est del Reno. I primi contatti con i Romani avvennero quando i Cimbri e i Teutoni dalla Danimarca cercarono di occupare territori in Spagna, Gallia e Italia dove però furono sconfitti da Mario. Cesare, conquistando la Gallia, rese definitivi i contatti tra le tribù germaniche e i Romani che si fronteggiavano sul versante del fiume Reno; si deve precisare che le tribù germaniche non vivevano nella barbarie e non mancarono tra le due popolazioni scambi commerciali ma anche culturali e sociali. Proprio per chiarire meglio l’identità di queste popolazioni è utile un’analisi del De bello gallico scritto da Cesare nel 51 a.C.; dalla lettura di tale testo si possono delineare le caratteristiche etnologiche di questo popolo che, ad esempio, aveva un rapporto assai mobile con l’ambiente, che credeva al primato delle virtù guerresche e che si procurava il sostentamento soprattutto con la caccia e l’allevamento. L’agricoltura occupava infatti un ruolo marginale e venivano applicate pratiche primitive di coltivazione come la pratica del debbio che consisteva nel ripulire il suolo con il fuoco, metodo che senza pratiche di concimazione rendeva presto improduttivo il terreno e costringeva le tribù a continui spostamenti. Le tribù germaniche erano organizzate in clan, non c’erano proprietà private e l’unica gerarchia esistente era quella dei duces che erano dei capi militari appartenenti a delle stirpi detentrici di poteri magico-sacrali. Si credeva che il valore militare di trasmettesse in maniera ereditaria perciò gli appartenenti a questi clan avevano molti poteri (anche se sempre sottoposti al controllo degli anziani) sia durante i periodi di guerra sia durante i periodi pacifici ma ciò però non li rendeva superiori agli alti uomini liberi. 12 - Nel 454 Ezio venne ucciso da Valentiniano in quale a sua volta fu assassinato l’anno successivo dai seguaci di Ezio; questa situazione creò un vuoto ai vertici dello Stato e una gran confusione visto che si successero in maniera rapida e poco incisiva - diversi imperatori che avevano il sostegno delle forze romano- barbariche. - Tra questi imperatori si distinse lo sciro Odoacre, fu lui ad aver deposto nel 476 il giovane imperatore Romolo Augustolo, a rimandare a Costantinopoli le insegne imperiali dichiarando che il suo progetto era quello di governare i territori dell’impero d’Occidente non come imperatore ma come patrizio dell’imperatore d’Oriente. - In questo periodo l’aristocrazia senatoria romana capì che appoggiare Odoacre era la cosa migliore perché vedevano in lui il personaggio giusto per garantire l’inserimento non traumatico dei Germani nella struttura sociale romana unendo così le loro doti militari al loro potere politico-sociale. 2.5. Il sogno di Teodorico Nel 489 l’imperatore d’Oriente Zenone, preoccupato per il progetti espansionistici di Odoacre, inviò in Italia il re ostrogoto Teodorico il quale era stato educato alla corte bizantina insieme a tutto il suo popolo formato per la maggior parte da guerrieri. L’aristocrazia e i membri della classe episcopale voltarono subito le spalle a Odoacre perché in Teodorico oltre che l’inviati imperiale videro un uomo forte capace di stabilire ordine ed equilibrio. Un intero popolo si stanziò in Italia e anche questa volta i proprietari romani dovettero cedere parte dei loro territori ma questa volta la pratica dell’hospitalitas non fu avvertita come qualcosa di traumatico visto che negli anni precedenti c’era stato un forte calo demografico che aveva fatto aumentare la disponibilità di terre. - Teodorico volle istaurare rapporti pacifici sia con i Romani che con la Chiesa, la sua non fu una dominazione infatti portò avanti un progetto di coesistenza tra le due comunità che avevano distinti ordinamenti giuridici. - Teodorico era re per la sua gente e prefetto d’Italia per i Romani il che comportava che fosse al vertice delle strutture politiche e amministrative; i Romani furono esclusi dall’esercito e potevano vivere seguendo le norme del diritto romano mentre i Goti potevano portare le armi e governavano i distretti in cui era stato diviso il territorio. - Teodorico oltre a mantenere gli ordinamenti giuridici distinti, rimise in vigore una legge romana che vietava i matrimoni tra Romani e barbari e sostenne la religione Ariana professata dal suo popolo. Dal punto di vista politico il Senato rimase un presidio della romanità mentre gli aristocratici Goti entrarono a far parte del consiglio del re; gli Ostrogoti vissero soprattutto nella Pianura Padana in abitazioni rurali mantenendo le loro tradizioni e la loro cultura bellicosa. Teodorico non fece nulla per agevolare un processo di integrazione tra il suo popolo e i Romani perché era consapevole che tra i due popoli esistevano troppe differenze perciò si sarebbe dovuto aspettare che i Goti si elevassero al livello dei Romani e che i Romani si aprissero di più alla cultura dei Goti; naturalmente operò sempre in modo che la cultura germanica non venisse mai soffocata di fronte a quella latina. Il sogno di Teodorico fu quello di essere «custode della libertà e propagatore del nome romano» ma alla fine si verificarono eventi che non ne permisero la piena realizzazione. 15 Teodorico infatti aveva stretto alleanze matrimoniali con molti popoli germanici come Vandali, Franchi e Visigoti ma ben presto dovette fare i conti con il re dei Franchi Clodoveo che portò avanti una politica estera molto aggressiva. Contemporaneamente il papato strinse nuovi rapporti con l’impero d’Oriente, questa nuova alleanza fece sì che l’aristocrazia guardò con rinnovata fiducia all’imperatore e con diffidenza Teodorico che non aveva mai rinunciato a professare la religione ariana. Teodorico divenne molto diffidente e arrivò al punto di far incarcerare lo stesso pontefice Giovanni I; questo re morì nel 526 e con la sua morte iniziò la parabola discendente della storia degli Ostrogoti in Italia che toccherà il suo punto massimo nel 535 con l’arrivo in Italia di Giustiniano. 2.6. Gli altri regni romano-barbarici Prima di giungere in Italia Giustiniano (tra il 533 e il 534) sconfisse definitivamente i Vandali. Questo popolo si era stanziato in Africa ma i rapporti con gli indigeni non erano mai stati buoni poiché: - le confische erano state brutali e senza rispettare i principi dell’hospitalitas, - avevano effettuato persecuzioni ai danni dei cristiani ed effettuato pesanti sconfitte ai danni della Chiesa. La spinta delle tribù berbere resero questo popolo ( già privato della figura del suo re Genserico) più debole e fu così che Giustiniano li sconfisse facilmente. Dal disfacimento dell’impero romano d’Occidente nacquero due solidi organismi politici: il regno dei Visigoti e quello dei Franchi che furono guidati da sovrani capaci di creare una convergenza di interessi sia con l’aristocrazia romana che con la Chiesa. I Visigoti dopo aver saccheggiato Roma, si stanziarono in Aquitania e da lì cercarono di espandersi in Provenza e nella penisola iberica; il loro progetto espansionistico fu però fermato dai Franchi i quali li sconfissero a Voillè nel 507. I Visigoti furono respinti definitivamente nel territorio iberico e tutti i loro territori passarono in mano dei Franchi. In Spagna i Visigoti usufruirono dell’hospitalitas nella misura di due terzi e non di un terzo ma nonostante ciò l’aristocrazia non gli fu ostile ma anzi si creò un solido connubio tra le due parti. Grazie a tale unione si potè attuare anche un unico ordinamento giuridico (caso unico nell’Occidente di quel tempo) e fondare una monarchia sul modello di quella romana anche se i Goti preferivano sempre una successione elettiva e non dinastica cosa che a volte provocò problemi e contrasti tra le due popolazioni. La storia dei Visigoti in Spagna segnò un periodo di collaborazione e integrazione ma tale periodo di stabilità fu interrotto nel 711 con l’invasione degli Arabi. 2.7. Il regno dei Franchi In origine il popolo dei Franchi non era unito e coeso ma esistevano tanti piccoli aggregati lungo il bacino del Reno che furono inglobati a partire dal 482da Clodoveo, iniziatore della dinastia dei Merovingi. Clodoveo pian piano allontanò i Romani dalla Gallia, tolse l’Aquitania ai Visigoti, riuscì a espandersi a danno di altri popoli germanici e di piccoli gruppi etnici; solo Teodorico riuscì in parte a contrastarlo ma dopo la sua morte anche la Provenza e i territori oltre il fiume Reno furono conquistati dai Franchi. I punti di forza dei Franchi erano: - il dinamismo militare - la collaborazione con l’aristocrazia gallo-romana - la coesione con la Chiesa. 16 Clodoveo capì subito quanto poteva essere importante l’appoggio della Chiesa così favorì una veloce conversione dal politeismo al Cattolicesimo; questa scelta cancello ogni diffidenza verso Clodoveo accelerò sia il processo di formazione di uno Stato basato sul modello romano sia l’integrazione fra aristocrazia romana e gota e poi fra i due popoli. I capi dei clan franchi impararono a gestire i grandi possedimenti fondiari e li utilizzarono non solo per scopi rurali ma anche per costruire monasteri e chiese mentre gli appartenenti all’aristocrazia gallo-romana pian piano assimilò gli elementi culturali e gli stili di vita dei Franchi. Anche i vescovi, scelti dal re tra i laici, mutarono il loro modo di pensare ma non mancarono esempi di alta spiritualità come fu Gregorio di Tours. Lo stato dei Franchi si sviluppò forte e coeso e l’ordinamento pubblico fu organizzato in distretti governati dai conti. Alla morte di Clodoveo il regno fu diviso tra i suoi 4 figli, si crearono così: - la Neustria tra la Loira e la Senna - l’Austrasia nel cuore della Germania - l’Aquitania dalle tradizioni gallico-romane - la Borgogna antico regno dei Burgundi. Queste quattro regioni oltre ad avere caratteristiche geografiche diverse presentarono ben presto molte differenze anche dal punto di vista politico, etnico e storico. Questa sparizione territoriale provocò lotte per la successione, frenò il dinamismo espansivo del regno e creò molta instabilità. Solo nell’VIII secolo con Pipino il Breve il popolo Franco riacquistò un ruolo strategico. 2.8. Uno sguardo di insieme sul mondo romano-germanico Il mondo romano-germanico alla fine delle invasioni del IV-V secolo presenta degli elementi comuni. - La società gerarchizzata dei Romani si affermò maggiormente e si diffuse anche tra l’aristocrazie militari germaniche mentre tra i ceti bassi, soprattutto tra i contadini, e nelle zone poco romanizzate si affermò il tipo di società egualitario dei Germani. - L’adesione alle strutture sociali dei Romani fa ben capire come i popoli barbari non avessero lo scopo di portare nuovi modelli organizzativi e di imporre la loro cultura e non di fecero problemi a mettersi a servizio dei Romani per sedare altri popoli barbari. Un altro elemento che accomuna i vari regni nati durante le invasioni germaniche è il ruolo di primo piano che svolsero i vescovi sia come protettori della popolazione latina ma anche come forza di conservazione della cultura ellenistico-romana. I vescovi esercitarono il loro potere in seno alle città che però si erano molto impoverite a causa della crisi demografica e sociale del III secolo. È un fatto riscontrabile che dove si stabilì un rapporto pacifico di collaborazione tra i due popoli e la conversione al Cattolicesimo dei Germani si potè realizzare la formazione di regni stabili mentre dove questo non si verificò la differenza di fede (Cattolica e ariana) causò fratture tali da rendere instabili anche le strutture politiche. Furono proprio i vescovi le figure chiave a cui le monarchie germaniche fecero riferimento per attingere agli strumenti culturali indispensabili per poter creare dei nuovi assetti politici stabili. Col passare degli anni la fusione tra i due popoli fu automatica e molti elementi sociali dei popoli Germanici andarono persi a favore del modello gerarchico della società romana che riuscì a resistere e a mantenere il suo potere. 17 dei «Tre capitoli» con il quale condannava gli scritti di tre teologi nestoriani che invece erano stati approvati al Concilio di Calcedonia. - Questo provocò la rottura con la Chiesa romana guidata dal papa Vigilio, proprio mentre era in corso la guerra con i Goti in Italia; il papa si rifiutò di ratificare l’editto e Giustiniano nel 546 lo fece rapire e portare a Costantinopoli dove fu costretto a piegarsi alle decisioni dell’imperatore creando così un vero scisma tra la Chiesa orientale e quella occidentale. - Giustiniano mentre era ancora impegnato nella campagna militare in Italia volse i suoi interessi verso la Spagna dei Visigoti; l’occasione per intervenire gli fu presentata dallo stesso re visigoto e filo-cattolico Atanagildo, il quale chiese aiuto a Giustiniano per sconfiggere il vecchio re filo ariano Agila. L’esercito bizantino non ebbe perciò difficoltà a conquistare la parte costiera a sud della penisola fatto molto importante perché con questo ultimo pezzo di costa il Mediterraneo tornava ad essere “un lago romano” con ampi riflessi nei commerci internazionali. La restaurazione dell’impero universale infatti aveva come obiettivo quello di fare di Costantinopoli un collegamento tra tre continenti ma per fare ciò erano necessarie molte risorse finanziarie che l’imperatore reperì potenziando l’apparato amministrativo e i poteri dei funzionari e cercando invece di limitare i poteri e le ambizioni dell’aristocrazia che stava cominciando a mostrare interesse verso la creazione di grandi latifondi com’era avvenuto in Occidente. Sempre per iniziativa di Giustiniano nacque il Corpus iuris civilis con il quale si riorganizzò il grande patrimonio giuridico dei romani. 3.4. Dall’impero universale all’impero bizantino Giustiniano regnò per circa 40 anni, egli impiegò questo tempo per restaurare il vecchio impero sul piano politico, militare e ideale ma alla fine non riuscì a coronare il suo sogno ma al contrario si capì bene che nessuno mai sarebbe riuscito a farlo perché troppe e troppo forti erano le forze, sia interne che esterne, che separavano le due parti. - I problemi interni riguardavano diversi aspetti; prima di tutto c’era la questione religiosa caratterizzata dalle numerose tensioni che l’imperatore non era riuscito a sedare e che al contrario alimentavano tendenze separatiste nelle province. - Inoltre la crescita della capitale aveva fatto aumentare in maniera abnorme il numero della plebe che veniva alimentata dallo Stato; ben presto si presentarono problemi legati alla fame di questa immensa popolazione che degenerò in rivolte e sfiducia verso l’imperatore. - Per quanto riguarda invece la politica estera le conquiste di Italia e Spagna andarono perse subito dopo la morte di Giustiniano mentre la situazione dei Balcani, che lo stesso Giustiniano non riuscì a risolvere, diventò molto problematica a causa delle pressioni sul fronte orientale di Slavi, Avari e Persiani. - Il sogno di Giustiniano perciò non resistette dopo la sua morte; dopo il 565 l’impero ridimensionò i suoi interessi al Medio Oriente e al Nord Africa e assunse sempre di più una fisionomia greco-orientale. - Le leggi furono scritte in greco e i successori di Giustiniano cominciarono a farsi chiamare con l’appellativo di basileus e non più con i titoli latini di imperator, caesar e augustus. 20 3.5. L’insediamento di Slavi, Avari e Bulgari nei Balcani - Nel corso del VI secolo gli Slavi penetrarono nei Balcani; questo popolo arrivò dai Carpazi (tra l’odierna Polonia, Boemia, Ucraina), non ci fu una comunità slava originaria poiché la loro civiltà si formò man mano che assimilavano altri popoli. - Nel IV secolo avevano comunque raggiunto un’identità linguistica e culturale che però si perse nuovamente quando l’espansione si allargò a vaste aree causando delle divisioni tra Slavi meridionali, occidentali e orientali. - Questi tre gruppi già nel X secolo erano ormai talmente diversi che si deve parlare di nazioni con affinità linguistiche ma con identità profondamente diverse poiché ogni gruppo etnico aveva sentito l’influenza e assimilato caratteristiche culturali delle civiltà dei popoli con i quali erano venuti a contatto come ad esempio Bisanzio e la Chiesa bizantina, la Chiesa di Roma e l’impero romano-germanico di Carlo Magno. - Gli Slavi meridionali si insediarono nei territori bizantini dei Balcani; già durante il regno di Giustiniano avevano compiuto molte incursioni ma alla fine del IV secolo assediarono la città di Tessalonica e di Costantinopoli. - Gli Slavi riuscirono così a prendere il controllo di vaste aree balcaniche che nell’arco di circa un secolo persero le loro caratteristiche greco-latine e assunsero un aspetto rurale. - Alla fine del VII secolo i Bizantini cercarono di recuperare i territori balcanici dove oltre agli Slavi erano penetrati (in Dacia e nella Mesia) i Bulgari; nei Balcani Slavi e Bulgari trovarono il modo di coesistere e le due civiltà si assimilarono tanto che costituirono una formazione politico bulgaro-slava che nel 681 fu riconosciuta da Bisanzio che con questa nuova entità stipulò un trattato di pace. - L’evangelizzazione creò un’altra spaccatura tra gli Slavi e cioè tra quelli che aderirono al Cristianesimo di Bisanzio (Slavia ortodossa) e quelli che invece aderirono al Cristianesimo di Roma (Slavia romana). - La cristianizzazione fu operata da due missionari bizantini conoscitori della lingua slava: Cirillo e Metodio che oltre all’evangelizzazione favorirono la creazione di una lingua liturgica slava che presto avrebbe dato origine anche a una lingua letteraria. 3.6. La riorganizzazione dell’impero bizantino e la ripresa della guerra con i Persiani - Dopo la morte di Giustiniano la sopravvivenza di Bisanzio fu resa possibile dalla riorganizzazione dell’impero attuata dall’imperatore Maurizio (582-602) e dal suo successore Eraclio (610-641). - Maurizio cercò di fronteggiare le minacce nei Balcani, per fare questo ebbe bisogno di tutte le truppe e perciò decise di affidare alle province occidentali (Italia e Africa) la propria difesa affidandole a un governatore militare, detto esarca ai quali vennero assegnati anche compiti amministrativi. - Nel 602 Maurizio venne deposto e ucciso dal sottoufficiale Foca; questo evento causò gravi problemi interni in quanto all’uccisione dell’imperatore seguirono persecuzioni per chiunque avesse appoggiato il governo precedente ed esterni in quanto tutto l’impero mostrò le sue debolezze di fronte ai popoli che pressavano sui confini e specialmente ai Persiani. - Furono proprio i Persiani che, presentandosi come protettori delle minoranze religiose perseguitate, approfittarono della situazione per occupare le province orientali, conquistarono infatti importanti città come Antiochia, Gerusalemme e Alessandria d’Egitto. 21 - Nel 610 Eraclio riuscì a deporre Foca e avviare una profonda riforma militare e amministrativa e cercò di riappropriarsi del potere nelle province orientali dell’Asia Minore che furono divise in circoscrizioni territoriali (i temi) con a capo uno stratega. - Sempre Eraclio ebbe l’idea di legare gli uomini alle terre che difendevano motivandoli appunto con il possesso di tali terre in questo modo oltre ad essere soldati erano pure colonizzatori e piccoli proprietari fondiari. Questo intervento, e qui sta la novità, interessò oltre che i soldati anche ex mercenari, ex schiavi, contadini e immigrati che fuggivano dalle loro terre a causa dell’avanzata persiana. - Tra il 626 e il 630 Eraclio riuscì a sconfiggere definitivamente i suoi nemici grazie all’appoggio della Chiesa, alla ritrovata identità patriottica, civica e religiosa, alla sua audacia e alla sua astuzia. Mentre infatti i Persiani, con il loro numeroso esercito formato da Slavi ed Avari, stavano attaccando Costantinopoli (città però capace di resistere a lunghi e pesanti assedi) Eraclio con il suo esercito si diresse nel cuore dell’impero persiano, la capitale Ctesifonte, e la conquistò facilmente in quanto era rimasta sguarnita delle sue difese. A questo punto Eraclio impose un trattato di pace che prevedeva: - la restituzione di tutti i territori occupati (Armenia, Mesopotamia, Egitto, Siria, Palestina), - il pagamento di un’indennità di guerra, - la restituzione delle reliquie rubate dai Persiani a Gerusalemme. Ristabilito l’equilibrio esterno Eraclio rivolse la sua attenzione ai problemi interni che riguardavano le questioni religiose e soprattutto le tensioni con i monofisiti che rappresentavano una buona parte della popolazione della Siria e della Palestina. Grazie all’aiuto del patriarca Sergio, nel 638 fu elaborata una formula teologica di compromesso tra le soluzioni del Concilio di Calcedonia e le idee dei monofisiti; tale formula affermava l’esistenza di Cristo nelle due nature (umana e divina) come detto a Calcedonia ma le presentava unite da una sola volontà. Questa teoria, essenzialmente eretica, fu approvata anche dal pontefice romano Onorio ma i pontefici successivi capirono la vera natura di tale teoria e la osteggiarono; uno di questi pontefici fu Martino I che per volere di Costante II, nel 653, fu arrestato e deportato a Costantinopoli dove poi morì. - Nel 680 Costantino IV trovò un accordo con il papa Agatone; si decise di tenere due sinodi (uno a Roma e uno a Costantinopoli) per decidere definitivamente sulla questione del Monotelismo. - Alla fine dei sinodi il Monotelismo fu nuovamente condannato a favore delle dottrine elaborate nel 451 a Calcedonia. - L’ostilità dei monofisiti costò però cara ad Eraclio, questi infatti delusi dall’imperatore, confidando nella loro tolleranza religiosa, accolsero con favore gli Arabi che conquistarono la Siria e la Palestina nel 638 e l’Egitto nel 640. 3.7. La funzione storica di Bisanzio Eraclio fu uno dei più grandi imperatori bizantini, ,a non riuscì a contenere l’inarrestabile avanzata araba che segnò la perdita di moltissimi territori; alla fine dell’VIII secolo del grande impero bizantino restavano solo i territori dell’attuale Turchia, la Tracia orientale e i territori italiani scampati alla conquista longobarda. 22 4.3. Gregorio Magno e l’evoluzione politica dei Longobardi I Longobardi capirono ben presto quanto importante fosse un cambiamento; divenendo proprietari terrieri e dovendo sempre temere un attacco bizantino sentirono il bisogno di un ordinamento statale e politico più stabile e per realizzare questo obiettivo finirono per imitare il modello romano. - Al re furono conferiti maggiori poteri e questo, per poterli mantenere, cercò l’appoggio dell’episcopato cattolico e della popolazione romana. - Un primo passo verso questa direzione fu compiuto da Autari che nel 584 ripristinò l’autorità regia; la prima cosa che fece fu costituire un insieme di beni della Corona requisendo metà delle terre dei duchi; per limitare il potere dei duchi istituì la figura dei gastaldi che inizialmente avevano il compito di gestire i beni imperiali. - Ad Autari successe Agilulfo (590-616) che governò durante il pontificato di Gregorio Magno (590-604) un papa dai rigidi usi monastici che per primo assunse l’appellativo di servus servorum Dei (servo dei servi di Dio) ancora oggi titolo ufficiale dei Papi. - Gregorio Magno aveva una personalità molto forte e decisa e divenne presto un punto di riferimento per tutti i vescovi occidentali; la Chiesa romana infatti era debole a causa dalla lontananza dal potere imperiale ma Gregorio volle cercare di ridarle autorità addirittura staccandosi dall’impero e facendo riacquistare al papato il ruolo di guida universale della Chiesa. - Per attuare questo suo progetto Gregorio si interessò di tutti i problemi (sia spirituali, organizzativi e politici) che affliggevano l’Occidente e per far questo cominciò un intenso scambio epistolare sia con i vescovi che con i laici, scrisse opere di edificazione religiosa e di ammaestramento al clero. - Per dare un’impronta unitaria a tutta la Chiesa occidentale Gregorio Magno riordinò la liturgia romana, introducendo anche i canti che da lui hanno preso il nome (gregoriani), organizzò un’intensa missione di evangelizzazione a livello europeo tra i pagani e gli ariani (Visigoti e Longobardi) che ebbe come risultato più importante il battesimo del re inglese Etelberto. Tra le sue attività ci furono anche quelle legate alla difesa di Roma sostituendosi all’autorità imperiale; non mancarono infatti le occasioni durante le quali salvò la città dagli attacchi dei duchi longobardi facendo appello sia al suo prestigio che alle sue risorse finanziarie. La Chiesa possedeva molte risorse finanziarie che provenivano dallo sfruttamento di immensi patrimoni fondiari che Gregorio riorganizzò e utilizzò per assistere la popolazione romana e sostenere le attività missionarie in tutta Europa. 4.4. La fine del regno longobardo Solo un anno prima della sua morte, nel 603, Gregorio Magno riuscì ad assistere al battesimo con rito cattolico dell’erede di Agiulfo, Adaloaldo. Questo fu possibile perché la regina Teodolinda era cattolica e cercò di far diffondere tra il suo popolo questa religione anche se al battesimo non seguì una conversione di massa come si sperava. - I duchi restarono sempre molto legati ai loro riti tradizionali e ciò comportò la creazione di due schieramenti, quello filo-cattolico e quello nazionalista, e l’alternarsi al trono di re cattolici e ariani. 25 - Al cattolico Adaloaldo per esempio seguì l’ariano Rotari (636-652) il quale fece mettere per iscritto le antiche leggi longobarde (editto di Rotari) e riprese con forza l’offensiva contro i Bizantini conquistando i territori liguri. - Uno tra i più importanti sovrani longobardi fu però il cattolico Liutprando (712- 744); durante il suo regno i Longobardi si convertirono definitivamente al cattolicesimo, si superò la divisione etnica tra Longobardi e Romani e si operò un’apertura dell’ordinamento giuridico. - Questa forte coesione interna e i contrasti tra la Chiesa di Roma e Costantinopoli favorirono la decisione di Liutprando di conquistare tutta la penisola italiana; i Longobardi invasero la Pentapoli e l’Esarcato giungendo fino alle porte di Roma qui però papa Gregorio II gli andò incontro e lo convinse a desistere dai suoi propositi e fare un passo indietro. - Liutpando accettò ma invece di riconsegnare le terre ai Bizantini nel 728 le consegnò alla Chiesa romana dando inizio al potere temporale dei papi. - Con Liutprando e poi con Astolfo (749-756) tutti gli uomini liberi e dotati di reddito rientravano nella tradizione militare nel senso che tutti, sia Longobardi che Romani, dovevano prestare servizio militare. - Si realizzò anche un avvicinamento tra mondo longobardo e Chiesa cattolica infatti quasi tutti i vescovi erano scelti tra l’aristocrazia longobarda che, per avere le simpatie della Chiesa, fondava e proteggeva monasteri ed elargiva cospicue donazioni. Una piena convergenza tra potere regio ed episcopato però non si realizzò mai a causa della ferma decisione della Chiesa di Roma di mantenere il proprio carattere universale non volendo perciò entrare a far parte e subire l’influenza del regno nazionale dei Longobardi. - Fu questo uno dei motivo che fecero incrinare i rapporti tra queste due entità sotto il regno di Astolfo e di Desiderio (756-774); Desiderio aveva attuato un progetto espansionistico di grande portata e poiché la Chiesa non aveva le forze per contrastarlo chiamò in suo aiuto il popolo dei Franchi guidati prima da Pipino il Breve (754-756) e poi da Carlo Magno. La scelta di chiamare in aiuto i Franchi fu una mossa politica; i re Franchi non erano certo più religiosi dei Longobardi ma i sovrani longobardi fecero l’errore gravissimo di intralciare i disegni politici della Chiesa cosa che impedì qualsiasi tipo di conciliazione. 4.5. L’Italia bizantina Dopo l’invasione longobarda dell’Italia molti proprietari romani e membri del clero si rifugiarono nei territori rimasti sotto il controllo dei Bizantini e anche in questi territori il ceto dominante subì molte trasformazioni. - I modelli culturali pian piano si avvicinarono a quelli dell’aristocrazia longobarda che, a sua volta, non potè fare a meno di subire, a partire dal VII secolo, le influenze della civiltà bizantina. - Il problema cruciale a cui dovettero trovare una soluzione gli occupanti dei territori bizantini fu quello della difesa; il governo centrale non aveva le risorse militari da inviare in Italia perciò l’aristocrazia che prima aveva potuto condurre una vita agiata e oziosa si trovò costretta ad assumersi obblighi militari e a contribuire economicamente al sostentamento dell’esercito. - I Bizantini avevano perso molti territori e quelli che erano rimasti sotto il loro controllo data la loro distanza avevano molte difficoltà di comunicazione; ben presto sorsero sentimenti regionalistici e i militati inviati da Bisanzio strinsero rapporti con l’aristocrazia del luogo creando una nuova classe di proprietari. - Questa nuova classe sociale strinse rapporti con la Chiesa che affidava a membri laici del ceto dirigente latino la gestione dei suoi immensi patrimoni fondiari stringendo con essi rapporti di tipo clientelare. 26 4.6. Le origini dello Stato della Chiesa Alla fine dell’VIII secolo a Roma si ebbero importanti sviluppi politici e sociali infatti ebbe fine la dominazione bizantina e si instaurò il dominio pontificio che si rafforzò con l’appoggio dei Franchi. Questo cambiamento fu reso possibile grazie all’operato dei molti pontefici che si impegnarono a estendere il loro potere su tutto il Lazio stringendo saldi legami clientelari con l’aristocrazia sia romana che bizantina. - Il senato di Roma divenne il luogo dove si riuniva l’aristocrazia cittadina fedele al papa; questi uomini davano al pontefice un sostegno politico-militare e si facevano carico dell’organizzazione burocratica del nuovo Stato nascente. - Nel 754 il papa Stefano II soppresse la carica del duca bizantino a Roma, ormai solo formale, e istituì quella di patrizio dei Romani (patricius Romanorum) che affidò per la prima volta a Pipino il Breve. - A Roma l’autorità militare prevalse su quella civile e anche i membri del ceto dei proprietari fondiari furono inquadrati nell’esercito a seconda del loro prestigio sociale. - Le nuove famiglie aristocratiche cercarono di consolidare sempre di più il loro potere attraverso il controllo delle cariche vescovili che venivano assegnate ai membri di queste famiglie e che acquisivano perciò un valore politico. CAPITOLO 5 Il mondo arabo e il Mediterraneo 5.1. Il più grande impero del Medioevo Durante il VII secolo nella distesa desertica dell’Arabia si verificarono i primi eventi che avrebbero portato alla nascita della nuova religione dell’Islam. L’Islam fu anche un’ideologia capace di saper creare una forte coesione tra i popoli nomadi del deserto che in poco tempo poterono lanciarsi alla conquista di innumerevoli territori creando un vasto impero che si estese dalla Spagna all’Asia. - L’avanzata araba in Europa ha avuto una grande importanza e questo fu notato per la prima volta dallo storico Henri Pirenne il quale nella sua tesi afferma che durante le invasioni dei Germani le città romane avevano mantenuto i loro caratteri fondamentali (centri di scambio, attiva vita politica) e il Mediterraneo aveva continuato ad essere un fattore di unità tra i popoli. - Le cose cambiarono del tutto con l’arrivo degli Arabi infatti il Mediterraneo non fu più unito e in Occidente si assistette alla scomparsa delle città, al ritorno di un’economia prevalentemente agraria. - Alcuni studiosi hanno contestato la tesi di Pirenne; Paolo Delogu ha osservato che a determinare la crisi dell’urbanesimo e dei commerci non fu l’arrivo degli arabi ma in generale l’acuirsi di una crisi già in atti da tempo; Alphons Dopsch 27 4. Il quarto pilastro è il pellegrinaggio alla Mecca, almeno una volta nella vita; questo pellegrinaggio ha una funzione purificatrice e serve a rinsaldare ancora di più la fede. 5. Il quinto pilastro è l’elemosina legale che consiste nel versare un decimo del proprio reddito; con i soldi ricavati si aiutano i fratelli indigenti. A questi 5 pilastri alcuni gruppi di musulmani ne aggiungono un sesto: la guerra santa (jihad) che ha una doppia valenza infatti, oltre a indicare la guerra vera e propria per diffondere l’Islam indica anche la lotta personale di ogni credente contro se stesso e le sue cattive inclinazioni. I successori di Maometto usarono il tema della jihad per inviare i musulmani alla conquista del mondo mascherando il tutto come tentativi di far convertire gli infedeli. 5.5. La comunità musulmana delle origini e il califfato elettivo Il merito di Maometto fu quello di sapere dare una continuazione agli aspetti tipici della società araba (come, ad esempio, la pratica della razzia, la poligamia, il pellegrinaggio e il culto) riuscendo allo stesso tempo a superare i molti particolarismi delle tribù che furono organizzate e riunite intorno a un’unica fede e a un unico potere politico centrale. Quando Maometto arrivò a Medina si fece costruire una casa che ben presto divenne centro di preghiera e riferimento per tutti i convertiti della città, gran parte degli abitanti tranne gli Ebrei che successivamente furono cacciati. - Da Medina Maometto organizzò diversi attacchi e razzie alle carovane che partivano dalla Mecca così i Quraishiti tentarono, senza aver fortuna, di fermare Maometto con le armi. Avendo fallito nel 629 permisero a Maometto di fare un pellegrinaggio alla Kaaba e poi, a tappe molto vicine tra loro, si avvicinarono al profeta, si convertirono e l’11 gennaio 630 gli aprirono le porte della città. - Da questo momento il numero dei convertiti tra le tribù beduine crebbe in maniera esponenziale e anche i Cristiani accettavano di pagare una tassa per continuare a professare la loro religione usufruendo pero della protezione dei musulmani. - Nel 632 Maometto morì e alla sua morte sorsero subito dei contrasti tra i suoi seguaci per decidere chi avrebbe preso il suo posto e sarebbe diventato il suo “sostituto” (khalifa, califfo). - Questo califfo avrebbe avuto il compito delicatissimo di reggere la comunità islamica facendo riferimento allo spirito e agli insegnamenti del Profeta; la scelta cadde si Abu Bakr, suocero di Maometto e membro influente dei Quraishiti. - Poiché Abu Bakr non fu accettato da tutte le tribù si verificarono delle defezioni e delle rotture interne ma questi seppe far fronte a tutte le difficoltà e ristabilire l’ordine in meno di un anno tanto che già nel 633 aveva già organizzato delle spedizioni militari verso la Siria e l’Iraq. - Nel 634 anche Abu Bakr morì e per circa un decennio il problema della successione fu risolto eleggendo persone facenti parte dello stretto gruppo di parenti e compagni di Maometto (periodo del califfato elettivo); le tensioni erano però molto forti e ben tre califfi furono assassinati. - Il genero di Maometto, Alì sentendosi poco sicuro in Arabia spostò la sua sede a Kufa ma anche lui fu deposto perché accusato di omicidio. Alì tentò di resistere con un gruppo armato, detti sciiti, che lottò contro la maggior parte dei musulmani, detti sunniti. 30 - Nel 661 morì violentemente e con lui finì il periodo del califfato elettivo e del regime esclusivamente teocratico e iniziò una nuova fase caratterizzata da forme organizzative più complesse. 5.6. La prima fase dell’espansionismo islamico Le lotte per la successione a Maometto non avevano fermato l’espansionismo dei musulmani ma anzi lo avevano esaltato perché i successi militari oltre che portare alla casse dei musulmani ingenti bottini sopiva le tensioni interne. In circa vent’anni gli Arabi sconfissero definitivamente i Persiani e privarono i Bizantini di gran parte dei loro territori africani e siriani. - L’espansionismo arabo ebbe questi risultati anche perché sia i Persiani che i Bizantini erano particolarmente deboli dopo le continue lotte tra di loro e anche perché l’impero bizantino attraversava in quel periodo una grave crisi interne sia per motivi religiosi che amministrativi. - Man mano che i territori conquistati aumentavano si capiva bene come la società di uguali sognata da Maometto non poteva realizzarsi: i vecchi clan familiari ripresero vitalità, i capi tribù e di clan acquisivano sempre più potere e vantaggi materiali. - I non arabi convertiti all’Islamismo inoltre avevano un trattamento diverso rispetto agli arabi musulmani: dal punto di vista religioso e fiscale non c’erano differenze ma non potevano entrare a far parte dell’esercito, non potevano perciò aver parte ai bottini né all’assegnazione delle terre. - Agli inizi del VIII secolo per motivi militari la situazione cambiò; i progetti espansionistici erano molti e c’era bisogno di soldati così fu permesso il reclutamento di questi credenti che venivano pagati con uno stipendio. - La dominazione araba era accettata da tutti i popoli sottomessi anche perché non era molto gravosa; Ebrei e Cristiani per esempio pagavano due tasse agli arabi ma poiché non erano gravose e inoltre potevano conservare la loro organizzazione sociale e religiosa non ci furono mai problemi. - Anche al governo dei territori conquistati restarono i vecchi funzionari che venivano affiancati da esponenti dell’amministrazione araba; a capo di ogni provincia fu posto un governatore (l’emiro), un corpo di guardie, un giudice e un funzionario per il settore finanziario che aveva il compito di amministrare i bottini e controllare l’entrata di tutte le tasse pagate dagli infedeli e delle elemosine pagate dai musulmani. - Il ruolo del califfo andò rafforzandosi sempre di più e molti di essi cercarono di istaurare una successione ereditaria; un primo tentativo fu fatto dal terzo califfo eletto durante il periodo del califfato elettivo: Othman (644-656) del clan degli Omayyadi. - Othman favorì l’ascesa verso ruoli importanti ai vertici dello Stato dei membri del suo clan per averne l’appoggio; per assicurarsi anche l’appoggio dei guerrieri procedette con l’assegnazione a questi delle nuove terre conquistate stringendo perciò con essi legami clientelari. - La famiglia degli Omayyadi perse il potere dal 656 al 660 ma una volta deposto Alì detennero iniziò la lunga serie dei califfi omayyadi (660-750). 5.7. La ripresa dell’espansione islamica e la crisi della dinastia omayyade La stabilizzazione del potere regnante coincise con una forte ripresa delle spinte espansive e il rafforzamento dell’apparato statale, ordinamento che di tentò di applicare a tutti i territori conquistati. - Durante il governo di questa dinastia la capitale fu spostata a Damasco, in Siria, per pressare sempre di più l’impero bizantino e dei problemi interni legati al vitalismo dei clan furono risolti. 31 - Gli Arabi cercarono inoltre di espugnare Costantinopoli assediandola sia via terra che via mare ma non ci riuscirono e anzi nel 677 i Bizantini distrussero la flotta araba; la capitale bizantina però fu molto indebolita da questi ripetuti attacchi. - Nel frattempo altri Arabi si spinsero nel Mediterraneo orientale occupando le isole di Cipro, Creta e Rodi e infine giunsero anche nel Mediterraneo occidentale. - Anche l’Africa non fu risparmiata dall’espansionismo arabo: tutta la parte settentrionale fu conquistata in meno di 50 anni; Cartagine cadde nel 698 e nel 711 gli Arabi giunsero a Gibilterra, penetrarono in Spagna e dopo soli 5 anni erano già in Gallia. Qui però furono fermati nel 732 nella battaglia di Poiters e successivamente rinunciarono a penetrare ancora in Europa e si ritirarono in Spagna. - Altro fronte di conquiste durante il califfato degli Omayyadi fu quello dell’Asia centrale e dell’India; anche qui la popolazione si convertì velocemente all’islamismo e l’arrivo degli Arabi favorì lo sviluppo dell’urbanesimo e dei commerci. - Proprio in Asia però scoppiarono delle rivolte che furono fatali per la dinastia omayyade, queste nacquero in seguito alla difficile convivenza tra i nuovi convertiti e gli Arabi che concentravano nelle loro mani tutte le ricchezze. 5.8. L’avvento degli Abbasidi e l’apogeo della civiltà araba Nel 747 si verificò un’insurrezione armata che determinò la fine della dinastia degli Omayyadi; questa fu ideata dalla famiglia degli Abbasidi i cui membri si ritenevano i legittimi successori di Maometto in quanto discendenti dallo zio paterno del Profeta. - Grazie all’appoggio degli sciiti conquistarono il potere e per prima cosa spostarono il centro dell’impero dalla Siria all’Iraq e qui al-Mansur, primo grande esponente della famiglia abbaside, fondò nel 762 la capitale Bagdad. - Le novità apportate da questa nuova dinastia furono molte; prima di tutto si procedette con la riorganizzazione dello Stato su un nuovo modello di assolutismo orientale. - Il califfo non fu più considerato semplicemente un sostituto di Maometto ma il rappresentante terreno di Dio stesso; il potere effettivo fu ceduto ai funzionari che riuscirono ad arricchirsi notevolmente. - Uno di questi funzionari era il visir che era il responsabile dell’amministrazione centrale dello Stato. - Dai cambiamenti non fu risparmiato nemmeno l’esercito; i reclutamenti non furono più fatti in base alle tribù visto che ormai era alta la percentuale di mercenari iraniani, berberi e turchi. Il fatto di limitare il predominio militare dei soli Arabi aveva come scopo quello di far affermare l’uguaglianza di tutti i musulmani di fronte allo Stato. - I capi militari (amir) dell’esercito davvero molto importanti e influenti tanto che alcuni di loro si misero alla guida di movimenti secessionistici; per frenare tale tendenza fu istituita un’altra figura quella dell’emiro degli emiri: un capo supremo dell’esercito. - Gli Abbasidi posero molta attenzione all’affermazione di un’unica lingua araba poiché questa avrebbe riflettuto l’unità religiosa e culturale oltre ad essere un mezzo di comunicazione tra tutti i popoli entrati nell’orbita islamica. - Proprio durante il dominio degli Abbasidi si verificò un’eccezionale fioritura della cultura in nuovi campi: medicina, filosofia, fisica, astronomia e matematica mentre la produzione artistica espressa ad esempio nell’architettura sia civile che religiosa ebbe il massimo sviluppo durante la dominazione degli Omayyadi. - Lo sviluppo culturale andò di pari passo con quello economico; il settore trainante fu quello agricolo che si perfezionò sempre di più grazie a molte 32 CAPITOLO 6: 2)La nascita dell’ Europa Economia e società nell’Alto Medioevo 6.1. Il paesaggio e l’ambiente Tra il VI e l’VIII secolo l’Occidente cristiano attraversò un periodo involutivo che colpì tutti i settori della società. I segni di questo processo furono evidenti: le campagne furono abbandonate, molte città scomparvero e quelle rimanenti videro ridursi la propria estensione visto che gli abitanti preferirono radunarsi nelle zone cittadine meglio difendibili. Oltre alle città scomparvero i numerosi villaggi che i romani avevano costruito lungo le maggiori reti viarie che, a causa della mancata manutenzione, si deteriorarono; le vie non furono più curate poiché non c’era bisogno di utilizzarle visto che i commerci e gli scambi tra le diverse città cessarono quasi del tutto. Questo generale stato di abbandono interessò anche l’ambiente: glia argini dei fiumi non furono più curati, le paludi avanzarono e molte terre non furono più coltivate. 6.2. Il bosco tra realtà e rappresentazione mentale In seguito all’abbandono dei terreni si verificò una dilatazione delle foreste soprattutto nelle regioni al di là del Reno. Le foreste per le popolazioni dell’Alto Medioevo ebbero molta importanza sia materiale ed economico ma anche nell’ambito dell’immaginario. Per quanto riguarda l’importanza materiale si deve dire che la foresta era: - fonte di cibo infatti la caccia era praticata liberamente e inoltre le persone raccoglievano i frutti che nascevano spontaneamente; - la foresta inoltre dava la legna, essenziale per riscaldarsi, costruire case, mobili e attrezzi; - in alcune foreste venivano portati gli animali a pascolare. - Il bosco però rappresentava anche un luogo misterioso e meraviglioso; si immaginava che tra la penombra degli alberi vivessero streghe, mostri ma anche eremiti e santi e questo fece sì che proprio nei boschi venissero ambientate storie sia magiche che agiografiche. 6.3. Il calo demografico Tra il V e l’VIII secolo perciò l’assetto sociale, economico e culturale dell’antichità cambiò radicalmente; sia città che campagne si spopolarono e tra i centri abitati si crearono grandi spazi vuoti. 35 - A questo punto però non si arrivò improvvisamente ma attraverso un lento declino avviatosi già nel II-III secolo a cui si era cercato inutilmente di porre rimedio attraverso l’accoglimento dei Germani all’interno dei confini dell’impero. - La decadenza fu causata anche da un insieme di fattori che combinati tra loro crearono una situazione molto critica: guerre e devastazioni arrivarono insieme alle pestilenze, come la tubercolosi, la peste e la malaria, e alle carestie e proprio queste impedirono un rapido ripopolamento. - Una guerra lasciava la popolazione in uno stato si fragilità; se poi all’abbassamento del tasso di natalità si aggiunge il fatto che molti erano debilitati spiega la facile via al contagio di malattie e delle ondate epidemiche. - La crisi demografica non ebbe ovunque la stessa gravità; in Italia raggiunse il massimo mentre nelle fredde regioni dell’Europa orientali si avvertì meno anche perché le temperature rigide ostacolavano un rapido diffondersi delle malattie. 6.4. La centralità della campagna Le città in buona parte provvedevano ai propri bisogni con le risorse prodotte all’interno delle mura o nelle zone suburbane; a risentirne furono i commerci e gli scambi tra le città che comunque, specialmente in Italia, non si interruppero mai del tutto. - Nonostante ciò la realtà che si affermò in questo periodo fu quella della campagna. La produttività agricola subì un calo radicale a causa del carattere rudimentale degli attrezzi e alla perdite delle conoscenza tecniche; inoltre le città ormai spopolate non ebbero più bisogno di grandi quantità di prodotti. - Ogni famiglia cercava di produrre da sé tutto ciò di cui aveva bisogno perciò coltivava diversi terreni anche distanti tra loro. - Gli storici hanno individuato come alcune città era circondato da tre zone concentriche caratterizzate da una produttività che diminuiva più ci si allontanava dal centro abitato. A ridosso della città c’erano infatti gli orti e i vigneti, subito dopo c’era la zona adibita alla coltivazione dei cereali dove, dopo il raccolto, pascolavano gli animali, e infine c’era la fascia dei prati e dei boschi per praticare il pascolo, la caccia, la pesca e la raccolta di frutti e legna. - Gli orti davano spesso molti prodotti mentre la produzione cerealicola era abbastanza scarsa; l’allevamento inoltre era praticato ma con molte difficoltà visto che nell’area mediterranea il terreno era arido e il clima secco. - Nell’area mediterranea il terreno dopo il raccolto veniva fatto riposare per un anno (rotazione biennale); ogni terreno veniva diviso in due parti così da alternare la semina con il riposo; nella parte a riposo (maggese) venivano fatti pascolare gli animali. - Le famiglie contadine vivevano in uno stato di povertà e praticavano un’economia di sostentamento che impediva qualsiasi tipo di arricchimento o miglioramento delle condizioni di vita. 36 6.5. L’organizzazione della curtis Durante questo periodo la maggior parte dei contadini non era proprietaria né della terra che coltivava né degli animali che allevava; quasi tutti vivevano in una condizione servile. - All’inizio della crisi demografica i grandi proprietari terrieri capirono che gli uomini da schiavizzare erano sempre più in calo così decisero di accasarli, cioè dare loro in gestione un pezzo di terra e di una casa in modo che potessero sostentarsi autonomamente. - Questi contadini erano tenuti a corrispondere al proprio padrone parte del raccolto e alcune giornate lavorative (le corvée) oltre che delle prestazioni in natura come polli, uova o utensili. - Concessioni di terre furono fatte anche a favore dei contadini liberi ai quali però veniva chiesta una quota minore del loro guadagno; quando la crisi statale si fece più grave questi coloni divennero piccoli proprietari e la grande proprietà si venne articolando in terre date in concessione ai coloni liberi o di condizione servile (pars massaricia) e in terre gestite direttamente dal proprietario (pars dominicia). - Le due parti insieme anche a boschi, prati e terre incolte formava la curtis costituita perciò da tutti i beni che facevano capo al padrone. 6.6. Il ruolo delle prestazioni d’opera - Per capire la consistenza effettiva del fenomeno delle prestazioni d’opera bisognerebbe analizzare con cura i polittici, cioè gli inventari dei grandi monasteri dove venivano annotate le proprietà e le attività in essa svolte. - Sintetizzando potremmo dire che dagli studi storici compiuti si è arrivati alla conclusione che si cercava di stabilire un certo equilibrio tra le terre date in affitto e quelle date in conduzione diretta, nel senso che l’estensione di queste ultime era in rapporto al numero di prestazioni d’opera, su cui era possibile fare affidamento. - Ogni curtis poi gestiva questo problema in modo diverso, secondo le proprie necessità. - L’integrazione tra riserva e massaricio fu l’espressione caratteristica dell’economia curtense che non fu, come si crede, interamente votata per l’autoconsumo poiché le eccedenze venivano vendute in cambio di utensili o trasportate in altre curtis di proprietà dello stesso signore. 6.7. Le origini dei poteri signorili Il padrone delle terre deve essere chiamato signore; esso aveva pieni poteri sui suoi servi che gli dovevano obbedienza. - In origine la condizione degli schiavi era ben diversa da quella dei coloni liberi; con la diffusione del Cristianesimo (nonostante la Chiesa non condannò mai la schiavitù) le loro condizioni migliorarono e gli fu concesso di farsi una famiglia e possedere qualche bene. - I proprietari fondiari divennero invece protettori dei loro dipendenti e cercarono di far valere anche la giustizia: organizzavano la difesa del territorio, decidevano in merito a piccole controversie, prestavano sementi o grano per far fronte alle carestie. 37 Pipino di Heristal, Carlo Martello e Pipino il Breve riuscirono a fondare solide basi all’unità politica dei Franchi e ciò fu possibile oltre che per le loro doti politiche per l’intuizione delle enormi potenzialità sia politiche che militari insite nell’istituto della clientela armata. I Franchi, come tutti i popoli germanici avevano sempre avuto un’attitudine alla guerra che non si attenuò nemmeno quando si trasformarono in proprietari terrieri; far parte dell’esercito era una prerogativa e un dovere di tutti gli uomini liberi. - Alcune minoranze guerriere nel corso dell’VIII secolo si erano anche specializzate imparando nuove tecniche militari provenienti dall’oriente, come il combattimento a cavallo grazie all’introduzione della staffa che dava al cavaliere più stabilità. Di questi gruppi facevano parte giovani guerrieri appartenenti alla nobiltà che restavano accanto al loro capo militare che concedeva loro delle terre in cambio del loro giuramento a prestare servizio militare. - Questo tipo di concessione delle terre ai guerrieri non differiva in nulla dalla stessa concessione delle corvée ai contadini con la sola differenza che il servizio reso dal contadino era considerato vile e senza valore mentre i servizi militari resi dai guerrieri erano considerati prestigiosi. - La società franca era impregnata di valori militari così ben presto si formalizzarono i caratteri di una vera e propria cerimonia che formalizzava l’ingaggio del cavaliere;durante questa cerimonia definita «dell’omaggio» il giovane guerriero (vassus) giurava fedeltà e si legava al suo signore con un vincolo di fedeltà. - La ricompensa per questi servizi e per la fedeltà data fu usato il termine di «feudo» che prima indicava gli animali e poi invece cominciò a indicare i beni fondiari; la concessione delle terre avveniva durante un’altra cerimonia, quella dell’investitura. - Ogni cavaliere oltre ad avere abilità e buone caratteristiche fisiche doveva avere anche un armamento efficace come cavalli, armature pesanti e armi resistenti. - Per avere tutto questo era necessario avere molto denaro ed è per questo motivo che poterono diventare vassalli e guerrieri solo i membri delle ricche famiglie aristocratiche. - Al tempo di Carlo Martello i Pipinidi puntarono su un grande ampliamento delle clientele vassallatiche e provvedevano loro stessi all’armamento giovandosi dell’immenso patrimonio che avevano a loro disposizione. Oltre che nominare e dotare di armi nuovi cavalieri Carlo Martello ingaggiò anche membri dell’aristocrazia che potevano da soli fronteggiare le spese per il loro armamento. Questo sistema di clientele politico-militari creò attorno ai Pipinidi un vasto aggregato di alleati che non si opposero quando Pipino spodestò dal trono l’ultimo esponente della dinastia merovingia. 7.3. La ripresa dell’espansionismo franco e la conquista dell’Italia I Franchi avevano perciò un forte potere militare che Pipino il Breve, una volta salito al trono, sfruttò subito per iniziare la sua espansione in Europa. - Il primo popolo che i Franchi sconfissero fu quello dei Longobardi; come ben sappiamo i Longobardi si trovavano in Italia e proprio nell’VIII secolo, guidati dal re Astolfo, stavano cercando di completare la conquista di tutti i territori rimasti in mano ai Bizantini. I longobardi fecero l’errore di avvicinarsi troppo ai possedimenti della Chiesa; il pontefice Stefano II nel 754 infatti, sentendosi minacciato, si recò in Francia a chiedere aiuto a Pipino. 40 - Stefano II conferì a Pipino il titolo di patrizio dei Romani che aveva il significato di protettore della Chiesa romana. - Pipino non si fece convincere subito anche perché a corte c’era un forte partito filo longobardo che era capeggiato dal fratello del re (il monaco a Montecassino) e che si oppose a un intervento franco. - Nel 755 Pipino decise di avviare la spedizione militare e subito fu palese la differenza tra l’esercito potente e ben organizzato dei Franchi e quello formato da uomini liberi dei Longobardi. Quest’ultimo fu letteralmente travolto dalle schiere franche alla Chiusa di San Michele, l’esercito si rifugiò poi a Pavia ma cadde dopo un breve assedio. - Pipino strappò ad Astolfo la promessa di cedere al papa tutti i territori Bizantini che avevano conquistato e la città di Ravenna ma appena si allontanò dall’Italia Astolfo si rimangiò la promessa e attaccò Roma. - Pipino fu allora costretto a intraprendere una nuova missione nel 756 e questa volta sconfisse definitivamente Astolfo il quale fu costretto a cedere gli ex territori bizantini alla Chiesa. Anche dopo questa seconda missione Pipino non richiese nulla in cambio e onorò solamente il suo titolo di protettore della Chiesa tanto che il successore di Astolfo, re Desiderio mostrò propositi pacifici volendo stringere rapporti di amicizia con i Franchi. - A sancire questi nuovi rapporti tra i due popoli furono i matrimoni dei due figli di Pipino (Carlomanno e Carlo) con le due figlie di Desiderio (Gerberga e Ermengarda): la pace durò circa 15 anni durante i quali morirono il papa, Pipino e Carlomanno. - Carlo, rimasto erede, ripudiò la moglie e scacciò la vedova e i figli del fratello; questi tornarono da Desiderio che per vendicarsi attaccò i territori pontifici e la stessa Roma causando di nuovo l’intervento dei Franchi chiamati dal nuovo papa Adriano I. - Anche questa volta i Franchi ebbero la meglio:nel 773 Carlo confisse i Longobardi e dopo aver assediato Pavia per dieci mesi costrinse Desiderio a seguirlo in Francia come prigioniero. Il figlio Adelchi provò a fare qualcosa ma nulla potè contro la potenza franca e fu costretto a cercare rifugio in Oriente mentre invece i duchi longobardi si sottomisero senza opporre resistenza al vincitore al fine di poter mantenere i loro patrimoni. - Nel 776 però, in seguito a un tentativo di rivolta dei duchi, Carlo inviò propri funzionari, conti e vassalli franchi che assicurarono al sovrano un maggior controllo sul territorio italiano. 7.4. Le altre conquiste di Carlo Carlo oltre che sul fronte italiano fu impegnato anche su altri fronti sia interni (imporre l’autorità regia su Borgogna e Provenza) che fuori dai confini franchi. - Nel 778 con un ingente esercito si recò verso la Spagna con l’obiettivo di mettere fine alla minaccia musulmana dei Mori e dei Saraceni ma dopo la vittoria a Pamplona fu costretto a tornare indietro per fronteggiare una rivolta dei Sassoni. Durante la ritirata il suo esercito cadde in un’imboscata dei Baschi presso Roncisvalle dove persero la vita molti cavalieri tra cui il leggendario Rolando la cui sofferenza di Carlo fu menzionata negli Annales regni Francorum. - Nell’801 Carlo intraprese una nuova spedizione in quei territori e nell’813 riuscì a creare il nuovo distretto della Marca hispanica comprendente la Navarra e la Catalogna. - Negli anni tra la prima e la seconda spedizione Carlo aveva affrontato dei problemi a Nord e a Est del suo regno: a Nord infatti i sassoni mostravano una fiera resistenza all’autorità franca e alla diffusione del Cristianesimo. Carlo era riuscito a piegare i nobili ma non la grande massa di contadini che si 41 mantennero in armi per molti anni. Solo nell’804 finalmente si raggiunse una situazione pacificata e si potè dare un nuovo ordinamento ecclesiastico. - Nella parte orientale in concomitanza con la rivolta sassone c’era stata la rivolta della Frisia e della Baviera rivolte che persero subito vigore dopo la sconfitta dei sassoni; nel 788 Carlo incorporò al suo regno Frisia, Baviera, Carinzia e Austria. - Con queste annessioni il regno franco aveva raggiunto notevoli dimensioni estendendosi in tutta l’Europa centrale, in Spagna, nell’Italia centrale, nel bacino dell’Elba. Le molte spedizioni militari e missionarie ebbero come risultato quello di stabilizzare i confini del regno e favorire la diffusione del Cristianesimo. 7.5. L’incoronazione imperiale di Carlo Magno Carlo aveva radunato alla sua corte molti uomini di cultura e questi gli fecero capire quanto importante fosse il suo ruolo e quanto grande fosse diventato il suo potere; questi gli fecero acquisire una nuova ideologia del potere assimilabile a quella degli imperatori dell’antica Roma. - Anche la Chiesa romana man mano che il suo potere cresceva glia attribuiva prerogative e benefici che prima erano dell’imperatore d’oriente; Carlo si sentiva molto vicino all’ideologia romana, cercava di imitare il grande Costantino e come lui fondò una capitale, Aquisgrana ispirandosi ai modelli urbanistici delle antiche città romane; nonostante ciò negli atti ufficiali continuava a usare i titoli ufficiali di «Re dei Franchi, re dei Longobardi, patrizio dei Romani». - Sul finire dell’VIII secolo si verificarono degli eventi che sancirono il suo ruolo e che diedero un solenne riconoscimento alla sua autorità; dal 797 il trono bizantino aveva perso molta della sua dignità a causa dell’ignobile gesto dell’imperatrice Irene che, per avere il potere, aveva fatto accecare e imprigionare il suo stesso figlio Costantino VI. - Ai vertici della massima istituzione politica cristiana ci fu perciò un vuoto che si aggiunse alla debolezza del papato retto dal 795 dal contestatissimo Leone III; il 25 aprile 799 il papa fu imprigionato in un monastero dal quale fu liberato solo dopo l’intervento di due missi franchi. - Dall’Italia raggiunse Carlo in Germania e dopo aver implorato il suo aiuto ritornò sotto la scorta in Italia; il re stesso decise di scendere in Italia, arrivò il 34 novembre dell’800 e organizzò per il 1°dicembre un’assemblea di prelati dove si giudicò il pontefice che alla fine dei lavori, il 23 dicembre, fu giudicato innocente. - Il 25 dicembre, durante la Messa di Natale papa Leone III pose sul capo di Carlo una corona mentre il popolo romano lo acclamava gridando la frase: «A Carlo augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore dei Romani, vita e vittoria!». - Questo episodio ebbe un grande eco e oggi gli storici si chiedono di chi sia stata l’iniziativa ma di certo in quell’800 Carlo Magno era di certo superiore al papa; Carlo inoltre già da tempo si sentiva pronto a ricevere il titolo di imperatore e il papa non era di certo in grado di imporgli o negargli nulla. - Alcuni problemi si presentarono quando a Costantinopoli fu deposta Irene e rileggittimato il potere imperiale con l’elezione di Niceforo; tra i due imperi scoppiò un vero e proprio conflitto che si risolse nell’812 quando il nuovo imperatore Michele I riconobbe a Carlo il titolo imperiale in cambio dei territori della Dalmazia e dell’Istria. - Risolti i problemi con l’impero bizantino restarono da chiarire quelli con il papato: Carlo aveva il compito di difendere la cristianità occidentale dai pagani, assicurare stabilità all’apparato ecclesiastico e assicurare la diffusione della dottrina cristiana nei suoi domini; il papa avrebbe invece pregato per la 42 Carlo Magno ristabilì l’antica disciplina e negli anni a lui successivi Ludovico il Pio impose ai monasteri la regola di san Benedetto; la riforma religiosa previde anche un progetto che mirava ad elevare il livello culturale dei monaci e dei chierici attraverso delle scuole presso le chiese e i monasteri dove vennero insegnate le arti del trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia), la teologia, il canto gregoriano e il diritto ecclesiastico. A queste scuole vennero ammessi anche gli esponenti delle famiglie nobili che in futuro avrebbero avuto di certo carriere come funzionari pubblici anche se Carlo aveva il desiderio di aprire le scuole a tutti i suoi sudditi. 7.9. La rinascita carolingia Ad Aquisgrana , sempre per desiderio di Carlo, si costituì la Schola palatina, un cenacolo di intellettuali per la maggior parte ecclesiastici e di avria cultura che si riunivano per discutere insieme e che istruirono i figli dei funzionari di corte. Di questa accademia fecero parte illustri intellettuali come Paolo Diacono, Pietro da Pisa, Clemente Scoto e lo storico Eginardo il quale scrisse la biografia di Carlo Magno. - Uno strumento assai importante per la ripresa degli studi fu la nuova scrittura carolina che per la sua semplicità si diffuse velocemente in tutta Europa mettendo fine al particolarismo grafico che aveva imperato fino ad allora. - Carlo Magno ebbe il merito di aver dato il via alla rinascita culturale dell’Europa (ridefinita appunto “rinascita carolina”), rinascita che non si arrestò con la sua morte perché il cuore pulsante erano le scuole e non i dotti, non era più un solo centro ma un fenomeno diffuso in tutta Europa. CAPITOLO 8 La crisi dell’ordinamento carolingio e lo sviluppo dei rapporti feudali 8.1. Le difficoltà della successione imperiale Carlo Magno fu di certo un sovrano carismatico ma il persistere di elementi di origine franca costituirono sempre degli elementi di debolezza della sua costruzione politica; Carlo sapeva che quello della sua successione sarebbe stato un grande problema così nell’806 divise i suoi domini tra i tre figli senza però nominare il successore al titolo imperiale; così: 1. al primogenito Carlo assegnò gran parte della Francia e i domini orientali- 2. a Ludovico (il Pio) l’Aquitania 3. a Pipino l’Italia e la Baviera. A evitare ogni incertezza intervenne la morte prematura di Carlo e Pipino così nell’814 fu Ludovico a ereditare il titolo e tutti i domini dal padre. - Ludovico aveva un carattere diverso dal padre e molto più incline a ricercare in ogni aspetto della vita, e perciò anche nell’ambito del potere imperiale, un carattere sacro; di conseguenza durante il suo regno la collaborazione tra Stato e Chiesa divenne sempre più stretta. - Anche lui si preoccupò della sua successione poiché non voleva mettere in crisi l’unità dell’impero; nell’817 dichiarò suo erede il figlio Lotario mentre agli altri due figli destinò il dominio su territori periferici: a Pipino l’Aquitania e la marca spagnola e a Ludovico, detto poi il Germanico, la Baviera. - Lotario venne subito associato al governo e mandato in Italia dove iniziò ad emanare capitolari e nell’824 impose al papato la Constitutio romana con la quale si stabiliva che il papa, dopo essere stato eletto dal clero, avrebbe dovuto giurare fedeltà all’imperatore prima di essere consacrato. - Ludovico, con il suo carattere debole e poco intraprendente, non riuscì a fronteggiare le richieste dei figli minori; ne seguirono tensioni e scontri che videro infine tutti e tre fratelli ribellarsi al padre. Ludovico cercò di allargare la 45 sua base di consenso concedendo nuovi benefici ai vassalli facendo impoverire sempre di più il patrimonio del fisco. Anche la Chiesa ebbe un comportamento ambiguo perché da un lato sanciva l’indivisibilità del sacro impero dall’altro però l’arcivescovo di Lione, Agobardo, affermò pubblicamente che quando un imperatore non fosse più stato in grado di governare e garantire stabilità e pace sarebbe stato compito del pontefice intervenire al suo posto. Questa affermazione fu gravida di conseguenza in quanto creò le premesse per gli interventi anche in campo politico della Chiesa. Nell’840 Ludovico il Pio morì e la situazione precipitò a causa degli scontri tra Lotario e i fratelli Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo (succeduto a Pipino); l’alleanza dei due fratelli ebbe la meglio su Lotario che nell’843 fu costretto ad accettare il trattato di Verdum che sanciva la divisione dell’impero: 1. a Carlo il Calvo andò la parte occidentale (Neustria, Aquitania e marca spagnola), 2. a Ludovico il Germanico la parte orientale (Carinzia, Baviera, Alemannia, Turingia e Sassonia, 3. a Lotario la parte centrale (nord Italia, Provenza, Borgogna, Lorena e Olanda) e il titolo imperiale che però era privo di ogni validità fuori dai suoi confini. 4. Lotario si trovò inoltre a dover governare territori molto diversi tra loro, poco omogenei sia culturalmente che linguisticamente; morì nell’855. 5. A Lotario succedette il figlio Ludovico II che morendo nell’876 lasciò il suo regno e la corona allo zio Carlo il Calvo che regnò fino all’884. 6. Poiché né Ludovico II né Carlo avevano lasciato eredi il figlio di Ludovico il Germanico, Carlo il Grosso, potè di nuovo riunire sotto il suo controllo tutto l’impero che aveva conquistato Carlo Magno. 7. Purtroppo Carlo il Grosso non fu capace di fronteggiare le incursioni dei Normanni, gli intrighi di corte tessuti dall’aristocrazia; il suo carattere debole lo indusse ad abdicare nell’887 e ritirarsi in un monastero dove morì l’anno dopo. 8. La parte orientale con la dignità imperiale andò ad Arnolfo di Carinzia; la Francia andò al conte di Angers, re Oddone; il regno d’Italia fu attribuito al marchese del Friuli Berengario il quale era lontanamente imparentato con i Carolingi. 8.2. La dissoluzione dell’ordinamento pubblico Questa volta la dissoluzione dell’impero sembrò veramente definitiva visto che, al contrario delle altre volte in cui si verificarono delle fratture territoriali, la crisi interessò l’intera organizzazione dell’impero e a tutti i livelli. - Il potere centrale faceva ormai troppa fatica a frenare i poteri locali, i feudi e le stesse cariche erano diventate ereditarie; si crearono delle piccole realtà anche all’interno delle contee che sfuggirono al controllo del conte il quale riuscì a mantenere una certa autorità solo nei territori del feudo e suoi possedimenti privati. - L’unico mezzo che i conti avevano per dare stabilità al loro potere erano i rapporti vassallatici ma spesso superavano i confini delle loro circoscrizioni creando tensioni con le grandi signorie monastiche e vescovili che però tendevano ad espandersi molto forti dell’immunità di cui godevano. - Queste immunità creavano Stati nello Stato e causarono la nascita di signorie più o meno ampie all’interno delle quali i titolari svolgevano tutti i compiti di un vero e proprio sovrano (potere militare, fiscale, giudiziario, amministrativo, legislativo). - Per indicare queste nuove realtà dell’Europa tra il IX-X secolo si usa l’espressione di «signoria bannale» (banno= potere di comando per una finalità pubblica); spesso grandi proprietari terrieri esercitavano abusivamente i poteri 46 di comando poiché non avevano mai ricevuto deleghe dal re né dai suoi funzionari. Questa grande debolezza dell’amministrazione carolingia era stata causata dal carattere rudimentale del suo ordinamento; il sistema dello stipendio ai funzionari in un regno ancora povero di risorse monetarie aveva infatti indotto i sovrani a ricompensare con le terre i suoi funzionari ma non si era tenuto in conto che ogni funzionario si sarebbe radicato in quel territorio cercando di sottrarlo al patrimonio regio. Tale processo tra la fine del IX secolo e l’inizio del X subì un’accelerazione a causa delle migrazioni di nuovi popoli e delle incursioni dei Saraceni sulle coste francesi e italiane. 8.3. Le invasioni degli Ungari La formazione dell’impero franco non aveva fermato le migrazioni dei popoli seminomadi che continuavano a spostarsi nelle zone che non avevano ancora una sistemazione etnico-territoriale. - Durante la seconda metà del IX secolo nell’area che si estendeva dal Baltico fino al Mediterraneo dalla Russia centrale arrivarono gli Ungari; tra l’895 e l’896 di stanziarono in Pannonia (l’attuale Ungheria) e da lì partivano per compiere incursioni predatorie sia nell’Europa carolingia sia in Germania, in Francia (nel 937 raggiunsero Parigi) e in Italia (nell’899 devastarono Pavia e nel 947 giunsero fino in Puglia); nel X secolo gli Ungari si spinsero fino in Spagna e in Belgio. - Le formazioni politiche nate dopo la dissoluzione dell’impero furono del tutto inadeguate a far fronte alla minaccia di questo popolo e, poiché non avevano risorse militari, cercarono di fermarli offrendogli denaro e cercando di indirizzarli verso territori nemici. - I monasteri, privi di difese e ricchi di beni, furono i più colpiti da questi saccheggi mentre le città non subirono gravi danni poiché i nemici non sapevano organizzarsi per pore la città in assedio per lunghi periodi. - La minaccia degli Ungari finì quando in Germania Ottone I riorganizzò il regno di Germania e li sconfisse in una battaglia presso Augusta (955) e quando tra il popolo ungaro si diffuse la religione cristiana (la conversione fu sanzionata nel 1001) che ebbe il merito di dare una forte limitazione alla loro spinta espansionistica. 8.4. Le incursioni dei Saraceni Un’altra minaccia all’Europa cristiana arrivò dai Saraceni; questi dopo aver completato la conquista della Sicilia nel 902 iniziarono ad attaccare e compiere razzie in tutto l’Occidente. - Il territorio che venne letteralmente investito dalle razzie arabe fu l’Italia che pagava il prezzo per la sua fragilità causata dalla disgregazione politica; i Saraceni furono liberi di creare emirati a Bari e Taranto, in queste basi costruivano insediamenti fortificati e poi da lì partivano per le loro incursioni. - Mete preferite delle razzie erano le abbazie ricche di oggetti preziosi e le città costiere anche se nemmeno quelle nell’entroterra erano al sicuro se si pensa che arrivarono a saccheggiare Capua, Isernia e la stessa Roma nell’846. - Nelle città i Saraceni andavano alla ricerca di Giovani e donne che poi rivendevano come schiavi nei mercato arabi. - Molte città dell’Italia meridionale per fermarli accettò di pagare pesanti tasse; solo con molta fatica le flotte di Gaeta, Napoli e Amalfi si allearono e riuscirono a ottenere due vittorie a Gaeta e a Ostia rispettivamente nell’846 e nell’849. Nonostante ciò ancora nel XII secolo nuclei di pirati saraceni erano attivi in tutto il Mediterraneo. 47 occuparsi delle questioni materiali tralasciando le attività spirituali e religiose per dedicarsi a intessere rapporti di vassallaggio. - Alcuni membri del clero arrivarono al punto di assegnare in feudo le stesse risorse della Chiesa, interferivano nella gestione patrimoniale dei monasteri; i vescovi inoltre avevano il controllo su molte chiese infatti la legislazione canonica prevedeva che il proprietario di una chiesa avesse solo il dovere di presentare al vescovo il chierico che lui aveva scelto ma sia le funzioni di carattere religioso (come i programmi dell’attività pastorale) sia i compiti inerenti all’amministrazione dei beni settavano al vescovo. - Nella realtà invece al vescovo restava poco o nulla dei vecchi compiti in quanto poteva opporsi alla scelta dei laici solo in caso di apparente indegnità del candidato; le chiese si sentì forte l’ingerenza dei laici, questo fenomeno si manifesto però anche a livelli più alti visto che re e principi non esitavano a imporre propri prescelti alla guida di diocesi e abbazie per assicurarsi un solo sostegno. In Italia e Germania al tempo di Ottone I alcuni vescovi vennero addirittura nominati conti e furono così direttamente coinvolti in affari di natura temporale. - I successori di Lotario riuscirono a controllare anche il papa; Ludovico II esercitò un diretto controllo sulla stessa elezione dei pontefici ma si scontrò con il carattere energico e deciso di Niccolò II (858-867) il quale cercò, senza però ottenere risultati degni di nota, di far nuovamente affermare il primato della Chiesa sui poteri temporali. Il papato era troppo debole e pressato da due fronti: il potere imperiale da un lato e quello dell’aristocrazia romana dall’altra. CAPITOLO 9 L’Italia fra poteri locali e potestà universali 9.1. La frantumazione politica dell’Italia All’interno del complesso quadro socio-politico dell’Europa nel X secolo l’Italia mostrò caratteri particolari; nei suoi territori si verificarono tutti i fenomeni esistenti nel resto dell’Europa ma ciò che la caratterizzò fu la coesistenza di localismo (esasperato particolarismo politico) e universalismo (presenza di autorità con funzioni universali). Il quadro politico della penisola era molto frammentato in quanto esistevano diverse entità sul piano giuridico-politico:  l’Italia settentrionale e quella centrale formavano il Regno d’Italia a cui fu pure associata la dignità imperiale;  Puglia, Basilicata, Calabria meridionale e parte della Campania erano inserite nell’impero bizantino;  i territori meridionali (ducato di Benevento, Salerno e Capua) erano in mano ai Longobardi.  nel 902 gli Arabi avevano completato la conquista della Sicilia. I territori italiani divennero perciò luogo di scontro tra l’impero bizantino e quello germanico che si contendevano il controllo sui territori longobardi . La sovranità bizantina sui ducati di Gaeta, Napoli e Amalfi era teorica poiché si erano insediate delle dinastie locali che per difendere i loro domini non avevano esitato ad allearsi con i Saraceni. Il papato inoltre costituiva un elemento di grande complicazione nel quadro politico italiano poiché il papa oltre a rivendicare la sua funzione universale si ostinava a voler mantenere la sua signoria su Lazio, Marche e Umbria. 50 In Italia si sentì forte anche la minaccia araba i quali, dopo aver completato la conquista della Sicilia, si spostavano in tutto il Mediterraneo occidentale e nel Mezzogiorno d’Italia. 9.2. Il Regno d’Italia Il Regno d’Italia dopo la deposizione di Carlo il Grosso fu attribuito al marchese del Friuli Berengario, il primo di una lunga serie di re che si susseguirono in modo rapido e caotico. Nell’889 contro di lui si mosse il duca di Spoleto Guido il quale riuscì a sconfiggerlo e ad appropriarsi dell’ormai inutile titolo di imperatore. - Nell’894 gli successe il figlio Lamberto che riuscì a mantenere il potere per soli quattro anni a causa delle pressioni sia di Berengario il quale non aveva mai rinunciato a riconquistare il titolo sia del re di Germania, Arnolfo di Carinzia, al quale si rivolse papa Formoso (891-896) per sottrarsi dalla pressione che Lamberto esercitava sui domini pontifici. - Arnolfo fu riconosciuto re dai feudatari italiani e incoronato imperatore dal papa nell’896, purtroppo fu colpito da paralisi e Lamberto potè continuare a governare fino all’898, anno della sua morte. - Berengario allora riprese le sue attività e intraprese una disastrosa spedizione militare contro gli ungari; la sua sconfitta lo rese debole e i suoi nemici gli contrapposero Ludovico di Provenza. - Tra i due nacque una forte rivalità alimentata dalla nobiltà italiana che in base ai bisogni del momento accettava l’autorità una volta di uno e una volta dell’altro. - Nel 905 per Berengario iniziò un periodo fortunato: riuscì a porre fine a questa situazione sconfiggendo Ludovico e rispedendolo in Francia, sconfisse i Saraceni nel 915 e ottenere dal papa Giovanni X la corona imperiale. - Nel 924 questa parabola in ascesa ebbe fine e Berengario fu sconfitto definitivamente da Rodolfo di Borgogna; questi nel 926 fu scalzato da Ugo di Provenza che detenne il potere fino la 946 grazie all’appoggio dei marchesi di Toscana. - Il suo progetto di dare contenuto effettivo al titolo imperiale però causò malumori tra i feudatari che allora gli contrapposero il marchese di Ivrea Berengario che aveva anche l’appoggio del re di Germania Ottone I di Sassonia. - Ugo fu sconfitto e nel 950 Berengario fu incoronato re d’Italia; l’anno successivo Adelaide (la vedova di Lotario, figlio di Ugo) si rivolse a Ottone I perché era perseguitata da Berengario. Ottone I colse l’occasione per inserirsi nelle vicende politiche italiane così nel 951 sposò la donna e scese in Italia dove tutti i feudatari, compreso Berengario, gli fecero atto di sottomissione. Berengario potè mantener il regno come vassallo ma qualche anno dopo cercò di riconquistare la sua indipendenza approfittando degli impegni militari di Ottone in Germania. - Il papa Giovanni XII, sentendosi minacciato, chiese aiuto a Ottone che nel 961 tornò in Italia e sconfiggendo definitivamente Berengario e cingendo sia la corona regia che quella imperiale. 9.3. Il papato in balìa dell’aristocrazia romana Il papato senza il sostegno del potere imperiale aveva perso il suo ruolo privilegiato all’interno della Cristianità occidentale; ben presto si provò a dover fronteggiare l’aristocrazia romana che divenne arbitra dell’elezione papale, che perse la sua dignità, e usurpava il patrimonio fondiario della Chiesa mentre la città di Roma diventava sempre più povera e spopolata. - In quel periodo a Roma aveva grande influenza la famiglia dei conti di Tuscolo; Marozia, un’appartenente di questa famiglia, nel 932 aveva sposato il re d’Italia 51 Ugo di Provenza sperando che il figlio di questa, Giovanni XI, potesse fargli ottenere la corona imperiale. - Il fratello del papa, Alberico, promosse però una rivolta popolare per fermare questa incoronazione e fino al 954 governò sapientemente la città e il papato con il titolo di «principe e senatore dei Romani». - Alberico non permise a nessun sovrano di entrare a Roma per essere incoronato come imperatore per cui l’impero dal 924 era rimasto vacante; solo suo figlio, salito al seggio pontificio con il nome di Giovanni II, permise nel 962 a Ottone I si ricevere da lui la corona imperiale. Ottone tuttavia nel 963 lo fece dichiarare decaduto da un sinodo. 9.4. Ottone di Sassonia e la restaurazione dell’impero Per Ottone di Sassonia essere incoronato imperatore rappresentava il coronamento di una lunga e intensa attività politico-militare intrapresa prima di lui da suo padre, Enrico Uccellatore (919-936). - Ai tempi di Enrico il regno di Germani era costituito dai ducati di Sassonia, Franconia, Svevia, Baviera e Lorena; non si sa con certezza se questi territori avessero una comune base etnica ma quel che è certo che i funzionari pubblici e l’aristocrazia riuscirono a dar vita a grandi formazioni politico-territoriali e a far nascere nella popolazioni una coscienza di appartenenza popolare. - Durante il regno di Ottone, nel X secolo, la coscienza nazionale tedesca si radicò ancor di più anche perché Ottone si impegnò ad esercitare la sua autorità in modo omogeneo in tutti i ducati e inoltre mise dei suoi familiari a capo dei ducati anche se a volte la sua fiducia fu mal ricompensata con rivolte che sempre riuscì a sedare. - Un altro grande appoggio di cui si giovò Ottone fu quello dei vescovi che il re coinvolse nel governo delle contee e delle città dotandoli anche di nuclei armati e in cambio chiese maggiore rigidità dei costumi religiosi e la ripresa degli studi nelle abbazie e nei monasteri. - Il re si configurò come vero capo religioso della Chiesa tedesca in quando aveva piena libertà nella nomina di vescovi e abati che venivano scelte tra i membri delle famiglie a lui più fedeli. - L’incoronazione a Roma nel 962 fu paragonata dai contemporanei a quella di Carlo Magno poiché si ripresentarono le condizioni per la ricostituzione di un saldo impero basato su uno stretto connubio tra Stato e Chiesa, sulla ripresa di un’attività culturale, religiosa e su un riordinamento dell’apparato statale. Come fu anche per l’impero carolingio il nuovo impero trasse ispirazione dall’universalismo dell’antica Roma a dalla missione di protettori della Cristianità e del papato. 9.5. La politica italiana degli Ottoni Ottone risedette in Italia dal 961 al 964, negli anni di questa sua permanenza cercò di risollevare le condizioni del papato avvilito dai troppi anni senza una guida forte e in mano all’aristocrazia romana. Per prima cosa depose Giovanni XII e si prese l’incarico di garantire la correttezza dell’elezione papale. - Nel 966 Ottone ritornò in Italia e rimase per ben sei anni; nel 967 fece incoronare imperatore il figlio Ottone II e dopo si diresse verso sud per conquistare i territori longobardi e bizantini. - Con i Longobardi non ebbe grosse difficoltà visto che i principi di Benevento e Capua si riconobbero suoi vassalli; diversa storia ci fu per Bari infatti nel 968 fu sconfitto e intavolò delle trattative con l’imperatore orientale Niceforo Foca che non ebbero però alcun risultato positivo. Altre trattative si svolsero con il successore di Niceforo, Giovanni Zimisce, il quale nel 972 riconobbe il titolo a 52 dirigente locale, potenziarono ancor di più l’efficiente struttura amministrativa e cercarono di far diffondere i modelli culturali e spirituali del mondo bizantino. - Tutto questo fu messo il atto con il solo obiettivo di dare stabilità alla dominazione bizantina nel sud Italia che di certo appariva molto diverso se confrontato alle formazioni politiche post-carolinge. CAPITOLO 10 Splendore e declino di Bisanzio 10.1. La grecizzazione dell’impero Alla fine dell’VIII secolo i territori bizantini corrispondevano a circa un terzo del territorio del tempo di Eraclio (610-641); le perdite a causa degli attacchi arabi, slavi, longobardi e bulgari erano state molte e solo a partire dal IX secolo le dinastie bizantine iniziarono con rinnovato vigore una politica espansionistica per ritrovare l’antico splendore. Nel periodo più buio comunque vennero attuate diverse riforme come:  quella amministrativa: per dare una struttura organizzata al territorio devidendolo in temi con a capo uno stratega,  quella territoriale, per distribuire in maniera razionale i possedimenti,  quella militare, i soldati (stratioti) erano allo stesso tempo colonizzatori e proprietari delle terre,  quella sociale, venne favorita la nascita di una classe di contadini liberi che potevano godere di piccole proprietà. 55 L’impero bizantino doveva preoccuparsi di difendere i propri confini e si chiuse nelle sue frontiere, perse le sue pretese di universalismo e acquistò un carattere più orientale tanto che anche la lingua ufficiale non fu più il latino ma il greco. Il titolo imperale non fu più imperator, Caesar o augustus ma basileus; nell’ambito del diritto ci si rivolse alla giurisdizione orientale e si attuò sempre più frequentemente una compenetrazione tra vita civile e religiosa. 10.2. La controversia sul culto delle immagini Nelle province orientali dell’impero bizantino (le più influenzate dal Giudaismo e dall’Islamismo) si generò la controversia iconoclasta, la lotta contro il culto delle icone raffiguranti Cristo, la Vergine e i santi poiché la venerazione di immagini veniva considerato peccato di idolatria. - Queste province sapevano che la loro posizione periferica e perciò in prima linea contro gli attacchi esterni era importante e cercarono di sfruttare la situazione per avere più autonomia dal potere centrale. - Quando al trono salì Leone III l’Isaurico (771-741) gli iconoclasti ebbero esaudite parte delle loro richieste; nel 726, nonostante l’opposizione del patriarca di Costantinopoli e del papa Gregorio III, con un decreto proibì il culto delle immagini nelle icone e ordinò la distruzione di affreschi e mosaici raffiguranti immagini sacre. - Anche il figlio Costantino V (741-775) proseguì la strada intrapresa dal padre e questo perché anche lui aveva capito che l’appoggio delle province orientali era decisivo per la stabilità del potere imperiale. - Le loro scelte in realtà non furono errate visto che grazie all’appoggio dei territori periferici l’impero riuscì a fermare l’invasione araba e arrestare la crisi dell’impero. 10.3. La fine dell’iconoclasmo e le oscillazioni della politica sociale Nel 784 la politica degli imperatori isaurici ebbe fine poiché fu nominato un imperatore iconodulo, cioè favorevole al culto delle immagini e nel 797 il VII Concilio di Nicea condannò definitivamente l’iconoclasmo come eresia. Un ritorno dell’ideologia iconoclasta si ebbe con Leone V in modo però non vigoroso e solo nell’843 Michele III si richiamò formalmente al concilio del 787 riaffermando la leicità del culto alle immagini. Questo evento non a caso coincise con l’attenuarsi del pericolo arabo e con la ripresa della grande proprietà terriera ad opera di funzionari e burocrati, di membri del clero, dei vertici militari e dei mercanti. - L’imperatore Niceforo Foca (963-969) al contrario dei suoi successori emanò leggi a favore delle potenti famiglie aristocratiche, alla quale lui stesso apparteneva, e agevolò il concentramento delle terre nelle mani di pochi proprietari. - I suoi successori Giovanni Zimisce e Basilio II ripresero una politica antinobiliare; questi cercarono di tenere l’aristocrazia sotto pressione ma un dat6o era ormai evidente e cioè che la maggior parte delle terre erano in mano ai grandi proprietari. - Nell’impero bizantino comunque non si ebbe il completo trasferimento dei poteri ai signori poiché l’esistenza di un efficiente apparato pubblico rendeva sempre necessaria la presenza dello Stato. 10.4. Il rafforzamento del potere imperiale e la ripresa dell’espansione territoriale La posizione dell’imperatore bizantino dall’VIII al IX secolo aveva attraversò un periodo molto positivo; l’imperatore vide aumentare di molto i suoi poteri in quanto era il rappresentante di Dio sulla terra, capo dell’esercito e dell’amministrazione, garante della giustizia, difensore della Chiesa e della fede. - Il rapporto tra Stato e Chiesa divenne molto stretto: l’imperatore decideva anche sull’elezione del patriarca, legiferava in materia di fede; tutto questo non portò mai 56 a veri e proprio scontri come in Occidente perché qui il potere imperiale era riconosciuto maggiore rispetto a quello della Chiesa. - Un ulteriore rafforzamento del potere imperiale si ebbe anche durante la dinastia macedone; questi imperatori ebbero molti successi militari grazie al rafforzamento della flotta e alla riconquista di molti territori che avevano perso in passato come Creta, Edessa, la Siria, il Libano e la Palestina. - I membri della dinastia macedone riscosse molti successi militari anche sul fronte settentrionale dei Balcani minacciato dalle invasioni dei Russi. Romano Lecameno riuscì a superare questo momento stringendo delle alleanze grazie alle quali riuscì ad accerchiare i Bulgari che furono definitivamente sconfitti nel 1014 da Basilio II. 10.5. La concorrenza e lo scisma tra Chiesa greca e Chiesa romana La cristianizzazione degli Slavi e delle altre popolazioni pagane nei Balcani corrispondeva ad un ampliamento dell’influenza politica di Bisanzio; il fatto che la conversione dei popoli pagani fosse legata all’aumento dell’influenza politica non era un fatto nuovo visto che la Chiesa romana con l’appoggio dei Franchi stavano attuando la stessa strategia e proprio per questo motivo entrarono in contrasto. - Un vero e proprio conflitto scoppiò per il controllo della Chiesa bulgara; le due Chiese si accusarono a vicenda di superare la propria area di influenza e ben presto il dibattito si spostò all’ambito teologico e più precisamente alla questione del «Filioque». - Il patriarca di Costantinopoli Fozio scomunicò il papa Niccolò I perché a Roma durante la recita del Credo si professava che lo Spirito Santo derivasse sia dal Padre che dal Figlio mentre il Concilio di Nicea del 325 aveva postulato una derivazione solo dal Padre. - Per rimettere la pace l’imperatore Basilio I convocò un concilio nell’869-870 durante il quale si decretò la deposizione di Fozio e la sottomissione a Bisanzio della Chiesa bulgara. - I contrasti di natura religiosa per alcuni anni furono sopiti ma ripresero violentemente nel corso del XI secolo quando alla guida delle due Chiese si trovarono due prelati molto intransigenti: Leone IX a Roma e di Michele Cerulario a Costantinopoli. - Nessuno sforzo di conciliazione si ebbe dalle due parti; nel 1054 tre delegati bizantini si recarono a Roma nel falso tentativo di appianare le tensioni e senza nessuna motivazione di apertura tanto che al loro ritorno a Costantinopoli portarono la bolla di scomunica del papa al patriarca che, ovviamente, fece la stessa cosa col papa. - Lo scisma tra le due Chiese si compì senza che però fosse avvertito come un evento traumatico dal mondo cristiano visto che non era la prima volta che si erano verificate tensioni tra i vertici della Chiesa romana e di quella bizantina. 10.6. Economia urbana e produzione artistico-culturale Tra il IX e il X secolo la società bizantina attraversò un periodo di crescita in tutti i suoi settori: politico, amministrativo, economico, commerciale, artistico. - Costantinopoli era la più importante città del Mediterraneo e le altre città bizantine come Efeso, Corinto, Neso avevano ruoli altrettanto importanti. - La capitale, anche per iniziativa degli imperatori, era sede di un’intensa attività intellettuale e artistica; Leone VI, ad esempio, fu filosofo, teologo e giurista mentre Costantino VII Porfirogenito compose opere di carattere storiografico. - Un grande filosofo, teologo, storico e statista bizantino dell’XI secolo fu Michele Psello il quale incoraggiò l’attività delle scuole e fu molto influente a corte. 57 60 CAPITOLO 11: 3)L’apogeo della civiltà medievale Incremento demografico e progressi dell’agricoltura nell’Europa dei secoli XI- XIII 11.1. L’aumento della popolazione 61 Sul finire dell’XI secolo Normanni e Veneziani inflissero un duro colpo all’impero bizantino; era la prima volta dopo la caduta dell’impero romano che l’Occidente tornava alla conquista dell’Oriente. L’Occidente infatti stava crescendo dopo i secoli bui di inizio millennio durante i quali c’era stato un calo demografico e una stagnazione nei processi di evoluzione delle tecniche e degli studi. Superata questa fase il numero della popolazione ricominciò a salire, crebbe il numero delle terre messe a coltura, vennero praticate bonifiche e disboscamenti, vennero ripopolate le città, furono fondati nuovi villaggi e ripresero i commerci. I processi di crescita variarono molto di zona in zona però si può dire che i primi tre secoli del nuovo Millennio registrarono un aumento della popolazione determinato non da migrazioni ma da un netto miglioramento delle condizioni di vita. 11.2. L’ampliamento dello spazio coltivato e del popolamento rurale Come già detto in questo periodo ci fu una grande estensione delle terre coltivate; in aree come quelle italiane e francesi dove gli insediamenti antichi furono più estesi si dovettero solo recuperare aree abbandonate mentre nell’Europa centrale si dovette procedere con più numerosi disboscamenti e opere di bonifica. Nelle aree già popolate la coltivazione veniva praticate nelle zone incolte vicino il villaggio; il proprietario terriero stipulava un contratto (accordi verbali) con il coltivatore secondo il quale concedeva terra, sementi e materiali per consentire l’avvio dell’attività produttiva in cambio di un canone in natura. Nelle zone incolte monasteri, membri del clero e signori laici si impegnarono ad attirare coloni per valorizzare quelle terre e per avere un numero maggiore di uomini sotto il loro controllo. I religiosi più impegnati in quest’opera di colonizzazione furono i certosini e i cistercensi. I membri di questi due ordini monastici ricercavano la povertà e la solitudine e spesso si rifugiavano nelle foreste dove fondavano i loro monasteri; ben presto attorno ai monasteri sorsero dei villaggi di contadini desiderosi di mettersi sotto la guida spirituale dei monaci. Costruzione di nuovi villaggi e borghi non deve però far pensare che le case rurali scomparvero; molti contadini vivevano in dimore di legno sparse per i campi. In alcuni luoghi, come in Toscana, artigiani e mercanti facevano degli investimenti nelle zone rurali promuovendo la costruzione di case coloniche che diventavano il centro di un’azienda agraria che riunificava varie terre. Le zone dove furono possibili maggiori investimenti furono quelle dove lo sviluppo rurale fu più massiccio mentre altre zone più disabitate e meno ricche ebbero uno sviluppo più lento e difficile. 11.3. Le grandi opere di colonizzazione Dissodamenti, disboscamenti e bonifiche in alcuni casi fecero cambiare radicalmente la natura dei luoghi. Un esempio è dato dalle fino allora disabitate terre costiere dei Paesi Bassi; queste erano infatti terre paludose e c’erano molte piccole isole che accoglievano pochi pescatori. Dopo le operazioni di bonifica e la costruzione di dighe e canali di drenaggio, anche per volere dei conti di Fiandra, molte terre vennero recuperate e si potè pensare a uno sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento anche in quelle terre prima invase dalla salsedine. Un altro esempio si ebbe in Germania; qui i principi territoriali incoraggiarono i contadini promettendogli concessioni e libertà a impegnarsi nella valorizzazione delle terre. I principi tedeschi inoltre incoraggiarono anche la conquista di territori orientali fuori dai loro confini, i più attivi colonizzatori furono i duchi di Sassonia e alcuni membri del clero tedesco. 62  la crescita di importanza delle fiere fuori da un ambito prettamente locale. Grazie a questi due fenomeni si creò una certa circolarità tra i rapporti anche se per molto tempo si mantenne la divisione tra due grandi aree, quella mediterranea e quella nordica. L’area mediterranea si articolava a sua volta in tre settori: 1. quello con a capo Costantinopoli, 2. quello comprendente i Paesi musulmani (Spagna, Africa del Nord, Sicilia, Siria), 3. quello dell’Occidente cristiano (Italia, Francia meridionale). L’area nordica invece si articolava in soli due settori: 1. quello atlantico (Irlanda, Inghilterra sud-ovest, Bretagna, Spagna) 2. quello dei mari del Nord (mar Baltico, mare del Nord, canale della Manica). Tra l’XI e il XIII secolo le rotte marittime di queste due aree si integrarono e i prodotti dell’Europa settentrionale poterono arrivare fino all’area mediterranea; molta importanza ebbero le fiere soprattutto quelle di Champagne (Francia). Queste fiere erano dei grandi mercati internazionali che stazionavano in una località per circa due mesi per poi spostarsi; la presenza della fiera garantiva la pace nell’area dove si svolgeva, notevoli guadagni per i commercianti, favoriva l’incontro tra mercanti di diversa provenienza e lo scambio di diversi usi e costumi. I prodotti più ambiti erano i tessuti prodotti nelle Fiandre che poterono essere smerciati nel Mediterraneo anche grazie a nuove rotte marittime attraverso lo stretto di Gibilterra e le coste atlantiche. 12.3. I miglioramenti dei trasporti Oltre a nuove rotte marittime furono introdotti miglioramenti tecnici che resero i viaggi più sicuri e più veloci. Le innovazioni furono molte come ad esempio: - la bussola introdotta nell’area mediterranea dalla Cina, - i portolani: guide di navigazione e descrizioni dei porti, - le carte nautiche, - navi più grandi e più sicure. Per quanto riguarda i trasporti via terra bisogna dire che questi erano quelli più frequenti nonostante le condizioni delle strade non fossero ancora ottimali; il vantaggio stava però nel fatto che la rete viaria si faceva sempre più fitta e rendeva più breve il viaggio permettendo di risparmiare sulle spese. 12.4. Le merci del commercio internazionale Un altro grande cambiamento nel settore commerciale si ebbe anche per quanto riguarda le merci trasportate; non si trasportavano più quasi esclusivamente merci costose e di lusso ma anche merci più ordinarie come i beni alimentari come il grano italiano, il sale della Sicilia, della Sardegna e delle Baleari e il vino greco, francese e italiano. Le grandi città marinare lottavano duramente per assicurarsi il monopolio nel trasporto di queste merci così importanti e di largo consumo. Un grosso passo in avanti fece anche la circolazione delle materie prime per l’industria tessile e dei tessuti come lana e cotone; l’Inghilterra esportava la lana verso l’Italia e le Fiandre mentre il cotone migliore proveniva dalla Siria. Un’altra merce molto richiesta era quella degli schiavi (negri, slavi, turchi, greci), venduti e comprati nei mercati europei e molto richiesti per i lavori domestici oppure come uomini da utilizzare come soldati. 12.5. Il ruolo del mercante L’artefice di un sistema economico unitario fu il mercante; una figura chiave per lo sviluppo dei traffici commerciali durante il medioevo. I mercanti organizzavano i trasporti delle merci che spesso incorrevano in agguati di briganti e pirati, proprio per scongiurare questi rischi e impedire il furto di grandi quantità di denaro venne sempre più spesso utilizzata la lettera di cambio. 65 Il debitore scriveva a un suo corrispondente nella città d’arrivo della merce l’ordine di pagare il suo debito a colui che gli avrebbe presentato la lettera e questi poteva a sua volta girare la lettera a un terzo utilizzandola perciò come denaro vero e proprio. Questo sistema innescò una forma di circolazione fiduciaria riducendo la circolazione della moneta. I rischi della circolazione marittima vennero invece ridotti sia costruendo navi più solide e grandi sia mediante la formazione di convogli gestiti dalla Stato. I mercanti inoltre capirono che per ridurre al minino i rischi una buona soluzione era quella di diversificare i propri investimenti in una sola operazione e in una sola risorsa. Sempre in questo periodo si crearono delle società, soprattutto nelle città marittime, detta commende mediante la quale un mercante in procinto di partire raccoglieva somme e incarichi da vari finanziatori che alla fine della missione avrebbero partecipato alla spartizione dei guadagni. Oltre alla commenda nacquero le societas maris che stipulava contratti non solo per un singolo viaggio ma per un periodo di tempo più lungo e per più operazioni commerciali. Ben presto non furono solo grandi finanziatori a sovvenzionare tali società ma anche piccoli risparmiatori che depositavano nella società delle somme di denaro per ricavarne un interesse fisso dagli utili. Le compagnie marittime cominciarono così a svolgere funzioni di tipo bancario accettando i depositi e facendo prestiti non solo a privati ma a volte anche a sovrani ai quelli chiedevano in cambio facilitazioni commerciali come esenzioni dai dazi tariffe doganali meno care. 12.6. La ripresa della monetazione aurea Lo sviluppo dei commerci rese ormai obsoleto il sistema monetario creato da Carlo Magno poiché esso si basava sulla circolazione di moneta argentea di scarso valore che andavano bene ormai solo per scambi locali ma non per quelli di carattere internazionale per i quali erano necessarie le monete auree bizantine o arabe. Ma anche le monete bizantine e arabe a causa del declino dei due imperi avevano perso stabilità così i mercanti occidentali sentirono il bisogno di dotarsi di una moneta prestigiosa e stabile che potesse circolare dappertutto. L’iniziativa fu presa da Venezia che, nel 1202, coniò una grossa moneta d’argento; a questa iniziativa seguì quella di Firenze e di altre città italiane e francesi che coniarono sempre monete d’argento. La svolta si ebbe nei primi decenni del XIII secolo grazie a Federico II il quale nel 1231 riprese a far coniare monete d’oro (l’augustale) nel Regno di Sicilia; circa vent’anni dopo furono coniati i fiorini a Firenze e il genoino a Genova, nel 1284 lo zecchino a Venezia e alla fine del secolo lo scudo in Francia. 12.7. Artigianato e attività manifatturiere Con intensificazione dei commerci attività artigianali e quelle “industriali” nel settore tessile si legarono molto all’ambiente urbano. I diversi tipi di artigiani (fornai, sarti, fabbri, ferrai, falegnami, ecc) videro incrementare i loro profitti man mano che la popolazione cittadina cresceva e si intensificavano i rapporti con le campagne. Tra il XI e il XIII secolo alcuni artigiani cominciarono a lavorare per una clientela locale ma per un mercato più ampio: ed è qui che si possono rintracciare le origini dell’industria. Il settore di punta dell’industria medievale fu quello tessile, soprattutto quello della lana seguito dalla produzione di manufatti in cotone e in seta. Nell’ambito del settore laniero si sperimentò una nuova organizzazione basata su una serie di tecniche a cui doveva essere sottoposta la lana prima di essere un prodotto finito. 66 Questa nuova organizzazione si basò sull’opificio decentrato e sulla specializzazione produttiva. Il mercante e i suoi agenti consegnavano ad alcune botteghe la lana grezza per le prime fasi della lavorazione (lavaggio, cernita e battitura); da qui il prodotto lavorato veniva affidato ad altre botteghe che effettuavano altre operazioni (slappolamento, cardatura, pettinatura) e così via con altre operazioni che potevano essere svolte anche in case di campagna come la filatura fatta dalle donne. Alla fine il prodotto finito arrivava nelle mani del mercante che lo immetteva nel mercato. 12.8. Gli altri settori produttivi Altri settori che divennero altamente produttivi furono: - quello dei metalli per la produzione di armi e attrezzi, - quello della carta inventata in Cina e portata in Occidente dagli Arabi; i primi produttori italiani furono i Fabriano; - quello della lavorazione del marmo; - quello dell’oreficeria, della lavorazione del vetro e dell’avorio - quello delle costruzioni navali. 12.9. La bottega artigiana e le corporazioni L’unità produttiva di base era costituita dalla bottega artigiana nella quale lavoravano il titolare (maestro), i suoi familiari, i suoi collaboratori (socii) e gli apprendisti (discipuli). I maestri erano ben inseriti nelle struttura economica e sociale della città e partecipavano in parte anche alla vita politica inserendosi in associazioni di categoria conosciute come «corporazioni di arti e mestieri» che avevano l’obiettivo di tutelare gli interessi dei propri membri, di rifornirli di materie prime e di regolamentare i salari cercando ovviamente di tenerli bassi; le corporazioni a volte assumevano i caratteri di vere e proprie confraternite poiché esisteva una mutua assistenza tra i soci. 12.10. Le innovazioni tecnologiche L’innovazione tecnologica di certo più importante nell’XI secolo fu l’utilizzazione dell’energia idraulica mediante i mulini ad acqua. Una maggiore utilizzazione fu possibile grazie all’invenzione dell’albero a camme che trasformava il movimento circolare di una ruota in un movimento che alimentava e azionava meccanismi industriali. Inizialmente l’energia idraulica fu applicata l’industria tessile e in seguito anche a quella del ferro, della carta, del legname. Nel corso del XII fecero la loro comparsa anche i mulini a vento, il filatoio a ruota e il telaio a pedale: tutti mezzi che permisero il miglioramento della produzione. 67 - o con l’iniziativa di un signore feudale che fondava un centro fortificato vicino a un’area commerciale per attirare artigiani e mercanti; - o per l’iniziativa di un gruppo di mercanti che creava un proprio insediamento nei pressi di un castello, di una fortezza o di un’abbazia per averne protezione. Questi nuovi insediamenti si chiamarono borghi che ben presto crebbero sia nelle dimensioni sia nella floridezza economica. Le Fiandre e i territori dell’Italia settentrionale furono le zone più urbanizzate; in Germania lo sviluppo delle attività mercantili diede nuova vitalità alle città romane (Augusta, Ratisbona) esistenti ma incentivò la nascita di nuove città nell’area centro- meridionale (Francoforte, Norimberga), nell’area settentrionale (Brema, Amburgo). Le città tedesche si unirono in una lega che prese il nome di gilda; le gilde erano compagnie di mercanti tedeschi istituite per dare maggiore sicurezza ai viaggi e più stabilità ai commerci. Il tessuto urbano tedesco presentava maglie ancora abbastanza larghe nel territorio soprattutto andando verso est mentre le città fondate dai principi tedeschi erano poche e di piccole dimensioni; solo nel XIII secolo di ebbe un loro notevole ampliamento. Anche in Inghilterra la dominazione romana aveva lasciato dei segni di urbanesimo; una rete di città si riformò in pieno Medioevo anche se si trattò sempre di centri di piccola e media grandezza nelle coste meridionali e occidentali dell’isola. 13.6. Le dimensioni delle città europee del pieno Medioevo Durante le città l’urbanesimo si caratterizzò per il numero delle città e non per la loro grandezza; nessuna megalopoli si formò e solo Parigi, Milano e Firenze agli inizi del Trecento superarono i 100.000 abitanti. In Germania e nelle Fiandre la densità nelle città era minore rispetto a quella delle città italiane visto che ancora in molto vivevano nelle campagne. Le città più numerose erano quelle che avevano una popolazione compresa tra i 30- 50.000 abitanti come Bologna, Pisa, Siena, Padova, Verona, Roma, Bruxelles, Siviglia, Granada, Valencia, Barcellona. 13.7. La società tripartita e la nascita della borghesia La repentina crescita delle città fu causata dall’arrivo di molti contadini dalle campagne che furono attirati dal desiderio di poter sfruttare le nuove opportunità di lavoro che di erano create all’interno delle realtà urbane con lo sviluppo delle industrie tessili. Ad arrivare nelle città furono girovaghi, chierici, artigiani, contadini e uomini di condizione servile che nella città cercavano anche la libertà infatti in molte città tedesche e fiamminghe si stabilì che se un uomo vi avesse risieduto un anno e un giorno senza reclamarlo sarebbe stato considerato un uomo libero. La popolazione urbana era perciò molto varia socialmente ed economicamente e di queste differenze i cittadini erano ben consapevoli e anche orgogliosi visto che questa molteplicità la rendeva viva, articolata, specializzata, attiva e diversa dalla campagna ancora soggetta alla giurisdizione del signore feudale. A questa spinta di cambiamento però si contrapponeva una rigida divisione sociale che faceva capo al IX secolo e che divideva la società in tre ordini: - oratores: coloro che pregavano e predicavano; - bellatores: coloro che combattevano per difendere le chiese e il popolo - laboratores: coloro che lavoravano la terra per sé e gli altri cittadini. Tra il XII e il XIII secolo i giuristi non poterono fare a meno di notare l’esistenza di una classe di borghesi tra i laboratores ma la struttura sociale rimase sempre tripartita in quanto le attività commerciali erano sempre guardate con sospetto e giudizio perché si credeva che i mercanti praticassero pratiche poco etiche come l’usura. 70 La realtà rurale comunque non era del tutto separata ed estranea a quella cittadina se si pensa ad esempio che i contadini si recavano in città per vendere le loro merci o fare acquisti. 13.8. Il movimento comunale nelle città d’oltralpe Tra l’XI e il XII secolo le città europee manifestarono la tendenza a dotarsi di autonomia nei confronti dei signori locali e dei principi; l’esempio più noto è quello dei Comuni italiani ma anche nell’Italia d’oltralpe non mancarono esperienze di questo tipo. Nella Fiandre e nella Francia del Nord questo movimento comunale nacque dall’iniziativa di cittadini che, guidati da personaggi influenti nell’ambito sociale, stipularono tra di loro giuramenti o di pace per mantenere un equilibrio all’interno delle città. Questi cittadini ricevettero dai signori delle concessioni in cambio di denaro o, a volte, facendo ricorso alle armi. Nel XII secolo la monarchia francese adotto la strategia di favorire i comuni che dipendevano dai signori per accaparrarsi il loro appoggio mentre cercava di smorzare le spinte autonomistiche di quei comuni già sotto il suo controllo. In Germania le autonomia cittadine si affermarono grazie all’attività di famiglie di mercanti e di proprietari terrieri; alcune famiglie avevano radicate tradizioni militari, altre tradizioni religiose, commerciali o nobili ma tutte furono accomunate dallo svolgere un ruolo decisivo per aver dato una forte accelerazione al processo autonomistico dei comuni. Nel resto d’Europa il processo fu più lento per la scarsa capacità d’iniziativa della comunità cittadine ma pian piano ovunque si riuscirono ad ottenere maggiori spazi d’autonomia. CAPITOLO 14 Il rinnovamento della vita religiosa e la riforma della Chiesa 14.1. La crisi dell’ordinamento ecclesiastico L’ordinamento ecclesiastico durante il X secolo aveva attraversato un periodo di profonda crisi dovuta alla frantumazione del potere politico e alla conseguente mancanza del suo sostegno: i laici iniziarono a influenzare l’elezione del papa e delle altre cariche ecclesiastiche, i membri del clero trascurarono i loro doveri pastorali e si occupavano dei loro interessi mentre il livello culturale e morale di tutta la Chiesa di abbassava inesorabilmente. A far peggiorare questa situazione contribuirono vari aspetti di corruzione della Chiesa come ad esempio:  la diffusione della simonia: questa era una procedura di vendita delle cariche religiose infatti sovrani, vescovi e signori non esitavano ad accettare denaro da chi volesse acquistare la dignità ecclesiastica;  il problema dei chierici sposati: tale fenomeno si diffuse molto nell’Italia meridionale a causa degli influssi della Chiesa greca che invece ammetteva il matrimonio dei preti. La crisi della Chiesa fu sentita molto dalla popolazione che negli uomini di Chiesa aveva sempre riposto fiducia; le manchevolezze di questi ultimi furono perciò avvertite come molto gravi e imperdonabili sia dai grandi signori che dai semplici fedeli. La Chiesa però aveva le energie intellettuali per capire la natura di quei fenomeni e cercarne la soluzione tanto che al suo interno nacque un movimento di riforma destinato a imprimere un volto nuovo all’assetto organizzativo ecclesiastico. 71 14.2. Cluny e la riforma dei monasteri I primi segni di rinnovamento si manifestarono all’interno dei monasteri, i luoghi dove nonostante la crisi l’attività di studio e di riflessione teologica non era mai cessata. Nel corso del X secolo all’interno di alcune realtà monastiche si sperimentarono nuove forme di convivenza fraterna che riducevano al minimo i condizionamenti esterni. L’esperienza che si rivelò più feconda fu quella del monastero francese di Cluny, fondato nel 910 da Guglielmo d’Aquitania e dall’abate Bernone; a Cluny venne applicata rigorosamente un’organizzazione di tipo centralistico nel senso che i monasteri non erano autonomi l’uno dall’altro e dovevano sottostare alla sola autorità dell’abate e del vescovo ma molti monasteri erano sotto la guida del solo abate di Cluny. Questo si faceva aiutare dai priori e così poteva garantire uniformità di governo e minori condizionamenti dall’esterno. L’abate di Cluny inoltre godeva di immunità ed era dipendente direttamente dal papato; novità importanti si ebbero anche in campo culturale e religioso infatti il lavoro manuale fu completamente eliminato dai compiti dei monaci che ebbero così più tempo per dedicarsi sia alla lettura giornaliera dei salmi, delle sacre scritture, delle vite dei santi sia per partecipare alle funzioni liturgiche, ai culti dei santi, alla distribuzione dei pasti ai poveri. Preghiere, riti e opere di misericordia erano i concetti su cui si fondava l’abbazia; l’obiettivo era di creare una comunione universale tra vivi e defunti, benefattori e amici. Molti monaci si dedicavano allo studio e all’attività letteraria volta a comporre opere utili all’edificazione morale di laici ed ecclesiastici. Il prestigio dell’abbazia di Cluny si diffuse presto in tutta Europa e il suo modello organizzativo fu imitato da altri riformisti; il monachesimo cluniacense era caratterizzato però dalla grandiosità dei riti e degli edifici e dalla grande disponibilità economica, tutti elementi che spinsero alcuni uomini a ricercare delle forme di spiritualità più vicine all’ideale originario del Vangelo. 14.3. L’eremitismo e la nascita di nuovi ordini religiosi Nei primi secoli dopo Cristo alcuni uomini sentirono l’esigenza di isolarsi completamente dalla società dando vita a quel fenomeno conosciuto con il termine di eremitismo. Intorno all’anno Mille questo fenomeno riprese vigore proprio come una forma di religiosità più vicina all’ideale evangelico di povertà e semplicità. All’inizio alcuni uomini decisero di vivere lontano dalle città ma ben presto questi venivano raggiunti da fedeli o da discepoli e ben presto nacquero ordini religiosi di tipo eremitico: piccole comunità di eremiti. Al filone eremitico si deve collegare l’ordine dei Certonisi fondato in Francia alla fine del XI secolo da Bruno di Colonia; quest’ordine prese il nome dal luogo dove sorse la prima comunità mentre i monasteri vennero chiamati certose. Ogni certosa costituiva un grande complesso edilizio costituito da luoghi comuni di preghiera e da celle singole ognuna dotata di un piccolo giardino in cui i certosini trascorrevano gran parte della loro giornata. Un altro ordine di tipo eremitico fu quello dei Cistercensi nato sempre in Francia alla fine del XI secolo; questi monaci oltre che voler stare nella solitudine avevano anche il desiderio di recuperare lo spirito benedettino legato alla povertà e agli ideali evangelici. I cistercensi si insediarono in luoghi paludosi e incolti che bonificarono con il loro lavoro; questi inoltre vollero restare sottomessi ai vescovi che li premiarono favorendo la diffusione del loro ordine. I Cistercensi erano in netto contrasto con i cluniacensi ma anche loro entrarono in crisi quando cominciarono ad accumulare ricchezze e ad avere potere (le cose di cui tanto avevano criticato a Cluny); anche loro dovettero lasciare il lavoro manuale e pian paino persero quello slancio iniziale che li aveva caratterizzati e lasciarono campo libero all’affermazione degli ordini mendicanti. 72 Clemente III fu riconosciuto papa ed Enrico incoronato imperatore ma da quel momento in poi nulla fu più come prima nei rapporti tra papato e impero. 14.9. Urbano II e la ripresa dell’iniziativa papale Nel 1088 fu eletto papa un monaco cluniacense, Urbano II il quale strinse stretti legami con gli episcopati dei quali rafforzò l’autorità e dotò di mezzi come nuove canoniche che avrebbero aiutato i vescovi nella cura delle anime. Questo orientamento “episcopalista” riportò dalla parte del papa gran parte dei vescovi che si erano allontanati e così l’imperatore restò isolato e l’antipapa Clemente III ebbe sempre maggiori difficoltà a controllare Roma. Urbano II viaggiò molto in Italia e in Francia per incitare i suoi aderenti allo sforzo contro il partito filo imperiale mentre il consenso verso di lui e il suo operato cresceva sempre di più. Nel 1095 Urbano II tenne un concilio a Clermont- Ferrand esortò tutti i cristiani che si erano macchiati di aver lottato contro altri cristiani di partire in pellegrinaggio verso la Terrasanta per purificarsi dai peccati; il fatto che molti accettarono il suo invito fa capire come la sua autorità stava diventando sempre più forte a discapito di quella dell’imperatore. 14.10. Pasquale II e l’utopia di una Chiesa povera Dal 1099 al 1118 fu pontefice un altro monaco, Pasquale II che favorì un ritorno dell’orientamento rigorista di Gregorio VII. Nel Concilio del Laterano del 1102 il pontefice lanciò una proposta di disarmante semplicità che consisteva nel ritorno a una Chiesa povera, il papa invitò tutti gli ecclesiastici a rinunciare ai beni e alle cariche che avevano ricevuto dallo Stato per eliminare così anche ogni tipo di ingerenza laica all’interno della Chiesa. Questa proposta ebbe anche il consenso dell’imperatore Enrico V che, insieme al papa, nel 1111 si incontrarono a Sutri e raggiunsero un accordo che però non fu gradito dai rispettivi partiti perché la divisione dei due poteri dopo secoli di interazione sembrava impossibile. Questo malcontento generale indusse un concilio a sconfessare Pasquale II, il papa divenne succube dell’imperatore infatti oltre che incoronarlo dovette anche concedergli il potere di investire i vescovi. Nel 1112 un nuovo concilio annullò le concessioni estorte al papa e nel 1116 Enrico V fu scomunicato. 14.11. Alla ricerca di un compromesso. Il concordato di Worms Tra varie vicende continuava il dibattito sul ruolo dei vescovi e alla fine acquistò più forza la posizione di coloro i quali confidavano in un compromesso: secondo coloro vescovi e abati avrebbero potuto continuare a svolgere compiti spirituali e politici però dividendo nettamente i due ambiti perciò: - l’autorità ecclesiastica avrebbe conferito cariche spirituali con l’anello e il pastorale - l’autorità politica avrebbe invece avrebbe potuto investire per le sole funzioni temporali utilizzando i simboli del potere politico. Nel 1122 il pontefice Callisto II stipulò il concordato di Worms che segnò una vittoria per la Chiesa che così evitava le ingerenze imperiali nell’elezione di vescovi e abati. Specialmente in Germania comunque all’imperatore restò un ampio margine di manovra visto che lui o un suo delegato poteva assistere all’investitura o all’elezione e intervenire in caso di dissenso suo o degli elettori. Tuttavia le concessioni che il papato rilasciò non furono destinate all’impero ma alla singola persona di Enrico V, così facendo la Chiesa metteva fine a un periodo di contrasti troppo lungo ma si lasciava ampio spazio per manovre politiche future. 14.12. L’evoluzione del papato in senso monarchico 75 Il concordato di Worms venne ratificato dal Concilio lateranense nel 1123 al quale parteciparono circa trecento vescovi e tutti gli abati della Chiesa occidentale; dopo questo concilio il papato fu di nuovo al vertice della società, ritrovò il suo primato e seppe avviare una grandiosa opera di consolidamento in tutti i campi. Prima di tutto il concilio ribadì la condanna alla simonia e al concubinato, escluse i laici da ogni attività all’interno degli organismi ecclesiastici e si dotò di un efficiente apparato burocratico (cancelleria, uffici finanziari, autorità politiche) e strumenti in grado di poter intervenire nel controllo di tutti i settori. Pian piano ogni decisione importante fu convogliata presso la curia romana: l’elezione dei vescovi, le funzioni amministrative, finanziarie e politiche. Nel corso del XII secolo lo Stato pontificio poteva godere di numerose entrate derivanti dall’immenso patrimonio fondiario laziale costituite dal censo pagato dagli Stati vassalli, dai monasteri, dalle offerte dei fedeli. CAPITOLO 15 Rinascita culturale e nuove esperienze religiose 15.1. Una rinascita improvvisa? Una prima rinascita culturale durante il Medioevo si ebbe durante il periodo carolingio, centro della cultura era la corte imperiale e gran parte del patrimonio letterario classico dei latini fu recuperato. 76 Con il disgregarsi dell’impero carolingio i centri culturali divennero le abbazie dove continuarono gli studi e gli insegnamenti; durante il X secolo gli imperatori di Sassonia, come Ottone I, portarono in Germania grammatici e teologi mentre nell’XI secolo il ruolo di centro culturale fu preso dall’abbazia di Cluny e da altri monasteri sorti nella Francia settentrionale. Verso la metà dell’XI secolo un’altra importante realtà culturale si stava formando in Italia meridionale grazie alla vicinanza con il mondo greco e quello arabo; il maggiore centro fu la città di Salerno, famosa per le scuole di medicina e di filosofia. Nello stesso periodo in Italia settentrionale invece si ebbe la fioritura degli studi giuridici e la città che più si contraddistinse in questo settore fu Bologna. La Francia comunque rimase per tutto il XI secolo il centro culturale più importante in quanto si approfondivano tutti gli aspetti della cultura come le atri del trivio e del quadrivio, le arti liberali, la teologia, la filosofia, la poesia latina e volgare. 15.2. I centri della rinascita culturale Se l’XI secolo vide la ripresa culturale fu nel corso del XII secolo che si assistette a quella che viene definita come «rinascita culturale». Per tutto il XI secolo i monasteri avevano svolto un compito molto importante per la cultura in quanto lì venivano trascritte le opere degli autori classici e si compivano studi dei testi antichi; i monasteri più famosi furono quelli di Montecassino e quello di Bec in Normandia che però non poterono competere con l’abbazia di Cluny che durante la conduzione del suo abate Pietro il Venerabile attraversò un periodo di splendore che però ebbe fine con la sua morte. Durante la metà del XII secolo nacquero i nuovi ordini religiosi dei cistercensi, dei certosini e dei camaldolesi ma questi più che ad attività di studio si dedicavano all’ascesi mistica e perciò contribuirono poco allo sviluppo culturale del tempo. In quel periodo la maggior parte dell’attività culturale si svolse nelle cattedrali, inserite in pieno nella rinascita delle città; in Francia furono importanti le cattedrali di Reims, Orléans e di Parigi, in Inghilterra quella di Canterbury e in Spagna quella di Tolosa. Le scuole cattedrali erano sotto il controllo del vescovo i quali davano una licenza agli insegnanti; mancava però un vero e proprio programma di studio né erano previsti esami alla fine del corso. 15.3. La nascita delle Università Le università nacquero nel XII secolo; all’inizio furono delle semplici associazioni di studenti e docenti; fu quasi una corporazione che ebbe due scopi, il primo era quello di avere riconoscimenti civili ed ecclesiastici e il secondo quello di ottenere privilegi in campo economico e giuridico. Ottenuti questi risultati le università cominciarono ad organizzarsi fissando le materie d’insegnamento, i programmi di studio, il compenso per i professori e le modalità di esame. Il termine universitas in origine indicava solo la struttura corporativa che si occupava del buon funzionamento della didattica (studium); all’inizio esistevano solo quattro facoltà: - quella delle Arti (arti del trivio e del quadrivio) - quella di diritto (civile e canonico) - quella di medicina - quella di teologia. In Italia le prime università furono quelle di Salerno (per la medicina) e di Bologna (per il diritto) seguite successivamente da quelle di Padova e Napoli; in Francia le origini delle università si devono collegare alla scuola della cattedrale di Notre Dame dove operavano un gran numero di maestri; in Inghilterra furono fondate le università di Oxford e di Cambrige. 15.4. L’organizzazione degli studi universitari 77 manifestò un’iniziale diffidenza che fu però superata quando Francesco e i suoi seguaci giurarono fedeltà alla Chiesa di Roma. Il papa Innocenzo III capì la straordinaria rivoluzione spirituale che gli ordini mendicanti stavano mettendo in atto ed ebbe la giusta intuizione di utilizzarli nella lotta contro gli eretici. L’ordine francescano fu approvato definitivamente nel 1223 da Onorio III. Sempre Onorio, nel 1216, approvò la regola dell’ordine dei frati predicatori istituito da Domenico Guzman; anche i domenicani come i francescani vivevano nella povertà assoluta affidandosi solo alla Provvidenza ma in più avevano un’alta preparazione teologica cresciuta dopo che i suoi membri si impegnarono attivamente nella lotta contro gli eretici creando in ogni diocesi il tribunale dell’inquisizione. Nel corso degli anni questi due ordini crebbero molto e andarono incontro a dei cambiamenti importanti. Per quando riguarda l’ordine dei francescani si deve dire che la diffusione anche nei freddi Paesi d’oltralpe aveva spinto i frati a stabilirsi in edifici conventuali ai quali spesso venivano fatte donazioni di beni materiali; inoltre chiesero di entrare nell’ordine anche chierici, maestri di teologia e intellettuali che presto ne presero la guida cambiando la fisionomia originaria dell’ordine. Dopo la canonizzazione di Francesco nel 1228 il pontefice Gregorio IX cercò di risolvere il problema relativo alle proprietà dell’ordine affermando che i beni erano concessi in uso mentre la proprietà era della Chiesa di Roma. Un altro segno della metamorfosi dell’ordine fu l’elezione a ministro generale di frate Alberto da Pisa, un frate–sacerdote (non più frate-laico) che avviò la clericalizzazione dell’ordine; durante il generalato di un altro frate-sacerdote, Aimone di Faversham, avvenne la nomina di un minore a vescovo di Milano (1241) mentre nel 1288 un francescano (frate Girolamo d’Ascoli) divenne papa con il nome di Niccolò IV. Tra il 1257 e il 1274 fu ministro generale Bonaventura da Bagnorea che avviò anche un’attività pastorale, di predicazione, di confessione e di cura delle anime. Nonostante i molti cambiamenti i contrasti tra povertà-ricchezza caratterizzarono sempre l’ordine e diedero vita a una spaccatura tra i cosiddetti spirituali (coloro che volevano restare fedeli alla regola e alla scelta di povertà assoluta) e i conventuali (coloro che ritenevano necessario adattarsi alle nuove esigenze dell’ordine). Il papato appoggiò i conventuali mentre le frange più estremiste degli spirituali, i cosiddetti fraticelli, furono perseguitati; i francescani ebbero il merito di saper entrare in modo capillare nel tessuto sociale. 80 CAPITOLO 16 Rapporti feudali e processi di ricomposizione politico-territoriale. L’impero e l’Italia dei Comuni 16.1. Il movimento delle paci di Dio e la nascita della cavalleria Il rinnovato dinamismo della società europea richiedeva maggiore sicurezza per gli uomini; ciò poteva realizzarsi con la cessazione delle guerre nate per l’esuberanza delle famiglie aristocratiche sempre il lotta tra loro per la conquista di nuovi territori. Alla fine del X secolo una autorità forte e stabile era rappresentata dalla Chiesa attraverso il movimento francese delle paci in Dio: i vescovi organizzarono delle assemblee per promuovere la diffusione dell’ordine pubblico e la protezione delle classi più deboli della società spesso succubi dei signori locali. Ben presto fu proibito di combattere durante la domenica e le feste religiose e anche i sovrani si impegnarono a creare organismi di controllo per ridurre i disordini. Nel corso dell’ XI secolo cominciò a formarsi un particolare spirito di appartenenza tra i cavalieri che godevano di una particolare condizioni giuridica e sociale. Chi faceva parte di questa stretta cerchia aveva dei privilegi: erano esentati dal pagamento delle imposte per le loro terre, erano sottratti alla giustizia dei signori, potevano tramandare ereditariamente la loro condizione giuridica. Gli ecclesiastici francesi inoltre elaborarono un modello di comportamento cavalleresco e la cerimonia dell’investitura assunse forti caratteri religiosi. Nel corso del XII secolo il codice di comportamento cavalleresco si arricchì ancor di più grazie alla figura di cavalieri celibi e senza un feudo; questi giovani erano alla ricerca di un signore e di un buon matrimonio ed elaborarono un ideale di vita avventurosa e gioiosa che si concretizzava nei tornei e nelle conversazioni amorose, nelle poesie e nei romanzi cavallereschi. Gli ideali cavallereschi furono celebrati da poeti e scrittori ma resta da precisare che la loro vita era sempre votata alla guerra tanto che i vescovi elaborarono un modo per frenare la violenza dei cavalieri. Nel 1054 si svolse un concilio a Narbona dove tutti i cavalieri furono definiti miles Christi e cioè combattenti nel nome di Cristo contro gli infedeli; da questo concilio furono perciò legittimate le crociate in Oriente, in Spagna e nella Sicilia musulmana. L’istituzione ecclesiastica con la sua autorità e il movimento delle paci in Dio durante questi secoli sopperì alla mancanza di un potere politico forte e in grado di mantenere l’ordine nella società. 16.2. I rapporti feudo-vassallatici come rinnovato strumento di governo Nel corso del XII secolo per consolidare il potere politico si fece ricorso ai rapporti feudo-vassallatici; i sovrani europei tra il IX e il X secolo li utilizzarono per creare attorno ad essi una cerchia di principi e signori fedeli che garantissero sostegno militare e sostegno nella gestione del territorio. A partire dalla seconda metà dell’XI secolo i rapporti feudo vassallatici si trasformarono in strumenti di governo e di coordinazione politica nell’ambito di grandi territori. Questo cambiamento avvenne per vari motivi: 81  la società europea era cambiata;  si voleva dare riconoscimento giudìridico-formale all’ereditarietà dei feudi;  si creò una giurisdizione riguardante appunto il diritto feudale per renderne più stabile il sistema. Con il passare degli anni si riscoprì sempre di più il valore del diritto romano e canonico, lo Stato costituiva la fonte del diritto e del potere ma a queste riflessioni si scontrava una realtà di frammentazione politica della realtà territoriale. In alcuni territori, come il Lombardia, nell’XI secolo si arrivò addirittura a costituire dei feudi senza l’obbligo del servizio militare che venne sostituito con un pagamento in denaro e la promessa di fedeltà: il feudo perdeva così l’originaria funzione militare. Il feudo in questi casi serviva a creare un raccordo di tipo politico tra un sovrano, un principe o un signore che aveva il desiderio di creare un vasto dominio territoriale grazie anche all’appoggio di signori minori: il rapporto era vantaggioso per entrambe le parti! Nasce così la società feudale strutturata a piramide, una società in cui la delega dei poteri procede dal vertice verso il basso fino a raggiungere, con valvassori e valvassini, i ceti rurali. 16.3. Le origini dei Comuni italiani In Italia le comunità cittadine oltre che da mercanti e artigiani erano formate anche da esponenti della piccola e media nobiltà che gestivano piccoli feudi della chiesa vescovile. All’interno della città non erano però solo il vescovo e i suoi funzionari a svolgere le funzioni pubbliche visto che anche la comunità cittadina riusciva a far sentire la sua voce. Il quadro politico di queste comunità era molto frammentato e favorì la nascita di tensioni sociali e contrasti tra le famiglie nobili che già risiedevano nelle città e quelle che vi giungevano dalle campagne convinte di poter mantenere le tradizioni militari e il comando. In molte città la Chiesa si trovò in contrasto con la classe nobiliare e per assicurarsi un appoggio dalla comunità cittadina fu molto propenso a concedere privilegi e concessioni. Questa situazione favorì il rafforzamento delle autonomie cittadine ma l’indebolimento del potere vescovile fu sfruttato anche da alcune famiglie che si allearono per assicurare l’ordine e la pace assumendo di fatto il governo delle città. La figura che rappresentò tutta la comunità cittadina fu il console, scelto sempre tra i membri del ristretto gruppo di famiglie che si erano alleate tra loro. Esemplare è il caso di Milano cui già abbiamo avuto occasione di fare riferimento parlando tra l’imperatore Corrado II e l’arcivescovo Ariberto d’Intimiano. Qui nella prima metà del secolo XI i grandi vassalli della chiesa arcivescovile(capitanei), spalleggiati da Ariberto, si erano contrapposti ai piccoli feudatari(valvassores), che chiedevano l’eredità dei loro feudi; e già sappiamo che le loro rivendicazioni furono accolte dall’imperatore Corrado II. Successivamente però capitanei e valvassores, indicati nelle fonti come milites(maggiori e minori), si trovarono tutti insieme schierati contro il popolo che,stanco delle loro violenze e dei loro soprusi, si era sollevato sotto la guida di Lanzone , un capitaneus passato dalla parte popolare. Ne nacquero scontri nelle strade che costrinsero l’arcivescovo e i milites a lasciare temporaneamente la città dove fecero ritorno solo quando fu possibile giungere ad una pace giurata ma precaria tra tutte le parti in conflitto(a causa anche del movimento di riforma della Chiesa e della conseguente lotta per le investiture). Quest’ultima permise lo sviluppo delle autonomie cittadine data la necessità in cui si trovavano imperatori e pontefici di guadagnarsi il sostegno delle comunità locali, verso le quali diedero concessioni e privilegi. Non è un caso che proprio nel vivo della lotta per le investiture, nel 1097, appaia documentata per la prima volta a Milano la nuova magistratura dei consoli, espressione di un nuovo ordinamento politico. Era accaduto che, approfittando 82 inviò i suoi funzionari in ogni parte dell’impero per ricevere l’omaggio dai signori ed esigere i tributi dai Comuni. Un altro intento di Barbarossa fu quello di imporre il suo controllo su molti ecclesiastici i quali godevano di poteri di natura pubblica violando però le conclusioni raggiunte con il Concordato di Worms. Il progetto di restaurare il potere imperiale però incontrò l’ostilità di molti così ben presto si creò un movimento di opposizione che vedeva alleati i Comuni lombardi e veneti e il papa Alessandro III. Per soffocare tale opposizione Federico costrinse il papa a fuggire in Francia eleggendo un antipapa (Vittore IV) e assediò e rase al suolo Milano (1162) ma il fervore della rivolta non si placò. I comuni veneti crearono due leghe (veronese e cremonese) che unendosi diedero vita nel 1167 alla Lega lombarda (Societas Lombardiae) la quale fu sostenuta da Alessandro III in onore del quale la Lega chiamò Alessandria la città che costruirono per controllare i Comuni che si erano schierati con Federico e che fu più volte, ma inutilmente, attaccata dall’imperatore. Nel frattempo in Germania i feudatari mostrarono una certa riottosità che nel 1176 costrinsero Federico a lasciare l’assedio e tornare in Germania ma durante il viaggio l’esercito della Lega lo fermò e lo sconfisse a Legnano e lo costrinse a cercare una soluzione diplomatica. Federico giunse a un accordo con Alessandro III con il quale si impegnava a restituire tutte le regalie e i territori di cui si era impadronito mentre il papa, a sua volta, si impegnò a convalidare tutti gli atti di natura ecclesiastica avvenuti durante lo scisma e a mediare con i Comuni. I Comuni però non gradirono il voltafaccia del pontefice così rifiutarono la sua mediazione e l’anno dopo concessero a Federico una tregua di sei anni al termine dei quali, nel 1183, di stipulò un trattato di pace a Costanza che salvarguardava la derivazione imperiale dei poteri pubblici e concedeva ai Comuni l’esercizio delle regalie e la possibilità di formare leghe in cambio del versamento di un’indennità una tantum in occasione della venuta dell’imperatore in Italia. I consoli continuarono ad essere eletti dai cittadini ma ogni cinque anni dovevano ricevere l’investitura formale da parte dell’imperatore o di un vescovo titolare di poteri pubblici. 16.7. L’evoluzione sociale e istituzionale dei Comuni Le concessioni imperiali di Costanza avevano valore solo per i Comuni della Lega ma ben presto furono considerate valide per tutti i Comuni che vennero a configurarsi così come organismi politco-amministrativi inseriti nella struttura dell’impero. La loro autonomia si rafforzò maggiormente quando il poter imperiale attraversò un lungo periodo di crisi dovuto alla morte prima di Federico (1190) e poi di suo figlio Enrico VI (1197); i Comuni in questo periodo:  definirono i loro rapporti con il vescovo il quale fu estromesso da ogni giurisdizione civile;  le città furono dotate di edifici pubblici, lontani dagli edifici di culto per rendere evidente la laicizzazione delle istituzioni comunali;  venne redatto un codice di leggi (Statuto) con l’aiuto di giuristi e notai;  si procedette con la sottomissione del contado costringendo i proprietari di fortezze e diritti signorili a divenire vassalli del Comune e a risiedere in città per alcuni mesi dell’anno. Con i signori più potenti si strinsero invece alleanze al fine di assicurarsi l’aiuto dei loro contingenti armati in caso di guerra. In questo periodo nacquero anche i borghi franchi: insediamenti fortificati costruiti in zone di confine i cui abitanti godevano di facilitazioni fiscali e altri aiuti in cambio della valorizzazione delle terre incolte e del ruolo di difesa che svolgevano. 85 Una novità significativa consistette nella sostituzione della magistratura collegiale dei consoli con il podestà; questa scelta di rese necessaria perché con il passare del tempo la società comunale era diventata sempre più complessa grazie alle molte attività commerciali e mercantili esercitate da una classe sociale attiva che non fu più disposta a lasciare il controllo del Comune nelle mani della vecchia classe aristocratica che mostrava segni evidenti di chiusura verso i nuovi ricchi. Si formarono perciò due schieramenti: quello della nobiltà (detentore del potere) e quello del popolo (coloro che miravano a sostituirsi alla vecchia classe dirigente). Dello schieramento del popolo facevano parte oltre che i mercanti e gli artigiani popolani anche i nobili arrivati da poco in città dal contado mentre a quello della nobiltà facevano parte oltre che i detentori di beni fondiari anche i mercanti arricchiti. Il podestà venne perciò sostituito al console perché i vari gruppi collegiali non erano stati in grado di gestire la pace; il podestà, prima locale e poi forestiero, aveva il compito di garantire la sua imparzialità e di gestire al meglio le attività importanti della città. Egli era un tecnico della politica e del diritto con il compito di far valere le decisioni prese dai Consigli cittadini, inoltre doveva far applicare le leggi, assicurare la giustizia e organizzare l’apparato amministrativo e burocratico del Comune. 16.8. Le lotte tra nobiltà e popolo Il podestà forestiero inizialmente riuscì a svolgere la sua funzione di mediazione tra i vari gruppi sociali delle città ma quando queste divennero più popolose le tensioni ripresero in modo anche violento. Verso la metà del Duecento i contrasti inoltre non videro contrapporsi lo schieramento dei nobili contro quello del popolo ma i contrasti sorsero tra membri dello stesso ceto. I nobili, ad esempio, avevano uno stile di vita violento e aggressivo e spesso sorgevano contrasti tra le famiglie di antica origine cittadina e quelle da poco giunte in città. Essi inoltre riunivano attorno a sé schiere di clienti e amici appartenenti a vari ceti che formavano dei veri e propri clan che si riunivano tra loro in federazioni le quali si divisero poi in due raggruppamenti opposti: guelfi e ghibellini. I guelfi erano gli aderenti al partito filo papale ed erano convinti che la Chiesa di Roma potesse dare ai Comuni una solida copertura mentre i ghibellini erano i sostenitori di un forte legame con il potere imperiale. All’interno del ceto popolare le tensioni esplodevano ad esempio per la scarsa comunanza di interessi tra mercanti e artigiani; i mercanti in fatti avevano interesse a superare i vincoli di tipo corporativo e le stesse corporazioni non erano solidali tra loro. L’unico punto in comune era la lotta contro i nobili e alla fine fu questo intento a far unire mercanti, artigiani, intellettuali laici, cambiatori, nobili del contado in un’associazione detta societas populi, anch’essa organizzata con capi e consigli. Il risultato fu che all’interno del Comune coesistevano più centri di potere dotati di molto potere e pronti a scendere in campo non solo per fronteggiare lotte contro nemici esterni ma pronti anche ad iniziare lotte interne. 16.9. Il Comune popolare e l’affrancazione dei servi Il complicarsi della vita politica produsse il fenomeno del fuoriuscitismo cioè l’espulsione dal Comune degli esponenti della parte perdente delle lotte interne; questi però non si rassegnavano alla sconfitta e mantenevano dei rapporti con membri del loro gruppo rimasti in città o con Comuni rivali ingaggiando nuove lotte che, a volte, gli permettevano di tornare da vincitori in città. In molte città (come Bologna e Firenze) fu il popolo a prendere il potere ma la situazione si complicò ancor di più visto che il popolo non sciolse le sue associazioni che si affiancarono perciò alle istituzioni comunali esistenti dando vita a un sistema bicamerale. Anche al podestà furono affiancati i capi del popolo (anziani appartenenti 86 alle corporazioni che formavano il Priorato delle arti); successivamente il capitano del popolo tolse al podestà il suo ruolo di capo militare. Il governo dello schieramento popolare non si curò del benessere delle classi inferiori che perciò si allearono con i nobili vittime anch essi di una politica antinobiliare. L’aspetto positivo dell’operato dei governi popolari fu l’allargamento della partecipazione dei cittadini alla vita della città infatti non c’era un numeroso apparato burocratico e molti servizi erano gestiti dai cittadini. Durante questo periodo fu effettuato l’affrancamento dei servi della gleba; questo provvedimento però non ebbe un carattere sociale ma più che altro fiscale visto che si voleva far aumentare il numero dei contribuenti. A dare solidità a questa ipotesi si unisce un provvedimento che vietava l’immigrazione in città degli affrancati e rendeva più opprimente la pressione fiscale sul contado e lo sfruttamento economico dei contadini. CAPITOLO 17 La diffusione dei rapporti feudali. L’Inghilterra, il Mediterraneo e le Crociate 17.1. Esempi di feudalità efficiente Tra l’XI e il XII secolo i rapporti feudo-vassallatici raggiunsero il massimo della loro diffusione visto che l’ordinamento pubblico carolingio fu fatto proprio anche dai Normanni, dai Vichinghi che nell’antico ordinamento franco trovarono un terreno fertile nel quale innestare il proprio vigore militare e le antiche tradizioni guerresche di fedeltà. I Vichinghi all’inizio del X secolo riuscirono sotto la guida di Canuto II il Grande a creare un vasto impero intorno al Baltico (Danimarca, Norvegia e Inghilterra) ma questo di dissolse dopo la sua morte. In Inghilterra allora si cercò di recuperare l’indipendenza con il re Edoardo il Confessore (1043-1066). Questo re era cresciuto in Normandia ed accolse alla sua corte cavalieri ed ecclesiastici francesi ai quali vennero assegnati ruoli di comando e beni fondiari. Alla sua morte salì al trono il cognato Arnoldo II che però non riuscì a fermare l’avanzatta del duca di Normandia Guglielmo il Conquistatore il quale legò l’Inghilterra alla Francia. Fu con lui che in Inghilterra si radicarono usi e costumi francesi, tra cui anche i rapporti feudo-vassallatici. Si creò la strana situazione che il re inglese, in quanto duca di Normandia, era anche vassallo del re di Francia nonostante fosse riconosciuto da tutti il fatto che i re inglesi avessero molto più potere e prestigio dei re francesi che avevano poteri assai limitati, 87 A questo ottimistico dinamismo si affiancava un’inquietudine religiosa che generava il desiderio di espiazione dei peccati che, associato allo spirito avventuriero, ebbe come risultato l’arrivo in Terrasanta di numerosi pellegrini. Spesso si è cercato di giustificare l’avvio delle crociate contro i musulmani sostenendo l’oppressione dei Turchi contro le comunità cristiane dell’Oriente e sui pellegrini ma oggi sappiamo che i musulmani assicuravano libertà di culto a tutti. È vero che a volte si manifestavano fenomeni di violenza e intolleranza anche perché i Turchi si erano da poco convertiti all’Islamismo ma niente fa pensare che le condizioni dei Cristiani fossero così gravi da richiedere l’intervento dei cavalieri europei. I cavalieri che si recarono in Terrasanta oltre allo spirito d’avventura e al desiderio di conquista ebbero di certo un forte entusiasmo religioso che gli permise di superare molte prove difficili, difficoltà e privazioni. Dell’entusiasmo religioso si fece interprete un predicatore itinerante, Pietro l’Eremita il quale, nel 1095, promosse la «crociata dei poveri»: gruppi di pellegrini fanatici, emarginati e poveri partirono verso l’Oriente senza armi e senza organizzazione attraversando le valli del Reno e del Danubio e quei pochi che riuscirono a giungere in Terrasanta furono massacrati dai Turchi. La prima crociata ufficiale iniziò nel 1096, ad essa prese parte il fior fiore della feudalità europea (soprattutto francese) che raggiunse Costantinopoli attraversando i Balcani o con le loro navi. I cavalieri (chiamati in generale Franchi) si stabilirono a Costantinopoli e fu stabilito che l’imperatore Alessio Comneno li rifornisse dei viveri loro necessari e delle armi in cambio della restituzione dei territori sottratti all’impero e del riconoscimento da parte delle future formazioni politiche franche in Oriente della sua superiorità. La spedizione partì nel 1097 ma subito i crociati dovettero affrontare molte difficoltà dovute:  al clima estivo sfavorevole per i cavalieri armati in maniera inadeguata;  la migliore tecnica militare turca che usava arcieri e cavalieri armati alla leggera;  gli odi e le rivalità che dividevano i più importanti crociati;  la scarsa autorità di Goffredo di Buglione, capo dell’esercito crociato. Il 15 luglio 1099, nonostante tutti questi aspetti negativi e sconfortanti, la città di Gerusalemme fu conquistata dai crociati e tutti i musulmani i gli ebrei furono massacrati. 17.5. Gli Stati crociati e l’esportazione dei rapporti feudali in Oriente La presa di Gerusalemme fu un fatto davvero straordinario se si pensa che gli europei non erano esperti nell’arte degli assedi e che molti crociati avevano rinunciato di proseguire fino a Gerusalemme quando avevano avuto la possibilità di ritagliarsi un dominio in territori che conquistavano man mano procedevano verso Gerusalemme. Il Regno di Gerusalemme che si creò fu affidato a Goffredo di Buglione che, in segno di umiltà, assunse il titolo di “avvocato del Santo Sepolcro” ma Goffredo morì l’anno dopo e gli successe il fratello Baldovino con il titolo di re. Baldovino consolidò il regno, conquistò anche i territori litoranei e rese più sicure le strade percorse dai pellegrini; molti cavalieri inoltre rinunciarono a fare ritorno in Occidente e ottennero in feudo territori del Regno di Gerusalemme ma le rivalità tra i cavalieri non furono mai superate e questo si rivelò un fattore di debolezza. Un ruolo molto importante fu assunto dagli ordini monastico-militari, i cui membri oltre che pronunciare i voti di castità, povertà e obbedienza, si impegnavano a a 90 combattere contro gli infedeli; i più importanti ordini furono: gli Ospedalieri di san Giovanni (i Cavalieri di Malta), i Templari e i Cavalieri teutonici. Importante fu anche il contributo delle città marinare italiane. I Veneziani all’inizio fu diffidente perché temeva che l’azione dei crociati potesse in qualche modo distruggere l’equilibrio economico esistente nella regione orientale. I Genovesi e i Pisani diedero invece un’adesione più convinta: i Genovesi contribuirono alla costruzione di macchine belliche. Tutte e tre le città ottennero privilegi commerciali così nelle città portuali nacquero vere e proprie colonie commerciali, formate da mercanti di una stessa nazionalità. 17.6. La riscossa dei musulmani Il successo dei crociati fu reso possibile anche dalle lacerazioni che in quel periodo caratterizzavano il mondo musulmano; queste lacerazioni però nel corso del XII secolo furono superate grazie all’intraprendenza dell’emiro Imad-al-Din Zinki il quale riuscì a formare un dominio tra l’odierno Iraq e la Siria e a mettere sotto pressione gli Stati crociati che si trovarono impreparati di fronte alla sua avanzata. La prima città a cadere nel 1144 fu Edessa; quando la notizia arrivò in Occidente destò molta preoccupazione tanto che il monaco cistercense Bernardo di Chiaravalle organizzò una nuova crociata a cui parteciparono tre giovani sovrani europei: Corrado III (imperatore tedesco), Luigi VII (re di Francia) e Ruggero II (Re di Sicilia); i tre giovani sovrani però fallirono perché ognuno perseguì i propri fini personali. La riscossa turca si realizzò completamente con il curdo Saladino che si rese indipendente da Baghdad e creò un personale sultanato che si estendeva dal Tigri all’Egitto; il 2 ottobre 1187 dopo aver sconfitto ripetutamente i Franchi entrò a Gerusalemme. Questo evento produsse una grande mobilitazione tra i sovrani tanto che parteciparono alla successiva crociata l’imperatore Federico Barbarossa, il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e il re di Francia Filippo Augusto ma ancora una volta i risultati furono scarsi. Gerusalemme rimase in mano ai musulmani, l’entusiasmo religioso si affievolì e la crociata fu intrapresa solo da pochi fervidi idealisti. 17.7. La quarta crociata e la formazione dell’impero latino d’Oriente La terza crociata si concluse nel 1192 quando era salito al trono da un anno l’erede di Federico Barbarossa, Enrico VI il quale aveva preso in moglie Costanza d’Altavilla, la figlia del re di Sicilia Guglielmo II, morto nel 1189. A contestargli il dominio sul regno normanno si presentò un figlio illegittimo di Ruggiero II, Tancredi ma questo non fermò Enrico che aveva l’intento di fare della Sicilia il punto di partenza per una politica mediterranea e di conquista degli stati bizantini e musulmani. I suoi progetti furono purtroppo fermati dalla morte prematura che nel 1197 lo colse a soli 32 anni. La scomparsa di Enrico non permise ai cristiani della Terrasanta di sfruttare la situazione favorevole createsi con la morte di Saladino in seguito alla quale il suo impero si era frantumato. Tutto l’Occidente ne era ben consapevole e soprattutto il pontefice Innocenzo III che si fece promotore di una grande crociata con il duplice obiettivo di recuperare Gerusalemme ai cristiani e di ricondurre la Chiesa d’Oriente sotto la sovranità pontificia. I crociati si riunirono nel 1202 a Venezia per raggiungere l’Oriente via mare; il doge offrì ai crociati le sue navi con la promessa che facessero prima scalo a Zara e riprendere il possesso della città che si era data al re d’Ungheria. Il doge, conquistata Zara, riuscì a convincere i crociati a dirigersi verso Costantinopoli con la promessa di lauti compensi. 91 I crociati allora nel 1203 si impadronirono di Costantinopoli e misero al trono Alessio che però non riuscì a sedare l’ostilità del popolo verso gli occidentali e la Chiesa di Roma. I crociati allora nel 1204 saccheggiarono orribilmente la città e dopo essersi spartiti il bottino fondarono l’impero latino d’Oriente che venne diviso tra i cavalieri. Un quarto di esso fu assegnato a Baldovino di Fiandra; degli altri tre quarti una metà andò a Venezia mentre l’altra metà fu divisa in vari domini assegnati come feudi ai capi dei contingenti armati che avevano partecipato all’impresa. 17.8. La fine dell’impero latino d’Oriente e l’agonia dell’ideale della crociata L’impero latino d’Oriente si rivelò una costruzione politica molto debole in quanto la popolazione rimase ostile ai nuovi governanti occidentali; la speranza di Innocenzo III di riunire la due Chiese risultò perciò vana. Gli imperatori del nuovo impero inoltre non avevano il controllo di tutto il territorio bizantino; in molti territori nacquero dei piccoli staterelli retti da signori locali o da membri della vecchia dinastia imperiale. A completare questo quadro di instabilità contribuirono anche i contrasti tra Genovesi e Pisani contro Venezia, questi erano insofferenti alla posizione preminente della città lagunare e si resero disponibili a qualsiasi azione che avesse il fine di ripristinare gli equilibri politici ed economici esistenti prima della quarta crociata. Nel 1261 la città di Genova strinse un’alleanza con Michele Paleologo, signore di Nicea (uno dei piccoli staterelli bizantini); l’impresa fu molto facile e Michele riuscì a salire al trono in quello stesso anno dando inizio alla dinastia dei Paleologhi che restò al potere fino alla presa di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453. L’esito sconfortante della quarta crociata non aveva demoralizzato Innocenzo III il quale non rinunciò al suo progetto di recuperare almeno la città di Gerusalemme e gli altri luoghi sacri della Palestina. Poco prima di morire, nel 1215, il pontefice durante il IV Concilio lateranense riuscì a far bandire una nuova crociata. La spedizione partì nel 1217 ma già nel 1221 si concluse senza aver raggiunto risultati importanti; un luogo strategico per il controllo della Palestina divenne l’Egitto. Proprio sull’Egitto concentrò i suoi sforzi il sovrano francese Luigi IX che credeva fermamente negli ideali religiosi della crociata. Purtroppo anche lui non riuscì ad ottenere risultati importanti durante le sue spedizioni che ebbero un esito disastroso in quanto durante la prima (1248-1254) il re e il suo esercito furono fatti prigionieri e la seconda, nel 1270, non iniziò nemmeno perché nell’accampamento francese si diffuse la peste che non risparmiò nemmeno il re. Tra la quinta e la sesta crociata ci fu quella di Federico II che, nel 1229, era riuscito ad aver restituita Gerusalemme senza fare ricorso alle armi. Federico II aveva infatti stipulato un patto con il sultano del Cairo che prevedeva anche lo smantellamento di tutte le fortificazioni in città; questo però lasciò Gerusalemme senza difese e infatti nel 1244 una tribù di Turchi nomadi ne approfittò per occuparla e saccheggiarla. Mentre Luigi IX di Francia era impegnato nelle sue spedizioni sempre in Egitto si creò una situazione nuova che vide la presa di potere da parte dei Mamelucchi, una casta di schiavi-guerrieri, i quali riuscirono a mettere da parte gli ultimi discendenti di Saladino e nominare un loro sultano che avviò la conquista sistematica dei territori rimasti ancora in mano ai cristiani. Le ultime città a cadere furono nel 1291 Tiro, Sidone, Beirut e S.Giovanni d’Acri. 92  il sovrano francese restò l’unico re a contrastare l’avanzata del papato. Il sovrano francese nel 1202 citò in giudizio a Parigi Giovanni Senzaterra poiché un vassallo del re inglese si era rivolto alla giustizia regia francese; Giovanni non si presentò e fu condannato in contumacia per fellonia, con la conseguente confisca dei suoi beni. Ne derivò un conflitto (1202-1207) che si concluse a favore della Franca che riuscì a recuperare la Normandia, il Maine, l’Angiò, la Turenna, l’Alvernia e la Bretagna. Nel 1213 Giovanni per scongiurare l’arrivo in Inghilterra dei francesi si dichiarò vassallo del papa mettendosi così sotto la protezione della Chiesa. Lo scontro frontale tra le due potenze si ebbe comunque ben presto. L’occasione fu data dalla coalizione che Innocenzo III mise insieme contro l’imperatore Ottone di Bruswick; Filippo vi aderì subito diventandone il perno perché tra gli alleati di Ottone c’era Giovanni Senzaterra e alcuni grandi feudatari del Nord della Francia. Lo scontro avvenne a Bouvines il 27 luglio 1214; la battaglia, considerata uno degli eventi storici più importanti della Francia, si svolse come una tipica battaglia di tipo feudale e cioè come un torneo che aveva il fine non di uccidere ma di fare prigionieri. L’esercito anglo-germanico fu sconfitto e Filippo Augusto potè incamerare moltissimi territori nel suo Regno; alla sua morte, nel 1223, il territorio della Francia si era triplicato rispetto a quello trasmessogli dal padre. La sua opera fu continuata dal figlio, Luigi VIII (1223- 1226) il quale annesse la Linguadoca e territori della Francia meridionale; un altro membro della dinastia dei Capetingi fu Luigi IX (1226-1270), questo re fu santificato per la sua pietà religiosa ma si ricorda anche per le ottime capacità di governo che gli permisero sia di consolidare il controllo regio sull’aristocrazia sia di rafforzare il consenso del popolo alla dinastia reale. 18.4. La Magna Charta e le origini delle istituzioni parlamentari in Inghilterra In Inghilterra Giovanni Senzaterra dovette fronteggiare il forte malcontento della popolazione e dei nobili; la sconfitta di Bouvines e la decisione di dichiarare il regno inglese feudo della chiesa aveva fatto crescere il malcontento tanto che nel 1215 Londra fu investita da una grande rivolta promossa da baroni e grandi ecclesiastici che imposero al re la concessione della Magna charta libertatum ecclesiae et regni Angliae (meglio nota come Magna charta), redatta definitivamente e confermata nel 1217 da Enrico III. Con essa il sovrano si impegnava a rispettare i diritti dei nobili, degli ecclesiastici e di tutti gli uomini liberi: concessioni alle città, possibilità ai cittadini di essere giudicati da un tribunale di loro pari, libera circolazione dei mercanti; al re era inoltre proibito imporre nuove tasse senza l’approvazione del «Consiglio comune del regno» (formato da nobili ed ecclesiastici). Con la Magna charta in Inghilterra si gettarono le basi per le future istituzioni parlamentari visto che vennero introdotti meccanismi di controllo sull’operato del sovrano; i rivoltosi non volevano soppiantare la monarchia ma volevano un maggiore rispetto della tradizione e l’ampliamento degli spazi di partecipazione politica dei cittadini. In questo clima Giovanni Senzaterra assistette alla sua disfatta infatti il papa lo sconfessò e annullò le concessioni da lui operate, il popolo lo dichiarò decaduto e offrì la corona al figlio di Filippo Augusto, Luigi. Nel 1216 Giovanni e morì e anche a causa di un nascente spirito nazionale si preferì dare la corona al figlio Enrico III (di nove anni) così Luigi tornò in Francia dove poi raccolse l’eredità del padre. 18.5. La ripresa dell’iniziativa imperiale e la restituzione del potere regio nel Regno di Sicilia La sconfitta di Ottone a Bouvines oltre a segnare il trionfo di Filippo e la sconfitta di Giovanni segnò anche la vita di Federico II che quel 27 luglio 1214 si trovava in Germania dopo un avventuroso viaggio attraverso l’Italia e la Germania. 95 Vescovi e principi ecclesiastici lo aiutarono molto visto che oltre a fornirgli aiuti militari orientarono verso di lui l’animo dei Tedeschi che accolsero favorevolmente la sua incoronazione a re di Germania il 9 dicembre 1212. L’aiuto degli ecclesiastici non fu però disinteressato, in cambio nel 1213 Federico dovette emanare la Bolla d’oro con la quale rinunciò ai diritti di eleggere vescovi e abati che l’impero aveva acquistato con il Concordato di Worms nel 1122. Innocenzo III aveva riposto molte speranze in Federico, il papa voleva evitare che i territori imperiali e quelli del regno di Sicilia fossero sotto la guida di un unico sovrano perché questo avrebbe costituito un pericolo per i territori della Chiesa. Innocenzo III nel 1216 si fece promette dal suo pupillo che avrebbe ceduto la corona del Regno di Sicilia al figlio Enrico; la morte dopo due settimane dalla promessa indusse Federico a ritenersi sciolto da quella promessa così fece tornare il piccolo figlio Enrico in Germania dove fu nominato re dei Romani, anticamera del titolo imperiale. Così facendo Federico designò già il suo successore senza essere ancora lui stesso imperatore e mostrando l’intento di introdurre l’ereditarietà della successione imperiale. Federico comunque non si interessò molto di rafforzare il potere regio in Germania da cui si allontanò nel 1220 per farvi ritorno solo nel 1235 dopo aver nominato reggente l’arcivescovo di Colonia Engelberto. Il dinamismo politico di Federico fu possibile anche perché il successore di Innocenzo III, Onorio III (1216-1227) era un papa bonario e con il solo intento di liberare Gerusalemme; Onorio concesse il permesso a Federico II di mantenere le due corone in cambio della promessa di partire verso la Terrasanta e di combattere gli eretici: il 22 novembre 1220 Federico fu incoronato imperatore a San Pietro e subito dopo si recò nel Mezzogiorno. L’assenza di otto anni della figura imperiale aveva creato una situazione di confusione e disordini; il regno era in mano ai feudatari e alle autonomie cittadine. Federico rivendicò subito i diritti regi, convocò una dieta a Capua dove si ordinò di abbattere tutti i castelli abusivi e di combattere le autonomie cittadine; i baroni cercarono di organizzare una resistenza ma dopo due anni di lotte Federico riuscì a vincerli giocando d’astuzia e mettendoli gli uni contro gli altri. Risolto il problema dei feudatari Federico affrontò quello dei Saraceni che in Sicilia possedevano molti territori; le spedizioni militari si attuarono tra il 1222 e il 1224 e si conclusero con la sconfitta dei Saraceni che vennero deportati a Lucera (in Puglia) dove comunque poterono continuare a professare la loro religione. Questo gesto di tolleranza di Federico fu premiato con la completa dedizione degli aitanti di Lucera che gli fornirono le guardie del corpo e molti contingenti militari. Federico si preoccupò anche di risollevare le condizioni economiche del regno facilitando gli scambi, costruendo porti e garantendo la sicurezza; egli volle dare vita ad un apparato burocratico amministrativo statale e avendo bisogno per questo di giuristi e funzionari specializzati istituì a Napoli la prima università statale. Dal 1224 Federico cominciò a guardare anche alla situazione dell’Italia settentrionale dove i Comuni avevano ormai piena autonomia; nel 1226 indisse una dieta a Cremona in cui si sarebbe dovuto discutere dei diritti imperiali, della lotta all’eresia e alla preparazione di una crociata in Terrasanta. Alla dieta fu invitato anche il figlio Enrico che sarebbe dovuto giungere dalla Germania con il suo esercito, i Comuni lombardi, preoccupati per gli intenti dell’imperatore, ricostituirono la Lega lombarda e si appellarono al pontefice che, da parte sua, era irritato per i continui rinvii della partenza di Federico per la crociata. L’imperatore in quel momento non si sentiva militarmente pronto per affrontare una battaglia così annullò la dieta e fece ritorno al Sud. 18.6. La crociata di Federico II e il conflitto con il papato Il 18 marzo 1227 Onorio III morì lasciando il posto all’intransigente Gregorio IX (1227- 1241) che cominciò subito a pressare Federico ricordandogli la sua promessa di fare la 96 crociata. Federico capì che non poteva più rinviare così radunò crociati e pellegrini a Brindisi ma il caldo cocente di agosto fece scoppiare un’epidemia che fece molte vittime. L’imperatore partì comunque ma anche lui fu colpito e fu costretto a tornare indietro per curarsi. Gregorio IX non credette alla sua malattia e nel novembre 1227 lo scomunicò; Federico nonostante la scomunica appena guarito partì nel giugno 1228 sbarcando ad Acri il 7 settembre; poiché conosceva bene la cultura, la filosofia e la poesia araba trovò subito un’intesa con il sultano del Cairo con il quale nel febbraio 1229 stipulò un trattato che prevedeva il libero accesso dei cristiani a Gerusalemme. Il pontefice trovò scandaloso che Federico avesse stabilito dei rapporti con gli infedeli e al suo ritorno in Italia dovette fronteggiare una crociata che Gregorio aveva bandito contro di lui. 18.7. La scomunica di Federico II e la nuova crisi del potere imperiale Nel 1237 Federico ritenne di poter affrontare la Lega lombarda forte del suo esercito tedesco e dell’appoggio dei Saraceni di Lucera, dei Comuni a lui fedeli e di alcuni grandi signori. La Lega nel 1238 fu infatti sconfitta a Cortenuova ma impose delle condizioni di pace troppo dure che spinsero i Comuni a resistere fiduciosi dell’intervento del papa Gregorio IX che aveva diversi contrasti con Federico dovuti al fatto che egli interferiva sempre nell’elezione dei vescovi meridionali. Gregorio infatti si interessò di fare da mediatore tra tutti i nemici di Federico così, dopo un’intensa attività diplomatica, riuscì a conciliare anche gli interessi di due città da sempre nemiche: Genova e Venezia. Nel 1239 Gregorio scomunicò l’imperatore per la seconda volta sciogliendo i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà; gli ultimi anni di Federico furono davvero molto difficili: ricevette un’altra scomunica, fu sfiduciato dal Concilio di Lione nel 1245, fu vittima della campagna diffamatoria papale che lo additò come l’Anticristo. Rivolte e congiure divennero frequenti in Germania e Regno di Sicilia, molti Comuni abbandonarono il partito filo ghibellino per passare a quello guelfo. Il 13 dicembre 1250 Federico II morì presso Lucera dopo numerose battaglie e ingenti perdite; lui ha rappresentato una delle figure più dinamiche e forti del Medioevo con la sua cultura, i suoi vari interessi, la sua apertura al dialogo; non per niente i suoi contemporanei lo definirono stupor mundi. Nel 1254 morì anche il figlio Corrado IV e il trono rimase vacante fino al 1253 quando a prendere il potere fu il debole Rodolfo d’Asburgo che però si interessò solo dei suoi domini privati. Nel Regno di Sicilia invece in figlio naturale di Federico, Manfredi, l’11 agosto 1258 assunse il potere del regno ma il papa voleva eliminare definitivamente gli Svevi dal contesto politico italiano e perciò chiamò in suo aiuto Luigi IX di Francia che nel 1266 uccise a Benevento Manfredi. Il cambio di vertici del Regno non causò un declino; i francesi proseguirono l’opera di consolidamento dell’apparato burocratico-amministrativo dello Stato. 18.8. La ripresa cristiana in Spagna: reconquista o reconquistas? La storia della Spagna è stata attraversata dal forte sentimento religioso della reconquista caratterizzato anche dallo spirito di indipendenza dai musulmani. Il primo focolaio di resistenza ai musulmani nacque nelle Asturie agli inizi dell’VIII secolo e subito dopo nelle zone montagnose della Navarra e dell’Aragona; i musulmani non avevano lì un dominio diretto ma avevano reso vassalli i governanti del luogo. 97
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