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Riassunto - il miglior inizio - save the children, Dispense di Sociologia

La povertà educativa è definita da Save the Children come “la privazione della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”...

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 20/05/2020

frenz811
frenz811 🇮🇹

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Scarica Riassunto - il miglior inizio - save the children e più Dispense in PDF di Sociologia solo su Docsity! SAVE THE CHILDREN IL MIGLIOR INIZIO DISUGUAGLIANZE E OPPORTUNITA’ NEI PRIMI ANNI DI VITA La povertà educativa La povertà educativa è definita da Save the Children come “la privazione della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”. Ispirata alla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e alla teoria delle capabilties di Amartya Sen e Martha Nussbaum, la definizione si riferisce alla mancata acquisizione, da parte dei bambini e degli adolescenti, delle conoscenze e competenze cognitive (la lettura e la matematica) e delle competenze cosiddette “non cognitive”, o socio-emozionali (la creatività e la curiosità, la stima in se stessi e la motivazione, l’adattabilità e la gestione dello stress, la cooperazione e la comunicazione) nonché della capacità di condurre una vita autonoma ed attiva, attraverso lo sviluppo fisico e motorio. L’indagine IDELA è volta ad analizzare le disuguaglianze nell’acquisizione delle capacità e competenze educative sin dalla prima infanzia ed i fattori che le determinano, dal punto di vista delle condizioni sociodemografiche, culturali e dei servizi per l’infanzia frequentati. Essa si è servita dell’International Development and Early Learning Assessment (IDELA), sviluppato da Save the Children International e utilizzato in più di 40 Paesi a livello globale. IDELA misura i progressi dei bambini di età compresa tra 3 e 6 anni, in quattro dimensioni di competenze e sviluppo: fisico, del linguaggio, matematico e socio-emozionale. Quando nasce la povertà educativa? I bambini con genitori di livello socioeconomico più alto, già all’età di 3 anni, hanno accumulato un sostanziale vantaggio in termini educativi e di sviluppo rispetto ai coetanei provenienti da situazioni familiari più svantaggiate. La prima infanzia è il momento in cui si inizia a conoscere e capire il mondo, se stessi, gli altri. Economisti, come il premio Nobel James Heckman, neuro-scienziati e sociologi, affermano che le competenze necessarie per crescere e vivere nel XXI secolo (cognitive, socio-emozionali e fisiche) si formano, in larga misura, a partire dalla nascita e prima dell’entrata nella scuola, seguendo un processo cumulativo. Studi condotti in ambito neuroscientifico hanno dimostrato che la plasticità delle reti neurali che controllano i neuroni e le sinapsi del cervello è molto maggiore nel periodo fetale e nei primi anni di vita. Gli studi sottolineano che, sebbene l’aspetto genetico sia importante nello stimolo di tali connessioni, la qualità delle interazioni di cui un bambino può usufruire nei primi anni di vita ha un effetto ancora maggiore. Il ritardo nell’acquisizione di tali competenze nei primi anni di vita è difficilmente colmabile. Lo svantaggio in termini educativi e di sviluppo aumenta nel tempo. Questa acquisizione è largamente influenzata dall’ambiente familiare, economico e sociale, in cui il bambino nasce e cresce. A dimostrazione di ciò, i risultati di uno studio condotto dai ricercatori Betty Hart e Todd R. Risley, e pubblicato nel libro “Meaningful Differences in the Everyday Experience of Young American Children” del 1995. Lo studio, eseguito su 42 famiglie americane di diversa estrazione sociale, illustra le differenze nelle conoscenze linguistiche acquisite dai bambini tra 0 e 3 anni (misurate in termini di numero di parole conosciute), in relazione all’estrazione socioeconomica dei genitori: “low income parents” (genitori con livello socioeconomico molto basso in carico ai servizi sociali), “working class” (genitori con livello socioeconomico medio-basso, impiegati in lavori prettamente manuali) e “college educated parents” (genitori con livello socioeconomico medio-alto, in genere professionisti). Come combattere la povertà educativanei primi anni di vita? La povertà educativa non è inevitabile e non è irreversibile. Le politiche di cura ed educative per la prima infanzia possono contribuire, assieme ad altre politiche di welfare e di sostegno alla genitorialità, a interrompere il circolo vizioso della trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza. Il nido e i servizi educativi per la prima infanzia Gli studi longitudinali e le osservazioni trasversali, condotti soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, evidenziano gli effetti positivi della frequenza del nido o della scuola dell’infanzia per i bambini in condizioni socioeconomiche più svantaggiate. Ci si riferisce, in particolare, all’acquisizione di abilità cognitive quali la memoria, la comprensione orale e scritta, le competenze numeriche e di calcolo, il problem solving, la sociabilità e lo sviluppo fisico e motorio. Gli effetti positivi sopracitati persistono durante l’adolescenza, riducendo la probabilità di ripetizione dell’anno scolastico e dell’abbandono precoce della scuola. Nel 2018, Save the Children, in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata, ha svolto un’analisi sugli elementi caratterizzanti la resilienza, ossia la capacità di un individuo di reagire positivamente in condizioni avverse. In relazione alla povertà educativa, la intendiamo come la probabilità per i ragazzi di 15 anni in svantaggio socioeconomico, di raggiungere e superare il livello minimo di competenze nei test PISA in matematica e lettura. E’ emerso, in particolare, che i bambini più svantaggiati che hanno frequentato un nido o un servizio per l’infanzia, hanno quasi il doppio delle probabilità di essere resilienti all’età di 15 anni. La percentuale di ragazzi appartenenti alla fascia delle famiglie più povere che non raggiungono le competenze minime in matematica e lettura diminuisce notevolmente all’aumentare del numero di anni di frequenza al nido o ai servizi integrativi per l’infanzia. Tra coloro i quali non hanno frequentato i servizi per l’infanzia, la percentuale di low achievers è del 64% in matematica e dell’82% in lettura. Tale quota scende notevolmente se gli alunni hanno frequentato 1 anno di asilo (50% in matematica e 44% in lettura) e si riduce drasticamente a circa un terzo nel caso di frequenza di più di 1 anno. Questi dati confermano la permanenza dell’effetto, a lungo termine, dell’intervento nella prima infanzia. Altri studi hanno anche messo in luce effetti positivi a lungo termine sull’occupazione ed i livelli di reddito nell’età adulta, la minor propensione ad adottare comportamenti anti-sociali o connotati da illegalità ed una riduzione dell’incidenza delle psico-patologie. Gli studi del premio Nobel per l’Economia James Heckman Heckman ha analizzato i dati raccolti da due studi longitudinali condotti negli Stati Uniti, a partire dagli anni ‘60 e ‘70: il programma High Scope/Perry Preschool (PPP) svoltosi a Chicago, ed il Progetto Abecedarian (ABC) nella Carolina del Nord. Entrambi gli studi hanno monitorato, per più di 40 anni, gli effetti della partecipazione a programmi prescolastici di alta qualità su bambini provenienti da famiglie svantaggiate, nonché l’impatto economico e il ritorno in termini di investimento di lungo periodo. Questi bambini hanno mostrato risultati migliori nelle indagini relative alle competenze cognitive, all’età di cinque anni, rispetto ai coetanei nelle stesse condizioni economiche e sociali, che non hanno frequentato il programma e risultati ancora più alti nei test riguardanti le abilità socio-emozionali. Secondo Heckman, la partecipazione ai due programmi ha influito in modo maggiore e a lungo termine proprio sulle competenze socio-emozionali, alle quali sono da attribuire gli effetti positivi nel percorso educativo e lavorativo da adulti. Heckman ha anche calcolato che il rapporto costi-benefici dell’investimento nei programmi per la prima infanzia, quali nidi e scuole dell’infanzia, potrebbe raggiungere il valore di 1:7, ovvero, per ogni dollaro USA investito, ci sarebbe un ritorno di 7 dollari USA. La curva di Heckman mostra il ritorno economico degli investimenti nel capitale umano durante l’arco della vita; in questo caso serve a far emergere che i programmi con maggiore efficacia in termini economici, sono anche quelli che ricevono meno finanziamenti pubblici. Gli effetti positivi si manifestano principalmente in presenza di programmi svolti in servizi strutturati che offrono il tempo pieno. Infine, gli studi dimostrano che è auspicabile la frequenza per un tempo più prolungato, rispetto al periodo di un anno di servizio prescolare stabilito. Servizi educativi della prima infanzia: diversi approcci per uno stesso obiettivo Nel 2018, la Commissione europea ha delineato una proposta di raccomandazione per il Consiglio europeo, riguardante l’implementazione di un ‘quadro di indicatori di qualità’ da applicare nei sistemi prescolastici degli Stati membri della UE. La qualità è definita rispetto al rapporto numerico tra educatore o insegnante e bambino ed al numero di bambini per classe o spazio educativo; le qualifiche e la formazione degli educatori ed insegnanti ed il loro coordinamento; alle caratteristiche delle infrastrutture fisiche, nonché al quadro curriculare di riferimento ed i livelli di apprendimento; all’interazione tra servizio, famiglia e comunità e la partecipazione dei bambini stessi al percorso educativo; alla governance, il finanziamento degli interventi e l’equità nell’accesso ai servizi. La gestione dei nidi e servizi integrativi è generalmente affidata ai Comuni, mentre le Regioni hanno la responsabilità dell’orientamento, promozione e regolamentazione, nonché della gestione dei fondispeciali statali. La gestione pubblica può essere diretta o indiretta, a questa si aggiungono i servizi privati. La legge 107 del 2015 La legge 107 del 2015 ed i decreti attuativi del 201735, in particolare il Decreto 65/2017, hanno stabilito la progressiva integrazione nel sistema di educazione e istruzione di servizi dalla nascita fino ai sei anni, affidando unicamente al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca l’indirizzo. In particolare, le disposizioni prevedono: - il progressivo consolidamento, ampliamento, nonché l’accessibilità dei servizi educativi per l’infanzia, anche attraverso un loro riequilibrio territoriale, con l’obiettivo tendenziale di raggiungere almeno il 33 per cento di copertura della popolazione sotto i tre anni di età a livello nazionale; - la graduale diffusione territoriale dei servizi educativi per l’infanzia con l’obiettivo tendenziale di raggiungere il 75 per cento di copertura dei Comuni, singoli o in forma associata; - la generalizzazione progressiva, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, della scuola dell’infanzia per le bambine e i bambini dai tre ai sei anni d’età; - l’inclusione di tutte le bambine e di tutti i bambini; - la qualificazione universitaria del personale dei servizi educativi per l’infanzia, la formazione in servizio del personale del Sistema integrato di educazione e di istruzione, anche al fine di promuoverne il benessere psico-fisico; - il coordinamento pedagogico territoriale; - l’introduzione di condizioni che agevolino la frequenza dei servizi educativi per l’infanzia. Per la progressiva attuazione del Piano di azione nazionale pluriennale per la promozione del sistema integrato di educazione, il Decreto Legislativo n. 65 ha istituito un Fondo Nazionale pari a 209 milioni di euro per l’anno 2017, 224 milioni di euro per l’anno 2018 e 239 milioni di euro a decorrere dall’anno 2019. I fondi hanno lo scopo di finanziare nuove costruzioni o ristrutturazione degli edifici di proprietà delle amministrazioni pubbliche, sostenere una quota parte delle spese di gestione dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole dell’infanzia e assicurare la formazione continua del personale educativo e docente in servizio. Inoltre, il decreto prevede l’istituzione ed il finanziamento dei Poli per l’Infanzia, il cui obiettivo è favorire la continuità del percorso educativo del bambino, attraverso la concentrazione dei servizi quali nidi, servizi integrativi e scuole per l’infanzia in un unico plesso o edifici attigui, e un progetto educativo integrato. Il Decreto prevede poi il coordinamento tra Anagrafe Nazionale Studenti (ANS) e Sistema Informativo Nazionale Servizi socio- Educativi (SINSE) per la prima infanzia (di competenza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) in collaborazione con il Dip e Politiche per la famiglia presso la Presidenza del Consiglio e ISTAT, per costruire il sistema di monitoraggio. Analizzando i dati disponibili a livello nazionale e regionale, raccolti dall’Istituto degli Innocenti e dall’ISTAT, si evince che l’Italia è ancora molto lontana dal target stabilito dall’Unione europea di garantire ad almeno il 33% dei bambini tra 0 e 3 anni l’accesso al nido o ai servizi integrativi. I dati più recenti, raccolti in particolare dall’Istituto degli Innocenti, che fanno riferimento all’anno 2017, indicano che la disponibilità di servizi per la prima infanzia (per i bambini da 0 a 3 anni) è del 23,6%; tale percentuale comprende nidi e micronidi sia pubblici che privati, incluse le sezioni primavera per i bambini da 24 a 36 mesi (21,5%) ed i servizi integrativi (2,1%). Aggiungendo anche i bambini anticipatari (il 5,2%), tale percentuale arriva al 28,9%. Le differenze a livello regionale sono molto marcate, con un tasso di copertura doppio al Centro-Nord rispetto al Sud e Isole. Guardando invece ai dati raccolti dall’ISTAT relativi all’anno 2016-2017, che includono anche la distinzione tra frequenza al servizio pubblico e privato, soltanto in alcune regioni italiane – Valle d’Aosta (28%), Provincia Autonoma di Trento (26,7%), Emilia-Romagna (26,6%), Molise (16,2%) - la copertura di nidi e servizi integrativi per l’infanzia pubblica è nettamente prevalente (più del doppio) rispetto a quella privata. In regioni invece come Calabria (2,6%) e Campania (3,6%), la copertura pubblica è quasi inesistente. Da un’anticipazione di una recente analisi condotta dall’Istituto degli Innocenti, non ancora resa pubblica, svolta su un campione di città italiane, si rileva che su 100 bambini sotto i 3 anni che accedono al nido pubblico, soltanto 67 completano il percorso educativo; i 33 che abbandonano, lo fanno sostanzialmente per ragioni economiche. Situazione migliore si riscontra invece rispetto all’accessibilità alle scuole dell’infanzia: il 92,6% dei bambini dai 3 a 6 anni è accolto nella scuola dell’infanzia; di questi, il 61,4% in scuole statali (gratuite, tranne per il servizio mensa, a domanda individuale), l’8,5% in scuole comunali (con modalità eguali a quelle statali), ed il 28,2% in scuole private paritarie. L’Italia si posiziona quindi nei primi posti per accesso alla scuola dell’infanzia, in linea con l’obiettivo europeo di copertura al 90% per i bambini da 3 a 6 anni. Gli standard di qualità dei servizi per l’infanzia La qualità è una componente essenziale dell’efficacia degli interventi educativi della prima infanzia nel contrasto della povertà educativa. Ogni Regione pertanto ha la facoltà di stabilire propri standard di qualità, per esempio, relativi al rapporto educatori/bambini o alla dimensione fisica degli ambienti. Il Decreto 65/2017 promuove tra gli obiettivi strategici del “Sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a 6 anni” la qualità dell’offerta educativa avvalendosi di personale educativo e docente con qualificazione universitaria e attraverso la formazione continua in servizio, la dimensione collegiale del lavoro e il coordinamento pedagogico territoriale. Il Decreto definisce, quindi, anche il titolo necessario per diventare educatore in un servizio educativo per l’infanzia, cioè la laurea triennale in Scienze dell’Educazione a indirizzo specifico per l’infanzia (corsi già attivati in alcuni Atenei), anche se continuano ad avere validità i titoli richiesti nell’ambito delle specifiche normative regionali conseguiti entro la data di entrata in vigore del decreto stesso. L’attivazione di coordinamenti pedagogici territoriali e di iniziative di formazione continua in servizio per tutto il personale educativo e docente è inserita fra gli obiettivi strategici del Sistema integrato. I limiti delle rilevazioni sui bambini in Italia e l’indagine di Save the Children Le ricerche ed i dati mostrano limiti evidenti: essi si focalizzano sull’accesso e la copertura dei servizi, mentre pochi sono gli studi che monitorano anche il livello di sviluppo cognitivo, socio-emozionale o fisico dei bambini prima dell’entrata nella scuola primaria. Inoltre, in molti casi, sono assenti informazioni che permettano di disaggregare i dati relativi all’accesso o la frequenza ai servizi, rispetto alla condizione socioeconomica delle famiglie, l’origine (migrante o meno), ed anche alcune caratteristiche individuali (ad esempio la disabilità). L’Italia è storicamente carente nella ricerca sulle politiche educative per la prima infanzia e gli effetti sulla povertà educativa. Gli studi condotti in Italia sugli effetti della frequenza al nido Nel 2010, le professoresse Daniela Del Boca e Silvia Pasqua hanno realizzato uno studio sugli effetti della frequenza del nido sui risultati scolastici e sul comportamento dei bambini nella scuola primaria. Nel dettaglio, l’analisi si è svolta sui dati rilevati dall’ISFOL (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale del Lavoratori, anno 2007), riguardo al lavoro della madre e l’utilizzo del nido, sui dati dell’indagine INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione, anno 2009-2010), sul livello di competenze dei bambini. In particolare, i bambini che hanno frequentato il nido hanno risultati migliori in matematica nelle classi IIe V della scuola primaria e tale relazione positiva permane anche nella scuola secondaria. Inoltre, la frequenza al nido è positivamente associata ad una maggiore capacità di ascolto, concentrazione nello studio e migliori relazioni amicali. Tra i bambini in condizioni socioeconomiche più svantaggiate coloro i quali sono andati al nido, raggiungono livelli di competenze a scuola che in molti casi eliminano il gap con i bambini provenienti da famiglie di livello socioeconomico medio-alto. Dallo studio emerge che i risultati positivi si ottengono soltanto con la frequenza ad un nido di qualità. Nel 2012, un team di ricercatori composto dai professori Pietro Biroli, Daniela Del Boca e James Heckman, ha eseguito un’indagine particolarmente estesa ed approfondita tra i bambini di Reggio Emilia, Parma e Padova, per comprendere gli effetti del Reggio Emilia Approach: la ricerca ha rilevato che la frequenza ad un servizio educativo per la prima infanzia che applica questo approccio aumenta significativamente i risultati ottenuti dai bambini, nel medio-lungo termine, in relazione alle abilità socio-emotive, ai risultati educativi nella scuola superiore, all’occupazione, rispetto ai coetanei che non hanno frequentato alcun servizio. CAPITOLO 2 L’INDAGINE IDELA IN ITALIA Save the Children, in collaborazione con il Centro per la Salute del Bambino, ha realizzato, nel 2019, un primo studio pilota in Italia, di carattere esplorativo svolto direttamente con i bambini, con l’obiettivo di analizzare l’insorgere e il cristallizzarsi delle disuguaglianze tra gli stessi prima dell’entrata nella scuola dell’infanzia, ed il potenziale effetto “egualizzante” della frequenza al nido. Lo studio si è svolto in 10 città e province italiane - Brindisi, Macerata, Milano, Napoli, Palermo, Prato, Reggio Emilia, Roma, Salerno e Trieste - ed ha coinvolto 653 bambini di età compresa tra 3 anni e 6 mesi e 4 anni e 6 mesi, che frequentano scuole dell’infanzia pubbliche o private paritarie, ed i loro genitori. Per svolgere l’indagine è stato utilizzato lo strumento IDELA, sviluppato da Save the Children International, che osserva lo sviluppo dei bambini prima dell’entrata nella scuola primaria. Che cos’è IDELA? L’International Development and Early Learning Assessment (IDELA) è uno strumento di indagine che misura i progressi dei bambini di età compresa tra 3 e 6 anni, in quattro dimensioni di competenze e sviluppo: fisico-motorio, matematico, linguistico e socio-emozionale. Le dimensioni analizzate da IDELA riflettono le “21 century competencies”. IDELA è concepito come uno strumento open source, adattabile a diversi contesti linguistici e culturali. L’indagine IDELA nasce, nel 2011, con l’intento di ovviare ai limiti delle indagini generalmente condotte a livello internazionale nell’ambito dello studio delle politiche per la prima infanzia, in particolare, con riferimento alla disponibilità di informazioni riguardanti soltanto singole aree di sviluppo del bambino, principalmente le competenze cognitive, ed il fatto che i questionari vengono somministrati, solitamente, ai genitori o agli insegnanti piuttosto che direttamente ai bambini. IDELA prende spunto, integra ed adatta gli strumenti di indagine esistenti sullo sviluppo del bambino, creandone uno nuovo, rigoroso ed olistico, nonché direttamente somministrabile. Lo strumento di indagine è composto da 22 domande, divise in quattro ambiti di sviluppo: fisico/motorio (4 domande), cognitivo/matematico e problem solving (7 domande), cognitivo/linguaggio e scrittura (6 domande) e socio-emozionale (5 domande). Il rigore dello strumento di indagine IDELA, dal punto di visto psicometrico e della possibilità di adattamento a diversi contesti, è derivato dalla validazione tramite somministrazioni pilota e conseguenti studi di valutazione eseguiti, durante l’arco di 3 anni, dal 2011 al 2014, in 11 Paesi in via di sviluppo. Dal 2014 IDELA si sta sperimentando anche in paesi di medio-alto reddito, in Spagna, in Europa dell’Est e negli Stati Uniti. La somministrazione di IDELA ha una durata di circa 40 minuti per bambino. È importante sottolineare che la modalità di somministrazione dello strumento di indagine è stata concepita e presentata come un’attività ludica, un gioco che può essere interrotto dal bambino in qualsiasi momento. Oggi IDELA è utilizzato in 55 Paesi a livello globale, per osservare lo sviluppo dei bambini e quindi costruire politiche educative per l’infanzia efficaci nel ridurre le disuguaglianze educative fin dai primi anni d’età. La fase pilota dell’indagine IDELA in Italia Nei primi anni di vita misurare le competenze è estremamente complesso, perché, a quell’età, ogni bambino sviluppa le proprie conoscenze ed abilità in modalità e tempi diversi. Lo strumento d’indagine non ha quindi come obiettivo quello di misurare lo sviluppo di un singolo bambino, bensì quello di osservare alcune tendenze sulla popolazione di riferimento, ed in particolare, l’emergere di disuguaglianze nello sviluppo, nonché di potenziali fattori protettivi, al fine di valorizzare questi ultimi, attraverso adeguate politiche pubbliche e conseguente sostegno finanziario. Nel dicembre 2018, Save the Children Italia ha effettuato, in collaborazione con il Centro per la Salute del Bambino di Trieste, una somministrazione pilota dello strumento di indagine IDELA, al fine di valutare la validità della traduzione in lingua italiana ed effettuare modifiche necessarie per migliorare l’adattamento al contesto culturale italiano. genitore senza alcun titolo di studio o la licenza elementare/media (livello di istruzione basso), 47,4% a fronte del 29% per i bambini che hanno almeno un genitore con titolo di studio medio-alto (superiore o universitario). In lettura la differenza è 67,6% a 50,7%, mentre è significativamente più bassa per l’identificazione di 6-10 numeri (11,7% vs. 25,3%) e lettere (3,7% vs. 8,2%). Per quanto riguarda invece l’identificazione di 11-20 numeri o lettere, il gap è di circa 4pp. I bambini con genitori con un livello di istruzione medio-alto conoscono, già all’età di 4 anni, il doppio dei numeri e lettere, rispetto ai loro coetanei che provengono da un contesto socio economico sfavorevole. Il lavoro svolto dalla madre, la correlazione tra tipologia di lavoro e non lavoro (tra cui rientra anche il lavoro familiare non retribuito) è molto forte. Nel dettaglio, i bambini con madre disoccupata rispondono, rispettivamente, in modo appropriato al 38,4% e 43,1% delle domande dell’indagine IDELA. Una percentuale significativamente inferiore rispetto a quella dei bambini che hanno la madre che svolge un lavoro manuale, 48%, un lavoro impiegatizio 51%, o di servizio (dirigente, imprenditrice o libero professionista), 54,9%. Sono emerse differenze significative rispetto al genere ed alla condizione di bambino con genitori di cittadinanza straniera: la differenza, nelle risposte appropriate all’indagine IDELA è infatti di circa 3 pp a favore delle bambine. In particolare, le bambine superano di più di 10 pp i bambini nell’ambito motorio e socio-emozionale, mentre si equivalgono in matematico e nella lettura. Questi dati sono particolarmente importanti, se messi in relazione ai risultati emersi da altre rilevazioni sulle competenze degli adolescenti, infatti, considerando ad esempio l’Indagine PISA, che misura le competenze all’età di 15 anni, i ragazzi ottengono 20 punti in più rispetto alle ragazze in matematica. Il gap negativo, invece, per i minori con genitori con cittadinanza straniera è di 5 pp in ciascuno degli ambiti dell’indagine IDELA, tranne nello sviluppo fisico-motorio dove non si riscontrano differenze significative. I risultati in matematica e lettura degli adolescenti figli di genitori migranti e non nati in Italia (migranti di prima generazione) sono significativamente più bassi rispetto a quelli dei migranti di seconda generazione, e degli studenti di 15 anni non migranti. Tale aspetto mette in evidenza l’importanza di investire nell’apprendimento della seconda lingua (L2) fin dalla prima infanzia. Il nido dell’infanzia aiuta a ridurre le disuguaglianze L’indagine IDELA permette di rilevare l’effetto sul livello di competenze e sviluppo dei bambini nel periodo immediatamente successivo, quando si trovano nella scuola dell’infanzia. Inoltre, l’aver costruito l’indagine su un gruppo composto non solo, come spesso avviene, da bambini che hanno, o non, frequentato il nido dell’infanzia, ma anche altri servizi, meno strutturati (quali i servizi integrativi o gli anticipatari), può fornire un quadro più completo dell’effetto di tali interventi sulla povertà educativa nei primi anni di vita. I bambini che hanno frequentato il nido (tempo pieno o parziale in nidi tradizionali, micro nidi, nidi aziendali, classi primavera) hanno infatti portato a termine in modo appropriato il 46,9% degli esercizi proposti, a fronte del 41,6% di coloro i quali hanno frequentato servizi integrativi (centri bambini-genitori, spazi gioco, servizi educativi domiciliari, etc.) o sono andati in anticipo alla scuola dell’infanzia o sono rimasti a casa e non hanno quindi usufruito di alcun servizio. Particolarmente significativa è l’associazione tra partecipazione al nido e risultati nell’indagine IDELA per i bambini provenienti da famiglie in svantaggio socio-economico. Tra questi, coloro i quali hanno frequentato un asilo nido hanno risposto in modo appropriato al 44% delle domande dell’indagine IDELA. La percentuale scende al 38% per i bambini che hanno frequentato un servizio integrativo o sono andati anticipatamente alla scuola dell’infanzia o non hanno usufruito di alcun servizio. La durata della frequenza al nido dell’infanzia, calcolata in termini di numero di mesi, è risultata essere un fattore determinante, particolarmente per i bambini svantaggiati dal punto di vista socio-economico, nell’acquisizione delle competenze in ciascun ambito IDELA. I bambini provenienti da famiglie in svantaggio socio-economico che hanno frequentato il nido dell’infanzia per 36 mesi, hanno risposto in modo appropriato al 50% delle domande dell’indagine IDELA, a fronte del 42,5% per i bambini la cui frequenza è stata tra 12 e 24 mesi, e del 38% per un solo anno o meno. Tali risultati confermano l’efficacia della partecipazione a programmi strutturati di cura ed educazione della prima infanzia (nido a tempo pieno o parziale) ed in particolare il potenziale redistributivo di tali interventi e la necessità, quindi, di creare un sistema di servizi universale, in grado di garantire il diritto all’educazione di qualità per ogni bambino. Dall’analisi emerge inoltre che il livello di istruzione dei genitori rappresenta il fattore predittivo più significativo per lo sviluppo dei bambini: si pone, quindi, la necessità di promuovere programmi volti a stimolare la conduzione di pratiche educative, di early learning, a casa, in contesti dove i servizi per l’infanzia non sono presenti, o dove i genitori non ne usufruiscono per scelta. Questi programmi devono però essere accompagnati da politiche di welfare a sostegno dei genitori, sia dal punto di vista economico, che della conciliazione tra lavoro e famiglia. L’attività con i genitori, un altro fattore chiave per ridurre la povertà educativa Da una ricerca elaborata nel 2018 in collaborazione con l’Università di Tor Vergata è emerso che i ragazzi e ragazze di 15 anni che appartengono al quartiere socio-economico e culturale più basso (il 25% della famiglie più disagiate), ma che vivono in contesti che offrono maggiori opportunità di svolgere attività culturali, quali l’andare a teatro, ad un concerto musicale, visitare un museo o un sito archeologico, fare sport, oppure i bambini che leggono un numero più elevato di libri a casa, hanno il triplo delle probabilità di raggiungere le competenze minime in matematica e lettura, misurate attraverso i test PISA condotti sugli alunni di 15 anni. Sono stati raccolti dati relativi al tempo trascorso dai genitori con i bambini, nello svolgere una serie di attività fuori dal contesto scolastico, quali: la lettura di libri per l’infanzia, la condivisione di esperienze musicali (ad esempio il canto, l’ascolto, l’utilizzo di oggetti che producono suoni o strumenti musicali), la visione di spettacoli teatrali o musicali ed anche l’attività ludica all’aria aperta. Dall’analisi svolta, si evince che i bambini provenienti da famiglie in svantaggio socio-economico, ma che leggono almeno una/due volte alla settimana libri per l’infanzia con i genitori, rispondono in modo appropriato al 42% delle domande, a fronte del 36,8% per coloro i quali non leggono quasi mai un libro con i propri genitori o soltanto alcune volte l’anno. In lettura e scrittura, ed in matematica e problem solving, il gap è di circa 5pp; in sviluppo fisico-motorio e socio-emozionale di più di 7pp e 8pp. Risultati molto simili si osservano rispetto all’attività ludica svolta all’aria aperta con i genitori almeno un paio di volte alla settimana: il 42% di risposte appropriate, rispetto al 36,8% dei bambini che non lo fanno quasi mai o poche volte durante l’anno. È interessante sottolineare l’effetto “olistico” della frequenza ad attività culturali e fisiche. La lettura dei libri è associata anche negli ambiti matematico, fisico-motorio e socio-emozionale. In egual misura, l’effetto dello svolgere attività fisica con i genitori all’aria aperta, non si riscontra unicamente nell’ambito di sviluppo fisico-motorio, ma anche in quello cognitivo e soprattutto non-cognitivo. In linea di principio, il coinvolgimento dei genitori in attività culturali, in particolare la lettura condivisa, e fisiche con i bambini, riflette l’attitudine, da parte degli stessi, a strutturare (ed utilizzare) il tempo a disposizione con i figli al fine di favorire l’early learning. Gli approcci promossi da Save the Children negli interventi a sostegno dello sviluppo della prima infanzia nel mondo Save the Children ha sviluppato due approcci che propongono metodologie e strumenti di comprovata efficacia per intervenire nella delicata fascia di età che va dai primi momenti di vita ai 3 anni (Building Brains Common Approach) e dai 3 ai 6 anni del bambino (Ready to Learn Common Approach). Tali approcci sono stati sviluppati mettendo a sistema gli insegnamenti tratti dall’esperienza programmatica per far fronte a specifici problemi o bisogni dei bambini e delle bambine in questa fascia d’età; possono essere adattati e replicati in diversi Paesi e contesti, compresi quelli di emergenza. Fino ai 3 anni del bambino, Save the Children lavora principalmente per fornire un adeguato supporto ai genitori, o a chi ne fa le veci, e agli educatori (caregivers). Questi in particolare assumono un ruolo chiave nel definire e creare un ambiente adatto e stimolante per lo sviluppo cerebrale e cognitivo dei bambini, e aiutarli a muovere i loro primi passi nella vita. A tal fine vengono organizzati e promossi incontri individuali, visite a domicilio o lavori di gruppo con tutti coloro che hanno un ruolo di attenzione e cura dei bambini, per fornire loro i metodi e gli strumenti utili alla stimolazione e alla creazione di relazioni positive. L’approccio Building Brains si propone di rendere operativo il Nurturing Care Framework, lanciato dall’OMS, fornendo il supporto tecnico per l’implementazione di due delle sue componenti essenziali: l’attenzione e cura e l’apprendimento precoce. I genitori e caregivers vengono pertanto formati per acquisire competenze e comportamenti in 3 aree principali: - Il gioco con il ricorso ad oggetti di uso comune. - La comunicazione precoce attraverso la lettura di libri, il racconto di storie e la descrizione di immagini. - La cura e la comunicazione attiva volta a sviluppare il legame di fiducia e il senso di attaccamento, ad alimentare la sfera socio-emozionale del bambino nonché il rispetto e l’adozione di comportamenti in grado di costruire empatia e confidenza. - L’implementazione del Building Brains Common Approach richiede interventi multi-settoriali inerenti la salute e la nutrizione, la protezione e l’educazione, nonché una forte collaborazione tra i diversi Ministeri coinvolti. Nell’età prescolare dai 3 ai 6 anni Save the Children lavora per assicurare che tutti i bambini e le bambine possano sviluppare quelle competenze iniziali che consentano loro di arrivare alla scuola primaria “Ready to Learn”. L’approccio si concentra sul fornire supporto e formazione ai genitori, agli educatori – sia nelle scuole per l’infanzia che nei centri comunitari - promuovendo l’uso di materiali (inclusi oggetti di uso comune) e attività ludico-didattiche per stimolare lo sviluppo di specifiche competenze di lettura e di calcolo quali ad esempio: il linguaggio e l’ascolto, la scoperta del libro, l’alfabeto, la comprensione dei suoni e delle parole, i numeri e le sequenze, il conteggio, la classificazione, la geometria, la misurazione e il confronto. L’approccio prevede che l’apprendimento avvenga attraverso il gioco e possa essere implementato in due ambiti principali: In quello formale, negli asili e nelle scuole per l’infanzia dove si promuove l’adozione di un pacchetto di 100 attività ludiche da utilizzare all’interno dei programmi scolastici. Nei contesti familiari e comunitari con particolare attenzione ai bambini che non hanno accesso ai servizi pre- scolari. In questo caso è previsto un forte coinvolgimento dei genitori e dei caregivers che vengono formati su una serie di semplici attività da realizzare in ambito domestico. Lo strumento IDELA è utile ad orientare le politiche nazionali, adeguare i programmi e influenzare - ad esempio - lo sviluppo dei curricula per le scuole dell’infanzia. Entrambi gli approcci, il Building Brains Common Approach e il Ready to Learn Common Approach, possono essere adattati e applicati sia a contesti di emergenza che di sviluppo e sono ad oggi implementati rispettivamente in 21 e 2071 Paesi il Building Brains Common Approach e in 2072 Paesi il Ready to Learn Common Approach. La Child Safeguarding Policy Save the Children è impegnata nell’applicazione di un Sistema di Tutela (Child Safeguarding Policy73) volto a proteggere quotidianamente i minori raggiunti datutti i suoi progetti, inclusi quelli realizzati con il coinvolgimento di numerosipartner, quali associazioni, gruppi di volontariato ed altri. Si impegna, inoltre, fortemente, affinché ogni struttura, sia pubblica, sia del privato sociale, adotti a sua volta un proprio Sistema di Tutela. Nello specifico dei servizi per la prima infanzia l’obiettivo primario della Child Safeguarding Policy è quello di prevenire e minimizzare il rischio di condotte inappropriate che possano ledere i diritti, in primis quello alla protezione, delle bambine e dei bambini all’interno degli asili nido. Tale Sistema si fonda sui riferimenti normativi vigenti (comunali, nazionali e internazionali) e sulle procedure già vincolanti in ambito di tutela dei minori; li valorizza e rende espliciti e pienamente accessibili a tutti gli adulti che costituiscono la comunità educante. Save the Children promuove dunque l’adozione della Policy negli asili nido, quale patto vincolante con la comunità, che comporta una formazione adeguata a tutto il personale coinvolto sulle linee guida e sull’approccio educativo proposto. Il Manuale per la formazione sul Sistema di Tutela delle bambine e dei bambini da condotte inappropriate, abuso e maltrattamento74, pubblicato nel 2017, è stato ideato proprio come strumento di supporto per la realizzazione di percorsi formativi sul Sistema di Tutela delle bambine e dei bambini. I programmi 0-6 di Save the Children in Italia Save the Children Italia, attraverso i suoi interventi dedicati all’area materno infantile e rivolti ai bambini e alle bambine tra 0 e 6 anni realizzati sul territorio nazionale, intende sostenere alcune delle situazioni più critiche fin dalla gravidanza per poter tutelare i diritti dei bambini e delle bambine e promuovere il loro benessere, con l’obiettivo di non lasciarne indietro nessuno. Il programma Fiocchi in Ospedale è dedicato ai neonati e alle loro famiglie e prevede l’offerta di un servizio di bassa soglia, per l’ascolto, l’orientamento, l’accompagnamento e la presa in carico. Si rivolge ai futuri e neogenitori, in particolare quelli che patiscono una situazione di vulnerabilità sul piano socio-economico o psicologico.
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