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Riassunto "Il mondo contemporaneo" Sabbatucci-Vidotto, Appunti di Storia Contemporanea

Riassunto dei capitoli del libro Il mondo contemporaneo partendo dalla seconda rivoluzione industriale fino alla seconda guerra mondiale

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 28/05/2023

blllllu
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Scarica Riassunto "Il mondo contemporaneo" Sabbatucci-Vidotto e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! La Seconda Rivoluzione Industriale L’ultimo trentennio dell’800 vide una profonda trasformazione economica. La crisi di sovrapproduzione del 1873 diede inizio a una fase di rallentamento dello sviluppo e di caduta dei prezzi – conseguenza soprattutto delle trasformazioni organizzative e delle innovazioni tecnologiche. In Europa gli effetti più gravi della caduta dei prezzi si ebbero nell’agricoltura, anche per la concorrenza dei prodotti americani, più convenienti sul mercato. Si affermò nei vari Stati una politica di sostegno all’economia nazionale attraverso il protezionismo. Anche la crisi agraria favorì l’affermazione di politiche doganali per proteggere la produzione nazionale dalla concorrenza estera. Un altro effetto della crisi fu l’ingente migrazione europea verso le aree industriali d’oltreoceano. Solo la Gran Bretagna rimase estranea alla tendenza generale ad applicare misure protezionistiche, venendone danneggiata: alla chiusura dei mercati europei e allo sviluppo industriale di paesi concorrenti come Francia e Germania, reagì allargando i commerci internazionali con le colonie. Sempre di ispirazione protezionista fu la tendenza di varie imprese, spesso afferenti a uno stesso settore, a consociarsi e accordarsi per una più efficace azione sul mercato (stabilendo, per esempio, il prezzo dei prodotti per ridurre al minimo la concorrenza). Queste complesse operazioni finanziarie (cartelli, pools , trusts ) richiedevano un ingente impiego di capitali, per cui sempre più determinante risultò il sodalizio tra banche e industrie, che diede vita al cosiddetto capitalismo finanziario. Mentre la prima rivoluzione industriale era stata dominata dal cotone e dal ferro, caratteristica fondamentale della seconda rivoluzione industriale fu il rinnovamento tecnologico nei nuovi settori dell’industria chimica, elettrica e dell’acciaio. Quest’ultimo, in particolare, migliorato nella sua qualità dalla messa a punto di procedure sempre più raffinate, conobbe applicazioni d’uso in svariati campi, da quello industriale a quello della nuova edilizia urbana. Furono soprattutto gli sviluppi della chimica, però, che aprirono nuove prospettive in quasi tutti i settori produttivi: dalla produzione di alluminio a quella dei coloranti e delle fibre tessili artificiali, ai nuovi metodi di conservazione degli alimenti. L’invenzione del motore a scoppio e la produzione di energia elettrica furono, tuttavia, le novità che meglio rappresentano nell’immaginario comune la seconda rivoluzione industriale: la prima diede l’impulso decisivo all’estrazione del petrolio, mentre la seconda rivoluzionava – anzitutto con l’illuminazione – la vita quotidiana e, dalla fine dell’800, forniva una nuova importante forza motrice per gli usi industriali. Anche il campo delle comunicazioni venne rivoluzionato da innovazioni epocali: basti pensare al telegrafo (che consentiva la trasmissione quasi in tempo reale delle informazioni da un capo all’altro del mondo) e al grammofono e al cinematografo (che consentivano una riproduzione di suoni e immagini in movimento). La trasformazione scientifica della medicina poggiò su quattro fattori. In primo luogo la prevenzione e il contenimento delle malattie epidemiche attraverso la diffusione delle pratiche igieniste e l’identificazione dei microrganismi responsabili di malattie infettive come il colera, il tifo e la malaria, quest’ultima neutralizzata da un potente insetticida (il Ddt). Queste e altre malattie vennero, infatti, controllate e combattute grazie ai progressi della farmacologia e alla nascita delle prime industrie farmaceutiche. Infine, la nuova architettura ospedaliera garantì migliori condizioni di trattamento e degenza ai malati, accolti ora in moderni ospedali (policlinici) organizzati in reparti. I progressi della medicina e dell’igiene, sommandosi allo sviluppo dell’industria alimentare, favorirono in Europa una riduzione della mortalità, che a sua volta determinò un sensibile aumento della popolazione, soprattutto in quei paesi, come gli Stati Uniti, mete privilegiate dell’emigrazione oltreoceano. Ciò avvenne nonostante il calo delle nascite verificatosi, nei paesi economicamente più avanzati, a causa della diffusione di pratiche contraccettive e di una nuova mentalità tesa a programmare razionalmente la famiglia. 1 L’Imperialismo Diverse furono le cause della corsa alla conquista coloniale che, negli ultimi decenni dell’800, connotò la politica estera di molti Stati europei, presto affiancati dalle potenze emergenti di Stati Uniti e Giappone. Vi fu certamente la spinta esercitata dagli interessi economici – materie prime a basso costo, sbocchi per i prodotti industriali e i capitali d’investimento –, ma non meno importante fu l’affermarsi di tendenze politico-ideologiche che affiancavano a un acceso nazionalismo la convinzione nella missione civilizzatrice dell’uomo bianco. L’opinione pubblica, infine, fu particolarmente colpita e influenzata dalle notizie sui viaggi in Africa compiuti da esploratori, viaggiatori, missionari. Fu in Africa che l’espansione coloniale si realizzò con la velocità più sorprendente, portando nel giro di pochi decenni alla conquista quasi completa di tutto il continente, sotto forma di colonie o protettorati. Francia e Inghilterra occuparono rispettivamente Tunisia (1881) ed Egitto (1882). Poco dopo, la conferenza di Berlino (1884-85), convocata per risolvere i contrasti internazionali suscitati dall’espansione belga in Congo, stabilì i princìpi della spartizione dell’Africa (in primo luogo quello dell’effettiva occupazione) e riconobbe il possesso di vari territori a Belgio, Francia, Germania e Gran Bretagna. Nel 1900 i territori africani rimasti indipendenti erano pochi: l’Impero etiopico, la Libia (ottomana), il Marocco (fino al 1912), la piccola Liberia e le Repubbliche boere del Sudafrica. In Sudafrica la Gran Bretagna, soprattutto attraverso la politica di Cecil Rhodes, politico e proprietario della British South Africa Company, mirò a estendere il dominio britannico dalla Colonia del Capo alle due Repubbliche boere dell’Orange e del Transvaal, ricche di giacimenti d’oro e di diamanti. Il disegno poté realizzarsi solo dopo due lunghe e sanguinose guerre contro i boeri (1880-81 e 1899-1902). Nel 1910 l’Orange e il Transvaal confluirono nell’Unione sudafricana insieme alla Colonia del Capo. Agli inizi dell’età dell’imperialismo, gli europei avevano già numerosi possedimenti in Asia. In India, da tempo affidata al controllo della Compagnia delle Indie, gli inglesi tentarono di introdurre elementi di modernizzazione provocando però violente reazioni. La colonia fu allora riorganizzata sotto la diretta amministrazione della Corona britannica. L’apertura del Canale di Suez (1869) diede nuovo impulso alla penetrazione europea in Asia. In questo periodo ci furono la conquista francese dell’Indocina, la spartizione del Pacifico e lo sviluppo della colonizzazione russa della Siberia. L’altra direttrice dell’espansionismo russo – quella verso l’Asia centrale – portò l’Impero zarista a un duro contrasto con la Gran Bretagna, molto attiva anche nel consolidamento della sua presenza nel Pacifico, insieme a Germania, Stati Uniti e Giappone. A metà ’800 l’isolamento della Cina dal resto del mondo fu interrotto dalla pressione degli Stati europei e in particolare dal conflitto nato con la Gran Bretagna per il commercio dell’oppio, vietato in Cina ma molto lucroso per i trafficanti britannici. Dopo due guerre (1839-42 e 1856-60) venne imposta al paese l’apertura al commercio straniero, prima attraverso l’accesso ai principali porti, poi con l’accesso anche alle vie fluviali interne. Le potenze conquistatrici fecero generalmente un uso indiscriminato della forza contro le popolazioni indigene, sconvolsero l’economia dei paesi afro-asiatici sottoponendola a un sistematico sfruttamento finalizzato all’esportazione di materie prime e, in questo modo, colpirono, spesso irrimediabilmente, antiche culture, danneggiando inoltre il mercato interno. Gli effetti della conquista, tuttavia, non furono sempre e solo negativi. Sul piano economico ci fu, in molti casi, un inizio di modernizzazione, sia pur finalizzata agli interessi dei dominatori. Su quello culturale, alcuni paesi con tradizioni e strutture politico-sociali più solide riuscirono a difendere la loro identità, ovvero ad assimilare alcuni aspetti della cultura dei dominatori. Sul piano politico, infine, la colonizzazione favorì la formazione di nazionalismi locali che avrebbero successivamente alimentato le lotte per l’indipendenza. 2 La Prima Guerra Mondiale e La Rivoluzione Russa L’Europa del 1914 mostrava aspetti contraddittori: la supremazia politica, economica e culturale del continente, lo sviluppo tecnologico, il benessere relativamente diffuso e il consolidarsi delle istituzioni democratiche e rappresentative si affiancavano all’acutizzarsi dei conflitti sociali e delle tensioni tra le potenze. Settori non trascurabili delle classi dirigenti e delle opinioni pubbliche nazionali valutavano la guerra come un’opzione praticabile nella logica del confronto fra le potenze, o come un dovere patriottico, o un evento liberatorio, o più concretamente come una opportunità di carriera, di successo e di guadagno. I più la immaginavano breve, sul modello dei conflitti ottocenteschi, e naturalmente vittoriosa per il proprio paese. L’evento scatenante della prima guerra mondiale fu l’uccisione a Sarajevo, il 28 giugno 1914, dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono degli Asburgo. Un mese dopo l’Austria dichiarò guerra alla Serbia, ritenuta corresponsabile dell’attentato. Il conflitto che ne scaturì vide contrapposti gli Imperi centrali (Germania e Austria-Ungheria) alle potenze dell’Intesa (Francia, Russia, Gran Bretagna). Lo scoppio del conflitto e la sua successiva estensione su scala mondiale furono causati da una serie di tensioni preesistenti, ma anche dalle decisioni prese dai capi politici e militari dei paesi interessati. Le scelte dei governanti furono del resto appoggiate da una forte mobilitazione dell’opinione pubblica. Gli stessi partiti socialisti si schierarono, nella maggior parte dei casi, su posizioni patriottiche. Gli eserciti scesi in campo nell’estate del ’14 non avevano precedenti per dimensioni e per novità di armamenti. Ma le concezioni strategiche restavano legate alle esperienze ottocentesche. I tedeschi, in particolare, puntavano sull’ipotesi di una rapida guerra di movimento. Ma, dopo essere penetrati in territorio francese, furono bloccati sulla Marna. Il conflitto assunse presto i caratteri di guerra di posizione. Allo scoppio del conflitto, l’Italia si dichiarò neutrale. Successivamente, però, le forze politiche e l’opinione pubblica si divisero sul problema dell’intervento in guerra contro gli Imperi centrali. Erano interventisti: i gruppi della sinistra democratica, i nazionalisti, alcuni ambienti liberal-conservatori. Erano neutralisti: la maggioranza dello schieramento liberale, che faceva capo a Giolitti, il mondo cattolico, i socialisti. Ciò che determinò l’entrata in guerra al fianco dell’Intesa (maggio 1915) fu la convergenza tra la pressione della piazza e la volontà del sovrano, del capo del governo Antonio Salandra e del ministro degli Esteri Sidney Sonnino, che col patto di Londra avevano concordato importanti acquisizioni territoriali per l’Italia in caso di vittoria. Nel 1915-16 la guerra sui fronti francese e italiano si risolse in una immane carneficina, senza che nessuno dei due schieramenti riuscisse a conseguire risultati significativi. In particolare le battaglie di Verdun e della Somme, due dei più spaventosi massacri della storia militare, provocarono oltre un milione e mezzo di perdite, fra morti, feriti e prigionieri, per entrambi gli schieramenti. Alterne furono le vicende sul fronte orientale, dove gli Imperi centrali ottennero alcuni importanti successi. Sul piano tecnico la trincea fu la vera protagonista del conflitto: la vita monotona che vi si svolgeva era interrotta solo da grandi e sanguinose offensive, prive di risultati decisivi. Da ciò, soprattutto nei soldati semplici, scaturì uno stato d’animo di rassegnazione e apatia che a volte sfociava in forme di insubordinazione. Il primo conflitto mondiale si caratterizzò anche per l’utilizzo di nuove armi: gas, aerei, carri armati, sottomarini. Alcune di esse – come gli aerei e i carri armati –, tuttavia, avrebbero trovato una applicazione sistematica e intensiva solo nel corso del secondo conflitto mondiale. La guerra coinvolse direttamente anche i civili e trasformò profondamente la stessa vita delle popolazioni dei paesi in conflitto. In campo economico si dilatò enormemente l’intervento statale, teso 5 a garantire le risorse necessarie allo sforzo bellico. Il potere dei governi fu largamente condizionato da quello dei militari e, in genere, tutta la società fu soggetta a un processo di “militarizzazione”. Nel 1917 si verificarono due avvenimenti di decisiva importanza. In Russia, dopo la caduta dello zar, in marzo, iniziò un processo di dissoluzione dell’esercito che avrebbe portato il paese al ritiro dal conflitto. In aprile gli Stati Uniti entrarono in guerra a fianco dell’Intesa dando al loro intervento, per volontà del presidente Wilson, una nuova connotazione ideologica “democratica”. Il 1917 fu l’anno più difficile della guerra, soprattutto per l’Intesa: molti furono i casi di manifestazioni popolari contro il conflitto e gli episodi di ribellione fra le stesse truppe. Questo clima di stanchezza – espresso anche dall’appello alla pace lanciato senza successo da papa Benedetto XV – si riscontrava anche in Italia: la demoralizzazione e la stanchezza delle truppe contribuirono, nell’ottobre ’17, alla disastrosa sconfitta italiana di Caporetto, causata però soprattutto dagli errori dei comandi. Nel marzo 1917 la rivolta degli operai e dei soldati di Pietrogrado provocò la caduta dello zar e la formazione di un governo provvisorio di orientamento liberale. Entrarono successivamente a far parte di questo governo tutti i partiti, a eccezione dei bolscevichi. Frattanto, accanto al potere “legale” del governo, veniva crescendo il potere parallelo dei soviet , i consigli eletti direttamente dagli operai e dai soldati. Col ritorno di Lenin in Russia, i bolscevichi accentuarono la loro opposizione al governo provvisorio, chiedendo la pace immediata, la redistribuzione della terra e il passaggio di tutti i poteri ai soviet . La mattina del 7 novembre (25 ottobre per il calendario russo) soldati rivoluzionari e guardie rosse circondarono il Palazzo d’Inverno, già residenza dello zar e ora sede del governo provvisorio, e se ne impadronirono la sera stessa. La fulminea presa del potere da parte dei bolscevichi colse di sorpresa la maggioranza delle forze politiche. Nelle elezioni per l’Assemblea costituente, che si tennero tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, il Partito socialista rivoluzionario, che raccoglieva consensi soprattutto fra i contadini, riportò un grande successo, mentre i bolscevichi ebbero un risultato deludente. L’Assemblea, però, fu subito sciolta dai bolscevichi, che in tal modo ruppero definitivamente con la tradizione democratica occidentale. L’uscita della Russia dalla guerra – trattato di Brest-Litovsk del marzo 1918 – provocò l’intervento militare dell’Intesa in appoggio alle armate “bianche” costituite dalle forze ribelli al governo. La guerra civile che ne seguì spinse i bolscevichi ad accentuare i caratteri dittatoriali del regime comunista. Grazie alla riorganizzazione dell’esercito – l’Armata rossa –, il governo rivoluzionario riuscì a prevalere. Anche grazie alla superiorità militare conseguita con l’intervento americano, nel novembre 1918 la guerra terminava con la vittoria dell’Intesa: un esito che fu accelerato dalla dissoluzione interna dell’Austria-Ungheria, causata dalle iniziative indipendentiste delle varie nazionalità, e dalla rivoluzione scoppiata in Germania, che portò alla caduta della monarchia e alla fuga dell’imperatore Guglielmo II. Alla conferenza di pace, che si tenne a Versailles, il compito dei vincitori si rivelò difficilissimo. Nelle dure condizioni imposte alla Germania risultò evidente il contrasto fra l’ideale di una pace democratica e l’obiettivo francese di una pace punitiva. La carta dell’Europa fu profondamente mutata, soprattutto in conseguenza del crollo dell’Impero zarista e della dissoluzione dell’Impero asburgico, che permisero la nascita di nuovi Stati. Il progetto wilsoniano di un organismo internazionale che potesse evitare guerre future, però, non si realizzò compiutamente: la Società delle Nazioni nacque minata da profonde contraddizioni, prima fra tutte la mancata adesione degli Stati Uniti. La prima guerra mondiale fu una grande produttrice di miti, sia per i combattenti al fronte – dove, in condizioni estreme di disagio e spaesamento, si svilupparono credenze irrazionali e leggende – sia negli anni successivi alla fine del conflitto, quando si sviluppò una visione idealizzata della guerra: ne nacque 6 il culto dei caduti, privato e familiare, ma anche pubblico. Si diffusero in tutti i paesi i monumenti ai caduti per onorare il sacrificio dei soldati del luogo, e le celebrazioni del milite ignoto, la sepoltura solenne in uno spazio pubblico delle spoglie di un soldato anonimo. 7 anni ’20 furono una stagione di fioritura delle avanguardie artistiche. Con l’ascesa di Stalin alla segreteria del partito (aprile ’22) e la malattia di Lenin (morto nel gennaio ’24), si scatenò una dura lotta all’interno del gruppo dirigente bolscevico. Stalin riuscì dapprima a emarginare Trotzkij, il più autorevole e il più popolare dopo Lenin fra i capi bolscevichi. Quindi si sbarazzò dell’“opposizione di sinistra” – Zinov’ev, Kamenev – che chiedeva la fine della Nep e l’accelerazione dello sviluppo industriale. Si affermava, così, il suo potere personale. 10 Dopoguerra E Fascismo In Italia L’Italia del dopoguerra era un paese inquieto attraversato da problemi politici e tensioni sociali. Le tensioni sociali erano alimentate prima di tutto dal caroviveri, che fu all’origine di una serie di tumulti di piazza, mentre le industrie erano investite da una ondata di scioperi volti ad ottenere aumenti salariali. A questo si aggiunse la questione della cosiddetta “vittoria mutilata”, ovvero l’insoddisfazione di una parte dell’opinione pubblica per il trattamento riservato all’Italia nella conferenza di pace. Clamorosa fu la protesta attuata da D’Annunzio con l’occupazione della città di Fiume (settembre 1919), a maggioranza italiana, la cui assegnazione non era però prevista dal patto di Londra. In Italia i problemi del dopoguerra furono aggravati dalla crisi della classe dirigente liberale. I cattolici abbandonarono la linea astensionistica e diedero vita a una nuova formazione politica, il Partito popolare (1919), guidata da Luigi Sturzo e ispirata a un programma democratico. I socialisti, invece, conquistarono moltissimi nuovi consensi ma non riuscirono a superare le divisioni interne al partito, dove continuavano a essere prevalenti le correnti rivoluzionarie. Questa connotazione contribuì ad alimentare le paure dei ceti medi e creò un terreno favorevole alla nascita di movimenti di ispirazione nazionalista, come i Fasci di combattimento, fondati da Benito Mussolini nel 1919, con un programma che coniugava un audace riformismo con un nazionalismo aggressivo. Le elezioni del novembre 1919, tenute col sistema proporzionale, segnarono la sconfitta delle forze liberali di governo e il successo clamoroso del Partito socialista e del Partito popolare. Nel giugno 1920 Giolitti tornò al potere, con un governo di coalizione formato da popolari e liberal- democratici. Risolta la questione fiumana con il trattato di Rapallo (che assegnava l’Istria all’Italia, la Dalmazia, eccetto Zara, alla Jugoslavia e proclamava Fiume città libera), Giolitti dovette affrontare gravi problemi di politica interna, come l’agitazione dei metalmeccanici, che rappresentò il momento più critico del “biennio rosso” italiano. Nell’estate-autunno del ’20 la vertenza culminò nella occupazione delle fabbriche che coinvolse 400 mila operai, prefigurando l’inizio di un moto rivoluzionario destinato a estendersi a tutto il paese. In realtà prevalse la linea dei sindacati, che videro accontentate le loro richieste economiche. Questa conclusione – fortemente voluta da Giolitti – risultò deludente per chi aveva sperato nella rivoluzione e accentuò le divisioni nel movimento socialista che avrebbero portato, nel congresso di Livorno del gennaio 1921, alla scissione dell’ala più vicina alla Terza Internazionale e alla nascita del Partito comunista. Dalla fine del ’20, le squadre d’azione fasciste attaccarono il movimento socialista, con azioni violente in particolare contro le leghe rosse della Val Padana. Conquistato l’appoggio dei proprietari terrieri, l’offensiva squadrista dilagò anche in altre zone del Centro-Nord, colpendo le sedi delle amministrazioni locali e delle rappresentanze sindacali socialiste che venivano sistematicamente devastate e incendiate, ma anche le persone dei dirigenti e militanti. L’offensiva fascista godette anche della neutralità degli apparati statali: le forze di polizia solo di rado si opposero alle violenze, mentre lo stesso Giolitti pensò di servirsene per ridimensionare il peso politico di socialisti e popolari. Nelle elezioni del 1921 i fascisti, inseriti nei “blocchi nazionali”, entrarono alla Camera con 35 deputati, ma continuarono a rendersi protagonisti di azioni squadristiche, profittando della debolezza dei governi. Nell’estate-autunno del 1922 Mussolini avviò trattative con i leader liberali in vista di una partecipazione al governo, ma intanto lasciava che le milizie fasciste preparassero una presa violenta del potere. Il 28 ottobre, giorno fissato per la “marcia su Roma”, il rifiuto del re di firmare il decreto di stato d’assedio aprì ai fascisti la strada della capitale. Il 30 ottobre Mussolini ricevette dal sovrano l’incarico di formare un nuovo governo. Pochi, nella classe politica, capirono che il sistema liberale aveva ricevuto un colpo mortale. 11 Diventato presidente del Consiglio senza disporre di una maggioranza alla Camera, Mussolini riuscì a consolidare il suo potere per la miopia degli alleati di governo che continuarono ad appoggiarlo anche di fronte a misure incompatibili con i fondamenti dello Stato liberale. Alla fine del 1922 furono creati due nuovi organismi: il Gran consiglio del fascismo, che doveva fungere da raccordo fra il Partito fascista e il governo; e la Milizia volontaria, un corpo armato di partito cui erano attribuite funzioni pubbliche. Il “duce” cercò inoltre l’appoggio della Chiesa (anche attraverso la riforma Gentile della pubblica istruzione) e del potere economico, grazie a una politica di stampo liberista. Nell’estate del 1923, dopo aver costretto alle dimissioni dal governo i ministri del Partito popolare, Mussolini riuscì a far approvare dal Parlamento una legge elettorale maggioritaria che di fatto consegnava la maggioranza alla “Lista nazionale”, risultata vincitrice con largo margine nelle elezioni dell’aprile ’24. Nel giugno 1924 il deputato socialista Matteotti fu assassinato da una squadra fascista. L’ondata di sdegno che ne seguì fece vacillare il potere di Mussolini. Ma la reazione dei partiti di opposizione – che sollevarono una questione morale e si astennero dai dibattiti in Parlamento (“Aventino”) – fu debole e l’ondata antifascista si esaurì, lasciando a Mussolini la possibilità di contrattaccare, col discorso del 3 gennaio 1925, e di sfidare le opposizioni prospettando l’uso della forza. Tra il ’25 e il ’26 furono presi numerosi provvedimenti che rafforzavano i poteri del governo e riducevano gli spazi per la libertà di stampa e di associazione e per la contrattazione sindacale. Provvedimenti culminati, nell’autunno del ’26, nella «legge per la difesa dello Stato», che fra l’altro decretava lo scioglimento dei partiti antifascisti e istituiva un Tribunale speciale per i reati «contro la sicurezza dello Stato». Il successo del fascismo in Italia non fu un caso isolato. Regimi autoritari di tipo tradizionale, sostenuti dall’esercito e dai gruppi conservatori, e privi di una base di massa, si affermarono in Ungheria nel 1920 e in Polonia nel 1926. Anche in Austria le tensioni fra il Partito cristiano-sociale al potere e l’opposizione socialdemocratica portarono a una netta involuzione autoritaria. In Spagna, un colpo di Stato fu attuato nel 1923 dal generale Miguel Primo de Rivera, con l’appoggio del sovrano, mentre in Portogallo un economista cattolico, António de Oliveira Salazar, assunse nel 1926 la guida di un regime autoritario, clericale e corporativo che sarebbe rimasto in vita per quasi mezzo secolo. 12 L’Europa Degli Anni ’30: Totalitarismi E Democrazie Nel corso degli anni ’30, i sistemi politici democratici attraversarono un periodo di enorme difficoltà: l’ascesa del nazismo in Germania dimostrò che la democrazia poteva essere messa in discussione anche nei paesi più sviluppati. Caratteristiche fondamentali dei movimenti e dei regimi fascisti furono l’accentramento del potere nelle mani di un capo, la struttura gerarchica dello Stato, l’inquadramento forzato della popolazione nelle organizzazioni di massa, il rigido controllo sull’informazione e sulla cultura. Il fascismo esercitò una notevole attrazione, negli anni ’30, soprattutto sui ceti medi: rappresentò una reazione contro la società di massa, ma al tempo stesso un’esaltazione di alcuni suoi aspetti. Questa capacità di adattamento alla società di massa costituì una caratteristica specifica del fascismo e del nazismo, ma anche del regime sovietico nell’età di Stalin. Per la loro pretesa di dominare in modo “totale” la società, di condizionare comportamenti e mentalità dei cittadini, tali regimi sono detti totalitari. Caratteristica comune ai regimi totalitari fu il disprezzo del valore della vita e della dignità umane e il ricorso sistematico alla forza. In una visione della nazione come organismo unico la cui integrità va tutelata a ogni costo, anche a prezzo dell’espulsione dei “corpi estranei”, si inquadra la fortuna dell’eugenetica, disciplina che persegue il miglioramento di una popolazione attraverso la selezione genetica. Il passaggio a una diffusa pratica di eliminazione fisica si ebbe solo nei regimi totalitari, in particolare nella Germania nazista. Diverse nelle motivazioni ma analoghe nelle conseguenze furono le politiche di sterminio adottate nell’Unione Sovietica di Stalin: qui le vittime (categorie sociali o intere popolazioni) erano scelte su basi ideologiche e di classe. Il successo del nazismo è strettamente collegato alle conseguenze della crisi economica. Dopo il fallito colpo di Stato di Monaco (1923), che comportò per Hitler il carcere, e fino al 1930, infatti, il Partito nazionalsocialista era un gruppo marginale, che si serviva della violenza contro gli avversari politici, grazie ai suoi reparti d’assalto (le SA). In carcere Hitler scrisse Mein Kampf (“La mia battaglia”), in cui espose la sua ideologia fondata sulla esistenza della “razza superiore” ariana che avrebbe dovuto, nel suo programma, dominare sull’Europa e sul mondo, dopo aver sottomesso i popoli slavi per costruire il suo nuovo impero. Questo programma trovò ascolto nella popolazione tedesca solo dopo la crisi economica. Il partito di Hitler vide crescere i suoi consensi nelle numerose elezioni che si tennero fra il ’30 e il ’32, fino a diventare il primo partito tedesco. Nel gennaio ’33 Hitler fu chiamato a guidare il governo. La trasformazione della Repubblica tedesca in dittatura avvenne nel giro di pochi mesi. Traendo pretesto dall’incendio del Reichstag del febbraio ’33, Hitler varò una serie di misure eccezionali che limitavano o annullavano le libertà di stampa e di riunione. Dopo l’affermazione elettorale del marzo (il Partito nazista prese il 44%), Hitler fece approvare una legge che conferiva al governo i pieni poteri, compreso quello di modificare la Costituzione. In luglio una legge sancì che il Partito nazionalsocialista era l’unico partito consentito in Germania. In novembre, le nuove elezioni di tipo plebiscitario accordavano al partito unico il 92% dei voti favorevoli. Nell’estate del ’34, dopo la “notte dei lunghi coltelli” con cui si sbarazzò dell’ala estremista del nazismo che faceva capo alle SA, Hitler unificò nelle sue mani le cariche di cancelliere e di capo dello Stato. Il Terzo Reich (“terzo impero”) creato da Hitler si basava sul rapporto diretto fra il Führer (“capo”, “duce”) del nazismo e le masse, inquadrate nel partito unico e nei suoi organismi collaterali. Compito di queste organizzazioni era trasformare l’insieme dei cittadini in una “comunità di popolo” compatta che escludesse gli elementi estranei e nemici, primi tra tutti gli ebrei. Contro la comunità ebraica tedesca, Hitler scatenò una massiccia campagna di odio, fino alla discriminazione legale sancita dalle 15 leggi di Norimberga (1935) con le quali gli ebrei perdevano la nazionalità tedesca e tutti i diritti politici. Non vi fu, durante il nazismo, alcuna forma di opposizione politica e anche le Chiese cristiane finirono per lo più con l’adattarsi al regime. All’efficienza dell’apparato repressivo (controllato dalla Gestapo e dalle SS) si aggiunsero i consensi ottenuti dal regime per i successi di Hitler in politica estera e soprattutto per la ripresa economica, e la capacità dei miti antimoderni della ideologia nazista di toccare le corde profonde del popolo tedesco, unita a una capillare propaganda e al controllo assoluto della cultura. Tutti i momenti più significativi della vita del regime furono scanditi da cerimonie pubbliche che assumevano per i cittadini il valore di un rito sacrale: sfilate militari, esibizioni sportive, adunate di massa. In Urss, alla fine degli anni ’20, Stalin decise di industrializzare il paese a tappe forzate e di collettivizzare il settore agricolo. I kulaki , i contadini agiati, furono individuati come un ostacolo a questo piano ed eliminati con una feroce repressione. Unita allo scoppio di una tremenda carestia nel 1932-33, tale repressione costò milioni di vittime, decimando la popolazione delle campagne e determinando un sensibile abbattimento della produzione agricola. Positivi furono, invece, in termini economici i risultati dei piani quinquennali per l’industria: con il primo, varato nel 1928, la produzione al 1932 risultava aumentata del 50%; con il secondo (1933-37), la produzione aumentò di un altro 120%. Gli anni ’30 videro anche il continuo rafforzamento della dittatura personale di Stalin, che assunse il ruolo di capo assoluto, procedendo alla eliminazione di ogni dissenso. Stalin non solo epurò dal partito tutti i suoi rivali ma li eliminò fisicamente insieme a migliaia di quadri dirigenti del partito e a un numero incalcolabile di semplici cittadini sospetti. Nel 1934 iniziarono le “grandi purghe”, una gigantesca repressione poliziesca che colpì negli anni milioni di persone. Fra l’inizio della collettivizzazione e lo scoppio della seconda guerra mondiale, il conto totale delle vittime ammontò a 10-11 milioni. Le prime iniziative hitleriane in politica estera – a cominciare dal ritiro dalla Società delle Nazioni – rappresentarono una minaccia all’equilibrio internazionale costruito negli anni ’20. A partire dal 1935 la causa della sicurezza collettiva trovò un sostegno nella nuova politica estera sovietica, che si riflesse nella linea dettata ai partiti comunisti dalla Terza Internazionale: in nome della lotta al fascismo fu incoraggiata la formazione di alleanze – i “fronti popolari” – tra i comunisti e le forze socialiste e democratico-borghesi. Nel ’36 governi di fronte popolare si formarono, prima in Spagna, poi anche in Francia sotto la guida del socialista Léon Blum, che cadde però l’anno successivo senza essere riuscito a portare a termine il suo programma di riforme sociali. Fra il 1936 e il 1939, la Spagna fu sconvolta da una sanguinosa guerra civile: un conflitto basato su una forte contrapposizione ideologica che presto si trasformò in uno scontro fra democrazia e fascismo, fra rivoluzione sociale e reazione conservatrice. Alla vittoria del fronte popolare (febbraio ’36), seguì una ribellione militare. I golpisti, guidati dal generale Franco, ebbero il decisivo appoggio di Italia e Germania, mentre i repubblicani poterono contare solo su rifornimenti sovietici e sui reparti di volontari antifascisti (Brigate internazionali). Nel 1939 la guerra civile terminò con la vittoria di Franco grazie anche alle profonde divisioni esistenti all’interno del fronte repubblicano, soprattutto fra comunisti e anarchici. Negli stessi anni della guerra di Spagna, la linea della pacificazione (appeasement) seguita da Francia e Gran Bretagna nei confronti della Germania finì con l’incoraggiare la politica espansionistica del nazismo. Nel 1938 si compiva l’annessione (in tedesco Anschluss ) dell’Austria alla Germania; subito dopo Hitler avanzava mire sul territorio cecoslovacco abitato da popolazione tedesca (i Sudeti). Gli accordi di Monaco (settembre ’38), che accettavano le richieste tedesche, finirono con lo spianare la strada a un nuovo conflitto mondiale. 16 Il Regime Fascista In Italia Nel regime fascista l’organizzazione dello Stato e quella del partito venivano a sovrapporsi. Fu la prima però a prevalere, mentre la funzione del Pnf fu quella di “occupare” la società civile, soprattutto attraverso le sue organizzazioni collaterali: l’Opera nazionale dopolavoro, che si occupava del tempo libero dei lavoratori, le numerose organizzazioni giovanili e l’Opera nazionale Balilla che inquadrava tutti i ragazzi fra gli otto e i diciotto anni. Un primo ostacolo a questo processo di completa “fascistizzazione” della società era rappresentato dalla Chiesa, la cui influenza venne espressamente riconosciuta coi Patti lateranensi (1929). I Patti rappresentarono, per il fascismo, anche un successo politico, sancito dalle prime elezioni plebiscitarie – tenute col sistema della lista unica e indette in quello stesso anno. Altro ostacolo ai propositi totalitari era la presenza del re quale massima autorità dello Stato. La monarchia rimase, infatti, un punto di riferimento per i militari e la borghesia conservatrice e questa presenza costituì per il fascismo un motivo di sotterranea debolezza. Negli anni del fascismo, nonostante l’aumento dell’urbanizzazione e degli addetti all’industria e ai servizi, e la stessa immagine trionfante propagandata dal regime, la società italiana restava notevolmente arretrata. La “fascistizzazione” perseguita dal regime, portatore di un’ideologia tradizionalistica e insieme aspirante alla creazione di un “uomo nuovo”, poté realizzarsi solo in parte: il fascismo riuscì a ottenere il consenso della piccola e media borghesia, ma solo in misura limitata quello delle classi popolari, che videro diminuire i loro salari e i loro consumi. Il regime cercò di esercitare uno stretto controllo sulla scuola e, in generale, sul mondo della cultura. Molti intellettuali fecero esplicita professione di fede fascista, altri scelsero un’opposizione silenziosa. Il regime controllò capillarmente la stampa e i mezzi di comunicazione di massa, consapevole della loro importanza ai fini del consenso. Il controllo era affidato a uno specifico ministero (Minculpop). La radio e il cinema divennero fondamentali strumenti di propaganda. Ne erano un esempio i cinegiornali di attualità dell’Istituto Luce. Il fascismo proponeva il modello economico corporativo, ovvero la gestione diretta da parte delle categorie produttive organizzate in corporazioni formate da imprenditori e lavoratori insieme. Ma tale progetto rimase sostanzialmente sulla carta. Sul piano della politica economica si passò nel 1925 da una linea liberista a una protezionistica e di maggior intervento statale. Sempre nel ’25, Mussolini lanciò la “battaglia del grano” il cui obiettivo era il raggiungimento dell’autosufficienza cerealicola. Un anno dopo attuò la rivalutazione della lira (“quota novanta”) per dare al paese un’immagine di stabilità monetaria. Di fronte alla crisi del 1929, il regime reagì attraverso una politica di lavori pubblici (come la bonifica delle Paludi Pontine) e intervenendo direttamente per salvare grandi banche e industrie in difficoltà. Fu creato un nuovo istituto di credito (Imi) e, nel 1933, nacque l’Iri, che rilevò le partecipazioni industriali delle banche. Con l’Iri lo Stato italiano acquisì il controllo di una quota dell’apparato industriale e bancario superiore a quella di qualsiasi altro paese occidentale, facendosi Stato imprenditore. Superata la crisi, il fascismo indirizzò l’economia verso l’autarchia e la produzione bellica che sottrassero, però, risorse ai consumi privati. Fino ai primi anni ’30 le aspirazioni imperiali, pur connaturate all’ideologia del fascismo, rimasero vaghe. L’aggressione all’Etiopia (1935) mutò bruscamente la posizione internazionale del regime. Se l’impresa costituì un grosso successo politico per Mussolini, significò anche una rottura con le potenze democratiche. Questa rottura fu accentuata dall’intervento nella guerra civile spagnola e dal riavvicinamento alla Germania (sancito, nel 1936, dall’Asse Roma-Berlino). Tale riavvicinamento era concepito da Mussolini come un mezzo di pressione su Francia e Gran Bretagna: si sarebbe risolto invece, con la firma del “patto d’acciaio” (1939), in una subordinazione alle scelte di Hitler. 17 In Giappone il dinamismo dell’economia e la struttura della classe dirigente, imperniata sull’unione fra grandi concentrazioni industriali e finanziarie (gli zaibatsu ), grande proprietà terriera e alti gradi militari, spinsero il paese verso una politica imperialistica che ebbe come principale obiettivo la Cina. Durante il primo decennio postbellico queste spinte si conciliarono col mantenimento di un quadro istituzionale di tipo liberale, ma alla fine degli anni ’20 cominciò una stagione di crescente autoritarismo. Nel decennio successivo il Giappone assunse una collocazione internazionale molto vicina a quella delle potenze fasciste europee. L’attacco del Giappone alla Cina, nel luglio del 1937, portò nel giro di due mesi gli aggressori a occupare la capitale Nanchino, messa per settimane a ferro e fuoco. L’avanzata proseguì sistematicamente anche se lentamente: alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale in Europa, nell’estate del ’39, il Giappone (che sarebbe entrato in guerra nel ’41) occupava buona parte della zona costiera, tutto il Nord-Est industrializzato e quasi tutte le città più importanti; a Nanchino fu insediato un governo-fantoccio. Rispetto all’Africa del Nord e all’Asia, nell’Africa subsahariana il dominio coloniale era arrivato più tardi e non mostrava segni di crisi, mentre permaneva la condizione di marginalità economica e di subalternità politica delle popolazioni africane, pur in presenza di migliori condizioni sanitarie e di una lenta diffusione dell’istruzione. All’inizio degli anni ’20 nacquero però le prime organizzazioni autonome dei nativi e, tra il ’19 e il ’27, quattro congressi panafricani discussero i problemi comuni e lanciarono per la prima volta proposte di federazione fra le colonie; in questo contesto emersero nuove figure di intellettuali che avrebbero svolto, nel secondo dopoguerra, un ruolo decisivo nelle lotte per l’indipendenza dei loro paesi. In America Latina la grande crisi ebbe conseguenze negative, ma stimolò in alcuni paesi un processo di diversificazione produttiva. Sul piano politico, molti Stati videro l’affermarsi di dittature personali o di governi più o meno autoritari. Nel 1930 in Argentina un colpo di Stato militare rovesciò le istituzioni democratiche, mentre in Brasile una rivolta popolare contro le vecchie oligarchie portò al potere Getulio Vargas, fondatore di un regime populista. Un regime dai forti tratti populisti si sarebbe poi affermato in Argentina, negli anni della seconda guerra mondiale, con l’ascesa di Perón. 20 La Seconda Guerra Mondiale Nel marzo 1939 la Germania occupò la Boemia e la Moravia, le regioni più avanzate della Repubblica cecoslovacca. La distruzione della Cecoslovacchia (marzo ’39) determinò una svolta nella politica anglo- francese verso la Germania. In risposta alle mire tedesche sulla Polonia, Francia e Gran Bretagna conclusero un’alleanza con questo paese. Si arenarono, invece, per reciproche diffidenze, le trattative fra sovietici e anglo-francesi, mentre si chiusero quelle tra Urss e Germania, che portarono a un patto di non aggressione fra le due potenze e a un accordo per tutelare i reciproci interessi in Europa orientale (patto Molotov-Ribbentrop, agosto ’39). Garantitosi a est, Hitler poté attaccare subito dopo la Polonia (1° settembre 1939). Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania mentre l’Italia – che da poco aveva concluso il “patto d’acciaio” con i tedeschi, ma era militarmente impreparata a sostenere un conflitto – annunciò la “non belligeranza”. Si apriva la seconda guerra mondiale, una guerra “totale”, che lo scontro ideologico, l’uso di nuove potentissime armi, la mobilitazione dei cittadini e le vittime civili resero diversa da tutte quelle del passato. La conquista tedesca della Polonia fu rapidissima, grazie al nuovo tipo di guerra-lampo praticato dai tedeschi, con l’uso congiunto di aviazione e mezzi corazzati. Nei primi mesi la guerra si svolse in pratica solo al Nord. L’Urss, dopo aver occupato la parte orientale della Polonia, attaccò la Finlandia, che resistette per più di tre mesi. La Germania, invece, occupò la Danimarca e la Norvegia. Nel maggio-giugno 1940 l’offensiva tedesca sul fronte occidentale si risolse in un travolgente successo: i tedeschi penetrarono in Francia da Belgio, Olanda e Lussemburgo . La parte centro-settentrionale della Francia fu occupata dai tedeschi; il resto del paese rimase formalmente sotto la sovranità della Repubblica di Vichy, il nuovo regime autoritario costituito dal generale Pétain, di fatto subordinato alla Germania. La Gran Bretagna, rimasta sola a combattere contro le potenze fasciste, riuscì sotto la guida di Churchill a respingere il tentativo tedesco di invadere le isole britanniche. La battaglia d’Inghilterra dell’estate ’40 – combattuta soprattutto nell’aria (numerosi furono i bombardamenti sulle città inglesi, compresa Londra) – segnò per la Germania la prima battuta d’arresto. Il 10 giugno ’40, convinto che la guerra stesse ormai per finire, Mussolini annunciò l’intervento dell’Italia a fianco dell’alleato nazista. Ma l’esercito italiano fornì subito una pessima prova sia contro i francesi, sia – in Africa e nel Mediterraneo – contro gli inglesi. Nell’autunno del ’40 un improvviso attacco italiano alla Grecia si risolse in un nuovo fallimento. Gli insuccessi italiani nel Nord Africa e in Grecia obbligarono Mussolini a chiedere l’aiuto dei tedeschi che intervennero a supporto dell’Italia – e con successo – rispettivamente nel marzo e nell’aprile ’41: finiva così l’illusione di Mussolini di poter combattere una “guerra parallela”, non subalterna a quella tedesca. Nel 1941 il conflitto entrò in una nuova fase, divenendo effettivamente mondiale. Nell’estate la Germania attaccò l’Unione Sovietica, riportando notevoli successi ma finendo con l’immobilizzare su quel fronte, in una guerra di usura, gran parte del proprio esercito. A partire dal ’40 gli Stati Uniti iniziarono a sostenere massicciamente lo sforzo bellico inglese garantendo la fornitura di armamenti a condizioni favorevoli (legge “degli affitti e prestiti”), per poi sottoscrivere con la Gran Bretagna (agosto ’41) la Carta atlantica : un documento in cui i due paesi ribadivano la condanna dei regimi fascisti e fissavano le linee di un nuovo ordine democratico da costruire a guerra finita. In dicembre gli Stati Uniti entrarono anch’essi in guerra dopo l’attacco subìto a Pearl Harbor da parte del Giappone (unito alle potenze dell’Asse dal patto “tripartito”). Nei mesi successivi i giapponesi raggiunsero tutti gli obiettivi espansionistici che si erano prefissati. Nella primavera-estate del 1942 le potenze del patto “tripartito” raggiunsero la massima espansione. Nelle zone occupate, il Giappone e la Germania cercarono di costruire un “nuovo ordine” fondato sulla 21 supremazia della nazione “eletta”. I tedeschi, in particolare, miravano a ridurre i popoli slavi in condizioni di semischiavitù, con l’obiettivo di fare di tutta l’Europa orientale una colonia agricola al servizio del Reich. Lo sfruttamento e lo sterminio pianificati dai nazisti in Europa assicurarono alla Germania un’ingente forza-lavoro gratuita e grandi quantità di materie prime, ma costrinsero i tedeschi a mantenere nei territori occupati forti contingenti di truppe. Soprattutto dopo l’attacco tedesco all’Urss, si svilupparono in Europa movimenti di resistenza. In molti dei paesi controllati dai nazisti una parte della popolazione e della classe dirigente accettò invece di collaborare con gli occupanti. La persecuzione di Hitler si concentrò soprattutto contro gli ebrei: poco meno di 6 milioni furono sterminati nei Lager, dove i prigionieri venivano subito “selezionati” tra abili e inabili al lavoro (questi ultimi mandati a morte nelle camere a gas). Vittime dei campi furono anche zingari, sinti e rom, con centinaia di migliaia di uccisi. Nel 1942-43 si ebbe una svolta nella guerra. I giapponesi subirono alcune sconfitte nel Pacifico (Mar dei Coralli, Midway). Sul fronte nordafricano gli alleati fermarono le forze dell’Asse a El Alamein e le costrinsero a ritirarsi. Sul fronte russo la lunga e sanguinosa battaglia di Stalingrado si risolse in una sconfitta dei tedeschi, che per gli antifascisti di tutto il mondo divenne un segnale di riscossa. Nella conferenza di Casablanca (gennaio 1943) gli anglo-americani si accordarono sul principio della resa incondizionata da imporre alla Germania e ai suoi alleati e decisero di portare l’attacco all’Europa, sbarcando dall’Africa in Italia, considerata l’obiettivo più facile. Il 10 luglio gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia, impadronendosi dell’isola in poche settimane. Frattanto l’Urss aveva iniziato una lenta ma inarrestabile avanzata, che permise a Stalin di accrescere il suo peso in seno alla “grande alleanza” antinazista. Il nuovo ruolo dell’Urss emerse nella conferenza interalleata di Teheran (novembre-dicembre 1943), in cui Roosevelt, Stalin e Churchill decisero, su istanza di Stalin, lo sbarco in forze sulle coste francesi. Gli alleati sbarcarono in Normandia (operazione Overlord) nel giugno ’44. In settembre la Francia era quasi completamente liberata. Lo sbarco alleato in Sicilia nel luglio ’43 rappresentò il colpo di grazia per il regime fascista. Il 25 luglio Mussolini fu destituito e arrestato. L’8 settembre 1943 fu annunciato l’armistizio fra l’Italia e gli alleati. Mentre il re e i membri del governo Badoglio fuggivano a Brindisi, i tedeschi occupavano l’Italia centro-settentrionale. Le forze armate italiane, prive di chiare direttive, si sbandarono. Circa 600 mila militari furono fatti prigionieri dai tedeschi e deportati in Germania. Gli episodi di aperta resistenza furono puniti dai tedeschi con veri e propri massacri, come avvenne nell’isola greca di Cefalonia. Attestatisi su una linea difensiva che andava da Gaeta a Pescara (la linea Gustav), i tedeschi riuscirono a bloccare l’offensiva alleata fino alla primavera del ’44. Dall’autunno 1943, l’Italia era un paese diviso in due entità statali, in guerra l’una contro l’altra: nel Sud, occupato dagli alleati, sopravviveva lo Stato monarchico, mentre nel Centro-Nord, occupato dai tedeschi, Mussolini costituiva un nuovo Stato fascista detto Repubblica sociale italiana. Nasceva intanto il movimento di Resistenza contro tedeschi e fascisti. Dopo una prima fase di aggregazione spontanea, le bande partigiane si organizzarono in brigate in base all’orientamento politico; frattanto i partiti antifascisti (Pci, Psiup, Dc, Pli, Pda), che si andavano ricostituendo, si riunirono nel Comitato di liberazione nazionale (Cln), proponendosi come guida dell’Italia democratica, in contrapposizione allo stesso governo Badoglio. Il contrasto si sbloccò per l’intervento del leader comunista Togliatti, che propose di accantonare ogni pregiudiziale contro il re e il governo finché non si fosse giunti alla liberazione del paese. Nell’aprile ’44 si formò il primo governo di unità nazionale, con la partecipazione dei partiti del Cln. Dopo la liberazione di Roma, in giugno, il re trasmise i propri poteri al figlio Umberto 22
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