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Riassunto "Il mondo dei media - Sociologia e storia della comunicazione", Sintesi del corso di Sociologia Dei Media

Riassunto del libro "Il mondo dei media - Sociologia e storia della comunicazione" di Sergio Brancato, Emiliano Chirchiano, Francesca Fichera. Sociologia delle tecnologie culturali.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 10/02/2019

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Scarica Riassunto "Il mondo dei media - Sociologia e storia della comunicazione" e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Dei Media solo su Docsity! Il mondo dei media Riassunto Premessa Per la sociologia, i media rappresentano da sempre un oggetto di studio complicato. Eppure, la società non esisterebbe senza media, a partire dall’uso comunicativo del corpo fino ad arrivare alla parola e il segno, costrutti artificiali senza cui la nostra specie non avrebbe potuto civilizzarsi e di conseguenza sopravvivere alle competizioni dell’evoluzione. I media quindi sono il mondo: quando parliamo di società ci riferiamo alle immagini e ai modelli che emergono dai processi di costruzione della realtà. Introduzione I MEDIA TRA SCAMBIO E RAPPRESENTAZIONE Non si può non comunicare. Innanzitutto, perché la nostra specie non esiste fuori dallo spazio relazionale. L’essere umano è tale solo in una dimensione plurale e razionale, all’interno di un processo in cui la razionalità serve a comprendere e appropriarsi dei significati socialmente condivisi. Agiamo per esaudire il nostro costante desiderio di esternare e conviviamo, individuando norme e modalità, cercando di soddisfare la nostra propensione a condividere le risultanze della nostra espressività. I media quindi non sono solo veicoli meccanici utili alla propagazione di un messaggio, ma processi di intermediazione che comprendono tutti i modi in cui continuamente negoziamo e modifichiamo il senso di ciò che esiste. A questo proposito ricordiamo quanto affermato da Berger e Luckmann, ovvero che la realtà trova fondamento solo attraverso processi di negoziazione collettiva. La mediologia quindi non si occupa solo di studiare i mezzi, i device, ma anche i concetti di scambio e rappresentazione. Lo scambio rappresenta la componente primordiale della comunicazione. Rappresentare invece è creare l’opportunità di riaffermare una manifestazione già compiuta che si è memorizzata, con la possibilità di errare alla ricerca del senso. Una proprietà caratterizzante della rappresentazione è la sua necessità di sopravvivere al qui e ora. Se rappresentare significa presentare qualcosa più volte è ovvio che la sua funzionalità non può compiersi se non in presenza di un intervallo che separa il fenomeno dalle ripetizioni successive. Questo concetto introduce la distinzione tra oralità e scrittura. Mentre la prima è scambio, la scrittura è concepita come attività di rappresentazione, destinata all’attraversamento delle distanze temporali e spaziali. Tuttavia, scambio e rappresentazione sono nella maggior parte dei casi complementari e coesistono nel panorama mediatico. Potremmo affermare, anzi, che comunichiamo tramite scambi di rappresentazioni. Ciò che cambia nel tempo è il grado di intensità. Strumenti, processi, teorie CAPITOLO 1 Tecnica, oralità, scrittura Corpo e comunicazione L’AVVENTO DEL MONOLITE: TECNICA E SPECIE UMANA Tramite l’esempio di Kubrick con il suo “2001: Odissea nello spazio” introduciamo alcune questioni che tratteremo, cominciando dalle implicazioni sociologiche derivanti dal rapporto tra uomo, linguaggio e tecnica. La tecnica, da intendere secondo Platone come saper fare, rappresenta il punto di incontro fra la specie umana e il percorso di adattamento all’ambiente. L’ominazione ha origine nel e dal corpo, che è il primo medium con cui abbiamo dovuto confrontarci. Prima della comunicazione fondata sulla parola, la capacità relazionale dell’umano si avviene grazie all’artificializzazione del corpo per mezzo del corpo stesso, in un processo di continuo scambio tra i soggetti e il mondo, partendo dall’invenzione della mano. IL MITO, IL RITO E L’INVENZIONE DEL SEGNO Il consolidarsi della forma umana della specie procede di pari passo con lo sviluppo di un sistema sempre più complesso di condivisione dell’esperienza. Per questo parliamo di invenzione del segno riferendoci al momento in cui durante il paleolitico alcuni uomini decorano le pareti delle caverne di Lascaux, intrecciando tecnica e comunicazione. L’uomo imprime per la prima volta la propria presenza nel mondo che lo circonda, la prova della sua esistenza. Le figure di animali ritratte sulle pareti di quelle caverne rappresentano l’impulso dell’essere umano a codificare le cose del mondo per controllarle, rappresentarle, narrarle. Il punto di incontro fra pensiero e immagine prende il nome di segno e precede sistemi comunicativi molto più elaborati. Inoltre il congelamento temporale dell’esperienza vale intrecciarsi con la funzione del mito. Compito dei miti e dei riti è ripercorrere i passaggi cruciali della collettività e attribuire loro un sistema codificato di norme ed elementi riconoscibili al fine di delimitarne l’esperienza sia sul piano della conoscenza che su quello della temporalità. I miti e riti fanno parte dell’immaginario, sono racconti grazie ai quali va ripetutamente a verificarsi l’appropriazione dell’identità. INNOVATIO E REPETITIO Miti e riti si fondano sul meccanismo della repetitio, ovvero si ripetono riproponendo la storia delle cose. Le credenze vengono tramandate dando vita tradizioni, percorsi culturali alla base delle identità dei popoli, i quali intervengono sul modello del racconto mitico sottoponendola a un processo di innovatio, una modificazione data dallo scambio fra il mito stesso e il contesto sociale che lo socializza, ricostruisce e ricondivide. L’essere umano arriva la religione partendo dalla necessità di dare ordine e significato alla sua esperienza del reale. Dall’invenzione della mano, fino alla creazione della parola mitica, la tecnica emerge come dimensione imprescindibile dall’uomo in quanto tale e rappresenta la dominazione del suo essere nello spazio-tempo. Possiamo definire miti e riti come un terzo momento sospeso tra il tempo sociale e il tempo della natura. Qualcosa che trascende la storia, qualcosa che fa dire all’uomo stesso la cruda verità di ciò che gli è: questa è la funzione del mito nonché l’essenza della Bibbia. POTERE E COMUNICAZIONE DAI TEMPLI ALLE FERROVIE Soltanto in un secondo momento i contenuti della tradizione orale diventano scritti consentendone la diffusione nel tempo e nello spazio. Come la parola, anche la scrittura attraversa una fase di elaborazione, partendo dalla pittografia ovvero una scrittura di segni. L’uomo elabora questo linguaggio alla ricerca di una convenzione, principalmente burocratica, capace di coinvolgere nel processo comunicativo oltre che gli elementi del mondo reale anche concetti immateriali e costruiti socialmente, quindi intesi diversamente da ciascuna popolazione. La necessità di riuscire in imprese commerciali da vita a una rete comunicativa che prelude alle ferrovie, ovvero gli scambi via mare. Plasmata dagli scambi fra culture diverse e a quegli stessi scambi finalizzata, la tecnologia della parola scritta si configura come spazio di definizione delle relazioni fra corpi e poteri. SORVEGLIARE E PUNIRE: LA SCRITTURA SUL CORPO La scrittura viene definita da Catucci come un atto di esteriorizzazione che procede in due direzioni: iscrive il soggetto in un luogo fisico posto fuori di lui e porta all’interno del soggetto segnali di esteriorità non riducibili. La scrittura quindi diventa presto lo strumento principale per memorizzare organizzare recuperare la conoscenza. Ne deriva successivamente l’interrelazione tra sapere e potere. Partendo dall’investitura sacrale del ruolo degli scribi nell’antico Egitto, nasce DALLA MORTE DELL’ARTE ALLO SPIRITO DEL TEMPO MODERNO In un mondo che cambia e adotta un modello di produzione sempre più basato sulla merce, le forme dell’arte e della cultura non possono rimanere invariate. L’arte reperisce le sue forme in relazioni alla funzione che riveste all’interno dell’organizzazione sociale del proprio tempo storico. Lo sviluppo delle industrie aveva prodotto la crescita dell’alfabetizzazione, così la fruizione delle opere letterarie aumentò divenendo vero e proprio consumo, coinvolgendo un pubblico nuovo e diverso (le classi lavoratrici) che presto influenzarono la produzione dei testi (lavoro del consumo, Karl Marx). Quello che i lettori, scarsamente alfabetizzati, cercavano era un intrattenimento in grado di restituire loro gli elementi di coesione sociale messi in crisi dalla velocità dei processi di trasformazione delle prospettive di esistenza. Analizzando i testi del romanzo popolare o del cinema, delle fiction, si riconosce dietro l’apparenza moderna il riproporsi del mito. Ma il fine del progetto artistico non è più il “bello”, bensì nuove aperture soggettive, molto più crude, mostruose. La figura che rende l’idea di questa trasformazione è la creatura di Frankenstein, che ha spopolato anche grazie alla sua dichiarata adesione alla struttura del mito. Non a caso il sottotitolo originale descrive lo scienziato come il moderno Prometeo. La creatura di Shelly (autrice) rovescia l’hegeliana morte dell’arte in un’arte della morte, che evidenzia come il sentimento del tempo moderno si riversi in estetiche tormentate. Il concetto di sublime teorizzato da Edmund Burke, quindi, sostituisce quello di bello. Il sublime, l’orrido, sono molto più vicini alla sensibilità dell’uomo moderno. Come Benjamin aveva intuito, la committenza della forma estetica diventano le masse. Interessante è il caso dei bollettini giudiziari, che venivano letti perché in essi si trovavano i resoconti dei delitti, descrizioni di fatti di sangue e crimini a sfondo sessuale dai quali la massa era inevitabilmente attratta. Ciò che la società industriale tendeva a rimuovere dall’ordine del discorso riemergeva prepotentemente nell’immaginario. Da questo nascerà successivamente il fortunato genere poliziesco. L’industrializzazione dei media quindi si evolve rispondendo alle esigenze di rendere possibile una rappresentazione del mondo in un contesto di grande trasformazione delle sue coordinate antropologiche. La letteratura di conseguenza realizza nuove strategie di relazione con il pubblico e nuovi immaginari. Con l’allargamento dell’utenza, base per la nascita di un mercato culturale, i processi di industrializzazione delle forme estetiche si orientano verso la moltiplicazione dei linguaggi tecnologici, i moderni media di massa che si basano sulla capacità degli utenti di interagire con sistemi complessi. L’INDUSTRIA CULTURALE TRA INTELLETTUALI E COMUNICAZIONI DI MASSA La cultura di massa non è la cultura popolare, in contrapposizione alla cultura d’elite. È invece la cultura nell’età delle masse, e comprende sia forme alte e avanzate sia le forme basse e volgarizzate. L’industria culturale quindi none esclude le persone colte, ma tende a integrarle e democratizzarle. La complessità del sistema culturale fa sì che Morin lo interpreti come lo spirito del tempo moderno. Quest’ultimo non fu il primo a trattare questioni relative ai consumi culturali: in molti da Tocqueville a Benjamin fino a McLuhan hanno avuto un punto di vista positivo sull’industrializzazione della cultura in contrapposizione agli apocalittici. Morin propone l’esempio del sistema nervoso, costituito dai media di massa, che collegano i sensi dell’essere umano al di là del tempo e delle distanze, realizzando una seconda industrializzazione, quella delle immagini e dei sogni. Morin, come Benjamin, sceglie di non avere un atteggiamento passivo in quanto intellettuale, bensì consapevole dei cambiamenti in atto. È interessante il quesito che si pone McLuhan quando si chiede non tanto cosa facciano i media alle persone ma cosa facciano le persone ai media. Per lui infatti è sempre la sperimentazione del consumo a decidere la sorte dei dispositivi che appaiono sulla scena, e non i soggetti politici ed economici. Così l’idea di industria culturale come organizzazione socio-politica coercitiva proposta dalla scuola di Francoforte (Horkheimer e Adorno) si dimostra non essere l’unica in circolazione. La ricerca attuale fa proprio soprattutto l’insegnamento di McLuhan sulla necessità di evitare il determinismo tecnologico, ovvero quella visione che limita il rapporto tra tecnologia e società a un legame unidirezionale. Per Abruzzese, infine, con l’avvento del digitale e dei processi di de-industrializzazione e de- massificazione che esso implica, il bene di consumo diventa la tecnologia in sé per sé. Una dimensione tecnologica nuova in cui la definizione di industria culturale perde consistenza teorica. Più che di industrializzazione dei processi culturali per Abruzzese ha senso parlare di tecnologie culturali. LA FINE DELL’INDUSTRIA CULTURALE? Negli anni 50 la maggior parte del mondo occidentale poteva usufruire di un’evoluzione tecnologica e culturale che investiva la comunicazione audiovisiva, grazie allo slancio dell’economia post bellica, attraverso il cinema e la radio. A quel tempo l’industria culturale aveva mantenuto una continuità nell’individuare i propri committenti in base a una gestione del territorio che ancora divideva lo spazio pubblico da quello privato e domestico. La distinzione tra questi aspetti della vita collettiva viene riscritta dall’avvento della televisione, che si afferma grazie alla propria capacità di rispondere a una serie di esigenze legate alla catastrofe della guerra. Essa opera una straordinaria integrazione tra le componenti della società, costituendosi come nuovo luogo della comunicazione e dell’immaginario. La diffusione della tv comincia a fare intravedere la fine della centralità della fabbrica dei processi produttivi e un differente rapporto tra soggetto, spazio e tempo. La natura sistemica della comunicazione televisiva è evidente nella particolarità di questa a comprendere in sé la molteplicità delle forme, delle tecnologie e delle culture che hanno caratterizzato l’esperienza della società dello spettacolo e le molte funzioni dell’intrattenimento. Inoltre la televisione realizza una nuova dimensione che si apre alla contemporaneità delle grandi cerimonie mediatiche, la diretta rituale ad esempio di eventi o accadimenti storici. Rispetto al passato dell’industria culturale, l’età televisiva azzera l’intervallo spazio-temporale tra le cose che succedono altrove nel mondo e il mondo percettivo del soggetto. La crisi attraversata dal modello televisivo può essere ricondotta alla concorrenza del pc e alle pratiche di comunicazione in rete, ricordando che lo scontro non si riconduce alla differenza tra due diversi strumenti del comunicare, ma tra due opposte ideologie della comunicazione e dunque della società. Il processo di de-massificazione che individuiamo nelle pratiche digitali non muta soltanto il come comunichiamo ma anche il cosa comunichiamo e all’interno di quale prospettiva individuale e collettiva. La partecipazione al presente del mondo, che per Morin era garantita dalla cultura di massa, oggi diventa prospettiva concreta dell’uomo telematico, detto anche individuo digitale: un soggetto nuovo che supera le dinamiche dell’industria culturale. L’era tipografica CAPITOLO 3 I media a stampa Evoluzione sociale della parola e dell’immagine tipografica L’ERA DELL’UOMO TIPOGRAFICO L’organizzazione sociale si fonda sulle transazioni rese possibili dei processi della comunicazione, le nostre stesse capacità di agire sono determinate dall’uso delle informazioni e delle conoscenze disponibili e dalla nostra capacità di elaborarle, decodificarle, trasmetterle. Infatti, prima dell’avvento della scrittura il corpo umano costituiva ancora il supporto essenziale della comunicazione. Nel 1982 Walter Ong elabora in termini psicodinamici le principali differenze tra linguaggi delle culture orali e quelli delle culture scritte. In una cultura in cui la conoscenza che non viene ripetuto ad alta voce svanisce, le formazioni sociali devono impegnarsi nel ripetere ciò che è stato appreso. Questa necessità prevede quindi un atteggiamento legato alla preservazione del passato. Avendo la possibilità di conservare la conoscenza tramite la scrittura le figure dei saggi perdono valore aprendo le culture a rivoluzioni cognitive. Il lavoro di Ong non sarebbe esistito senza l’opera di Marshall McLuhan, La Galassia Gutemberg, che si concentra sull’influenza che l’alfabeto fonetico e la stampa ebbero sullo sviluppo della civiltà occidentale. McLuhan spiega che separando il significato attribuito alle parole dal suono della voce e delle emozioni, l’alfabeto fonetico avrebbe permesso agli esseri umani di oggettivare i loro pensieri al di fuori di se stessi. Così l’invenzione della stampa e in particolare del libro avrebbe portato l’uomo organizzare il proprio ambiente in modo lineare, dando vita ai concetti di nazionalismo e individualismo. Al contrario l’elettricità e l’elettronica avrebbero ribaltato questa situazione riportando la simultaneità nel campo di ciò che riguarda l’uomo ridimensionando l’umanità in un immenso villaggio globale. McLuhan fa riferimento a concetti di tempo e spazio definiti da Harold Innis, interrogandosi sul rapporto tra uomo e media e identificandoli come estensione del corpo umano. Per questi motivi è difficile collocare McLuhan nel campo del determinismo tecnologico: il suo pensiero è che non è importante comprendere chi determini cosa ma dimostrare l’esistenza di un dialogo continuo tra media e essere umano, al cui centro avviene il processo di comunicazione. Gli studi successivi hanno tenuto conto di quanto affermato da McLuhan. Per Morin (il paradigma perduto, 1974) la chiave della cultura è nella nostra natura e la chiave della nostra natura è nella nostra cultura. Sottolinea l’importanza del dialogo tra uomo e cultura specificando che ciascuno provoca mutamenti nell’altro in un continuo processo di ri-determinazione. L’INVENZIONE DEL QUOTIDIANO L’invenzione di Gutenberg automatizza e rende più economico il processo di stampa. Ma a differenza del libro il giornale permette alla parola stampata di essere prodotta e diffusa in tempi brevi e ampliare la discussione su argomenti di attualità. Nasce quindi la figura del giornalista, che si differenzia dallo scrittore. Il giornale al contrario del libro, che presenta un punto di vista di un singolo individuo, è un’opera corale e l’organizzazione delle informazioni sulla pagina comporta una decodifica da parte del lettore. La stampa di informazione nasce in Francia nel XVI secolo, ma è nella prima metà del XVII secolo che in Europa appaiono le pubblicazioni a cadenza settimanale, che fin da subito rappresentano per le istituzioni di potere un pericolo da controllare e reprimere data la velocità con cui potevano veicolare informazioni e idee. CAPITOLO 4 Arte e riproducibilità tecnica Illustrazione, manifesto, fumetto L’ARTE TRA UNICITÀ E RIPETIZIONE L’epoca della riproducibilità tecnica rinnova radicalmente il rapporto tra arte e pubblico. Nel XIX secolo l’illustrazione diventa un fenomeno di massa e si lega a molte strategie espressive nell’ambito delle relazioni interumane, dai romanzi alla pubblicità, passando per il fumetto. ILLUSTRAZIONE POPOLARE E MOLTIPLICAZIONE DELLO SGUARDO Tra le dicotomie che reperiamo nell’esperienza sociale dell’illustrazione c’è quella economica, poiché le strategie del mercato editoriale fanno sì di andare incontro sia la domanda dei ceti abbienti, sia quella dei ceti popolari, che trovano nelle nuove aperture dell’editoria la possibilità di guardare il mondo. Tra il XVI e il XVIII secolo l’illustrazione resta ancorata al libro. Attraverso il miglioramento delle tecniche di riproduzione e l’aumento dei bacini d’utenza dei testi tipografici, le illustrazioni cambiano il loro aspetto espressivo e le loro funzioni. La modernizzazione politica sostiene e viene a sua volta sostenuta dalla proliferazione dei giornali satirici. L’illustrazione venne usata per fare critica dei costumi sociali attraverso la satira, ma fu solo con Gustave Dorè che quest’ultima svelò la propria vocazione narrativa, corredando di immagini la sterminata produzione della letteratura mondiale. Con Dorè, la forma del libro cambia attraverso il ricorso ai corredi iconografici, vera prefigurazione del cinema e delle altre forme audiovisive di massa. L’immagine disegnata è il linguaggio che permette ai differenti settori dell’industria culturale di accomunarsi e mediarsi per arrivare a un pubblico sempre più trasversale e dinamico. UN RUTILANTE MONDO DI CARTA: LE RIVISTE POPOLARI L’ottocento può essere considerato il secolo del romanzo illustrato. Il secolo successivo sancisce invece il successo delle riviste popolari come supporto della produzione letteraria di genere, ovvero espressione di quel sistema organizzativo del rapporto tra produzione e consumo di immaginario. Trasversale e funzionale, il sistema dei generi (romanzo storico, fantastico, horror, poliziesco, fantascienza) ha regolato la crescita dei consumi e la trasformazione delle estetiche per un lungo arco di tempo. Diffuse principalmente nei paesi inglesi, le pubblicazioni popolari parteciparono alla trasformazione dei consumi culturali metropolitani già dall’inizio del XIX secolo, note in Gran Bretagna come penny dreadful e negli USA come dime novel. La funzione delle immagini tecnicamente riprodotte risultava centrale nel loro modello comunicativo poiché attraverso la copertina costituivano il primo impatto col consumatore. Una funzione importante è la svolta anche dalle illustrazioni interne che incanalavano le correnti dello sguardo dello spettatore entro l’estetica del genere. La dinamica diviene ancor più chiara nel 900, quando in America il fenomeno si evolve nei pulp magazine, editoriale a basso costo per un pubblico sempre più alfabetizzato. Nell’ambito di una costante evoluzione tecnologica, il destino dell’illustrazione si compie attraverso la sua declinazione digitale, quando le tecniche informatiche le permettono di superare la differenza tra staticità e movimento, traducendo i suoi repertori nei nuovi linguaggi dell’audiovisivo. IL MANIFESTO COME ARREDO METROPOLITANO La possibilità di stampare immagini disegnate permette di sperimentare nuovi spazi della comunicazione visiva. Sebbene illustrazione nasca in funzione della diffusione del libro, ben presto approda su superfici non previste, nel quadro della complessa trasformazione economica e sociale prodotta dalla fabbrica. Nell’avvento della metropoli, l’illustrazione si lega a fenomeni comunicativi come la pubblicità. Nel nuovo ecosistema culturale delle masse metropolitane, l’immagine diventa merce che permette di orientarsi nei riguardi delle altre merci, quindi aderendo alla riorganizzazione dei consumi intorno agli standard della società industriale. Anche perché i manifesti narrativizzano i prodotti sottolineandone non solo il valore d’uso ma anche l’universo simbolico di cui la merce si carica, ciò che la rende spettacolo, attraverso dispositivi urbani come la vetrina. L’interprete di questa fase che avvicina le espressioni dell’arte verso gli aspetti effimeri della vita sociale è Henri Toulouse-Lautrec, che per sostenere il suo dispendioso stile di vita realizza, parallelamente alle proprie opere serie, anche manifesti pubblicitari, illustrazioni per la stampa e locandine per spettacoli di intrattenimento. IL FUMETTO: ORIGINI E TRASFORMAZIONI DI UN LINGUAGGIO AMBIGUO Sebbene si possa pensare che il fumetto abbia origine antiche, è invece qualcosa di molto moderno, che si lega all’esperienza della civiltà industriale e di massa. Per comprenderne i meccanismi quindi basta tornare indietro nel tempo fino agli ultimi anni del XIX secolo. Le modalità della nascita del fumetto ci forniscono ulteriori informazioni sulla sua natura. Nasce nel 1895 esordendo sul supplemento domenicale a colori del New York Word. Si tratta di un bambino grottesco vestito di giallo che vive in un quartiere sottoproletario interagendo con altri personaggi attraverso varie soluzioni comunicative. Il bambino giallo viene individuato come l’evento che sancisce la nascita del medium anche se probabilmente non è così poiché qualcosa di simile veniva stampato già dagli anni 20 dell’ottocento. Tuttavia, il nuovo personaggio presenta fondamentali caratteri innovativi, a partire dallo stile con cui è disegnato. Il fumetto viene considerato un medium audiovisivo al pari di cinema e radio. Laddove il cinema punta sulla versatilità della propria tecnologia, il fumetto arriva con il lavoro psicologico del lettore che ricostruisce mentalmente i movimenti e immagina i suoni mediante i codici della scrittura. Il pubblico metropolitano era il nuovo committente dell’arte di massa, e dunque pretendeva di riconoscersi all’interno delle raffigurazioni della contemporaneità. A differenza della riproduzione tecnica della pittura rinascimentale e barocca, il fumetto rispondeva alla domanda di protagonismo del consumo. I primi eroi dei comics furono quindi maschere tipizzanti della vita metropolitana, dei suoi conflitti e dei suoi rapporti sociali. Con la nascita della strip, successivamente, abbiamo il passaggio da una narrazione diacronica a una sincronica. Poiché non era possibile proporre quotidianamente un’intera pagina illustrata a colori, gli editori si orientarono su piccole sezioni grafiche in bianco in nero e a cadenza settimanale. Per dare una profondità narrativa si mise a punto una sintassi sequenziale. Nacque la gag, chiusura effetto su un picco di comicità. Con questa trasformazione il medium in questione accantonava i residui ottocenteschi che lo appesantivano al fine di allestire un linguaggio completamente audiovisivo. E tra gli anni 20 e 30, il fumetto abbandona l’esclusività del genere comico e si libera della subalternità alla stampa di informazione, per sperimentare un supporto indipendente: il comic book. Il pubblico di massa che sostiene lo sviluppo dei media industriali comincia spostarsi da un linguaggio all’altro grazie un atteggiamento mentale che gli consente di abitare lo spazio della comunicazione, gestendone la costitutiva pluralità. Dalla nascita del comic book in poi, il fumetto vive i suoi tempi migliori costruendo un rapporto con il pubblico attraverso il miglioramento della qualità e la distribuzione a pioggia del prodotto. Si affermano personaggi come Topolino e Superman. Oggi, messo in crisi dalla concorrenza della televisione e dei linguaggi informatici, il fumetto passa a una fruizione più elitaria e di nicchia. Ma questo non significa che il fatto sia in declino, piuttosto esso muta, e la rete costituisce oggi un nuovo supporto dell’immaginario disegnato dimostrando che nell’età digitale esistono margini per una persistenza dei “vecchi” linguaggi analogici. L’audiovisivo CAPITOLO 5 Origini e mutazioni del cinema La comunicazione audiovisiva I MECCANISMI DELLA VISIONE Gli storici del cinema tendono a collocare la nascita del medium sul finire del XIX secolo, per la precisione il 1895 anno in cui fu brevettato il cinematografo. In realtà il cinema ha una genesi molto più complessa. I filosofi della Magna Grecia si occuparono dei principi elementari dell’ottica, intuendone le leggi fondamentali. Durante il medioevo questi studi furono ripresi sia degli arabi che dagli europei. Il Rinascimento vide l’affermarsi della camera oscura come mezzo per animare la vita di corte. La tecnica fotografica, messo a punto alcuni secoli dopo, si basa sull’applicazione di questo principio. Nel XVII secolo nacque la lanterna magica, un dispositivo in grado di proiettare immagini all’esterno, su uno schermo, attraverso lastre di vetro dipinte. Nel secolo successivo, e ancora di più nell’ottocento, apparvero numerosi giocattoli ottici che funzionavano sulla base dei limiti fisiologici dell’occhio, come ad esempio il fenachistiscopio: un disco su cui le figure disegnate sembrano muoversi quando viene fatto ruotare. NASCITA DELLA FOTOGRAFIA Lavorando sui principi della camera oscura e su quelli della litografia, il francese Nicephore Niepce mise a punto un processo di fissazione delle immagini basato sull’azione chimica della luce. Negli anni successivi la sua tecnica venne studiata è migliorata. Il primo uso della nuova invenzione (dagherrotipo, da Daguerre, il suo inventore) fu la riproduzione di grandi monumenti e in genere di tutto ciò che poteva e voleva essere ricordato, ad esempio il ritratto di un parente o di una persona amata. L’estetica della nostalgia, introdotta sul piano letterario da Edgar Allan Poe, costituì fin dalla metà del XIX secolo uno dei pittori più potenti nella definizione del rapporto tra forme artistiche e società industriale. In America nel frattempo si procedeva verso una semplificazione della fotografia al fine di renderla ideale un consumo di massa e il pubblico dell’immagine riprodotta tendeva ad allargarsi. La professione di dagherrotipista conobbe un boom clamoroso, poiché farsi fare un dagherrotipo era più economico che essere ritratti da un pittore e nelle famiglie comincia a radicarsi l’usanza di ' ricerca dell’immortalità. I modelli di consumo tuttavia si orientarono su registri più ludici. La famiglia della società industriale aveva la necessità di equilibrare il tempo lavorativo con una nuova organizzazione del tempo privato, quello del divertimento (ciò che diverge dal lavoro). Lo spazio domestico cominciò a cambiare ridisegnandosi intorno ai nuovi dispositivi: il pianoforte, la pianola e il fonografo. I processi della comunicazione cominciarono a sagomarsi sul profilo di un territorio urbano rinnovato, strutturato intorno al modello della fabbrica ma contemporaneamente molto funzionale. Il pubblico dei media dirige lo sviluppo dei nuovi dispositivi verso modalità di fruizione che spesso sono in collisione con le strategie dichiarate degli apparati produttivi. È il caso del fonografo, il telefono e soprattutto della radio, che da mezzo militare diventerà nei primi decenni del 900 un autentico medium di massa. CINEMATOGRAFO E CINEMA Per arrivare alla forma che oggi conosciamo, il cinema passa attraverso l’invenzione dello zooprassinoscopio, uno strumento che permise di fotografare le fasi è il momento di un cavallo al galoppo e il cronofotografo, più sofisticato. In entrambi i casi il risultato fu quello di scomporre i singoli fotogrammi la durata del movimento, gettando le premesse per la sua successiva ricostruzione visiva. Sulla base di queste ricerche gli sperimentatori ottocenteschi si cimentarono con la riproduzione delle immagini in movimento sperando di poter fare con la vista ciò che la spari e dalle urla. La tecnologia del sonoro sposta il consumo verso una dimensione multimediale. Mentre prima la voce del protagonista non proveniva dall’esterno ma esisteva solo nella mente e nell’immaginazione dello spettatore, ora il sonoro cambia il rapporto tra quest’ultimo e lo schermo, mutando codici e forme della partecipazione, gettando le basi per un ulteriore scatto delle dinamiche di interazione tra pubblico e territorio. TRA FINZIONE E REALTÀ Il cinematografo acquista quindi uno statuto linguistico riconosciuto e viene definito settima arte. Il suo sistema produttivo si integra con le pratiche del consumo, ovvero tecnologia e spettacolo raggiungono, al sui intorno, un punto di equilibrio. Assistiamo alla diffusione delle sale, luoghi sempre più attrezzati per un consumo collettivo e dagli aspetti rituali. È nell’interazione tra forze economiche, politiche e sociali che il cinematografo di evolve finalmente in cinema, diventando un fenomeno di massa. Il primo problema messo in campo è la distinzione tra realtà e finzione: all’idea di cinema documentaristico, se ne contrappone una che intravede il potenziale spettacolare e immaginativo del medium. Il cinema hollywoodiano conquista un ruolo centrale grazie alla capacità di organizzare il racconto, una favola codificata che raccoglie tutte le preesistenze (fiaba, mito) e le rielabora in forme utili alla dialettica tra apparati e consumo. IL CINEMA NELLA CULTURA DEL NOVECENTO La comparsa del cinema non avvenne in modo pacifico. Innanzitutto, la riproducibilità tecnica privava il nuovo linguaggio della sacrale unicità. Inoltre le cinematografie nazionali, punto di incontro fra tecnologie industriali e cultura, diventano parte integrante delle politiche culturali del 900. Il cinema spiega il mondo alle masse metropolitane e partecipa alla costruzione sia dei moderni regimi democratici sia delle dittature, al punto che entrambi i sistemi di potere gli riconoscono un valore informativo superato solo dalla radio e dalla tv. Negli anni successivi la fine della Prima guerra mondiale, si crearono le condizioni ideali per spostare definitivamente il polo del cinema negli stabilimenti di Hollywood. L’ARTE DELLA FABBRICA A Hollywood lo studio-system organizzò la produzione di film secondo criteri puramente industriali. Il lavoro intellettuale venne regolamentato dal ciclo di produzione, ridefinendo l’autore come assoggettato alle logiche della merce. Le major hollywoodiane allestirono una vera e propria catena di montaggio. Tra il 1918 e la fine degli anni 20, gli americani investirono sempre di più sul nuovo business e l’organizzazione sempre più industriale delle major favorì l’espansione del “made in Hollywood” in tutto il mondo (in Italia, il cinema nazionale viene superato da quello americano solo negli anni 60). Senza inventare nulla di nuovo ma solo organizzando al meglio ciò che già esisteva gli imprenditori di Hollywood misero a punto un insieme di apparati produttivi basati su tre coordinate fondamentali: lo studio-system, lo star-system e il sistema dei generi. Lo studio-system realizzava l’integrazione verticale tra i vari settori del ciclo di produzione, ottimizzando le risorse per ottenere il massimo profitto. La direzione reale del progetto era nella mani del produttore. Ma essenziali per la promozione erano le star che, ingigantite sul grande schermo e cariche di potere comunicativo, siglavano iconicamente il risultato del lavoro dell’equipe. Nuove professioni acquisirono importanza, come i tecnici e truccatori. La ricerca scientifica di standard produttivi raggiunse ad Hollywood il suo grado più elevato. CENTRALITÀ DELLA SCENEGGIATURA E STRATEGIE DELL’EMOZIONE All’origine di ciò possiamo ritrovare una rudimentale sociologia delle emozioni, il cui ideatore sintetizzava in 36 situazioni basilari lo sviluppo di ogni intreccio narrativo. Si trattava di legare un numero finito di emozioni fondamentali a precise situazioni drammatiche. Questa schematizzazione sarà alla base delle tecniche di sceneggiatura, centrali nel linguaggio cinematografico. La sceneggiatura e le sue tecniche realizzano un fondamentale lavoro di previsione e programmazione del testo audiovisivo, allestendo un luogo in cui gli apparati produttivi immaginano il pubblico, lo prevedono e prevedono le sue reazioni. Il carattere industriale del cinema statunitense ha garantito un’egemonia che dura ancora oggi. La sua forza principale sta nella dimensione di mercato e nella capacità di seguire l’innovazione tecnologica. Dal 1927 in poi il cinema americano ha sempre saputo rispondere alla domanda di maggior coinvolgimento sensoriale del pubblico. L’interesse dei sociologi per gli effetti del cinema è sempre stato abbastanza vivo: si è rilevato come movimenti quali il semplice camminare o altri gesti siano modificati o uniformati dalla penetrazione sociale dei modelli proposti nei film. Ma la sociologia dei media non si limita all’analisi dei contenuti, deve muoversi in modo da tener conto della complessità delle pratiche della comunicazione, Secolo, quando la tv aveva tolto pubblico, credibilità. Torna utile quindi l’approccio al cinema come campo di un confronto negoziale tra pratiche e vissuti, mirato ad affrontare la ricerca dei fondamenti sociali del gusto. CINEMA E TELEVISIONE La televisione viene vista come lo strumento di annichilimento del medium cinematografico. Anche in questo caso studiamo ciò che è accaduto in America, dove il modello televisivo basato sull’emittenza dei programmi da parte di società private o enti statali (broadcasting) si afferma prima che altrove. È interessante guardare a questo confronto tra media nella giusta prospettiva: se è vero che la tv ha prodotto la fine dell’egemonia del cinema nell’economia globale, è anche vero che le stesse major cinematografiche statunitensi tentarono di occupare spazi della nuova tecnologia. Inizialmente non vi fu guerra tra cinema e televisione, ma un tentativo di coesione con la diffusione del theatre television, che rendeva possibile trasmettere sul grande schermo la programmazione televisiva. Con la fine della seconda guerra mondiale, l’economia americana si era avviata a una ripresa che favorì la diffusione delle TV e in soli 10 anni il 78% delle famiglie americane giunse a possederne una. La nuova tecnologia avevano lasciato la tendenza a collocare il divertimento nei luoghi collettivi. Inoltre non è trascurabile lo status sociale legato al possesso del nuovo apparecchio. Un’altra ragione che impedì alle major hollywoodiane di inserirsi nel business televisivo furono i magnati della radio che facendo valere il loro peso politico nell’assegnazione dei diritti sull’occupazione delle frequenze per la trasmissione del segnale favorirono i trust radiofonici invece di quelli cinematografici nello sviluppo del medium televisivo. Hollywood reagì con una duplice strategia. Comincio a diversificare potenziare i suoi prodotti sul piano tecnologico rendendoli sempre più irriproducibili dalla tv. Attraverso sistemi sempre più sofisticati come il 3D o il Dolby Surround la cinematografia a prese a differenziarsi dall’offerta televisiva sollecitando il corpo dello spettatore come mai era accaduto. Allo stesso tempo però ricoperti parte dei propri apparati della produzione di film progettati per il mercato televisivo e iniziò vendere i diritti di trasmissione per migliaia di pellicole. Quindi da una parte rifiutava di cedere il posto alla televisione, e dall’altra ne riconosceva l’esistenza e poneva le basi per confrontarsi con essa. Ma l’ideologia del conflitto tra cinema e televisione viene messa in crisi dei nuovi assetti imprenditoriali della comunicazione, che registrano il ritorno degli apparati produttivi cinematografici sulla scena grazie alle dinamiche di globalizzazione che investono il sistema dei media, in cui le differenze tra cinema e televisione tendono a cadere. NUOVI LUOGHI PER IL CINEMA La distanza tra i due media va quindi riconsiderata. La stessa offerta è meno diversa di quanto si possa pensare, poiché il palinsesto televisivo rimanda al programma cinematografico degli anni 30 e 40, in cui il film era contornato da informazione, pubblicità e serie a puntate. Il pubblico non si recava in sala solo per vedere un’opera. La tv rispose all’esigenza di ridisegnare il territorio postbellico che scaturiva dallo shock della seconda guerra mondiale. Ma il dato più rilevante è che con l’avvento del piccolo schermo cambiano le condizioni della fruizione, in uno spostamento verso una medialità non più “di massa”. La televisione determina nuovi luoghi per il cinema, ospitandolo al proprio interno e contemporaneamente riformulandone la costituzione e gli statuti linguistico-espressivi. Nascono quindi nuovi formati concepiti per lo schermo, che riscrivono le grammatiche del cinema, continuando però contemporaneamente a riferirsi ad esse. IL CINEMA COME EFFETTO SPECIALE Le domande da porsi riguardo al film non riguardano il punto di vista artistico ma la sua funzione sociale. Occorre interrogarsi sulle motivazioni della produzione e su quelle del consumo. Bisogna inoltre abbandonare la visione classica del cinema, modificato radicalmente dalle nuove tecnologie che permettono allo spettatore di immergersi totalmente nel mondo digitale e di interagire con esso. Si realizza il desiderio di partecipazione anticipato da tutte le forme audiovisive precedenti. I media digitali, quindi, ridefiniscono ancora una volta le modalità di fruizione del cinema. Il computer non è più solo uno strumento con cui si fa cinema, ma diventa sempre di più uno strumento attraverso cui lo si consuma e, grazie alla rete, il suo nuovo habitat. CAPITOLO 6 La comunicazione istantanea Telegrafo, radio, televisione ELETTRICITÀ E ISTANTANEITÀ Marshall McLuhan con la sua definizione di età elettrica divide la società preindustriale dallo sconvolgimento prodotto dalla scoperta dell’elettricità e dell’avvento del paradigma della fabbrica. Fino a quel momento la scrittura aveva mantenuto un orientamento lineare dei processi sociali e comunicativi. Tale sistema viene portato al tracollo della diffusione delle tecnologie elettriche dei sistemi automatici, e dallo spostamento di informazione che questi consentono di realizzare. L’individuo al centro dell’età elettrica viene definito dallo studioso come un nomade alla ricerca della conoscenza, al quale l’elettricità fornisce il supporto per spostarsi da un’informazione all’altra. Continua affermando che l’elettricità ha la forza di estendere globalmente il sistema nervoso dell’uomo. L’individuo quindi si trova essere coinvolto nel prodursi di informazioni che viaggiano alla stessa velocità degli impulsi cerebrali. Dopo aver identificato la natura sistemica dei media McLuhan approfondisce la qualità immersiva ed estensiva della loro esperienza. I dispositivi mediatici riplasmano l’ambiente. Se per l’era alfabetica valgono i parametri della linearità e della visualità con l’età elettrica comincia ad affermarsi un modello esperienziale basato sull’istantaneità e la circolarità. Anche il corpo sociale comincia a modificarsi immergendo gli individui in un flusso di informazioni creando così il villaggio globale descritto dallo studioso. Questo processo, innescato dallo sviluppo delle tecnologie di trasporti va ad ampliarsi con lo sviluppo delle telecomunicazioni. Ne consegue una crisi di controllo, descritta da James Beninger, ovvero la nascita di un bisogno di compensare la grandezza spaziale e coprire le distanze in tempi sempre più brevi. Questo perché si sente il bisogno di avere visibilità e tangibilità di ciò che è lontano. L’istantaneità e la simultaneità sono il cuore della rivoluzione iniziata dal telegrafo elettrico e culminata con l’invenzione del telefono. NASCITA DELLE RADIO E INTRATTENIMENTO WIRELESS La percezione del hic et nunc non è più limitata alla condivisione materiale dello stesso spazio tempo ma si estende all’atto comunicativo fino a identificarsi con esso. Il fatto che la tecnologia telefonica non richieda alcuna forma di qualificazione professionale la rende adattabile perfettamente alla dimensione quotidiana e domestica dell’umano. Si pone quindi al principio di un processo di modificazione dei processi socioculturali e comunicativi a cui più avanti parteciperanno la radio e la televisione. Una volta rinegoziato il senso del confine dello spazio percettivo su cui l’uomo ha controllo, il sistema dei media procede all’eliminazione dei vincoli e degli ostacoli che impediscono l’espansione. La radiotelegrafia, brevettata da Marconi, libera il telegrafo dai cavi. Ciò rende possibile lo scambio di messaggi via mare dove l’intensificazione del traffico navale richiede delle misure di sicurezza. Secondo McLuhan l’uomo è portato a dominare l’ambiente attraverso l’estensione degli organi del proprio corpo. È per questo che si sopperisce all’incapacità della radiotelegrafia di riprodurre la voce umana con l’invenzione della radio. A pochi anni di distanza dalla prima proiezione pubblica del cinematografo (1895) l’input offerto dalla radio è pronto a innescare rapidamente un’ulteriore serie di trasformazioni. CAPITOLO 7 La fine delle comunicazioni di massa Reti e personal media nell’età digitale INTERFACCE E MEDIA, UNA STORIA DI FANTASMI Ogni giorno interagiamo continuamente con apparati informatici. La loro miniaturizzazione, insieme al potenziamento della capacità di calcolo, ha permesso di rendere disponibili decine di device. Ma il progresso dei processi di interazione non è esclusivo dei dispositivi digitali. La storia tecno-culturale dell’umanità è caratterizzata dall’evolversi di dinamiche interattive a partire dalla scoperta delle modalità di utilizzo del proprio corpo: l’hardware biologico è la prima e più importante tecnologia umana, ed è dal nostro rapporto con le sue potenzialità che partiamo per estendere le nostre capacità tramite la creazione o il riutilizzo di oggetti presenti natura. Pierre Levy a questo proposito parla di un lungo processo di ominazione, che ha portato l’uomo a distaccarsi dallo stato di natura (bestiale) per diventare un essere pensante e civilizzato. Da questo punto di vista, supporti tecnologici e macchine sono conseguenze dell’impulso di accrescere il nostro controllo sensoriale sull’habitat in cui ha luogo la nostra esistenza. La macchinosità delle prime tecnologie, fu semplificata dalla GUI, che utilizza elementi grafici in grado di richiamare modelli di interazione a cui siamo abituati, a volte rimescolando strumenti ormai obsoleti: è l’esempio della tastiera del pc, ereditata dalle macchine da scrivere. Il mouse infine si concretizza come estensione della nostra mano sullo schermo, all’interno del desktop, la scrivania virtuale. LA PARABOLA DELL’OROLOGIO La storia delle interfacce è fatta di integrazioni e sparizioni più o meno graduali. Molti strumenti sono stati integrati in altri media che li hanno rimpiazzati. È il caso dell’orologio, le cui prime forme erano pubbliche e annunciavano il tempo alla comunità, risolvendo con semplicità la necessità di condividere la percezione del tempo. Dalla meridiana si passa all’orologio meccanico, con l’interfaccia che ci accompagnerà a lungo: il cerchio con due lancette. La sua natura pubblica si trasforma con la comparsa degli orologi a pendolo, rimpiccioliti e tenuti in casa. La miniaturizzazione esaudisce l’esigenza sociale di possedere privatamente lo strumento e prosegue con l’introduzione dell’orologio da taschino, a cui segue quello da polso. Questo è un passo fondamentale: la tecnologia conquista il corpo e ne diventa un’estensione. Il passo seguente è la digitalizzazione, si superano gli orologi meccanici a favore del display che scrive ore minuti. Una volta digitalizzato, l’orologio si trasforma in software incluso in altre piattaforme: il computer o lo smartphone che sostituisce l’orologio da polso, ormai indossato solo per motivi estetici. Sul polso appare lo smartwatch, dispositivo con molte più funzioni. Quest’evoluzione rende chiara la modalità di trasformazione dei media e delle loro interfacce. BREVE STORIA DELLA MUSICA PORTATILE Oggi ci sembra scontato infilare le cuffie ascoltare musica, ma prima dell’invenzione del Walkman Sony nel 79, un riproduttore musicale portatile e personale non esisteva. Esistevano solo le radio portatili, mangiadischi o le autoradio. L’uso di un lettore musicale portatile personale introduce l’ascoltatore alla condizione del flaneur, un passeggiatore metropolitano che esplora la città senza fretta, in contrapposizione alla necessità di avere una bolla uditiva intorno come meccanismo di difesa dalla metropoli. Il Walkman ha avviato una rivoluzione durata 20 anni, ed è stato spodestato solo dall’iPod di Apple. L’AVVENTO DELLA MUSICA DIGITALE Il Walkman consentiva di costruire il proprio ambiente sonoro, ma in maniera limitata. Emerse la nuova necessità di implementare il menù musicale e gestirlo con la flessibilità richiesta dei cambi di scena della vita quotidiana. L’avvento dell’MP3 consente la trasformazione della musica in file di dimensioni ridotte, facilmente gestibili, rispondendo a queste nuove esigenze. Gli utenti sono quindi in grado di modulare la loro esperienza musicale, ottimizzare l’affinità tra umore, ambiente e musica in modalità impossibili per le precedenti generazioni di device. Gli sviluppi tecnologici che hanno portato alla produzione dell’iPod Apple rappresenta una combinazione di funzionalismo tecnologico e un senso di magia: si poteva finalmente sintetizzare la propria musica in un oggetto minuscolo. Possiamo ritrovare nell’iPod dell’icona culturale del XXI secolo. Lo spazio pubblico si è ridotto sino a scomparire all’interno della sfera uditiva dell’individuo. LA VIRTUALIZZAZIONE DEI GADGET Le funzionalità dell’iPod vengono incluse in una piattaforma più ampia, lo smartphone, altra creazione di Apple. Lo smartphone trasforma il cellulare in un meta medium. Include in un dispositivo tascabile le potenzialità di un pc con un’interfaccia touch screen. È una piattaforma comune in cui è possibile includere le funzioni dei media precedenti e crearne nuovi senza alcuna necessità di staccarsi dalla piattaforma hardware esistente. Secondo Manovich viviamo in un’epoca in cui il software plasma ogni strumento e oggetto della cultura. Non a caso per rendere indolore il passaggio dello strumento da gadget fisico alla sua versione virtuale, viene utilizzato inizialmente un approccio che richiama le caratteristiche reali dello strumento (approccio scheumorfico). Ecco perché il bloc-notes di iPhone sembra quello vero con i fogli gialli a righe. Ma imitare vecchie tecnologie non è duraturo, è un rito di passaggio per abituar aiuto enti al nuovo ambiente. Arrivati alla settima versione del suo sistema operativo Apple ha infatti deciso di abbandonare questa caratteristica passando un’interfaccia grafica minimalistica. Per concludere, l’iPod guadagna quindi un’ultima funzione dalla sua integrazione negli smartphone: la connettività e con essa la capacità di streaming. Ciò rende possibili applicazioni come Spotify, servizi che centralizzano la libreria musicale e che consentono l’ascolto di musica senza doverla memorizzare. SESSO, SOLDI E SPORT Esiste un legame tra pornografia e strumenti e tecniche di comunicazione umana. Per millenni è stata una potente forma di creatività e innovazione che ha stimolato la sviluppo di nuovi media. I creatori e consumatori di porno hanno rappresentato una forza trainante dello sviluppo di forme di comunicazione, dalla fotografia allo streaming. In alcuni casi, come il videoregistratore o la tv a pagamento, i pornografi sono stati pionieri che hanno tratto profitto dal medium prima che la cultura mainstream ne intuisse le potenzialità. I consumatori di porno tendono ad acquistare e utilizzare i prodotti in forma anonima. Ogni recente progresso sembra quindi essere teso verso privacy e convenienza. Ma oltre a questi motivi, la pornografia svolto un ruolo importante ad esempio nella crescita dell’industria fotografica offrendo un tipo di rappresentazione realistica è diverso da qualsiasi forma di rappresentazione mai esistito. Nell’Occidente industrializzato il legame tra porno e media è fondamentalmente finanziario. I consumatori spesso sono disposti a sperimentare nuove tecnologie affrontando i costi dell’innovazione. Il porno diventa quindi un banco di prova per prevedere il successo di un nuovo media, prima che questo debutti sul mercato. Le rappresentazioni sessuali sono stata al centro di ogni forma di evoluzione dell’espressione umana. Jonathan Coopersmith ad esempio è del parere che se non fosse per la materia in oggetto, la pornografia sarebbe elogiata come un’industria che ha sviluppato e diffuso con successo le nuove tecnologie. LA GLOBALIZZAZIONE DELLO SPORT ENTERTAINMENT L’attività sportiva è un fenomeno socialmente più complesso di quanto possa apparire e costituisce uno degli elementi principali della moderna industria culturale. Il calcio è l’esempio più evidente di spettacolarizzazione dello sport, con un enorme pubblico che paga per essere intrattenuto. Il mondo dello sport quello dell’intrattenimento condividono lo stesso spazio vitale si espandono nella stessa sfera influenzandosi a vicenda. La spettacolarizzazione degli eventi sportivi produce eventi mediali centrati su competizione e regole, ma anche su forme testuali adatte a influenzarne la spettacolarità. Un esempio è la Champions League: un evento ritenuto spesso più importante dei campionati nazionali riconoscibile da un brand è una sigla musicale. La competizione è pensata in modo da far giocare un numero maggiore di partite alle squadre più popolari, garantendo audience. La Champions è stata modificata per svilupparne la spettacolarità. In un sistema sempre più regolato dalle logica della finanza, a discapito della casualità dello sport, non si può rischiare di vedere eliminate squadre importanti magari dopo una sola partita. Il termine mediasport è stato coniato per definire la connessione tra sport e media dove quest’ultimo si presenta come un fenomeno ormai ibrido. LO SPORT COME MEDIUM TOTALE Considerando lo sport come un media possiamo valutare la doppia composizione del suo pubblico: chi assiste dal vivo e chi invece tramite mezzi di comunicazione. I fan presenti dal vivo, interagendo con gli sportivi, sono parte dello spettacolo. A loro volta si dividono tra appassionati e occasionali. Per quanto la componente territoriale sia ancora forte i campionati più importanti puntano ormai ai mercati internazionali, creando dissenso tra i tifosi “autentici”. Ma per lo sviluppo di un club oggi diventa indispensabile la creazione di un brand. La fluidità del mondo calcistico è associata a un fenomeni chiamato disembedding. Lo sport è quindi uno dei motori della moderna industria culturale, che riesce a rimanere al passo con i tempi adattandosi ai nuovi media e utilizzando con profitto ogni forma di comunicazione. IL VIDEOGAME: NUOVI LINGUAGGI DELLA RAPPRESENTAZIONE NELL’ETÀ DIGITALE Il videogame rappresenta un fenomeno sociale complesso e l’industria relativa è un settore all’avanguardia nell’era digitale. Il videogioco va esaminato come un medium a sé stante che aggiunge ai vecchi linguaggi la partecipazione interattiva che gli garantisce coinvolgimento seduttivo difficilmente riscontrabile nei media che l’hanno preceduto: introduce una nuova relazione tra soggetto e rappresentazione che scavalca la normale posizione spettatoriale e che permette di oltrepassare i limiti dello schermo. Con l’aumento della distribuzione digitale e delle piattaforme è emersa una gamma molto diversificata di sviluppatori, pubblici e modalità di produzione e consumo di videogiochi. I grandi editori competono con piccoli team e sviluppatori individuali che ottengono successo nella scena indipendente. Inoltre nuove piattaforme come smartphone e social network si affacciano al gaming estendendone la portata a un pubblico eterogeneo e occasionale. L’INDUSTRIA TRIPLA-A, LA SCENA INDIE ED I CASUAL GAME La sezione più importante dell’industria dei videogiochi, formata dagli studi che investono di più e nota come Tipla-A. Lavorano di solito sotto la supervisione di un editore per produrre un gioco commercializzato e distribuito da quest’ultimo. I videogiochi sono sempre stati un medium a produzione tecnologica: l’importanza di una tecnologia in costante miglioramento per la qualità dei videogiochi è fondamentale e attentamente coltivata dall’industria della Tripla-A, come dimostra il concetto di generazione di consolle. Parallelamente all’industria Tripla-A, nel corso degli anni 2000 emerge la scena indie, caratterizzata da individui o piccoli team di sviluppatori che realizzano progetti di nicchia non essendo vincolati dall’obbligo di rientro di investimenti milionari. Non dipendenti da negozi fisici per la diffusione dei giochi gli sviluppatori sfruttano appieno Internet per offrire giochi economici direttamente agli utenti, soprattutto sui principali store di distribuzione digitale. La scena indie ha comportato la legittimazione dei videogiochi, ormai accettati come qualcosa di più che un prodotto di intrattenimento. Contemporaneamente i social e gli smartphone diventano sempre più presenti nella cultura quotidiana e gli sviluppatori di videogiochi sfruttano questi linguaggi per avere accesso a un pubblico più ampio. I casual games attirano gli utenti attraverso uno stile e un design più accessibili e si differenziano per la difficoltà bilanciata è un’interfaccia intuitiva riuscendo introdursi nella pratica quotidiana di chi non ha mai giocato ad alcun videogioco. I SOCIAL MEDIA NELLA SOCIETÀ DELLE RETI Possiamo suddividere la storia in tre periodi. 1. L’era pre-industriale caratterizzata dall’agricoltura 2. L’era industriale dominata dalla produzione meccanica 3. L’era post-industriale in cui predominano servizi e industria dell’informazione Questo schema corrisponde più o meno ai settori che l’economia definisce come primario, secondario e terziario. Castells evita volontariamente il linguaggio del post industrialismo, preferendo pensare nei termini di informazionalismo, ovvero il paradigma tecnologico che costituisce la base delle società di inizio XXI secolo basato sull’aumento della capacità di elaborazione dell’informazione e della comunicazione reso possibile dalle rivoluzioni della micro elettronica, del software e dell’ingegneria genetica. Questo permette allo studioso di evitare di
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