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Riassunto "Il Quattrocento e il Cinquecento" di Riccardo Bruscagli, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto del testo "Il Quattrocento e il Cinquecento" di Riccardo Bruscagli Storia della Letteratura Italiana a cura di Andrea Battistini

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 10/06/2021

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Scarica Riassunto "Il Quattrocento e il Cinquecento" di Riccardo Bruscagli e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! 1 IL ‘400 CAPITOLO 1 – IL ‘400: LE IDEE, LA CULTURA, LE ISTITUZIONI Il ‘400 e il ‘500 sono i secoli dell’Umanesimo e del Rinascimento. L’Umanesimo si caratterizza per la prevalenza di alcune discipline liberali, quali: retorica, storia, poesia e filosofia morale e afferma la centralità per la formazione dell’uomo e del cittadino. Nello stesso periodo nasce il Medioevo, ovvero l’età di mezzo fra l’antichità e il suo moderno risorgimento. Da qui nasce la contrapposizione tra un Medioevo barbarico, tenebroso, irrazionale e un Rinascimento razionalistico, naturalistico. L’Umanesimo è caratterizzato da un ritorno all’antico, infatti in quel periodo si passò alla ricerca di testi e codici greci e latini. Tale materiale si poteva trovate presso le biblioteche monastiche di tutta Europa. L’antica letteratura greca, invece, era ben viva e disponibile in Oriente, nel mondo bizantino. Questo ritorno all’antico era stato anticipato da Petrarca, il quale collezionava codici e testi e studiava gli antichi autori, distaccandosi dalla mentalità medievale. Egli intendeva riavvicinarsi alla voce autentica degli antichi autori, restaurando non solo le parole ma anche il modo di sentire, di pensare, la loro umanità. In particolare, per Petrarca era di notevole importanza l’antichità latina. Infatti egli imitava il vero latino degli autori classici e lo fa rivivere nei suoi scritti. IL PROBLEMA DELL’IMITAZIONE Il culto dell’antico implica un processo d’imitazione. Come si vede in Petrarca non si tratta di “imitazione” ma di “immedesimazione”. L’imitazione non dev’essere una semplice copia, ma bisogna saper scegliere anche gli autori da imitare. Ad esempio Agnolo Poliziano difende la libertà di imitare attingendo alla lezione dei più vari autori. Invece per Paolo Cortesi bisogna avere un solo autore da imitare: nel suo caso Cicerone = modello esemplare di prosa; Virgilio = per la poesia. UN SECOLO BILINGUE I testi umanistici scritti in latino si rivolgevano ad un pubblico ristretto. Il ‘400 fu dominato da una cultura bilingue, latino-volgare. Non mancarono dibattiti…a tal proposito ricordiamo Leon Battista Alberti, il quale compose la prima grammatica della lingua italiana e umanistica di una lingua volgare moderna. Egli voleva dimostrare che anche il volgare ha una struttura grammaticale ordinata, come ce l’ha il latino. 2 (Egli propose di fare una gara poetica, nella quale i partecipanti dovevano affrontarsi attraverso componimenti in volgare un tema prefissato: il tema proposto per il primo concorso fu la “vera amicizia”. Tale concorso doveva dimostrare che la lingua volgare sarebbe stata in grado di esprimere alti concetti se qualcuno fosse stato capace di usarla in modo degno e accurato. I giudici avrebbero fatto fallire la gara perché irritati dal fatto che una lingua come l’italiano avesse gareggiato con il latino.) I GRANDI MAESTRI Al centro della cultura medievale c’erano state le Chiese e le grandi Università, mentre la nuova cultura umanistica si crearono spazi diversi…si tratta di scuole con maestri prestigiosi. Ricordiamo in particolare Vittorino da Feltre, al quale si deve una scuola aperta a tutti dove si insegnava la grammatica, l’oratoria e le discipline matematiche. LE ACCADEMIE Alcuni umanisti per evitare sedi tradizionali come la Chiesa e le università, diedero vita ad associazioni per dialogare di filosofia, teologia e letteratura. Alcune associazioni si presentarono come “accademie”. L’accademia più celebre del ‘400 fu quella “Platonica”, fondata da Marsilio Ficino presso Firenze o anche quella detta “Romana”. DAL MANOSCRITTO AL LIBRO A STAMPA Il libro del ‘400 è ancora il manoscritto. I manoscritti venivano realizzati grazie alla pazienza di religiosi all’interno di monasteri e conventi, oppure da copisti professionisti presso botteghe artigianali. L’invenzione della stampa a caratteri mobili fu una vera e propria rivoluzione perché il libro costava poco e poteva diffondersi rapidamente. I primi tipografi furono orefici e il primo fu Gutenberg che stampò la Bibbia…il primo libro stampato al mondo. Questa nuova invenzione non venne accolta con entusiasmo in quanto i libri stampati apparivano, a prima vista, “brutti” rispetto alla bellezza dei manoscritti. LE BIBLIOTECHE UMANISTICHE Per Petrarca i libri devono essere messi a disposizione della comunità degli studiosi, quindi le esigenze di quel periodo erano: 5 “Rime” e li commenta in prosa. Sia nel Comento, sia nelle Rime, Lorenzo oltre a Petrarca riscopre Dante e la poesia di Guido Cavalcanti, nominato nell’introduzione del Comento. LA CONGIURA DE’ PAZZI (1478) Ricordiamo il 26 aprile 1478 la Congiura de’ Pazzi. Lorenzo e il fratello Giuliano durante la messa in Santa Maria del Fiore vengono attaccati. Giuliano perde la vita, mentre Lorenzo riesce a sfuggire all’agguato. Lorenzo decide di recarsi personalmente dal re a Napoli per negoziare e proprio a questo incontro si lega la “Raccolta aragonese” che conteneva 449 testi. Si tratta di un canone di testi e autori, tra cui Dante, Cavalcanti e altri poeti e Lorenzo stesso, ma colpisce l’assenza di Petrarca. Lorenzo vuole dimostrare che la tradizione lirica italiana non è soltanto Petrarca ma esistono molti altri autori in cui prende vita una storia poetica varia e ricca…in gran parte da riscoprire! I TRIONFI E I CANTI CARNASCIALESCHI La figura di Lorenzo il Magnifico è importante anche per il suo coinvolgimento nelle feste fiorentine. A tal proposito è fondamentale ricordare: i trionfi e i canti carnascialeschi. • I trionfi sono carri allegorici, in genere ispirati alla mitologia classica, che sfilavano durante le feste, a soprattutto a Carnevale, accompagnati da canti e musica. • Il canto carnascialesco è una canzone cantata da un gruppo di figuranti che impersonano mestieri, gruppi sociali e personaggi noti. Tali canti sono a doppio senso osceno, infatti ogni oggetto o gesto del mestiere allude a circostanze sessuali. LUIGI PULCI IL MORGANTE Luigi Pulci dopo la morte del padre si avvicina ai Medici e si lega in particolare a Lucrezia Tornabuoni (madre di Lorenzo) e pare che su sua richiesta il poeta abbia intrapreso la stesura del “Morgante” di 28 canti in ottave. La prima edizione risale al 1478 in 23 canti, seguirono poi le edizioni di Ripoli(Firenze)1481 e di Venezia 1482. Il titolo non è d’autore, ma “fu imposto a furor di popolo”, come si legge nel 6 frontespizio dell’edizione ripolina. Si aggiunsero poi altri 5 cantari nel 1483: si tratta del cosiddetto “Morgante maggiore”. LA TRAMA DEL MORGANTE Orlando e il suo compare si recano in Pagania (in Asia e Egitto), fra gli infedeli musulmani. Orlando capita in un convento minacciato da tre giganti, e dopo averne uccisi due converte il terzo al cristianesimo, proprio Morgante, che diverrà il suo scudiero. Dopo un rapido susseguirsi di peripezie e avventure d'ogni genere, sapendo che Carlo Magno è in difficoltà, Orlando e Rinaldo tornano in Francia per aiutarlo, trasportati da due demoni. Ma nella gola di Roncisvalle, per tradimento del perfido Gano, sono accerchiati dai saraceni e successivamente vengono uccisi. Il re Carlo scopre il tradimento e condanna Gano ad essere squartato. Altra figura che compare nel poema in ottava rima è Margutte, il "gigante nano" (cosiddetto per la sua statura di "soli" 4 metri, a differenza dei tradizionali 8 degli altri giganti del poema), anch'egli soggetto pseudo-eroico come Morgante. Entrambi risultano essere una parodia della tradizione cavalleresca e del ciclo carolingio, e dopo epiche e ardue imprese muoiono in maniera del tutto banale. Margutte "scoppia" letteralmente dal ridere dopo aver visto i suoi stivali rubati da una bertuccia che per gioco se li mette e se li leva; Morgante muore per il morso di un granchio. IL MORGANTE E IL CANTARE DI ORLANDO Nel 1869 un giovane studioso Pio Rajna rintracciò nella Biblioteca Laurenziana di Firenze un manoscritto, ovvero un testo popolare di 61 canti senza indicazione d’autore che corrispondeva perfettamente a quello di Pulci dal nome “Il cantare di Orlando”. Alcuni studiosi ritengono che il Morgante derivi da questo testo, altri, invece, ritengono il contrario. L’ORIGINALITA’ DEL MORGANTE L’originalità del Morgante è di carattere linguistico e stilistico. Ogni parola è deformata e comicamente sfigurata. In quest’opera non interessa cosa viene raccontato ma come viene raccontato. La prima parte è più burlesca, libera e spregiudicata…la seconda assume un tono più serio. Come spesso accade a questo tipo di scrittori, tale deformazione espressionistica della realtà attraverso lo stile è sinonimo di un disagio profondo. Ciò viene messo in risalto negli ultimi 5 canti del “Morgante maggiore”. 7 IL MORGANTE MAGGIORE Pulci scrisse sonetti ingiuriosi che ridicolizzavano l’esoterico sincretismo religioso dei ficiniani. Ciò gli costò una progressiva emarginazione dalla brigata laurenziana e, in particolare, il raffreddarsi dei rapporti con Lorenzo il Magnifico, ma non si ebbe una rottura formale. Negli ultimi anni della sua vita, Pulci si lega, a Milano, al condottiero Roberto Sanseverino. Ed è proprio in questo clima difficile che maturano gli ultimi 5 cantari del Morgante Maggiore, dove è evidente il tentativo di rivincita dello scrittore sul piano della forma e dei contenuti. Il registro espressivo cambia, infatti diventando più ambizioso, serio e dotto. LE ALTRE OPERE DI PULCI In un “Vocabolarietto della lingua furbesca” è evidente la sua passione per la parola rara e ciò si manifesta in alcune sue lettere e rime volgari, tra cui “Beca da Dicamano” e “La giostra”. Pulci muore a Padova per febbri malariche e viene sepolto in terra sconsacrata a casa dei suoi scritti profani. AGNOLO POLIZIANO Poliziano è stato precettore dei figli di Lorenzo il Magnifico. Egli si ispirava ai modelli classici e in volgare e scriveva esclusivamente poesia e usava la ballata o canzone a ballo. Poliziano riesce ad amalgamare temi e motivi della lirica volgare petrarchesca e contemporanea con numerose fonti classiche. Il testo poetico in volgare più importante rimane: “Le stanze per la giostra”(1475), opera dedicata a Giuliano de Medici. LE STANZE(OTTAVE) PER LA GIOSTRA Il 29 gennaio 1475 si svolse nella piazza di Santa Croce a Firenze un torneo. Si trattava di una sorta di competizione alla quale partecipavano i rampolli delle famiglie più nobili di Firenze e ne risultò vincitore Giuliano, fratello di Lorenzo. In seguito alla sua vittoria, Poliziano scrisse un’opera dal titolo “Le stanze(ottave) per la giostra”, per celebrare l’esordio del giovane Giuliano. Le giostre tradizionali erano reportages sportivi e appunti di cronaca cittadina in cui si celebrava la grandezza della città. Con Poliziano la giostra divenne un poemetto epico-mitologico, nel quale i personaggi sono trasformati e accanto a quelli terreni agiscono i personaggi divini. Le Stanze rimasero incompiute a causa della morte di Giuliano (1478 – Congiura de 10 Petrarca ma anche ai poeti erotici latini che parlano di amori carnali e vissuti. Si dividono in 3 libri che corrispondono alle diverse fasi di una storia d’amore: 1. Innamoramento e conquista della donna; 2. Tradimento di lei e delusione del poeta-amante; 3. Ritorno di fiamma che chiude il libro su una nota dolce-amara, di una schiavitù d’amore ormai subita senza illusioni e senza speranza di felicità. ORLANDO INNAMORATO “L’Orlando Innamorato” fu pubblicato per la prima volta tra il 1482 e il 1483. Era un’edizione dei primi due libri, il terzo libro fu pubblicato dopo la morte dell’autore. C’è incertezza sul titolo originale = Orlando Innamorato che fu messo in discussione e sostituito con l’Innamoramento di Orlando, ma entrambi i titoli sono legittimi. Il vecchio titolo verte più su un versante classico, mentre l’altro titolo sembra adeguarsi all’ultima tendenza canterina, ovvero ai poemetti che riguardano gli innamoramenti e costituiscono un genere letterario vero e proprio. LA TRAMA – ORLANDO INNAMORATO A Parigi Carlo Magno e ventiduemila guerrieri, fra cristiani e saraceni, banchettano per la festa di Pentecoste. Ad un certo punto arriva la bellissima Angelica insieme al fratello Argalia che è in possesso di armi fatate. Argalia sfida tutti i cavalieri a duello, con la condizione che i vinti saranno suoi prigionieri, mentre il vincitore avrà in sposa Angelica. L'unico a battere Argalia è Ferragauto, ma in quel momento Angelica - che, naturalmente, non vuole sposarlo! - fugge verso Oriente. La inseguono, innamorati, Ranaldo e Orlando. Giunti nella selva Ardenna, Ranaldo beve un'acqua magica che gli ispira odio per Angelica, mentre Angelica beve ad una fonte che la farà innamorare di lui. Per la maggior parte del poema, quindi, Angelica inseguirà Ranaldo ed egli scapperà da lei. Da questo avvenimento centrale si dipaneranno moltissime avventure. Ad un certo punto Angelica trova rifugio nella fortezza di Albraccà (capitale del Cataio) e qui giungono tutti i cavalieri innamorati di lei, tra cui anche Agricane, re di Tartaria, che la vuole a tutti i costi. Angelica viene difesa da Orlando e da Sacripante. Alla fine Agricane viene ucciso in duello da Orlando. Anche Ranaldo arriva ad Albraccà ed è costretto a battersi col cugino Orlando, che è geloso di lui. Angelica però, teme per la vita di Ranaldo e spedisce Orlando in missione evitando che i due si battano per lei. Intanto il re dei Mori, Agramante, sta per attaccare l'imperatore e le truppe africane, guidate da 11 Rodomonte, invadono la Francia. Angelica a questo punto torna in occidente, ma nella selva dell'Ardenna l'incantesimo si ripete, solo che, questa volta, Ranaldo berrà un'acqua che lo farà innamorare di Angelica e alla donna succederà il contrario. Ranaldo e Orlando litigano di nuovo e stanno per battersi in duello, ma interviene Carlo Magno che affida Angelica a Namo, duca di Baviera, e la promette in sposa a quello dei due che con più valore si distinguerà in battaglia. L'opera si interrompe con la vicenda di Bradamante e Ruggiero, che avrebbero dovuto sposarsi e consentire così al Boiardo di celebrare la dinsatia degli Estensi che da loro due aveva preso origine. La storia venne poi ripresa e conclusa da Ludovico Ariosto nell'Orlando Furioso. TRAMA – ORLANDO INNAMORATO (divisione in libri) Libro I - Angelica, bellissima figlia del re del Calai, giunge con il fratello Argalia alla corte di Carlo Magno in occasione di una giostra cui partecipano i campioni cristiani e saraceni. Sfida i cavalieri a un duello con Argalia offrendosi come premio al vincitore. Tutti i presenti innamorati di Angelica accettano la sfida. Argalia che possiede armi magiche vince molti cavalieri, ma viene ucciso da Ferraguto. Angelica allora fugge verso Oriente inseguita da Ranaldo e Orlando perdutamente innamorati di lei. I tre giungono separatamente presso due sorgenti magiche nelle Ardenne. Ranaldo beve alla fonte dell'odio che genera in lui profonda repulsione per la fanciulla, Angelica beve alla fonte dell'amore e s'innamora di Ranaldo. Dopo molte peripezie Angelica torna in patria, dove il padre l'ha promessa sposa ad Agricane, re di Tartaria. Per sfuggire le nozze si rifugia nella fortezza di Albracà assediata dal pretendente, dove Orlando giunge a difenderla. In duello Orlando uccide Agricane e pone termine alla contesa. Libro II - In Francia intanto i mori di Agramante minacciano Parigi. Agramante non può condurre a termine l'impresa senza l'aiuto di Ruggero, che il mago Atlante tiene prigioniero per proteggerlo da una morte precoce in battaglia. Il ladro Brunelle venuto in possesso del magico anello di Angelica riesce a liberarlo e Ruggero può unirsi all'esercito di Agramante. Angelica, che è sempre in cerca di Ranaldo, torna in Occidente con Orlando. Ranaldo e Angelica giungono di nuovo nelle Ardenne e bevono alle fonti magiche, ma scambiandosi le parti. Ranaldo ora innamorato di Angelica, che invece lo sfugge, viene a contesa con Orlando. Carlo li separa e promette la fanciulla a chi dei due combatterà più valorosamente i saraceni. Affida Angelica al duca Namo di Baviera. 12 Libro III - Bradamante, sorella di Ranaldo, e Ruggiero s'incontrano e s'innamorano. Dalla loro unione nascerà la casa d’Este. CARATTERISTICHE DE “L’ORLANDO INNAMORATO” Le caratteristiche principali di quest’opera sono: l’intreccio e la struttura del racconto. Tutto il poema segna l’abbandono di un personaggio o di una storia, per attaccarsi a distanza a un altro personaggio o a un’altra storia. Il narratore non è uno scrittore, ma un canterino che recita il testo ad alta voce, cercando di non far annoiare il pubblico e suscitando curiosità, attraverso le continue interruzioni. Il pubblico è composto da signori, cavalieri e damigelle all’interno della corte. La tecnica narrativa boiardesca si dispone secondo 3 diverse misure narrative: 1. quella che corrisponde al singolo canto; 2. la sequenza che riguarda le due interruzioni narrative; 3. l’aggiunta di novelle intrecciate nel romanzo = ciò significa che ogni tanto un personaggio del poema ferma l’azione e racconta una novella. IL RITORNO DEI CAVALIERI DI RE ARTU’ Dal titolo e dalla trama è evidente l’intenzione di far innamorare Orlando, il quale innamorandosi, abbandona il paesaggio di guerra e lascia al suo destino Carlo Magno per entrare in un altro spazio(quello bretone fatto di prove magico-meravigliose). L’Orlando boiardesco non arriverà mai a Roncisvalle(a differenza di quello del Morgante). Dopo l’iniziale colpo di fulmine, il suo tempo narrativo rimane sospeso senza sviluppo, come nell’atmosfera tipica arturiana. Il personaggio di Orlando è caratterizzato dalla fusione di due cicli medievali: quello carolingio e quello bretone arturiano. Nell’innamoramento il cast dei personaggi è carolingio, mentre il sistema di valori e comportamenti è arturiano. Con un’ottava in cui viene descritta “l’Italia tutta a fiamma e a foco”( a seguito dell’invasione dei Galli), l’Orlando Innamorato resta bruscamente interrotto. CAPITOLO 4 ALFONSO D’ARAGONA(PRINCIPE UMANISTA) Il ‘400 napoletano coincide con la figura di Alfonso d’Aragona, il quale entrò trionfante come re a Napoli il 26 febbraio 1443, reclutò le migliori forze e si lasciò influenzare dalla cultura umanista, raccogliendo una splendida biblioteca. Ma tutto si sviluppa fra la corte e l’Accademia. Egli venne chiamato Magnanimo! 1 IL ‘500 – PRIMA PARTE CAPITOLO 5 – IL ‘500: LE IDEE, LA CULTURA, LE ISTITUZIONI QUESTIONI DI NOMENCLATURA E DI PERIODIZZAZIONE Quando si parla di Rinascimento ci si riferisce al classicismo rinascimentale caratterizzato da un ritorno all’antico e dall’imitazione del mondo classico, ma a questo aspetto se ne intreccia uno diverso…turbato, oscuro e inquieto: il Manierismo, che è stato definito come l’anello di congiunzione tra Rinascimento e Barocco. Il termine nacque per indicare alcune manifestazioni artistiche del tardo ‘500 che apparivano come trasformazione in “maniera” delle forme create dall’arte classica del Rinascimento. Lo storico dell’arte Max Dvorak vide nel Manierismo un carattere soggettivistico contrapposto alle regole classiche e vide ciò in Michelangelo, nel Greco e nell’ambito letterario in Tasso, Cervantes e Shakesperare. In particolare, “manieristi” si sono chiamati gli artisti…soprattutto fiorentini, invece nella letteratura italiana del ‘500 i manieristi sono stati considerati gli anticlassici…da Cellini a Tasso. Si trattava di cogliere l’aspetto inquieto e ombroso che stava attraversando il Rinascimento. IL PROTAGONISMO DELLA CORTE Nel ‘500 occupa un posto di rilievo “la corte” . Nel “Libro del Cortegiano”, Castigione rappresenta 3 serate alla corte di Urbino, dove la corte è il luogo della conversazione e degli scambi di idee ed è caratterizzata dalla presenza femminile. La corte del Castiglione ricorda molto il Decameron, dove uomini e donne potevano conversare liberamente. Inoltre, il Libro mostra il carattere provocatorio che svela il vero volto della corte cinquecentesca. Cominciarono a sorgere le accademie, basti pensare all’Accademia Fiorentina, fondata nel 1540 col nome di Accademia degli Umidi, attaccati all’uso della lingua fiorentina e al culto di una letteratura comico- brulesca. GLI ALTRI CENTRI DELLA CULTURA LE ACCADAMIE L’Accademia si distingue dalla corte per il suo carattere non gerarchico, anche se al suo interno vi sono delle cariche, esse hanno un carattere democratico. Tra le 2 Accademie più importati di quel periodo ricordiamo quella degli Intronati, i quali realizzarono la commedia “Gli Ingannati” , presentata e pubblicata anonima. LE UNIVERSITA’ Nel ‘500, le Università non attraversarono un periodo brillante, infatti divennero cattedrali spesso in ritardo rispetto agli sviluppi della cultura rinascimentale. Anche un’università giovane e dinamica come Pisa si trasformò in un ateneo locale, riservata ai sudditi dello stato di Toscana. LE TIPOGRAFIE La vera novità del ‘500 furono le tipografie e gli stampatori come: il Marcolini a Venezia, Antonio Blando a Roma, Lorenzo Torrentino a Firenze. Si tratta di editori di mercato che non stampano più solo per gli umanisti, ma per lettori di ogni classe sociale e di ogni livello di educazione. L’attività degli stampatori dimostra che lo scrittore di quel periodo ormai scrive opere destinate ad un vasto pubblico e ad un concreto successo economico. LA CONDIZIONE DEGLI INTELLETTUALI All’inizio del ‘500 gli scrittori si affaticavano per entrare al servizio di qualche principe nelle principali città italiane. L’Ariosto soprattutto nella “Satira” si descrive mal pagato, poco apprezzato e scavalcato da altri cortigiani più giovani e intraprendenti. Diversa è l’immagine dell’intellettuale di corte nel “Cortegiano” ma quella è un’immagine effimera (momentanea). Durante le guerre d’Italia molti cortigiani laici si spinsero verso l’approdo ecclesiastico, in quanto più tranquillo e sicuro. Ciò sarà possibile fino al Concilio di Trento, dopodiché la vita ecclesiastica diventa una professione riservata e si separano le due carriere: -da una parte nasce il “prete”(in senso moderno); -dall’altra il “laico”. Il prete è presente nell’ambiente della Chiesa, mentre il laico nel mondo cortigiano con compiti differenti rispetto all’antico cortigiano castiglionesco. A fine ‘500 gli antichi cortigiani divennero segretari del principe, semplici funzionari. Ormai per essere un vero cortigiano castiglionesco servono competenze precise, professionalità e una straordinaria capacità di adattamento. 3 LA STAMPA, LA FILOLOGIA, LA CENSURA Fin dalla comparsa della stampa, la Chiesa aveva avvertito la pericolosità di questa nuova tecnologia. Col Concilio di Trento i controlli si perfezionano. Nel 1559 uscì l’Indice dei libri proibiti che proibiva oltre agli scritti eretici anche molti autori volgari (fra cui Boccaccio e Macchiavelli), ma anche molte edizioni in latino della Bibbia e quelle in volgare. Col nuovo “Indice” di Sisto 5° si proibivano i sonetti ‘babilonesi’ di Petrarca, le opere del Berni, le rime del Della Casa. Nel 1586 Elisabetta d’Inghilterra mise il controllo preventivo dei libri nelle mani dell’arcivescovo di Canterbury. Quindi si trattava di un controllo dei libri da parte di tutta l’Europa. La censura riguardava non solo la distruzione dei libri proibiti e impedirne la stampa e la circolazione, la censurare veniva inteso come riaggiustare, tagliare… è quello che è avvenuto al Decameron, testo ritenuto da proibire! LA QUESTIONE DELLA LINGUA Nella prima metà del ‘500 emerge la questione della lingua. Le posizioni furono due: -quella di coloro che erano interessati alla favella, cioè alla lingua parlata e –quella che mirava alla lingua letteraria, cioè alla lingua degli scrittori. A FAVORE DI UNA LINGUA PARLATA E CORTIGIANA Ci furono anche i sostenitori della lingua cortigiana. Si tratta di uomini di corte, educati nell’ambiente delle signorie italiane, specie del nord e che consideravano la lingua come un gesto sociale, come comportamento. Essi non erano preoccupati di come bisognava scrivere, ma di come parlare La lingua riguardava l’educazione e le belle maniere. UN ITALIANO DA SCRIVERE : L’OPZIONE TRECENTISTA DI PIETRO BEMBO L’idea principale di Pietro Bembo consisteva nella distinzione fra lingua scritta e lingua parlata. Egli era contro la lingua cortigiana in quanto la considerava improbabile come lingua nazionale in quanto si tratta di una lingua varia, che non dà garanzia di unità e regolarità(omologazione linguistica). Quindi Bembo propose un ritorno alla lingua dei grandi toscani del ‘300. Si trattava di una scelta rischiosa che non mancò di polemiche, ma si rivelò vincente. 6 5. nella quinta(di data incerta) discute i pro e i contro della condizione matrimoniale; 6. nella sesta(1524-1525) dipinge un’immagine poco accattivante dei precettori dell’epoca; 7. nella settima(1524) conferma il suo carattere di uomo schivo fedele alla sua città e a quei pochi affetti che ha coltivato col tempo. Il poeta ci offre dunque non solo un ritratto psicologico ma anche storico. Le Satire sono lo sfogo di un intellettuale cortigiano, che vive in una condizione di precarietà e una crisi d’Italia. L’ULTIMO FURIOSO E LE ULTIME COMMEDIE Nel 1518 Ariosto continua la sua passione per il teatro e nel 1519 viene rappresentata a Roma la commedia dei Suppositi. Nel 1522 è costretto ad accettare l’incarico di governatore della Garfagnana, lontano da Ferrara…dove rimane per 3 anni. Le lettere di questo periodo ci descrivono un uomo scontento e frustato. Tornato a Ferrara, egli trascorre i suoi ultimi anni serenamente. Sposa Alessandra Benucci nel 1528 e viene nominato sovrintendente agli spettacoli ducali. Muore a Ferrara nel 1533. CONTINUAZIONE DEL BOIARDO: LA FORMA DEL ROMANZO Il capolavoro di Ariosto di presenta come un’opera di intrattenimento, il che ci rimanda a Ferrara, al pubblico di dame e cavalieri al quale il poema è rivolto. Ariosto continua Boiardo perché riprende la fila della trama lasciata interrotta nel suo incompiuto Innamorato, ma anche perché ne eredita la recita della avventure cavalleresche trasportata dalla piazza all’interno della corte. La tecnica narrativa canterina viene ripresa anche nel Furioso , dove la storia non ci viene semplicemente raccontata ma ci viene rappresentato un narratore che ce la racconta. Quindi anche nel Furioso, il narratore è in primo piano, ma in quest’opera qualcosa cambia. I poemi del Furioso si trasformano in commenti morali del poeta, inoltre Ariosto valorizza la suspense con il racconto continuamente interrotto per passare poi a un altro personaggio o a un’altra trama. Questa tecnica rimanda continuamente la conclusione delle vicende e si arriva ad un’assoluta casualità, una casualità della quale l’autore è il regista, ma il divertimento consiste nel lasciar smarrire il lettore in un labirinto di cui solo il poeta stesso ha la mappa. Il “Furioso” finisce col dare 7 forma all’esperienza storica destinata a confermarsi anche nelle opere di grandi autori contemporanei fiorentini, Macchiavelli e Guicciardini. LA FAVOLA DEL FURIOSO L’Orlando furioso non si può riassumere perché come nell’Orlando innamorato, la costruzione narrativa a intreccio è quella di smarrire il lettore nei labirinti del racconto. Si possono rintracciare nel Furioso alcune trame principali, 2 in particolare: quella dell’inchiesta d’amore di Orlando e Angelica da una parte e quella di Ruggiero e Bradamante dall’altra. LA TRAMA – L’ORLANDO FURIOSO Tutto ha inizio durante l’assedio di Parigi; Angelica, ambita sia da Orlando che da Rinaldo, è affidata da re Carlo a Namo di Baviera, con la promessa di darla in sposa a chi si dimostrerà più valoroso nello sconfiggere i mori. La fanciulla riesce però a fuggire, inseguita da molti guerrieri di entrambi gli schieramenti. La ragazza, dopo alcune traversie, incontra un giovane fante saraceno ferito, il bellissimo Medoro, di cui si innamora e con il quale fugge in Catai. Orlando, giungendo in seguito nel bosco sui cui alberi la coppia aveva inciso scritte che celebravano il loro amore, impazzisce e si dà alla devastazione di tutto ciò che incontra. Il paladino, con la mente offuscata dalla gelosia, si aggira per la Francia e la Spagna, fino ad attraversare lo stretto di Gibilterra a nuoto. Nel frattempo il guerriero Astolfo, dopo aver domato un ippogrifo, vola sulla Luna, dove ritrova in un’ampolla il senno perduto di Orlando. Dopo aver attraversato l’Africa e aver compiuto mirabili imprese, Astolfo fa odorare l’ampolla a Orlando, che torna in sé e rientra in combattimento. Altri amori “secondari” sono quelli tra Zerbino e Isabella e tra Brandimarte e Fiordiligi. La terza linea narrativa, quella encomiastica, riguarda Ruggiero, guerriero saraceno, e Bradamante, sorella di Rinaldo. I due, che si amano ma che sono continuamente divisi dal susseguirsi degli eventi e delle battaglie, sono presentati come i capostipiti della famiglia d’Este, che, per via di Ruggiero, discenderebbe così addirittura dalla stirpe troiana di Ettore. L’amore tra i due è innanzitutto ostacolato dal mago Atlante, che vuole evitare le nozze tra i due perché sa, in seguito ad una profezia, che Ruggiero è destinato a morire se si convertirà alla fede cristiana e sposerà Bradamante. Il guerriero viene quindi imprigionato in un castello incantato creato appositamente dal mago. Ruggiero è poi trattenuto sull’isola della maga Alcina, che lo seduce con le sue arti di strega. Liberato da Astolfo da un secondo castello magico, 8 Ruggiero può recarsi con Bradamante in Vallombrosa per convertirsi e sposare l’amata, ma il tutto è ulteriormente rimandato dalla guerra con i saraceni. Concluse le ostilità, si scopre che Bradamante è stata promessa a Leone, figlio di Costantino ed erede dell’Impero romano d’Oriente. Dopo un duello tra Bradamante e Ruggiero (che combatte sotto mentite spoglie per non farsi riconoscere), Leone rinuncia a lei, così che si possa finalmente celebrare il matrimonio. Rodomonte irrompe però al banchetto nuziale, accusando Ruggiero d’aver rinnegato la sua fede; il capostipite della dinastia degli Estensi, dopo un acceso duello, lo uccide. LE ULTIME GIUNTE E I CINQUE CANTI La caratteristica principale del poema ariostesco è il carattere aperto e infinitamente “continuabile”. Ariosto aggiunge sei canti, ovvero 400 ottave in più e le aggiunge al finale che rimane quello del 1516: il lieto fine delle nozze fra i progenitori estensi, Bradamante e Ruggiero. Egli aggiunge i nuovi episodi non attaccandoli in coda, ma intrecciandoli alla trama preesistente. Le principali giunte del 1532 sono: • la storia di Olimpia; • la storia di Bradamante alla rocca di Tristano; • quella di Marganorre; • la giunta più lunga di tutte, quella di Ruggero e Leone che occupa gli ultimi 3 canti del poema, intrecciandosi al precedente finale del 1516. Dal punto di vista generale, mentre l’Orlando furioso del 1516 era stato concepito in una prospettiva più boiardesca, ferrarese, il poema del 1532 si era mosso su un piano di letteratura ormai italiana. Per Ariosto si trattava di una mossa “politica” e cioè di trasformare il poema di cavalleria in un grande genere italiano, nazionale. Inoltre, si è notato che le giunte intrecciate col testo del 1516 hanno un carattere più scuro e pessimistico. Tutte e 4, infatti, si caratterizzano per la presenza di figure d’autorità violente, ben lontani dagli ideali di cavalleria. Ciò è presente anche nei “Cinque canti” che preparò come aggiunta ai 40 canti dell’Orlando Furioso di carattere più opaco e più spento rispetto al Furioso. La trama comincia con il risentimento delle Fate contro i cavalieri cristiani. Questo frammento è dominato da presenze negative e da comportamenti immorali e vede in primo piano l’Invidia e il Sospetto…loro esecutore terreno è Gano di Maganza, il traditore per eccellenza, il quale riesce ad imbrogliare anche Carlo Magno. Il frammento di conclude con una battaglia presso Praga. Si tratta di un ambiente squallido, governato da sentimenti negativi senza speranza di lieto fine. 2 2  considera, attraverso la figura del principe nuovo, il momento di discontinuità;  al Principe interessa come si fonda uno Stato. I DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO:  tratta delle repubbliche;  è databile con minore precisione. Viene scritto prima del “Principe”, ma la stesura finale risale al 1517;  la struttura e la successione degli argomenti dipendono dalle riflessioni che il testo di Livio suscita;  individuano i fattori di durata dello Stato, prendendo spunto dalla storia di Roma;  ai Discorsi interessa scoprire come si fa a far durare uno Stato. Nonostante queste differenze, tra le due opere c’è continuità e omogeneità ideologica. IL PRINCIPE: TEMI, STRUTTURA, IDEOLOGIA Il Principe è l’opera di Machiavelli che ha avuto maggiore successo. Completato entro la fine del 1513, rappresenta l’opera forzatamente composta a San Casciano e il tentativo da parte dello scrittore di tornare a far parte della politica della sua città. La dedica ai Medici, prima a Giuliano e poi a Lorenzo duca di Urbino, conferma questo suo scopo, infatti nella lettera a Francesco Vettori egli esprime il suo desiderio di voler ritornare in politica. Inoltre, nell’opera si parla di cos’è il principato, come si acquista, come si mantiene, perché si perde. Il Principe può essere diviso in 4 parti: 1. Dal 1 all’11 capitolo si esaminano i vari tipi di principati: ereditari, misti, nuovi, civili, ecclesiastici; 2. Dal 12 al 24 capitolo si considerano le ragioni di forza o di debolezza degli stati, in riferimento alle armi e alla virtù del principe; 3. Il capitolo 25 affronta il tema della fortuna. In questo capitolo Macchiavelli afferma che nessuno può prevedere e prevenire tutti i possibili sviluppi di una situazione: l’azione individuale e l’azione politica sono sempre incerte. Gli uomini, secondo Machiavelli, sono legati a comportamenti che li rendono adatti o inadatti alla mutevole qualità dei tempi. Dovendo scegliere un atteggiamento nei confronti 3 3 della Fortuna, Machiavelli ritiene che è meglio essere impetuoso che timido, perché la fortuna è donne ed è necessario batterla e urtarla. 4. Nel capitolo 26 Macchiavelli esorta i principi italiani a liberare l’Italia dai barbari. Ciò è rivolto ai Medici.  In particolare nei capitoli dal 15 al 19 viene evidenziato lo “Speculum Principis”, ovvero manuali di comportamento per i principi, che sia in età medievale che in età umanistica, avevano disegnato la figura ideale con qualità religiose e mondane. Macchiavelli, invece, con tono polemico vuole seguire la verità effettuale, infatti nei capitoli successivi egli ribalta le doti positive trattate nello Speculum Principis, ovvero liberalità, clemenza, fede(lealtà)e ritiene che il principe deve imparare ad essere misero(tirchio), crudele e sleale.  Il capitolo 24 spiega che i principi italiani hanno perso lo Stato perché non disponevano di armi proprie e non si era preoccupati di guadagnarsi il favore dei popoli e delle potenti famiglie aristocratiche. DALLA MANDRAGOLA ALLA CLIZIA Tra il 1515 e il 1517 Machiavelli frequenta l’ambiente degli Orti Oricelli(celebri giardini della famiglia Rucellai, in via della Scala), dove comincia a comporre i “Discorsi”. Nel 1518(forse per le feste del matrimonio di Lorenzo de’ Medici duca d’Urbino) scrive e fa rappresentare la “Mandragola”. Nel 1520 entra in confidenza con il cardinale Giulio de’ Medici(figlio di Giuliano, fratello di Lorenzo il Magnifico, e futuro papa Clemente 7) e riceve l’incarico di scrivere la storia di Firenze(scriverà, quindi, le “Istorie fiorentine” ->completate nel 1525). Tra il 1519 e il 1520 scrive “l’Arte della guerra”. Nel 1525 fa rappresentare la “Clizia”, la sua seconda commedia. LA MANDRAGOLA Nel teatro comico rinascimentale, la Mandragola rappresenta qualcosa in più rispetto al modello classicistico ariostesco: ha una modernità inedita di situazioni e di linguaggio. La trama ha molti aspetti in comune con la trama della novella 6 della terza giornata del Decameron. La storia ruota intorno ai tentativi del giovane Callimaco di arrivare a godere dell’amore della bellissima e onesta Lucrezia, moglie di un ricco borghese, Nicia Calfucci, dottore in legge, disposto a tutto pur di avere un erede, anche vincere la sterilità di Lucrezia. Spacciandosi per medico, Callimaco suggerisce il rimedio della “mandragola”: un’erba che renderà feconda la donna, 4 4 procurando la morte di chi per primo giacerà con lei. Nicia accetta di mettere nel letto della moglie un ragazzaccio di strada, in modo che Lucrezia possa partorirgli l’erede. Il ragazzaccio è Callimaco che riesce ad avvicinare la donna amata, la quale scopre l’inganno e accetta l’amore di Callimaco. LA CLIZIA La Clizia è una commedia in prosa in cinque atti di Machiavelli, basata su una libera interpretazione della “Casina” di Plauto. Si tratta di una libera interpretazione, almeno fino alla terza scena del terzo atto. Se in Plauto, infatti, il conflitto è duplice – moglie contro marito, servo contro servo – qui è unico, ossia Nicomaco contro Cleandro, con le rispettive alleanze. Il prologo della Clizia, a differenza di quello della Mandragola, è in prosa e non in versi, non delinea così nitidamente lo spazio scenico o i personaggi e manca del tono polemico e aggressivo nei confronti del “tristo tempo”. Questo, invece, è posato e distaccato, e il suo unico intento è quello del classico dilettare e giovare tramite una favola esemplare. Se nella Mandragola è posta maggiore attenzione sul tema dell'amore e della beffa, qui cardine e centro di tutta la commedia è il conflitto amoroso di Nicomaco, che a differenza della tradizione oscilla tra la classica figura del vecchio fiacco ma prudente e quella dell'innamorato forte ed audace, qualità che invece mancano a Cleandro. C'è un netto distacco tra il personaggio di Nicomaco e quello di Lucrezia: quest'ultima rispetta, infatti, le norme morali e cittadine ma viene poi portata a trasgredirle, ad assecondare il cambiamento della Fortuna utilizzando un concetto caro al Machiavelli, mentre in Nicomaco avviene l'esatto contrario. MACHIAVELLI SCRITTORE DI STORIA La riflessione politica di Machiavelli si sviluppa oltre che nel Principe e nei Discorsi, anche in un tipo di scrittura nuova, storiografica. Ciò è evidente nell’Arte della guerra, ovvero un trattato in forma di dialogo che affronta il tema delle milizie(ribadendo la necessità di dotarsi di truppe proprie, cioè che fanno parte dello stato fiorentino). Alla fine dell’opera, Machiavelli si rende conto che è impossibile in Italia una vera riforma della milizia. Ciò è presente nelle Istorie fiorentine, dove la storiografia non è un semplice racconto, ma un’interpretazione degli eventi. Per questo l’opera si ferma nel 1492, cioè alla morte del Magnifico, evitando, così, di entrare negli anni più caldi della storia fiorentina.  Scrittura creativa =  Riflessione politica = Rappresentano le fasi della carriera di Machiavelli 7 7 GUICCIARDINI VERSUS MACHIAVELLI Le “Considerazioni intorno ai “Discorsi del Machiavelli sopra la prima Deca di Tito Livio” sono un commento polemico ai 38 capitoli dell’opera di Machiavelli, scritto da Guicciardini a Roma nel 1530. L’autore prende le distanze da alcune idee dell’amico Macchiavelli e sottolinea la differente interpretazione della storia e della politica. I “Discorsi” machiavelliani riguardavano più la necessità per gli uomini moderni di guardare alla lezione degli antichi, traendo da loro regole utili a riordinare le repubbliche e a mantenere gli stati. Guicciardini, contro il classicismo storico di Machiavelli, oppone una concezione relativistica della storia, in quanto la realtà muta e i fatti della storia non si ripetono uguali. Secondo Guicciardini, dunque, non esistono leggi applicabili per sempre ad ogni stato ed epoca perché ogni realtà ha specifiche regole. Quindi, nelle “Considerazioni” propone una filosofia della storia lontana da quella di Machiavelli. I RICORDI Nel 1530 Guicciardini termina la sua opera più famosa…i Ricordi. Tale opera rappresenta il pensiero guicciardiniano. L’autore analizza l’aspetto variante della realtà storica e politica. In quest’opera vi è la rottura con la tradizione umanistico- rinascimentale. In uno dei ricordi viene evidenziata l’impossibilità di prendere dal passato regole universalmente valide. L’avversione alle regole ritorna, quindi, in molti ricordi e ciò ha come conseguenza la distruzione del principio di causalità: secondo i “ricordi” non si può mai essere sicuri del perché un evento succeda ad un altro e quindi è impossibile dedurne leggi fisse di funzionamento. I “Ricordi” sono un insieme di pensieri e di massime che derivano dall’esperienza diretta dell’autore, il quale dà un nuovo metodo di analisi del reale e non crede in una struttura razionale della conoscenza. L’uomo, proprio perché messo a confronto con una realtà illeggibile, dovrà sforzarsi di affinare le sue capacità di lettura della singola circostanza. LA FINE DI GUICCIARDINI Verso la fine del 1530 Guicciardini rientra a Firenze, dove il papa gli affida l’incarico di ripristinare l’ordine e di punire i responsabili della caduta della repubblica. In seguito, lascia Firenze e accetta il governo di Bologna. Dopo la morte di Clemente 7, il nuovo papa Paolo 3 non gli conferma il governatorato e Guicciardini torna a 8 8 Firenze e diviene sostenitore di Alessandro de Medici, ma Firenze si trova a vivere un altro periodo di crisi e Francesco decide di ritirarsi a vita privata dedicandosi ad un’altra opera importante: “Storia d’Italia”. Muore il 22 maggio 1540. GUICCIARDINI STORICO E LA “STORIA D’ITALIA” “Storia d’Italia” è una sorta di testamento ideologico che Guicciardini consegna ai posteri. La sua personale sfortuna coincide con il tragico destino dell’Italia, di cui Guicciardini sceglie di narrare la storia dal 1494, anno in cui scende in Italia l’esercito francese fino alla morte di Clemente 7 nel 1534. Quest’opera è composta da 20 libri e la narrazione è basata su un’attenta analisi delle fonti documentarie. La ricostruzione dei fatti si arricchisce dell’analisi psicologica dei personaggi storici, con le loro passioni e i loro caratteri. Inoltre, Guicciardini sottolinea gli errori che hanno portato ai disastri l’Italia:  L’ambizione smisurata dei principi;  la corruzione del clero;  la scarsa capacità politica degli uomini di potere. Guicciardini, anche se si allontana dalla tradizione umanistica, riprende però solo il valore morale della storia: una storia che non insegna più a vivere, ma induce l’uomo ad acquistare coscienza del valore interno della propria esistenza. CAPITOLO 9 CLASSICISMO E ANTICLASSICISMO CINQUECENTESCO IL PETRARCHISMO In seguito alla morte di Bembo, Niccolò Franco scrisse che senza il Bembo(maestro) la lirica volgare sarebbe continuata nella versione cortigiana, caratterizzata da una lingua incerta. Bembo, con le rime raccolte negli “Asolani” e con il suo canzoniere “Rime”, ha aperto la strada alla nuova lirica cinquecentesca, caratterizzata dall’imitazione del modello petrarchesco. Scrivere sonetti in stile petrarchesco diventò per i letterati italiani il modo più semplice per diventare famosi. Il Petrarchismo è un fenomeno nazionale, unificante e democratico. Col petrarchismo nel ‘500 entrarono nel mondo della letteratura dei gruppi sociali che prima venivano esclusi: le donne e gli artisti. Il petrarchismo aveva come temi principali le pene amorose e la morte dell’amata…temi soggettivi. Importanti sono le antologie di rime: imprese collettive capaci di radunare una moltitudine di ingegni. La lirica 9 9 petrarchesca veneziana raggiunge l’apice con le “Rime”(1600) di Celio Magno. Altro centro ben caratterizzato del petrarchismo del ‘500 fu Napoli e il Meridione e ricordiamo in modo particolare: Angelo di Costanzo e Bernardino Rota. Il petrarchismo cinquecentesco raggiunge una svolta con Giovanni Della Casa non solo per una questione di stile, ma anche di contenuti, infatti il tema principale è l’amara riflessione sulla vita e sul destino dell’uomo. LA MODELIZZAZIONE DEI COMPORTAMENTI IL CORTEGIANO Il “Cortegiano” di Baldesar Castiglione è formato da 4 libri e si svolge nella forma di un dialogo tenuto nel 1507 alla corte di Urbino da famosi letterari e gentiluomini di palazzo: Ottaviano, Pietro Bembo, Bernardo Accolti, impegnati in un gioco di società…ovvero quello di “formar con parole un perfetto cortegiano”. In questo trattato il privilegio viene dato alla lingua parlata in quanto si configura con le belle maniere. Il cortigiano di Castiglione è un cavaliere che oltre a saper usare le armi, deve avere altre abilità...ma con le donne. Infatti il perfetto cortigiano deve saper conversare, danzare, cantare, suonare, disegnare come un Renaissance man(uomo capace di ogni arte) e possedere virtù, tra le quali il servizio amoroso. Si tratta di un amore cortese, platonico, spiritualizzato. La compagna del cortigiano è la donna del palazzo, alla quale viene richiesto discrezione, disinvoltura e contegno. IL CIVIL CONVERSAZIONE Il “Civil conversazione”(1574) di Stefano Guazzo è un altro trattato che individua norme di comportamento, formato da 4 libri in forma di dialogo tra Annibale Magnocavallo e il fratello dell’autore Guglielmo, che forniscono una sorta di guida per la corretta forma della comunicazione sociale. 1. Il primo libro = getta le basi su cui si fonda la successiva discussione; 2. Il secondo libro = fissa le regole da osservare in tutte le relazioni che si svolgono fuori casa; 3. Il terzo libro = si occupa delle relazioni domestiche(marito/moglie, padre/figlio, padrone/servo); 4. Il quarto libro = offre l’esempio di una perfetta conversazione aristocratica. 12 12 grazie ad Ercole 1 d’Este che verso la fine del ‘400 si impegna sul rinnovamento del teatro rinascimentale. Ludovico Ariosto è riconosciuto come fondatore della commedia cosiddetta “regolare”. La commedia richiedeva un linguaggio colloquiale e quotidiano, ma Ariosto si rifiuta di usare il dialetto ferrarese e adotta una lingua letteraria, toscana. I DIALETTI - TEATRO DIALETTALE – TEATRO COMICO L’affermarsi del toscano come lingua letteraria ufficiale porta ad utilizzare i dialetti soltanto in senso comico, in particolare usato da personaggi buffi o rustici. Si sviluppano, così, forme di teatro dialettali che affondano le proprie radici nella tradizione popolare giullaresca. Nel Veneto il teatro dialettale si sviluppa maggiormente per l’importanza del veneziano come lingua pubblica e ufficiale della “Serenissima” e per il perdurare del teatro buffonesco. Ciò è evidente nell’opera intitolata “Veniexiana”, commedia anonima scritta completamente in dialetto veneziano. L’esperienza dialettale è più evidente a Padova, dove opera il Ruzante(Angelo Beolco), autore e attore fra i più grandi del ‘500. Beolco sceglie come protagonista il contadino Ruzante, personaggio col quale si identifica e attraverso il quale esprime, in dialetto padovano, la drammatica realtà del contado veneto. La lingua pavana non è più solo strumento di ridicolo, ma immagine del mondo contadino che rappresenta. Ciò gli consente di far nascere un teatro comico, caratterizzato dalla gestualità, dal gioco scenico, dall’espressività del dialetto. LA TRAGEDIA Un altro grande genere drammaturgico della classicità è la tragedia. La tragedia di Trissino si presenta, come quella antica, senza divisioni di atti e scene e prevede la presenza del coro. Ma la tragedia rinascimentale si diffonde con “L’Orbecche” di Giovambattista Giraldi Cinzio, rappresentata nel 1541 al duca Ercole 2° d’Este. Giraldi si ispira alla tragedia latina di Seneca, caratterizzata dall’orrido, dal sangue e ogni eccesso fisico e morale. Un’altra tragedia che fa concorrenza a “l’Orbecche” è intitolata “la Canace” di Sperone Speroni, che doveva essere rappresentata nel 1542 dalla compagnia di Ruzante. La concorrenza oltre ad essere fra queste due tragedie, fu anche tra Giraldi e Speroni e ciò portò ad una grande polemica letteraria del secolo. LA FAVOLA PASTORALE E IL MELODRAMMA Gli ultimi due generi teatrali del ‘500 sono la –favola pastorale e –il melodramma. Nel ’45 Giraldi porta in scena a Ferrara “l’Egle” - un’azione popolata di satiri, ninfe e pastori. Egli era molto attento a distinguere la “satira”(genere autorizzato 13 13 dall’antichità) dalla “favola” o “egloga pastorale”(genere secondo lui poetico-lirico e non teatrale). Inoltre, le sue favole pastorali avevano come caratteristiche: presenza del coro e senza il lieto fine. Tra le favole pastorali più famose che hanno anche provocato polemiche ricordiamo “l’Aminta”(1573) di Tasso e il “Pastor fido” di Guarini. Quest’ultima ebbe molto successo, ma venne anche criticata perché si trattava di un genere letterario definibile tragicommedia pastorale e quindi non era presente nella classicità. Il melodramma è una forma drammaturgica classica e nasce da una combinazione di melos(canto) e drama(azione), in quanto vari critici ritengono che la tragedia classica fosse cantata e non recitata. Vincenzo Galilei, il padre di Galileo, maturò l’idea di sperimentare la rinascita di uno spettacolo insieme agito e cantato, nel quale la musica serviva a dar valore espressivo alla parola. Uno dei grandi geni musicali Claudio Monteverdi grazie all’unione azione scenica e canto, fece del melodramma una delle principali manifestazioni dell’arte italiana. LA NOVELLA TRA COMICO E PATETICO Agli inizi del ‘500 si ebbe una maggiore preferenza per la novella spicciolata, ovvero per il singolo testo svincolato da un progetto di raccolta organica, come ad esempio “Il Belfagor” di Machiavelli. Solo negli anni ’30 del 500 si comincia a dare più importanza poetica e retorica ai generi letterari volgari. Il Decameron diventa un modello da imitare non soltanto da un punto di vista linguistico, ma anche strutturale e si iniziarono a costruire veri e propri “libri di novelle”. Il Decameron è considerato il principale punto di riferimento della novella rinascimentale e della novellistica tragica e patetica. I narratori toscani si impegnavano in raccolte nelle quali prevale: l’intrattenimento e l’evasione. Questi narratori prendono dalla tradizione decameroniana soprattutto il gusto comico- burlesco. Nella raccolta delle cosiddette “cento novelle”(tradotto dal greco) di Giovan Battista Giraldi Cinzio, il suo modo di narrare ha le stesse caratteristiche della tragedia. Giraldi, infatti, narra la tragicità dell’opera attraverso il sacco di Roma che costringe la nobile comitiva giraldiana a fuggire. Un successo europeo lo ebbe anche il novelliere di Matteo Maria Bandello, da cui Shakespeare trarrà(attraverso una mediazione francese) la storia di Romeo e Giulietta. Nelle “Novelle bandelliane”, l’autore precede ad ogni racconto una lettera dedicatoria d’accompagnamento(epistola) e finge di inviare novella ed epistola a destinatari illustri e sempre diversi. Nel ‘500 viene recuperata la fiaba, che può essere stampata, uscendo dalla tradizione 14 14 orale per entrare nella letteratura. Il primo fu Giovan Francesco Straparola che pubblica a Venezia le “Piacevoli notti”. Le favole di questa raccolta riproducono i modi tipici del racconto fiabesco: ambientazione fantastica, componenti magico- rituali, morfologia ripetitiva. Egli pubblica la sua raccolta a Venezia, proprio perché era una città aperta alle novità. L’ANTIPETRARCHISMO DI FRANCO BERNI I fenomeni classici del ‘500 sono il bembismo(in campo linguistico) e il petrarchismo…e suscitarono opposizioni per la loro rigidità linguistica. Francesco Berni dà origine ad una durevole tradizione di poesia “bernesca”, caratterizzata dall’uso stilizzatissimo, letteratissimo del vocabolario e dello stile burlesco. Petrarchismo e antipetrarchismo, platonismo amoroso e dissacrazione burlesca sono due facce della stessa medaglia. CONFORMISMO E ANTICONFORMISMO IN PIETRO ARETINO Pietro Aretino nel ‘500 ha il ruolo di “contestatore violento” della cultura dominante. Nella sua commedia “La Cortigiana” e nel “Dialogo delle corti” egli rappresenta la corte castiglionesca in un luogo di corruzione morale. Nelle sue “Sei giornate” insegna alle donne(monache, maritate, puttane) come sfruttare il loro sesso non solo per piacere erotico quanto per l’utile economico. Il suo romanzo cavalleresco trasforma l’ambiente cortese “dell’Innamorato” e del “Furioso” in un inferno grottesco di gesti maneschi e volgari. La sua lingua creativa è lontana da quella toscana di Bembo. Aretino rifiutò il servizio cortigiano e scelse Venezia, dove svolse liberamente il proprio mestiere e il suo rapporto con l’industria tipografica lo porta a creare una nuova figura di intellettuale profondamente coinvolto nella tecnologia di produzione del libro. Infatti, ciò spiega l’invenzione da parte di Aretino del “libro di lettere”, vario e divertente e nel ‘500 una tipologia viene rappresentato come il primo fra i letterati che la storiografia tradizionale ha etichettato anticlassicisti, bizzarri, poligrafi. Molti lo imitarono, affascinati dal suo personaggio, tra cui Niccolò Franco che divenne suo collaboratore editoriale, ma poco dopo rompe con lui. Tra gli altri scrittori, poligrafi, troviamo anche: Francesco Sansovino, Ludovico Domenichi, Ludovico Dolce, Girolamo Ruscelli, Anton Francesco Doni. 17 17 5. 5° ATTO. Ma anche il giovane pastore è vivo. Dopo tante vicende i due giovani si ritrovano, finalmente, uniti. L’Aminta prende avvio nel segno di Amore in persona, il mitico figlio di Venere, che in abiti pastorali recita il prologo e dichiara di essere sfuggito ai controlli della madre per rifugiarsi nelle selve e diffondere anche tra i selvatici abitatori il potere gentile del sentimento amoroso. Nella storia emerge la contrapposizione fra Aminta-Silvia e Tirsi-Dafne:  Aminta-Silvia = incarnano la scoperta dell’amore, caratterizzato da rivelazioni improvvise, timidezze, sentimenti estremi(la passione di Aminta e la durezza di Silvia).  Tirsi-Dafne = rappresentano la maturità giudiziosa e un po’ cinica. Entrambi agiscono sulla scena allo scopo di unire i due amici inesperti. Il satiro, nel secondo atto, funge da veicolo di un messaggio ideologico disturbante. Il satiro sostiene che Silvia sdegna il suo amore non perché sia fisicamente sgradevole ma perché è povero e perché ormai l’amore si compra e si vende. Così il satiro presenta la sua passione per Silvia con un’attrazione sessuale violenta. Nell’Aminta, Tasso ricava numerose suggestioni da autori classici(Teocrito, Virgilio) e umanistici(Poliziano, il Sannazzaro dell’Arcadia). La favola dell’Aminta si articola in due parti: 1. Nella prima parte ad intrecciare l’intrigo sono i maturi consiglieri Tirsi e Dafne, i quali usano la loro esperienza per vincere le scontrosità di Aminta e Silvia; 2. Nella seconda parte Tasso lascia l’iniziativa nelle mani della fortuna che entra in scena almeno 3 volte(sotto forma di lupo, velo e cespuglio) e mette in atto l’intreccio attraverso colpo di scena o mutamenti di sorte. L’Aminta è stata, spesso, definita il capolavoro del Tasso lirico. Sono emersi anche i segni premonitori del melodramma, ossia la forma d’arte in cui parola e musica si fondono. 18 18 IL POEMA DI UNA VITA Il poema della Crociata, ovvero la “Gerusalemme Liberata” ,è un progetto poetico che il Tasso aveva in mente già dall’adolescenza. Il suo sogno era quello avere grande successo con quest’opera. Quindi deciso a dare alla moderna letteratura italiana un poema epico, all’antica, degno di Virgilio e Omero, l’obiettivo di dell’autore era quello di piacere non solo ai dotti, ma ad un vasto pubblico di lettori. Egli decide che il suo sarà un poema epico e non un romanzo ispirato alla prima Crociata che unisce, quindi, armi e missione religiosa. Il “Rinaldo”, invece, è un romanzo, caratterizzato da meraviglie e magie, niente a che vedere con la storia presente, ma ispirato ad uno dei più amati eroi carolingi, Rinaldo da Montalbano. I “Discorsi dell’arte poetica” è un poema di materia vera, pieno di magie e di incanti, di stile sublime, magnifico, di ambientazione né troppo antica, né troppo recente. “La Gerusalemme liberata” mantiene fede ai “Discorsi” e al voler creare un poema moderno senza distruggere l’eredità del romanzo, ma includendola in una narrazione nuova. Le critiche dei revisori romani turbano Tasso, il quale abbandona la “Liberata” e torna sul tema della “Crociata”: esce così la “Gerusalemme conquistata”, un poema tutto diverso. La favola della Liberata viene rimodellata nella Conquistata sull’esempio omerico dell’Iliade. L’assedio di Gerusalemme è paragonato a quello di Troia e i personaggi sono sovrapposti a quelli dell’Iliade: Rinaldo(chiamato, qui, Riccardo) reincarna Achille, il quale dopo la prigionia, ritornando alla tende latine non tornerà più a combattere con i suoi, ma per tornare in battaglia avrà bisogno del sacrificio dell’amico Ruperto(paragonato a Patroclo). TRAMA : “LA GERUSALEMME LIBERATA” La trama ruota attorno allo storico condottiero Goffredo di Buglione che, giunto al sesto anno della prima crociata a capo dell'esercito, attende la fine dell'inverno in Libano, quando gli appare l'Arcangelo Gabriele che lo invita ad assumere il comando dell'esercito e a portare l'attacco finale contro Gerusalemme. I cristiani accettano di eleggere Goffredo loro capo supremo e si mettono in marcia verso la Città Santa. Nascono i primi scontri, e tra i cristiani si distinguono Rinaldo e Tancredi, tra i pagani Clorinda e Argante. Dall'alto delle mura, assiste allo scontro la principessa Erminia che comunica al re di Gerusalemme Aladino i guerrieri cristiani più forti. Argante, impaziente degli indugi dell'assedio, vuol risolvere con 19 19 un duello le sorti della guerra, e sfida i cristiani e ad affrontarlo è il prescelto Tancredi. L'accanito duello però viene sospeso per il sopraggiungere della notte e rinviato. Tuttavia intervengono i diavoli che decidono di aiutare i musulmani a vincere la guerra. Armida usa la seduzione per condurre e imprigionare i guerrieri cristiani in un castello. In seguito ad una delle molte contese che turbano il campo cristiano Rinaldo è costretto a lasciare l'accampamento. La pagana Erminia, innamorata di Tancredi, indossa le armi di Clorinda (della quale Tancredi è innamorato) per fuggire dalla città e recarsi al campo cristiano per curare le ferite del suo amato. Tuttavia viene avvistata al chiaro di luna ed è costretta a fuggire, trovando rifugio tra i pastori. Tancredi, credendo che ella sia Clorinda, la insegue ma viene fatto prigioniero da Armida nel castello con gli altri crociati. Il giorno del duello arriva e poiché Tancredi è scomparso viene sostituito da Raimondo di Tolosa, aiutato da un angelo. I diavoli a loro volta aiutano il musulmano e trasformano il duello in battaglia generale. Giunge al campo cristiano Carlo, il quale racconta che il principe danese Sveno, che stava raggiungendo i crociati con il suo esercito, è stato ucciso dal sultano dei turchi Solimano. Si diffonde nel campo la notizia del ritrovamento del cadavere di Rinaldo e Argillano accusa Goffredo di averlo fatto uccidere. Quest'ultimo, con la sua autorevolezza e con l'aiuto divino, riesce a neutralizzare i disordini nati nel campo. A questo punto Solimano attacca il campo cristiano con l'aiuto di Clorinda e Argante; le sorti della battaglia si rovesciano però con l'arrivo dei crociati prigionieri di Armida, liberati da Rinaldo, erroneamente creduto morto per un inganno dei pagani. Goffredo così ordina ai suoi di costruire una torre per dare l'assalto a Gerusalemme, ma di notte Argante e Clorinda (di cui Tancredi è innamorato) incendiano la torre. Clorinda tuttavia non riesce a entrare nelle mura e viene uccisa in duello, in una delle scene più significative del poema, proprio da colui che la ama, Tancredi, che non l'ha riconosciuta perché coperta dalla corazza da combattimento. Tancredi è addolorato per aver ucciso la donna che ama e solo l'apparizione in sogno di Clorinda gli impedisce di suicidarsi. Inoltre il mago Ismeno lancia un incantesimo sul bosco in modo che i crociati non possano ricostruire la torre in mancanza di materiale ligneo da costruzione. L'unico in grado di spezzare l'incantesimo è Rinaldo, che è però stato fatto prigioniero della maga Armida che lo trattiene presso di sé con le sue arti magiche e femminili. Due guerrieri vengono inviati da Goffredo per cercarlo e alla fine lo trovano e lo liberano. Rinaldo, pentito di essersi lasciato irretire da Armida fino a trascurare il suo dovere di guerriero e di cristiano, vince gli incantesimi della selva e permette ai crociati di assalire e conquistare Gerusalemme. 22 22 NEL CAMPO PAGANO RE ALADINO Dentro Gerusalemme ci sono i pagani e alla guida della città troviamo l’anziano e crudele re Aladino, capace di esercitare duramente il suo potere. Egli ha, nel poema, una parte secondaria. ISMENO Al fianco del re vediamo il negromante Ismeno, animatore del soprannaturale di matrice diabolica. Egli tenta di impedire, invano, la Crociata ma riesce comunque a rallentare il corso. ARGANTE E SOLIMANO Dentro Gerusalemme, i veri protagonisti sono altri: i veri campioni Argante e Solimano. Argante è un guerriero, fortissimo e violento raffigurato dal Tasso nel costante atteggiamento dell’aggressività fisica. Solimano è il re di Nicea che agisce sotto l’impulso dell’odio pur avvertendo un continuo presagio si sventura. CLORINDA, ERMINIA E ARMIDA Accanto alle due figure maschili ne spiccano tre femminili. Si tratta di: Clorinda, Erminia e Armida. Clorinda è la vergine guerriera, la quale attraverso la morte per mano di Tancredi e il battesimo, fa sfociare i suoi turbamenti interiori nell’incontro finale con Dio. Erminia è la tenera e vulnerabile principessa di Antiochia, tormentata dal suo amore segreto per Tancredi. Ella è stata preda di guerra di Tacredi e proprio durante la sua prigionia se ne è innamorata. Armida è il personaggio femminile più complesso che percorre tutto l’arco sentimentale del poema. STILE MAGNIFICO E VARIETA’ TONALE Sul piano formale, secondo Tasso l’epica richiede uno stile magnifico che, quando lo necessita, sappia indirizzarsi verso l’abbondanza di ornamenti della lirica o la semplicità della tragedia. Si tratta, dunque, di uno stile alto…sebbene non uniforme. Nella “Gerusalemme” questa teoria si concretizza e stabilisce un rapporto di opposizione tonale fra i due registri fondamentali: il registro della guerra santa e il 23 23 registro dei turbamenti interiori. Sul piano teorico, il Tasso ricorre ad alcune figure specifiche, come ad esempio: l’ossimoro, il parallelismo, il chiasmo, l’iperbato. Si tratta di figure di doppiezza o di dissonanza che si accordano per bene a quel sistema di conflitti su cui si fonda il poema. Importantissimo il ruolo dell’enjambement che interviene con frequenza nel discorso poetico. Alla ottava ‘narrativa’ dell’Ariosto si viene, così, a sostituire una ottava ‘drammatica’, caratteristica di quel ‘parlar disgiunto’ che rimane tratto distintivo dello stile tassiano nella ‘Liberata’. DENTRO E FUORI DA SANT’ANNA Tasso fu colpito da gravi sintomi di instabilità psichica: crisi depressiva, manie di persecuzione e ciò finì col guastare i rapporti col duca Alfonso, il quale temeva che queste crisi potessero avere imbarazzanti ripercussioni sulla reputazione della corte. Così, nel marzo del 1559 durante le feste per le nozze del duca con Margherita Gonzaga, Tasso ebbe una crisi nervosa e il duca ne approfittò per farlo rinchiudere come ‘pazzo frenetico’ nell’Ospedale di Sant’Anna, dove rimane per 7 anni fino a quando il principe di Mantova, Vincenzo Gonzaga lo libera. Durante gli anni di prigionia, comincia la storia della ‘Gerusalemme liberata’ che venne conosciuta tramite le prime stampe pirata, che gli procurarono grande successo ma il poeta potè partecipare solo da lontano. Uscito da Sant’Anna egli trascorre un periodo di intensa attività letteraria che lo porta a rivedere il suo frammento tragico intitolato, il “Galealto” e lo riscrive col titolo “Il Torrismondo”, successivamente riscrive i “Discorsi dell’arte poetica” come “Discorsi del poema eroico”, si dedica alla composizione di opere religiose, tra cui: “Il Monte Oliveto”, Il Mondo Creato”…Ma soprattutto riscrive la “Liberata” e la pubblica nel 1593 col nuovo titolo “Gerusalemme conquistata” e con dedica al cardinale Cinzio Aldobrandini, nipote del papa. L’ULTIMO TASSO: IL RE TORRISMONDO Subito dopo l’Aminta, Tasso aveva iniziato una tragedia(nel 1573) lasciandola interrotta al secondo atto. Tale frammento era stato pubblicato a sua insaputa nel 1582 col titolo “Galealto re di Norvegia”. Appena uscito dal carcere, l’autore porta a termine il testo col nuovo titolo “Il Re Torrismondo” pubblicato nel 1587 con dedica a Vincenzo Gonzaga. In quest’opera il Tasso incrocia due tragedie: 24 24  Da una parte la tragedia ‘cavalleresca’ che vede il protagonista diviso fra gli obblighi dell’amicizia e l’amore. Si tratta di una tragedia cortese in cui si affrontano Amore e Onore e nella quale è messo in pericolo la figura di Torrismondo come cavaliere e come principe.  Dall’altra c’è la tragedia basata ‘sull’incesto’ e soprattutto ‘sull’incesto inconsapevole’. Alvida, infatti, non è solo la donna amata dell’amico Germondo ma è anche la sorella di Torrismondo e il rapporto sessuale avuto con lei non infrange solo il patto di lealtà che lega i due protagonisti maschili ma riguarda anche l’infrazione di un tabù. Le due trame tragiche corrispondono a due fonti letterarie diverse:  La tragedia ‘cortese’ deriva dall “Historia de gentibus septentrionalibus” del vescovo di Uppsala…Olao Magno;  Mentre nella storia dell’incesto inconsapevole c’è l’influenza “dell’Edipo re” di Sofocle, imitato da Tasso nelle scene in cui viene rivelata la colpa incosapevole dei due fratelli-amanti. Nel marzo del 1595, a Roma mentre di preparava la sua incoronazione poetica sul Campidoglio, egli si ammala e muore nel convento di Sant’Onofrio il 25 aprile. IL RE TORRISMONDO: LA TRAMA L’opera descrive i tormenti del re di Gozia Torrismondo, diviso tra l’amore per Alvida, figlia del re di Norvegia Araldo e la sua stretta amicizia con l’amico Germondo, re di Svezia, anch’egli innamorato di Alvida. Torrismondo chiede la donna in sposa ad Araldo con l’intenzione di cederla a Germondo, il quale non si era fatto avanti in prima persona a causa dei discordi presenti con Araldo. Mentre tornavano a Gozia…Torrismondo e Alvida hanno un rapporto sessuale e si innamorano. Germondo sembra tirarsi indietro e Torrismondo scopre che Alvida è sua sorella(5° atto). Alvida rifiuta di credere a ciò e si suicida, pensando di non essere più amata. Torrismondo decide di uccidersi anche lui ma prima scrive una lettera per Germondo, in cui gli affida la madre e il regno. Germondo, disperato per la morte dell’amico e dell’amata, chiude la tragedia con una considerazione sulla vanità dell’esistenza.
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