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Riassunto "Il razzismo in Europa: dalle origini all'olocausto" di G. L. Mosse, Appunti di Storia Contemporanea

Questo documento è un riassunto del libro scritto da George L. Mosse nel 1978 "Il razzismo in Europa: dalle origini all'olocausto", in cui l'autore analizza le cause remote e prossime (dal Settecento fino all'olocausto) della profonda radicalizzazione del pensiero razzista in Europa. Questo riassunto è ottenuto dal riassunto accurato e dettagliato di ciascun capitolo del libro.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 29/12/2020

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Scarica Riassunto "Il razzismo in Europa: dalle origini all'olocausto" di G. L. Mosse e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! 1 SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZIONE (8 cfu) prof. Spini Andrea George L. Mosse, IL RAZZISMO IN EUROPA, Dalle origini all’olocausto, Economica Laterza INTRODUZIONE Mosse, in questo libro, propone la lettura dell’ideologia nazista come una specie di profezia che col tempo si realizza da sola. Ciò significa che il razzismo non è nato dal nulla. I nazisti sterminarono 6 milioni di ebrei, ma ovunque tutti credettero nella distinzione fra le razze. Nel corso della storia ebrei e neri hanno sempre svolto il ruolo dell’estraneo, del malvagio che minaccia la tribù, ma solo gli ebrei dovevano essere sterminati (né gli zingari né i neri). Il razzismo, da una parte, respinge ogni dato scientifico a favore di un impulso spirituale; dall’altra, tiene conto dell’osservazione scientifica e dell’influenza che l’ambiente ha sul formarsi di una razza. Tutti i razzisti facevano riferimento alla bellezza bianca, all’ideale-tipo dell’antica Grecia e ai valori della classe media (lavoro, moderazione e onore), sostenendo che questi si rivelassero attraverso l’aspetto esteriore. Dunque, le razze inferiori mancavano di bellezza esteriore e, quindi, di virtù. Gli stereotipi costituiscono l’essenza del razzismo e la sua capacità di attrazione. Il pensiero razzista assegna ad ogni individuo un posto preciso nel mondo, creando così un’interpretazione del tutto irrazionale del mondo stesso. Quando gli uomini iniziarono ad essere considerati in base a stereotipi razziali, essi cominciarono effettivamente a sentirsi tali. I contrasti culturali furono essenziali per il successo del razzismo, poiché lungo l’intero corso della storia lo straniero non è mai stato accolto con piacere. È difficile decidere da quale data far cominciare la storia del pensiero razzista. Il termine «razzismo» veniva usato sin dal Rinascimento con grande varietà di significati, ma l’inizio e la consolidazione del pensiero razzista europeo va collocata nel Settecento, con l’Illuminismo. CAPITOLO 1: Le basi settecentesche L’Europa del ‘700 è stata la culla del razzismo europeo. In questo secolo assistiamo al conflitto tra Illuminismo e risveglio religioso, rappresentato dal pietismo (in Europa continentale) e dall’evangelismo (in Inghilterra). Queste due correnti hanno entrambe, in egual modo, profondamente alimentato il pensiero razzista. Con l’Illuminismo vi fu la valorizzazione della ragione e delle scienze. Nacquero scienze nuove come l’antropologia, la fisiognomica e la frenologia, che vennero utilizzate per spiegare la posizione delle varie razze in natura. Oltre a ciò, vi fu una riscoperta dei classici, ritenuti essenziali per comprendere la posizione dell’uomo nell’universo poiché da essi derivavano tutti i criteri di virtù e di bellezza. Si giunse così alla fusione della passione illuministica per le nuove scienze con la fiducia nell’autorità dei classici. Ed è così che l’ideale classico di armonia tra mente e corpo, grazie alle nuove scienze, iniziò ad essere fisicamente misurato. Si iniziò a credere che l’adesione o meno a tale ideale-tipo potesse dare una lettura della natura umana: l’aspetto esteriore divenne lo specchio della razionalità e dell’armonia interiore di ogni individuo. Al contrario, pietismo e evangelismo davano importanza alle emozioni invece che alla ragione. Le emozioni erano suscitate dalla pietà cristiana e venivano espresse attraverso il canto, la preghiera e la vita di comunità. Un cristianesimo di questo tipo trovò spazio soprattutto nelle regioni di lingua tedesca, dove l’illuminismo era considerato sinonimo di dominazione francese. Attraverso il concetto di comunità, iniziò a farsi largo l’interesse per la patria e l’impulso pietistico suscitò il bisogno di creare simboli nazionalistici (come la bandiera, l’inno, la sacra fiamma). La natura venne considerata simbolo di salvezza e di vitalità poiché aveva il compito di disciplinare le passioni umane senza abolirle e divenne il simbolo dei genuini sentimenti dell’uomo (visione romantica di natura). Prese piede una certa glorificazione della figura del contadino e la diffidenza per la vita di città e per la modernizzazione. Nella prima metà del Settecento il primitivo (es. figura di Robinson Crusoe) appariva come un essere puro, un “nobile selvaggio”, una figura che con il suo stile di vita si opponeva alla società contemporanea, alla modernità. Ma con l’intensificarsi dei contatti con le colonie, questo mito cedette il passo ad una sempre più diffusa ostilità e l’immagine del primitivo venne posizionata allo stadio più basso della catena dell’essere. Possiamo dire, quindi, che il pensiero razzista fece un tutt’uno dell’aspetto esteriore dell’uomo con il suo posto in natura e con il corretto procedere del suo spirito. Le fondamenta del razzismo furono rafforzate da due fattori supplementari: - il sempre più frequente contatto diretto tra popoli (soprattutto tra bianchi e neri) → finché lo straniero non venne visto con occhi e toccato con mani, era considerato con benevola curiosità; - la diffusione degli ebrei in Europa, a inizio dell’800 → verso l’inizio dell’800 caddero le mura di numerosi ghetti e gli ebrei entrarono nella vita europea. Inizialmente gli ebrei furono ignorati o considerati ancora suscettibili di assimilazione alla vita europea. Questa maggiore tolleranza derivò dal fatto che gli ebrei sono bianchi. Fu solo con la seconda metà dell’800 che si cominciò ad applicare anche agli ebrei i principi razzisti. 2 CAPITOLO 2: Dalla scienza all’arte: la nascita degli stereotipi Per antropologia si intende, oltre che allo studio dei costumi e dei comportamenti, la classificazione delle razze e dei popoli. Al centro dei dibattiti vi era il quesito se l’ambiente potesse influenzare il formarsi e lo svilupparsi di una razza o se la maggior parte delle caratteristiche di una razza fossero ereditarie. Lamarck (1744-1829) sosteneva che qualunque specie può conservare la sua continuità di forma per tutto il tempo in cui l’ambiente è costante e che finché vi è tale stabilità essa acquista caratteristiche trasmissibili ereditariamente. Nessuna razza è perciò destinata a conservare in eterno le sue caratteristiche attuali. Quindi, con il termine “lamarckismo” designiamo la concezione secondo la quale l’ambiente determinerebbe il carattere e la mutazione di ciascuna specie. I temi della libertà, dell’uguaglianza e della possibilità di mutamento sono temi ricorrenti in tutta l’opera di Lamarck. Dunque, il concetto di razza di Lamarck era basato sulla ragione e sul pensiero critico. Alcuni suoi famosi contemporanei cominciarono invece a introdurre nel loro sistema di classificazione razziali elementi spirituali, pseudo-scientifici, soggettivi. Anche Buffon (1707-1788), come Lamarck, formulò teorie ambientali, ma queste, come il suo materialismo, non erano così definite e si incominciavano ad avvertire influenze estetiche. Buffon e Lamarck rappresentano la corrente illuministica che prevalse nella seconda metà del ‘700. In contemporanea, gli scienziati venivano sempre più influenzati da un modo più emotivo e spirituale di considerare il mondo. L’emotività che caratterizzava il risveglio pietistico ed evangelico a poco a poco soppiantò in gran parte della società le idee illuministe. Un esempio è il naturalista svedese Carlo Linneo (1707-1778), che abbinò l’osservazione e la descrizione a giudizi soggettivi. Egli giudicava la razza bianca la razza superiore perché rispecchiava i valori della classe media. I neri, invece, erano considerati pigri, infidi e incapaci di autogoverno. Queste opinioni razziali sostituirono alle teorie dell’ambiente i valori tipici della morale della classe media e così le valutazioni sociali presero il posto di quelle scientifiche. Il pensiero di Linneo era però contraddittorio, dato che era profondamente convinto dell’origine comune di tutte le razze e le concepiva come semplici mutazioni casuali. Perciò nel suo pensiero il materialismo conviveva con presupposti sociali ed estetici. Blumenbach (1752-1840), ritenuto uno dei fondatori dell’antropologia moderna, credeva nell’esistenza di caratteristiche nazionali atte a determinare la struttura facciale e attribuiva a queste variazioni al clima e al cibo. Nonostante ciò, nei suoi scritti scientifici cominciò a prevalere la parola «bellezza». Blumenbach fu notevolmente influenzato da Peter Camper, noto anatomista olandese. Camper, infatti, fa solo un breve cenno alla classificazione scientifica prima del suo definitivo decollo verso le attrazioni estetiche. Camper non era uno scienziato, aveva studiato per diventare pittore e per insegnare ai giovani artisti e scultori l’amore per l’antichità. Da qui in poi molti teorici della razza sarebbero stati pittori e scultori e non più scienziati. La scoperta più importante di Camper fu l’angolo facciale, che venne accettato dagli antropologi come misurazione scientifica, accettando così un modello ideale di bellezza che avrebbe inciso sulla classificazione razziale: la bellezza classica era diventata un principio generale valido per tutti. La fisiognomica diede un valido contributo a valorizzare l’apparenza esteriore. Lavater (1741-1801), con la pubblicazione dei Frammenti di fisiognomica, divenne il padre di questa nuova scienza. Egli non aveva propositi razzisti, ma la pseudo-scienza della fisiognomica si mostrò ben presto un’arma potente sia contro gli ebrei che contro i neri. Lavater sosteneva che bisognasse osservare un uomo nella sua interezza per giudicarlo, infatti, l’aspetto esteriore non era altro che la continuazione dell’interiore e viceversa. Inoltre, gli elementi tipici di un bel volto e dunque di una bella anima, per Lavater erano gli stessi che avevano ispirato la scultura greca. In sintesi, possiamo dire che con Lavater ci troviamo di fronte a uno stereotipo del tutto irrazionale e lontano da ogni dimostrazione scientifica. Ma la teoria di Lavater influenzò profondamente l’allora giovane Walter Scott, che ricavava ogni sorta di giudizi dall’aspetto dei suoi personaggi (nella sua opera Ivanhoe, ad esempio, l’eroina Rowena aveva l’aspetto che per la fisiognomica corrisponderebbe a un temperamento dolce, timido e gentile). Gall (1758-1828) è considerato il padre della frenologia, la quale si basava su tre principi: - il cervello è l’organo dell’intelletto - il cervello è costituito da vari organi ognuno con una specifica funzione - il cervello determina la forma del cranio. Dunque, Gall affermò che le varie funzioni del cervello possono essere individuate e giudicate sulla base della forma del cranio. Ma Gall respingeva la classificazione delle razze e si concentrò sullo studio delle teste dei singoli, ciascuna con variazioni rispetto ai principi generali da lui fissati. Malgrado ciò la frenologia fu subito utilizzata per la classificazione razziale. Carus, professore di anatomia e pittore romantico, verso la metà dell’800 introdusse allo stereotipo umano ideale il colorito. Egli, infatti, credeva che il mondo fosse strutturato gerarchicamente, con al vertice il “popolo diurno” (come gli europei, con i capelli biondi e con gli occhi blu che riflettono il cielo). Fu così creato uno stereotipo in cui l’estetica prevaleva sulle scienze, mentre i fattori ambientali svolgevano un ruolo marginale. Immanuel Kant affermò l’immutabilità della razza. Il carattere razziale diventa così una sostanza immutabile e fondamento di qualsiasi aspetto fisico e sviluppo umano, compresa l’intelligenza. Le razze considerate indipendenti da influenze esterne non possono mutare. 5 Egli cercò di fondare il suo razzismo su fatti sufficientemente attendibili, respingendo tre tipi di pregiudizi che operavano a scapito della scienza: - la mania religiosa - l’ossessione per i diritti dell’uomo - la fede nell’uguaglianza (ce l’aveva con i monogenisti che chiedevano l’uguaglianza sostanziale di tutte le razze). Hunt esortava gli uomini ad operare contro gli incroci razziali e condannò le idee dell’antropologo J. C. Prichard, che considerava le razze miste superiori a quelle pure. Inoltre, Hunt condivideva le idee di Knox sui neri, ritenendoli inferiori di intelletto, ma si opponeva alla schiavitù. Ma il più importante contributo inglese al pensiero razzista provenne dal darwinismo. Charles Darwin non era razzista, ma i concetti di “selezione naturale” e “sopravvivenza del più adatto” da lui elaborati furono accolti con entusiasmo dai teorizzatori della razza. Darwin stabilì che la probabilità di sopravvivenza di una specie è correlata al numero di figli che essa poteva generare. Da qui, la generazione di una prole sana divenne un’ossessione razziale e il darwinismo portò alla successiva fondazione dell’eugenetica. Darwin credeva che la selezione naturale e la variazione delle specie fossero dovute all’ambiente e ai mutamenti che avvenivano in esso, ma i darwinisti sostituirono questo ambientalismo con l’insistenza sui fattori ereditari. Galton (1822-1911) fu colui che dominò il campo delle ricerche sull’ereditarietà in Europa, per questo considerato il fondatore dell’eugenetica. Affascinato dalla statistica e dalle misurazioni, cercò di esprimere le teorie darwinistiche mediante cifre e di stabilire con tale metodo le qualità necessarie alla sopravvivenza. Galton elencò tredici tipi di abilità naturale e classificò gli uomini in base ad essi. A suo parere, per far uscire gli uomini dalla mediocrità, sarebbero importanti tre abilità: intelletto, zelo e dedizione al lavoro. Per Galton, quindi, il valore eugenetico diventa il determinante della qualità della razza. Il movimento eugenetico non rimase confinato in Inghilterra: anche in Germania si studiarono le opere di Galton e di Karl Pearson. A inizio del ‘900 in molte nazioni europee erano stati creati periodici che si occupavano di eugenetica e la dttrina dell’ereditarietà applicata a una razza aveva raggiunto dignità scientifica ed era entrata nelle università. L’eugenetica diede rispettabilità all’igiene razziale. Willibald Hentschel, allievo di Darwin, nel suo libro Veruna (1907), chiedeva la creazione di comunità isolate per generare una razza migliore e pura. Dopo la prima guerra mondiale un movimento giovanile chiamato «Artamamen», al quale aderì anche Heinrich Himmler, auspicò il ritorno al lavoro agricolo per riacquistare la purezza di sangue. Dobbiamo distinguere l’igiene razziale facente parte del misticismo della razza e l’igiene razziale facente parte del movimento eugenetico. Successivamente i due concetti si sarebbero fusi. CAPITOLO 6: La scienza della razza Nel corso del XX secolo il razzismo eredita dal secolo precedente due tradizioni: 1. l’idea mistica della razza, che tendeva ad abbandonare ogni pretesa scientifica; 2. la tradizione che cercava di dare alla classificazione razziale una rispettabilità scientifica e accademica. Fu quest’ultima corrente quella principale del razzismo, che diede vita alla «biologia razziale e sociale». La «biologia razziale e sociale» fu una dottrina dell’ereditarietà e della sopravvivenza basata sull’eugenetica e sull’antropologia razziale. La prefazione della rivista «Archiv für Rassen und Gesellschaftbiologie» affermava che la vita del singolo individuo è destinata a finire, ma la razza costituisce l’ininterrotta unità della vita. Riferendosi a Darwin, la sopravvivenza della razza è connessa con l’ereditarietà razziale e il concetto di razza è basilare per qualsiasi dottrina sociale. Karl Pearson sosteneva che il principio della selezione naturale dovesse essere applicato non più al singolo individuo, ma a livello di nazione. Sosteneva, inoltre, che qualsiasi razza avrebbe potuto migliorarsi mediante l’eugenetica. Pearson era un biologo razziale che elogiava il socialismo, ossia un’evoluzione della comunità nazionale attraverso la lotta. Per Woltmann la lotta di classe divenne lotta tra razze. Il sistema capitalistico, nonostante non venisse ancora utilizzato molto per diffondere la conoscenza dell’eugenetica razziale, venne notevolmente lodato poiché ritenuto il più atto a favorire il processo di selezione naturale. I capitalisti da parte loro accolsero con favore il darwinismo. Willhelm Schallmayer respingeva il socialismo ed era un fautore dell’igiene razziale, notevolmente contrario all’incrocio tra le razze inferiori e la razza superiore ariana. Condannava la guerra, ma sosteneva che la razza dovesse incoraggiare la moltiplicazione dei suoi membri più adatti. Alfred Ploetz, principale fondatore della biologia razziale in Germania, credeva che tutti i popoli fossero il risultato di incroci razziali e chela loro evoluzione fosse influenzata anche dall’ambiente. La razza germanica tuttavia rappresentava, a suo parere, la migliore selezione di competenti e capaci. Gli ebrei erano considerati da Ploetz parte della razza ariana. Addirittura, Arnold Dodel, un botanico dell’Università di Zurigo, arrivò a designare gli ebrei come una razza superiore. Perciò non tutto il darwinismo sociale aveva di mira la distruzione degli ebrei. La Società per l’igiene razziale fondata da Ploetz si riteneva l’equivalente tedesco della Società per l’educazione eugenetica di Galton, che proponeva l’educazione e la propaganda come mezzi per modificare la politica nazionale. Un programma del genere non prevedeva l’eliminazione di razze inferiori, ma queste idee circolavano tra tutti i sostenitori del misticismo della razza. Successivamente Ploetz e altri biologi razziali aderirono al partito nazista e appoggiarono la legge del 28 giugno 1933 con cui vennero istituiti i tribunali incaricati di giudicare sulla sanità ereditaria. Malgrado le differenze tra biologi razziali e nazisti, entrambi parlavano di «razza e degenerazione» e di “adatto” e “inadatto”. Inoltre, inizialmente erano solo i neri ad essere ritenuti inferiori. Solo dopo il 1935 questi segni di inferiorità furono attribuiti anche agli ebrei. 6 Il timore che ossessionò il pensiero razziale nella seconda metà del 1800 fu quello della degenerazione. Per gli antropologi la degenerazione era una delle possibili conseguenze della variazione casuale, mentre i biologi avevano visto in essa un ritorno al primitivismo. Nel 1857 Morel definì le degenerazioni come le “deviazioni del normale tipo umano, che si trasmettono attraverso l’ereditarietà e portano progressivamente alla distruzione”. Cesare Lombroso, ebreo fondatore dell’antropologia criminale, ebbe un’influenza decisiva sul pensiero razziale nonostante egli non fosse razzista. Sosteneva che la degenerazione e le sue manifestazioni esteriori (es. fronte convessa, naso all’insù, volto asimmetrico) fossero il segno della criminalità innata. Le teorie di Lombroso elogiavano il normale, la mediocrità, tutto il resto era degenerazione. Divulgò queste idee nel suo libro Genio e Follia (1863), nel quale sostenne che addirittura il genio è conseguenza di condizioni patologiche del corpo. Lombroso venne influenzato dal darwinismo. Faceva distinzione tra i criminali occasionali, i quali potevano essere trattati umanamente, e i criminali abituali, i quali dovevano essere soppressi poiché condannati a una vita criminale e perciò pericolosi per la società. La pena capitale dovrebbe quindi far parte di un processo di selezione volontaria inteso a completare e rafforzare la selezione naturale. I fascisti e i nazisti accolsero la psicologia lambrosiana. Max Nordau (1849- 1923), allievo e amico di Lombroso, liberale e ebreo, fu il vero divulgatore del concetto di degenerazione. Poneva come rimedio alla degenerazione il positivismo scientifico. “Degenerati” erano coloro che si opponevano al metodo scientifico e alla moralità della classe media. Come Lombroso, anche per Nordau i sintomi della degenerazione si manifestano anche attraverso anomalie fisiche. Dunque, né Morel, né Lombroso, né Nordau furono razzisti, ma le loro idee divennero il nucleo centrale del pensiero razzista. Il razzismo ha sempre sentito un’attrazione per l’irrazionale. E questo è il caso dei divulgatori del darwinismo razziale che finirono per essere permeati di religiosità. Ernst Haeckel (1834-1919) si pose a metà strada tra scienza e metafisica. Era un eccellente zoologo, ma rimase sempre un figlio del romanticismo, per il quale la materia sarebbe una forza mistica. Haeckel stabilì una netta divisione tra razze, con il fine di eliminare l’inadatto. Ma a poco a poco perse contatto con il suo empirismo, fino ad arrivare a considerare i tedeschi come razza superiore. Gli ebrei e i negri erano collocati al gradino più basso della catena dell’esistenza. L’eugenetica deve essere applicata per salvare la razza superiore dalla degenerazione e ciò ha come conseguenza l’eliminazione dell’inadatto. Haecklel sosteneva che non si dovesse permettere la sopravvivenza degli individui malati e dei criminali abituali. Dunque, i biologi razziali e Haeckel furono i precursori dell’eutanasia nazista. Inoltre, Haeckel formulò la cosiddetta «legge biogenetica», che affermava che lo sviluppo biologico di un individuo deve ripetere in forma abbreviata lo sviluppo biologico dei suoi antenati. Fondò nel 1906 la Lega monistica, i cui membri credevano che la natura si orientasse verso una direzione umanitaria e questa evoluzione avrebbe creato un uomo nuovo. Ma oltre all’eugenetica inglese e alla biologia razziale tedesca, anche l’antropologia francese diede il suo contributo alla costruzione del pensiero razziale. Paul Broca (1824-1880) ebbe un atteggiamento ambivalente nei confronti della razza: credeva nella distinzione tra razze, ma anche negli effetti benefici dell’incrocio tra di esse e nell’importanza dei fattori ambientali. Broca accusava sia Gobineau che Knox. Tra i più influenti antropologi troviamo Joseph Deniker, che negava la coincidenza tra razza e nazionalità. Non credeva che l’ambiente influenzasse le razze, ma credeva nell’ereditarietà razziale. Egli cercò sempre di astenersi da giudizi di valore. Armand de Quatrefages de Bréau sosteneva, come Broca, che la diversità del cranio di un nero e di un bianco non dimostrasse affatto l’inferiorità dei neri. Quatrefages criticò sia Knox che Camper. Ma dopo la guerra franco-tedesca del 1870, Quatrefages perse la testa e iniziò a sostenere che la guerra fosse stata utilizzata dai prussiani per distruggere le prove antropologiche della loro inferiorità razziale. Virchow (1821-1902) fu tra i fondatori dell’antropologia tedesca. Egli confermò l’assenza di razze pure. Nel 1871, Virchow condusse la più grande inchiesta razziale mai compiuta, che purtroppo ebbe scarsa influenza. Egli raccolse dati statistici su tutte le conformazioni craniche riscontrate in Germania per studiare le differenze tra ebrei e cristiani. L’indagine fu condotta nelle scuole. Solo la città di Amburgo si rifiutò di collaborare nella convinzione che l’indagine fosse lesiva della libertà personale. I risultati dell’inchiesta dimostrarono l’inesistenza di una razza pura tedesca o ebraica. Questa indagine avrebbe dovuto mettere fine alle controversie sull’esistenza di ariani e di ebrei puri, ma l’idea della razza era stata istillata ormai da troppo tempo. CAPITOLO 7: Il mistero della razza Insieme alla biologia razziale si sviluppò un forte impulso mistico, che accentò l’aspetto irrazionale del razzismo. Le radici mitologiche furono identificate con le origini nazionali: la storia di una razza era la stessa cosa della storia della nazione. Negli ultimi trent’anni del XIX secolo ci si allontanò dalla scienza della razza e si diffuse così un razzismo come parte di una nuova religione nazionale. Due fattori influenzarono questa evoluzione: - l’ondata di spiritualismo arrivata in Europa dagli Stati Uniti - il sempre più forte interesse per l’unità nazionale in un momento di accentuate lotte di classe. I due fattori si integrarono poiché si sperava che l’unità nazionale avrebbe rinnovato la mistica nazionale. Lo spiritualismo non era una novità per l’Europa. L’ingegnere svedese Emanuel Swedenborg sosteneva che tra il mondo spirituale e quello corporeo esistesse un’azione reciproca. Egli fondò nel 1767 la “nuova chiesa”. 7 Ma il più accentuato impulso spiritualista venne dalla Società teosofica fondata da Madame Blavatsky nel 1875 a New York. Ogni essere umano avrebbe oltre che ad un corpo fisico un corpo astrale che gli permette di prendere contatto con lo spirito vitale dell’universo. Le teorie di Madame Blavatsky si basavano sulle religioni indiane. La teosofia in sé non era razzista, ma alla fine, il razzismo si alleò con essa. La Germania, insieme con l’Austria, svolse un ruolo essenziale nel fondere teosofia e razza perché nei paesi di lingua tedesca la teosofia trovò già pronta una tradizione mistica. Jacob Böhme, calzolaio del Seicento, sosteneva che il mondo fosse dentro l’uomo e che l’uomo potesse mettersi in contatto con il cosmo immedesimandosi con la natura. Il suo era un misticismo a sfondo naturalistico. Verso la fine del XIX secolo la teosofia e la tradizione slesiana si mescolarono. L’opera fondamentale di questa tradizione teosofica, mistica e razzista fu Rembrandt come educatore di Julius Langbehn. Questo libro diede un nuovo spessore al concetto di Volk germanico. Secondo Langbehn, il misticismo trasformava la scienza in arte e i tedeschi dovevano essere artisti. Questo fu il nodo centrale della rivolta della giovane generazione borghese di fine secolo, che ambivano alla creatività. Egli credeva anche negli stereotipi fisici e si servì della fisiognomica per dimostrare la superiorità ariana. L’identità razziale del Volk sarebbe simboleggiata dalla natura entro cui esso vive; ogni razza, quindi, ha il suo paesaggio. L’anima razziale dell’uomo, che costituisce l’essenza dello spirito del Volk, è posta al centro del processo con cui il fluido vitalizzante fluisce da Dio al mondo, trasformando tutti i tedeschi in artisti. Guido von List sosteneva insistentemente che la natura fosse la fonte da cui sgorga la forza vitale. Tutto ciò che è vicino alla natura, come il passato ariano, è vicino alla verità. L’importanza di List sta nel fatto che le sue idee furono accolte all’inizio del Novecento da un gruppo di intellettuali di Monaco che si definirono «filosofi cosmici». Tra questi, Alfred Schuler, il quale affermò di poter ricostruire il passato ariano percependolo con la sua anima. Jorg Lanz von Liebenfel fu un altro profeta dell’arianesimo con il desiderio di dare vita ad un’eroica razza ariana. Definì i nemici degli ariani “uomini scimmia” e reclamò addirittura il loro annientamento fisico. La pace del mondo si sarebbe potuta conseguire solo con il predominio della bionda razza ariana. L’importanza di Lanz è dovuta alla notevole circolazione del giornale da lui fondato nel 1905. L’identificazione dell’ariano con la forza vitale portava a considerare i nemici persone senza anima (per Hitler gli ebrei). Si creò così un contrasto tra il popolo della vita e il popolo delle tenebre, senza anima. Ma le concezioni spiritualistiche e teosofiche della razza rimasero sempre ai margini del pensiero razziale. Coloro che si servirono del concetto di razza per creare una religione nazionale si servirono delle tradizioni filosofiche idealistiche. Paul Anton de Lagarde usò entrambi gli indirizzi di pensiero. Secondo il suo pensiero, la forza vitale del Volk doveva essere preservata, ma soltanto una nuova fede germanica avrebbe liberato lo spirito volkisch del cristianesimo tradizionale. Ma Lagarde fu un personaggio di transizione e la sua religione germanica rimase nel vago perché contraddittoria. Altri pensatori come Richard Wagner, Chamberlain e Otto Weiniger furono i veri profeti della razza. Le idee di Wagner ebbero molta importanza, grazie soprattutto all’influenza culturale che ebbe, anche dopo la sua morte, il circolo wagneriano di Bayreuth. Bayreuth divenne simbolo di cultura per molta parte della destra tedesca e anche centro di idee razziste. Per Wagner, gli ebrei rappresentavano tutto ciò che si oppone al bello e al buono, ma il suo atteggiamento verso gli ebrei fu incoerente poiché, d’altra parte, accolse molti artisti ebrei al circolo. La progressiva conversione di Wagner al razzismo fu accompagnata da un certo fervore protestante. I gesuiti vennero considerati come cospiranti contro la Germania e le origini di Cristo furono separate dalle origini ebraiche. Chamberlain era un ammiratore di Wagner e fu introdotto da Cosima, moglie di Richard, nel circolo di Bayreuth. Il suo libro I fondamenti del XIX secolo è stato considerato espressione della filosofia ufficiale del circolo. Chamberlain trasformò Cristo in un profeta ariano, reputò la razza germanica la salvatrice dell’umanità e Lutero il liberatore dall’oppressione cattolica. Inoltre, considerava lo spirito ebraico privo di tolleranza e moralità e per questo la sconfitta degli ebrei avrebbe portato a una rivoluzione spirituale che avrebbe a sua volta portato l’anima razziale ariana a dominare il mondo. Otto Weininger scrive nel 1903 Sesso e carattere, libro che ebbe un successo enorme. In questo libro Weininger costruisce un tipo ideale ariano sulla base del sesso e della razza. a suo parere, il maschio ariano rappresenta l’eroismo, la lucidità; mentre le donne di ogni razza sarebbero prive di lucidità e inclini al compromesso, tipico del principio democratico. Tuttavia, la donna ariana avendo piena fede nell’uomo ha possibilità di riscattarsi. L’ebreo, invece, è privo di qualsiasi fede, materialista, anarchico e comunista, in quanto privo di spiritualità. Hitler lesse il libro e se ne servì per alimentare il suo odio contro gli ebrei. C’è una certa somiglianza tra il racconto che Hitler fa nel Mein Kampf e le teorie di Weininger. Ma Weininger non fu il solo a confrontare sesso e razza. In Francia Gellion-Danglar trattò lo stesso tema già nel 1882. La razza semitica avrebbe, a suo parere, le caratteristiche comuni delle donne. Da questi pensatori, lo stereotipo ebraico assunse, quindi, dimensioni metafisiche senza alcuna connessione con la realtà. Le fantasie sessuali sugli ebrei ricevettero uno stimolo importante dalla sempre più accentuata sensibilità agli odori che si sviluppò in Europa dalla seconda metà del secolo XIX in poi. La pulizia personale acquistò sempre di più importanza e i cattivi odori non furono più tollerati. Le condizioni di sovraffollamento dei ghetti davano luogo a cattivi odori, che si ritenne fossero originati dall’innata sporcizia della razza e non dalle condizioni di povertà in cui vivevano. Il biologo tedesco Gustav Jager, fondatore dello zoo di Vienna, sosteneva che razze diverse avessero odori diversi e peculiari e che l’odore degli ebrei fosse particolarmente sgradevole. Il razzismo, pronto a sfruttare qualsiasi spunto, tentò anche di far proprio il confronto tra razze e sesso e odore, completando così quello stereotipo che già si era ampiamente diffuso. 10 CAPITOLO 10: La nascita del nazionalsocialismo Si potrebbe pensare che il razzismo si sviluppò specialmente in Germania e Austria, ma non è così. Gli elementi necessari alla costruzione del razzismo vennero dall’intera Europa. In Francia l’antisemitismo cattolico era ben radicato, specialmente nelle campagne e, ad esempio, il fallimento nel 1882 della banca cattolica Union générale fu imputata dal clero agli ebrei. L’antisemitismo francese cercò di collegare il nazionalismo con la riforma sociale e politica. Il nazionalsocialismo francese, da cui poi Hitler prese il nome per il suo partito, non condannava il sistema della proprietà privata, ma era contrario al sistema capitalistico, criticando specialmente il capitalismo finanziario di cui gli ebrei erano il simbolo; questo tipo di ricchezza, considerata improduttiva, fu contrapposta ai produttori. Alphonse de Toussenel (1803-1885) ha avuto un ruolo importante nella diffusione del nazionalsocialismo. Secondo lui gli ebrei dominerebbero il mondo grazie al controllo del capitale finanziario. Guardava con nostalgia ai re antichi, espressione dei popoli. Pierre- Joseph Proudhon (1809-1865) credeva che alla base del governo ci dovesse essere una libera associazione e che la riforma morale dell’uomo renderebbe inutile l’uso della forza. Ebrei e capitalismo rimangono i nemici da sconfiggere. Entrambi, come Richard Wagner, pensavano che l’uguaglianza tra il popolo e il perseguimento della giustizia sociale avrebbero comportato la distruzione della “potenza dell’oro”. Il razzismo, quindi, entrò a far parte della visione comunitarista, che ebbe grande influenza alla fine del XIX secolo: la razza ebraica doveva essere esclusa dalla partecipazione a una comunità nazionale e socialista. Marx condivideva in parte queste idee: gli ebrei simboleggiano il capitalismo non solo finanziario. Le sue conclusioni, però erano molto diverse da quelle di quei socialisti francesi che volevano annientare gli ebrei: secondo lui, infatti, con l’abolizione dell’usura, l’ebreo si sarebbe “umanizzato”. Il più famoso nazionalista francese fu Edouard Drumont (1844-1917), che continuò la lotta di de Toussenel: i responsabili della degenerazione erano i semiti; la questione ebraica era cruciale per risolvere i problemi francesi e invocò la rivolta delle masse contro gli ebrei. Diffuse contro gli ebrei anche la “calunnia del sangue”. Fu soprattutto un giornalista, ma per favorire la propria causa creò anche movimenti sociali e politici, di modesta importanza, come la La ligue antisémite (1890). Un movimento, invece, importante fu Les jaunes (1900-1908 leader: Pierre Bietry), fautore dell’anticapitalismo a sfondo antisemita di Drumont. Il nome del movimento deriva dalla carta gialla adoperata da alcuni operai che si erano rifiutati di scioperare per riparare dei vetri rotti durante i disordini. Erano operai che combattevano contro gli ebrei, i comunisti e i massoni. Nel 1931 Bernanos (Grande paura dei benpensanti – 1931) riesumò Drumont, che incarnava la lotta per una vita impegnata alla realizzazione dell’individuo contro il nemico borghese (ebreo senza anima). Louis Ferdinand Céline (Bagatelle per un massacro – 1937) riprese l’attacco contro gli ebrei di Drumont, ma con maggiore violenza. Il razzismo francese, infatti, era caratterizzato da isteria e violenza. Jules Guérin fondò «il Grande Oriente» antiebraico e antirepubblicano, e nel 1899 tentò anche un colpo di stato. Il marchese di Morès creò a Parigi dei bistrots dove per avere birra gratis bisognava firmare petizioni contro gli ebrei. Le richieste comuni erano: espellere gli ebrei dalla Francia, confiscarne i beni e ridistribuirli in un modo più giusto. Il nazionalsocialismo francese venne rafforzato dai fatti di Algeria (naturalizzazione degli ebrei con il decreto Crémieux nel 1870). Il capo del movimento razzista algerino era Max Régis, che divenne sindaco di Algeri. Drumont, una volta eletto deputato dell’Algeria con l’aiuto di Régis, mise in pratica una politica violenta contro gli ebrei. Il governo centrale intervenne contro la politica antiebraica che aveva, di contro, un appoggio popolare. Il nazionalsocialismo si sviluppò in tutta Europa. In Austria George von Schonerer fondò un movimento pan-germanista, che ricalcava le idee di Drumont, ma che aveva come bersagli anche la Chiesa cattolica, nemica dell’auspicata annessione degli austriaci tedeschi alla Germania. I vari movimenti nazionalsocialisti in Europa non erano in contatto fra di loro, ma il fatto che avessero molti punti in comune dimostra che c’era una aspirazione generale a una comunità egualitaria nell’ambito della mistica nazionale. Karl Eugen Dühring (1833-1921) si può considerare il Drumont di Germania: da giovane era un radicale, difendeva il diritto di associazione e di sciopero degli operai; fu poi cacciato dall’Università di Berlino. Cominciò a prendersela con tutti, diventò razzista e condannò scioperi e sindacati. Nel 1880 pubblicò La questione ebraica come problema di carattere razziale e il danno da essa arrecato all’esistenza, alla morale e alla cultura dei popoli in cui affermava che i responsabili di ogni peccato fossero gli ebrei. In Germania il razzismo nazionalsocialista si diffuse, nelle campagne, nell’Ottocento. La Lega contadina dell’Assia, guidata da Otto Böckel, considerava gli ebrei come dei parassiti. Böckel e la Lega volevano impedire l’uso illegittimo del capitale senza abolire la proprietà privata. La fine delle crisi economiche di fine secolo segnò il fallimento dei movimenti nazionalsocialisti, che riebbero fortuna dopo la crisi causata dalla prima guerra mondiale. Prima della guerra, sembrava che fosse la Francia e non la Germania il paese più interessato al razzismo e al nazionalsocialismo. Ma la guerra e le sue conseguenze rivitalizzarono il razzismo in tutte le sue forme, fino alla sua attuazione senza precedenti di qualche decennio più tardi (olocausto). 11 CAPITOLO 11: Guerra e rivoluzione Con la prima guerra mondiale la dottrina della razza, che già era penetrata nella coscienza popolare, da teoria si trasformò in pratica. Gli ebrei, che costituivano la più importante minoranza esistente in Europa, erano ormai diventati per il pensiero razzista il nemico e, ora, con la guerra cominciarono ad essere più visibili e isolati e quindi più facilmente perseguitati. La prima guerra mondiale portò al rafforzamento del nazionalismo e all’abitudine alle uccisioni di massa (la guerra rese la coscienza europea più spietata). In Germania, le statistiche sulla partecipazione ebraica nelle forze armate costituirono un fiero colpo per l’ebraismo tedesco, che aveva considerato la guerra come mezzo per completare il proprio processo di assimilazione, ma l’esercito tedesco si rifiutò di far conoscere ai più noti antisemiti i risultati dell’indagine. Grazie alla guerra gli ebrei erano stati isolati dal resto della popolazione e si rafforzò lo stereotipo il cui intimo valore si manifestava nel suo aspetto esteriore. Otto Braun, caduto in guerra, nelle sue lettere dal fronte tedesco, pubblicate col titolo Dagli scritti postumi di un giovane prodigio, elogiava la bellezza virile riferendosi alle forme rigorosamente classiche. Il razzismo postbellico si avvantaggiò certamente della rinnovata enfasi su questo prototipo ideale e ciò non avvenne solo in Germania, ma anche in Inghilterra, Francia e Italia. La Germania ebbe come più famoso teorico Ernst Jünger, che esaltò il combattimento come la più intima esperienza dell’uomo capace di generare una nuova razza di eroi. La Germania, sconfitta nel primo conflitto, affermò che i soldati non muoiono mai, bensì continuano a combattere finchè non risorge la nazione stessa e vi era il convincimento che la Germania non fosse stata sconfitta e che sarebbe giunto il momento di ricostruire il Reich e difendere l’onore. Questo pensiero fu aggravato dalle conseguenze dell’occupazione della Germania nel 1919-20 da parte dei francesi, che si servirono di truppe senegalesi e marocchine. Quando queste truppe di colore occuparono la città di Francoforte vi fu una forte reazione: ai timori razziali si aggiunsero le preoccupazioni sessuali. Nel 1921 il giornalista Alfred Brie parlò di donne violentate e descrisse il bestiale comportamento dei francesi di colore nei territori occupati. Ciononostante, il razzismo fu in realtà più diretto contro gli ebrei che verso i soldati negri. Il libro Il delitto contro il sangue (1918), di Arthur Dinter, tratta il tema della violazione della purezza razziale di una donna tedesca ad opera di un ricco ebreo e, benché poi la donna lo lasci per sposare un ariano, i figli avuti da questo mostrano evidenti caratteristiche proprie dello stereotipo ebraico. Le rivoluzioni successive alla guerra misero gli ebrei in evidenza e queste rivoluzioni promettevano loro uguaglianza e la fine della discriminazione. Gli ebrei furono considerati antinazionali e non erano accusati solo di essere rivoluzionari, ma continuava a vivere anche la loro vecchia immagine di sfruttatori capitalisti. All’idea della cospirazione si aggiunsero i Protocolli dei saggi anziani di Sion che i reazionari Cento Neri, fuggendo dalla Russia, avevano portato con loro. Il convincimento che una cospirazione ebraico-bolscevica stesse dominando la Russia e fosse già pronta ad impadronirsi del resto dell’Europa si presentò all’improvviso in ogni nazione. L’ Europa centrale fu testimone di un’ondata di provvedimenti antiebraici adottati non dai governi ma da importanti organizzazioni sociali e culturali. In Europa Orientale, invece, la violenza fu un fatto comune. Gli ebrei costituivano la classe media, un bersaglio perciò facile e, avendo svolto il ruolo di rivoluzionari, divennero oggetto dell’odio dato che i timori per la rivoluzione in queste aree geografiche erano più intensi. Nell’Europa centrale e occidentale, invece, gli ebrei non avevano mai svolto una funzione così indispensabile ed erano circondati da una classe media in origine liberale e pluralistica. Nell’Europa orientale i pogrom del 1918 furono tra i più spietati mai avvenuti; specialmente in Polonia dove l’idea della cospirazione ebraico-bolscevica nacque durante la guerra contro l’Unione Sovietica. Nel tentativo di avanzata in Russia delle armate polacche fu impedito ai soldati e agli ufficiali ebrei dell’esercito polacco di prendere parte ai combattimenti e si giunse addirittura ad internarli nei campi. Anche la chiesa professava apertamente l’antisemitismo. Quando nel 1938 i nazisti espulsero circa 15.000 ebrei polacchi, la Polonia si rifiutò di accoglierli. In tutta L’Europa i partiti reazionari entrarono al potere in seguito alla rivoluzione e controrivoluzione e l’antisemitismo entrò di nuovo nella politica di governo; tuttavia, si dovettero attendere gli anni ‘30 perché entrasse l’influenza della destra radicale che pensasse ad una soluzione finale alla questione ebraica. I reazionari al potere in Polonia, Ungheria e Austria non erano razzisti il loro era un antisemitismo cristiano e tradizionale: gli ebrei dovevano essere tenuti fuori dal governo e a distanza ma lasciati in pace. Persino in Germania la destra radicale fu una minoranza fino agli anni 20 e nacque come conseguenza della rivoluzione. La lega di volkisch di difesa e offesa fondata da gruppi scissionisti di destra del 1919 fu una delle organizzazioni che ebbe maggiore importanza durante la repubblica di Weimar essa si macchiò di numerosi linciaggi politici e antisemiti. I partiti di centro erano forti in Inghilterra e in Francia ed erano impegnati nel costruire una società pluralistica e tollerante; lo stesso si può dire per i socialdemocratici in Germania che divennero alleati degli ebrei nella loro lotta contro l’antisemitismo. Karl Kautsky, capo del socialismo prebellico, aggiornò l’opinione di Marx sugli ebrei. Marx, nel suo Razza e giudaismo del 1914, accetta il negativo stereotipo ebraico attribuendo agli ebrei un forte attaccamento ai beni materiali e al commercio e sosteneva che gli ebrei dovevano abbandonare la loro religione e aderire alla lotta proletaria. Dopo il 1918 in Germania cominciò la divulgazione di numerosi manuali razzisti, tra cui il più importante è Dottrina razziale del popolo tedesco di Gunther; ciò non avvenne in altre nazioni europee e ci dà un indizio del fatto che questa nazione stava passando all’avanguardia del pensiero fascista. 12 CAPITOLO 12: Dalla teoria alla pratica Si può dire che la guerra contro gli ebrei sia cominciata dopo il primo conflitto mondiale e si sviluppò negli anni ‘30 in un’offensiva contro gli ebrei vera e propria, ma con grado diverso di partecipazione delle varie nazioni: • Inghilterra L’Inghilterra aveva dato un notevole contributo all’evoluzione del razzismo, ma il razzismo inglese era più diretto contro i neri che contro gli ebrei e si era concentrato molto sull’eugenetica piuttosto che sulla creazione di una razza ariana. La crisi parlamentare del 1931 portò alla formazione di un governo nazionale che mantenne intatte le tradizionali istituzioni rappresentative britanniche. Fu vietata l’attività di qualsiasi esercito privato e persino le camicie nere rispettavano la legge sull’ordine pubblico che proibiva l’uso di uniformi e dimostrazioni politiche. In Inghilterra, quindi, la guerra contro gli ebrei non ha mai avuto fortuna. • Spagna La Spagna è stata un’altra nazione europea che si è dimostrata refrattaria alla penetrazione del razzismo. La Falange fascista ha talvolta adottato la retorica antiebraica, ma in genere ha rifiutato il razzismo. L’antisemitismo per la Spagna non è mai stato un fatto importante. • Portogallo Paese che ha addirittura offerto asilo ad alcuni ebrei tedeschi perseguitati. • Francia Neanche in Francia il razzismo riuscì a sfondare sebbene sia la nazione occidentale che si è maggiormente avvicinata a posizioni razziste. La destra francese era dominata dall’Action Francaise. ma nel dopoguerra vennero fondate numerose leghe fasciste, che si consideravano rivali dell’Action Francaise. Tra queste, la più importante fu sicuramente il Parti Populaire Francais (PPF) del 1936 di Doriot, che nonostante le sue notevoli dimensioni, non fu mai una forza politicamente vitale. Possiamo dire, quindi, che il fascismo e il razzismo in Francia divennero più che veri e propri movimenti politici una moda letteraria. Per molti giovani scrittori francesi il razzismo era la conseguenza della loro aspirazione a diventare dei superuomini nietzschiani, che celebravano la violenza. • Europa Orientale Negli anni ’30, in Europa orientale, gli ebrei trovarono alleanza nei governi impegnati a distruggere i partiti di destra che minacciavano la legge e l’ordine. Nel 1938 Re Carol si dichiarò dittatore della Romania e la sua azione fu dovuta alla crescente pressione della Legione dell’Arcangelo Gabriele, movimento creato nel 1927 che voleva trasformare la Romania in una dittatura di contadini e operai. La Guardia di ferro, organizzazione di massa della Legione composta da contadini e studenti, nutriva un odio fanatico verso gli ebrei che giudicava il simbolo della classe media sfruttatrice del popolo. Nel 1940 i nazisti costrinsero re Carol ad abdicare e durante i cinque mesi di dittatura frutto dell’alleanza tra la Guardia di Ferro e il generale Antonescu avvennero in Romania alcuni tra i più feroci pogrom, nel corso dei quali, nella sola Bucarest, furono massacrati più di mille ebrei. In Ungheria la dittatura conservatrice di Horthy dovette anch’essa fronteggiare un movimento della destra radicale (che non ebbe però mai la forza e il dinamismo della Guardia di ferro), chiamato le Croci frecciate, che raccoglieva sotto di sé masse di operai e contadini. La condanna alla razza ebraica era presente nell’ideologia de le Croci frecciate, ma non occupava un posto così importante. Durante la guerra la destra radicale non riuscì ad abbattere le dittature conservatrici né in Ungheria né in Romania. Perciò anche se gli ebrei furono vittime di persecuzioni non fu attuata nessuna politica antiebraica fino a che la pressione tedesca non costrinse i dittatori ad agire. Nel quadro dell’Europa orientale la Polonia rappresenta un’eccezione in quanto la dittatura succeduta a Pilsudsky ha saltuariamente seguito una politica razzista e a volte ha incoraggiato persino la violenza contro gli ebrei. Le Regioni balcaniche, influenzate dell’Italia fascista, seguirono una via più moderata in quanto, sebbene il movimento “ustascia”, andato al potere in Croazia sotto la guida di Pavelic, fomentò i pogrom, è vero anche che quando rinchiuse gli ebrei nei campi lasciò che la maggior parte di essi vivessero e si oppose alla loro deportazione da parte dei nazisti • Italia L’Italia ha protetto i suoi ebrei ovunque le sia stato possibile. Nel 1938 Mussolini aveva promulgato le proprie leggi razziali che vietavano matrimoni misti, escludevano gli ebrei dal servizio militare e proibivano loro di avere grosse proprietà terriere. Egli però volle che questa legge fosse inoperante nei confronti degli ebrei che avevano partecipato alla prima guerra mondiale o al movimento fascista e coniò lo slogan «discriminare, non perseguitare». Con la guerra abissina del 1935 nacque nella coscienza degli italiani il concetto di razza, ma esso era diretto contro i neri, non contro gli ebrei. Mussolini pensava di usare i sionisti per far fallire le sanzioni decretate da tutto il mondo contro l’Italia, ma quando vide che ciò era inutile si convinse che la cospirazione mondiale ebraica contro il fascismo dovesse essere annientata. Tuttavia, i generali e i funzionari statali collaborarono per salvare gli ebrei. Nel 1944 Preziosi, portavoce dell’antisemitismo italiano, fu nominato capo dell’ufficio preposto alla questione razziale durante la repubblica di Salò, ma in realtà questo ufficio non ebbe mai effettivo potere poiché erano i tedeschi a comandare e Preziosi ne fu solo un collaboratore. Un altro
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