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Riassunto Il sistema schermo mente, Enrico Carocci, Schemi e mappe concettuali di Analisi E Critica Televisiva

Riassunto del libro Il sistema schermo mente di Enrico Carocci

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 19/09/2023

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Scarica Riassunto Il sistema schermo mente, Enrico Carocci e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Analisi E Critica Televisiva solo su Docsity! 1 Capitolo 1 Occuparsi di coinvolgimento significa considerare l'esperienza spettatoriale. Tale esperienza è da vedere in una visione più globale che vede lo spettatore come mente incarnata, in quanto mente, corpo e organismo appunto significa anche cercare di comprendere l'impatto delle narrazioni cinematografiche sulle menti degli spettatori: considerare la natura dell'esperienza, cioè le risposte psicofisiologiche alle sollecitazioni che provengono da artefatti complessi quali sono i film. David Bordwell ha individuato alcune tappe fondamentali della riflessione sul cinema in relazione ai modelli di mente utilizzati nel corso degli studi sul cinema. ANNI 20 EJZENSTEJN ha fatto riferimento al fisiologo Ivan Pavlov Studi sullo spettatore- modello psicologico della Gestalt (tratto dai principi espressi da Rudolf Arneheim) Anni 60 lavori di ispirazione semiologica, studi psicoanalitici ispirati a Lacan, metz, Laura Mulvey Anni 70 iniziano a svilupparsi i film studies come disciplina accademica con come seguente critica dagli studi cognitivisti che indicarono la strada per la svolta naturalistica degli studi di cinema. La filosofia analitica che ispira il cognitivismo cinematografico post-teorico non è sempre in linea con prospettive naturalistiche come si evince dall’antologia Post-Theory (Bordwall, Noel Carroll) Approcci fenomenologici si sono riferiti a modelli di mente diversi tentando un dialogo con le neuroscienze cognitive. Murray Smith ha raccolto in volume una quantità di articoli relativi al tema dell’estetica naturalizzata negli studi del cinema. Propone di offrire dell’esperienza estetica descrizioni dense , complesse e stratificate, attraverso un metodo di analisi che riprendendo la proposta di Flanagan chiama metodo della triangolazione. Una descrizione densa dell’esperienza deve essere in grado di articolare 3 livelli di analisi, 3 aspetti dell’esperienza distinti e non gerarchizzati. Fenomenologico, psicologico e neurale. 1. Cosa si prova sul piano soggettivo a compiere una determinata esperienza 2. Quali sono le funzioni psicologiche che la nostra mente ha e mette in atto 3. Cosa accade nel cervello a livello sub-personale nel momento in cui l’esperienza ha luogo Un modello sistematico in grado di articolare i 3 livelli è quello di Vittorio Gallese, della simulazione incarnata. Le teorie della spettatorialità ispirate dal pensiero continentale psicoanalisi e fenomenologia, hanno indagato soprattutto il primo livello di analisi, quello dell’esperienza in prima persona Mentre le teorie analitiche e cognitiviste si concentrano sul secondo livello meccanismi psicologici descritti in terza persona. Solo negli anni 90 le osservazioni delle attivazioni neurali si sono integrate con il primo livello, dell’esperienza soggettiva. Studi di ispirazione continentale – prima persona Teorie analitico-cognitiviste terza persona 3 - La mente incarnata e relazionale 2 Nel 90 il presidente americano Bush proclaò il decennio del cervello, affermando così l’imporanza delle neuroscienze. Le discipline incentrate sullo studio della mente hanno iniziato così ad ampliare il propri sapere integrando le ricerche neuroscientifiche. Lo psichiatra Daniel Siegel all’inizio degli anni 90 dette vita a un gruppo di studio multidisciplinare il cui obiettivo era la comprensione del rapporto tra cervello e mente in una prospettiva scientifica la cui necessità risiedeva in un’individuazione di principi comuni a partire da una definizione di mente condivisibile, interdisciplinare. Il problema di partenza è che la mente è sia incarnata che relazionale: da un lato ci appartiene in quanto dipende dall’attività del nostro cervello incarnato e dall’altra non ci appartiene del tutto poiché plasmata anche dalle interazioni che abbiamo con l’ambiente. Quattro sono i nodi centrali 1. L’assunto alla base della psicologia moderna: La mente dipende dall’attività del cervello Ma se il cervello è incarnato, installato nel corpo (embodied) la mente lo è anch’essa. Se dunque la mente dipende da un cervello incarnato, dunque la mente dipenderà dall’intero organismo in quanto guidata e monitorata dal cervello. Ma la mente è anche embedded influenzata dall’universo di relazioni con cui confrontarsi, quindi inserita in un contesto relazionale. Il fatto che la mente sia incarnata e relazionale afferma come non esista un vero e proprio centro responsabile dei processi mentali perché la mente emerge dall’attività dell’intero cervello incarnato e non da una specifica regione, e poi perché l’elaborazione neurale non è in grado di spiegare gli aspetti che dipendono dall’ambiente che ci circonda. 2. La mente quindi deve essere concepita come un’attività dinamica invece che come un oggetto che si può possedere. La mente è emergente in quanto emerge dalle attivazioni neurali e dalle interazioni con l’ambiente. Considerare la mente emergente comporta la considerazione dei processi causali non lineari. L’attività mentale non è secondaria di quella del cervello ma mente e cervello si coappartengono senza avere una gerarchizzazione. L’attività della mente è un processo di regolazione perché monitora e modifica i processi di interazione con l’ambiente e l’elaborazione dei flussi. E la regolazione deriva dall’integrazione di elementi differenziati. 3. La mente include la soggettività, il sentire emozioni e pensieri, ricordi e sogni, e soprattutto l’essere consapevoli di questo senso interiore del vivere, la coscienza. La vita mentale produce un ideale luogo nel quale si formano i significati delle esperienze e quindi della nostra identità. Non è possibile sapere esattamente in che modo l’esperienza soggettiva di generi a partire dall’attività neuronale. Sono però secondo Siegel due aspetti diversi di un’unica realtà. Non vi è dunque distinzione tra mente e corpo. Nell’occuparsi di coinvolgimento spettatoriale bisogna quindi far riferimento al livello soggettivo dell’esperienza insieme al livello definito consapevolezza del Sé. Il Sé è un aspetto della mente e come essa va considerato un insieme plurale che può comprendere il senso interiore di identità, il corpo, la personalità, il coinvolgimento nelle relazioni. 4. Un importante aspetto dell’attività integrativa della mente sono le narrazioni. Già dopo i due anni un bambino è in grado di costruire narrazioni di eventi, sviluppando così le prime capacità di un Sé narrativo in grado di dare un senso agli stati della mente e agli eventi del mondo. I processi narrativi offrono un senso di continuità al Sé nel passato, presente e 5 Se è vero che il Sé è anche relazionale esiste però un nucleo che non dipende da aspetti interpersonali. L’esperienza si dà alla nostra coscienza in prima persona e noi siamo innanzitutto testimoni corporei del mondo a partire da una prospettiva ego-centrata. I modelli enattivi e incarnati, seppur con approcci differenti tra di loro condividono che -Le nostre risorse mentali e neurali gestiscono le interazioni immediate con l’ambiente, naturale e culturale, e la mente merge nell’interazione processuale tra organismo e mondo -Le esperienze sensomotorie derivate da queste interazioni costituiscono un fondamento dell’intera attività cognitiva umana (incluso pensiero concettuale) -il corpo possiede una dimensione auto-regolatoria ed è un corpo vissuto oltre che corpo in azione. La cognizione è embodied oltre che embedded ma anche enacted per cui l’azione costituisce lo strumento e il fine dell’interazione con l’ambiente. Inoltre a queste caratteristiche si aggiungono che la cognizione sia anche extended e affective. 2-percezione come azione Alva Noë e Kevin O’Regan all’inizio degli anni 2000 hanno elaborato l’approccio sensomotorio alla percezione poi definito enattivo. La percezione sostengono, ha luogo nell’interazione con l’ambiente. L’atto di vedere consiste nell’attiva esplorazione di un oggetto o ambiente e dipende dal fatto di sapere che tutte le parti di questo determinato oggetto o ambiente sono accessibili all’esplorazione visiva, anche quando nascoste. Il senso della presenza è generato dalla disponibilità di un oggetto o ambiente a essere esplorato che consiste nel sentimento di essere coinvolti nell’atto esplorativo che non nella produzione di una rappresentazione visiva definita. Questo modello mostra come sia necessario solo che l’oggetto sia disponibile, esplorabile. Ciò può essere utile nel pensare ai principi del sistema della continuity nel cinema, grazie al quale lo spettatore ha l’impressione di essere davanti a un universo coerente e presente. Ciò che conta anche nel cinema è la sensazione di una disponibilità all’esplorazione. Secondo questo approccio dunque la visione deriva dall’interazione tra dati sensoriali e le azioni ad essi collegati. Alva Noë ha poi usato l’appellativo enattivo per sottolineare il ruolo dell’azione. Per la studiosa infatti percepire significa agire, poiché riguarda l’organismo in azione, per percepire qualcosa è necessario possedere uno schema corporeo. Secondo Noë inoltre lo schema corporeo, il sentimento di ciò che il nostro corpo può fare è estendibile. E se agisco e percepisco il mio corpo esteso anche la mia mente è estesa, ossia essere coinvolti in un’interazione pratica. Torben Grodal ha mostrato come l’approccio enattivo possa essere rilevante in relazione all’esperienza narrativa telica, cioè basata su azioni orientate verso un obiettivo: si attiva lì gli schemi enattivi in quanto connessi alla vettorializzazione del significato. Una costruzione narrativa telica genera un’esperienza che lo spettatore percepisce come avente luogo in un presente che tende al futuro. Rispetto al coinvolgimento l’interazione enattiva di un personaggio con l’ambiente genera quel sentimento qualitativo di realtà che attribuiamo al mondo in cui viviamo, effetto che si perde nelle narrazioni soggettive. La visione e la coscienza, sostiene Grodalm sono al servizio del sistema motorio e le esperienze offerte dalle narrazioni sono legate ai tipi di azione, alla manipolazione dei modi in cui ciò che è visto o sentito incoraggia azioni vicarie nei mondi diegetici. Riprendendo l’approccio sensomotorio espresso da Noë e O’Regan, Grodal sostiene che Il coinvolgimento dello spettatore dipende dalle tendenze all’azione incoraggiate da una scena. 6 La prospettiva di Noë e O’Regan è stata anticipata dalla nozione di affordance che James Gibson pone al centro del suo approccio ecologico della percezione. Secondo Gibson ciò che percepiamo non è il mondo della fisica ma il mondo a livello ecologico, il mondo in quanto ambiente che ci consente di interagire. L’ambiente offre l’affordance o meglio quello che l’ambiente ci consente di fare. La nozione di affordance è relazionale, che riguarda tratti che assumono un significato in relazione a chi percepisce. Non percepisco la grandezza fisica di una roccia o le misure di un muro ma le loro proprietà in relazione alla mia azione possibile. (posso sedermi sulla roccia perché sufficientemente larga e piatta). Questa prospettiva è relazionale e dinamica. Rispetto al cinema dunque Gibson afferma che movimenti di macchina e transizioni dovrebbero essere affrontate ricordando i principi della teoria della percezione ecologica grazie alla quale la natura progressiva delle immagini cinematografiche potrebbe essere magnificata con stacchi e movimenti di macchina realizzati in consonanza con la naturale percezione di eventi in progressione. L’attivazione di affordance sembra dipendere dalla distanza degli oggetti dal nostro corpo, può emergere dal momento in cui osserviamo un oggetto che rientra nello spazio intorno qualcun altro. Se si pensa alle relazioni tra corpi e oggetti al cinema tale prospettiva rinforza l’idea secondo cui percepiamo la relazione tra il corpo di un personaggio e un oggetto come se si trattasse del nostro. Nel momento in cui si percepisce un oggetto sul quale un personaggio può sedersi, per esempio, saremo in grado di percepire tale relazione che potrebbe portare ad anticipare l’azione del sedersi o condividere con il personaggio la percezione di una affordance, rafforzando quindi il senso di identificazione e quindi di coinvolgimento. Se gli approcci enattivi e incarnati si sono concentrati prima sulle dinamiche sensomotorie che connettono percezione e azione, a partire dagli anni 90 hanno iniziato a integrare anche la questione dell’emozione. 3-L’emozione incarnata Il problema del dualismo cartesiano viene evidenziato anhe negli studi sull’emozione degli anni 90. Antonio Damasio nel suo L’errore di Cartesio afferma che la mente è incarnata e i processi cognitivi dipendono dal corpo in azione. Il sistema del ragionamento per Damasio si è sviluppato come un‘estensione del sistema emozionale automatico. Intende l’emozione come un insieme di cambiamenti dello stato corporeo indotti in miriadi di organi, sotto il controllo di un sistema del cervello che risponde al contenuto dei pensieri relativi a una particolare entità o evento. L’emozione è dunque un processo essenzialmente corporeo nel quale una forma di valutazione di una situazione produce cambiamenti nel corpo e negli stati mentali. Nel 2008 Giovanna Colombetti e Evan Thompson sviluppano una sorta di teoria enattiva dell’emozione che lo stesso Thompson aveva inaugurato con Varela e Rosch. Secondo gli studiosi le abilità cognitive emergono da una rete complessa di influenze reciproche tra cervello, corpo e ambiente. Necessaria queindi una prospettiva enattiva per tutti quei procesi legati all’emozione che il cognitivismo classico teneva separati: l’attivazione generalizzata (arousal) la valutazione del significato di una situazione (appraisal) e la corrispondente tendenza all’azione. Bisogna quindi prendere in considerazione il fondamento affettivo e corporeo comune a questi processi per fornire una descrizione adeguata delle funzioni e delle esperienze emozionali. Un’interpretazione emozionale è sempre allo stesso tempo cognitiva e affettivo corpora, in cui sentimenti ed emozioni non sono elementi distinti dall’emozione ma fattori emergenti dell’intero sistema. L’enattivismo prevede che la mente possa essere estesa includendo strumenti esterni al corpo per raggiungere i propri obiettivi. L’esperienza emozionale per Colombetti e Thompson può dipendere da strutture che si estendono anche oltre la pelle, come la tecnologia. Seguendo questa 7 prospettiva si possono considerare immagini e suoni dei film come delle estensioni che consentono di incorporare il significato di una situazione. Tale assunto può essere confutato poiché la versione estesa della cognizione incarnata non dovrebbe andare oltre: la mente emerge dal cervello-corpo in interazione con l’ambiente ma non è opportuno considerarla come proprietà di quell’interazione. La mente è una proprietà di un organismo che può utilizzare fattori ambientali e tecnologici per dare corpo ai processi che gestisce. Una prospettiva enattiva ed estesa può dare conto del modo in cui un film sollecita il coinvolgimento emozionale rivolgendosi direttamente al nostro corpo e ai nostri processi cognitivi. Se al cinema le dinamiche affettivo-corporee ci riguardano direttamente , gli aspetti legati alla valutazione(appraisal) delle situazioni sono invece legate al racconto e gestite da meccanismi narrativi riferiti ai personaggi. L’esperienza del coinvolgimento è sempre incarnata e relazionaleed è costituita da elementi che riguardano il Sé corporeo dello spettatore e insieme da elementi riferiti ai personaggi e alle dinamiche narrative. 6-affetto,mood,emozione Al cinema come nel quotidiano si fa esperienza di un flusso affettivo-emozionale integrato e continuo caratterizzato da una quantità di episodi emotivi brevi o da stati d’animo(mood) più o meno costanti. Anche le emozioni di base(rabbia, paura, desiderio) emergono da un fondo ffettivo che accompagna la nostra vita mentale e le nostre esperienze. Ruggero Eugeni sottolinea come non sia più possibile distinguere nettamente tra sfondo emotivo e l’insorgere di emozioni ma neppure distinguere un’emozione singola poiché le emozioni fanno parte di una modulazione continua e la maggior parte degli stati emotivi non possiede né un nome ne sceneggiatura precisa. I fenomeni che qualificano le nostre esperienze affettivo-emozionali sono sfuggenti e difficili da etichettare, ma costituiscono il mezzo attraverso cui riuscire a vivere ed agire e a fare esperienze coinvolgenti che integrano diversi gradi di consapevolezza. A seconda delle discipline e orientamenti i termini per definire le emozioni cambiano oppure cambiano i significati a essi attribuiti. Normalmente vi è una distinzione tra emozione- emotion; affetto- affect; sentimento- feelings; e stati d’animo-mood. Attraverso questi stati facciamo esperienza degli eventi che accadono nel nostro ambiente, costituiscono il medium attraverso cui sperimentiamo il mondo e gli altri. Thomas Fuchs propone una fenomenologia degli affetti in linea con una visione relazionale ed enattiva, e considera gli stati affettivi come fattori fondamentali di coinvolgimento. Ogni livello individuato dal filosofo è sovrapponibile e i confini tra di questi sono sfumati. I sensi del Sé coinvolti così come il grado di mediazione cognitiva e l’intensità dell’esperienza sono variabili. Tra gli Affetti sono individuabili 3 categorie: -Affettività di fondo: categoria più profonda sul piano esperienziale e corrisponde all’attività di sense making dell’organismo in relazione all’ambiente. Fuchs parla di sentimenti vitali perché corrispondono all'esperienza del sentire di esistere in un corpo vivente. Nei sentimenti vitali il corpo funziona come medium dell'esperienza del mondo, e il suo stato complessivo permea e pervade il campo esperienziale nel suo complesso. -Istinti primordiali: indicano una violenta spinta ad agire che riguarda la parte della coscienza più direttamente legata alla sopravvivenza. Ne sono un esempio il desiderio sessuale, la fame, la sete. -Affetti vitali: denominati da Stern sono stati affettivi che emergono già nella prima infanzia nelle interazioni con la madre. Indicano una qualità dell'esperienza interpersonale che si esprime in 10 2- Valutare la situazione l’appraisal La nozione di empatia negli anni 90 fu discussa come alternativa a quella di identificazione. Ed Tan ampliando la sua prospettiva cognitivista alla filosofia della mente e alle neuroscienze contemporanee, ha individuato meccanismi fondamentali alla base di diverse forme di empatia. La risonanza è una forma di imitazione quasi automatica costituendo la base dell’empatia che consente una consapevolezza superficiale, l’enactment o empatia immaginativa è una forma più complessa tramite cui lo spettatore può reagire assumendo volontariamente la prospettiva del personaggio, e il mind reading che consiste nella ricerca di una più profonda spiegazione del comportamento del personaggio. Per Tan dunque l’empatia comprende tutte le operazioni cognitive da parte dello spettatore che lo portano a comprendere il significato emozionale di una situazione dalla prospettiva del personaggio. Le emozioni secondo lo studioso sono caratterizzate da una struttura di significato situazionale e consistono nella valutazione cognitiva appraisal, di una situazione: per parlare di emozione si deve presupporre un’attività cognitiva che media tra situazione e reazione emotiva. Tan segue la teoria delle emozioni di Nico Frija ed afferma che la principale emozione dell’esperienza spettatoriale è l’interesse che rende possibile il coinvolgimento e favorisce le emozioni cosiddette empatiche. Per emozione empatica egli intende un’emozione caratterizzata dal fatto che la struttura di significato situazionale per il personaggio è parte del significato per lo spettatore. Se l’emozione è in parte la valutazione del significato di un evento, l’emozione empatica prevede una condivisione di quel significato, ciò implica che l’evento rilevante per il personaggio lo sia allo stesso modo per lo spettatore. Alla base di questa impostazione vi è l’idea secondo cui la reazione emotiva empatica sia causata da un processo cognitivo in sé incorporeo e non affettivo. L’approccio cognitivista è disombodied. Un approccio enattivo all’emozione prevede, invece, la valutazione sia un processo embodied. Giovanna Colombetti scrive che il sentire corporeo è parte essenziale del significato che l’esperienza emotiva conferisce a una situazione. Il sentire corporeo è una valutazione corporea strettamente correlata all’ambiente situata oltre che incarnata e costituisce già una forma si sense making. Il feeling e l’appraisal sono mediati da regioni connesse e non sembrano essere componenti distinte delle esperienze emozionali. Il sentire e la valutazione non sono separati ma costituiscono una valutazione corporea pre-cognitiva. Il fatto che l’attivazione corporea e il tono costituiscano già una valutazione pre-cognitiva confermano l’idea secondo cui la nostra comprensione delle situazioni narrative il nostro sentirle si fonda su proto-narrazioni significative. 3-Empatia come immaginazione Murray Smith ispirato alla filosofia analitica ha discusso la propria versione dell’empatia in relazione alla teoria della mente estesa. L’empatia, secondo Smith, può essere considerata una forma di accoppiamento tra una mente e la parte del mondo (un altro essere umano, un personaggio) che le consente di estendersi (quando empatizziamo estendiamo la nostra mente per incorporare parte di quella di qualcun altro). Per Smith dunque l’empatia è un mezzo e anche un fine: impariamo qualcosa sull’altro e utilizziamo il personaggio per affinare le capacità di empatia e mind reading. La narrazione cinematografica consente di amplificare e raffinare l’immaginazione. L’empatia per Smoth è un tipo di immaginazione personale o centrale: l’immaginare di essere protagonisti e non testimoni di un evento. Anche Smith però identifica l’empatia come un processo di per sé non affettivo. Smith 11 come Tan propone un quadro che si confronta con la embodied cognition ma che rimane ancorato ai presupposti del cognitivismo disembodied degli anni 90. Nelle prospettive cognitivo-analitiche sul cinema l’enfasi sull’immaginazione non implica necessariamente una negazione della natura percettiva dell’esperienza spettatoriale: si riferisce piuttosto all’immaginare di vedere qualcosa all’interno dell’universo diegetico. Attraverso processi immaginativi lo spettatore contribuisce con costruzione attiva del senso a rendere consistente e affettivamente denso il mondo narrativo, a partire da processi di risonanza o imitazione. Risonanza e imitazione non possiedono per Smith la componente immaginativa che invece costituisce l’empatia; dunque, rimangono non empatici in quando sub-immaginativi. IL coinvolgimento al cinema per Smith è legato a due forme di immaginazione: dall’interno o in prima persona, e dall’esterno o in terza persona. Dove nel primo caso posso, ad esempio immaginare di saltare da un edificio e nel secondo caso immagino che qualcuno salti da un edificio. Entrambi i casi possono riguardare la situazione emotiva in cui si trova il personaggio in un film narrativo: se l’immaginazione a-centrale porta a una reazione simpatetica quella dall’interno porta a una reazione empatica. L’empatia era per Smith un processo immaginativo dall’interno, processo a cui il film ci invita a partire da elementi percettivi o narrativi in relazione a un personaggio. Se da un lato la visione delle emozioni ha assorbito una prospettiva bio-culturalista, l’immaginazione detiene un ruolo centrale e rimane un processo in sé incorporeo e l’empatia implica un uso attivo e cosciente dell’immaginazione, sebbene operi insieme alle altre reazioni come l’imitazione e il contagio. Smith come Tan considera empatiche soltanto le reazioni caratterizzate da uno sforzo volontario in presenza o meno di meccanismi sub-immaginativi, finendo per restringere la reazione empatica a momenti in cui lo spettatore condivide l’emozione del personaggio come conseguenza di un atto immaginativo. L’immaginazione in prima persona per Smith è una forma di simulazione sempre parziale ed è un atto volontario che ci consente di condividere solo alcuni aspetti dell’esperienza percettiva o emotiva del personaggio. Inoltre negli studi psicologici e filosofici sul tema dell’empatia vi è sempre una distinzione tra via alta e una via bassa. Margrethe Brun Vaage negli studi sul cinema propone un modello integrativo bipartito che individua 2 tipologie principali di empatia: la prima è una forma di rispecchiamento o risonanza corporea basata su riflessi non sempre controllabili e processi di condivisione elementari; la seconda si basa su meccanismi cognitivi che consentono, attraverso immaginazione o ricostruzione mentale di vissuti altri, un maggiore decentramento. Vaage individua un’empatia cinematografica incarnata che offre allo spettatore il sentimento corporeo e affettivo del personaggio, e un’empatia immaginativa che utilizza l’immaginazione per rappresentare l’esperienza mentale del personaggio. 4-Dal sentire con al sentire per. LA SYMPATHY Si può dire che nel dibattito cognitivista è considerata empatica una reazione emotiva di consonanza con un personaggio; mentre simpatetica è una reazione di congruenza che non prevede quindi la condivisione dell’emozione provata dal personaggio ma che rimane una reazione emotiva, è un sentire per. (mi vergogno per lui che non si vergogna) 12 Il primo cognitivismo ha considerato la sympathy come la modalità dominante nell’esperienza spettatoriale ( con l’eccezione di Tan) Secondo Noël Carroll lo spettatore non replica quasi mai lo stato emotivo del personaggio. La empathy per Carroll implica che gli spettatori siano in uno stato emozionale dello stesso tipo di quello in cui essi credono di trovi il personaggio ma questo risulta essere solo un caso raro della relazione asimmetrica e in terza persona, la sympathy. Il caso più tipico di reazione emotiva al cinema consisterebbe nel convergere con i personaggi non replicandolo. Dalla sympathy per un personaggio dipende la gamma, il tipo e l’intensità delle emozioni sperimentate durante la narrazione e quindi il coinvolgimento dello spettatore. Inoltre per Carrol la symphaty è tale da generale l’appoggio morale su cui spettatori con background diversi possono convergere per seguire la vicenda. Sebbene egli parli di un coinvolgimento corporeo e quindi ammetta l’idea di una connessione mente-corpo, una vera e propria empatia affettiva e corporea non sia quasi mai possibile in quanto le forme di consonanza riguarderebbero soltanto il livello di risonanza affettiva o motoria che pocoi ha a che fare con l’emozione. Inoltre Carroll ricorda come un film utilizza strumenti narrativi e stilistici per suscitare determinate emozioni. Nei casi in cui raggiungiamo in maniera autonoma uno stato emotivo uguale a quello del personaggio, comunque, non si può parlare di condivisione intersoggettiva ma si tratta solo di una congruenza emotiva dovuta a una coincidenza. Se per Tan sono simpatetiche alcune emozioni empatiche, per Smith la simpathy è un tipo di immaginazione acentrale, per Carl Plantinga la distinzione tra emphaty e sympathy è arbitraria. Anche Plantinga in realtà riconosce un primato alla sympathy finendo per privilegiare gli aspetti dell’esperienza spettatoriale in termini percettivo-cognitivi. La sympathy dipende dalla capacità di comprendere la situazione degli altri, è caratterizzata da uno stato in cui lo spettatore ha a cuore ka difficoltà di un personaggio e può sperimentare emozioni simili ma quasi mai identiche al personaggio. L’empatia vera e propria è distinta dalla mimicry affettiva e motoria cioè alla tendenza automatica a imitare in maniera diretta espressioni e movimenti dei personaggi. Plantinga parla di contagio emotivo, il fenomeno psicologico per cui riusciamo a cogliere e fare le nostre le emozioni dell’ambiente che ci circonda. Nell’esperienza spettatoriale questo fenomeno è indotto da elementi come il Primo Piano, ma si è estendibile anche alle reazioni del pubblico in sala, che facilitano e rinforzano le nostre reazioni. Recuperando le riflessioni di Béla Balázs sul Primo Piano ricorda come il volto umano si a fondamentale nel sollecitare facial mimicry e contagio emotivo. Quasi in tutti i film narrativi, sostiene, presentano delle scene in cui il ritmo dell’azione si rallenta a favore dell’esperienza interiore del personaggio favorito dalla presenza del primo piano in un’inquadratura più lunga che si presenta per indurre imitazione negli spettatori. Il volto esprime stati emotivi e allo stesso tempo suscita reazioni imitative negli spettatori. Ma per suscitare emozioni non sono sufficienti per Plantinga facial mimicry e contagio emotivo bensì che qualche elemento narrativo consenta una reazione empatica vera e propria. 15 l’espressione percepita in termini emozionali. Sia l’osservazione che l’imitazione dell’espressione facciale delle emozioni di base attivano lo stesso gruppo di strutture celebrali. Tale ipotesi negherebbe che la sola imitazione volontaria sia in grado di indurre nell’osservazione il sentimento che sta imitando. L’emozione dell’altro è prima di tutto costituita e compresa attraverso il riutilizzo degli stessi circuiti neurali su cui si fonda la nostra esperienza in prima persona di quella data emozione. La simulazione incarnata contribuisce a rileggere il fenomeno dell’empatia in termini corporei evidenziando la centralità dell’imitazione spontanea all’interno dei fenomeni di condivisione delle emozioni. Questa prospettiva offre l’opportunità di pensare l’empatia spettatoriale secondo una prospettiva in linea con i modelli enattivi e incarnati. 4- immersi nel vissuto dell'altro: forme vitali e sintonizzazione affettiva Oggi sappiamo che nei già dai primi mesi di vita possediamo capacità che consentono uno scambio dialogico non verbale e regolato emotivamente. Prima della comparsa del linguaggio quindi esistono dei livelli diversi di scambio intersoggettivo che non cessano di qualificare affettivamente le nostre dinamiche relazionali nella vita adulta. Le emozioni gli affetti hanno una funzione cruciale per la ricettività ed espressività. Raymond Bellour ha compreso l'efficacia di queste dinamiche comunicative affettive nel coinvolgimento spettatoriale e ha introdotto negli studi sul cinema modelli e nozioni dello psicologo Daniel Stern. In particolare la nozione di affetto vitale elaborata da Stern nello studio delle interazioni precoci è stata messa da Bellour in relazione con il piacere sottile offerto ad esempio da un movimento di macchina che genera dinamiche ritmico figurative tra oggetti filmati. Secondo Bellour se un cineasta e attento alle micro dinamiche della messa in scena riesce a dare corpo a una sensazione sottile che chiama emozione intensiva (o affettiva) e che costituisce il cuore del sistema dell'affettività cinematografica queste emozioni sono indipendenti dai contenuti narrativi, perché riguardano prevalentemente i tracciati sensibili determinati dalle opzioni stilistico formali e si rivolgono all'esperienza dello spettatore considerata istante per istante. Stern prende in analisi le interazioni filmate tra madri e neonati. Essi costituiscono un aspetto fondamentale del coinvolgimento affettivo dello spettatore, se si abbandonala prospettiva in terza persona e si considera l'esperienza emozionale sul piano del vissuto soggettivo. Le forme vitali costituiscono un aspetto dell'esperienza umana che resta spesso nascosto nonostante sia sotto gli occhi di tutti, ovvero il senso di vitalità che permea la nostra esperienza. Questo senso di vitalità è soggettivo ed emerge mentre si vive un'esperienza, si manifesta in forme molteplici, determinate dall'interazione di 5 fondamentali eventi dinamici : movimento, tempo, forza, spazio, intenzione/direzionalità questo è alla base del coinvolgimento spettatoriale perché fonda la nostra percezione degli eventi sullo schermo come viventi. Per dare un nome a queste forme vitali Stern propone un elenco di parole come esplosivo, crescente, accelerato essi non rappresentano emozioni, non si riferiscono a pensieri né ad azioni ma sono legati più alla forma che al contenuto. Riguardano il come, la maniera e lo stile, più che il cosa o il perché. La percezione della vitalità corrisponde a un'esperienza olistica, globale e soggettiva. Le forme vitali sono amodali, il che le distingue dalle sensazioni, e prive di contenuto il che le distingue dalle emozioni. Corrispondono a impressioni, esperienze evidenti ma oscurate da altre percezioni più distinte. Affermare che le forme vitali non coincidono con le emozioni, pur essendo di natura affettiva, significa che non possiedono qualità percepite e schemi d'azione motoria. Una forma vitale può 16 accompagnare e intensificare emozioni diverse, tuttavia nel momento in cui si tiene presente l'esperienza vissuta non è più possibile considerare l'emozione senza pensare anche al profilo dinamico e vitale che la caratterizza. Considerare la forma dinamica con cui un'emozione si manifesta significa immergersi nel significato corporeo e affettivo di un'espressione o di un gesto. Si tratta di comprendere più il come che non il cosa o il perché. Se pensiamo alla partecipazione spettatoriale, l'interpretazione di un attore e gli elementi dello stile attribuiscono all'evento filmico la sua dinamica singolare che non coincide con la qualità espressiva del pianto del sorriso di un personaggio. Sotto i significati di queste espressioni c'è una miriade di modalità possibili che costituiscono il loro significato affettivo ossia la forma vitale di quel pianto di quel sorriso. Lo stesso vale per tutti i fattori formali che contribuiscono a conferire un senso di vitalità alla situazione rappresentata o all'universo narrativo: un movimento della cinepresa, il montaggio, un'inquadratura, la musica. Tutto questo costituisce per Bellour il cuore dell'emozione cinematografica intensiva. Bellour inoltre recupera un altro aspetto fondamentale che costituisce le interazioni tra madre e bambino fatte di gesti, movimenti, espressioni in basate più su dinamiche affettive che non su contenuti cognitivi. Se nei primissimi mesi queste interazioni hanno natura puramente imitativa molto presto si passa a un livello più specificamente intersoggettivo. Stern parla di sintonizzazione degli affetti: forme di comunicazioni transmodale di imitazioni per corrispondenza di stati affettivi interni. Forme di sintonizzazione caratterizzano anche le interazioni tra adulti e quindi il coinvolgimento cinematografico. i movimenti della cinepresa possono aggiungere un valore affettivo di attivazione che è indipendente dalle emozioni espresse ma che le amplifica. Non possiamo empatizzare con movimenti della cinepresa ma possiamo sintonizzarci con essi così come con gli aspetti dinamici e intensivi di ogni elemento della messa inscena. La sintonizzazione riguarda gli istanti cioè le unità minime dell'esperienza. Le modalità di interazione tipica e dei primi mesi di vita non spariscono nella vita adulta e le esperienze artistiche sono spesso in grado di farle riemergere. Prendere in considerazione le dinamiche vitali non cognitive evocate nei film ci consente di ricordare che se sono distinte dalle emozioni anche se le accompagnano intensificandole; e in quanto distinte e se mettono in atto un processo comunicativo di sintonizzazione affettiva che accompagna e qualifica le dinamiche più propriamente empatiche e di mind reading. 17 CAPITOLO 5 Le emozioni possiedono anche una componente anticipatoria oltre che reattiva. IL sistema anticipatorio del nostro cervello dipende dall’interazione tra dinamiche motorie, cognitive e affettive basate sulla proiezione temporale. Ogni film narrativo gioca con le aspettative dello spettatore confermandole o disattendendole, e ogni spettatore anticipa e integra eventi, sensazioni e emozioni che il racconto permette di suscitare. E’ una dinamica emozionale che fa sì che da impulsi affettivi dipendono le nostre attese, previsioni, curiosità relative a un evento o l’universo narrato. Senza un interesse di base, un desiderio di essere coinvolti è difficile pensare a reazioni empatiche o simpatetiche. L’affettività precede la percezione e l’interazione con l’ambiente si gioca in un intreccio di anticipazioni e reazioni. Ed Tan prevede al centro del coinvolgimento spettatoriale l’interesse, il quale ha la funzione di orientare il soggetto verso lo stimolo e la cui tendenza all’azione è la focalizzazione dell’attenzione. La disposizione a seguire gli accadimenti finzionali è basata sull’anticipazione di eventi successivi e sulle emozioni che li accompagnano. Tan vede l’esperienza dello spettatore simile a quella di un testimone appassionato che sperimenta emozioni focalizzate su eventi che accadono ad altri. Invece definisce fascinazione l’interesse non empatico che è focalizzato sul racconto o spettacolo in sé invece che sulla situazione del personaggio. La fascinazione è un’emozione la cui tendenza all’azione è un bisogno di continuare a guardare. Questo bisogno accompagna la tendenza spontanea dello spettatore ad anticipare gli eventi successivi. Interesse e fascinazione costituiscono i fondamentali aspetti pro-attivi dell’esperienza spettatoriale: bisogno di anticipare gli eventi e bisogno di continuare a guardare. Tan ha poi ampliato questa visione cognitivista con le neuroscienze e la filosofia della mente. Lo studioso afferma infatti che siamo animali empatici quindi naturalmente spinti a reagire emotivamente davanti al significato che una situazione ha per un personaggio e siamo anche animali curiosi nella misura in cui siamo spinti all’esplorazione degli stati mentali di un personaggio. E questa spinta è in sé gratificante. I sistemi motivazionali costituiscono un impulso che ci spinge al coinvolgimento. Il coinvolgimento nell’arte è in ogni caso gratificante poiché offre occasioni vicarie, immaginarie o finzionali per esercitare e organizzare abilità che in situazioni reali sarebbero occasionali o pericolose. Il piacere di ogni finzione deriva in parte dall’impulso innato al gioco come simulazione organizzata: la narrazione, il gioco del far finta, l’attività estetica hanno in comune il fatto di possedere una struttura formale, e l’esplorazione o comprensione di questa struttura è piacevole in sé. CARL PLANTINGA si riferisce alla fascinazione come a una delle emozioni dirette, quelle emozioni che derivano dal coinvolgimento dello spettatore e dal suo interesse per il contenuto della storia. Le emozioni dirette sono sperimentate per Plantinga, insieme alla comprensione della storia nel desiderio di anticipare o comprendere cosa sia o cosa possa accadere. La fascinazione qui intesa come emozione diretta e non simpatetica può accompagnare una scoperta fatta da un personaggio ma include anche la spinta dello spettatore ad anticipare il corso degli eventi, per Plantinga quindi questo meccanismo cognitivo si sovrappone all’interesse e alla curiosità. Tuttavia egli parla anche della fascinazione come una delle artifact emotions ossia le emozioni che riguardano il film come oggetto d’arte, il piacere offerto dal film come artefatto che organizza l’esperienza sensibile. Plantinga menziona il desiderio di comprendere ma si concentra sulla comprensione, aderendo al filone della teoria cognitivo-percettiva che non considera la gamma affettiva che accompagna l’esperienza. 3-piaceri dopaminergici 20 Le nostre capacità percettive e cognitive sono distinte tra quelle rapide e bottom up ciò scarsamente influenzate dalle nostre credenze e quelle deliberative e top-down informate di ciò che crediamo. Si deve pensare alla suspense come connessa ai processi botton-up per cui continuiamo a provare suspense nonostante sappiamo gli esiti degli eventi narrativi. Anche Smith però non considera i circuiti emozionali di processo primario per concentrarsi su dinamiche percettivo-cognitive. Xavier Pérez pone al centro del discorso sulla suspense cinematografica le dinamiche temporali. Secondo Pérez la suspense opera attraverso una gratificazione audiovisiva arrecata da una dilatazione della conclusione. Definisce il piacere della suspense masochistico nella misura in cui per masochismo intendiamo la dimensione dell’attesa del piacere. La durata esasperata della scena di suspense conduce all’individuazione di quello che Perez definisce “segmento critico”, ovvero quel frammento di film che esaspera visibilmente la durata compresa tra l’annuncio di una risoluzione e il ritardo nel soddisfarla. In un film narrativo classico è particolarmente importante la suspense per simpatia che dipende dai personaggi e da ciò che gli spettatori si augurano per loro piuttosto che quella per curiosità che riguarda lo svolgimento della storia a prescindere dai legami che si instaurano tra spettatore e personaggio. Il piacere anticipatorio è connesso al benessere futuro e agli obiettivi che ci si pone. La suspense secondo Pérez genera una dinamica in sé gratificante che riguarda la sopravvivenza e quindi i valori connessi alla fragilità dell’esistenza. Il personaggio che sta a cuore è soprattutto vittima che si confronta con una minaccia. E’ il potere situazionale a rendere coinvolgente il segmento. Calabrese ha ricordato come il sistema dopaminergico sia alla base di ogni processo decisionale, con riferimento alla predizione. La suspense, dunque, è una tensione carica di aspettativa e la tonalità emozionale con cui si sposa questa tensione anticipatoria è rilevante ma non sufficiente per descrivere la suspense. Se la suspense è un fenomeno tensivo situazionale, le sue componenti possono caratterizzare l’intera narrazione. Ogni narrazione ha un carattere anticipatorio che corrisponde a una scoperta graduale dei fatti da parte dello spettatore. 21 CAPITOLO 6 1-fascinazione e attaccamento Patrick Hogan ha sottolineato come le emozioni spettatoriali si comprendano meglio se intese come il risultato di attivazioni sottocorticali. Un’emozione manifesta un comportamento reattivo e insieme anticipatorio: è la reazione a un evento e insieme l’anticipazione di un altro. Questa linea è stata però poco seguita. Charles Eidsvik afferma che i film narrativi inducono negli spettatori reazioni emotive che una volta innescate possiedono una vita propria e di fatto sopravvivono agli eventi che le hanno innescate. Non solo, le emozioni interagiscono continuamente fra di loro. Eidsvik ripensa l’interesse in termini di affettività sottocorticale, facendo riferimento al sistema di RICERCA: l’interesse di Tan e la RICERCA di Panksepp hanno funzioni simili in quanto processi motivazionali che generano e mantengono le aspettative. Torben Grodal ricorda come l’attivazione del sistema della RICERCA costituisce la modalità fondamentale attraverso cui si processa un racconto. Il sistema della RICERCA è un sistema di processo primario, un impulso affettivo privo di contenuti. Grodal si riferisce al fenomeno della fascinazione nella discussione del melodramma. L’autore affronta il paradosso delle emozioni negative secondo il quale nella vita evitiamo emozioni quali la paura, il disgusto o la tristezza, mentre nelle opere di finzione queste emozioni possono darci piacere. Le opere d’arte, infatti, consentono l’esplorazioni di emozioni esistenziali intense in situazioni protette, risultando piacevoli anche se ci espongono a sentimenti spiacevoli. Grodal afferma che ogni esperienza vissuta possiede una fondamentale valenza edonica. Accade infatti a volte che la necessità di raggiungere un obiettivo rilevante a lungo termine richieda di accettare delle esperienze negative transitorie. La presenza di obiettivi sia nel quotidiano che nelle narrazioni contribuisce a modulare il significato delle diverse situazioni perché obiettivi a lungo termine aggiungono una valenza positiva alle situazioni anche spiacevoli. Il sistema della RICERCA, attraverso il rilascio di dopamina, offre sensazioni di valenza positiva anche a fronte di situazioni negative, attribuendo così alla situazione difficile una valenza edonica positiva. Ogni volta che il personaggio di un film si trova in una situazione critica a cui può reagire, lo spettatore sperimenta emozioni che non si limitano a reagire empaticamente alla situazione. L’avere un obiettivo ha come conseguenza il rilascio di dopamina che energizza e consente di sopportare lo sforzo alla reazione. Quando la reazione nei film come nella vita reale è diretta a uno scopo preciso parte del piacere deriva dal processo in sé. Un film narrativo ci invita a condividere le emozioni dei personaggi ma anche genera impulsi che possono diventare desideri anticipatori autonomi. La fascinazione coincide con il regime proattivo che caratterizza lo stato dello spettatore mentre segue con passione una vicenda o reagisce alle situazioni e stati emotivi dei personaggi. I film tristi solitamente pongono al centro dell’interesse le relazioni affettive tra i personaggi e consentono allo spettatore di esplorare vicende che lo riguardano sul piano esistenziale. La fascinazione, quindi, può essere definita come la propensione mentale-sentimentale a cercare quelle informazioni che sono o si pensano essere rilevanti per la nostra vita, a prescindere dal fatto che questo ci procuri piacere o dolore. Gli eventi tragici o pericolosi ci appassionano dal momento in cui l’evoluzione ci ha insegnato registrare qualsiasi tipo di informazione che possa aiutarci ad a evitare il male. La ricerca di informazioni pertinenti sul piano esistenziale sono comportamenti stimolanti ed energizzanti dal rilascio di dopamina. 22 Le narrazioni ci offrono una comprensione sperimentale dell’esperienza umana e dei valori affettivi per questo le emozioni negative evocate al cinema possono affascinarci. Tre-anticipazione atmosfera e mood Si è studiato come il rilascio di dopamina nell'impatto che sull'umore hanno i contrasti cromatici e luminosi sia implicata secondo un'interazione circolare: il tono murale modifica la percezione che a sua volta può modificare l'umore. la dopamina è importante nella nostra capacità di reagire alla luminosità dei colori e nel rilevamento dei contrasti. gli stati umorali corrispondono a Toni percettivi più o meno intensi e questi potrebbero a loro volta influenzare la percezione dei contrasti di luci e colori. questi fattori possono essere sfruttati in un film per la creazione di Moods. chino i muscoli corrispondono a esperienze non centrate sui personaggi. La psicologia cognitiva delle emozioni non distingue tra sentimenti esistenziali, effetti atmosferici e Mood e utilizza quest'ultimo termine per indicare stati soggettivi che sperimentiamo come meno intensi ma più pervasivi e durevoli delle emozioni. Greg Smith È stato il primo a fondare una teoria cognitivista del coinvolgimento spettatoriale che tiene in considerazione la nozione di mood il suo approccio si fonda proprio sulla dicotomia emozione-mood. Le emozioni sono per Smith stati mentali che hanno cause e oggetti cioè intenzionali, e in un film si basano tipicamente su necessità e dinamiche legate ai personaggi in relazione alle situazioni narrative. I moods hanno cause più difficili da identificare e non hanno oggetti specifici. Smith considera gli aspetti cognitivi dell'emozione come aspetti non necessari sebbene presenti nell'esperienza spettatoriale. le emozioni funzionano secondo prototipi che organizzano l'esperienza attribuendole un’intenzionalità cioè oggetti e obiettivi. riconosce però che alcune esperienze emozionali non funzionano secondo prototipi: una quantità di stimoli percettivi provenienti dall'ambiente possono però essere associati tra loro e indurre gli stati emotivi diffusi che chiamiamo stati d'animo o umori. il mood corrisponde al Tono suggerito da una particolare scena nell'intreccio degli elementi che lo compongono. Il livello più semplice è quello dell'atmosfera, un affetto che sembra emanare dall'ambiente; Mentre il Mood situazionale è uno stato preparatorio in grado di creare una sottile tensione anticipatoria che riguarda il flusso narrativo ma anche quello percettivo. Il Mood è generato, in un film, dall'intreccio di luci suoni colori e movimenti. In un film narrativo in quanto anticipazione di un’emozione, il mood Tenderà a svanire se non supportato da un date più intense di emozioni vere e proprie. a loro volta le emozioni se prive di un'anticipazione rischiano di Non attivare lo spettatore e dunque di mancare il suo coinvolgimento. Gli episodi emotivi sono dunque dei processi di intensificazione e rilassamento che si alternano rendendo efficace e coinvolgente una narrazione. la natura anticipatoria dei processi affettivo-emotivi costituisce il fondamentale sfondo da cui emergono i picchi emozionali. Smith afferma che la creazione del giusto Mood è il primo compito di un film e gli elementi stilistici possono fornire un fondamentale contributo a questo scopo. Ogni inizio ha il compito, tra le altre cose, di stabilire il giusto Mood cioè di predisporre lo spettatore sul piano emotivo, anche prima che vengano offerti indizi narrativi rilevanti. ” se prendiamo ad esempio il film Velluto blu di Lynch possiamo notare Come già dalle prime inquadrature si stabilisca il mood dominante della cittadina: concili limpidi, staccionate bianche, fiori colorati, pompieri che salutano i passanti così da enfatizzare già a film iniziato quel mood contrastante dato dalle immagini ad esempio del dettaglio che la donna sul divano sta guardando dalla sua televisione o dalla scena con la pompa dell'uomo che annaffia. tale discrepanza suggerisce l'arrivo di un pericolo imminente proprio nel cuore della serenità protettiva generale. si tratta del contrasto tra un’atmosfera, un'affettività che sembra emanare dall'ambiente e un mood situazionale cioè uno stato che ci prepara a interrompere di un episodio emotivo. in realtà la
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