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Riassunto Il teatro e il suo doppio, Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Riassunto libro Il teatro e il suo doppio di Artaud

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 10/10/2022

pierpaolo-strozzapreti
pierpaolo-strozzapreti 🇮🇹

4.3

(11)

18 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Il teatro e il suo doppio e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! Il teatro e il suo doppio, Antonin Artaud. Prefazione: Il teatro e la cultura. Mai come oggi si è parlato tanti di civiltà e di cultura, quando è la vita stessa che ci sfugge. C’è un parallelismo fra questo franare generalizzato della vita, che è alla base della demoralizzazione attuale, e i problemi di una cultura he non ha mai coinciso con la vita, e che è fatta per dettate legge alla vita. Il mondo ha fame, e non si preoccupa della cultura. La cosa più urgente non mi sembra difendere la cultura, ma estratte delle idee la cui forza di vita sia pari a quella della fame. Abbiamo bisogno di vivere, credere in ciò che ci fa vivere e che qualcosa ci fa vivere. Se è essenziale per noi mangiare subito, è più interessante non dissipare nell’unica preoccupazione di mangiare subito la forza del semplice fatto di avere fame. Non sono i sistemi filosofici a scarseggiare. Non dirò che i sistemi filosofici si debbano prestare a un’applicazione diretta e immediata; ma delle due l’una: - O sono in noi, e noi ne siamo permeati al punto da vivere di essi; - Oppure non ne siamo permeati, e allora non sono in grado di farci vivere. Bisogna insistere su questa idea di cultura in azione, che diventa come un organo nuovo: la civiltà, è cultura applicata, capace di guidare le nostre azioni più sottili; è puro artificio separare le civiltà dalla cultura. Un uomo è considerato civile in base al suo comportamento; ma la parola <<civile>> si presta a confusione; nel giudizio generale è civile e colto l’uomo al corrente dei sistemi. Tutte le nostre idee sulla vita devono essere riesaminate: la poesia che non è più in noi e che non riusciamo più a ritrovare nelle cose, torna a scaturire d’un tratto dalla parte sbagliata. Se il fine del teatro è offrire uno sbocco ai nostri sentimenti repressi, un atroce poesia si esprime in atti bizzarri che dimostrano il fatto che la sua intensità sia intatta. Per questo l’assenza di cultura sbalordisce davanti a certe grandiose anomalie. Protesta contro la cultura come concetto a se stante. Il totemismo è attore, in quanto si muove, ed è fatto per attori; ogni vera cultura si fonda sui mezzi barbari e primitivi del totemismo, la cui vita selvaggia, vale a dire io voglio esaltare. Arte e cultura non possono andare d’accordo. La vera cultura agisce con l0esaltazione e la forza, l’ideale estetico con lo gettare dello spirito in uno stato di separazione dalla forza e a farlo assistere alla propria esaltazione. Il vero teatro continua ad agitare ombre in cui la vita non ha cessato di sussultare. L’attore si muove e innegabilmente violenta le forme. Il teatro nasce nel momento in cui lo spirito per manifestarsi ha bisogno di un linguaggio. Il teatro e la peste. Occorre rilevare la singolare forza del ascino esercitato su di lui da quel sogno, nonostante i sarcasmi della folla e lo scetticismo dei suoi calpestando il diritto delle genti. Della sorte toccata al carico di appestati, le autorità portuali marsigliesi non hanno conservato ricordo. La peste del 1502 offrì a Nostradamus l’occasione di esercitare i suoi doni di guaritore, coincise in campo politico con quei gravi sconvolgimenti che precedono o seguono. Il teatro induce ad atti inutili e privi di benefici nel presente. Accettando quest’immagine spirituale della peste, si potranno considerare i turbati umori degli appestati come il volto solidificato e materiale di un disordine che equivale ai conflitti. Importa ammettere che la rappresentazione teatrale è un delirio. Il teatro è come la peste, non solo perché agisce su importanti collettività e le sconvolge in uno stesso senso. Nel teatro c’è qualcosa di vittorioso e insieme di vendicatore. La peste coglie immagini assopite e spinge d’improvviso fino a gesti estremi. Ritrova il concetto dei simboli e degli archetipi, che agiscono come colpi silenziosi, accodi musicali, brusche interruzioni. Questi simboli esplodono sotto forma di immagini che danno diritto di cittadinanza e di esistenza ad atti per loro natura ostili alla vita delle società. Come la peste, il teatro è un formidabile appello a forze che riportano con l’esempio lo spirito alla fonte dei suoi conflitti. Il teatro essenziale è come la peste, non perché è contagioso, ma perché è la rivelazione, la punta verso l’esterno di un fondo di crudeltà latente attraverso il quale si localizzano in un individuo o in un popolo tutte le possibilità perverso dello spirito, il teatro modellato su questo massacro, su questa separazione essenziale. Può darsi che il veleno del teatro, iniettato nel corpo sociale, lo disintegri. Il teatro è una crisi che si risolve con la morte o con la guarigione. Il problema che ora si pone è di sapere se nel nostro mondo che decade, che si avvia senza accorgersene al suicidio, sarà possibile trovare un gruppo di uomini capaci di imporre questo concetto superiore del teatro, che restituirà a tutti noi l’equivalente magico e naturale dei dogmi in cui abbiamo cessato di credere. La messa in scena e la metafisica. Nel Medioevo la Bibbia non era intesa come l’intendiamo noi oggi. Il suo pathos è percepibile anche di lontano, colpisce lo spirito con una sorte di folgorane armonia visuale. S’intuisce di aver davanti qualcosa di grande, e l’orecchio ne è scosso quasi quanto l’occhio. Un dramma di grande importanza intellettuale sembra essersi raccolto. In effetti il cielo del quadro è nero e carico. Non è possibile esprimere la soggezione dei diversi aspetti del paesaggio al fuoco che si è manifestato nel cielo. Fra mare e cielo sullo stesso piano prospettico della Torre Nera, avanza una sottile lingua di terra coronata da un monastero in rovina. Si direbbe che il pittore sia a conoscenza di certi segreti dell’armonia lineare. Tutte le altre sono metafisiche. Mi dispiace usare questa parola, ma è quella che occorre. C’è un’idea sul Divenire che i diversi particolari del paesaggio e il modo come sono dipinti introducono come lo farebbe la musica. Ce n’è un’altra sulla Fatalità, espressa attraverso il modo solenne in cui tutte le forme si compongono o si scompongono sotto di esso. C’è un’idea sul Caos. Affermo che questo dipinto è ciò che dovrebbe essere il teatro, se esso sapesse parlare il linguaggio che gli è proprio. Il dialogo non appartiene alla scena, appartiene al libro. Sostengo che la scena è un luogo fisico e concreto che esige di essere riempito e di poter parlare il suo linguaggio concreto. Questo linguaggio dee soddisfare i sensi. Ma si potrà domandare quali sono i pensieri che la parola non riesce a esprimere, e che possono trovare la loro espressione ideale, più che nella parola, nel linguaggio concreto e fisico del palcoscenico. Mi sembra urgente determinare in che osa consista il linguaggio fisico grazie al quale il teatro può differenziarsi dalla parola. Consiste in tutto ciò che occupa la scena. Questo linguaggio fatto per i sensi deve soddisfare i sensi. Il che non impedisce di sviluppare poi tutte le sue conseguenze intellettuali su tutti i piani e in tutte le direzioni possibili. Si può sostituire una poesia dello spazio, che si svilupperà nel campo che non appartiene rigorosamente alle parole. Questa assume parecchi aspetti: quelli di tutti i mezzi di espressione utilizzabili su un palcoscenico. Per <<pantomima non pervertita>> intendo la Pantomima diretta, in cui i gesti rappresentano idee, atteggiamenti dello spirito, aspetti della natura, e ciò vale a dire evocando oggetti o particolari naturali. Questi segni costituiscono geroglifici, entro i quali l’uomo è un elemento come gli altri, cui, grazie alla sua doppia natura, aggiunga prestigio. Tale linguaggio, che evoca nello spirito immagini di un’intesa poesia naturale, dà l’idea di ciò che potrebbe essere a teatro una poesia dello spazio indipendente dal linguaggio articolato. L’idea di una commedia nata direttamente dalla scena impone la scoperta di un linguaggio attivo dove siamo trascesi gli abituali limiti dei sentimenti e delle parole. In ogni caso un teatro che subordini la regia e lo spettacolo, è un teatro d’idioti, di pesanti, di droghieri. Il linguaggio dei gesti e degli atteggiamenti sono meno atti a illustrare un carattere, di quanto non lo sia il linguaggio verbale. Il nostro teatro non arriva mai a domandarsi se questo sistema sociale e morale non sia per caso iniquo. Il nostro teatro non è capace di porre questo problema nei termini ardenti ed efficaci che sarebbero necessari anche se ne fosse in grado, sfuggirebbe al suo oggetto, che è più alto e più segreto. Il teatro contemporaneo è in decadenza perché ha perduto il senso del serio, quello del comico. Perché ha rotto con la gravità, in una parola col Pericolo. Ha perduto il senso autentico dell’umorismo e del potere di dissociazione fisica e anarchica del riso. Perché ha rotto con quello spirito di anarchia profonda che è alla base di tutta la poesia. Bisogna pure ammettere che nel significato o nell’utilizzazione di una forma naturale, è tutta questione di convenzione. Si capisce che la poesia è anarchica. È anarchica nella misura in cui la sua apparizione deriva da un disordine che ci riavvicina al caos. Teatralmente questi spostamenti di significato potrebbero diventare l’elemento essenziale di quella poesia umoristica e spaziale che è compito esclusivo della regia. Mi sembra che il modo migliore per realizzare sulla scena l’idea di pericolo sia l’imprevisto oggettivo. La vera poesia, lo si voglia o no, è metafisica, il uo grado di efficacia metafisica ne costituiscono l’autentico pregio. Nel teatro Orientale di tipo metafisico, diversamente che in quello Occidentale di tipo psicologico, tutto l’insieme compatto di gesti, di segni, di atteggiamenti e di sonorità, che costituisce il linguaggio dello spettacolo e della scena porta il pensiero ad assumere atteggiamenti profondi che potrebbero essere definiti metafisica in atto. Per me il teatro identifica con le sue possibilità di spettacolo e le possibilità di spettacolo del teatro appartengono esclusivamente alla regia considerata come linguaggio dello spazio e del movimento. Trarre le estreme conseguenze poetiche dai mezzi di spettacolo, significa farne la metafisica, e penso che nessuno possa opporsi a questo modo di considerare il problema. Dare esempi obiettivi di questa poesia mi sembra difficile quanto comunicare a parole il senso della qualità particolare di un suono, o del grado e della qualità di un dolore fisico. Dovrei passare in rassegna tutti i mezzi d’espressione di cui il teatro dispone; mi limiterò pertanto a un paio di esempi. Il linguaggio articolato. Fare la metafisica del linguaggio articolato significa indurlo ad esprimere ciò che di solito non esprime. Significa considerare il linguaggio sotto forma di Incantesimo. La musica influisce sui serpenti, non è per le nozioni spirituali che offre loro. Le vibrazioni musicali che si trasmettono alla terra li raggiungono come un delicatissimo e lunghissimo massaggio; propongo di agire sugli spettatori come gli incantatori sui serpenti. Usando mezzi grossolani, ed affinandoli poi man mano. Nel <<teatro della crudeltà>> lo spettatore è al centro, mentre lo spettacolo lo circonda. La sonorizzazione è costante. Fra questi interviene la luce. Luce che porta in sé la propria energia. L’azione e il dinamismo dell’azione: qui il teatro si mette in comunicazione con forze pure. Un’azione violenta e concentrata è una forma di lirismo: suscita immagini soprannaturali. Il gesto teatrale è violento, ma gratuito; il teatro insegna li inutilità dell’azione che non è da compiere. Propongo un teatro in cui immagini fisiche violente frantumino e ipnotizzino la sensibilità dello spettatore travolto del teatro come da un turbine di forze superiori. Un teatro che racconti lo straordinario e si presenti come un’eccezionale forza di derivazione. Il teatro e la crudeltà (05/1933). Un’idea del teatro si è perduta. Nella misura in cui il teatro si limita a farci penetrare nell’intimità di qualche fantoccio è logico che l’élite lo abbandoni e che vadano a cercare nel cinema, soddisfazioni violente. I misfatti del teatro psicologico derivato da Racine ci hanno disabilitati all’azione immediata e violenta che dovrebbe essere propria del teatro. Nell’epoca angoscia e catastrofica in cui viviamo, sentiamo con urgenza la necessità di un teatro che non sia al di qua degli avvenimenti, la cui risonanza in noi sia profonda, e domini l’instabilità dei tempi. Teatro della Crudeltà vuole ricorrere allo spettacolo di massa. Se vuol ritrovare la sua necessità, bisogna che il teatro ci restituisca tutto ciò che è nell’amore, nel dibattito, nella guerra o pazzia. L’amore, l’ambizione, le preoccupazioni valgono in quanto reazione a quella sorta di terribile lirismo. Siamo convinti che nella cosiddetta poesia esitano forze vive. Vogliamo fare del teatro una realtà alla quale si possa credere e che dia al cuore e ai sensi quella specie di concreta sferzata inseparabile da qualsiasi sensazione autentica. Il pubblico crederà ai sogni del teatro a condizione che li consideri sogni. Per raggiungere la sensibilità dello spettatore anziché fare della scena e della sala due mondi chiusi, senza comunicazione possibile, diffonda i suoi bagliori visivi e sonori su tutta la massa del pubblico. Staccandoci dal terreno dei sentimenti, contiamo di impiegare il lirismo dell’attore al fine di rendere manifeste certe forze esterne, e far rientrare la natura intera nel teatro quale noi lo intendiamo. Intendiamo resuscitare un’idea di spettacolo totale, in cui il teatro riprenda al cinema, al music-hall ciò che da sempre gli è appartenuto. La separazione fra teatro d’analisi e mondo plastico che ci sembra stupida. Da un l<to la massa e l’estensione di uno spettacolo che si rivolge all’intero organismo; dall’altro un’intensa mobilitazione di oggetti, di gesti e di segni impiegati secondo un nuovo spirito. Le parole dicono poco allo spirito. Abbiamo formulato un programma che deve permettere a mezzi di regia pura. Il teatro della crudeltà. Primo manifesto. Non si può continuare a prostituire l’idea di teatro, il suo valore risiede in un rapporto magico e atroce con la realtà e con il pericolo. Il problema del teatro deve destare l’attenzione di tutti, essendo che permette ai mezzi magici dell’arte e della parola di agire organicamente e nella loro totalità. Anziché tornare a testi ritenuti sacri e definitivi, è importante spezzare la soggezione del teatro al testo, e ritrovare la nozione di una sorta di linguaggio unico a mezza strada fra gesto e pensiero. Ciò che il teatro può ancora strappare alla parola sono le capacità di espansione oltre le singole parole. Entrano in gioco le intonazioni oltre il linguaggio acustico dei suoni, entra in gioco il linguaggio visivo degli oggetti. Si tratta di creare una metafisica della parola al fine di strapparlo alle pastoie psicologiche e sentimentali. Non si tratta di portare sulla scena idee metafisiche, ma di creare intorno a queste idee particolari tentazioni. L’umorismo con l’anarchia, la poesia con il suo simbolismo suggeriscono una nozione dei mezzi atti a canalizzare la tentazione di tali idee. Utilizza movimenti, ritmi, ma solo in quanto possono contribuire a una sora di espressione totale, senza profitto per una particolare arte. Perché tutto questo magnetismo, tutta questa poesia, e questi mezzi d’incantesimo non vorrebbero dir nulla se non servissero a portare fisicamente lo spirito sulla via di qualcosa, se il vero teatro non ci sapesse dare il senso di una creazione di cui conosciamo soltanto un aspetto, ma che si completa su altri piani. Quel che conta è valersi di mei sicuri per rendere la sensibilità capace di percezioni più sottili e più approfondite. Tecnica. Si tratta di fare del teatro una funzione, nell’accezione prima di questo termina. Un autentico soggiogamento dell’attenzione. Il teatro non potrà ritrovare se stesso. Il teatro dee ricercare con tutti i mezzi una riaffermazione non soltanto di tutti gli aspetti del mondo oggettivo e descrittivo esterno, ma cioè dell’uomo metafisicamente considerato. Considerare il teatro una funzione psicologica o morale di seconda mano, e credere che i sogni stessi non siano altri che una funzione sostitutiva, significa diminuire la portata poetica e profonda si a dei sogni che del teatro. È evidente che deve permettere di violare i consueti limiti dell’arte e della parola per realizzare magicamente, in termini reali, una sorta di creazione totale. I temi. Non si tratta opprimere il pubblico con preoccupazioni cosmiche trascendenti. Ciò non riguarda lo spettato il quale non prova per essere il minimo interesse. Lo spettacolo. Ogni spettacolo conterrà un elemento fisico e oggettivo percepibile da tutti. La regia. Intorno alla regia, intesa come punto di partenza di qualsiasi creazione teatrale, si costruirà il linguaggio tipico del teatro. Il linguaggio della scena. Non si tratta di sopprimere la parola articolata, ma di dare alle parole all’incirca l’importanza che hanno nei sogni. Bisognerà trovare modi nuovi di registrare questo linguaggio. Poiché alla base di questo linguaggio c’è un particolare impiego delle intonazioni, le intonazioni stesse devono costituire una sorta di armonioso equilibrio. Vi è un’idea concreta della musica, in cui i suoni intervengono come personaggi, e le armonie sono spezzate in due e si dissolvono negli interventi precisi delle parole. Fra un mezzo d’espressione e l’atro si creano così piano e corrispondenze; e persino la luce può avere un preciso significativo intellettuale. Gli strumenti musicali Saranno usati come oggetti e come elementi scenografici. La luce, l’illuminazione. Gli apparecchi luminosi attualmente in uso nei teatri sono sufficienti. Si dovranno ricercare effetti di vibrazione luminosa. Il costume. Si eviterà l’abito moderno. La scena, la sala, Noi sopprimiamo la scena e la sala, sostituendole con una sorta i luogo unico, senza divisioni né barriere di alcun genere, che diventerà il teatro stesso dell’azione. Sarà ristabilita una comunicazione diretta fra spettatore, situato al centro dell’azione, sarà da essa circondato e in essa coinvolto. Oggetti, maschere, accessori. Manichini, maschere enormi, oggetti di straordinarie proporzioni avranno la stessa importanza delle immagini verbali. La scenografia. Non ci sarà scenografia. Basteranno i personaggi geroglifici. L’attualità. Ma, si potrà obiettare, un teatro così lontano dalla vita, dagli avvenimenti, dalle preoccupazioni attuali. Le opere. Non rappresenteranno testi scritti, ma tenteremo saggi di regia diretta. Lo spettacolo. Esiste un’idea di spettacolo integrale che deve essere riportata in onore. L’attore. L’attore è un elemento di primaria importanza, dall’efficacia della sua interpretazione dipende il buon esito dello spettacolo. L’interpretazione. Dall’inizio alla fine lo spettacolo sarà cifrato come un linguaggio. Il cinema. Alla visualizzazione grossolana di ciò che è, il teatro, grazie alla poesia, contrappone le immagini di ciò che non è. La crudeltà. Senza un elemento di crudeltà alla base di ogni spettacolo, non esiste teatro. Il pubblico. Bisogna che questo teatro sia. Il programma. Rappresenteremo: 1. Un adattamento di un lavoro dell’età di Shakespeare; 2. Un lavoro di estrema libertà poetica di Léon-Paul Fargue; 3. Un frammento di Zohar; 4. La storia i Barabablù; 5. La presa di Gerusalemme; 6. Un racconto del marchese de Sade nel quale l’erotismo verrà trasposto; 7. Melodrammi romantici; 8. Il Woyzeck di Buchner; 9. Drammi del teatro elisabettiano spogliati del loro testo. Lettera sul linguaggio. Prima lettera. Il teatro, arte autonoma e indipendente, per risorgere o anche soltanto vivere, deve sottolineare ciò che lo differenzia dal testo, dalla parola pura, dalla letteratura e da ogni altro mezzo scritto e codificato. Che il teatro sia divenuto un fatto psicologo, un’alchimia intellettuale dei sentimenti, e che il vertice dell’arte nel campo del dramma, consista ormai in un ideale di silenzio e d’immobilità, altro non è che la perversione scenica dell’idea di concentrazione. Il teatro deve diventare una sorta di dimostrazione sperimentale dell’identità di fondo fra concreto e astratto. Seconda lettera. Il teatro non si baserà più sul dialogo, e il dialogo stesso non verrà redatto; sarà fatto sulla scena. Terza lettera. Il teatro non è più arte; o è un’arte inutile. Si uniforma in ogni punto al concetto occidentale dell’arte. Il teatro della crudeltà. Secondo manifesto. Coscientemente o no, ciò che il pubblico cerca nell’amore, nel delitto, nelle droghe + uno stato poetico, un’esperienza vitale. 1. Il contenuto: Soggetti e temi da trattare: sceglierà temi e soggetti che corrispondono all’agitazione e all’inquietudine tipiche della nostra epoca. I grandi sconvolgimenti sociali, le forze naturali, l’intervento del caso si manifestano sia indirettamente che direttamente. 2. La forma: I temi saranno portati direttamente sulla scena e materializzati in gesti prima di essere filtrati in parole. Ci rallacciamo all’antico spettacolo popolare. Al massimo numero possibile di movimenti affiancheranno il maggior numero possibile di immagini fisiche e di significati, collegati ai medesimi movimenti. Il Teatro della Crudeltà intende riporre tutti gli antichi e sperimentati mezzi magici atti e raggiungere la sensibilità. Lo spettacolo si estenderà alla sala intera del teatro e si arrampicherà sui muri avvolgerà lo spettatore. Al scena sarà costituita dai personaggi stessi e da paesaggi di luci mobili. Fra vita e teatro verrà abolito ogni taglio netto ad ogni soluzione di continuità. Il primo spettacolo del Teatro della Crudeltà: LA CONQUETE DU MEXIQUE Metterà in scena avvenimenti. Questo argomento è stato scelto: 1. Per la sua attualità e per tutte le possibili allusioni e problemi di vitale interesse per l’Europa e per il mondo; 2. Ponendo i problema terribilmente attuale della colonizzazione e del diritto che un continente si arroga do ridurne un altro in schiavitù. Pone in luce la gerarchia organica della monarchia azteca basata su indiscutibili principi spirituali. Un’atletica effettiva. L’attore è simile a un vero e proprio atleta fisico; all’organismo atletico corrisponde in lui un organismo affettivo, parallelo all’altro, quasi il suo doppio benché non operante sullo stesso piano. L’attore è un atleta del cuore. Qui il movimento è rovesciato e mentre il corpo dell’attore è sostenuto dal respiro del lottatore o dell’atleta si sostiene sul corpo. Più la recitazione è sobria e contenuta, più il respiro è sovraccaricato di riflessi. Una recitazione impetuosa corrisponde una respirazione ad ansiti brevi e schiacciati. Ogni sentimento corrisponde un respiro che gli è proprio. E come tutti gli spettri questo doppio ha la memoria lunga. La memoria del cuore è duratura. Questo significa che il teatro l’attore deve prender coscienza del mondo affettivo, un significato materiale. Conosce il segreto del ritmo delle passioni di questa sorta di tempo musicale che ne regola il battito armonico, ecco un aspetto del teatro cui da tempo il nostro moderno teatro psicologico ha sicuramente cessato di pensare. Il respiro accompagna lo sforzo. Tale sforzo avrà il colore e il ritmo del respiro artificialmente prodotto. Lo sforzo accompagna per simpatia il respiro. Il respiro accompagna il sentimento, e si può penetrare nel sentimento attraverso il respiro, purché si sia riusciti a scegliere fra i respiri quello che meglio conviene a un dato sentimento. Poiché il teatro è simbolo perfetto e più completo della manifestazione universale, l’attore porta in sé il principio di questo stato. Il punto dell’eroismo e del sublime è quello stesso del senso di colpa. Il luogo dove ribolle l’ira. Ogni emozione ha basi organiche. E coltivando l’emozione nel proprio corpo l’attore ne ricarica il voltaggio. Sapere in anticipo quali punti del corpo bisogna toccare significa gettare lo spettatore in trances magiche.
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