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Riassunto in 12 pagine di Culture in mostra di Karp e Lavine, Sintesi del corso di Museologia

Il documento tratta delle problematiche legate all'allestimento museale e alla rappresentazione dell'alterità. Viene analizzato il ruolo del museo come modo di vedere e come strumento di trasmissione di valori e contenuti culturali e politici. Vengono inoltre affrontati temi come la fruizione libera o guidata delle esposizioni, la rappresentazione delle culture che non hanno oggetti di interesse visivo e il problema dell'autenticità degli oggetti esposti.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 17/01/2023

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Scarica Riassunto in 12 pagine di Culture in mostra di Karp e Lavine e più Sintesi del corso in PDF di Museologia solo su Docsity! Culture in mostra. Poetiche e politiche dell’allestimento museale ac di Karp, Lavine Introduzione by Drugman : una meravigliosa risonanza Mentre l’eco si fa planetaria, la cult si framm e va in cerca di radici locali: come evitare di rinchiudersi in sterili particolarismi se non mettendo le nostre id a cfr con altre storie e cult? Ma è poss rappr le diversità? Una sapiente pol in campo museale può costituire occ di incontro e conoscenza, senza scadere nell’esotismo. Qst libro nasce dalla prestigiosa Smithsonian Institution in collab con la Fondazione Rockeffeler; esso si interroga sulle forme espositive tutte e ovv si pone il problema della rappr dell’alterità, specie all’interno della forma museo. Museo e mostre non sono entità statiche bensì una sorta di campo magnetico in cui entrano in gioco distinti e autonomi elementi: chi produce gli ogg, chi li espone e chi va a vederli. Gli ogg sono tutti portatori di cult e signif ma di per sé non parlano, non hanno voce; la loro capacità di comunicare qlc scaturisce dalle interazioni fra gli elem suddetti. Esporre signif infatti creare in maniera artistica una nuova ricettività nei cfr del mondo. Esporre signif prod nuova conoscenza, per i visitatori ma anche per gli allestitori e curatori. Va tenuto presente che nessuna esposizione è neutra e per qst occ sempre dichiararne i presupposti. E bisogna scegliere in quale grado lasciare il pubblico a una fruizione libera o guidata delle esposizioni. Qst e vari altri temi compongono la grande questione del “museo come modo di vedere”, come forma di spettacolo teatrale, come strum di trasmissione di valori e contenuti pol, come saccheggio, come luogo-museo, come monumento alla fragilità delle culture. Le mostre museali sono poi luoghi soc di incontro (fra ogg-sogg), forme di narr in cui si riattualizza il pass, occasioni rituali in cui emerge l’invisibile, eventi cui il pubblico è invitato a partecipare. Infine c’è la questione del simulacro, del falso come proc positivo, il problema dell’autenticità degli ogg, il fraintendimento che porta all’esposizione di ogg d’uso non concepiti per essere guardati etc Ringraziamenti I saggi raccolti nel volume sono stati originariamente presentati al convegno “The Poetics and Politics of Representation”, 26-28 sett. 1988 presso International Center of the Smithsonian Institution a Washington. Si trattò di uno dei due convegni realizz per riflettere sulla presentazione/ interpretazione delle diff culturali in ambito museale; il secondo convegno si chiamava “Museums and Communities”. Entrambi i convegni sono stati promossi dalla Smithsonian Institution e dalla Rockefeller Foundation. 1. Il museo come modo di vedere L’autore ricorda un granchio visto esposto al Peabody Museum da ragazzo. Osserva come egli non sapesse nulla del granchio, del suo habitat, delle sue abitudini, delle modalità della sua cattura etc. Al museo lo poté oss solo come manufatto. Il museo, isolandolo ed esponendolo in una vetrina vuota, lo aveva trasf in un ogg di interesse visivo. Durante la loro lunga storia, i musei europei hanno sempre sollecitato il visitatore a guardare gli ogg come fossero espressioni artistiche. Cfr prime coll enciclopediche rinascimentali, ricche di ogg di interesse visivo benché di nat molto differente (ogg artificiali, naturali e misti). Qst capacità del contesto museale di trasf quanto vi viene inserito ed esposto la possiamo chiamare “effetto museo”, cfr storia dell’arte “primitiva” e relativi dibattiti. L’effetto museo è in verità un modo di vedere. Piuttosto che cercare di superarlo, occ iniziare a farne un uso consapevole. Molto prob l’esp museale trasmette nozioni di cult solo quando o nella misura in cui un ogg è stato costruito con consapevole att per l’asp visibile della sua fattura, ossia quando gli asp cult di un ogg sono riconducibili a ciò che i musei sanno promuovere nel migliore dei modi (anche se capita pure che un museo renda diff la visione attenta). Cfr esempio di una mostra sulla pittura di paes olandese del ‘600: si sceglie di org in ordine cronologico, mentre il catalogo viene ordinato alfabeticamente per artista. Peccato che tale org non sia proprio adatta per qst part prod pittorica. La cult visiva dei dipinti olandesi è infatti strett legata non tanto all’evoluzione stilistica di una det scuola quanto piuttosto a ispirazioni molto personali derivanti dalle carte geo e da simili prodotti, dall’interesse per la rappr della luce o da quello per l’ottica. I pittori olandesi non sono poi famosi per i dipinti storici o di eventi pubblici. E fa strano cercare di org mostre loro imperniate attorno a eventi storici di rilievo che si vuole commemorare. Es mostra promossa dal museo centrale di Utrecht per commemorare l’indipendenza dei PB dalla Spagna. La mostra non pres dipinti che illustravano avvenimenti storici bensì dipinti che costituivano essi stessi un fatto soc. Secondo l’autore qls cosa stia in un museo è molto infl da un modo di vedere. Una presentazione seriale, sia essa di dipinti o cose varie, stab det parametri di interesse visivo e poco imp che si sappia se quei parametri siano gli stessi di chi ha prod gli ogg. Chiaramente, certi ogg esposti stimolano più di altri l’attenzione del pubblico, perché sono fatti per essere guardati o perché sono part estranei all’esp del visitatore. In tal caso, il museo riesce a dare conto della diff visiva ma non nec del suo signif cult. Solo da pochi anni, pop e gruppi si sono resi conto che essere rappr in un museo signif essere riconosciuti come pres cult e da qui deriva la preoccupazione e nec di farlo nel modo migliore possibile. Come rappr cult altre senza disconoscerle? Come rappr cult che non hanno ogg di interesse visivo? Inoltre, come rendere conto delle cult dal mom che esse non si riducono alla loro cult mat? Il fatto è che il nostro modo di vedere può aprirsi a cose diverse ma resta sempre nostro (di pubblico e curatori/ allestitori) > questione della fruizione più o meno libera/ guidata. Al di là del fornire o meno info, va considerato che già il modo di esporre e disporre un ogg, la sua cornice/ supporto, la sua posizione rispetto all’oss e agli altri ogg, l’illuminazione etc, infl il nostro modo di percepire l’ogg stesso. Bisogna sempre chiedersi quindi perché e con quali scopi visivi scegliamo qst o quel criterio espositivo IN CONCLUSIONE per quanto rig la rappr della cult in un museo, va detto che i musei trasf le testimonianze mat degli altri in ogg d’arte, ogg suscettibili di oss diretta e attenta. È dunque per noi stessi che rappr le cose nei musei, creando insieme un effetto distanza e un senso di affinità con ogg distanti nel tempo e nello spazio. 2. Intento espositivo: alcune precondizioni per mostre di ogg espressamente culturali L’esposizione trad mette in mostra una serie di ogg in modo che possano essere esaminati; gli ogg vengono coll in vetrine, su supporti, alle pareti etc e dotati di cartellini, fogli esplicativi, catalogo. Eventualmente si agg a ciò video o filmati, performance teatrali e musicali, saggi culinari etc. Il fulcro della mostra rimane cmq la coll mat. Il visitatore tipo è membro adulto di una soc evoluta, possiede una idea di museo come tempio laico e strum educ. Il visitatore tipo va alle mostre per vedere cose di interesse visivo, alcune delle quali attrarranno la sua att più di altre, e per imparare qlc di nuovo inerentemente a ciò che guarda. In molta parte, i giudizi del visitatore saranno det dalla cult di appartenenza, oltre che dall’esposizione e dalle info fornite. Occorre ricordare infatti che non esiste esposizione/ mostra senza interpretazione e senza quindi appropriazione. Chi oss un ogg prov da una cult lontana nel tempo o nello spazio si trova in una posizione complessa, cfr dibattito sviluppatosi in occ dal ‘700 a oggi. Tre sono gli elem che qui si intersecano: le idee, i valori e gli obiettivi della cult di provenienza, del mostra e dei visitatori-osservatori (ognuno con un div bagaglio cult). Effetto museo > vedo un ogg esposto e penso che sia imp. Prima la osservo e ne ricavo impressioni personali. Poi leggo il cartellino, che può avere funz descrittiva e/o esplicativa. Il cartellino mi dice a che tipologia di ogg la cosa esposta appartiene; informa sui materiali usati, sull’uso che se ne faceva originariamente etc. Tutte qst info fanno sì che il visitatore ri-osservi con occhio nuovo (e influenzato) l’ogg esposto. Tutto qst è ovvio ma funzionale a ribadire la nec di abbandonare un certo tipo di mostra, che induce il visitatore a pensare che una cultura (entità statica) sta rappr un’altra cult (entità statica). Secondo l’autore è più produttivo concepire la mostra come un campo in cui sono in gioco almeno tre elem distinti e autonomi: chi produce gli ogg, chi li espone e chi va a vederli. Nell’esposizione agiscono tutti e tre gli elem. L’attività di ciascuno di essi è div orientata, ognuno di essi conduce un gioco diverso nello stesso campo. Chi produce l’ogg avrà infatti una conoscenza part profonda e istintiva dell’ogg stesso; la sua soggettività si esprime nelle mostre attraverso i suoi stessi prodotti materiali. Il curatore della mostra è operatore cult tanto quanto lo è l’artigiano; attraverso il suo concetto di “cultura”, si appropria di ogg altrui per allestire buone mostre ed educ il pubblico sulla base di det teorie della cult. L’osservatore è plasmato dalla cult di provenienza, ha una sua idea di museo, solitamente in sintonia con il prog espositivo; egli va al museo per vedere cose e per comprenderle in termini funzionali o teleologici. Qst tre attori/ giocatori sul campo interagiscono nello spazio tra l’ogg e il cartellino. Qst è uno spazio intellettuale perché il cartellino non descrive dirett l’ogg (al di là di qlc info base), bensì illustra ciò che il curatore della mostra pensa sia imp da comunicare riguardo all’ogg. Davanti all’ogg e al cartellino, l’oss sarà indotto a chiedersi le ragioni dell’uno e dell’altro, cioè del produttore e del curatore. In ciò l’oss si costituisce come sogg non già passivo, ma molto attivo. Egli si muove fra ogg e cartellini in libertà e con spirito critico, selezionando info e impressioni al fine di affinare la propria percezione dell’ogg. Quando prog mostre, i curatori devono essere consapevoli degli altri elem attivi in gioco. Il curatore sa che saranno suscettibili di una migliore esposizione quegli ogg nati per essere guardati e quindi meno fraintendibili. L’oss esaminerà qst ogg sulla scorta magari di concetti e schemi inadeguati (e qui il curatore può intervenire) ma la sua curiosità visiva non sarà cmq inadeguata. Per aiutare l’oss critica, sono part utili le mostre in cui si fav un cfr fra culture diverse. L’accostamento di ogg appartenenti a sistemi cult div segnala al visitatore non solo la varietà di quei sistemi ma anche la relatività cult dei suoi concetti e valori. Viceversa, di fronte a un insieme di ogg che hanno una forte coerenza cult l’osservatore è meno attento a percepire la distanza. Si può anche mettere in mostra un rapp interculturale, es fra la nostra cult e un’altra. Il museo è solo un caso part di un più generale proc cult e cognitivo in cui gli ogg acquistano signif attraverso l’associazione con la conoscenza più che con la sensibilità. Da qst punto di vista gli esempi giapponesi iniziali sono sì modelli elaborati e cult specifici, ma indicano la più generale tendenza umana a palesare l’invisibile attraverso l’ordinamento visibile degli ogg (cfr teoria del totemismo Durk e LS). Tornando ai giapponesi appunto, si porta l’att sulla nozione di mono, che in origine indicava le radici visibili/ invisibili dell’ogg per poi finire a indicare l’essere organico-materiale. Esporre un ogg signif mettere in scena quella dialettica per cui una serie di eventi visibili/invisibili viene a formarne la materialità degli ogg. Esporre div così uno strum per percepire la pienezza del reale. Gli ogg (mono inanimati) fungono da tramite fra il visibile/ invisibile; ogni colleg è stabilito sopratt attraverso l’esposizione. L’influsso del mono scaturisce dal luogo in cui si trovano gli ogg e dal modo in cui sono usati; il mono connota infatti non tanto un essere singolo ma un essere in relazione ad altri esseri. Il mono ha quindi due facce, una classificabile e descrivibile perché visibile, l’altra sfuggente e variabile. In Giapp gli ogg immobili non sono solo esposti ma anche portati in processione. Ciò ci riporta alla parola mitate, l’arte della citazione. Mitate può indicare anche il simulacro, uno pseudo-ogg, una esp allestita per gli dei (e d’altra parte lett signif “vedere” “collocare, disporre”) e accompagnata da un testo narrativo. L’antico modello ideale di esposizione prevede che la realtà sacra si palesi attrav la mediazione della storia, della topografica mitologica, della rappr drammatica, della mostra di ogg. L’invisibile può manif attraverso i simulacri, le copie, le cose non autentiche. Drammatizzare/ esporre signif infatti rendere autentico, significante. 5. Altro passato, altro contesto: esporre l’arte indiana all’estero L’autore descrive due mostre di cui ha avuto esp diretta: Rasa: i nuovi volti dell’arte indiana, Grand Palais, Parigi 1986 + L’essenza dell’arte indiana, Asian Art Museum, San Francisco, 1986. Entrambe le mostre ebbero origine nel 1983 post visita in India di un gruppo di colleghi francesi, quando si annunciò e programmò manif cult dedicate all’India, compresa una imp mostra d’arte di cui però, dapprima, non si sapeva l’ampiezza e i temi. La situazione era aperta. I francesi volevano una mostra che dicesse qlc, una mostra originale. Da qui l’idea di incentrarla sul concetto indiano di rasa, “piacere estetico”, strettamente legato all’arte indiana e alla sua fruizione. Se fosse stato poss adottare qst prosp l’arte indiana stessa sarebbe risultata più accessibile al grande pubblico. Il rasa è un concetto chiave, uno dei termini più imp relativi alla teoria dell’arte indiana. Il termine viene usato in relazione a tutte le arti. In linea di massima, in India il fruitore considera l’arte valida solo nella misura in cui conduce a un’esp del rasa, cioè a un’esp piacevole che scaturisce dalle qualità dell’opera. Rasa signif infatti succo, estratto, fluido. Rappr un po’ il gusto, l’aroma, il sapore di un’opera e la condizione di intenso piacere percepibile solo dallo spirito di colui che fruisce l’opera stessa. Al plurale, rasa fa rif alle 8/9 condizioni emotive che possono costituire il patrimonio di una data opera e che il fruitore può sperimentare: l’erotico, il comico, il patetico, l’ira, l’eroico, il terribile, l’odio, il meraviglioso, il quieto. L’idea è che il rasa o piacere estetico sia unitario ma si offra al fruitore mediato da uno di qst modi di sentire. Al tempo stesso, essendo il rasa un’esp, non è intrinseco all’ogg d’arte, bensì appartiene esclusivamente al fruitore, l’unico che può averne quella data esperienza. Come il rasa si origini e come lo si possa gustare è stato ogg di lunghi dibattiti fra studiosi e teorici indiani. Ogni rasa ha la sua controparte in ciò che viene chiamato bhava, sentimento o tono dominante. Es al rasa erotico corrisponde il bhava dell’amore, a quello comico il bhava della letizia etc. Il bhava è pertinente all’opera e può essere consapev perseguito dall’autore che cercherà di creare una det atmosfera tramite l’uso di una serie di “fattori determinanti”, accuratamente scelti. Altrettanto imp la scelta sia dei “fattori conseguenti conformi”, che consistono in gesti e mov in armonia con l’atmosfera dell’opera, sia degli “stati emotivi complementari/ transitori”. Tutti qst stati emotivi (determinanti, conseguenti e complementari) agiscono sulla mente del fruitore, scuotendo il suo cuore. Da qst sommovimento si crea unno stato emotivo dominante, un bhava permanente. Poi improvv il bhava si trasf in rasa. Tale trasf avviene sempre in modo diverso e può aver luogo solo se sono presente det precondizioni. Quando sovviene il rasa, il fruitore è colto di sorpresa da una esp estatica part profonda. È un’esp che non è poss perseguire coscientemente: se accade, accade all’improvviso. Certo qst concetti risultano complessi, esotici e misteriosi ai più non-indiani, tuttavia essi hanno un ruolo centrale nell’esp indiana dell’arte. E vi erano molti altri limiti nel prog di allestire una mostra d’arte basata sul rasa. Tale mostra rischiava di essere criticata come antiquata (anche se era un tentativo mai fatto prima) o di essere consid una bizzarria. Inoltre non tutta l’arte indiana poteva essere compresa nella prosp del rasa, cfr ritrattistica, arte filo-islamica, arte di genere, cioè collegata alla vita quot, arte religiosa (a meno che non si considera la devozione bhakti come rasa). Nonostante tutto l’autore si decise ad adottare qst prosp convinto che ciò avrebbe permesso al visitatore occ di avvicinarsi all’arte indiana e alla cult indiana. Così l’autore è andato avanti nell’org della mostra, scegliendo nelle coll indiane, pubbliche e private, alcune opere secondo lui significative ed eloquenti. Selezione sogg ovviamente. Le opere selezionate sono state divise in 9 sezioni, corrispondenti ai 9 rasa. Inoltre sono state mescolate opere pittoriche e sculture. No ordine cronologico. Nelle schede del catalogo vi erano solo le info base (datazione, luogo d’origine etc) perché si voleva che il visitatore fruisse l’arte in quanto arte. A volte cmq è stato nec sottolineare alcuni aspetti delle opere che sono cult significativi e indicativi nel contesto indiano e che un oss esterno non riconoscerebbe. Cmq il curatore ha cercato di evitare alcun intervento didattico per lasciare libero spazio allo spettatore. Come aff la teoria dei rasa, noi traiamo da un’opera d’arte ciò che vi portiamo. Ognuno risponde alle opere secondo le proprie energie e capacità, ogni cuore si commuove a modo suo. L’obiettivo della mostra era mettere in luce i bhava, augurandosi che ciò avrebbe indotto il visitatore a un’esp di visita piacevole e magari, con un po’ di fortuna, particolarmente coinvolgente sul piano emotivo (rasa). Ogni rasa possiede un equivalente cromatico ma solo alla mostra di San Francisco fu poss inserire tale asp nella mostra, cosa che esaltò senz’altro l’effetto e l’atmosfera emotiva delle varie opere. Vennero sperimentate anche altre idee es la creazione di tavoli poligonali che ruotassero, di modo che un visitatore seduto potesse fruire, pezzo per pezzo, le varie parti delle opere pittoriche indiane concepite per cicli (e di solito esposte solo a pezzi). Qst tavolo fu installato solo alla mostra parigina. Un’altra buona idea, che però non fu poss realizzare, consisteva nel creare, alla fine del percorso allestitivo, una stanza isolata in cui il visitatore potesse entrare da solo, ammirando un un’unica opera appartenente alla categ “quieto”, un Buddha in meditazione. 6. Simulare l’autenticità, frammenti di un dialogo Il problema con le cose è che sono mute e quando parlano mentono. Una volta esposti, gli ogg sono infatti suscettibili di trasf nei signif che sono loro attribuiti. Spesso gli ogg per essere esposti devono essere dotati di un valore, connesso alla loro datazione, al loro essere autentici o meno, al loro valore di mercato etc. I musei d’arte hanno spesso fatto perno su simili elem che insieme delineano una lineare storia di appartenenze. Ma da una prosp culturale la questione si complica perché gli ogg non hanno un unico passato, vivono più vite e nessuna di esse è più imp per ragioni intrinseche, ergo non è nemmeno giusto esaltarne una a scapito di altre. Eppure esporre delle opere d’arte signif spesso mistificarle, racc una sola dim della loro complicata storia. Si cita come esempio la ricostruzione di una stanza coloniale appartenuta a una casa originaria del XVIII sec, esposta nella mostra After the Revolution al National Museum of American History. La ricostruzione contiene molti elem non autentici, ignorati perché sopra di essi prevale l’atmosfera creata dall’allestimento nel suo complesso. Ciò è inerente alla spinosa questione dell’autenticità dell’ogg esposto, anche se in molti musei l’ogg non è più una priorità e non ha un valore intrinseco. L’ogg è uno strum, un veicolo comunicativo attivato dalla mostra. È la cult del museo a creare le proprie giustapposizioni e i propri riconoscimenti di autenticità. Tali riconoscimenti sono costituiti dagli usi del pass che qst cult museale può scegliere e che sono variabili come pure lo sono i signif degli ogg. L’autenticità non riguarda quindi la fattualità o realtà. Riguarda l’autorità e l’autorevolezza, le quali sono connesse alle persone che stanno dietro alla mostra. Non solo, esse sono alla base del contratto soc fra pubblico-museo. Si dà fiducia alla voce che emerge dalle mostre ma dare una voce alle mostre non è semplice, perché le mostre hanno voci molteplici; spesso qst voci provengono dal mondo accademico e cmq sempre risultano contingenti e variabili. Es. per molto tempo le mostre storiche si sono basate su una Storia concentrata sui grandi personaggi ed eventi; l’ascesa della storia soc ha rimodellato l’orientamento di molti storici come anche l’org di molte mostre. Studiosi e curatori di musei hanno allora incontrato diverse e similari difficoltà causa scarsità di testi/ ogg in grado di racc qst storia dal basso, qst storia che tanto illumina sulla complessità del nostro passato. Da qui l’apertura verso nuove fonti e lo sforzo da parte dei musei di costituire nuove collezioni; tale sforzo si tradusse anche in una più stretta collab con org di cult e storia locali e collezionisti privati. L’acquisizione degli ogg nec all’allestimento di mostre ispirate alla storia soc non avveniva cmq sempre velocemente e con successo; da qui l’adozione di varie strategie, ognuna dotata di propri limiti (aspettare di avere la collezione pronta, anche se ciò signif attendere diversi anni; allestire mostre limitate a det ogg, anche se ciò signif ignorare altri imp settori; allestire mostre incentrate non tanto sugli ogg quanto sui temi storici). Le idee e i temi storici sono parti imp delle interpretazioni pres nelle mostre. Attraverso di essi i visitatori prendono contatto con il complesso gioco di rapp tra gli individui e gli eventi che costituisce il proc storico. Idee e ogg storici dovrebbero contribuire in pari modo all’allestimento di simili mostre. Con l’accumularsi del materiale di base (fonti, ogg, info etc) cresce anche la competenza acquisita dai membri del gruppo di ricerca. Ciò è imp nella costruzione della mostra perché proprio il gruppo di ricerca selezionerà i manufatti più appropriati da inserire nella mostra. L’appropriatezza dip non tanto dalla provenienza quanto dall’uso degli ogg all’interno dell’allestimento museale pro corretta interpretazione storica. Ciò che assume magg imp è insomma il contesto in cui gli ogg sono inseriti e l’autenticità dei concetti storici che gli ogg stessi rappresentano. Quindi è l’interpretazione storica a ispirare e orientare una mostra, i manuf non perdono per qst imp ma solo vedono compromesso il loro primato. Non danno forma alla mostra, il loro uso dip dai temi della mostra stessa. La provenienza div meno imp della forza assertiva degli ogg, anche se non diviene per qst indifferente. Non imp tanto quindi l’autenticità degli ogg quanto il loro uso autentico. Gli ogg pres in qst modo all’interno di una mostra vengono usati come campioni di un genere, sostituti rappresentativi degli ogg che potrebbero essere stati usati in quel contesto. Per taluni temi, la capacità di usare ogg in qst modo è il solo modo di racc la storia in modo compiuto e accurato. Anche se qst tipo di approccio sembra non corrispondere all’uso trad dei manufatti nelle mostre, in realtà esso raff un altro sistema di racc di manufatti. Se prima gli ogg nei musei venivano acquisiti perché prestigiosi per vari motivi (origine, appartenenza a det personaggi etc), ora vengono acquisiti perché rappresentativi di un det tipo di arredo, abbigliamento, posizione culturale e sociale etc. Quando una mostra esplora problematiche degli ultimi due sec, l’uso di ogg rappresentativi di un genere diviene più efficace. Il consumo di massa di molti beni rende sempre più diff distinguere tra vecchi capi d’abbigliamento o arredi usati in div regioni del paese. Il contesto cambia ma gli ogg sono sostanzialmente gli stessi. Riconoscere e sfrutt le caratt degli ogg prod in serie conferisce ai responsabili delle mostre nuove poss interpretative. Div poss esplorare tematiche e arg che il rispetto della provenienza esatta degli ogg disponibili non consentirebbe di affrontare. Inoltre, tanto più le mostre riguardano temi e argomenti del nostro sec, tanto più il pubbl ne sarà coinvolto. Insistendo sulle poss narr dei manufatti le mostre possono incoraggiare i visitatori a riconsiderare in una prosp più ampia e magari diversa le cose, i loro significati, i temi stessi della mostra. Ciò può contribuire a demistificare gli ogg, a sottrarli all’aura del sacro a inserirli nella categ di ogg d’uso comune, prod in serie, ogg che veicolano una riflessione e un incontro con le vite del passato. Gli ogg, le idee e le persone si incontrano nella mostra interpretativa, costituendo una forma di narrazione. È una narr in cui si ha una ripresentazione del pass, in cui si rende presente ciò che normalmente non è tale. Una verità d’immaginazione div così verità presente, come nel teatro. Lo spazio tra l’ogg e il cartellino è uno spazio attivo, in esso si consuma l’episodio drammatico. La scelta pol che il responsabile della mostra deve compiere riguarda i modi, i tempi e l’intensità con cui intervenire nel formarsi di tale evento. Non solo, il responsabile deve valutare la poss di allestimenti diversi, innovativi, perché ai diversi pubblici e discenti corrispondono varie opp sensoriali e di apprend. Ed è imp fav un cfr che div alienazione e che innesti riflessione, discussione, comprensione… considerando che cmq ciò che sempre conta di più è l’evento in sé della visita, non le cose e neppure i nostri pensieri su di esse. È allo spazio/tempo dell’evento mostra che il pubblico è chiamato a partecipare, collab dirett alla creazione di un signif soc. L’autenticità trova la sua collocazione nell’evento mostra. 7. Pensieri in libertà sulle opportunità espositive I visitatori traggono dalle mostre qlc che va oltre la semplice informazione sugli ogg esposti, apprendono ciò che noi (ordinatori, curatori etc) pensiamo e sentiamo di quegli stessi oggetti. Inoltre, consciamente o inconsciamente, nelle nostre mostre finiamo col frapporre ostacoli alla comprensione e all’apprendimento di alcuni componenti del nostro pubblico, reale o virtuale, nella misura in cui siamo vittime di pregiudizi non verificati sulle capacità di apprend dei visitatori e su quello che dovrebbe essere secondo noi il giusto comp da parte del pubblico. E continuiamo ad agire così nonostante le teorie relative all’apprend e gli esempi di sperimentazione in ambito espositivo che paiono contraddirci. Noi concepiamo strum di valutazione che misurano solo le cose che vorremmo che il pubblico apprendesse, non quelle che eff apprende. Ci prefiggiamo il compito di ampliare il nostro pubblico, eppure continuiamo a non sintonizzarci con altri strati sociali e chiediamo piuttosto che siano loro a sintonizzarsi con noi. Riguardo a ciò, bisogna precisare innanzitutto che non è il contenuto a predet la progettazione, le strategie e le installazioni cui facciamo ricorso: il contenuto e la presentazione della mostra sono cose ben distinte. Se gli spettatori o una parte di essi si sentono esclusi dalla mostra, ciò accade perché lo vogliamo noi. Noi escludiamo certe fasce di pop facendo certe scelte e insieme siamo complici di certe altre fasce, quelle più elevate ed educate, che nei musei si aspettano di vedere raff le proprie aspirazioni e aspettative. Cosa fare per cambiare le cose? Una poss di cambiamento è fornita dal modo in cui discipline quali l’antrop, la storia dell’arte e la storia stanno proc a un riesame dei loro fondamenti, a partire dal riconoscimento che le concezioni correnti e consolidate sull’obiettività della ricerca e l’imparzialità del lavoro del ricercatore non sono mai state realistiche. Applicando le stesse tecniche di riesame critico al nostro lavoro di specialisti in attività museali, possiamo scoprire nuove prosp capaci di fornire un div e più fruttuoso approccio alle nostre mostre e al loro pubblico. Quando si analizza una mostra occorre considerare il ruolo svolto nel proc creativo dall’ordinatore, dal tema e dal pubblico. Una mostra è un manuf cult che articola le concezioni, i punti di vista e gli interessi di un ordinatore. Essa consente poi la contemplazione del mat esposto. Ordinatore, tema e pubblico infl tutti l’allestimento espositivo. Tutte hanno rinunciato ad assumere un attegg autoritario, ognuna ha messo in atto una sua strategia per affr la drastica ricontestualizz dell’arte africana nei musei occ. La mostra The Art of Collecting African Art affrontava il problema della selezione deli ogg da esporre, portando in mostra sia le opere selezionate dal curatore, sia quelle scartate perché false, mediocri, alterate etc. La mostra invitava l’oss a guardare att prima di legg il cartellino. Le didascalie erano personali, decise e informali più che didattiche. La mostra incoraggiava uno sguardo att più che l’acquisizione di det competenze. Altre due mostre hanno tentato di fornire gli strum nec ad acquisire uno sguardo critico sulle opere d’arte e insieme ad accrescere la consapevolezza della misura in cui ciò che vediamo in tale arte è un riflesso di noi stessi. La prima di esse, Perspectives: Angles on African Art, considerava i modi in cui noi occ proiettiamo i nostri bisogni e le nostre fantasie sull’Africa; il tema vero della mostra era il pubblico poiché essa esplorava ciò che l’arte africana ha via via signif, invitando 10 persone a scegliere gli ogg da esporre chiarendo le proprie scelte. I 10 co-curatori erano americani e africani legati in qlc modo all’arte africana, anche se solo due di essi avevano una formazione specialistica sull’argomento. Le didascalie consistevano in commenti firmati ed erano per lo più opinioni strett personali e discutibili. Ciò ha prod molteplici prospettive interpretative su tali ogg. Nonostante le differenze, tutti i co-curatori erano interessati alla dicotomia tra valutazione e comprensione, forma e signif, senso artistico e senso scientifico. Esistono criteri estetici univ o l’estetica ha confini cult precisi? Come possiamo valutare correttamente l’arte prov da una civiltà che non conosciamo sino in fondo? Alcuni co-curatori si sono preoccupati poco della mancanza di conoscenza del contesto, convinti che l’arte possa essere intesa attraverso l’esp diretta perché in fondo la forma è il contenuto. Altri credono che la comprensione derivi da un intreccio fra erudizione e risposta emotiva-estetica. Nella mostra sono stati forniti info di base riguardo ai contesti originari degli ogg ma il tema della mostra non erano gli ogg in sé, quanto i nostri div approcci all’arte africana. La seconda mostra, dedicata al museo più che all’arte africana in sé, era Art/Artifact. La mostra aveva come ogg la percezione e l’esp museali e si concentrava sui modi in cui gli occ hanno classif ed esposto gli ogg africani nello scorso secolo. Le nostre categ di arte/ artigianato non riflettono infatti quelle africane e sono andate mutando nel tempo. La mostra intendeva far vedere come guardiamo gli ogg africani (alla lettera e in senso figurato) e si fondava sull’assunto che gran parte della nostra visione dell’Africa è molto condizionata dalla nostra cult. La mostra affr il tema della percezione attraverso ogg singoli e stili di allestimento diversi. Partendo dal presupposto che la coll e l’ambientazione fisica di un ogg contribuisce a fare di esso un’opera d’arte, l’allestimento mostrava ogg d’arte e ogg non artistici in modo da suscitare il problema nella mente dello spettatore e da rendere l’artificio evidente. Curiosamente alcuni ogg non artistici (es rete da pesca zairese) destarono un notevole interesse, mentre alcuni pezzi d’arte furono ignorati… qst l’effetto performativo dell’esp, nel primo caso “artistica” ed enfatica, nel secondo a mo’ di museo di storia naturale o pannello antropologico. La mostra considerava anche i contesti in cui gli occ hanno guardato l’arte africana e si apriva con una stanza bianca in cui alcuni ogg d’arte venivano mostrati insieme a manufatti solo per le loro qualità formali. Le info fornite erano ridotte al minimo. La seconda area era piccola ma imp: qui veniva proiettato un video inedito che mostrava l’installazione di un palo funerario Mijikenda. Un cartellino avvertiva che solo il pubblico originario avrebbe potuto partecipare all’esp originaria. La terza area ricostruiva un “gabinetto di curiosità” del 1905, con l’accostamento di esemplari zoologici e di manufatti privi di particolari info. La quarta area esponeva vari ogg nello stile dei musei di storia nat. L’ultimo spazio esponeva ogg come in un museo d’arte. La mostra non intendeva seguire alcun criterio cronologico o di legittimità. La mostra sottolineava che tutti gli stili proposti esistevano/ erano esistiti davvero e che essi riflettono differenti attegg interpretativi, di cui lo spettatore non può non sentire l’influenza. La mostra puntava a rendere i visitatori più consapevoli sulla nat arbitraria di tutte le esposizioni. Il museo trasmette dirett e indirett un sistema di valori altamente politici espressi non solo nello stile dell’allestimento ma anche nei molteplici aspetti del suo operare (cfr architettura, programmi, staff, collocazione delle coll etc). Nessun elem che interviene nei musei è neutrale, tutti influenzano il pubblico. La radicale dislocazione che investe la magg parte degli ogg nei musei è una trad solidamente ancorata in Occ. Molti visitatori si aspettano di vedere nei musei d’arte praticamente tutto; pochi di essi si accorgono di quanto il museo stesso influenzi il loro modo di vedere. Che i musei ricontestualizzino e interpretino gli ogg è un dato di fatto che non richiede giustificazioni. I musei dovrebbero tuttavia essere consapevoli dei loro limiti e riconoscere apertamente il grado di soggettività che è loro proprio. Gli specialisti e il personale direttivo dovrebbero essere pienamente consapevoli di ciò che fanno e dei motivi che li muovono, e dovrebbero comunicare al pubblico tutto ciò. Il museo deve permettere al pubblico di rendersi conto che il museo stesso non è un’ampia cornice attraverso la quale l’arte e la cult del mondo possono esporsi allo sguardo bensì una lente ben focalizzata che mostra al visitatore un punto di vista particolare su det ogg. E d’altra parte non potrebbe essere diversamente. 9. Perché i musei mi mettono tristezza ☹ Tutti i musei mettono tristezza all’autore. I musei sono luoghi dove framm disparati di memorie vengono assemblati e riassemblati, fornendo loro sempre nuovi signif, non nec coerenti con quelli loro originari. I musei mettono tristezza appunto perché ci si rassegna al fatto che il museo non può non trasf ciò che incorpora. È una incorporazione che sa di saccheggio. I musei saccheggiano un po’ di tutto, mai sazi o forse mossi da semplici ossessioni. Può darsi che i musei, il freq musei, il ricordare visite ai musei e lo scrivere (prima, durante e dopo) qst attività non riguardino altro che il saccheggio. Qst rimuginare sulla nat predatoria dei musei si fa più tormentoso nei musei etnografici, coloniali e imperialisti, le cui coll sono frutto di vere e proprie azioni aggressive (espansioni, conquiste, veri saccheggi). Il saccheggio cui si fa rif è fisico ma anche concettuale. Secondo l’autore i curatori org spesso manifestazioni carnevalesche quando invece dovrebbero promuovere catalog rigorose degli ogg, e rimangono ottusamente legati a una loro idea di scientificità quando invece dovrebbero fare appello all’entusiasmo pop e alle richieste delle masse. Il fatto è che i musei nec uniscono desideri contraddittori da parte di div pubblici, propongono classif spesso contestabili, mescolano il serio e il voyeuristico. I musei mettevano tristezza anche allo scrittore Henry James, cfr sue opere. La malsana “spettacolarità” del museo non è meno autentica di altre e permette di immedesimarsi nei vinti/ vincitori. Molti sono i musei nativi e i musei che contengono coll frutto dell’incontro fra culture. Ci sono poi musei-viventi/ luoghi-musei come Bali, Venezia etc. Possiamo infatti dire che abbiamo un museo o un’attività museale ogni qualvolta l’osservatore è guidato, non sempre volontariamente, tra artefatti, campioni, etichette, didascalie, stereotipi, luci, categ, disegni, bisbigli visivi e altri visitatori. La visita post-moderna è un guardare senza toccare, un valutare con gli occhi un mondo di simulacri di merci che non possono essere acquistate se non in versioni, citazioni, ristampe offerte alla fine del percorso. Così i musei preservano gli ogg sacri dalla mercificazione e insieme alimentano la circolazione di simulacri nell’età della riproduzione mecc e manuale. L’autore, quando visita i musei, per opporre una certa resistenza alle forze che vincolano le sue abitudini visive si porta dietro un libro diverso dal catalogo. E poi fa etnografia delle visite ai musei. E forse qst sue strategie lo rendono ancora più triste. Si porta l’es di Venezia, città-museo, città che certo non è rimasta immobile nel tempo e che ha saccheggiato ed è stata saccheggiata; città che nel tempo è stata trasf dai suoi visitatori in un emblema pol-estetico, ovvero è stata museificata. Si cita poi l’esp di Proust, James e altri rispetto a Venezia. 10. Musei e culture Ogni mostra promossa da un museo, indip dal tema, fa inevitabilmente rif a presupposti e strum cult propri dei singoli allestitori, i quali decidono quali elem sottolineare a scapito di altri, quali verità considerare e quali ignorare. I presupp sottesi a qst decisioni variano secondo la cult e il periodo storico, il luogo e il tipo di museo/ mostra. L’artificio risulta più palese quando si considera installazioni museali più antiche o appartenenti a contesti cult diversi. La vera nat dell’atto di mostrare si trova quindi a essere messa in discussione. Negli USA il tratto di contestabilità insito nelle mostre è div ogg di accesi dibattiti pubblici. Alcuni gruppi tesi a stab e a mantenere un senso di comunità e a far valere le loro ragioni sul piano soc, eco, pol di fronte al resto del mondo mettono in discussione il diritto da parte delle istituzioni di controllare la presentazione delle loro culture. Tali gruppi contestano le mostre che invadono il terreno dei loro interessi, chiedono un pot reale all’interno delle istituzioni cult e ne fondano di alternative. Curatori e direttori spesso restano spiazzati davanti a ciò perché non del tutto consci dei presupp che informano le loro mostre. I loro sforzi sono inoltre compromessi dalle complesse interazioni tra le parti e gli interessi contrapposti che esistono in ogni museo. La mostra Te Maori, org al Metropolitan Museum of Art nel 1984 con mat forniti dal pop Maori della Nuova Zelanda costituisce un buon esempio. Gli organizzatori consultarono gli anziani Maori sollecitandoli a concedere il permesso di far viaggiare i loro tesori (taonga). Dal mom che qst ogg erano quasi tutti proprietà di vari musei, la procedura non era strett nec. Si voleva però consultare i Maori stessi e ciò fece sì che costoro div più consapevoli dello status artistico dei loro taonga e si interessassero di più dei modi in cui la loro cult è presentata nei musei. Si ebbero tensioni sopratt per quanto riguarda l’info etnologica e storica di base fornita nel catalogo della mostra. In seguito alla mostra, in Nuova Zelanda crebbero le pressioni per lo sviluppo di procedure e istituzioni tali da consentire ai Maori di def il loro stesso retaggio cult. La questione centrale è come i neozelandesi affronteranno la cosa. Le decisioni relative al modo in cui le cult vengono presentate riflettono un attegg più prof rispetto al pot e all’autorità. Possono quindi risolversi in precise rivendicazioni relative a ciò che una nazione è o dovrebbe essere nonché sul modo in cui i cittadini dovrebbero attegg gli uni con gli altri. A volte riesce più facile capire le implicazioni socio-pol di decisioni del genere quando si guarda ai musei e alle altre culture. Ma molto si è riflettuto anche sui nostri musei. Qst musei sono vissuti come riti di appartenenza civile, luoghi in cui stabilire una continuità del presente rispetto alla trad. Nel 1971 Duncan Cameron ha operato un’utile distinzione fra due tipi di attegg museali, quello tradizionale del museo-tempio e quello più recente del museo-foro. In quanto tempio il museo assume una funz univ e sovratemp, offrendo modelli obiettivi cui raffrontare le percezioni individuali. In quanto foro invece il museo si pone come luogo adibito al cfr, alla sperimentazione e al dibattito. Oggi sta pian piano prevalendo qst secondo modello. Nei musei d’arte è cmq ancora viva una versione rielab dell’estetica universalistica, gradualmente messa in discussione attraverso il riconoscimento della relatività delle scelte dei curatori e dei div punti di vista alternativi di cui le opere sono passibili; ciò vale sopratt per le mostre che considerano le opere di una intera civiltà o di un gruppo soc. Cfr Hispanic Art in the US, mostra che ha riscosso un certo successo ma ha suscitato discussioni. I curatori si sono sforzati di correggere quella che a loro pareva una sottovalutazione del lavoro degli artisti latino-americani, sia sul piano del mercato sia su quello del discorso critico artistico contemp. Pur riconoscendo che il tema della mostra era def da criteri soc, come il contenuto delle opere o l’id etnica degli artisti, essi decisero di scegliere opere la cui qualità era def in rapp all’arte americana contemp nel suo insieme. Inoltre hanno cercato di confutare l’idea diffusa che più gli artisti si avvicinano all’arte alta, più perdono i propri elem di etnicità: è falso, l’appartenenza etnica, insieme ad altre forme di div regionale o culturale, può essere vista come uno dei principali ingredienti in quel composto alchemico che è la buona arte. Nella ricerca degli artisti da inserire nella mostra i curatori chiesero la consulenza di specialisti e rappr di comunità ispaniche. La mostra è riuscita così a ragg un pubblico ampio, anche poco familiare con l’arte ispanica. Sul piano della scelta artistica nessuno ebbe da ridire, le critiche emersero riguardo alle info fornite sulla storia, sulla diffusione e sugli obiettivi soc-estetici propri degli artisti ispanici e della cult ispanica. Varie furono le critiche mosse, cui i curatori risposero, mostrando di aver fatto scelte consapevoli e informate. Il punto cruciale è cmq che in qlq modo fosse stata org, la mostra avrebbe suscitato lo stesso delle discussioni. I musei che tentano di agire responsabilmente in ambiti complessi e multicult finiscono sempre col trovarsi al centro delle controversie. Solo quando avremo trovato il modo di offrire alla prod artistica e artigianale delle cult “altre” un numero sufficiente di opp espositive potremo aspettarci che qst tipo di controversie si attenui. Al momento attuale una mostra deve spesso assumersi il grave compito di rappr un intero gruppo/ regione. Quando le opp si moltiplicheranno, ogni mostra potrà costituire una soltanto tra le molte prese di posizione di un discorso in fieri. In attesa di tali sviluppi, il mondo museale richiede interventi innovativi in almeno tre aree: 1) Il raff delle istituzioni che danno alle div pop l’opp di esercitare un controllo sul modo in cui vengono presentate nei musei 2) L’espandersi delle competenze da parte dei musei già costituiti per ciò che riguarda la pres delle cult non occ e di quelle minoritarie nel terr degli USA 3) La sperimentazione di prog espositivi che consentano ai musei di offrire prosp multiple o di denunciare la tendenziosità degli approcci tradizionali Nel primo ambito sono stati realizzati ultimamente significativi progressi in tanti musei, che cmq non sono stati esenti da critiche. Qst riguardano sopratt il problema di chi abbia il diritto di controllare l’apparato espositivo e di come al suo interno vadano def le id cult. I presupposti che sottendono l’org delle mostre vengono percepiti come insufficienti e l’omissione di prosp diverse suscita gravi perplessità. In ogni caso qst musei ci aiutano ad espandere la nostra idea delle poss inerenti alla progettazione espositiva e alla riconfig del rapp che la mostra stab con il pubblico. Abbiamo bisogno di mostre creative e sperimentali, mostre che ad es siano org sulla base delle categ estetiche proprie delle civiltà da cui tali mat provengono (cfr Essence of Indian Art, mostra allestita all’Asian Art Museum di San Francisco nel 1984). Abbiamo bisogno di mostre che coinvolgano attivamente indigeni, gruppi cult e soc. L’istituzione museale non può che trarre giovamento da div contributi sul piano estetico e intellettuale, da nuove prosp, da nuove vie di approccio e da una nuova consapevolezza di come una data mostra venga eff vista dagli spettatori. Infine, abbiamo bisogno di esperimenti sul piano della progettazione espositiva che tentino di pres prosp multiple e di ammettere la nat contingente delle interpretazioni offerte. Si tratta di una bella sfida dato che la gente è attratta dall’autorità dei musei. Una mostra che è riuscita in ciò è Art/Artifact org al Center for African Art di NY, mostra incentrata non tanto sull’arte africana ma sui nostri modi etnocentrici di vederla e concepirla. A tale scopo l’arte africana fu esposta in simulazioni di div ambienti: il museo d’arte tradizionale, la galleria d’arte contemp, il diorama etno-museologico, il gabinetto delle curiosità, alcuni habitat originali ricreati etc svelando in quale misura i presupposti cult determinano la nostra visione degli ogg d’arte e dei manufatti in genere. Non è solo NY ma sono gli USA tutti a interrogarsi sul loro stesso pluralismo nei dibattiti pubblici e negli ambiti museali. La comunità museale se continuerà a esplorare qst terreno multicult e intercult con consapevolezza e decisione, superando le insidie in agguato, potrà svolgere una sua funz nel riflettere e nel mediare le esigenze dei vari gruppi, contribuendo forse alla costruzione di una nuova idea di noi stessi in quanto nazione.
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