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Riassunto in italiano "The Cultural and the Creative Industries: A Critical History", Appunti di Sociologia Della Comunicazione

Riassunto in italiano del saggio "The Cultural and the Creative Industries: A Critical History" di O' Connor

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 31/08/2023

carosella00
carosella00 🇮🇹

4.5

(6)

12 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto in italiano "The Cultural and the Creative Industries: A Critical History" e più Appunti in PDF di Sociologia Della Comunicazione solo su Docsity! O Connor, The Cultural and the Creative Industries Le industrie culturali e creative: una critica storica Era industrie culturali e creative risale all’incirca al 1997. Ne ripercorreremo la complessa vicenda e cercheremo di capire come mai siano diventate una “causa di preoccupazione” e quale tipo di preoccupazione causano oggi. Introduzione Gli approcci alle industrie culturali e/o creative assumono due forme: 1. Insieme di istruzioni e pratiche (“settore” o “industria”) 2. Prospettiva “costruttivista” processo attivo in cui un oggetto viene creato o assemblato da o attraverso un discorso politico. Chi adotta il primo approccio è “a favore” di questo settore. Chi adotta il secondo è più cauto e individua nei processi di costruzione delle industrie culturali e /o creative una serie di agende politiche non sempre gradite. In realtà questi due approcci non si escludono a vicenda. La prima posizione vede le i.c. e/o c. come catalizzatrici di qualcosa di nuovo, qualcosa di reale e eccitante; i secondi criticano i modi in cui sono state modellate e dirottate da varie agende politiche. Si sarebbe tentati, pertanto, di catalogare i primi come realisti ingenui e i costruttivisti come riflessivi e critici, ma anche in questo caso si commetterebbe un errore. Ciò che a noi interessa è che “là fuori” esiste qualcosa di più di un semplice nuovo settore. Ciò che ha attirato la nostra attenzione in questi ultimi 40 anni è la rivoluzione digitale. Andremo, dunque, a ripercorrere e contestare le varie narrazioni attorno alle i.c. e/o c. per capire come mai sono diventate un “oggetto di preoccupazione”. Rassegna storica Agli inizi degli anni ’70 le industrie culturali emergono come oggetto di interesse accademico e politico. Maggiore interesse per la questione culturale e politica (economia disuguaglianze sociali o di classe che impediva a tutti di avere uno stesso approccio ai media + problema per la definizione di “sfera pubblica” da poco pubblicato Habermas). La connessione tra cultura e politica diviene stretta quando “ideologia” acquisisce una serie di significati “culturali”. Le conseguenze politiche dell’industria culturale sono state evidenti sin dal loro esordio negli USA del dopoguerra grazie all’opera di Horkheimer e Adorno. Per loro il termine rappresentava la riduzione della cultura alla logica del capitalismo monopolistico. Il lavoratore era controllato nel lavoro tanto quanto nella sfera pubblica. Tale tesi è stata erroneamente accomunata alla th della “società di massa” e alla critica culturale conservatrice e antidemocratica. La comparsa delle “industri culturali” come preoccupazione politica più positiva risale alla fine degli anni ’70 e rappresenta l’apertura di un nuovo spazio “politico-culturale”; tale spazio è visibile in un documento di Girard per l’UNESCO, ma anche dalla leadership laburista, da Mitterand… tutti notano che la stragrande maggioranza dei consumi culturali oggi avviene al di fuori del settore sovvenzionato; il consumo di cultura commerciale cresce esponenzialmente e le forme culturali tradizionali erano economicamente incapaci di soddisfare questa domanda Girard chiedeva di approfondire la ricerca su questo settore. Emergono 3 temi: 1. Nozione di “industria” era ora accompagnata da una carica positiva questo concetto era già stato introdotto dagli studiosi dei media e della comunicazione USA aveva studiato come la cultura “popolare” e “alta” fosse prodotta all’interno di complessi mondi artistici socio-economici; Bourdieu fa lo stesso in Francia; Williams in GB studia le condizioni materiali industriali della produzione culturale e storica. Emerge un nuovo tipo di storia dell’arte che ricolloca l’artista nel suo contesto sociale e storico valenza democratica alla nozione di “industria”. 2. Industria che riguarda i mercati e i profitti Miege e Garnham vogliono un resoconto più specifico delle industrie culturali non come ideologia capitalista ma come industrie capitaliste impegnate nella produzione di beni culturali a scopo di lucro. Hanno individuato un gruppo molto più frammentato e disparato di industrie culturali il loro bisogno di fare profitto richiedeva un certo grado di innovazione. Questo ha introdotto le “tendenze negative” di cui parlava Girard, che includono la concentrazione, il monopolio, i livelli di capitalizzazione sempre più elevati… Circa gli artisti (lavoratori creativi/professionisti) rappresentano una forza in gran parte indipendente. Tale indipendenza dell’artista per Miege e Garnham è essenziale per la redditività delle industri culturali, poiché permette di avere un “esercito di riserva di disoccupati”, personale flessibile… 3. Appropriazione più positiva delle nuove tecnologie di produzione, riproduzione e distribuzione negli anni ’80 l’abbraccio tra tecnologia e industria è stato accompagnato da una rivalutazione del mercato. I responsabili delle politiche culturali di sinistra hanno abbracciato i mercati e la tecnologia. L’idea di un’arte trascendentale non contaminata dal commercio e lontana dal mondo delle macchine è stata minata. Girard fa comunque notare che, anche se gli elementi economici dovevano essere accolti come una dimensione cruciale della politica culturale, l’intenzione generale è comunque il loro contributo a una cultura più democratica piuttosto che all’economia in sé. Il valore della cultura Sia Meige che Garnham provenivano dalla tradizione marxista, pertanto si preoccupavano di comprendere le industrie culturali nei termini della classica opposizione tra valore d’uso e valore di scambio il plusvalore si produce quando il lavoratore viene pagato meno del prezzo cui i prodotti del suo lavoro sono immessi nel mercato. Il problema è che per i beni culturali il valore d’uso è estremamente difficile da calcolare. Il tempo di lavoro impiegato nel prodotto culturale sembrava solo tangenzialmente legato al prezzo finale del prodotto (non stretta relazione come nel modello della Scuola di Francoforte) problema per economisti post-industriali. Quindi è complesso il business delle industrie culturali: - Non si può prevedere il valore d’uso o di scambio - Beni culturali tendono a una rapida obsolescenza e a diventare beni pubblici - Manodopera per produrli è difficile da gestire Tutto ciò ci porta a concludere che le industrie culturali operano in modo diverso dai modelli della teoria aziendale tradizionale questa differenza venne interpretata tra anni ’80 e ’90 come un segno che le industrie culturali annunciano un nuovo tipo di economia.  Altra differenza con il modello della Scuola di Francoforte: industria culturale deve fornire un certo valore d’uso al suo pubblico per generare valore di scambio. Questa dialettica di uso/scambio ha permesso di analizzare le dinamiche della produzione culturale contemporanea (input creativo, ricerca di mercato, contabilità finanziaria…). Questa dinamica operava all’interno di grandi entità aziendali la cui crescita di potere e concentrazione è stata segnalata con ALLARME. Valore d’uso e di scambio La questione del valore d’uso/di scambio solleva alcune domande fondamentali: che cosa costituisce questo valore d’uso e come può essere distinto dal valore di scambio? Per rispondere riprendiamo la distinzione degli anni ’70 tra “politica artistica” e “politica culturale”. Viene solitamente presentato come un passaggio da una concezione “ristretta” a una “ampia” della cultura. In generale, il cambiamento di politica è associato a un approfondimento della democrazia al centro di questa narrazione vi è un tema che va approfondito, quello che collega l’”Elitarismo” dell’arte alla sua separazione dalla “vita”.  Accuse contro l’irresponsabilità sociale dell’arte, elitarismo, individualismo, indifferenza per il mondo reale… sono tutti attacchi all’establishment delle arti che fanno rivivere il vecchio modernismo di sinistra e riaprono la discussione filosofica dell’”arte per l’arte”. Bourdieu fissa l’equazione tra arte e elitarismo fonda la capacità di apprezzare l’arte su facoltà “superiori”, per cui la classe operaia era esclusa.  Questo resoconto comporta vari problemi; per una politica culturale orientata a sinistra, l’opera d’arte deve trovare il suo posto in un contesto sociale più ampio, nella vita quotidiana e riconoscere il suo rapporto con l’economia. Dunque, la separazione tra “arte estetica” e vita non è corretta; per Jameson ci sono scambi continui tra le due nell’era moderna. Politica culturale del dopoguerra: da un lato c’è un’arte che è diventata una rappresentazione dell’identità culturale nazionale; dall’altro un’arte “autonoma” quasi antagonista di tale identità nazionale e repressa dai regimi totalitari. Nel secondo dopoguerra è avvenuta una socialdemocratizzazione del patrimonio culturale nazionale la decisione di sovvenzionare le arti non era solo per sottrarre l’arte al mercato, ma per evitare che diventasse dominio esclusivo dei ricchi (ecco i legami con musei pubblici, biblioteche, …). Il passaggio da “arte” a “cultura” potrebbe essere visto come un allargamento di un’arte elitaria e autonoma per abbracciare la “cultura ordinaria”; però questo allargamento comporta anche una migrazione Boltanski afferma che questa migrazione ha portato all0introduzione dei temi dell’arte autonoma, che non è altro che “critica artistica al capitalismo”. Molti temi del modernismo sono passati dalla “high art” alla “cultura”. Nei movimenti radicali delle comunità artistiche che recuperano il modernismo di sinistra; nei movimenti sociali urbani che creano nuovi spazi e organizzazioni; nelle avanguardie artistiche che operano ai margini della cultura popolare; nella trasformazione e nell’espansione dell’istruzione superiore e nella crescita della teoria culturale radicale al suo interno- in tutto questo possiamo vedere la culturalizzazione dell’arte e soprattutto l’estetizzazione della cultura. Questa è la fonte del nuovo “là fuori”, di una trasformazione delle pratiche dell’arte questo mutamento è ciò che bisogna capire e studiare.
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